16
Supermercati 80059 Torre del Greco (NA) Via Circumvallazione, 167 Via G. De Bottis, 51/b [email protected] Via A. Gramsci, 2 Alimentari Via Montedoro, 52 e-mail Qualità e convenienza la tófa Quindicinale per la conoscenza del patrimonio culturale torrese in collaborazione con vesuvioweb.com Anno 1 - N. 21 Quindicinale 29 dicembre 2006 Esce il mercoledì ( Non sapere cosa è avvenuto prima di noi è come rimaner sempre bambini 0,50 all’interno Natali stracittadini di PIETRO GARGANO I miei Natali sono metà porticesi e metà torresi da mezzo secolo, causa inna- moramento seguito da matrimonio (la specie peggiore degli innamoramenti). Avendo l’età della nostalgia, dei ri- cordi addolciti, non giuro che tutto fosse bellissimo, ma tale mi sembrava. Nelle famiglie di confine - io di un paese, lei di un altro, peraltro separati net- tamente dal pallone - si ri- spettava un calendario ri- gido: la cena della Vigilia a casa propria, da soli; i pranzi di Nata- le e Santo Stefano a scambiarsi indigestioni nelle case dell’altro/a. A di- viderci c’era il capitone, bandito sulla mia tavola, proposto in tutti i modi pos- sibili a Torre. Per scansarlo, dovevo fare capriole dialettiche. n u m e r o d o p p i o segue a pagina 2 LETTERE ALLA TOFA L’ARTE PRESEPIALE TORRESE A DESENZANO OCCHIO FOTOGRAFICO BREVE GUIDA DELLE PRESENZE ARCHEOLOGICHE A TORRE DEL GRECO MOSCONI SUL TERRAZZO DI UN GRAN CAFFÈ IL ROMANZO 1809 TORRE DEL GRECO DIVENTA MUNICIPIO 15 GIUGNO 1997… QUANDO LA TURRIS VINSE LO SPAREGGIO NATALE ARRIVA PER TUTTI MAGNAMMO E PO VEVIMMO ARTI, MESTIERI E STRANGIANOMMI TORRESI I COLORI DEL BUIO RICORDI COME RONDINI CONCHIGLIE C A T E N E

la tofa 21 - torreomnia.it tofa 021.pdf · C A T E N E. 2 la tófa numero 21/2006 la tófa progetto grafico Vincenzo Godono Editrice Associazione Culturale “La Tófa” Direzione

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Supermercati

80059 Torre del Greco (NA)Via Circumvallazione, 167

Via G. De Bottis, 51/b

[email protected]

Via A. Gramsci, 2Alimentari Via Montedoro, 52

e-mail

Qualità e convenienza la tófaQuindicinale per la conoscenza del patrimonio culturale torrese in collaborazione con vesuvioweb.com

Anno 1 - N. 21 Quindicinale

29 dicembre 2006 Esce il mercoledì(

Non sapere cosa è avvenuto prima di noi è come rimaner sempre bambini

0,50

a l l ’ i n t e r n o

Natalistracittadinidi PIETRO GARGANO

I miei Natali sono metà porticesi e metàtorresi da mezzo secolo, causa inna-moramento seguito da matrimonio

(la specie peggiore degliinnamoramenti). Avendol’età della nostalgia, dei ri-cordi addolciti, non giuroche tutto fosse bellissimo,ma tale mi sembrava.

Nelle famiglie di confine- io di un paese, lei di unaltro, peraltro separati net-tamente dal pallone - si ri-spettava un calendario ri-gido: la cena della Vigiliaa casa propria, da soli; i pranzi di Nata-le e Santo Stefano a scambiarsiindigestioni nelle case dell’altro/a. A di-viderci c’era il capitone, bandito sullamia tavola, proposto in tutti i modi pos-sibili a Torre. Per scansarlo, dovevo farecapriole dialettiche.

n u m e r o d o p p i o

s e g u e a p a g i n a 2

LETTERE ALLA TOFAL’ARTE PRESEPIALETORRESEA DESENZANOOCCHIO FOTOGRAFICO

BREVE GUIDADELLE PRESENZEARCHEOLOGICHEA TORRE DEL GRECO

MOSCONISUL TERRAZZODI UN GRAN CAFFÈ

IL ROMANZO

1809 TORRE DEL GRECODIVENTA MUNICIPIO

15 GIUGNO 1997…QUANDO LA TURRISVINSE LO SPAREGGIO

NATALE ARRIVAPER TUTTI

MAGNAMMO EPO VEVIMMOARTI, MESTIERI ESTRANGIANOMMITORRESII COLORI DEL BUIORICORDI COME RONDINICONCHIGLIE

C A T E N E

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la tófa n u m e r o 2 1 / 2 0 0 62

la tófa

p r o g e t t o g r a f i c o V i n c e n z o G o d o n o

EditriceAssociazione Culturale “La Tófa”

Direzione EditorialeANTONIO ABBAGNANO

Direttore ResponsabilePASQUALE MARINO

RedazioneSALVATORE ARGENZIANO

Redazione webANIELLO LANGELLA

e-mail: [email protected]

Telefono 0818825857 - 3336761294

Stampa CCIAA n. 0563366 NAReg. Tribunale T/Annunziata N° 6 del 8/8/2006

CCHIO FOTOGRAFICO

Il Consiglio Direttivo dell’Associa-zione Culturale “La Tofa” ha delibe-rato che l’importo della quota per isoci fondatori e ordinari per l’anno2007 sarà di 30,00 euro.I soci sostenitori stabiliranno autono-mamente la quota annuale.Il versamento va eseguito a mezzovaglia postale intestato a: Associazio-ne Culturale La Tofa, Via Cimaglia23/e 80059 Torre del Greco (Na).Tutti i soci riceveranno il quindici-nale “la tofa” a domicilio.

Il PresidenteAntonio Abbagnano

Piangono gli uomini in veste bianca. Stanchi e stremati, dopo seiore di processione. � E se la Curia vendesse la Villa del Cardina-le? � Il Maresca rischia la perdita del Pronto Soccorso. �Riqualificare l’area portuale e il comparto della cantieristica nava-le: questo l’impegno dei politici. � Manca un’isola pedonale perfare shopping, almeno durante le feste. � Da ieri mattina villaMacrina è completamente chiusa al pubblico. Stessa sorte è toc-cata alla biblioteca dalla quale è sparito «Dei delitti e delle pene»,di Cesare Beccaria. � A Palazzo Vallelonga, le «Vie del corallo»,mappa di un’ideale geografia dell’oro rosso, cominciata 12 annifa. � Ma le strade che portano al Vesuvio sono invase dai cumulidi immondizia. � Mercatino dei bambini per Telethon. � Due ra-pine a mano armata in due ore. Le vittime avevano effettuato pre-lievi in banca. � Sei pescatori denunciati per commercio di pro-dotti ittici nocivi. Circa quattro quintali di pesce e frutti di maresequestrati. � Dicono così per le prossime elezioni: “Nessunacandidatura per i politici trasformisti... in lista non ci saranno poli-tici che hanno pendenze con la giustizia..”.

Egregio Direttore, è passato mez-zo secolo.

“Te Deum Laudamus”, intonava lanotte della vigilia la nonna e questomistico canto, interminabile, conti-nuava accompagnato dalle voci ditutte le zie anziane. Noi adolescentitentavamo di partecipare al coro, leg-gendo a fatica da un logoro libricci-no il latino scritto.

“Plaeni sunt coeli et terra” segui-tava ancora, tutto perfettamente re-citato a memoria. E poi “Tu Rexgloriae Christe”, era la notte di Na-tale, il bambinello Gesù in braccioal più giovincello. Eccola l’ultimastrofa... “in te Domine speravi”.

Era un Natale religioso scanditodalle tradizioni antiche, rigorosa-mente familiare, ancora oggi vissu-to con nostalgico ricordo.

È come rimanere sempre bambini,così si legge nel sottotitolo del suogiornale “la tófa”. È proprio così.

Direttore, potrebbe informarsi sedurante le funzioni religiose a San-t’Anna, a Santa Croce, alla Madon-na delle Grazie, a Portosalvo o alCarmine sarà possibile riascoltarequesto bellissimo canto natalizio?

Sono certo che lei mi farà compa-gnia... Ancora auguri.

P.S. Le comunico che l’orologiodella Chiesa della Madonna delleGrazie è ritornato a funzionare inmodo perfetto, forse anche graziealle lettere pubblicate dal suo gior-nale.

Le giunga il più vivo compiaci-mento per la favolosa campagna ac-quisti di firme prestigiose. Grazieancora.

Vincenzo Palomba

Il Te Deum sarà officiato in tutte leParrocchie torresi il 31 dicembrealle 18.00. Don Alfonso, il Parrocodella Chiesa della Madonna delleGrazie, ci ha comunicato di aver ri-parato l’orologio e le campane conun po’ di ritardo, perché aveva bi-sogno di raccogliere la somma ne-cessaria.

È con vero piacere che apprendiamoche alla Società Deiulemar è stato as-segnato il premio:

Premio alle aziende di grandi, mediee piccole dimensioni che hanno rea-lizzato le migliori performance a livel-lo nazionale, regionale e nei principalisettori industriali

Il premio è stato consegnato al co-mandante Michele Iuliano in occasio-ne della seconda edizione di “MilanoFinanza Company Awards 2006”, ce-rimonia di premiazione delle aziendee dei protagonisti del mondo industria-le che hanno realizzato le migliori per-formance nel 2005.

Su invito dell’Assessoratoalla Cultura del Comune diDesenzano del Garda, alcunipresepisti torresi hanno orga-nizzato la mostra presepiale“Sulla scia della cometa….”-

Tale mostra ha lo scopo di di-vulgare l’arte presepiale torreseche presenta una propria iden-tità artistica. Infatti essa risen-te dell’influenza del presepedel ‘700 napoletano ma se nedistingue per una propria ori-ginalità intesa come giusta armoniascenografica, attenta disposizionedelle figure, ricercatezza di luce ecolori. Se a ciò si aggiunge il gran-de amore che il presepista torreseriserva per il Mistero della Nascitadel piccolo Bambino, il tutto si tra-duce in un modello artistico elegantee ricco di calore cristiano.

Lo andavano a prenderenella piazzetta daChiummino, pesciven-

dolo di fiducia. Ovviamentevivo e palpitante nelle vasche.Mi faceva grande tenerezza. Icapitoni venivano conservati inuna bacinella d’acqua dolce, incucina, in attesa della fine; cer-cavano vie di fuga affiorando, ibambini li tormentavano. Lapiù ardita della famiglia, in que-sto caso la nonna arzilla, era de-legata alla esecuzione. Labestiola veniva bendata con unostraccio - per agguantarla me-glio, non per pietà affinché nonvedesse la propria morte - e te-nuta con una mano; nell’altra luccicava la lama perla decapitazione. Il sangue sprizzava, i pezzi recisisi muovevano per qualche attimo ancora, nessunosi commuoveva.

Però il capitone è vendicativo. Un anno, nel tra-gitto in auto verso il luogo del martirio, uno sfuggìdal cuoppo di cartone e dalla busta di plastica (laplastica era appena arrivata, cominciava l’epocabrutta) e andò a nascondersi in un anfratto della vet-tura. Quando le prede furono contate e si scoprìch’erano una in meno del pagato, mia suocera sen-tenziò: “Chiummino m’ha fatto fesso”. A me andòbene, ebbi un’occasione in meno per dire “grazie,no, ho mangiato già troppo”. Il Natale passò e la1100 di famiglia diventò una camera a gas. Miocognato Andrea, il pilota più assiduo, rischiò labroncopolmite perché doveva girare in pieno inver-no con i finestrini abbassati. La puzza aumentò, fin-ché il capitone - oramai marcio - non fu scoperto.

Gli rivolsi una laica preghie-ra.

Un’altra differenza tra i duepopoli - così vicini, a volte tan-to lontani - affiorava alla mez-zanotte, quando si doveva por-tare il Bambino alla capannadel presepio. A Torre, non sose in tutta Torre, l’usanza eraspartana: si posava il Gesù dicreta e basta. Da me la funzio-ne era complicata, coreografi-ca: tutti i componenti della fa-miglia dovevano mettersi incorteo, i più giovani avanti, eil Bambino era affidato allemani aperte del più piccino. Siandava stanza per stanza, fino

allo scoglio di sughero, cantando “Tu scendi dallastelle” di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Quandoproposi analoga cerimonia a Torre, mi scrutaronocon sospetto, ma per gentilezza d’animo mi accon-tentarono. Non appena imposi una tappa nel bagno,mia suocera mi guardò fisso, come per dire: “Miafiglia andrà sposa a un pazzo”. Aveva ragione.

Pietro Gargano

Lettere a “la tófa”Le e-mail vanno indirizzate [email protected] le lettere a: Redazione “la tófa”via Cimaglia 23/E Torre del Greco

Pietro Gargano, caporedattore ed editoriali-sta del Mattino, cura per il suo giornale larubrica quotidiana della posta dei lettori. Hascritto una trentina di libri, anche con Rizzoli,Longanesi, Mondadori, Sellerio. Nello spe-cifico, ha firmato storie della canzone napo-letana per Rizzoli e per Selezione delReader’s Digest, una storia di Piedigrotta perGuida, due biografie del tenore EnricoCaruso tradotte all’estero, un saggio su Libe-ro Bovio e altre monografie.

Natali stracittadinis e g u e d a p a g i n a 1

NataleMa quando facevo il pastoreallora ero certo del tuo Natale.I campi bianchi di brina,i campi rotti dal gracidio dei corvinel mio Friuli sotto la montagna,erano il giusto spazio alla calatadelle genti favolose.I tronchi degli alberi parevanocreature piene di ferite;mia madre era parentedella Vergine,tutta in faccende,finalmente serena.Io portavo le pecore fino al sagratoe sapevo d’essere uomo verodel tuo regale presepio.

Padre David Maria Turoldo(1916 - 1992).

MOSTRA “SULLA SCIA DELLA COMETA…”

L’arte presepiale torrese a Desenzano

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la tófan u m e r o 2 1 / 2 0 0 6 3

Il territorio torrese, così come quello della vicina Ercolano, dovette essere inorigine dominato dalla cultura osca, per poi cedere all’egemonia dei greci nel VIsecolo, dominatori incontrastati di tutto il sud della penisola. Poi fu sannita perdiventare romana nell’89 a.C.

Questa in sintesi la storia archeologica del territorio torrese. Di quelle antichetestimonianze storiche oggi restano poche tracce, poche vestigia. Spesso si attri-buisce la causa di queste tragiche perdite culturali al tempo e all’incuria dell’uo-mo. Ma questa volta, credetemi, bisogna proprio dirlo: qui i torresi non c’entranoproprio. Il vero protagonista dello scempio nel corso dei secoli è stato il Vesuvioche ha sepolto, seppellito, squagliato, e frantumato tutto, infischiandosene dellacultura e della storia. La gran parte del territorio è stata seppellita sotto coltripesanti di prodotti vulcanici e questo aspetto può, a mio avviso, aver giocato afavore di tutti coloro che studiano e ricercano ancora.

Tutto il passato archeologico della città è lì, ancora intatto, seppellito nelle vi-scere della terra, sotto le immense coltri ignee.

La

descrizione

14 PRESENZA ARCHEOLOGICA DELCOLLE DEI CAMALDOLI. Su un’am-pia superficie disseminati rude-ri di una villa rustica con unavasca per la raccolta delle ac-que, resti di dolia interrati.

10 CUPA FALANGA. L’area della villarustica. Oggi si possono ancoraosservare elementi murari dellasottofondazione e sezionimurarie con pavimento incocciopesto.

9 CONTRADA LA MÀRIA.L’area dove fu rinve-nuto il bassorilievo diOrfeo e Euridice.Oggi dell’area arche-ologica restano po-chissime tracce. Soloframmenti fittili e raribrandelli murari diepoca romana.

8 PRESENZE ARCHEOLOGICHE SUBACQUEE. Restidel cosiddetto molo. Blocchi in calcare digrandi dimensioni. Avanzi di ambientimosaicati. Strutture murarie perpendicolariall’impianto termale.

7 PRESENZA ARCHEOLO-GICA DEL PONTE DI RI-VIECCIO. Strutturatermale con dupliceordine di celle, restidell’acquedotto e diambienti con pavi-mento in coccio-pesto.

6 VILLA ROMANA DI CONTRADASORA. Lo scavo settecentescoè parzialmente visitabile. Benconservate le vestigia di am-bienti affrescati, pavimentimusivi.

5 VILLA ROMANA DI SANTA TERESA.PRESENZA ARCHEOLOGICA IPOGEA.Visibili oggi i resti della strut-tura con autorizzazione dellaSoprintendenza.

4 VILLA ROMANA CON AMBIENTIMOSAICATI LUNGO LA STESSA STRA-DA. Non resta nulla oggi diquella presenza.

3 NECROPOLI ROMANA LUNGO LASTRADA CONSOLARE CHE UNIVAERCOLANO A POMPEI. Oggi nonresta nulla di quella presenza.

2 AREA DELLA NECROPOLI ROMA-NA DI SANTA MARIA DEL PRIN-CIPIO. Oggi non resta nulladi quella presenza.

1 VILLA ROMANA DEL FONDO BREGLIA INCONTRADA CALASTRO. La villa fu distruttadurante la costruzione del RioneRaiola. Oggi sono visibili gli avanzilungo il lato monte della ferrovia. Duefornici in opera incerta, ricoperti di pa-vimento in opera cementizia.

Breve guida dellepresenze archeologiche

a Torre del Grecodi ANIELLO LANGELLA

P

r

e

m

e

s

s

a

11 AREA DI PRESENZE ARCHEOLOGICHEBIBLIOGRAFICHE. Due ville (?),un’area sepolcrale. Oggi non è visi-bile nulla di queste strutture. Nellastessa contrada, ma in area impreci-sata furono rinvenuti frammentifittili di sepolture in olla.

12 AREA ARCHEOLOGICADELLA PRESUNTA VILLAROMANA DI CESIO BAS-SO. Dell’edificio ogginon è visibile nulla.Fino agli anni ’80erano ancora ispe-zionabili le paretifangose del 79 d.C.con presenze fittili eframmenti di intona-co.

13 AREA DELLA NE-CROPOLI DEL IX SE-COLO A.C. Ogginon è visibilenulla di quellapresenza che re-sta essenzial-mente bibliogra-fica.

Quella di Torre del Greco è una storia archeologica che per moltis-simi aspetti può ritenersi analoga a quella delle vicine città diErcolano e Pompei. Il periodo romano è ben rappresentato, manon mancano elementi archeologici che possano riportare ladatazione indietro nel tempo fin quasi al IX secolo a.C. Sappiamo

che l’eruzione del 79 d.C. incise negativamente sul territorio procurando deva-stazione e lutti al pari delle vicine città.

Anche qui, a Torre del Greco, il Vesuvio, con le sue colate fangose e le effusionipiroclastiche, modificò il profilo orografico e anche la linea di costa. Sappiamoancora, grazie a numerose tracce bibliografiche, che le contrade di Sora, Calastro,La Mària, Boccea e Scappi furono ben rappresentate in epoca romana. È accerta-to inoltre che dopo l’eruzione del 79, molti dei luoghi distrutti vennero rivisitatie presto ripopolati dai superstiti della catastrofe, dai fuggiaschi e da popolazionivicine. Di questo fenomeno di ripopolamento abbiamo testimonianzearcheologiche eclatanti proprio nello scavo di Sora.

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la tófa n u m e r o 2 1 / 2 0 0 64

Giramondo Vesuviano s.r.l.augura un Felice 2007

a tutti i lettori.L’Agenzia di Viaggi, dal 1978 al servizio dellarealtà economica e sociale di Torre delGreco, si appresta a festeggiare i 30 anni diattività consolidandosi sul territorio con lefiliali di S.M.La Bruna e Corso Vittorio Ema-

nuele, con uno staff di collaboratori espertissimoe professionale, la pluridecennale biglietteriaaerea, marittima e l’esclusiva biglietteriaTrenitalia Regionale con oltre 20 Agenzie Satelliti.Infine il novello Uffico Gruppi con sede al terzopiano della storica sede per l’organizzazione diviaggi di istruzione, di Turismo Religioso e diviaggi culturali per adulti.

di RAFFAELE DE MAIO

Il Corso rappresenta la via princi-pale di una cittadina di provin-cia; costituisce un po’ lo specchio

della sua vita, fatta di passeggiate se-rali e incontri fortuiti. Al termine del“Miglio d’Oro” o come anticamentesi diceva “Miglio Incantato” c’è il Cor-so Vittorio Emanuele (Capo Torre).

Carmè, tu vi che ncanto è u miglio d’oro?Me pare nu scenario ’i cose rare!Cca se ncanta tutt a ggente:Tene ll’oro veramente…Palazzine fravecatemmiez’i sciuri ’ie ogni culore:vurria essere signorepe putermele gudéIl poeta Raimir (Giuseppe

Raiola) in questi versi ne annotala bellezza. La costa marina della“civiltà delle ville”, residenze diriposo e di “delizie”, il più incan-tevole sito della città; con i suoigiardini ricchi di fiori e di aranci;e le superbe architetture cherispecchiano il modello e il gustodella società borghese di tutto l’ot-tocento. Queste ville iniziavano daVilla Aprile, nel comune di Resi-na. Sorte nella seconda metà del‘700 e divenute espressioni del piùbel Rococò napoletano, formava-no un insieme armonico di gran-de importanza storica.

Il corso Vittorio Emanuele na-sceva con Villa Carmela, che conragione poteva chiamarsi la Regi-na delle Ville, con grande bosco,fontane, statue e discesa a mare;più avanti guardando verso il monte,il grande Hotel S. Teresa, oggi IstitutoPie Filippine. L’albergo si spostò pocodistante col nome “Pensione Suisse”dei fratelli Gargiulo.

Poi Villa Ferri che ospitò il grandedottore Cardarelli; Villa Claris Appia-ni dove dimorò Paolo Emilio Imbriani;Villa Senese Santoponte, oggi Liguori,dove una lapide dell’abate VitoFornari ricorda la dimora e la morteavvenuta il 22 ottobre 1895 diRuggiero Bonghi, lume d’Italia.

Il 6 marzo del 1937 da quelle fine-stre vide per l’ultima volta la collinadi Posillipo il maestro ErnestoTagliaferri:

“Pusilleco se stenneQuase stracquato ‘ncoppo ‘o mare

d’oro,comme a ‘nu ninno ca se vo

addurmì…”Siamo arrivati a Villa Vallelonga

oggi direzione generale della Bancadi Credito Popolare. Segue VillaMartinez dove morì il grande patriotaMichele Pironti; Villa del Barone

Mazziotti; Villa del Duca D’Andria;Villa “Yaeko” proprietà D’Elia; VillaGallucci; Villa Berardo antica proprie-tà Calì; Villa Caracciolo poi Berardo,nella quale dimorò per molto tempol’ammiraglio Francesco Caracciolo.

La villa aveva un fondo di ampiagrandezza, oggi Villa Comunale, cheappare sulla destra del visitatore cheviene da Napoli. Accogliente col suoverde, la sua fragranza, la sua luce, la

sua aria e la splendida bel-lezza del panorama che siammira dal grande terraz-zo sul mare.

Un paesaggio, il più bel-lo e più decantato delmondo, Sorrento, Capri,Ischia e l’estrema puntadi Capo Posillipo.

Sul lato sinistro dellaVilla si scorge il Conven-to dei Padri FrancescaniOrdine Minore degliZoccolanti che racchiudeuna parte della più antica storia dellacittà.

Tra il Convento e l’ingresso dellaVilla, vi era una “dependance” di Vil-la Caracciolo, che fu occupata da donFilippo Palumbo già proprietario di unpiccolo bar nella zona, che trasformòla struttura nel “Gran Caffè” Palumboe figli Giuseppe e Pietro.

Durante tutto il periodo precedentela seconda guerra mondiale, prolun-gatosi fino agli anni sessanta, il Caffèera punto d’incontro e di riferimento,

meta privilegiata della società medio-borghese, sede istituzionale della cul-tura locale. Dal 1933 al 1937, agli ini-zi di settembre, dal terrazzo del Caffèsi festeggiava in un’atmosfera tuttacanora, il ritorno vittorioso dei carri edelle canzoni di don Peppino Raiolache avevano conquistato il Primo Pre-mio assoluto alla famosa festa di“Piedigrotta”. Poi scomparve per sem-pre per far posto allo scempio e alla

devastazione della spe-culazione edilizia del-l’ultimo 900.

Tornando all’epoca di“Parlami d’amoreMariù”, il refrain più invoga, cantato dalla cal-da voce di Vittorio DeSica, il Gran CaffèPalumbo fu occasionedi incontri mondani, diuomini d’affari e di in-tellettuali del luogo o

venuti da Napoli e altri centri vicini.Nei periodi estivi, il Caffè, eraappannaggio di vacanzieri sfaccenda-ti, giovani e vecchi, famosi e menofamosi, una quantità di persone ritro-vava ogni estate gli stessi amici con lestesse abitudini, camicia bianca aper-ta sul petto e calzoni in tela “beige”.

Sul gran terrazzo, circondato dal de-licato profumo di magnolie provenien-te dalla villa, si scambiavano cortesiee si discuteva con spirito leggero disport, arte e a volte di politica; era quasi

MOSCONISUL TERRAZZO DI UN

GRAN CAFFÈnaturale. Ormai il fascismo era un“modus vivendi”. Oltre che status po-litico, chi non aveva la stessa confor-mità di opinioni era il buon Sallustro,anarchico per fede, che don PeppinoPalumbo rabboniva col suo ottimocaffè.

Tra i suoi frequentatori, clienti fe-deli, i più assidui erano: il cantanteAlberto Amato e Carlo Croccolo, al-lora giovani studenti in medicina;veniva da Procida Antonio Lubrano,oggi popolare giornalista. Non man-cò di sedersi ai tavoli del CaffèPalumbo l’avv. Agostino Salvietti, at-tore e coautore con Nelli e Vinti del-la famosa trasmissione radiofonica“Spaccanapoli” e ancora Mimì Rea,Michele Prisco, Gennaro Magliulo,Pietro Gargano.

Capelli troppo neri e il volto di unaccentuato profilo napoleonico, unasorta di teatralità congenita da render-lo interprete naturale del grande

condottiere, era il prof.Nicola Di Donna, filo-drammatico di elevatacompetenza. Restio aconcedersi, aveva biso-gno sempre della chia-mata al proscenio; la suaritrosia diventava il suotrionfo.

Gli amici estasiati perla sua voce “impostata”lo lasciavano lunga-mente parlare, beandosidi quel suo tipico

eloquio pieno di verve e di “bons-mots” che a volte sconfinava in reci-tativi garbati e innocenti degliepigrammi del Marchese Caccavonee del Duca di Maddaloni:

“Ai ladri e agli assassiniLibertà provvisoria oggi è concessa.È per la legge stessaprovvisoria la vita ai cittadini.”Queste amabili riunioni venivano

allietate dal suono di un mezza codanero; la musica veniva fornita da unammiccante e sorridente pianista, il

maestro Vincenzo Ladi, con un riccorepertorio, sempre rinnovato che siarricchiva di “temi” della tradizionemusicale medio-classica e di quellacontemporanea mediata da uno stilespeciale di “swing”. Spesso era ac-compagnato da Andrea Le Voquecantante italo-francese (era napole-tano). Proponeva accattivanti motividi ritmo lento, con voce anonima,imitando i grandi protagonisti del-l’epoca, da Sinatra a Rabagliati.

Le lingue sacrileghe di maldicenti,di uomini di spirito col vizio signori-le di dire male e ancora più signoriledi credere in tutto, nelle pause musi-cali, tra il serio e il faceto, toccavanol’altrui reputazione con una qualchemalizia col gusto del dire e non direcosì essenziale al pettegolezzo.

Graffiavano senza misericordia, de-bolezze segrete, tics, vizi e perfino…pubbliche virtù.

Tutti gli “nciuci”, dicerie e notizieutili, si potevano apprenderesolo frequentando “radioexpress palumbo”. Era anco-ra di moda la scuola dei “Mo-sconi” di Matilde Serao, pet-tegolando si creava la satirapiena di mordacità.

L’infantilità cronica di que-sti giovani vitelloni del Caf-fè Palumbo brillava di origi-nalità, di satira e di beffe didubbio gusto; umorismo pa-tetico e la futilità di un mon-do di dimissionari e inco-scienti, proprio di una vita diprovincia.

Era anche la generazione di mae-stri del “savoir faire”, damerini eammiratori del gentil sesso, tipi stra-vaganti come: Nino Longobardi,Peppino Sallustro, Antonio Di Gia-como, Basilio Liverino, Tullio Ono-rato, Ninuccio Borrelli, CiroAscione, Liborio e GennaroSorrentino, Peppino D’Aprea e tan-ti altri, facevano corona con donPeppino Palumbo ad organizzareveglioni a scopo benefico, comequelli pro-Turris; gli incassi servi-vano a finanziare la squadra. Balli edivertimenti nelle notti tiepided’estate.

Dalla cronaca di quei giorni dalgiornale “La Torre”:

“In questo ambiente tanto signori-le il trattenimento danzante si è pro-tratto fino a tarda notte e solo la friz-zante arietta, direi quasi mattutina,ha potuto spegnere l’entusiasmo deinumerosissimi giovani che nulla han-no tralasciato perché la manifesta-zione si confacesse alla schietta si-gnorilità degli intervenuti”.

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il romanzo

quattordicesimo capitolo - 2a parte

di ANTONIO ABBAGNANO

Torre del Grecodiventa Municipio

1809la tófan u m e r o 2 1 / 2 0 0 6 5

Dis

tribuzione Latticini Campani D.O.P.

Una vita per una passione…

una passione che dura da una vita.

Questo slogan evidenzia esattamente il modo

di operare di Almalat nella distribuzione di

prodotti alimentari.

Una passione che dura da una vita, quindi anche

competenza e serietà che durano da una vita.

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30 agosto 1823nasce Alfredovirgola Salvatore

Ferdinando e Mennellaparlottavano fuori la portadi casa, quando arrivarono

Carmela e Ninà, che velocementeentrarono in casa.

“Che stai facenno” gridò comeuna pazza Carmela vedendo la stan-za da letto trasformata in una salaparto con bottiglie d’etere e ovatta,ferri chirurgici, forcipi e coltelli,“c’hai ‘a scannà, nu puorco?Iètta sta munnezza e vat-ténne, vatténne!” e, comeuna furia, prese un ferro chi-rurgico appuntito e si avven-tò sulla vammana, che riu-scì a salvarsi rifugiandosinella stanza attigua e chiu-dendo velocemente la portaalle spalle.

Dovettero accorrere Fer-dinando e il malcapitatoMennella per bloccareCarmela in preda ad una cri-si, mentre Ninà, assoluta-mente calma, si era sedutasul letto di Tina, e già le ac-carezzava il viso.

“Che te vô fa’ sta vammanar’i signuri?” le chiese coninaspettata dolcezza.

“Me vô accirere u piccirillope nun fa’ murì pure a mme”rispose Tina.

Ninà le sorrise, le massag-giò il pancione con delica-tezza rendendosi così contodella posizione del bambino,poi sorridendole disse:

“Si ti firi ‘i me, tra poco tie-ni a criatura nzino”.

Tina chiamò la suoceraRita e quando questa fu vicino alletto, le disse di volere l’assistenzadi Ninà e di mandare via l’altravammana.

Così fu fatto e Ninà si mise al-l’opera. Ordinò a Carmela di pren-dere un asciuttapanni, quello a cu-pola che si mette d’inverno sul bra-ciere, e un lenzuolo di lino traspa-rente; disse poi a Rita di far prepa-rare una gran tinozza con acqua fre-sca.

Dalla borsetta prese il ciuffettodi foglie secche, comprate daifunari che le usavano per la costru-zione delle corde di canapa, e die-de loro fuoco in un piattino.

Pose poi l’asciuttapanni copertodal lenzuolo di lino trasparente sulpetto e sulla pallidissima faccia diTina e, tenendole le mani tremantie sudate nella sua, vi infilò le erbefumanti.

Poco alla volta sentì le mani diTina rilassarsi e il tremolio arrestar-si; tolse allora le erbe fumanti el’asciuttapanni, sorrise a Tina equesta incredibilmente rispose alsorriso.

Facendosi aiutare da Rita e daCarmela immerse allora Tina nellalarga tinozza ed incominciò a fardelle pressioni sul pancione.

Incominciò dal basso ventre do-

v’erano i piedi del bambino e cer-cò di spingerli in su, facendo atten-zione a non spezzarli.

Poco alla volta riuscì a piegarlifin sotto le ginocchia ed allora,spingendo dov’erano le natiche ela schiena del nascituro, riuscì a farroteare un po’ la testa verso il bas-so. Ogni pressione era compiutacon decisione ma anche con grandelicatezza, poiché ogni gesto bru-sco poteva procurare danniirreversibili al bambino.

Con l’aiuto di Rita e l’attiva col-laborazione di Tina che adesso eraassolutamente calma e cosciente, lafece alzare in piedi al centro dellatinozza e ricominciò con le stessemanovre, facendo molta attenzio-ne a non toccare la testa del bam-bino. Facendo ancora pressionesulle natiche e sulla schiena delnascituro riuscì ancora di più adabbassare la testolina del bambinoverso la naturale uscita.

“Putessi vuttà ancora n’atuppoco” disse Ninà “ma si po ci stes-se u curdone r’u velliculonturcigliato c’u cuollo, pozzo fa’rammaggi. Ce cunviene aspettà case rompono ll’acque”.

Non aveva ancora finito questafrase che Tina, ancora in piedi nel-la tinozza, ruppe le acque e Ninà,

gridando a Rita e a Carmeladi mantenerla ritta, quasi siavventò sul pancione e riuscìa pilotare la testa del bambi-no nella giusta direzione. Do-vette interrompersi ancora,perché la testolina, appenafuori, apparve avvolta, cometemeva, da tre giri del cordo-ne ombelicale.

Con grande maestria sciol-se anche questo impedimen-to ed il bambino scivolò nel-l’acqua della tinozza venen-do finalmente fuori con mi-racolosa naturalezza.

Disinfettò in qualche modole forbici sulla fiamma di unacandela e tagliò il cordoneombelicale poi, tenendo sem-pre il bambino nell’acqua del-la vasca, lo alzò per i piedidandogli una piccola paccasul sedere per farlo piangere.

Questo pianto del bambinoebbe un effetto curioso per-ché tutte le donne del vicina-to, fino a quel momento rima-ste fuori in silenzio, arrivaro-

no di corsa nella stanza ed ognuna,sempre in silenzio, si mise a farequalcosa. Sembravano formiche allavoro: lavarono e aiutarono Tinaad indossare la vestaglia di setacomprata a Parigi, la misero a let-to, rifecero le pulizie in tutta la stan-za con velocità impressionante…raddrizzarono i quadri alle pareti.

Poi Rita asciugò il neonato, poi

lo avvolse in delle strette fasce epoi lo appoggiò tra le braccia dellamadre esausta.

Tina guardò suo figlio e a Ninàcon un filo di voce disse: “Cummeè brutto. Tene a capa a ccucuzzielloe u naso ammaccato.”.

“Po s’acconcia, nun te preoccupà.È stato u travaglio” fece Ninà giu-sto in tempo a rispondere perchèTina stava già crollando in un son-no ristoratore.

Dalla porta della stanzaFerdinando guardò la moglie chedormiva, le donne che continuava-no a mettere le cose a posto senzafare il minimo rumore e la madreRita, col nipotino tra le braccia, cheveniva verso di lui a farglielo ve-dere.

“Naturalmente si chiamerà Alfre-do come tuo padre” disse Rita.

“Tina vuole come secondo nomequello di suo padre. Si chiameràAlfredo virgola Salvatore” senten-ziò risolutamente Ferdinando.

“Carmé, hai preparato a pupatella‘i zucchero?” domandò sottovoceRita, cambiando argomento.

“Sicuro” rispose Carmela.Tina si rimise in sesto in pochi

giorni e, perennemente col bimbotra le braccia, sembrava aver di-menticato ogni sofferenza.Ferdinando l’osservava, meravi-gliandosi nel vedere quello scric-ciolo di donna, il viso sempre gio-ioso, allattare e coccolare Alfre-dino, completamente dimentica

delle tragiche vicissitudinivissute prima del parto.

Su di lei sembravano esse-re scivolati via senza lascia-re traccia le notti da incubopassate a Parigi a deciderecosa fare, l’irragionevole edisperata decisione di venirea partorire nella sua terra etra la sua gente, il viaggio inbattello sulla Senna ingrossa-ta dalle prime piogge per rag-giungere la nave nel porto diLe Havre, l’interminabile tra-versata fino alla spiaggia del-

la Scala col terrore delle doglie eper la diagnosi nefasta dei dottoriparigini e infine la conferma dellaprima vammana, quasi una condan-na a morte.

Tina sembrava aver dimentica-to tutto questo: quale miracolol’aveva salvaguardata da un crol-lo psicologico? Cosa l’aiutava anon pensare che se non fosse sta-ta presente quella pazza diCarmela con le sue strane cono-scenze, mai nessuno avrebbe pen-sato di chiedere aiuto alla Ninà,donna di esperienze di vita estre-me e probabilmente più pratica diaborti che di parti?

L’otto settembre prima dell’albaFerdinando fu svegliato da stranirumori; aprì gli occhi in cerca del-la moglie e del bambino, ma trovòil letto vuoto. Corse allora alla fi-nestra e vide in strada Tina col bam-bino in braccio, la madre, tutte ledonne della numerosa parentela, lelavoranti della fabbrica, le vicinedi casa e Carmela, in gran difficol-tà ad annodarsi il velo nero in te-sta, incamminarsi nel buio, e daipalazzi altre donne accodarsi a que-sto corteo; tutte erano scalze, unvelo nero in testa e un cero accesoin mano.

In mutande Ferdinando uscì dacasa e incontrò nell’androne del pa-lazzo delle persone anziane.

“Che sta succedendo?” domandòloro.

“Stanno andando a piedi scalzi aSant’Anna a farle conoscere tuo fi-glio” rispose qualcuno.

Ferdinando si fermò sotto la voltadi pietra vulcanica del portone adascoltare il canto alla Madonna chele donne in corteo avevano appenaintonato e si coprì istintivamente conle mani, quando vide Ninà con altredonne vistosamente agghindate, sa-lire di corsa le scale di Vico OrtoContessa e, passandogli accanto,togliersi ognuna le scarpe e lanciar-le nel portone proprio ai suoi piedi.

Si misero poi anch’esse un velonero in testa e accesero i ceri cheNinà aveva portato per tutte. Al pri-mo luccichio si unirono al canto allaMadonna e a passo svelto, il palmodella mano a coprire la fiammella,si avviarono per accodarsi al corteo.

Ferdinando raccolse le scomodescarpe di Ninà e delle sue amiche,le portò in casa e si rimise a letto,gli occhi aperti rivolti al soffitto,sbuffando.

prossimo capitolo a pag. 7

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il romanzo

quindicesimo capitolo

di ANTONIO ABBAGNANO

Torre del Grecodiventa Municipio

1809la tófan u m e r o 2 1 / 2 0 0 6 7

Il CatastoGrazie ai profitti realizzati con la

pesca, la lavorazione e lacommercializzazione del corallo,sorsero in città altre attività econo-miche diverse, che a loro volta pro-dussero altra ricchezza.

In questi anni incominciò a deli-nearsi una realtà sociale e commer-ciale assolutamente diversa da Na-poli e dalle altre città del Regno.Torre pone in questi anni le basi perdiventare una realtà economica chesarà prospera per almenocentocinquant’anni, graziealla simbiosi tra il potereeconomico, il potere politi-co–amministrativo e il cle-ro.

Questa vitalità costituivaun’eccezione stridente se pa-ragonata alla povertà delSud e portò in pratica adun’autonomia economicadalla capitale e indusse laparte migliore della popola-zione limitrofa a venire adoperare a Torre.

In principio furono giova-ni di Resina a rispondere allerichieste di marinai degli ar-matori torresi; di questi gio-vani si ricorda la laboriosità e lasimpatia, che esprimevano in per-fetto dialetto napoletano, invece chein “Lenga turrese”, data la loro vi-cinanza a Portici, la sua reggiaborbonica e le ville napoletane sor-te nei pressi.

Famiglie immigrarono da Ischia,i D’Aniello, Conte, Mazzella,Ferrandino, Castaldi, Castaldo,Scotto, ed altre dalla costierasorrentina, i cui primogeniti aveva-no la particolarità di chiamarsi qua-si tutti Antonino, Santo poco cono-sciuto all’epoca a Torre.

Queste persone, arrivando da ter-ritori molto simili al nostro, sboccosul mare e retroterra montagnoso,s’integrarono perfettamente con lamentalità e la cultura torrese.

La misurazione e la confinazionedei terreni ha origine in epoca ro-mana e, tra l’Età di Domiziano equella di Traiano, ebbe la sua mas-sima attuazione documentando iconfini dell’impero e i territori cheerano stati dati a generali romanicome compenso per le loro conqui-ste di guerra.

L’Istituto del catasto scomparvepoi del tutto fino al 1740, quando ilministro di Re Carlo, BernardoTanucci (1698-1782), in vista delConcordato con la Chiesa del 2 giu-gno 1741, preventivamente realizzòun censimento catastale, principal-mente finalizzato alla tassazione deibeni ecclesiastici.

Il catasto napoletano ebbe la suaattuazione completa nel 1806, so-prattutto come conseguenzadell’abolizione dellafeudalità attuata dai france-si. Esso fu regolamentato condisposizioni sempre più chia-re e precise col passar deltempo e le competenze furo-no affidate all’Intendenza.

Le fasi d’individuazionedelle sezioni catastali furonocompletate per tutti i comuninel 1807 e produssero unacartografia schematica in cuifurono indicati tutti i confinicomunali; questa fase tral’altro produsse una litegiudiziaria tra il Comune diResina e Torre del Greco chenon è mai sfociata in una sen-tenza definitiva.

In data 2 gennaio 1810 il Consi-glio d’Intendenza emise parere sul-la controversia di confine. Il 22 gen-naio 1819 con Real Rescritto fuadottato e reso esecutorio il pareresuddetto. Questa decisione non fumai riconosciuta esaustiva di tutti idiritti erariali e di proprietà dal Co-mune di Resina che, in tempi suc-cessivi chiamò ripetutamente in cau-sa il Comune di Torre del Greco.Estensore della difesa del Comunedi Torre del Greco fu DiegoColamarino nel 1882.

Il catasto napoletano fu in uso perpiù di un secolo, in pratica per tuttoil periodo del Regno delle dueSicilie, rimanendo in vigore per al-tri settant’anni nell’Italia post uni-taria, fino alla riforma fascista del1927.

Tina quella mattina lasciòAlfredino alla nonna e incalesse partì con Ferdinando,

il cuore in tumulto e le mani treman-ti nella mano libera dalle redini delmarito, per vedere quello che era ri-masto della casa paterna.

Arrivarono alla Cappella Carote-nuto e s’inoltrarono tra i nuovi sen-tieri che i forestali avevano creatopiantando giovani pini, infram-mezzati a quelli rimasti.

Uccelli d’ogni colore e grandezzasembravano dare il bentornato aTina, mentre qualche piccola volpespiava il loro passaggio. Dopo uncentinaio di metri il soffice terrenocoperto da aghi di pino andò trasfor-

mandosi inf a n g h i g l i adura e nuvoledi moscerini aleggiavano sul luo-go dove una volta sorgeva la casae la fabbrica di pinoli di Tina; diessa non restavano che alcune co-lonne portanti e dell’azienda dipinoli non c’era ormai traccia al-cuna.

Tina si avvicinò ai pochi restidella casa e, dopo aver tastato condelicatezza i resti di una colon-na, vi appoggiò la fronte e rima-se ferma come in ascolto. Poialzò il capo in cerca del conosquassato del Vesuvio, come sestesse orientandosi, quindi giròsu se stessa e, camminando in li-

nea retta, si portò nei pressi di uncumulo di fango nero. Raccolse daterra un piccolo ramo d’albero e conesso incominciò a scavare.

“Che cerchi?” domandò Ferdi-nando.

“Qui c’era la cucina e sotto questofango ci deve stare il focolare. Qual-cosa dev’essere rimasto perché erain tufo e aveva sportelli in ghisa”rispose Tina continuando a scavare.

Dal calesse Ferdinando prese al-lora una vanga, spostò la moglie esi mise a scavare con voga. Comin-ciarono a venir fuori dei pezzi di tufoed allora un altro energico colpo divanga fece saltar via un pezzo di fan-go, rendendo visibile una parte delfocolare e, scavando ancora, vennefuori lo sportellino di ghisa, proprioquello dove mettevano i carboni ele bucce secche dei pinoli per av-viare il fuoco.

Ferdinando aprì lo sportellino eTina v’infilò una mano trovando ilventaglio di penne di gallina, quelloche usava per ravvivare il fuoco edelle noccioline che sua madre met-teva ad abbrustolire tra i carboni; poipiù nulla.

Fecero altri piccoli scavi nella spe-ranza di ritrovare tracce d’ossa uma-ne, ma, come già sapevano, l’allu-vione che era seguita all’eruzioneaveva trascinato a mare anche i cor-pi che erano stati sepolti sul posto.

Sfinita, Tina si sedette su un tron-co cavo e umido, il ventaglio e lenoccioline tra le mani, i ricordi dianni ingenui e felici a squarciare il

cuore.Quando fu possibile risalirono sul

calesse e fu allora che notarono deipaletti segnaconfine piantati da qual-cuno estraneo alla proprietà.

Ferdinando tirò con forza le rediniarrestando il cavallo e con la vangaprese rabbiosamente a buttarne giùalcuni, poi si fermò, rendendosi con-to che ne erano stati piantati a centi-naia. Intravide dei galeotti control-lati da militari che costruivano nuo-vi alvei per incanalare le acquepiovane e allora domandò loro seavessero notato qualcuno nei parag-gi, ma nessuno gli prestò attenzio-ne.

Allora prese a minacciare adalta voce, fin quando un gen-darme poggiandogli la puntadella baionetta tra le costole,non gli fece capire che era me-glio lasciar perdere. In quel-l’istante Ferdinando compreseche quei militari avevano qual-cosa a che fare con quei palettie rabbiosamente riavviò ilcalesse.

La mattina seguente partì perl’Ufficio del Catasto accompa-gnato dal capitano Mennella econ in tasca una lettera di rac-comandazione del Parroco peril Cardinale. L’impiegato ad-detto alle mappe catastali pre-se a tergiversare quando seppeche Ferdinando voleva control-lare proprietà in territorio diTorre del Greco, ma le minacce diavvisare il Cardinale e di ritornaredi lì a poco con guardie dell’Inten-denza, convinsero l’impiegato a ti-rar fuori la documentazione richie-sta.

Sulla mappa della proprietà di Tinaerano evidenti delle correzioni amatita e si capì immediatamente cheera in corso una manovra fraudolen-ta per impossessarsi del terreno conla complicità degli addetti al cata-sto.

Furono chiamati dei gendarmi e funecessario far intervenire avvocatidella Curia e dello Stato; le indaginiche seguirono evidenziarono unatruffa che coinvolse molte persone.

Si scoprì infatti che dopole eruzioni alcuni addettial catasto, d’accordo conmilitari inviati sul postoad effettuare le verifichedei danni, modificavanofraudolentemente docu-menti e mappe e s’intesta-vano terreni e proprietàquando non c’erano eredisopravvissuti.

Fu uno scandalo chemise in allarme i proprie-tari dei terreni e delle casedi tutta la cerchiavesuviana, che con nuo-ve denunce fecero saltar

fuori analoghi raggiri.Questi episodi portarono all’arre-

sto di impiegati e di militari e ad unaristrutturazione dell’IstitutoCatastale, stavolta con responsabi-lità e compiti diversamente definiti.

Una domenica mattina quando tuttierano a messa, tre individui giuntisu un carro si fermarono a pochimetri dalla fabbrica di Ferdinandoe, armati di fruste e coltelli, feceroirruzione nel laboratorio. All’inter-no trovarono solo Carmela e, pun-tandole un coltello alla gola, le inti-marono di aprire le stanze dov’era-no coralli e gioielli.

Carmela ebbe però una reazione

violenta quanto inaspettata e, urlan-do in modo disumano, con un mor-so quasi staccò il naso del banditoche la minacciava, si liberò, afferròvelocemente una spada per laspalliatura del corallo e lo colpì for-sennatamente ammazzandolo.

Gli altri due banditi, vedendo illoro complice in un mare di sangue,frustarono a morte Carmela e la fi-nirono a coltellate.

Le urla avevano attirato molta gen-te che incominciò ad avvicinarsiminacciosamente ai banditi e alloraquesti, spaventati, saltarono sul car-ro tentando di scappare. Qualcunoperò aveva tolto le redini e qualcunaltro era già corso in Piazza del

Carmine a chiedere aiuto.Dei carrettieri, abitualmentestazionanti con i loro carri inquella piazza, accorsero im-mediatamente e incrociaronoi malviventi in Via Piscopia,mentre a piedi cercavano unrifugio. Ne seguì un duello afrustate e a coltellate che co-stò la vita ai due banditi.

Dalle indagini che seguiro-no si scoprì che i tre uccisierano militari anch’essi im-plicati nello scandalo del ca-tasto, decisi a vendicarsi del-la denuncia fatta da Ferdi-nando, il vero bersaglio del-l’assalto.

continua a pag.9

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la tófan u m e r o 2 1 / 2 0 0 6 9

Torre del Grecodiventa Municipio1809

Il Catasto

Il giorno dopo dalle autorità diPolizia arrivò l’autorizzazioneall’interramento della salma di

Carmela, ma dalla Curia arrivò ildivieto al funerale religioso. Le spo-glie furono chiuse in una modestis-sima anonima cassa di legno e ada-giata su un carrettino abitualmenteusato per il trasporto di verdure eFerdinando e il Comandante PeppeMennella s’incaricarono di traspor-tarla al cimitero. Seguivano ilcarrettino Rita e le figlie, col velonero in testa, ma senza Rosario trale mani.

Il modesto corteo imboccò la tra-versa per Via Piscopia dove all’in-crocio erano inaspettatamente in attesa centinaia di persone si-lenziose dietro un piccolo grande prete. Una donna poggiò deicrisantemi sulla cassa ed altri aggiunsero ginestre; il piccolo grandeprete tirò fuori dalla tonaca un crocefisso di legno, lo fissò perso-nalmente con un chiodo sulla cassa, baciò e indossò la stola fa-cendosi il segno della croce imitato da tutti i presenti e, mentrequattro giovani chierichetti aspergevano incenso, lì, in mezzo allastrada, incominciò a recitare la Messa di Requiem.

Dopo il Requiescat in Pacee la benedizione alla salma sitolse la stola e ritornò alla suacasa, cinquanta metri più su.

Rita, le figlie e tutti i presentitirarono fuori i Rosari e, pre-gando ad alta voce, accompa-gnarono all’ultima dimora lapazza, fragile, indomabileCarmela.

Per qualche tempo furonoorganizzate ronde armate,come al tempo degli assalti deipirati saraceni e ogni forestie-ro veniva fermato ed identifi-cato. Poi la vita e il lavoro ri-presero il sopravvento e si ri-

tornò alla normalità, anche per le proteste dei “fabbricanti”, chenon volevano che i compratori all’ingrosso, che quotidianamentesi portavano in città, fossero identificati e magari contattati dafabbricanti concorrenti.

Si era giunti al sette ottobre e le giovani a turno incominciaronoa disporsi sui promontori per segnalare i primi arrivi; come sem-pre i balconi che affacciavano sul mare furono addobbati concopertini e centinaia di candele posizionate dietro i vetri ad illu-minare la notte.

Poi giovani voci urlarono di una vela spuntata dietro PuntaCampanella e poi un’altra dalla collina di Posillipo e poi an-cora un’altra e un’altra ancora. La città ridivenne l’annualealveare impazzito di ottobre e dalle campagne, dalle pinete,correndo fra canneti e terreni coltivati, a scapicollo perscalinatelle e barbacani, tutti lasciarono tutto per correre ver-so il mare ad anticipare l’abbraccio coi naviganti, già i piedisporgenti dalle prue, pronti a saltare giù.

ANTONIO ABBAGNANO

di ANTONIO ABBAGNANO

…il Liguori diventa inespugnabi-le, la nostra Turris colleziona risulta-ti positivi in continuazione anche intrasferta come a Benevento, Catania,Juve Terranova, Chieti, Matera, Ta-ranto. In questo lasso di tempo ci saràsolo la sconfitta su rigore aCatanzaro davanti ad oltrediecimila persone.

Finisce il girone d’andata e sia-mo al quinto posto in zona play-off. La contestazione però con-tinua: “si tratta solo di fortuna,le altre squadre adesso ciraggiungeranno”...e gli Ultras,che fanno? Hanno ancora glistriscioni capovolti!!!

C’è qualcuno però che incomin-cia a cambiare opinione, chi non osa-va mostrare il proprio apprezzamen-to, ora si fa avanti ed anche i giornalisportivi incominciano a prestarci piùconsiderazione.

L’apertura del sito internet dellaSocietà fa notizia e il Guerin Sporti-vo ci dedica una pagina, decantando,oltre i risultati della squadra, anchel’oculatezza con cui essa è condotta.Nei primi tre mesi più di quattromilatorresi sparsi per il mondo si colle-gano col sito della Società e subitodopo la fine delle partite siamo co-

stretti ad un aggiornamento velocis-simo, altrimenti sono proteste.

Il nostro capitano Fabrizio Baldinientra nei “Top-eleven” di tutta la se-rie C 1 e 2 nazionale. Sassanelli èsoprannominato “il ragno” in ricor-do del grande Cudicini, Tarantino èdetto “Furino”, Di Criscio “Savi-cevic”, Baldini è “Beckenbauer”, DiMeo, “Bruscolotti”.

Nell’economia della squadra salgo-no in cattedra Dell’Oglio, Anto-naccio, Barbini, Barrucci, Siniscalcoe diventano insuperabili e determi-nati: non c’è scampo per nessuno.

Tutti gli altri appassionati di ViaVittorio Veneto, ormai ribattezzata“Coverciano”, capiscono che si puòfar bene, dimenticano ogni delusio-ne passata e lasciano da parte ogniperplessità.

L’iniziale contestazione va sceman-do e gli Acampora e Apparenza pos-sono affiancarsi al comitato di reg-genza per portare a termine il Cam-pionato.

Al Liguori perdono tutte le grandiad eccezione del Benevento che pa-reggia e del Taranto e alla fine delcampionato siamo nei Play-off die-tro Battipagliese e Benevento comeaveva previsto dopo la prima partitaMister Esposito. Ci prepariamo ad af-frontare questi ulteriori spareggi conl’animo timoroso di subire una nuo-va delusione dopo quelle col Sora,Casarano e Trapani e poi è

dal 1953 con la Bagnolese che nonvinciamo uno spareggio eppur neabbiamo disputati tantissimi, tuttipersi.

Come andrà stavolta? I menagramoo “le secce” come diciamo dalle no-stre parti, sono tanti, ma stavolta il

nostro tecnico ha portato alla fine delcampionato una squadra in grandeforma. Lo staff medico ed i prepara-tori atletici hanno fatto un buon la-voro: siamo prontissimi, atleticamen-te e psicologicamente. Potrannosconfiggerci solo con le cannonate.

Il 31 maggio gara di andata Ca-tania-Turris. Il Cibali si presenta gre-mito da 17.000 spettatori con un in-casso di 250.000.000 di lire: comeuna partita di serie A. Agli ordini diGuiducci di Arezzo la Turris si schie-ra con la sua formazione base ed allafine gli attacchi di D’Isidoro e Pan-nitteri non approderanno a nulla con-tro la nostra difesa e contro Sassa-nelli, che si dimostra portiere di se-rie superiore: risultato finale 0-0.

Ci stiamo preparando per la partitadi ritorno al Liguori, quando un’in-terpellanza parlamentare dei deputa-

ti di AN La Russa, Tarantino eTatarella, catanesi, fa presente alMinistro degli Interni che, afronte di un previsto afflusso dicirca 13.000 tifosi catanesi al se-guito della squadra, non offren-do lo stadio torrese adeguate ga-

ranzie di sicurezza, chiedeva lo svol-gimento della partita in campo piùidoneo.

Il prefetto di Napoli Catalani con-vocava il Questore di Napoli LaBarbera e tutti gli organi preposti allasicurezza, nonchè il Sindaco di Tor-re del Greco Cutolo, i dirigenti dellaTurris e i dirigenti federali della Lega,organizzatrice dei Play-off. Alla finedi una riunione bollente, il vice que-store di Torre Urti, dovette conveni-re che, a fronte di un arrivo ditredicimila persone, l’incolumità ditutti non era obiettivamenteassicurabile.

Fu deciso perciò di giocare alPartenio di Avellino.

Con Bevo al posto di Di Crisciosqualificato e agli ordini dell’arbitroSputore di Vasto, la Turris imparti-sce una lezione di calcio al Catania econ un eurogol di Antonaccio batte ilCatania ed accede alla finalissima colBenevento, che intanto aveva elimi-nato il Catanzaro... a proposito, di-menticavo di dirvi che da Catania ar-rivarono quasi 1300 (milletrecento)tifosi e la politica stavolta fa davverouna brutta figura.

In verità anche la Lega si è dimo-strata stranamente ingenua e sappia-mo che ingenua non lo è mai stata...

ma pensiamo al Benevento.Il 15 giugno 1997, ancora al

Partenio di Avellino, agli ordini diPaparesta di Bari, figlio d’arte e chefarà una grande carriera fino a diven-tare arbitro internazionale per poi in-

cappare in Calciopoli, in unostadio gremitissimo da bene-ventani e torresi, oltre che daavellinesi, alle 16.30 incomin-cia Benevento-Turris; un pa-reggio qualificherebbe i bene-ventani perché meglio piazza-ti in classifica regolare. I Torre-si rimasti a casa sono incollatialle radio che trasmettono indiretta; le strade di Torre sonodeserte, nessuno parla, nessu-no cammina per le vie. Dob-

biamo assolutamente vincere.Nel primo tempo il Benevento gio-

ca bene e in un paio di occasioni cer-ca di mettere al sicuro il risultato, maSassanelli fa buona guardia. Nel se-condo tempo il caldo fiacca ilBenevento mentre i nostri sembranovolare. I sanniti si accontenterebbe-ro del pareggio, ma noi sembriamoindiavolati. Barbini sull’out sinistrodomina e serve Dell’Oglio fuori area;tiro a fil di palo e... rete. Diventiamopazzi di gioia. Vittorio Bisbiglia ècolto da malore ed il radiocronistaMario Pepe racconta in diretta la gioiadel gol e il malore del nostro VicePresidente.

Sono attimi intensissimi.Antonaccio recupera un pallone a

centro campo sull’out sinistro e sem-bra perdere tempo, poi d’improvvi-so parte in slalom e si beve quattro

avversari, arriva sul fondo e serveBarrucci al centro, che infila in rete...Dio mio aiutaci tu, qui rischiamo l’in-farto in centomila. Bisbiglia si ripren-de e con un fil di voce chiede: stiamoancora 1-0?

Alla risposta che siamo 2-0, rivà giùe ci vuole un medico veramente pra-tico per farlo rinvenire.

Sugli spalti si grida e si piange, siballa e si salta. Le “secce” e imenagramo non sono mai esistiti, ab-bracciamo anche quelli. Botti terrifi-canti scoppiano a Torre, sembra l’eru-zione del Vesuvio. Le bandiere tenu-te nascoste per scaramanzia esconodai balconi, vengono portate per stra-da.

Don Onofrio Langella, parroco diSanta Croce e consigliere spiritualedella squadra, durante l’Omelia ha lanotizia dal sacrestano che la partita èormai vinta e non regge alla tenta-zione di dare la buona novella ai fe-deli presenti in chiesa che, vecchiettie vecchiette compresi, esplodono inun poco ecumenico applauso... e lecampane suonarono a distesa e tutticapirono.

Questo è il calcio, questo combinala nostra Turris.

Antonio De Ponte, dove sei, porcamiseria!

15 giugno 1997… quandola Turris vinse lo spareggio

s e g u e d a p a g i n a 7

q u i n d i c e s i m o c a p i t o l o

F I N E

Tutto quello che io pensoè stato già stampato

[ UMBERTO ECO ]

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la tófan u m e r o 2 1 / 2 0 0 6 11

di MICHELE LANGELLA

Ritengo necessario fare unabrevissima premessa a quan-to sto per raccontare e met-

tere subito il lettore al corrente delfatto che la vicenda è realmente ac-caduta alla vigilia di un Natale di chis-sà quale anno compreso tra le dueguerre mondiali in un paese del me-ridione d’Italia. I nomi dei personaggiovviamente li ho cambiati ma i fattisono sostanzialmente quelli che hoappreso da ragazzo dalla bocca di miopadre.

Quella sera del millenovecento erotti, il mare era talmente infuriatoche, quando le onde color lavagna siavventavano contro la scogliera dilava nera, sbuffava come una bestia,esplodendo subito dopo in un turbinìodi schiuma bianca. La gente era con-vinta che il sottosuolo della città fos-se percorso da un misterioso sistemadi grotte e di gallerie, tutte comuni-canti con il mare aperto tramite se-greti varchi sottomarini e credevainoltre che le onde, durante le bufe-re, entrassero con violenza in questecavità spingendosi fin nelle visceredella terra, fatto che provocava verie propri sussulti del suolo, capaci discuotere le case sin dalle fondamen-ta. Anche quelli che abitavano nellaparte alta del paese giuravano che,durante le tempeste di mare, si av-vertiva quasi come un respiropossente provenire dal sottosuoloche, a tratti, veniva quasi squassatoda lontani colpi di maglio.

Insomma, in quella vigilia di Nata-le il tempo era proprio nero. Il cieloera una cappa di nuvole, scure comeinchiostro, che tra lampi isterici e tuo-ni spaventosi avevano vomitato ca-scate d’acqua sulla terra, sulle case,sui giardini di limoni, sugli orti. Lestrade e i vicoli in pochi minuti si era-no trasformati in torrenti che aveva-no preso subito a correre gonfi versola marina.

Nel carcere mandamentale, riscal-dato dal fuoco di un grande bracieredi ottone, ed alla luce calda di un lumea petrolio, don Pasquale il capo

carceriere giocava a scopa con An-tonio, detto Totonno, l’unico detenu-to al momento presente nella galera.Nell’ambiente aleggiava un profumogreve che proveniva dal fuoco dove,sulla carbonella accesa, bruciavanocon lente volute di fumo azzurrino,alcune bucce di mandarino e di melaassieme a qualche grano di incenso.Voci basse e sommesse, un po’ auto-ritaria e ferma l’una e impercettibil-mente in falsetto l’altra. Monosilla-bi, qualche parola e brevissimifonemi a sottolineare una piccola sod-disfazione per un punto segnato o ildisappunto per una scopa fatta dal-l’altro. Il suono secco delle carte but-tate sul tavolo ed il loro frusciarequando venivano mescolate. Di tan-to in tanto un colpo di tosse.

Totonno, quando si rivolgeva a donPasquale, lo faceva sempre con mol-to rispetto e lo appellava “superiò”

vale a dire “superiore”il quale era un termine,un vocativo che aveva ilpregio di condensare inun’unica parola titoli,gradi e funzioni e cheper tale motivo era co-munemente usato da tut-ti i reclusi. Don Pasqua-le era un uomo di mez-z’età, robusto, con unapancia “importante”, icapelli pettinati all’in-dietro sempre neri e lu-cidi, i baffetti sottili e lacarnagione scura; congli occhi nerissimi e ilnaso affilato, era consi-derato ancora un bel-l’uomo. Totonno era unladruncolo di polli e dilenzuola stese al sole adasciugare e colsecondino aveva unavaga somiglianza inquanto aveva lo stessotipo di naso sottile, gli occhi neri evispi e la carnagione scura; per il re-sto era esattamente l’opposto, inquanto era piccolo di corporatura,magro e segaligno, ma forte come unnerbo di bue.

Doveva scontare in tutto sei mesiper il furto ai danni di un macellaioal quale aveva sottratto quattro zam-pe di maiale ed un “rosario” di sal-sicce appese fuori della “chianca”, ecioè della macelleria.

Totonno sarebbe uscito di galera fradue settimane appena ed in quel mo-mento era impegnato in una partita acarte con don Pasquale e questo per-ché, per il carceriere, la partitella se-rale con gli ospiti della prigione erauna abitudine inveterata; ma Totonno,quella sera, voglia di giocare a cartenon ne aveva affatto. Dentro di sél’uomo era triste ed angosciato.

In verità, turbato lo era stato sin dalgiorno in cui il giudice lo aveva con-dannato. Non per la condanna in sé… ne aveva collezionate tante … maperché era tormentato dalla consape-volezza di aver commesso questavolta un grosso sbaglio, anzi, una

grossa fesseria come la definiva luitutte le volte che ci pensava: nonavrebbe dovuto rischiare di farsi pren-dere in fallo a così poca distanza ditempo dalle feste di Natale. Adessoinfatti lui si trovava là dentro mentrea casa la moglie, i tre “piccirilli” esua madre che viveva anche lei nel“basso” assieme a loro, avrebbero

passato quelle sante giornate e spe-cialmente la Vigilia senza di lui e,quel che era peggio, senza niente damettere in tavola. A Totonno mica ve-nivano in mente quei piatti ricchi esaporiti che la sera del 24 dicembreed in quelle sante giornate compari-vano sulle tavole della gente “buo-na”, cioè benestante, piatti come laminestra maritata fatta con verdurevarie, col brodo di gallina vecchia econ le polpettine di carne oppure lazuppa di pesce, il capitone o il bac-calà fritto, struffoli e susamielli. Nien-te di tutto questo ben di dio, tutta robaper signori: lui sognava più sempli-cemente l’onesta zuppiera di casasua, un po’ scheggiata ma colma finoall’orlo di fumanti spaghetti al pomo-doro con cui santificare tutti assiemeil Santo Natale.

Sognava anche di cantare assiemeai bambini le uniche strofe che cono-

sceva di “Quannonascette Ninno aBetlemme” (1) e, dopoaver adagiato delicata-mente il Bambinellonella grotta del presepedi cartapesta, nel postoche gli spettava tra laMadonna e San Giusep-pe, andarsene a letto, nelsuo lettone di ferro daifruscianti materassi im-bottiti di “sbreglie” ecioè gli involucri ester-ni delle pannocchie dimais.

Quella prigione esi-steva sin dai tempi deiBorboni ed era costitui-ta da tre celle grandi edal soffitto molto alto,ricavate in un’ala diquello che in antico erastato il castello baronaledella città. Ammessoche a qualcuno degli

“ospiti” fosse balenata l’idea di eva-dere da quel luogo, l’impresa in real-tà sarebbe stata praticamente impos-sibile, anzitutto per la presenza digrandi e possenti cancellate presentidavanti ad ognuna delle celle e per ledoppie sbarre alle tre finestre che siaprivano nell’enorme spessore deimuri. Il secondo e ben più importan-

te motivo era che la gente che si tro-vava “in villeggiatura” là dentro, erapraticamente sempre la stessa e perlo più i soliti “mariuncielli”,ovverosia ladruncoli come Totonno,gente che, considerata la relativa bre-vità delle loro condanne, tutto som-mato, non aveva nessun interesse néconvenienza a scappare.

Di solito, quando si era fatta unacerta ora ed era stanco di giocare acarte, don Pasquale si alzava pianopuntando le mani aperte sul bordo deltavolo e buttando indietro la sedia conun colpo di natiche. A questo puntogli altri giocatori gli auguravano ri-spettosamente la buona notte e rien-travano nelle celle che lui chiudeva achiave solo quando nel carcere era

presente qualche testa calda; subitodopo si avviava lento e quasi solen-ne, verso il proprio alloggio che erasituato in quella stessa ala dell’anti-co edificio.

Don Pasquale indossava di radol’uniforme delle guardie carcerarie espesso, durante il giorno, lo potevitrovare in compagnia di uno o piùdetenuti intento a prendersi cura del-le piante di pomodoro nel piccolo orto- giardino incastonato come uno sme-raldo prezioso tra la prigione vera epropria ed il suo alloggio. La suaminuscola verde oasi serviva anchecome spazio per l’ora d’aria dei car-cerati.

Con lui vivevano la moglieCarmela ed il figlio che aveva volutochiamare Pasquale come si chiama-va lui. La casa, considerando che loroerano solo in tre, era veramente gran-de ed aveva anche un bel terrazzinozeppo di vasi di gerani e dal qualepotevi vedere i bastimenti e le bar-che nel porto e sul quale, confinatodiscretamente in un angolo, c’era ilgabinetto di decenza che - vero lussoper quei tempi – era ad uso esclusivodella sua famiglia e non era inveceda condividere con estranei. Insom-ma il “superiore” trascorreva la suaesistenza in un piccolo sistema sola-re privato costituito dal carcere, dal-l’alloggio e dall’orto - giardino tuttopalme, oleandri e piante di pomodo-ro e da questo suo universo lui nonusciva mai e non avvertiva neppureil bisogno di evadere perché ne era ilsovrano assoluto ed indiscusso. Inverità don Pasquale era affetto daquella particolare turba della psicheche va sotto il nome di odofobia oagorafobia e che consiste nella paura- a volte vero e proprio terrore - chegli spazi aperti esercitano su deter-minate persone. Per il secondino lasua odofobia era una vera e propriaforza di gravità supplementare che loteneva ancorato ancor più saldamen-te al suolo del suo microscopico pia-neta.

Eravamo rimasti a Totonno chegiocava a scopa con don Pasquale,ma che tuttavia lo stava facendo con-

trovoglia per i motivi di cui abbiamogià parlato. Ad un certo momentoperò l’angoscia che ristagnava in fon-do al suo animo iniziò a ribollire finoa che non tracimò, dapprima in ma-niera timida, a singhiozzi e con pa-role iniziate e non portate a terminema poi, tra una giocata e l’altra ementre rimescolava le carte, conmezze frasi in apparenza ovvie edinsignificanti sul tempaccio, sullebarche da pesca che non potevanouscire a pescare. In effetti, per unoche fosse a conoscenza della tempe-sta che gli stava turbinando dentro,tutto questo dire e non dire sarebbestato un segnale preoccupante.

s e g u e a p a g . 1 2

p a r t e p r i m a

NATALEARRIVA PER

TUTTI

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la tófa n u m e r o 2 1 / 2 0 0 612

Luomo sudava freddo perchési rendeva conto che la sualingua stava andando sempre

più a ruota libera precedendo i suoipensieri e che lo stava conducendosu un terreno molto pericoloso masi rendeva anche conto che purtrop-po non poteva fare più nulla per trat-tenersi e per questo continuò:

“Certo che stasera è la Vigilia eco’ ‘sto tiempo accussì brutto faancora cchiù piacere passà ‘sta San-ta Nuttata in famiglia…”

“E già !”rispose secco don Pasquale per poi

aggiungere subito dopo:“Joca, tocca a tte!”. L’altro, di rincalzo:“Certo che vuje fra poco

v’arritirate dentro il vostro allog-gio… donna Carmela, vostra mo-glie, chissà quante belle cose damangiare vi ha preparato…”.

Ci fu una pausa che sembrò eter-na. Don Pasquale non rispose subi-to perché gli occorse un po’ di tem-po per elaborare mentalmente quel-l’ultima frase ed alla fine gli riuscìdi dire solo “Joca” cioè “gioca”, maquesta volta la parola non la pronun-ziò con lo stesso tono di prima, inquanto questa volta aveva parlatopiano, quasi dolcemente, come seanche a lui adesso la mentesi fosse inceppata su un pen-siero.

Totonno ormai la frittatal’aveva fatta e quindi osòpronunziare parole che maiavrebbe creduto né di pensa-re né di dire ad un secondino.Si rendeva conto che eracome proporre ad un carabi-niere di fargli da palo in unfurto… ma ormai non gli erapiù possibile tornare indietroe quelle parole le pronunziòrealmente:

“Se sulo fosse possibile…non dico tutto il Santo Na-tale... ma almeno la mezza-notte. Solamente ‘o tiempo ‘emettere ‘o Bammino nel pre-sepe assieme ‘e ccriaturemeie”.

Questa volta don Pasqualefu lesto a rispondere perchénel frattempo aveva già “deco-dificato” perfettamente i monosilla-bi, i sospiri e le mezze parole e quin-di questa volta, fermo e perentorio,disse:

“Joca, nun fà ‘o scemo e questecose a me non me le devi dire nean-che per scherzo!”

Lo sguardo dalle carte tuttavia ilsecondino non lo aveva sollevato enon era riuscito a guardare Totonnonegli occhi mentre gli parlava e pro-prio per questo motivo il ladro fupronto ad incalzare, questa volta contono implorante:

“Superiò, che vi costa… vi pro-metto, anzi… vi giuro sul bene chevoglio alle mie creature che vado etorno nel tempo di un Padrenostro”.

“Totò, nun fà ‘o strunzo cu mme!Facciamo finta di non aver sentitoniente di quello che hai detto e fi-niamola qua. Fra poco ti porto qual-cosa di quello che ha preparato miamoglie e così ti passi pure tu ‘stobenedetto Natale!”.

“Superió io ringrazio voi e donnaCarmela ma non è al mangiare chesto pensando in questo momento,anzi mi sento lo stomaco chiuso; èa quelle anime di dio dei miei figliche sto pensando… che vi costa, vigarantisco, ma che dico… vi giuroche se mi lasciate andare, prima che

faccia chiaro, io torno ccaddinto. E poi… voi lo sa-pete io abito qui vicino”.

A questo punto don Pa-squale, scotendo la testa econ tono ancor piùsupplichevole di quello deldetenuto:

“No, no, non si puòfare… va a finire che sequalcuno lo viene a scopri-re, se sta cosa viene fuori,io domani mi ritrovo a farticompagnia in cella e…come si dice… da carce-riere divento carceratopure io. Nossignore, nonsi può fare”.

“Ma perché no?” prose-guì il ladro. “Voi non do-vete fare altro che dimen-ticare di chiudere a chia-ve il portone. Al resto cipenso io. Voi non c’entra-te niente… quasi niente”.

Insomma, il ladro tanto fece e tan-to disse che riuscì a convincere ilsecondino e così, intorno alle diecidi sera, sotto una pioggia battente,sgusciò veloce come un furetto fuoridal carcere.

Don Pasquale in casa trovò la ta-vola già imbandita; la moglie anco-

ra con il grembiulone indos-sato a protezione della grazio-sa camicetta di pizzo coloravorio e della lunga gonnanera tutta pieghe. DonnaCarmela che era ancora inten-ta ad armeggiare davanti al fo-colare, era una bella donna dicorporatura grande, due occhiverdi chiari chiari e i capellicrespi d’un bel biondo cene-re. Si era pettinata con curaquella mattina ma adesso chesi era fatta sera e dopo un’in-tera giornata di lavoro ai for-nelli e con un paio di cioccheche si erano ribellate, con leguance arrossate dal fuocodella cucina, appariva ancorapiù bella ed in più aveva qual-cosa di infantile e di selvaticoallo stesso tempo. Pasqualetutto questo lo notò e notò an-che il bambino che giocavatranquillo nella penombra del-la stanza, ma non gli venne vo-glia né di avvicinarsi alla mo-glie né di prendere in braccio il fi-glio.

Aveva l’animo in subbuglio. Cosaaveva fatto? Aveva permesso chetutto il suo mondo, la sua reputazio-ne, il pane quotidiano della sua fa-miglia, tutto fosse messo a repenta-

glio. E per che cosa poi? E per chi?Per un miserabile, un ladro, un fa-rabutto che lo aveva giocato con isuoi piagnistei.

L’attesa della cena, la cena stessaed anche quello che venne dopo, tut-to gli sembrò durare un’eternità. Lamoglie aveva intuito che qualcosa

non andava e se ne era restata in si-lenzio. Il bambino aveva frignato unpo’ ma il padre, diversamente dalsolito, non gli aveva prestato mini-mamente attenzione, lasciando chea prenderlo sulle ginocchia ed a cal-marlo ci pensasse la madre: insom-

ma, quella Vigilia di Na-tale don Pasquale si trova-va lì a casa sua ma la suatesta no, la sua testa in re-altà era altrove, fuori di lìe per il nostro uomo “fuo-ri”, per via della suaodofobia, voleva dire sem-plicemente “angoscia”.

Dopo aver dato da man-giare al piccolo ed aver ac-cantonato le stoviglie nel-l’acquaio, i due andaronoa letto ma rimasero muti,ognuno con la sua nuvoladi pensieri neri sulla testa,mentre fuori continuava apiovere.

La pendola della came-ra da pranzo aveva appe-na suonato le quattro,quando don Pasquale, ri-prendendosi di soprassal-to dallo stato di torpore nelquale alla fine era caduto,si alzò a sedere al centrodel letto e quindi, infilato-

si in un attimo ciabatte e veste dacamera, ed acceso il lume lasciatoin cucina, si precipitò verso ilcunicolo che collegava il suo allog-gio al carcere. Passando davanti algrande portone d’ingresso, il veder-lo sbarrato dall’interno servì in qual-

che modo a placarlo e quan-do arrivò alla cancellata del-la cella, l’intravedere nel-l’oscurità del fondo una sa-goma umana sul tavolacciolo tranquillizzò del tutto. Aquesto punto fu per lui qua-si ovvio sentire la voce diTotonno che, accortosi del-la sua presenza, si era gira-to verso di lui e, a mezzavoce, fra un colpo di tosse el’altro, gli aveva detto “gra-zie superió”.

Don Pasquale tornò a let-to finalmente rasserenato inqualche modo ma l’aver tro-vato il detenuto nella suacella sul pagliericcio non eraservito a scrollargli di dos-so quell’amaro ed angoscio-so senso di tristezza e que-sto perché sapeva di avertradito, di esser venutomeno ad un giuramento difedeltà, convinto che daquella notte non sarebbe sta-

to più la stessa persona. L’indomani mattina, 25 dicembre,

non se la sentì di imboccare il corri-doio del carcere. Era la prima voltache, in tanti anni, non varcava quel-la soglia ed era sicuro cheVincenzino di lì a poco avrebbe fat-

to squillare la campanella della por-ta di casa. Vincenzino era l’aiutanteche si occupava anche di fare la spe-sa al mercato e della preparazionedei pasti per i detenuti i quali gli vo-levano un gran bene perché era sem-pre pronto e disponibile ed inoltresi prestava volentieri a fare piccolecommissioni come ad esempio com-prare le sigarette ed acconsentiva afare da messo e da postino, conse-gnando bigliettini per conto di mo-gli e fidanzate ma anche pacchetticontenenti non già lime e scalpellibensì calze e maglie di lana odorosedi bucato ed abbondantemente rat-toppate dalle amorevoli dita di mo-gli e di madri.

Ed in effetti fu proprio così cheandò: Vincenzino, preoccupato perl’assenza del suo principale, bussòalla porta della sua casa e quandoquesti venne ad aprire, si spaventòa vederne l’espressione assente el’aspetto spettrale ma don Pasqua-le lo rassicurò dicendo che non ave-va digerito bene e che semplice-mente aveva passato “’na malanuttata” ma che adesso stava benee che non aveva bisogno di niente.E fu in questo preciso momento cheVincenzino diede al secondino unanotizia che ebbe l’effetto di un po-tente gancio sferrato al mento di un

pugile già suonato ed inprocinto di andare altappeto:

“Don Pasquà, voi,nella vostra specchiataonestà, non potrete maicredere che al mondoesistono mariuoli tal-mente mariuoli che nonrispettano neppure ilSanto Natale, eppure èproprio così: questanotte, nel vicolo qua vi-cino, qualcuno ha for-zato la porta della sa-lumeria di donna Vio-lante. Il fatto strano èche i soldi non li hannotoccati, anche perchésembra che la cassa inquel momento era vuo-ta, ma hanno rubato unbel po’ di roba: una co-rona di salsicce, qual-che pacco di macchero-

ni, una forma di pecorino, una bellamanciata di olive di Gaeta e unpaio di mozzarelle di bufala. An-che della giardiniera, cioè dei sot-taceti, hanno rubato e tanto pane,tutto il pane che era rimasto nellabottega. Praticamente qualcuno daViolante questa notte è andato afare la spesa”.

Don Pasquale reagì alla notiziacon un sorriso ebete e liquidò ilcollega biascicando banalmente:

“… grazie, grazie della notizia ebuon Natale a te e famiglia…”.

Dovette vincere molte resistenzeper decidersi a portare a Totonnola roba da mangiare e la bottigliadi vino di Gragnano che sua mo-glie già dalla sera prima aveva de-stinato al detenuto e quando fu nellacella, fissando il ladro dritto negliocchi, disse torvo:

“Questa notte qualcuno ha fattovisita alla salumeria nel vicolo allespalle del carcere. Tu non ne sainiente… tu?”

E l’altro rispose con la più gran-de naturalezza:

“… e alla vigilia di Natale - se-condo voi, superió - io mi potevomai presentare a casa, da mia mo-glie e dalle mie creature con lemani in mano?”.

Michele Langella

s e g u e d a p a g . 1 1 NATALEARRIVA PER

TUTTIpar t e seconda

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la tófan u m e r o 2 1 / 2 0 0 6 13

Un anonimo poeta popolare del 1500 in-vitava al piacere della tavola; un “carpediem” mangiatorio:

Amice mieje, magnammo e po vevimmonfine ca nce sta uoglio alla lucerna!Chi sa si all’auto munno nce verimmo!Chi sa si all’auto munno nc’è taverna !La letteratura napoletana è stata sempre prodi-

ga di testi gastronomici dal “Liber de coquina”di Anonimo trecentesco della Corte Angioina, aIppolito Cavalcanti (1787-1860), l’autore della“Cucina casarinola all’uso nuosto napolitano”.

Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, eradiscendente di Guido Cavalcanti, poeta del Dol-ce Stil Novo. Nel 1837 pubblicava a Napoli “LaCucina Teorico Pratica” che, in una successivaedizione, riportava in appendice una sezione di“cucina casereccia” in lingua napoletana.

La prima raccomandazione dell’autore è rivol-ta agli attrezzi di cucina. Una elencazione detta-gliata di quanto, a quei tempi, era indispensabileavere in casa.

Da la “Cucina casarinolaall’uso nuosto napolitano”.

(Con licenza grafica nella lenga turrese)

Regola primma de tuttochello che nce vô pe la cucina:- Doie caurare, una chiù grossa, e n’auta chiù

piccerélla.- Doie marmitte1 , una appriesso a ll’auta.- Quatto cazzarole de ramma cu lu cupierchio

pure de ramma.- Doie turtiere2 de ramma cu lu tiesto3 purzì4 .- Nu puzunetto5 de ramma.- Na tiella6 de ramma a doie maniche cu

lu tiesto.- Na tiella de fierro cu la manica longa pe

frìere.- Na dozzana de bucchinotti7 de ramma.- Na scummaròla.- Nu passa broro.- Doie caccavelle8 de creta, una chiù gros-

sa de l’auta.- Doie pignate comm’a li ccaccavelle, e

doie chiù piccerélle.- Quatto tiane, doie chiù grosse, e doie chiù

piccerelle.- Doie stufarole9 .- Quatto prattèlle10 .- Doie scafaréie11 , e na scola maccaruni de creta.- Duie spiti.- Doie ratiglie.- Nu cucchiarone, na votapesce e nu lacciacarne12 .- Quatto trébbeti13 , nfrà piccerilli e gruossi.- Na rattacaso.- Na cafettèra, n’arciulillo14 e nu cuppino15 .- Na ciucculatèra de ramma cu lu muliniéllo16

de lignamme.- Nu murtaro de marmo cu lu pisaturo17 de

lignamme.- Nu murtariéllo d’abbrunzo18 .- Nu tagliéro.- Doie setélle19 , na màrtura20 pe ffá lu ppane cu

la rasóla21 de fierro.- Quatto setacci, duie chiù gruossi de l’auti.- Nu tavulillo pe ffá li ppizze cu lu laniaturo22 .- Cucchiare e cucchiarèlle de lignamme.- Duie curtiélli.- Na tavola e na tavulella pe la cucina.- Duie cati23 .- Mappine24 et zetera, et zetera.

1 Marmitta: Pentola cilindrica.2 Turtiera: Teglia.3 Tiesto: Coperchio di terracotta. Dal latino

“testu”, indicante un oggeto di terracotta.4 Purzì: Anche.5 Pozonetto: Puzunetto. Piccolo paiolo di

rame, con lungo manico, polsonetto.6 Tiella: Padella.7 Bucchinotti: Forme di rame per pasticcini.8 Caccavella: Pentola.9 Stufarole: Scaldavivande.10 Prattelle: Scodelle. Dallo spagnolo “platel”

derivato dal latino “plattus”, piatto.11 Scafareja: Tinozza di terracotta. Dal gre-

co “skaphe”, tino, barca.12 Lacciacarne: Coltellaccio per sminuzza-

re la carne

13 Tribbeto: Trebbeto, treppiedi. Serviva diappoggio a pentole e teglie sulla brace.

14 Arciulo: Brocca.15 Cuppino: Mestolo.16 Muliniello: Macinino per il caffè.17 Pesaturo: Pestello.18 Abbrunzo: Bronzo.19 Setella: Strofinaccio.20 Martora: Madia.21 Rasóla: Raschietto per pulire la madia.22 Laniaturo. Laganaturo, mattarello. Dal

greco “laganon” e latino “laganum”, fo-caccia distesa.

23 Cato: Secchio di ferro per l’acqua.24 Mappine: Stracci, strofinacci per la puli-

zia.25 Rotola: Plurale di “ruotolo”, unità di peso

Magnammo e po vevimmoNatale è passato ma, come augurio per l’an-

no prossimo, ecco per voi il menù della Vi-gilia:

Vigilia de lo Santo Natale- Vruoccoli zuffritti cu l’alici salate- Vermicielli cu la mullica de pane, o pure

zuffritti cu l’alici salate- Anguille fritte- Raoste vullute cu la sauza de zuco de limo-

ne e uoglio- Cassuóla de calamariélli e siccetèlle- Pasticcio de pesce- Arrusto de capitone- Strùffuli.

Per la preparazione di quanto sopra eccoalcune ricette del Cavalcanti:

� VruóccoliPiglia 24 belle cimme de vruoccoli, di

chilli pieri chini de cimmulelle; li mmunni,e nge daie, na scauratella: mietti rinto anu tiano quatto misuriélla r’uoglio, quattospiculi r’aglio, otto alici salate pulite, cafarraie, zuffrìere; nge vuoti li vruóccoli,cu ssale e pepe, e lli ffarraie stufá asciut-t’asciutti e accussì li siervarráie.

� VermicièlliScaura doie rotola25 e meza de vermicielli;

li sculi, e li revuoti cu tre misuriélli r’uoglio,aglio, sale, pepe e miezu quarto r’alici sa-late, e viérdi viérdi26 l’appresienti.

� Anguille frittePiglia doie rotola d’anguille, li ffaie

piezzi piezzi, lavate, nfarinate e fritte; pi-

glia nu ruotolo de calamari li pulizzi, nelievi chella spada, statt’attiento a non ffáschiattá lu ffèle, li ffaie felle, felle, li llavie lli ffrie e tutti mmiscati li mmietti rintoa lu vacile27 .

� Raóste vullutePiglia sei raóste de tre quarti l’una, le

scauri e po li ttaglie a meza a meza, nelievi lu stentino, e li mietti rinto a lu piat-to, facènnole servì cu uoglio, zuco de li-mone, sale, pepe e petrusino ntritato.

� Arrusto de capitónePiglia doie rotola de capitone, o ruie o

uno, ca si no farraie n’arrusto d’anguille,lo faciarraie a pezzulli e cu na fronna delauro lu nfili a lu spito e accussì lu farraiecòcere, abbagnannolo cu acqua, sale, euoglio; lu sfili, e l’apparicchi rinto a luvacìle cu nu poco de scarola ntritata sotto.

Ed anche il menù per il Natale.Astipatavillo pe l’anno ca vene.

Pe lo juorno de lo Santo Natale- Menesta de cicorie- Bullito de vaccina, e auti ccose- Capuni a lu tiáno- Puorco servatico- Bucchinotti mbuttunati de nteriora de pulli.- Custatelle de puorco ngrattinate- Nzalata cotta de cavulisciore e vruócculi- Ammènnole ncruccanda.

Consigli per la preparazione:

� Capuni a lu tiánoPiglia quatto capuni, l’anniétti belli puliti li

ncuosci28 , l’attacchi, e li ffaie zuffrìere a lutiano, facennoli còcere tale e quale comm’a la

gallotta29 a lu tiáno de la terzasemmana pe la Rummenica.

� Puorco sarvatico nzeviéro30

Piglia doie ròtola de puorcosarvatico o puramente lu cignale31 ,lu farraie a pezzulli e lu zuffrìe cunu poco de nzogna, sbruffannocespisso spisso nu poco a la vota nacarrafa32 de vino russo de Calabria,e sempe vullente e accussì lu farraiecòcere; po nge miétti la concia, zoè,na libbra de mustacciuolo33 pisato34 ,doie rana de carofano e ccannellafina, na libbra de cetrunata ntritata,nu quarto de zuccaro, poco sale, pepe

e acito; farraie vóllere e ncurpurá, po pruovi,l’assaggi, mme ntiénni, pe beré si ngevô chiù zuccaro, o chiù acito e fattodenzo denzo lu siervarraie.

� Nteriora de pulli mpasticcioFarraie cócere le nteriora rinto a nu

poco de broro de li capuni, cu doiepurpettelle de vaccina e nu poco desciore35 pe ffá liá lu broro; farraie lapasta nfrolla comm’a cchella de lasera de pesce, e mmiezo nge miéttila cassuóla e po l’auto cupiérchio depasta e lu farraie còcere comm’achillo.

� Nzalata de cauliscioreScaura nu bellu caulisciore, lo faie

a ccimmulelle piccerelle, l’accuoncirinto a lu vacile bello pulito, e cu acitoe uoglio, sale e pepe, lu siervarraie.

Per il Capodanno ecco cosaci suggerisce Cavalcanti:

Primo Juorno dell’Anno- Sartù di riso- Fritto de palaie36 e calamarielli- Capuni a lu tiano- Pasticcio de carne- Arrusto de Vitella- Crema de ciucculata .

Ma non poteva mancare in questi giorni laMenesta mmaritata.

� Menèsta mmaritataMiétti a vóllere rint’a na marmitta doie rotola

de carne de vacca, na bella iallina, no ruotolonfra verrinia37 , prusutto e vuccularo38 de puorco,scummarraie, e po nge miétti miezu ruotolo delardo pisato. Quanno tutta la carne s’è cotta, nnela liévi e la miétti rint’a n’auto commodo39 cuacqua caura pe farla sta ncauro; po passa lu brorope dint’a lu scolamaccaruni e torna a mettere lubroro rint’a la marmitta e quanno volle nge miéttina bella menesta de cappucce40 , turzelle41 , nascarulella, e nu poco de vasenicola; la farraiecòcere bona, e po me sapraie a ddìcere chemenesta acconcia stommaco ca te mangi.

e la Pastiera di grano, ormai non solo a Pasquama ad ogni buona occasione.

� PastieraPiglia miezu ruotolo de grano buono e scìveto42

acino acino; se nfonne e po lu pisi43 rinto a lumurtaro, mperò senza farlo rompere ma cu lupisaturo arravugliannolo sempe pe dint’a lu stes-so murtaro pe farne luvá chella vrenna44, ncioè,chella scurzetella che tene; roppo lu miétti avóllere pe 24 ore e quanno s’è cuotto lu farraiebuono arreffreddá, e po piglia nu ruotolo de ri-cotta bona senza siero, la mmìschi cu lu ggrano,dànnoce nàuta pestatella rint’a lu murtaro; ropponce miétti doie rotola de zuccaro fino e pestato,nu pucurillo de sale, nce sbatte na duzzana d’ova,e n’onza de cannella fine e nu tantillo r’acqua equanno s’è buono rammullato, nce miétti tuttesciorte de sciuruppate; farraie la pasta ordinariarinto a na tièlla sedonta45 de nzogna, e ce miéttila paparotta46 de la pastiera facennoce ncoppana ratiglia de pasta purzì e la farraie còcere a lufurno.

Vì ca chesta è la pastiera la chiù eccellente chence pozza essere.

pari ad un centesimo del “cantàro”, 900grammi. Un “cantàro” era pari a circa 90Kg.

26 Vierdi vierdi: Al dente.27 Vacile: Sta per vassoio.28 Ncusciá: Unire le cosce al petto.29 Gallotta: Tacchina.30 Nzeviero: In agrodolce, cotto con lo zen-

zero.31 Cignale: Cinghiale.32 Carrafa: Caraffa. Unità di misura corri-

spondente a litri 0,727, quasi tre quarti dilitro.

33 Mustacciuolo: Dolce natalizio di farina,zucchero e mandorle. Il nome deriva dallatino “mustàceus”, torta nuziale a basedi mosto.

Tratto da “Gastronomia dei giorni di festa”a cura di

G. De Filippis e S. Argenziano.per www.vesuvioweb.com

34 Pesato: Pestato.35 Sciore: Farina.36 Palaja: Sogliola37 Verrinia: Si tratta di carne di maiale secca-

ta, la vulva o anche la mammella.38 Vuccularo: Sottomento del maiale, quello

che per gli uomini è detto pappagorgia.39 Commodo: Piatto di servizio.40 Cappuccia: Varietà di cavolo, (brassica ca-

pitata). Cavolo cappuccio.41 Turzelle: Verdura dalle foglie scure. Torze e

turzelle p’a menesta mmaritata.42 Sciveto: Scelto.43 Lu pisi: Lo pesti.44 Vrenna: Crusca.45 Sedonta: Unta.46 Paparotta: Poltiglia, pappa.

n o t e

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1865: Tre locandein Torre del Greco

Nel 1865, in tutta Torre cen’erano tre. Una si trovavain Piazza del Popolo ed era

gestita da tale FrancescoBottiglieri; un’altra era ubicata allaStrada Fosso del Carmine («dint’‘u rio» e ne era proprietario un cer-to Gennaro Sorrentino; e, infine,la terza era giù alla marina, al Lar-go Portosalvo (‘ncopp’ ‘aScarpetta). Era gestita da una... lo-candiera e, anche se non era quelladel Goldoni, aveva un bel nome: sichiamava Silvia... Bottiglieri.

Vediamo un po’, quando uscivanodalle rispettive locande, i negozian-ti forestieri, in gran parte ebrei, dovesi recavano per acquistare la prezio-sa merce (brigante Pilone permet-tendo - siamo nel 1865).

Nominativi dei proprietari dellebotteghe artigiane e zone di Torredove esse erano ubicate

Nella zona della marina c’erano:Giuseppe Mazza fu Leonardo, detto«Pappiéllo ‘i Papòte», CorsoGaribaldi; Antonio Aurilia fu Mi-chele, Strada Libertà; DomenicoAscione fu Carmine, Corso Cavour;Bartolomeo Palomba fu Antonio,Strada Unità italiana (in prossimitàdella sua casa c’è uno spiazzo deno-minato ancora Largo Palomba); An-tonio Pontillo fu Serafino, StradaFontana (anche qui c’è ancora unavia denominata Strada Pontillo alla

Fontana per distinguerla dai tre vi-coli omonimi che si trovano versoLargo Bandito); Stefano Sorrentinofu Giuseppe, Largo Benigno(abbascio a dda’ pastora).

Al Corso Vittorio Emanuele c’eraBiondo Palomba fu Raffaele. Di que-sti abbiamo già parlato, però dobbia-mo aggiungere che era il padre deltanto beneamato sindaco LuigiPalomba.

Alla Strada Antica Capotorre(oggi Diego Colamarino) c’eranoMichele d’Amato fu Giuseppe e unaltro certamente non torrese di nomeAlbenzio De Fusco fu Aureliano.

Ecco quelli della zona centrale:Largo S. Croce; Pietro-Andread’Amato fu Gennaro (curalluccio);Agostino Palomba fu Raffaele(pastucchio). Strada S. Croce (oggiVincenzo Romano): Aniello D’Ama-to fu Giuseppe; Raimondo Luisi fuAndrea.

Strada del Teatro: Andrea Vitellidi Giuseppe. (Questi fu sindaco diTorre del Greco dal 28 luglio 1861 al12 maggio 1864. Il suo nome è se-gnato sulla lapide sul lato mare dellastele che ricorda l’eruzione del 1861però c’è scritto Andrea Vitiello e nonVitelli. Non gli piaceva il cognomeVitiello e perciò con l’autorizzazio-ne del tribunale cambiò cognome).

Strada Gradoni e Canali: Giovan-ni Ascione di Domenico (‘u pazzo);Villano Michele fu Luigi; VitelliAniello-Antonio fu Giuseppe.

Strada Ponticello (oggi Antonio

Luisi): Vitelli Francesco-Saverio fuGiuseppe.

Strada Borgo (oggi CorsoUmberto I): Giovanni Scognamigliofu Luigi (pescesicco) ed infine, allaStrada Purgatorio c’erano: LuigiPalomba fu Michele (‘a serpenta);Andrea Savarese fu Michele.

Permettete ora di soffermarmi, siapure fugacemente, su uno soltantodi questi benemeriti cittadini torresicreatori del benessere della nostracittà che, ancora oggi, vive di rendi-ta sui sacrifici, il lavoro e i risparmidi quei tenaci e probi lavoratori.

Giuseppe Mazza, detto «Pappiél-lo ‘i Papote», nacque nel 1822 equando «lu papone» (il vapore) cioèil treno a vapore, verso la fine del1840, arrivò nella stazioncina di Tor-re del Greco, contava 18 anni. Il so-prannome di «Papote» lo aveva ere-ditato dal padre Leonardo, il qualeessendo molto rugoso, abbronzatodal sole e dalla salsedine e trascura-to nella persona, aveva assunto unbrutto aspetto. Mostrava di esseremolto avanzato negli anni, mentrein realtà non lo era, perciò gli abi-tanti della marina gli avevano affib-biato quel nome che forse deriva dalgreco «pappos», cioè vecchio. Quin-di la parola «Papote» indicava ilvecchio che le mamme minacciava-no di chiamare per impaurire i bam-bini e così tenerli buoni.

Arti, mestieri estrangianommi torresi

Ricordi come rondini

Nella solitudine assorta un frullio d’ali- da dove? - flautaper un momento con innocente levità e non pensi cheun soffio, fiato di bimbo sulla riva del sonno imminen-

te, possa trascinare tanta vita. Non volti, ma sorrisi dapprimaindistinti, poi sempre più chiari; non voci, ma suoni, rimandi diantiche armonie; non storie compiute, ma gesti, frammenti, tes-sere anarchiche di un commovente mosaico. Il ricordo è così.Colore di un disegno ormai sfatto, che non ha perso lo smalto e ilnitore, ma ha dissolto la trama, profumo sospeso nel vento di cui èpersa l’essenza, parola che ha messo le ali per fuggire dalla gab-bia del senso. Il ricordo non è la vita che torna – può mai tornareuna vita? - è un sogno fatto di carne, un pensiero che è stato unastoria, la dolce certezza che tutto è già stato vissuto, eppure…

Liberatemi dai miei ricordi!Scrollateli come un grumo di sabbiaAttaccato alle mani, vi prego!Toglietemi i ricordi!Ve ne faccio dono, per sempre.Purchè io sia conchigliaDa riempire di marePurchè io sia verde cortecciaDa colmare di linfa.Recidete i ricordi!Sfuggito alla mano del bimboVoglio essere l’aquiloneChe va sognando fra i cirri.Senza passato.

*

I coloridel buio

Un tempo il cognome era proferito soltanto al cospetto delle au-torità interroganti. Lo strangianomme invece era distintivo di in-tere famiglie e tramandato per secoli fino al punto da ignorarne laoriginaria motivazione. Era il casato e la citazione non apparivaaffatto plebea o popolare. Tra i miei amici ho qualche Scognamiglio(pescesicco) o Ascione (u pazzo) ma questi strangianommi eranogià in disuso tra di noi quando eravamo giovani, anzi una volta cifu un appiccico tra amici per essere stato apostrofato con il nomedi curalluccio un ragazzo D’Amato. Così pure quello della miafamiglia, ramo femminile dei discendenti di Pietro Loffredo, detti ipietucane. Già allora ci vergognavamo di questi soprannomi, rite-nuti epiteti ad personam.

Il giornalismo torrese ebbe in Raffale Raimondo (1912-1982) unvero cultore della storia quotidiana. Ci raccontava degli antenatie delle loro storie, con la naturalezza della cronaca contempora-nea. Da un suo scritto pubblicato nel 1997 su “La Torre” ricavia-mo questo succulento estratto di onomastica torrese. S.A.

La réclame a Torre...

...e negli anni cinquanta

...negli anni venti...

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la tófan u m e r o 2 1 / 2 0 0 6 15

Conchigliedi CIRO ADRIAN CIAVOLINO

C a t e n e

Mm’avite scrittoch’Assuntulella chiammachi ll’ha lassata e sta luntana ancora…Che v’aggi’’a dì? Si ‘e figlie vonno ‘a mamma,facìtela turnà chella “signora”.Io no, nun torno…mme ne resto foreE resto a faticà pe’ tuttuquante.I’, c’aggio perzo patria, casa e onore,i’ so’ carne ‘e maciello: So’ emigrante!

E nce ne costa lacreme st’Americaa nuje Napulitane!...Pe’ nuje ca ce chiagnimmo ‘o cielo ‘e Napule,comm’è amaro stu ppane!

Bovio - Bongiovanni: Lacreme napulitane

Qualcosa ci distingueva, al taschino della giacca non mette-vamo il fazzoletto piegato a punta in giù fermato dalla pennastilografica, le nostre orecchie erano già lontane dalla struggen-te Amapola, incombeva Natalino Otto, qualcuno da tempo sgam-bettava ai ritmi di Glenn Miller, conquistammo il doppio pettoblu, i tacchi divennero più alti, ci sedevamo sull’esausto vellu-to di certi troni di legno, il lustrascarpe batteva il palmo dellamano sulla sua cassetta, era veramente domenica.

I dischi erano pesanti, bastavano dieci dischi per tormentarele nostre esili braccia in tragitti infiniti, era la nostra quota dimusica verso qualche compiacente sala da pranzo che potessepermettere asilo al tavolo centrale in un angolo, oppure in altrastanza se ve n’era. Il traballante radiogrammofono s’incantavatalvolta su mezza frase, i solchi di quegli orribili fox trot si in-crociavano come i binari della stazione centrale, la musica nonripartiva, qualcuno approfittava per respirare aria pulita fuori ilbalcone, qualche ragazza di miglior prestanza fisica era asse-diata da occhi lascivi per le nostre esigue prospettive di benes-sere carnale.

A Natale era obbligatoria La Cantata dei Pastori, Belfagor ir-rompeva pieno di catene sulle tavole dell’Oratorio, Spalancate-vi abissi, or che ne sorge dal regno delle pene il Principe mag-gior ch’abbia l’inferno…S’alzi il mar, tremi il ciel, paventi ilmondo…declamava con voce cavernosa, in un tremolìo di de-boli luci nel fragore di lamiere per simulare fulmini e il batteredi piedi per far tuoni, tutti in attesa di una apparizione, l’Arcan-gelo Gabriele, scelto tra le ragazze più belle, erano preferite lebionde, non scendeva dall’alto, fremeva dietro la quinta di car-ta, era appesantito da ali di cartone, bianche di ovatta e tulle,alzava al cielo una spada di legno dipinta d’argento, nel fulgorea piena ribalta di luci bianche che diradavano le tenebre,Disserratevi o Cieli, or che discende dalle sovrane sfere il para-ninfo delle eterne nozze…

Ma una luce più forte all’orizzonte doveva giungere a noi,una storia di isso, essa e ‘o malamente, ecco che all’angolo divia Gradoni e Cancelli veniva alzata una plancia trionfante, erail manifesto di Catene, con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson.La città si unì, come nessuna rivoluzione avrebbe potuto, in ununico generale abbraccio d’amore e di lacreme napulitane, lepassioni di quei due calarono nei nostri cuori, le mura respira-vano desiderio di giustizia, pareva una città pervasa da unanimesentimento, il riscatto dell’amore e della verità, sui baveri delnostro vestito buono calò una lacrima o molte lacrime dentro efuori del Cinema Iris dal quale uscivamo ricchi di buoni pensie-ri e di sudore, accompagnati dal mutuo soccorso di pulci chevenivano offerte a quelli che erano più prodighi di sangue dol-ce, si producevano in tripli salti mortali da uomo a uomo fino aquando non trovavano la giusta epidermide per un meritato ri-poso, e suggere tranquille, accompagnando fino a casa l’invo-lontario donatore.

Ma prima di giungere alla porta del cinema non mancammodi volgere ancora uno sguardo al generoso anche se estenuatoseno della cassiera che si ergeva come un busto del Canova dalsuo banco, fresca di permanente e di aggressiva lavanda, fuma-va con voluttà Macedonia Extra offerte da più benestanti e au-daci clienti, intuiva sospettabili pensieri nei nostri sguardi obli-qui, seppure affranti dalla commozione che la vicenda avevasuscitato in giovani, mamme e criature, e innocenti vegliardespettatrici che mancavano da una sala cinematografica dall’epocadi Francesca Bertini.

I protagonisti, travolti dal successo popolare, ancora interpre-tavano dolorose appassionate vicende sui nostri schermi. Noicontinuammo a portare dischi pesanti da una casa all’altra, qual-che parente tornava dall’America intontito di lavoro e di dolla-ri, ci raccontava della televisione e del subway, il nostro vestitoblu sbiadiva al sole di altre primavere, cominciammo a provareballi diversi.

O forse non ballammo più.

Giovedì 4 gennaio al Circolo Nautico di Torre del Greco,Pietro Gargano presenterà il primo volume della suaNuova Enciclopedia illustrata della canzone napoletana.Il cantautore Pino De Maio alternerà parole e musica, inter-pretando alcuni capolavori della nostra tradizione canora.

L’opera abbraccia tutta la storiadella nostra musica, dal Duecen-to a oggi. L’Enciclopedia in tre vo-lumi di Ettore De Mura, preziosoe unico punto di riferimento pre-cedente, è datata 1968. Oggi sitrova solo, e raramente, nelle bot-

teghe di antiquariato e nei cataloghi di libri rari ed esauriti. Il suo prezzo è incontinua ascesa, sia per il limitatissimo numero di copie disponibili, sia perla pressante richiesta di appassionati forestieri, in special modo giapponesi eamericani. La presente Opera colma non solo un vuoto di quarant’anni,non solo aggiorna la schede dei protagonisti e dei fenomeni di quel periodo,ma si avvale di tutte le notizie e analisi critiche emerse nel frattempo.L’opera sarà completata entro il 2007. Il progetto prevede l’uscita di almenosei volumi, ciascuno di 640 pagine di grande formato, con centinaia di foto-grafie e materiali del tutto inediti. Ogni volume è corredato di un cd romche dà il quadro completo della produzione di un autore e della discografiadi un cantante. Per fare alcuni esempi, sono schedate tutte le 2.200 canzoniscritte da E.A. Mario, anno per anno, con coautore (se c’è) e casa editrice; ela collana di capolavori di Salvatore Di Giacomo si arricchisce di titoli inedi-ti, ritrovati nelle biblioteche.L'Enciclopedia seguirà l’ordine alfabetico. La prima parte di ogni volume èriservata ai protagonisti - dagli antichi ai contemporanei - con ampi stralcidei loro brani più celebri. La seconda è composta da un glossario, dalleschede dei canti popolari anonimi, dalle biografie dei cantanti forestieri chehanno onorato la nostra tradizione, dall’inventario dei luoghi della musica,degli editori, degli illustratori: migliaia di personaggi e fatti che fanno anchela storia di Napoli e della Campania.

Affinché vi sia compagna di lettura oltre che di consultazione, lo stile della scrittura è scorrevole e sonomolto ampi i contributi di esperti e scrittori di fama, da Antonio Ghirelli a Salvatore Palomba, da MimmoLiguoro a Nino Masiello, da Renato De Falco ad Aldo De Gioia, da Bruno Arpaia a Maurizio Braucci, daMauro Giancaspro a Federico Vacalebre, da Carmelo Pittari a Pietro Treccagnoli, da Renato Caserta a tantialtri ancora. Preziose le testimonianze degli stessi artisti. Alcune rubriche a lato del testo consentiranno diapprofondire la materia: cronologie, frasi celebri sulla canzone, curiosità, proverbi.

La Nuova Enciclopedia illustrata della canzonenapoletana di Pietro Gargano al Circolo Nautico

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