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ANNO I - N. 1 LUGLIO 2009 Finanziario Commerciale Amministrativo Societario Acquisizioni Industriale Immobiliare Concorsuale Contenzioso Arbitrale

Lambaradan Luglio 2009

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Anno I - n. 1LugLio 2009

Finanziario Commerciale Amministrativo Societario

Acquisizioni Industriale

Immobiliare Concorsuale Contenzioso Arbitrale

Rivista semestrale, n. 1, anno 2009

Pubblicazione in attesa di registrazione

Direttore Marianna Brugnoli

Redazione Studio Legale Lambertini & Associati

Hanno collaborato

Giovanni Aquaro Studio legale Lambertini & Associati, Dottore di ricerca in diritto privato europeo

Alessia Barbalace Studio legale Lambertini & Associati

Federico Cena Studio legale Lambertini & Associati

Massimo Fontana Ros Studio professionale Fontana Ros

Nicola Grigoletto Studio legale Lambertini & Associati

Alberto Grigolo Studio legale Lambertini & Associati

Lamberto Lambertini Studio legale Lambertini & Associati

Daniele Maccarrone Studio legale Lambertini & Associati

Marzia Meneghello Studio legale Lambertini & Associati

Tommaso Milella Avvocato in Acquaviva delle Fonti e Cassano delle Murge

Alberto M. Musy Studio legale Musy e Associati, Professore ordinario di Diritto Privato Comparato

dell’Università del Piemonte Orientale, visiting professor di European Law

alla Cardozo Law School di New York

Chiara Pigozzi Studio legale Lambertini & Associati

Stampa Cierre Grafica via Ciro Ferrari, 5 - Caselle di Sommacampagna (Verona) tel. 045 8580900 - fax 045 8580907 - www.cierrenet.it

1

edItorIAle

Cari amici

Chi tra voi avrà pensato, ricevendo LAmbaradan “ec-

coli, ancora loro”, avrà già capito il senso di tutto ciò,

ben conoscendo tutti od alcuni tra noi.

Conoscerà la nostra voglia di fare un mestiere serio

in modo possibilmente mai serioso, la nostra voglia di

alzare, ogni tanto, la testa dal libro per guardarci at-

torno; ma soprattutto la nostra malcelata ambizione

ad essere un po’ noi, appunto.

Noi che siamo i Lambertini e Associati, quelli che si

riuniscono, con catulliani sentimenti, attorno a Lam-

berto, al quale è dedicato ed ispirato il titolo LAmba-

radan.

Noi che veniamo da diverse esperienze, diverse latitu-

dini, diverse storie, ma che andiamo oggi nella stessa

direzione, pur con qualche divagazione, seguendo solo

il cielo stellato sopra di noi.

Eccoci dunque qui, a raccontarvi una storia di diritto

e talvolta giustizia, cercando quale filo conduttore del

nostro raccontare la vita nelle nostre stanze e nelle

aule, qualche ricordo antico capace di non farci senti-

re oggi così soli o solo così diversi, qualche sorriso.

E perché siamo ottimisti, e crediamo che l’avventura

sia solo al numero primo, abbiamo voluto dare ai no-

stri argomenti dei titoli musicali ma durevoli.

Cercheremo quindi gli Orizzonti perduti (Franco Bat-

tiato, 1983) nei vecchi brani letterari che descrivono

il nostro mestiere, tra stereotipi antichi e confermati

vizi e virtù.

Proveremo ad intonare Il mio canto libero (Lucio Bat-

tisti, 1972), annotando pronunce giudiziali su terreni a

noi cari: il diritto societario, il diritto amministrativo,

il diritto civile anche nelle sue espressioni di fallimen-

tare ed industriale.

Sorrideremo di noi stessi, tra le accese ed ironiche di-

scussioni di Zirichiltaggia (Fabrizio de Andrè, 1978),

con chi ci sa disegnare e dipingere.

Ripenseremo a Quando (Pino Daniele, 1991) i grandi

autori del diritto avevano voce il cui eco non si può

dimenticare.

Ci accorgeremo che non c’è proprio Niente da capi-

marianna brugnoli

EditorialesommArIo

Editoriale di Marianna Brugnoli 1

orizzonti perduti Il colonnello Chabert di Honorè de Balzac 3

il mio canto libero tribunale di Vicenza, 27.03.2009 (ord.) a cura di Chiara Pigozzi e Federico Cena 4

tribunale di Verona, 07.01.2009 a cura di Marzia Meneghello 7

tribunale di Verona, 08.04.2009 (decr.) a cura di Alberto Grigolo 10

t.A.r. Veneto, 19.06.2009 n. 639 (decr.) a cura di Daniele Maccarrone 14

Zirichiltaggia Peppe di Furia - Avvocato di Tommaso Milella 17

Quando scritti quasi-giuridici in onore di me stesso

compiendosi il mio cinquantesimo anno di Walter Bigiavi 18

Niente da capire Vendita a scopo di garanzia, patto di riscatto e divieto di patto commissorio di Giovanni Aquaro 21

Siamo solo noi l’insostenibile pesantezza della clausola di esecutorietà provvisoria delle sentenze di primo grado di Lamberto Lambertini 23

Brothers in arms la normativa tedesca sul Contratto di Agenzia di Massimo Fontana Ross 25

l’avvocatura italiana nell’età della globalizzazione di Alberto M. Musy 28

una città per cantare Qui roma di Nicola Grigoletto 30

Lo scopriremo solo leggendo la parola, la politica e il potere ai tempi di Cesare di Lamberto Lambertini 32

Ciao mamma guarda come mi diverto rassegna fotografica a cura di Alessia Barbalace 34

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edItorIAle

re (Francesco De Gregori, 1990) quando cerchiamo di

scrivere di cose serie.

Fino ad accorgerci che forse Siamo solo noi (Vasco

Rossi, 1981) a voler mettere ordine negli orientamenti

giurisprudenziali.

Ma gli intenditori del senso di quest’avventura san-

no anche che Lambertini e Associati è per vocazione

aperta a nuovi legami e custode di vecchie amicizie, e

vanta quindi autorevoli Brothers in Arms (Dire Strai-

ts, 1985) che ci accompagnano nel cammino.

“E se ti fermi, convinto che ti si può ricordare hai da-

vanti un altro viaggio” e Una città per cantare (Ron,

1980), anzi allo stato quattro, ma chissà.

Quello che ci manca, infine, Lo scopriremo solo leg-gendo (licenza poetica, Lucio Battisti, 1980).

Non vergogniamoci allora, alla fine di questa prima av-

ventura, di dire Ciao mamma guarda come mi diverto

(Jovannotti, 1991) e farci vedere nei nostri lati migliori.

E se il nostro modo di fare questo mestiere sarà quel-

lo di un’avvocatura sostenibile, che sappia coniugare

la professionalità con la passione, che non sacrifichi

il fine allo strumento, che porti con leggerezza i pe-

santi fardelli, non avremo semplicemente buttato i

nostri semi.

Marianna Brugnoli

3

orIzzontI PerdutI

Verso l’una di notte, il sedicente colonnello Chabert

venne a bussare alla porta di Derville, avvocato pres-

so il Tribunale di prima istanza del dipartimento del-

la Senna.

Alla risposta del portiere, che il signore non era anco-

ra rientrato, il vecchio gli fece presente che aveva fis-

sato un appuntamento, e salì dal celebre avvocato, il

quale, nonostante la sua ancor giovane età, passava

per uno dei cervelli più fini di tutto il Tribunale. Do-

po aver suonato, il diffidente postulante fu non poco

meravigliato di vedere l’impiegato capo occupato a di-

sporre sulla tavola della sala da pranzo del principa-

le, in ordine conveniente, i numerosi incartamenti de-

gli affari che venivano il giorno dopo. L’impiegato, non

meno meravigliato, salutò il colonnello, pregandolo di

sedersi; ciò che il postulante fece.

- In verità, signore, ho creduto che ieri scherzasse in-

dicandomi per un consulto un’ora così mattutina, –

disse il vegliardo, con la falsa allegria di un uomo

rovinato che si sforzi di sorridere.

- Gl’impiegati scherzavano e dicevano nello stesso

tempo la verità, – rispose Boucard continuando il

suo lavoro. – Il Signor Derville ha scelto quest’ora

per esaminare le cause, riassumere gli argomen-

ti, ordinare la condotta e disporne le difese. La sua

prodigiosa intelligenza è più libera in queste ore,

poiché solo allora riesce a trovare il silenzio e la

tranquillità necessari al concepimento delle buo-

ne idee. Da quando l’avvocato Derville esercita la

professione, lei è il terzo esempio di un consulto

dato a quest’ora notturna. Dopo essere rincasato,

il principale ripenserà ogni causa, leggerà ogni co-

sa, passerà forse quattro o cinque ore a lavorare;

poi, chiamatomi, mi spiegherà le sue intenzioni. Il

mattino, dalle dieci alle quattordici, ascolta i clien-

ti, il resto della giornata lo passa da un appunta-

mento all’altro; la sera, va in società per conservar-

vi le sue relazioni: quindi non ha che la notte per

sviscerare i processi, frugare gli arsenali del Codi-

ce e fare i suoi piani di battaglia. Non vuol perde-

re una sola causa, tanto è l’amore che ha per la sua

arte; ed è per questo che non si prende sulle spal-

le, come fanno i suoi colleghi, ogni qualsiasi incari-

co. Ecco la sua vita, singolarmente attiva; e ne farà

di soldi, lui.

Sentendo questa spiegazione, il vecchio rimase silen-

zioso, e il suo volto bizzarro prese un’espressione così

priva d’intelligenza, che l’impiegato dopo averlo guar-

dato, non si occupò più di lui.

HonorÈ De Balzac

Il colonnello Chabert

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Il mIo CAnto lIbero

NOmINA dI NUOvI AmmINIStrAtOrI e SOSpeNSIONe deL prOCedImeNtO

omissis

Va preliminarmente revocata la nomina del curatore

speciale nominato alla società C. S.p.A. a seguito del

ricorso ex art. 2409 c.c. (…) in quanto detta società

ha provveduto alla sostituzione dell’intero consiglio di

amministrazione, i cui componenti sono stati denun-

ciati di aver tenuto comportamenti irregolari, con nuo-

vi amministratori, che non si trovano, pertanto, in con-

flitto di interesse con la società.

La nomina dei nuovi amministratori pone in primo

piano altra preliminare questione costituita dalla ri-

chiesta fatta da C. S.p.A., con i nuovi legali rappre-

sentati, cui si sono associati anche gli amministratori

sostituiti, di sospendere il procedimento a norma del

terzo comma dell’art 2409 c.c.

Non osta a tale richiesta la mancata sostituzione dei

componenti del collegio sindacale, dal momento che

questi non sono stati fatti oggetto di critiche non es-

sendo in carica all’epoca cui si riferiscono i fatti con-

testati all’organo gestorio, ad essi viene imputato sol-

tanto di non aver risposto adeguatamente alla denun-

cia ad essi rivolta ex art 2409 c.c., i cui esiti non ven-

gono ritenuti soddisfacenti dai ricorrenti, ma non so-

no indicati tra i resistenti nell’intestazione del ricor-

so né viene chiesta la loro revoca, come, invece per

gli amministratori, né alcun altro provvedimento. Ov-

viamente sono stati convenuti in giudizio perché an-

che i sindaci devono essere sentiti dal tribunale a nor-

ma del secondo comma dell’art. 2409 c.c., ma, poiché

il procedimento ex art. 2409 c.c. è concretamente di-

retto al fine di eliminare e rimuovere, con l’intervento

dell’autorità giudiziaria, gravi irregolarità dipendenti

dall’inosservanza dei propri doveri da parte degli am-

ministratori e dei sindaci (nonostante nel primo com-

ma della norma si parli soltanto di amministratori), se

ne deve dedurre che, lì dove nulla si chiede nei con-

fronti dei sindaci e nulla espressamente loro si impu-

ta, la sostituzione di costoro ai fini che qui interessano

dell’accertamento della fattispecie di cui al terzo com-

ma dell’art. 2409 c.c. non sia indispensabile, nonostan-

te la dizione letterale della norma.

Ben sa questo tribunale che parte dalla dottrina è nel

senso che la fattispecie di cui al terzo comma dello

norma in esame presuppone la sostituzione dei sinda-

ci, ma i sostenitori di questa interpretazione non rie-

scono a dare una giustificazione convincente che vada

al di là del dato letterale, poco significativo per i mo-

tivi detti, come sottolineato da altri autori (cfr. Naz-

zicone, in La riforma del diritto societario, a cura di G.

Lo Cascio, vol. 5, Milano, 2003, 314). A parere del Col-

legio, invero, non trova una razionale spiegazione una

interpretazione letterale del terzo comma, dato che

questo è l’unica parte della norma che sembra por-

re una affinità di sorta tra l’organo gestorio e quello

di controllo, basta, infatti, considerare che nel primo

comma si parla soltanto di irregolarità degli ammini-

stratori e nel quarto comma si prevede che il tribuna-

le, nei casi più gravi “può revocare gli amministratori

ed eventualmente anche sindaci”, espressione che sot-

tolinea appunto la possibile diversa sorte che i due or-

gani possono subire in relazione ai comportamenti te-

nuti e alle richieste formulate.

Diversamente la rigidità del sistema dovrebbe spin-

gersi (ed infatti vi è chi lo sostiene) fino ad imporre

la sostituzione dei sindaci anche quando stano stati

proprio loro (che ora hanno la legittimazione attiva) a

denunciare le irregolarità compiute dall’organo di ge-

stione; il che equivale a scoraggiare iniziative di de-

nunce giudiziarie da parte dei sindaci che, pur aven-

do raggiunto lo scopo voluto di far sostituire dall’as-

semblea gli amministratori che a loro dire hanno te-

nuto comportamento irregolare, non possono ottene-

re la sospensione del procedimento per verificare il

comportamento del nuovo organo gestorio perché la

sospensione sarebbe condizionata alla loro stessa so-

stituzione.

Ritiene il tribunale necessaria una lettura meno rigo-

rosa della norma nel senso che la sostituzione del col-

legio sindacale diventa necessaria quando viene chie-

sta la revoca dai suoi componenti, nel mentre quan-

do una tale domanda, come nella fattispecie in esame,

non è state formulata, la necessità di sentire i sinda-

ci posta dal secondo comma dell’art. 2409 c.c., più che

diretta alla instaurazione del contraddittorio, si spie-

ga per il suo carattere istruttorio di interrogatorio li-

Tribunale di VicenzaSez. i ciVile

ordinanza 27.03.2009 - Pres. rel. Bozza

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Il mIo CAnto lIbero

bero, per una migliore comprensione dei fatti di causa

da parte dell’organo giudicante; ed, infatti, nella pre-

sente procedura, i sindaci non si sono costituiti, ma so-

no stati presenti all’udienza all’uopo fissata.

Superato questo ostacolo, si tratta di vedere se i nuo-

vi amministratori che hanno sostituito quelli “incri-

minati” abbiano le caratteristiche indicate dal terzo

comma dell’art 2409 c.c., per il quale, l’ispezione non

può essere disposta e il procedimento di controllo va

sospeso se l’assemblea sostituisce gli amministratori

con soggetti di adeguata professionalità che si attiva-

no senza indugio per accertare se le violazioni denun-

ciate sussistono e, in caso positivo, per eliminarle, ri-

ferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività

compiute.

La sostituzione degli

amministratori costi-

tuisce, quindi, moti-

vo non solo per non

disporre l’ispezione,

ma anche per sospen-

dere il procedimen-

to, a patto che i sog-

getti nominati abbia-

no adeguata profes-

sionalità e si attivino

per eliminare le irre-

golarità denunciate;

orbene, ove la sosti-

tuzione sia avvenu-

ta da un tempo tale

che abbia consentito al nuovo organo di attuare misu-

re idonee ad eliminare le irregolarità o i loro effetti,

è chiaro che la valutazione del tribunale potrebbe ba-

sarsi sull’effettivo operato posto in essere. Quando, in-

vece, come nella specie, la nomina del nuovo consiglio

di amministrazione è avvenuta (…) nell’imminenza

dell’udienza fissata a seguito del ricorso ex art. 2409

c.c. (…) non possono esservi iniziative già intraprese

da esaminare e la valutazione della adeguata profes-

sionalità – che coinvolge non tanto le capacità profes-

sionali dei soggetti (nel caso sicuramente esistenti e

riconosciute all’udienza dagli stessi ricorrenti) quan-

to quella di indagare efficacemente, sia per le compe-

tenze professionali che per la indipendenza e autono-

mia dai vecchi amministratori denunciati, e per essi

dalla maggioranza di cui sono espressione – può esse-

re valutata soltanto sulla base di un programma det-

tagliato di come i nuovi gestori intendono agire, che,

al di là del generico impegno già dichiarato in udien-

za di verificare la sussistenza delle irregolarità denun-

ciate, definisca analiticamente le modalità e i tempi

della loro azione ai quali attenersi; un piano di azione,

cioè, che indichi tanto le scelte strategiche quanto le

scelte operative, prefigurando le iniziative da prende-

re a seconda dei risultati del loro operato. Solo in tal

modo si garantiscono i denuncianti della serietà e uti-

lità della sospensione – che costituisce la strada prio-

ritaria da tentare ove ne ricorrano i requisiti essendo

sicuramente più traumatica per le sorti della società

una ispezione etero-societaria – in quanto un program-

ma caratterizzato da analiticità e completezza consen-

te, oltre che una valutazione in prospettiva sulla ade-

guatezza professionale, anche un controllo successivo

del lavoro svolto, raffrontando i risultati con quanto

programmato.

Nella specie il nuovo

organo gestorio non

ha predisposto un ta-

le programma, ma ta-

le omissione ben può

giustificarsi con la ri-

strettezza dei tem-

pi già accennata tra

l’epoca della nomina

e la data di udienza,

per cui ritiene il tri-

bunale che, prima di

ogni decisione sulla

richiesta sospensio-

ne del procedimento,

sia utile acquisire un

programma del genere di quello indicato, concedendo

allo scopo all’organo amministrativo un breve termine

entro cui provvedervi, e termini brevissimi alle altre

parti per eventuali considerazioni, riservata alla sca-

denza ogni decisione qui non affrontata.

omissis

I L C O m m e N t O

Come noto, a seguito della riforma della disciplina del-

le società di capitali, sole le società per azioni (e le

s.a.p.a.) sono oggi sottoposte al controllo dell’autorità

giudiziaria, che può intervenire in presenza di una de-

nuncia avente ad oggetto il fondato sospetto che gli am-

ministratori abbiano compiuto irregolarità gestionali

tali da arrecare un pregiudizio in capo alla società.

Legittimati a dare impulso al procedimento per il con-

trollo di legalità sono: i soci (ove la loro partecipazio-

ne raggiunga, anche congiuntamente, la soglia del

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Il mIo CAnto lIbero

10% del capitale) e l’organo di controllo nelle socie-

tà c.d. “chiuse”, il pubblico ministero nelle c.d. società

“aperte” (ossia quelle che si rivolgono al mercato del

capitale di rischio) e la Consob per le società quotate

in Italia (art. 152 T.U.F.).

Depositato il ricorso, la norma prevede la convocazio-

ne, necessaria, di amministratori e sindaci avanti al

tribunale in composizione collegiale (in un procedi-

mento cui si applica il rito camerale) e la possibilità di

disporre l’ispezione della società nel caso in cui sia ne-

cessario acquisire elementi utili alla verifica dell’ef-

fettiva sussistenza delle irregolarità denunciate.

A mente del terzo comma, il procedimento può essere

“paralizzato” dall’intervento dell’assemblea dei soci:

la disposizione prevede espressamente la facoltà, da

parte del tribunale, di sospendere quanto in atto se in-

terviene la nomina, come nuovi amministratori e sin-

daci, di soggetti dotati dei requisiti di adeguata pro-

fessionalità (ed indipendenza) che si attivino imme-

diatamente per “accertare se le violazioni sussistono, e

in caso positivo per eliminarle”.

Proprio su tale questione interviene, con l’ordinanza

in esame, il Tribunale di Vicenza, il cui provvedimen-

to è, a quanto consta, il primo ad aver preso posizio-

ne sulla norma introdotta dal legislatore della rifor-

ma sulla scorta di un noto precedente del tribunale

ambrosiano (Trib. Milano, 11.07.1996, in Foro it., 1996,

I, c. 2243).

La soluzione adottata, che richiama espressamente

un’autorevole orientamento dottrinale (Nazzicone, in

La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio,

vol. 5, Milano, 2003, 314 e, successivamente, anche in Il

controllo giudiziario sulle irregolarità di gestione. Fattis-

pecie e rito dopo la riforma societaria, Milano, 2005), si di-

stingue per chiarezza ed esaustività della motivazione.

Rifiutando un’interpretazione letterale della norma –

che risulterebbe, peraltro, penalizzante in sede di ap-

plicazione – il collegio, ricorrendo all’argomento siste-

matico, assume una posizione in linea con quella che

pare essere la ratio effettiva della disposizione: con-

sentire alla compagine sociale di intervenire con solu-

zioni endo-societarie (e, dunque, meno invasive e dan-

nose sotto il profilo dell’immagine aziendale) qualo-

ra esse non costituiscano un espediente finalizzato ad

eludere il controllo di legalità.

In questo senso, i giudici vicentini contribuiscono poi,

da un lato, ad individuare quei criteri che, a mente

dell’art. 2409 c.c., debbono essere adottati nella verifi-

ca della sussistenza, in capo ai professionisti nominati

dall’assemblea, dei requisiti di professionalità ed indi-

pendenza richiesti dal terzo comma; dall’altro, a pre-

cisare come essi debbano altresì predisporre un piano

che, in termini analitici ed esaustivi, illustri all’autori-

tà giudiziaria – incaricata di vagliarne adeguatezza e

fattibilità – con quali tempi e modalità agiranno.

Ciò determina il notevole interesse pratico, prima an-

cora che scientifico, della pronuncia in esame.

Chiara Pigozzi

Federico Cena

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Il mIo CAnto lIbero

L’eSprOprIAZIONe per pUBBLICA UtILItà. L’AppLICABILItà deLL’Art. 26, QUINtO

COmmA, t.U.e. AL fIttAvOLO

Con ricorso depositato il 26.02.2007 nella cancelleria

del Tribunale di Verona, il sig. T.M. chiedeva e ottene-

va da quel Giudice ingiunzione di pagamento imme-

diatamente esecutiva nei confronti della società A.

S.p.A. per l’importo di euro 477.148,57, oltre agli in-

teressi legali decorrenti dal 12.11.2006, alle spese, di-

ritti ed onorari di causa, liquidati in euro 2.600,00 ol-

tre al rimborso spese generali del 12,5% CPA ed IVA,

somma asseritamente a lui dovuto quale riconosciuta

indennità di esproprio di un appezzamento di terre-

no dal sig. T.M. stesso coltivato a vivaio, siccome titola-

re di un contratto d’affitto agrario stipulato con i pro-

prietari del fondo.

Avverso la ingiunzione, con citazione notificata il

14.05.2007, proponeva opposizione la società A. S.p.A.

svolgendo vari motivi di censura all’impugnato decre-

to e domandandone la revoca.

Si costituiva ritualmente il sig. T.M. resistendo al gra-

vame, domandando il rigetto della opposizione, la con-

ferma del decreto opposto e la condanna della oppo-

nente alle ulteriori spese di lite.

All’esito della trattazione, sospesa ex art. 649 c.p.c. la

provvisoria esecuzione del decreto opposto, la causa

era posta in decisione sulle conclusioni riportate in

epigrafe.

La pretesa dell’ingiungente è radicalmente destituita

di ogni fondamento.

Osserva invero il Tribunale che l’ingiungente sembra

partire dal presupposto, del tutto errato, per cui esso

sig. T.M. sarebbe in tutto e per tutto equiparabile alla

figura del proprietario, di talché, lo stesso sig. T.M. in-

voca in proprio favore il disposto dell’art. 26 del D.P.R.

n. 327/2001.

La considerazione è manifestamente arbitraria.

In proposito basti considerare che è pacifica la circo-

stanza per cui il sig. T.M. è solo l’affittuario coltivato-

re diretto del fondo, di talché la norma direttamente

applicabile non è l’art. 26 sopra citato, bensì il succes-

sivo art. 42, il quale, così, recita: “Spetta una indennità

aggiuntiva al fìttavolo, al mezzadro o al compartecipan-

te che, per effetto della procedura espropriativa o della

cessione volontaria, sia costretto ad abbandonare in tut-

to o in parte l’area direttamente coltivata da almeno un

anno prima della data in cui vi è stata la dichiarazione

di pubblica utilità. L’indennità aggiuntiva è determina-

ta ai sensi dell’art. 40, comma 4, ed è corrisposta a seguito

di una dichiarazione dell’interessato e di un riscontro del-

la effettiva sussistenza dei relativi presupposti”.

D’altro canto l’art. 26, quinto comma, così dispone:

“Qualora manchino diritti dei terzi sul bene, il proprieta-

rio può in qualunque momento percepire la somma depo-

sitata, con riserva di chiedere in sede giurisdizionale l’im-

porto effettivamente spettante”.

Orbene, se è vero, come è vero, che al fittavolo spetta

una indennità aggiuntiva, appare evidente che la in-

dennità regolata dal quinto comma dell’art. sopra ci-

tato riguarda l’altra e diversa indennità spettante al

proprietario espropriato che, nella fattispecie, non è

certo il sig. T.M.

All’evidenza il tentativo dell’ingiungente di chiedere

la attribuzione diretta della indennità offerta, ma da

lui non accettata, con riserva di chiedere in sede giu-

risdizionale l’importo effettivamente spettante, parte

dall’errato presupposto per cui la posizione del fitta-

volo ex art. 42 e quella del proprietario ex art. 26, quin-

to comma siano del tutto assimilabili, senza tenere in

considerazione la circostanza che la norma di cui il sig.

T.M. sembra chiedere la applicazione analogica è nor-

ma di stretta interpretazione e non suscettibile di ap-

plicazione analogica, atteso che i presupposti di ope-

ratività sono del tutto diversi, come, per esempio, la

diversa natura economica del bene sacrificato (mera

proprietà, da un lato, attività di impresa, dall’altro), la

diversa quantificazione della indennità, la circostanza

per cui il proprietario si assume la responsabilità di-

retta e immediata per quanto riguarda i diritti dei ter-

zi, etc. Di nessun rilievo, inoltre, è l’art. 13 del c.d. Ac-

cordo relativo ai titolari di affittanza agraria, non po-

tendo detto accordo (di cui peraltro non risulta che il

sig. T.M. sia fra i sottoscrittori) derogare alla norma

di legge.

Ne consegue, pertanto, che appare ora ozioso discute-

re in ordine alla efficacia o meno liberatoria del depo-

sito effettuato dalla società opponente presso la Cas-

Tribunale di VeronaSez. iii CiVile

sentenza 07.01.2009 - est. Macca

8

Il mIo CAnto lIbero

sa Depositi e Prestiti della indennità aggiuntiva in fa-

vore del sig. T.M., indennità, si ripete, non accettata

da questi, volta che, come si è visto non esiste nel si-

stema delineato dal D.P.R. n. 327/2001 un meccanismo

analogo all’art. 26, quinto comma, previsto per il pro-

prietario.

Il che è a dire che il sig. T.M. non ha e non aveva (non

avendo accettato la indennità aggiuntiva ex art. 42) ti-

tolo alcuno per pretendere la anticipazione della som-

ma non contestata, di talché il sig. T.M. stesso non po-

teva certo agire in via monitoria, mancando, per quel-

la tipica fattispecie, la certezza, liquidità ed esigibili-

tà del credito.

Passando ora ad esaminare la domanda di condanna al

risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. svolta dalla op-

ponente, osserva il Tribunale che la pretesa non può

essere accolta, atteso che manca la possibilità di confi-

gurare alcuna ipotesi di colpa grave e/o malafede.

Se pure, infatti, la domanda del sig. T.M. partiva dal

presupposto del tutto errato di una equiparazione in-

condizionata della figura del fittavolo a quella del pro-

prietario, con conseguente affermazione (altrettanto

errata) del diritto a richiedere la applicazione dell’art.

26, quinto comma, è anche vero che fra le due figu-

re sussiste una evidente disparità di trattamento, di-

sparità che, allo stato, questo Tribunale non conside-

ra né irragionevole né ingiustificata per le considera-

zioni sopra svolte, ma che, tuttavia, ben legittimava il

tentativo del sig. T.M. di ottenere una pronunzia che

affermasse la applicabilità anche alla propria posizio-

ne del beneficio sopra citato.

omissis

I L C O m m e N t O

La sentenza in commento offre un prezioso spunto

di riflessione in tema di espropriazione per pubbli-

ca utilità.

Prima di esporre le questioni giuridiche affrontate

dalla sopra riportata pronuncia, merita d’esser fatta

una breve premessa in punto di fatto.

Una primaria concessionaria autostradale (d’ora in

avanti “autorità espropriante”) ha avviato, nell’ambi-

to dei lavori di realizzazione d’un tratto autostrada-

le, una procedura espropriativa sui terreni interessa-

ti dall’opera, tra i quali quelli condotti in affitto dalla

ditta T.M. (d’ora in avanti “ditta fittavola”).

La procedura espropriativa si è svolta nel rigoroso ri-

spetto del Testo Unico Espropriazioni, approvato con

D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e si è conclusa, stante

l’opposizione della ditta fittavola all’indennità indivi-

duata dall’autorità espropriante, con il deposito della

somma presso la Cassa Depositi e Prestiti, a disposi-

zione, previa dimostrazione della sussistenza dei pre-

supposti soggettivi, della ditta fittavola.

Quest’ultima tuttavia, non soddisfatta dell’indennità

riconosciuta, anziché contestarla giudizialmente con

il procedimento di opposizione alla stima innanzi al-

la Corte d’Appello, previsto dall’art. 54 del citato T.U.,

ha preferito agire in via monitoria avverso l’autorità

espropriante.

La ditta fittavola ha pertanto, chiesto al Tribunale di

Verona la pronuncia di un decreto ingiuntivo per il pa-

gamento della somma, a suo dire, dovutale.

Il Tribunale di Verona, tratto in inganno dalla ricostru-

zione svolta dalla ditta fittavola avversaria, ha conces-

so il provvedimento monitorio, poi opposto e revocato

con la sentenza che oggi si commenta.

Il Giudice dell’opposizione è stato chiamato a decide-

re più d’una questione giuridica, ciascuna della mas-

sima importanza, tra cui quella che impegnerà il pre-

sente scritto: l’applicabilità anche al fittavolo dell’art.

26, quinto comma, del T.U.E.

L’autorità espropriante, che come detto aveva deposi-

tato la somma riconosciuta a titolo di indennità pres-

so la Cassa Depositi e Prestiti, non aveva acconsenti-

to allo svincolo di tale somma per due ragioni: (i) an-

zitutto perché la ditta fittavola non aveva accettato ta-

9

Il mIo CAnto lIbero

le indennità ed altresì (ii) perché, ai sensi dell’art. 42

T.U.E., la ditta fittavola aveva omesso di dimostrare il

possesso dei requisiti soggettivi per la qualità di fitta-

volo coltivatore diretto.

Si difendeva quest’ultima sostenendo che la somma

dovesse esserle comunque pagata senza necessità di

dimostrare la propria qualità di fittavolo e ciò in vir-

tù di quanto disposto dal citato art. 26, quinto com-

ma, T.U.E.

Il Tribunale di Verona, aderendo alla tesi dell’autorità

espropriante, ha escluso l’applicazione di tale norma

alla ditta fittavola, sostenendo in sostanza che si deb-

ba applicare solo al proprietario.

Il citato art. 26, quinto comma, del T.U.E., è invero

chiarissimo nel prevedere che il proprietario (e solo

questo) “qualora manchino diritti dei terzi sul bene (…)

può in qualunque momento percepire la somma deposi-

tata, con riserva di chiedere in sede giurisdizionale l’im-

porto effettivamente spettante”.

La circostanza che la stessa non possa trovare applica-

zione per soggetti diversi dal proprietario è dimostra-

to oltreché dalla lettera della norma, anche dalla ov-

via circostanza che la mancanza di diritti di terzi (pre-

supposto richiesto dalla norma quale condizione es-

senziale) non potrà verificarsi per quei soggetti che

sfruttano l’area agricola in base a contratti di affitto,

mezzadria ed altro.

In altre parole, il fittavolo non potrà mai escludere

diritti di terzi sul bene, non foss’altro perché esiste

il diritto di proprietà di chi gli ha concesso in affit-

to il bene.

È soltanto il proprietario allora che si potrà trovare

nella condizione prevista dall’art. 26, quinto comma,

e che – come correttamente osservato dal Tribunale –

potrà escludere la presenza di diritti di terzi ed assu-

mersi la responsabilità diretta di ciò.

A ciò si aggiunga che l’art. 26, come si ricava dalla ru-

brica della norma, si applica all’indennità provvisoria

spettante al proprietario, mentre l’indennità quantifi-

cata dalla società espropriante per il fittavolo è defi-

nitiva, nel senso che non è soggetta al procedimento di

determinazione finale regolato dall’art. 27 del mede-

simo T.U. (che giustifica in quel caso la previsione del

precedente art. 26).

Nel caso del fittavolo dunque, la norma di riferimento

non è l’art. 26, comma 5, del T.U. Espropriazioni, ben-

sì gli articoli 28 e ss.

L’art. 28 del T.U.E, che disciplina “il pagamento defini-

tivo della indennità”, dispone che “…l’autorità espro-

priante autorizza il pagamento della somma depositata al

proprietario od agli aventi diritto, qualora sia divenuta

definitiva rispetto a tutti la determinazione dell’indenni-

tà di espropriazione, ovvero non sia stata tempestivamen-

te notificata l’opposizione al pagamento o sia stato conclu-

so tra tutte le parti interessate l’accordo per la distribuzio-

ne dell’indennità. 2. L’autorizzazione è disposta su istanza

delle parti interessate, su proposta del responsabile del pro-

cedimento successiva alla audizione delle parti, da cui ri-

sulti anche la mancata notifica di opposizioni di terzi. 3.

Unitamente all’istanza, vanno depositati: a) un certificato

dei registri immobiliari, da cui risulta che non vi sono tra-

scrizioni o iscrizioni di diritti o di azioni di terzi; b) un at-

testato del promotore dell’espropriazione, da cui risulti che

non gli sono state notificate opposizioni di terzi”.

È bene evidenziare che mentre l’art. 26 fa riferimento

soltanto al proprietario, l’art. 28 si riferisce in maniera

assai eloquente al proprietario o agli altri aventi dirit-

to, a dimostrazione che qualora il Legislatore ha volu-

to riferirsi a soggetti diversi dal proprietario lo ha fat-

to espressamente.

Il successivo art. 29 del medesimo T.U., in tema di “pa-

gamento dell’indennità a seguito di procedimento giuri-

sdizionale”, a sua volta, precisa che “qualora esistano

diritti reali sul fondo espropriato o vi siano opposizioni

al pagamento, ovvero le parti non si siano accordate sul-

la distribuzione, il pagamento delle indennità agli aven-

ti diritto è disposto dall’autorità giudiziaria, su doman-

da di chi ne abbia interesse”.

Il successivo art. 42 dispone, al comma 2, che l’indenni-

tà aggiuntiva spettante al fittavolo “è corrisposta a segui-

to di una dichiarazione dell’interessato e di un riscontro

della effettiva sussistenza dei relativi presupposti”.

Il fittavolo espropriato quindi, se intende riscuotere

l’indennità dovuta per l’espropriazione e quindi incas-

sare la somma che l’Autorità espropriante ha deposi-

tato, con efficacia liberatoria, presso la Cassa Deposi-

ti e Prestiti deve: (i) accettare la somma quantificata

da quest’ultima o comunque non opporsi alla stessa;

(ii) dimostrare il possesso dei requisiti soggettivi per

la qualità di fittavolo.

In alternativa, qualora ritenesse di aver diritto ad una

somma maggiore, potrà rimettere tutte le questioni tec-

niche e giuridiche alla “corte d’appello, nel cui distretto

si trova il bene espropriato”, ai sensi dell’art. 54 T.U.E.

Certamente non può, come ha fatto nel caso in esame

la ditta fittavola, agire in via monitoria, senza curar-

si peraltro di dimostrare il possesso dei penetranti re-

quisiti soggettivi richiesti dall’art. 42 del T.U.E., per

ottenere il pagamento di una somma in realtà già ver-

sata dall’autorità espropriante.

Marzia Meneghello

10

Il mIo CAnto lIbero

LA revOCA deL vOtO NeL CONCOrdAtO preveNtIvO e LA determINABILItà

deLLA prOpOStA CONCOrdAtArIA

Rilevata la intervenuta pubblicazione ai sensi dell’art.

17 l.f. e la rituale notifica al commissario giudiziale e

ai creditori dissenzienti del decreto 23.12.2008 con il

quale si fissava l’udienza camerale del 20.02.2009 per

l’omologa del concordato;

rilevato che, in esito all’udienza avanti il giudice dele-

gato (18.11.2008) e alla scadenza del termine di gior-

ni 20 di cui all’art. 178, ultimo comma, l.f., sono state

raggiunte le prescritte maggioranze (euro 905.937,80

su euro 1.670.904,49);

rilevata l’assenza di classi di creditori;

lette le relazioni e relative integrazioni depositate dal

commissario giudiziale nelle seguenti date: 04.10.2008,

17.11.2008, 12.02.2009;

rilevato che il piano concordatario – a contenuto liqui-

datorio – prevede la cessione ai creditori di tutti i beni

della società ricorrente con soddisfacimento integrale

dei creditori privilegiati e quello tra il 10% e il 16%

ovvero nella minore percentuale che sarebbe risultata

all’esito della liquidazione dei beni;

rilevato che il creditore dissenziente ditta C.L. di B

ha depositato in data 10.02.2009 atto di costituzione

contenente formale opposizione all’omologa del con-

cordato;

risulta la infondatezza delle ragioni poste a fondamen-

to della proposta opposizione per le seguenti conside-

razioni.

L’eccepita inattendibilità dei bilanci presentati dalla

società che ha richiesto il concordato non costituisce

valido motivo di opposizione: la relazione del profes-

sionista, allegata al ricorso per concordato, ha specifi-

camente attestato la veridicità dei dati aziendali sot-

toposti al suo esame; la indicata relazione del profes-

sionista di cui all’art. 161, terzo comma, l.f. preclude

a questo Tribunale una qualsivoglia valutazione dif-

ferente della questione concernente la fattibilità del

piano concordatario.

Quanto alla pretesa sopravvenuta invalidità o ineffi-

cacia del voto espresso per posta dai creditori chiro-

grafari prima dell’adunanza avanti al giudice delega-

to del 07.10.2008 (udienza rinvita al 18.11.2008), il Tri-

bunale osserva e dispone quanto segue.

Nella originaria proposta di concordato veniva indica-

ta – quale percentuale stimata di soddisfacimento del

ceto creditorio chirografario – quella del 10%-16% ov-

vero quella minore che avesse dovuto risultare all’esi-

to della liquidazione dei beni; i creditori che hanno

espresso quindi il loro voto per posta prima dell’adu-

nanza dei creditori del 07.10.2008 lo hanno fatto con-

sapevolmente, sulla base di una prudenziale rappre-

sentazione da parte della società ricorrente che com-

prendeva appunto anche l’eventualità di un soddisfa-

cimento inferiore alla soglia del 10%; per tal moti-

vo si deve ritenere che i creditori esprimenti il voto

prima dell’adunanza dei creditori abbiano definitiva-

mente esaurito il loro potere, con conseguente inam-

missibilità di qualsivoglia revoca della manifestazio-

ne già espressa.

I creditori G. Srl, Comune di S., e C.A. hanno espresso

parere favorevole alla proposta di concordato formulata

da C.M. che, come detto, prevedeva un soddisfacimen-

to dei creditori chirografari nella misura del 10%-16%

ovvero in quella minore che avesse dovuto risultare al-

l’esito della liquidazione dei beni; come risulta dalle di-

chiarazioni di revoca dei predetti creditori (09.10.2009

G. Srl e Comune di S.; 02.10.2008 C.A.) il motivo di tale

manifestazione di volontà contraria a quella preceden-

temente espressa con la dichiarazione di voto è stata

giustificata sulla base di asserito “errore” nell’espres-

sione del voto stesso; ciò basta per ritenere totalmen-

te infondate sia le pretese revoche dei creditori indica-

ti sia le considerazioni svolte dall’opponente.

Quanto alla eventuale convenienza – per la massa dei

creditori – di una procedura fallimentare rispetto a

quella concordataria attivata, si richiamano le consi-

derazioni svolte dal Commissario nella relazione del

17.11.2008 in relazione in particolare al venir meno

dell’impegno di acquisto – da parte della Z. Srl – dei

tre marchi di proprietà della società ricorrente per eu-

ro 25.000,00 al (venir meno) dell’acquisto del magaz-

zino e dei beni mobili – attrezzature ed automezzi da

parte di F.G. e F.S. per euro 75.000,00, alla perdita del-

la postergazione del credito di euro 60.000,00 formu-

lata dalla società proprietaria per i canoni non pagati

Tribunale di veronaSez. ii Civile

decreto 08.04.2009 - est. dott. francesco fontana

11

Il mIo CAnto lIbero

e da pagare, al venir meno delle rinunce ai crediti for-

mulate da alcuni professionisti.

Gli elementi che – a dire dell’opponente – dovrebbero

far optare per il fallimento si riducono sostanzialmen-

te alla esperibilità di azioni risarcitorie nei confronti

degli amministratori F.D., F.G. e F.S. (nonché nei con-

fronti di altri non meglio specificati soggetti): la og-

gettiva incertezza dell’esito delle superiori iniziative

giudiziarie, la possibile in capienza dei patrimoni dei

soggetti che dovrebbero essere citati, il sicuro costo

connesso alla necessità di munirsi di una difesa lega-

le, la tempistica dell’eventuale conclusione degli ac-

certamenti giudiziari sopra esposti non rappresentano

– ad avviso di questo Tribunale – positivi elementi di

convincimento circa la preferibilità del fallimento.

Ritenuto, quanto alla fattibilità del piano, che – a se-

guito del pagamento da parte dell’assicurazione A. del-

la somma di euro 6.674,64 come da polizza, dell’inter-

venuto pagamento di alcuni creditori, dell’operato de-

classamento a creditori chirografari di alcuni credito-

ri privilegiati (G. Srl, Comune di S., e C.A.) che hanno

espresso il loro voto – è stata ipotizzata dal Commissa-

rio una percentuale di soddisfacimento del ceto chiro-

grafario del 7,3% (cfr. relazione conclusiva 12.02.2009,

pag. 5), aderente a quella esposta in ricorso;

letto il parere favorevole espresso dal commissario giu-

diziale (pag. 8 della relazione conclusiva 12.02.2009);

ritenuto pertanto che le esposte considerazioni, svi-

luppate anche a confutazione dei rilievi svolti dal-

l’unico opponente ditta C.L., inducono questo Tribu-

nale ad esprimere un giudizio di positiva fattibilità

del piano concordatario;

ritenuto che, per quanto riguarda le modalità di liqui-

dazione, la vendita dei beni dovrà essere autorizzata

dal comitato dei creditori ed i riparti ai creditori del

giudice delegato e che tutti i pagamenti saranno ese-

guiti – previa autorizzazione del giudice delegato – dal

liquidatore come sotto nominato;

rimettendosi le ulteriori, eventuali modalità al GD

medesimo;

visti gli artt. 177 e 180 l.f.;

rigetta l’opposizione proposta dalla ditta C.L. di B.;

omologa il concordato come proposto da C.M. S.r.l. con

ricorso depositato il 27.06.2008;

(omissis)

I L C O m m e N t O

Le riflessioni che seguono traggono spunto da un de-

creto di omologa di concordato preventivo con cessio-

ne dei beni emesso dal Tribunale di Verona nell’apri-

le di quest’anno.

La decisione presa dal collegio della sezione fallimen-

tare riveste interesse principalmente per la determi-

nazione assunta con riguardo alla revoca da parte di

alcuni creditori del voto favorevole precedentemente

espresso per posta.

Revoca pervenuta nei venti giorni successivi all’adu-

nanza dei creditori e relativa a voti che erano stati ma-

nifestati per lettera antecedentemente al deposito

della relazione ex art. 172 l.f. da parte del commissa-

rio giudiziale e, quindi, anteriormente all’udienza in

cui si è dato inizio alle operazioni di voto.

Questo gruppo di creditori, mosso da ripensamento

dopo aver letto la relazione del commissario, il qua-

le aveva calcolato una percentuale di soddisfacimento

inferiore a quella prospettata dalla società ricorrente,

ha fatto pervenire dichiarazione di revoca del voto fa-

vorevole precedentemente espresso.

Il Tribunale non ha ritenuto ammissibile la revoca poi-

ché la domanda di concordato era stata prudenzial-

mente formulata in modo tale da comprendere anche

l’eventualità di un trattamento inferiore alla soglia

minima indicata dalla società proponente.

Quest’ultima aveva infatti previsto il “soddisfacimen-

to parziale dei diritti dei creditori chirografari in misura

variabile in un “range” di valori compreso tra il 10 % ed

il 16 %, ovvero per la minore o maggiore percentuale che

dovesse risultare dall’esito della liquidazione dei beni”.

Il Tribunale di Verona, verificato quindi il raggiungi-

mento, nei venti giorni successivi all’udienza avanti il

Giudice Delegato, della maggioranza prescritta ai fi-

ni dell’approvazione della proposta concordataria, ha

omologato il concordato dichiarando inammissibile la

revoca dei voti favorevoli già espressi.

In particolare il collegio veronese ha rilevato che, dal

momento che nell’originaria proposta di concorda-

to veniva indicata, oltre alla percentuale minima sti-

mata, anche quella minore che fosse risultata all’esi-

to della liquidazione dei beni “i creditori che hanno

espresso quindi il loro voto per posta prima dell’adunan-

za dei creditori del 01.10.2008 lo hanno fatto consape-

volmente, sulla base di una prudenziale rappresentazio-

ne da parte della società ricorrente che comprendeva ap-

punto anche l’eventualità di un soddisfacimento inferio-

re alla soglia del 10%”.

Per tale motivo il Tribunale di Verona ha ritenuto che

i creditori esprimenti il voto prima dell’adunanza dei

creditori avessero definitivamente esaurito il loro po-

tere, con conseguente inammissibilità di qualsivoglia

revoca della manifestazione già espressa.

12

Il mIo CAnto lIbero

La decisione è interessante sia sotto l’aspetto dell’ana-

lisi della manifestazione di voto come adesione ad una

proposta contrattuale, sia con riguardo al profilo della

determinazione dell’oggetto della proposta.

In primo luogo il decreto del Tribunale di Verona con-

ferma il pressoché unanime orientamento giurispru-

denziale e dottrinale che nega la possibilità di muta-

re il voto favorevolmente espresso, in quanto l’accetta-

zione della proposta concordataria presentata dal de-

bitore rappresenta la consacrazione del vincolo con-

trattuale sotteso alla natura di concordato preventi-

vo (si veda ampiamente Cass. Civ., sez. I, 22.09.1990, n.

9651, Giust. civ. mass., 1990, fasc. 9).

La stessa legge fallimentare all’art. 178 l.f., che disci-

plina la possibilità di far pervenire il voto “per tele-

gramma, o per lettera, o per telefax o per posta elettroni-

ca nei venti giorni succes-

sivi alla chiusura del ver-

bale dell’adunanza”, con-

templa solo l’ipotesi di

voti favorevoli, ovvero,

citando il dato norma-

tivo, di “adesioni”, nulla

prevedendo per l’ipotesi

di un dissenso tardivo.

La formulazione di que-

sta norma, rimasta di fat-

to immutata anche do-

po la novellazione degli

anni scorsi, trovava una

sua logica spiegazione,

nel passato sistema, nel

fatto che il dissenso tar-

divo andava ad incidere

anche sulla maggioranza

numerica, il cui raggiun-

gimento all’adunanza

costituiva il presupposto

che consentiva di far pervenire i voti nei venti giorni

successivi e di computare quelli favorevoli. Ricordia-

mo infatti che il “vecchio concordato” prevedeva un

doppio criterio di approvazione, ovvero la maggioran-

za dei creditori aventi diritto al voto unitamente al su-

peramento dei due terzi dei crediti ammessi al voto.

Nonostante nel nuovo concordato sia richiesta la sola

maggioranza quantitativa dei crediti ammessi al voto,

il legislatore ha preferito mantenere l’originaria im-

postazione, consentendo solo di far pervenire adesioni

nei venti giorni successivi.

Ciò è del resto in linea, riprendendo ancora una volta i

principi fondamentali in tema di contratti, con il mec-

canismo della proposta e della accettazione, per cui si-

no a quando la proposta è efficace nei confronti del-

l’altra parte questa può accettarla.

Nell’ambito concordatario, infatti, il momento di sca-

denza della validità della proposta coincide con il

ventesimo giorno successivo all’adunanza dei credito-

ri per cui sino allo spirare di tale termine è possibile

aderire al negozio concordatario.

In quest’ottica, peraltro – pur dovendosi registrare una

posizione ondivaga nella giurisprudenza di legittimità

(per la soluzione affermativa si veda Cass. civ., sez. I,

07.08.1989, n. 3618, in Foro it., 1990, I, c. 1312; per quel-

la di segno opposto si confronti invece Cass. Civ., sez. I,

22.09.1990, n. 9651, cit.) – non è azzardato ritenere pre-

cluso al creditore che abbia originariamente espresso

un orientamento negativo di modificare il proprio voto

contrario con successiva

adesione tardiva inviata

nei 20 giorni seguenti al-

l’adunanza dei creditori

(V. Vitalone, L’adunanza

dei creditori, in Fallimen-

to e altre procedure con-

corsuali, a cura di L. Pan-

zani e G. Fauceglia, Tori-

no, 2009, 1714-1715).

Se l’offerta del debitore

concordatario deve in-

tendersi – come effetti-

vamente è – una propo-

sta ferma, fintantoché

essa conserva validità

o non venga revocata è

possibile aderirvi.

Va comunque precisato

che l’irretrattabilità di

un voto positivamente

espresso può ammetter-

si purchè, come è stato giustamente osservato, “la pro-

posta concordataria non venga modificata in una delle

sue componenti essenziali, venendo di certo meno, in tale

evenienza, la necessaria coincidenza tra proposta ed ac-

cettazione” (T. Manferoce, sub art. 178, in Codice Com-

mentato del Fallimento, a cura di G. Lo Cascio, 2008,

1564 ss.).

Ed infatti nel caso di specie, pur essendosi verificata

di fatto una prospettazione peggiorativa da parte del

commissario, successivamente all’espressione del vo-

to da parte di alcuni creditori, il Tribunale di Verona

ha ritenuto non sussistere una divergenza tra la propo-

sta e l’accettazione dei creditori poiché l’offerta con-

13

Il mIo CAnto lIbero

cordataria contemplava una “clausola di salvaguar-

dia” attraverso la previsione di soddisfacimento, qua-

lora non si fosse raggiunto il range indicato, secondo la

minore o maggiore percentuale che dovesse risultare

dall’esito della liquidazione dei beni.

Il Tribunale ha pertanto riconosciuto valida la propo-

sta concordataria avente ad oggetto una percentuale

di soddisfacimento che, nell’ipotesi in cui non dovesse

raggiungere il minimo indicato dalla ricorrente, fosse

almeno determinabile secondo criteri contenuti all’in-

terno della stessa proposta.

Questi parametri sono stati collegati proprio al risul-

tato della liquidazione.

Conformemente alla regola di cui all’art. 1346 c.c. sul-

la determinabilità dell’oggetto ed all’interpretazio-

ne che di essa ne ha fatto la giurisprudenza (si veda

per tutte Cass. Civ., sez. I, 19.03.2007, n. 6519 in Giur.

it., 2007, 2174), infatti, i criteri per la determinazio-

ne dell’ oggetto contrattuale devono essere desumibi-

li nella dichiarazione di volontà, ossia, per quanto ri-

guarda il caso in esame, nella proposta concordataria.

La logica sottesa all’art. 1346 c.c. è infatti quella di

salvaguardare la volontà dell’autore della dichiarazio-

ne individuando un criterio idoneo all’individuazione

dell’oggetto.

Sotto questo profilo la scelta del debitore concorda-

tario di parametrare la percentuale di soddisfacimen-

to alla realizzabilità dell’attivo attraverso la clausola

“ovvero quella minore che avesse dovuto risultare all’esi-

to della liquidazione dei beni”, seppur in via subordina-

ta al mancato raggiungimento della soglia prospetta-

ta nel range indicato, è stata riconosciuta dal Tribuna-

le di Verona come valido criterio per garantire la de-

terminabilità del piano concordatario.

La decisione del collegio veronese, ponendosi in con-

trasto con alcune pronunce giurisprudenziali di segno

opposto (cfr. Cass. Civ., sez. I, 09.05. 2007, n. 10634 in

Fall., 2007, 1293 con nota critica di Costanza, Determi-

natezza e determinabilità della percentuale nella propo-

sta di concordato fallimentare), va quindi accolta con

favore in quanto conferma la possibilità di non subor-

dinare la proposta concordataria a precisi e rigidi cri-

teri di calcolo, abbracciando invece una concezione

prettamente privatistica del negozio concordatario e

garantendo validità e rilevanza all’accordo con cui le

parti accettino un piano di ristrutturazione della cri-

si addossando al creditore anche un certo margine di

aleatorietà nel soddisfacimento delle sue ragioni.

Alberto Grigolo

14

Il mIo CAnto lIbero

CONtrAttI pUBBLICI: IL SUB prOCedImeNtO dI verIfICA deLL’ANOmALIA deLL’OffertA

Decreto 19.06.2009

Ritenuto, in questa preliminare e sommaria fase di de-

libazione, che un breve arresto della procedura in at-

tesa di un più attento esame della complessa fattispe-

cie da parte del collegio prima che venga sottoscritto

il contratto valga a mantenere intatte le garanzie di

tutela giurisdizionale della ricorrente senza per con-

tro provocare alcun pregiudizio all’interesse pubblico,

libera essendo la P.A. di assicurare comunque, ove ri-

tenuto indispensabile, in tutto o in parte, di fatto e in

via interinale, eventualmente avvalendosi della con-

trointeressata ovvero se diverso o esistente, del pre-

cedente gestore, lo svolgimento dei servizi inclusi nel-

l’appalto de quo;

P.Q.M.

Accoglie nei limiti suddetti la proposta domanda di

misure cautelari urgenti fino alla camera di consiglio

che verrà fissata non appena depositata la prova delle

avvenute notifiche

Ordinanza 02.07.2009

Ritenuto, nella presente fase di sommaria valutazione

della fattispecie, che la domanda cautelare in epigra-

fe può trovare accoglimento, avuto preminente riguar-

do sia all’apparente incongruità dell’offerta della con-

trointeressata per quanto attiene ai dati di assentei-

smo della manodopera da essa forniti, sia – più in ge-

nerale – alla circostanza che il riscontro dell’anomalia

dell’offerta deve avvenire avendo riguardo alle con-

crete condizioni di mercato che contraddistinguono

le prestazioni rese oggetto di gara da parte della sta-

zione appaltante, non essendo consentito alle imprese

concorrenti di acquisire l’affidamento in condizioni di

palese diseconomia nel presupposto di compensare le

proprie perdite mediante posizioni di vantaggio con-

comitantemente detenute per effetto di altri rapporti

da esse aliunde intrattenuti.

Ritenuto – altresì – di fissare sin d’ora la trattazione

del merito di causa alla pubblica udienza del 5 novem-

bre 2009 e di disporre il deposito agli atti di causa, da

parte della Amministrazione, entro la data del 31 lu-

glio 2009, di copia conforme all’originale dell’offerta

presentata dalla ricorrente e di tutta la documentazio-

ne posta a corredo della stessa.

P.Q.M.

Accoglie la domanda cautelare in epigrafe e fissa la

trattazione del merito di causa alla pubblica udienza

del 5 novembre 2009.

Ordina – altresì - alla Amministrazione di depositare

agli atti di causa entro la data del 31 luglio 2009, co-

pia conforme all’originale dell’offerta presentata dal-

la ricorrente e di tutta la documentazione posta a cor-

redo della stessa.

I L C O m m e N t O

Il secondo dei due provvedimenti annotati, pur nel-

la brevità della sua motivazione propria dei provvedi-

menti cautelari del Giudice amministrativo, ha il me-

rito di delineare alcuni precisi paletti cui ancorare la

verifica dell’anomalia dell’offerta. Il sistema degli ap-

palti, con particolare riguardo a quelli di lavori (che

tuttavia hanno assunto da sempre una funzione para-

digmatica per i servizi e le forniture), è passato in te-

ma d’anomalia da un eccesso all’altro. Esaminando la

storia dell’ultimo ventennio e tralasciando i tentativi

della fine degli anni 90 di giungere all’esclusione auto-

matica dell’offerta presunta anonala quantomeno per

gli appalti sotto soglia, è noto che prima del 2001 la ve-

rifica d’anomalia veniva compiuta soltanto sulla base

delle giustificazioni preventive che le imprese parteci-

panti alla gara erano tenute a presentare unitamente

all’offerta, senza così realizzare un vero e proprio con-

traddittorio con l’impresa presunta anomala (con il di-

sappunto di una parte della giurisprudenza: Tar Sici-

lia, Catania, I sezione, 29 marzo 2001 n° 711; Tar Puglia,

Lecce, 25 gennaio 2000 n° 439; Tar Calabria, Reggio, 31

luglio 1999 n° 1023; Tar Lazio III, 13 marzo 1998 n° 613;

Tar Piemonte II, 13 giugno 1997 n° 331).

La sentenza della Corte di Giustizia del 27 novembre

T.A.R. VENETO - VENEZIAI SEZIONE

DECRETO 19.06.2009 N. 639 PRES. EST. VINCENZO A. BOREA

ORDINANZA 02.07.2009 N. 676EST. FULVIO ROCCO

15

Il mIo CAnto lIbero

2001 resa nelle cause riunite C-285/99 e C-286/99 ha

chiarito che il giudizio di anomalia necessitava di un

contraddittorio effettivo con l’impresa la cui offerta

era sospettata d’anomalia e che detto contraddittorio

doveva riguardare tutte le componenti dell’offerta.

Le conclusioni della Corte di Giustizia sono state ri-

prese dalla giurisprudenza nazionale (che in alcuni

casi, le aveva preannunciate), applicate dalle singo-

le Amministrazioni e trasfuse, da ultimo, negli articoli

86, 87 e 88 del Codice dei Contratti pubblici, che si ap-

plicano agli appalti di lavori, servizi e forniture.

La regola scritta dunque, vuole oggi che le offerte siano

corredate, sin dalla presentazione, delle giustificazio-

ni relative alle voci di prezzo che concorrono a forma-

re l’importo complessivo posto a base di gara. Quando

un’offerta appaia anormalmente bassa, la stazione ap-

paltante richiede all’offerente le giustificazioni, even-

tualmente necessarie in aggiunta a quelle già presen-

tate a corredo dell’offerta, ritenute pertinenti in meri-

to agli elementi costitutivi dell’offerta medesima.

Le giustificazioni possono riguardare, a titolo esempli-

ficativo: a) l’economia del procedimento di costruzio-

ne, del processo di fabbricazione, del metodo di pre-

stazione del servizio; b) le soluzioni tecniche adotta-

te; c) le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui

dispone l’offerente per eseguire i lavori, per fornire

i prodotti, o per prestare i servizi; d) l’originalità del

progetto, dei lavori, delle forniture, dei servizi offerti;[

e) il rispetto delle norme vigenti in tema di sicurez-

za e condizioni di lavoro ] (lettera abrogata con art. 1,

comma 909, lett. B, della legge 296/06); f) l’eventualità

che l’offerente ottenga un aiuto di Stato; g) il costo del

lavoro come determinato periodicamente in apposite

tabelle dal Ministro del lavoro e delle politiche socia-

li, sulla base dei valori economici previsti dalla con-

trattazione collettiva stipulata dai sindacati compara-

tivamente più rappresentativi, delle norme in materia

previdenziale e assistenziale, dei diversi settori mer-

ceologici e delle differenti aree territoriali; in man-

canza di contratto collettivo applicabile, il costo del la-

voro è determinato in relazione al contratto collettivo

del settore merceologico più vicino a quello preso in

considerazione. Non sono ammesse giustificazioni in

relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili

stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge

Il sub procedimento di verifica dell’anomalia si svolge

in tre distinti momenti: (i) la stazione appaltante, an-

che tramite apposita Commissione, assegna al concor-

rente ritenuto presunto anomalo un termine non infe-

riore a 10 giorni per presentare, per iscritto, le giustifi-

cazioni richieste; (ii) la stazione appaltante, esaminati

gli elementi costitutivi dell’offerta tenendo conto del-

le giustificazioni fornite, può chiedere per iscritto ul-

teriori chiarimenti, assegnando un termine non infe-

riore a 5 giorni lavorativi; (iii) prima di escludere l’of-

ferta ritenuta eccessivamente bassa, la stazione appal-

tante convoca l’offerente con un anticipo non inferio-

re a 5 giorni lavorativi e lo invita ad indicare ogni ele-

mento che ritenga utile (c.d. contraddittorio orale).

All’esito di queste tre fasi, la Commissione conclude

il sub procedimento di verifica di anomalia, con l’am-

missione o l’esclusione dell’impresa verificata.

Senonchè, venendo all’eccesso opposto cui sopra si è

fatto cenno, la verifica d’anomalia tende oggi all’infi-

nito. Assistiamo spesso ad un continuo botta e rispo-

sta tra stazione appaltante e impresa fuori dagli ambi-

ti procedimentali dell’articolo 88 del Codice dei Con-

tratti pubblici, ad una modifica degli elementi costi-

tuenti l’offerta economica, ad una allocazione dei co-

sti diversa rispetto a quella originariamente enuncia-

ta, ad “una postuma trasmigrazione dei costi da una vo-

ce all’altra” (come ritiene il Consiglio di Stato, V sezio-

ne, 12 marzo 2009 n°1451).

Nel caso concreto è accaduto che nell’ambito d’una

procedura ad evidenza pubblica indetta da una Pub-

blica Amministrazione veronese per l’affidamento

dell’appalto del servizio di pulizia, secondo il criterio

dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’offer-

ta dell’impresa prima classificata è stata sottoposta a

verifica d’anomalia.

Detta verifica, nonostante i penetranti sospetti di ano-

malia prospettati a più riprese dalla Commissione di

gara a ciò preposta, all’esito di un estenuante procedi-

mento è stata ritenuta non anomala ed ha conseguito

l’aggiudicazione del servizio.

Il giudizio di non anomalia si è in sostanza fondato sul-

la circostanza che l’impresa aggiudicataria, nel corso

del procedimento di anomalia, avesse sostenuto di go-

dere di un tasso di assenteismo del proprio personale

più favorevole rispetto a quello medio indicato nelle

tabelle ministeriali relative al costo del lavoro. Ciò le

avrebbe consentito di risparmiare sul costo comples-

sivo del personale e conseguentemente di coprire con

detta riserva (definita dall’impresa “utile nascosto”)

gli altri costi che la stazione appaltante non aveva ri-

tenuto pienamente giustificati.

Avverso il provvedimento di aggiudicazione e gli atti

del sub procedimento di verifica, è insorta con ricorso

al Tar Veneto la seconda classificata, la quale ha cen-

surato – sotto svariati profili – l’illegittimità del giu-

dizio di non anomalia espresso dalla stazione appal-

tante.

16

Il mIo CAnto lIbero

La ricorrente, per evitare che nelle more della fissa-

zione della camera di consiglio - nella quale il Colle-

gio avrebbe dovuto decidere dell’istanza di sospensio-

ne dei provvedimenti impugnati - l’Amministrazione e

l’aggiudicataria stipulassero il contratto (precluden-

dole così sia l’accesso alla tutela cautelare, sia – suc-

cessivamente – l’accesso alla tutela in forma specifica,

in considerazione della posizione, ora univoca, assunta

dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato in ordine al

rapporto tra annullamento dell’aggiudicazione e sorte

del contratto ed ai limiti che incontra sul punto la giu-

risdizione del giudice amministrativo; cfr. sul punto

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 23 aprile

2008 n. 10443 e Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,

sentenza 30 luglio 2008 n. 9), ha chiesto al Presidente

del Tribunale di adottare la misura cautelare median-

te decreto, ai sensi dell’articolo ai sensi dell’articolo 3

della legge 21 luglio 2000, n. 205.

Il Tribunale amministrativo, in accoglimento della pre-

detta istanza, con il decreto sopra riportato

ha sospeso immediatamente l’aggiudicazione, rite-

nendo che un breve arresto della procedura in atte-

sa di un più attento esame della complessa fattispe-

cie da parte del collegio prima della sottoscrizione

del contratto d’un canto, valesse a mantenere intat-

te le garanzie di tutela giurisdizionale della ricorren-

te. E d’altro canto, non determinasse alcun pregiudi-

zio all’interesse pubblico, essendo libera l’Ammini-

strazione di assicurare comunque, il servizio in via

interinale.

Il Tribunale, successivamente, all’esito della camera

di consiglio fissata per la conferma della predetta mi-

sura cautelare, ha accolto la domanda di sospensione,

ritenendo per un primo aspetto, che il più favorevo-

le tasso di assenteismo rispetto alla tabelle ministe-

riali asseritamente goduto dall’impresa non fosse ido-

neo a giustificare l’offerta presentata e, per un secon-

do aspetto, che la verifica dell’anomalia dell’offerta

dovesse avvenire avendo riguardo alle concrete condi-

zioni di mercato che contraddistinguono le prestazio-

ni rese oggetto di gara da parte della stazione appal-

tante, non essendo consentito alle imprese concorren-

ti di acquisire l’affidamento in condizioni di palese di-

seconomia nel presupposto di compensare le proprie

perdite mediante posizioni di vantaggio concomitan-

temente detenute per effetto di altri rapporti da esse

aliunde intrattenuti.

La successiva fase di merito e la assai probabile fase

d’appello ci diranno se i provvedimenti annotati rap-

presentino o meno l’inizio di un percorso giurispruden-

ziale che tenda a dare equilibrio al sub procedimento

di verifica dell’anomalia, affinchè lo stesso riesca nel-

l’obiettivo minimo di tutelare ad un tempo il concorren-

te presunto anomalo, ma anche chi non lo è affatto.

Daniele Maccarrone

17

zIrIChIltAggIA

Tommaso Milella, classe 1965, avvocato, è autore di numerosi fumetti di cui cura testi e disegni.

Inizia a pubblicare nel 1991 sulle pagine della rivista “Frigidaire” con i personaggi di “The Washer” e “Il

Tenente O’Hara”; su “mondo Mongo” con “Don Vincenzo” e “James Tont”; prosegue su “Made in USA”, su

“Star Magazine”, “Cyborg”, “Mongolfiera”, “Isaac Azimov Science Fiction Magazine”, “Comic”, “P.E.P.”, “Ita-

lia XXII Secolo”, “Totem”, “Tomb Raider Magazine”.

Numerose le mostre (personali ed antologiche) che hanno esposto i suoi lavori in giro per l’Italia: “Eroi in cel-

luloide” (Bologna), “Rassegna del Fumetto e del Fantastico” (Prato), “Progetto Con-Tatto” (itinerante), “Zip!

Zoing! Tud! Boing!.

Nel 2001 crea l’“Avvocato Peppe di Furia”, personaggio le cui avventure a fumetti vengono pubblicate sul sito

web dell’associazione degli avvocati e praticanti di Acquaviva delle Fonti e Cassano delle Murge.

il primo numero di Zirichiltaggia apre su Peppe di Furia, per gentile concessione del suo autore, il collega Tommaso Milella

18

QuAndo

ImItazIonI

ovverosia

«Fernet BranchIa»

Come appare dal titolo e dal sottotitolo, quanto sto

per scrivere può farsi rientrare, con un po’ di buona

volontà, nel c.d. diritto industriale. Mi spiego meglio,

prendendola un po’ alla larga:

allorché si fondò questa nostra Trimestrale, ritenni op-

portuno – contro il parere di molti – dar vita a quella

rubricella che va sotto il nome di «Cose lette». Natu-

ralmente non avevo scoperto l’America, ché non ero

stato davvero il primo a cercare spunti giuridici in

opere letterarie; ma, se non erro, il modo della presen-

tazione era nuovo. Non già ampie raccolte, bensì pic-

coli squarci, spesso soltanto poche righe che parlava-

no da sole. L’opera mia consisteva, oltre che nella se-

lezione, negli accostamenti, nei rapidissimi commen-

ti, nella scelta dei titoli… dei titoli che spesso parla-

vano più dei commenti stessi. E poi, ogni tanto – anzi,

molto spesso – un pizzico di sale e pepe, un po’ di gin-

ger, un po’ di quella verve, che è come il coraggio se-

condo il nostro don Abbondio: chi non ce l’ha, non se

la può dare.

Credo proprio di non sbagliare quando scrivo che la

rubrica ha avuto molto successo, confermando le mie

previsioni. Io ho sempre sostenuto che uno studioso se-

rio può permettersi il lusso di ridere e di fare ridere;

che coloro i quali rifuggono dalla gaiezza e temono di

passar per buffoni sono, generalmente, proprio i buf-

foni autentici: quelli la cui opera c.d. scientifica susci-

terebbe ilarità se, invece, non movesse a compassione.

Appunto perché sono sicuro (sono sicuro io e sono si-

curi gli altri) della mia fondamentale e assoluta serie-

tà, non rifuggo dalla battuta scherzosa; e non ho esita-

to e non esito a inserire in questa rivista – che più se-

ria di così non potrebbe essere (ed è seria senz’esse-

re pesante) – anche le «Cose lette», che poi – come ho

spiegato altra volta – hanno una loro piccola filosofia.

Insomma i pessimisti hanno avuto torto; e hanno avu-

to torto anche quando dicevano che la rubrica sarebbe

morta prestissimo per esaurimento (giacché io non sa-

rei stato capace di reggerla a lungo). Invece le cose so-

no andate ben diversamente: da sette anni ogni fasci-

colo della Trimestrale (con l’eccezione di uno solo, se

non erro) termina con le «Cose lette», che continuano

ad incontrare il favore del pubblico.

* * *

Era naturale che qualcuno cercasse di imitarmi, sotto-

valutando forse le molte difficoltà della rubrica. Infat-

ti essa presuppone, in chi la regge, molte, moltissime

letture – recenti e remote; essa non può esaurirsi in

una semplice raccolta, perché riesce ad interessare so-

lo in quanto le pillole giuridiche da cui è formata ven-

gono presentate e propinate in una certa maniera. Al-

meno da questo ultimo punto di vista non direi che le

imitazioni siano state felici (è la solita storia della ver-

ve, che chi non ce l’ha non se la può dare); e non direi

nemmeno che le letture da altri messe a partito siano

sufficienti o adatte per alimentare una rubrica del ge-

nere. Prova ne sia il fatto che qualcuno, dopo aver ten-

tato, ha smesso o ha dovuto smettere assai presto.

* * *

Questo qualcuno è il mio buon amico Remo France-

schelli, oggi ord. di diritto ind. nll’Università di Mila-

no; al tempo in cui avvenne l’episodio che sto per rife-

rire, ord. di dir. comm. nell’Università di Parma.

Franceschelli è davvero una brava persona ed io – mi

creda o non creda, poco importa – gli sono legato da

sincero affetto; ma, ciò premesso, devo pur dire che è

difficile trovar uomo più ombroso di lui. Il lettore giu-

dicherà: allorché, nel 1952, Remo Franceschelli decise

walter bigiavi

Scritti quasi-giuridici in onore di me stesso compiendosi il mio cinquantesimo anno

19

QuAndo

di fondare quella Rivista di diritto industriale, che egli

– come direttore effettivo – tiene già assai bene qua-

si da solo, pensò di condirla con una rubrica intitolata

«Intermezzo», che arieggiava le mie «Cose lette».

L’imitazione saltava agli occhi, ed io mi permisi di rile-

varla con parole di compiacimento nella Riv. trim., 1952,

p. 1005. «(…..) Voglio scrivere che le ‘Cose lette’ figlia-

no», io dicevo in quel trafiletto. «Quale scandalo nel

nostro timorato e pudibondo ambiente accademico, al-

lorché, nell’ormai lontano 1947, diedi inizio a questa

rubrica, leggera per i lettori, pesante per me! Ma poi,

dalla Rivista del notariato alla nuovissima Rivista di

diritto industriale (….), gli imitatori non sono manca-

ti, e hanno preso il posto dei denigratori. Meglio così!

Quando c’è l’imitazione vuol dire che il modello è buo-

no; e, per vero, la Trimestrale ha servito da modello o

da calco a non so più quante riviste ormai, e non certo

solo per le Cose lette. Del che siamo lietissimi».

Avevo detto forse qualcosa di male? A me par proprio

di no: mi felicitavo, mi rallegravo d’essere stato segui-

to, e nulla più.

Ben diverso era stato invece l’apprezzamento del-

l’Asquini, che, annunciando la nascita della Rivista di

diritto industriale, scriveva (in Riv. dir. comm., 1952, I,

p. 340) che «le [sue] rubriche sono varie ed agili, an-

che se taluna, in concorrenza (di famiglia) con l’altra

Rivista trimestrale di Giuffré, avrebbe potuto senza

danno essere economizzata».

20

QuAndo

Dunque è chiaro: anche se Asquini constatava l’imita-

zione; ma, mentre io la elogiavo, egli la criticava.

(Una parentesi: la cosa si spiega facilmente. Asquini –

uomo di ingegno elevatissimo, che avrebbe dato con-

tributi preziosi alla nostra scienza se avesse avuto al

suo attivo anziché il solo studio del trasporto, un po’

di trasporto per lo studio – non può permettersi il lus-

so di scherzare appunto perché la sua scarsissima pro-

duzione scientifica non lo pone al riparo da un’even-

tuale ritorsione

A me nessuno può dire: «Invece di scherzare, lavora».

A lui si, invece; ed ecco perché Asquini, il quale non

lavora … non scherza e non ama gli scherzi. Comun-

que, anche prescindendo da ciò, si può esclamare, con

Antonio Baldini, Buoni incontri d’Italia [1935] [ne Il li-

bro dei buoni incontri di guerra e di pace, Sansoni, Firen-

ze, s.a., ma 1953, p. 441]: «che paura di divertirsi, alle

volte hanno le persone serie!»).

* * *

Questi i precedenti: l’imitazione c’è e la constatano

tutti (niente di male, s’intende). Io la elogio e me ne

rallegro: Asquini la critica…. Ebbene il caro France-

schelli (Remo anche lui) ringrazia Asquini, gu tirc sa

reverence, mentre si adonta e si adira per quel che

avevo scritto io (cfr. Riv. dir. ind., 1952, I, pp. 286-8).

Il mistero sarebbe proprio insolubile se non si risalis-

se ancor più addietro. Molti anni fa, recensendo sulla

Giur. it., 1946, IV, c. 144, un libro, d’altronde pregevole,

del mio amico Franceschelli (il quale nel 1940 mi era

succeduto, con mio grande piacere, sulla cattedra par-

mense), avevo fatto osservare che per ben due volte

egli aveva definito il diritto commerciale una «bran-

chia» (anziché una «branca») del diritto privato. Na-

turalmente – poiché ho il torto di essere uno spirito

caustico – su questo errore (che non era un errore di

stampa) avevo ricamato qualche divertente variazio-

ne. Orbene il nostro caro Remo (perché Remo è), an-

ziché incassare la bottarella e fare bonne mine à mau-

vais jeu, non me l’ha mia perdonata (da quando Fran-

ceschelli si occupa di diritto industriale io attendo an-

sioso che egli, fedele alle sue nobili tradizioni, par-

li non già di Fernet Branca, bensì di Fernet Branchia);

ed ecco perché egli è saltato addosso a chi gli dedica-

va parole di compiacimento mentre ha scodinzolato –

grande e grosso com’è – intorno ad Asquini piccirillo.

Ma forse questa non è la sola ragione del risentimen-

to. Forse il mio buon amico si è seccato perché, nomi-

nando la Rivista di diritto industriale, io ho fatto segui-

re alla menzione qualche puntino chiuso tra parente-

si, così: (….).

Che cosa mai volevano dire quei puntini? e, qualun-

que cosa volessero dire, era mai possibile far la pole-

mica per … dei puntini? Ecco perché F. è esploso, di-

mostrandosi, ancora una volta, polemista scarsamente

dotato: perché la prima arte del polemista – lo dico e

lo ripeterò – consiste nel sapere scegliere bene il ter-

reno della disputa.

Comunque, desidero tranquillizzare il mio buon collega:

quei puntini non vogliono affatto significare che «la Ri-

vista di diritto industriale è la rivista di chi si industria di

salire su di una cattedra di diritto industriale» (e ce la

fa). Ci vuol altro per conquistare una cattedra! Ci vuol

molto di più (o molto di meno, a seconda dei punti di vi-

sta). Nel suo caso, Franceschelli è stato avvantaggiato

non già dalla sua opera di cultore del diritto industriale

e di fondatore della relativa rivista, bensì da una serie

di coincidenze e di colpi di fortuna indiretti.

Prima fortuna: Mario Ghidini, parmigiano, pubblica

un pessimo libro con il quale vince un concorso di di-

ritto commerciale. Seconda fortuna: sebbene il Cons.

Sup. dell’Istr. pubbl. avesse proposto l’annullamento

di quel concorso, il Ministro non accoglie la prposta

dell’alto consenso e approva gli atti del concorso. Ter-

za fortuna: Ghidini desidera sistemarsi a Parma e que-

sto suo desiderio è condiviso da altri (da chi? da chi?).

Così Franceschelli ottiene il desiato (e, a mio parere,

meritato) trasferimento (promoveatur ut amoveatur);

ma, nonostante tutti i suoi meriti e nonostante la ri-

vista (del cui comitato direttivo faceva parte, oppor-

tunamente, mezza facoltà giuridica milanese), io non

so davvero se il mio amico sarebbe riuscito nell’inten-

to che egli perseguiva da anni, se non ci fossero stati

quei colpi di fortuna e quelle coincidenze. Così va l’Uni-

versità, bimbo mio!

* * *

E adesso la botta finale: per mettere in ridicolo me,

che avevo parlato di imitazioni, Franceschelli credet-

te di far bene riproducendo la testata de «La settima-

na enigmistica», il giornale che vanta ben 172 tentati-

vi d’imitazione.

Povero Remo! Tu credevi e magari credi ancora di aver

avuto un’alzata d’ingegno. Ma come non ha pensato

che, se tu dai al lettore una testata, qualcuno potrebbe

farti rilevare che si tratta invece di una … zuccata!

Senza rancore… e buona fortuna, nell’Università e

fuori di lì.

Walter Bigiavi

Scritti quasi-giuridici in onore di me stesso compien-

dosi il mio cinquantesimo anno in Riv. trim. 1954 186

21

nIente dA CAPIre

Partendo, da un lato, dal dato normativo della illiceità

del patto commissorio – meglio: della nullità per illicei-

tà della causa del contratto che integri un patto com-

missorio - e, dall’altro, dal dato normativo della gene-

rale liceità della vendita con patto di riscatto e con ri-

serva di proprietà, il quesito che ora si pone – in estre-

ma sintesi – è se sia lecita – e, se del caso: entro quali

limiti – la c.d. vendita a scopo di garanzia (ovvero: sino

a che punto sia, se del caso, lecito altro contratto, tipico

o atipico, a quest’ultima direttamente o indirettamen-

te assimilabile per presupposti ed effetti).

Ebbene. Il patto commissorio - come noto – espressa-

mente vieta tutte le pattuizioni (cfr. in questo senso,

anche l’art. 11 d.p.c.c.) in forza delle quali, in caso di

inadempimento del credito garantito, espressamente

si convenga tra le parti che la cosa data in pegno o in

ipoteca passi automaticamente in proprietà del cre-

ditore (art. 2744 c.c.). Il principio espresso da questa

disposizione, tutt’altro che isolato, è poi ribadito dal-

l’art. 1963 c.c. che - come pure noto - prevede il divieto

del patto che sancisca, in caso di inadempimento di un

debito, il passaggio della proprietà dell’immobile del

debitore, o del terzo, al creditore quando tale immo-

bile sia stato consegnato affinché il creditore ne per-

cepisca i frutti imputandoli agli interessi e al capitale

(c.d. patto di anticresi).

Secondo l’impostazione più risalente, ratio del divieto

di patto commissorio sarebbe quella di tutelare l’inte-

resse di quella che, tradizionalmente, viene considera-

ta la parte debole del rapporto contrattuale; e vale a

dire: il debitore cedente. Più precisamente, scopo del-

la norma in parola sarebbe quello di evitare che il de-

bitore, che spesso si trova in una condizione di suddi-

tanza psicologica nei confronti del creditore, finisca

per accettare supinamente il trasferimento in capo a

quest’ultimo della proprietà del bene ipotecato o dato

in pegno per il caso in cui si verifichi il mancato adem-

pimento del debito (cfr. per tutti, C.M. Bianca, in Nov.

Dig. It., Passim).

A tale ricostruzione si deve tuttavia obiettare che, stan-

do così le cose, il patto commissorio dovrebbe essere le-

cito in tutti i casi in cui la costituzione della garanzia

reale fosse precedente al sorgere del debito, non essen-

do in tale evenienza virtualmente possibile alcuna for-

ma di approfittamento, da parte del creditore, dello sta-

to di sudditanza psicologica del debitore. Con l’ulterio-

re, inevitabile conseguenza che, così ragionando, la ra-

tio poc’anzi prospettata finirebbe per essere in chiaro

contrasto con il dettato della stessa norma la quale, al

contrario, prevede sempre ed in ogni caso la nullità del

patto, senza peraltro concedere alcun distinguo in ordi-

ne al momento della stipula dello stesso. E non solo.

Se si ritenesse che ratio del divieto sia la (sola) tute-

la del debitore cedente il bene in garanzia, si dovreb-

be pure giungere a dover ritenere nulla sia la vendi-

ta con patto di riscatto o di retrovendita (artt. 1500

ss. c.c.) sia la vendita con riserva di proprietà (artt.

1523 ss. c.c.) - entrambi modelli contrattuali (leciti ed)

espressamente previsti dal codice - tutte le volte in cui

il cedente si rivelasse essere (comunque) debitore del-

l’acquirente: e, questo, per la semplice ragione che an-

che in tali casi si potrebbe verificare una forma di ap-

profittamento da parte del creditore cessionario, che

verrebbe automaticamente ad appropriarsi della cosa

venduta in caso di inadempimento del cedente.

giovanni aquaro

Vendita a scopo di garanzia,patto di riscatto e divieto

di patto commissorioOvvero, brevi note a margine d’un (tormentato) ménage à trois

pericolosamente in bilico tra tutela del debitore e tutela dei creditori

22

nIente dA CAPIre

E se così è, partendo da questo primo ordine di con-

siderazioni – che, cioè, il patto commissorio è (sem-

pre) illecito e (sempre) leciti sono invece due istituti

come la vendita con patto di riscatto e con riserva di

proprietà, anche quando vi sia un rapporto di debito

tra le parti e questo possa comportare, in caso di ina-

dempimento, che la cosa che costituisce oggetto di ta-

li pattuizioni passi in proprietà al creditore – si dovrà

allora indagare su quale sia (per esclusione) la vera (e

differente) ratio del divieto. Ché – per quanto detto -

non può certo essere la (sola) tutela del singolo debi-

tore cedente.

E la risposta al quesito, così impostato, parrebbe allo-

ra essere - in estrema sintesi - la seguente: che, in vero,

la ratio del divieto di patto commissorio sia quella di

tutelare la par condicio creditorum (art. 2740 c.c.) dal

momento che solo il patto commissorio – e non inve-

ce la vendita con patto di riscatto o con riserva di pro-

prietà – sarebbe di per se stesso in grado di contravve-

nire a tale generale, e inderogabile, principio. Ed in-

fatti: solo nel caso di patto commissorio (cfr. a riprova

l’art. 2911 c.c.) si potrebbe verificare il cumulo della

garanzia generica ex art. 2740 c.c. con quella specifica

derivante dalla vendita, dal momento che nulla impe-

direbbe al creditore, già fortemente tutelato, di aggre-

dire, dopo essersi appropriato della res, il restante pa-

trimonio del debitore (così, L. Barbiera, in La respon-

sabilità patrimoniale, CS, 1991, p. 206-269); al contra-

rio, in caso di vendita con patto di riscatto o con riser-

va di proprietà, in caso di inadempimento, il credito-

re cessionario diverrebbe esclusivamente proprietario

del bene oggetto di contratto, nulla potendo pretende-

re ex art. 2740 c.c. (e salvo la considerazione del diffe-

rente profilo rappresentato dai casi di c.d. patto mar-

ciano; cfr. Cass. 736/1977 e, ancora, L. Barbiera, cit.).

Secondo l’impostazione in esame, pertanto, la validità

delle alienazioni c.d. in garanzia non dovrebbe essere

esclusa in principio sulla (sola) base di quanto dispo-

sto dell’art. 2744 c.c., se del caso anche attraverso il ri-

chiamo dell’art. 1344 c.c.: essa, al contrario, potrebbe

ritenersi perfettamente lecita nei (limitati) casi in cui

dall’accordo di vendita venisse espressamente esclusa

la possibilità di cumulare la garanzia specifica, che la

vendita stessa rappresenta, con quella generale, previ-

sta dall’art. 2740 c.c. (cfr. Cass. 736/1977 e 13708/1999).

In altre parole: seguendo l’impostazione ora delinea-

ta, parrebbe essere valida la vendita sottoposta a con-

dizione risolutiva (semplice) nella quale si prevedes-

se che, in caso di inadempimento, la garanzia sia rap-

presentata dal solo bene (di valore pari a quanto corri-

sposto: cfr., infatti, l’ulteriore divieto di patto c.d. mar-

ciano) con esclusione di qualsiasi altra pretesa risar-

citoria, a diverso titolo, sui beni del debitore ceden-

te (che rimarrebbero, quindi, nella piena disponibilità

dei creditori terzi).

Ed in quest’ottica, non pare superfluo ricordare che,

in giurisprudenza, è stato ritenuto valido lo strumen-

to del mandato irrevocabile a vendere un bene confe-

rito al creditore a garanzia dell’adempimento dell’ob-

bligazione, così come, anche (e seppure con ulteriori

precisazioni), è stato ritenuto perfettamente valido il

contratto di lease and lease back (Cass. 4095/1998). Ed

infatti, con particolare riferimento al mandato, la giu-

risprudenza ha coerentemente ritenuto di escludere

l’applicabilità dell’art. 2744 c.c. ogni qual volta lo stes-

so abbia lo specifico scopo di soddisfare, con quanto ri-

cavato dalla vendita, i creditori in genere del debitore

(Cass. 13708/1999).

Giovanni Aquaro - Vicenza

23

sIAmo solo noI

Sosteneva Bigiavi, con buone ragioni, che: “L’impor-

tanza dell’esperienza forense per gli studi è grande, ma

non va esagerata”1.

Affermazione su cui concordiamo, ma che ci piace sot-

toporre al vaglio di un’analisi critica, per capire se pe-

rò la pratica forense consenta una miglior compren-

sione delle tendenze giurisprudenziali applicative ed

interpretative di norme cruciali nell’amministrazione

della giustizia.

Prendiamo questa volta spunto dall’esame di tre prov-

vedimenti inediti, resi ai sensi dell’art. 283 cpc, nei

quali si è disposta la sospensione dell’esecuzione del-

la sentenza impugnata. In due casi senza cauzione, in

un caso imponendo una cauzione inferiore a quella of-

ferta da parte appellante.

Afferma la Corte di Appello di Milano (20 gennaio

2009 Presidente Patrone, Estensore Filippo Laman-

na): “Ritenuto che non si rinvenga, nella specie, alcuna

abnormità o incongruità palese dell’impugnata sentenza

risultante “prima facie”, ma che, alla stregua delle circo-

stanze del caso e del contenuto della pronuncia condan-

natoria, effettivamente emerga la serietà del rischio de-

rivante da un’immediata esecuzione del provvedimento,

che – portando condanna per un assai rilevante importo

(Euro 413.165,53 oltre ad interessi) – inciderebbe vero-

similmente in senso assai negativo e pregiudizievole sul-

le condizioni economiche degli appellanti di talchè, nel-

la valutazione comparativa tra l’interesse dell’appellato

ed un’immediata esecuzione, il cui pregiudizio grave (dif-

ficilmente emendabile) che potrebbero subire gli appel-

lati per effetto di una provvisoria esecutorietà della pro-

nuncia, debba darsi comunque prevalente rilievo e tute-

la a quest’ultima”.

In una seconda decisione, la stessa Corte di Appello

(8.1.2009, Presidente di Leo, Est. Roggero) ha ritenuto

sussistere “gravi ragioni” insite nella peculiarità del-

la fattispecie.

Dovendo infatti decidere sulla provvisoria esecutorie-

tà di una sentenza di primo grado emessa a favore di

un fallimento, che chiedeva di revocarsi i pagamenti

effettuati ad una società di trasporti, l’esecutorietà

non veniva concessa, in considerazione del particolare

momento economico e, più precisamente del fatto che

il prezzo dei carburanti aveva determinato gravi dan-

ni alle società operanti trasporto su gomma. Di talchè

l’esecuzione provvisoria avrebbe inciso sulla capacità

economica del soccombente e sulla sua solvibilità.

Infine, la Corte di Appello di Venezia, chiamata a de-

cidere sulla nullità di un lodo, reso in materia societa-

ria, disponeva, con provvedimento del 4 ottobre 2008

(Presidente Greco, Relatore Bazzo) la sospensione del-

la provvisoria esecutorietà affermando: “Considerata

la rilevante entità dell’obbligazione riconosciuta dal lo-

do a carico della società istante (e totalmente contestata

nell’an, oltre che nel quantum) tale da comportare, ove

la condanna fosse di tale portata e immediata esecuzio-

ne, un gravissimo pregiudizio per lo stesso equilibrio eco-

nomico dell’impresa ed opportunamente ponderati i con-

trapposti interessi, sono ravvisabili gravi motivi per di-

sporre la sospensione, la quale tuttavia deve esser condi-

zionata a congrua fideiussione bancari (da fissarsi in Eu-

ro 3 milioni…)”.

Le diverse pronunce sembrano tutte basarsi sulla “pos-

sibilità di insolvenza di una delle parti” (come prescrit-

to dall’art. 283 cpc), ma in realtà manifestano anche

una certa insofferenza per l’esecuzione generalizzata

della sentenza di primo grado.

Infatti, la Corte veneziana opera un bilanciamento dei

diversi interessi, facendo prevalere lo squilibrio eco-

nomico della società ricorrente, dimenticandosi però

che quello squilibrio è insito nella legge. Quando gli

art. 2437 e segg. c.c. regolano il recesso del socio, im-

ponendo alla società di offrire l’acquisto delle quote

lamberto lambertini

L’insostenibile pesantezza della clausola di esecutorietà provvisoria

delle sentenze di primo grado

24

sIAmo solo noI

del receduto agli altri soci (circostanza nel caso di spe-

cie non integrata) o a terzi dispongono poi la liquida-

zione della società ove non vi siano i mezzi per com-

pensare il socio receduto.

Dunque l’esecuzione del lodo avrebbe inciso sulla so-

cietà, determinandone la liquidazione, che non sem-

bra costituire “un gravissimo pregiudizio”, ma la conse-

guenza dell’inesperienza nel governo di quella società

da parte dei suoi amministratori.

In sostanza la Corte di Venezia vuole rifare il processo

di primo grado, per accertare se effettivamente il di-

ritto di recesso determini la liquidazione della società

appellante, non sopportando che tale giudizio sia ope-

rato soltanto da un Collegio arbitrale, per quanto pre-

stigioso (Presidente P. Rescigno, arbitri G. De Nova e

R. Costi), ma pur sempre giudice di primo grado e per

di più giudice non togato.

Così il provvedimento della Corte ambrosiana dell’8

gennaio fonda i gravi motivi su di un elemento eco-

nomico esterno, incontrovertibile come l’aumento del

prezzo del carburante, nella sua incidenza, sul costo

per la società di trasporti.

Ma anche qui non sembra essere in gioco la “possibili-

tà di insolvenza di una delle parti”.

Infine, il provvedimento della Corte milanese del 20

gennaio non concede all’appellante alcuna speranza

di revisione della sentenza di primo grado, ma gli re-

gala qualche anno per ritardare il pagamento.

Dunque la norma di cui all’art. 283 c.p.c.2 sembra mal

tollerato, come se il Giudice di Appello provasse fasti-

dio a celebrare un procedimento, i cui effetti si stan-

no già producendo all’esito della decisione di primo

grado.

Evidentemente questa tendenza non è teorizzata, né

tantomeno dichiarata tutte le volte in cui si procede

alla sospensione della provvisoria esecutorietà di una

sentenza di primo grado.

Ma sembra essere però un filo conduttore che unisce

diversi provvedimenti di sospensione che non sembra-

no trovare diversa motivazione.

In realtà, i commentatori della norma insistono molto

sul fatto che i motivi a favore della sospensione devo-

no essere talmente gravi da invertire il generalizzato

favore del legislatore per il giudice di prime cure.

Chiunque abbia approfondito la materia (Consolo3,

Luiso, Converso, Monteleone, Tarzia, Arieta) ritiene

che l’inibitoria sia atteggi quale strumento cautelare

volto a rovesciare solo eccezionalmente il regime ordi-

nario di esecutività proprio della prima sentenza.

NOTE

1. Walter Bigiavi, “Scritti quasi–giuridici in onore di me

stesso compiendosi il mio 50° anno”, Rivista trimestra-

le di diritto procedura civile, 1955, 190. Il pezzo me-

rita di essere letto per esteso, come merita una lettu-

ra l’intero articolo: “L’importanza dell’esperienza foren-

se per gli studi è grande, ma non va esagerata. Essa non

potrebbe mai sostituire l’esperienza che più conta pel teo-

rico: l’esperienza delle questioni e delle dottrine scientifi-

che. Già dissi come anche questa esperienza sia vita: vi-

ta dell’intelletto. Il lavoro dell’avvocato, per intenso che

sia, non gli farà mai conoscere che una piccola parte del-

le possibili controversie.

L’ampia diffusione oggi data alle decisioni giurispru-

denziali consente un’esperienza più condensata che non

sia quella del patrocinio, e non meno illuminante per la

mente che sia perspicace e che sappia immedesimarsi nel-

le situazione in un vissuto.

Certo la vita del foro sottrae agli studi dottrinali due ele-

menti preziosi: tempo e serenità”.

Ma, senza esagerare l’importanza dell’esperienza fo-

rense, secondo l’insegnamento di Bigiavi, come pra-

tici del diritto abbiamo l’impressione che sia in at-

to una vera e propria revisione silenziosa della rifor-

ma, per consentire al giudice di appello di vagliare di

nuovo la fondatezza della decisione di primo grado,

anche in ordine agli effetti che la stessa può nel frat-

tempo produrre.

Con il che probabilmente stiamo perdendo un ulterio-

re elemento che conferiva una qualche certezza al di-

ritto, quando avesse ottenuto il primo riconoscimen-

to giudiziale.

2. La generalizzata esecutività per legge della senten-

za di primo grado ha eliminato un elemento discrezio-

nale, contemporaneamente togliendo al giudice di ap-

pello la facoltà di concedere la clausola di provvisoria

esecutorietà negata o non pronunciata dal giudice che

ha definito il primo grado di giudizio.

La nuova norma introdotta con legge n. 163/05 pre-

vede il vaglio sulla fondatezza dei gravi motivi che la

legittimano; la valutazione della possibile insolven-

za di una delle parti; l’eventuale concessione di una

cauzione.

3. In particolare si segnala C. Consolo, Le impugnazio-

ni delle sentenze e dei lodi”, Cedam, 2008, che parla di un

appello che deve essere “serio e minaccioso” pag. 169.

Lamberto Lambertini

25

brothers In Arms

L’obiettivo di questo mio breve scritto mira a forni-

re all’operatore una breve riflessione sulla disciplina

tedesca del contratto di agenzia paragonandola in al-

cuni aspetti importanti con la normativa italiana in

materia.

La prima legislazione al mondo ad occuparsi de-

gli agenti di commercio è stata propria quella tede-

sca. Nel Codice del Commercio del 1897 si parlava di

“Handlungsagenten”, ovverosia, di commercianti indi-

pendenti con eguali diritti di fronte al preponente.

Oggi la disciplina del contratto di agenzia in Germa-

nia, che coincide in gran parte con le disposizioni del

codice civile italiano, è radicata nel Handelsgesetzbu-

ch (codice del commercio tedesco, HGB) agli articoli

84 – 92 lett. c).

In base all’art. 84, comma 1 del HGB è “agente di com-

mercio chi assume stabilmente l’incarico di promuove-

re affari per un altro imprenditore o di concluderli in

suo nome quale operatore commerciale indipenden-

te”. Il concetto di “indipendenza” è inteso dalla leg-

ge tedesca come una possibilità per l’agente di orga-

nizzare in modo libero la propria attività ed il proprio

orario di lavoro.

Questa è già una prima differenza tra le due norma-

tive visto che il legislatore italiano preferisce fornire

una definizione del contratto di agenzia e non della fi-

gura dell’agente di commercio.

In merito alla forma del contratto di agenzia la legge

tedesca non richiede la forma scritta (art. 85 HGB). La

prova dell’esistenza del contratto e del suo contenuto

può essere fornita anche sulla base di comportamen-

ti tenuti dalle parti durante in rapporto di agenzia an-

che se la forma scritta del contratto è sempre prefe-

ribile specialmente al momento della cessazione del

rapporto contrattuale.

Un altro aspetto che contraddistingue i due sistemi

giuridici (italiano e tedesco) risiede nei poteri del-

l’agente. Per la legge tedesca, l’agente, in mancanza di

limiti specifici, ha poteri di rappresentanza; ciò signi-

fica che l’agente tedesco ha il diritto di concludere af-

fari per conto del preponente. L’agente viene conside-

rato come una specie di procuratore. In Italia, per con-

cludere affari all’agente deve essere conferito espres-

so mandato dal preponente.

Per quanto riguarda la durata anche in Germania co-

me in Italia il contratto di agenzia può essere concluso

sia a tempo determinato che indeterminato (nel rap-

porto indeterminato devono essere rispettati i termi-

ni di preavviso di cui all’art. 89 HGB). L’art. 89 lett. a)

HGB prevede inoltre la possibilità di risolvere il con-

tratto di agenzia per giusta causa precisando che ta-

le diritto non potrà in alcun modo essere escluso o li-

mitato.

Una differenza significativa è rappresentata dagli ele-

menti della “zona” e della “clientela” che in Italia so-

no elementi naturali del contratto mentre in Germa-

nia sono considerati come elementi eventuali che ne-

cessitano pertanto di uno specifico accordo tra le par-

ti. Occorre aggiungere che il sistema tedesco conosce

la figura dell’”agente di zona” (che si differenzia dal-

la figura dell’agente semplice) il quale ha il compito-

obbligo di seguire i clienti nell’ambito a lui assegnato

dietro corresponsione di una provvigione per tutti gli

affari conclusi nella zona, a prescindere dall’interven-

to dell’agente stesso.

In Germania, a differenza dell’Italia (cfr. art. 1743 c.c.)

non è previsto e disciplinato l’istituto dell’esclusiva.

Per ovviare a questo problema è opportuno inserire

nel contratto di agenzia una apposita clausola contrat-

massimo fontana ross

La normativa tedescasul Contratto di Agenzia

Il “Handelsvertretervertrag” secondo il Codice di Commercio Tedesco (HGB)

26

brothers In Arms

tuale (c.d. “patto di non concorrenza convenzionale” che

ha forza solo in vigenza di rapporto e da non confon-

dere con il patto di non concorrenza post-contrattua-

le introdotto in Germania nel 1998). In caso di viola-

zione del predetto patto da parte dell’agente il prepo-

nente può intentare un’azione inibitoria per far cessa-

re l’attività concorrenziale dell’agente, oppure, chie-

dere la risoluzione del contratto di agenzia per giu-

sta causa, oppure, intentare un’azione di risarcimen-

to dei danni, sia quelli subiti dall’opera di concorren-

za, sia quelli subiti a causa della repentina risoluzio-

ne del contratto.

Il diritto alla provvigione sorge quando il contratto

viene eseguito (art. 87 lett. a) c. 1 HGB), ovverosia, se

e nella misura in cui il terzo ha dato esecuzione all’af-

fare. Nel codice tedesco è prevista inoltre la possibili-

tà per l’agente di chiedere un “adeguato anticipo” (an-

gemessener Vorschuss) all’atto di esecuzione dell’affa-

re da parte del preponente. Il diritto diviene esigibi-

le al più tardi entro l’ultimo giorno del mese successi-

vo all’esecuzione.

L’art. 87 lett. a) HGB statuisce, inoltre, che nell’ipo-

tesi in cui il terzo non esegua la prestazione l’agente

non abbia diritto alla provvigione con relativo obbli-

go di restituzione di quanto percepito. Infine, l’agen-

te ha diritto alla provvigione anche nel caso in cui il

preponente non esegua in tutto o in parte la prestazio-

ne o non la esegua come contrattualmente conclusa.

L’agente ha diritto di esigere un estratto dei libri con-

tabili e di avere tutte le informazioni necessarie per

verificare l’importo delle provvigioni liquidate. Nel

caso in cui all’agente venga negata la richiesta di esi-

bizione dei libri contabili o vi siano forti dubbi sulla

veridicità o completezza dei conteggi, questi può inca-

ricare un proprio consulente (revisore) affinché esa-

mini i libri contabili o altri documenti del preponen-

te utili ai fini di una corretta determinazione e corre-

sponsione delle provvigioni.

L’aspetto giuridico più complesso, complicato e a cau-

sa del quale nasce la maggior parte del contenzioso

in Germania (come del resto in Italia), è sicuramente

l’indennità di cessazione del rapporto di agenzia.

Nel diritto tedesco l’indennità di fine rapporto è di-

sciplinata nell’art. 89 lett. b) del Codice di Commer-

cio tedesco (Handelsgesetzbuch), dal quale, lo ricordia-

mo, ha trovato ispirazione l’art. 17, § 2 a) della Diretti-

va Comunitaria CEE 86/653. L’agente commerciale ha

diritto, dopo la cessazione del rapporto contrattuale,

ad una congrua indennità, se e nella misura in cui: 1)

il preponente continua, anche dopo la cessazione del

rapporto contrattuale, a trarre considerevoli vantag-

gi dai rapporti d’affari con nuovi clienti acquisiti dal-

l’agente; 2) l’agente, in seguito alla cessazione del rap-

porto contrattuale, perde pretese alla provvigione che

egli invece avrebbe in caso di continuazione della re-

lazione relativamente agli affari (Geschaefte) già con-

clusi oppure che verranno ad esistenza in futuro con

clienti procurati dall’agente; 3) il pagamento dell’in-

dennità sia equo in considerazione di tutte le circo-

stanze del caso.

Il criterio di equità, previsto anche nel nostro codice

civile all’art. 1751, costituisce nel sistema tedesco un

correttivo che serve per verificare se sia giustificato

riconoscere all’agente l’intero importo risultante dal-

l’applicazione dei criteri di cui sopra. Il criterio equi-

tativo consente di correggere al ribasso il risultato ma-

tematico che deriva da un confronto tra i vantaggi per

il preponente e gli svantaggi per l’agente. Una circo-

stanza che può certamente concorrere a ridurre l’am-

montare dell’indennità di fine rapporto spettante al-

l’agente può essere ad esempio l’effetto marca; la no-

torietà di un marchio può influenzare in modo signi-

ficativo la decisone all’acquisto. Altra circostanza po-

trebbe essere l’ingente attività pubblicitaria posta in

essere dal preponente.

Riassumendo si può quindi affermare che l’indennità

è dovuta all’agente qualora (i) il rapporto contrattua-

le è cessato; (ii) il preponente continua a trarne van-

taggio; (iii) l’agente ne subisce un danno perché per-

de provvigioni; (iv) il pagamento è equo.

È opportuno rammentare che i predetti presupposti

sono richiesti in via cumulativa, ovverosia, non sarà

possibile riconoscere l’indennità all’agente nell’ipote-

si in cui sussistono solo alcuni di essi.

Per quanto riguarda i criteri di determinazione del-

l’indennità si può notare che anche il diritto tedesco

non ha ritenuto opportuno indicare un preciso criterio

di calcolo dell’indennità, limitandosi a stabilire che

essa spetti “se e nella misura in cui” sussistono certi re-

quisiti che vengono ad assumere anche il ruolo di cri-

teri per determinare l’ammontare dell’indennità.

Infine, vale la pena di ricordare che in Germania si se-

gue un sistema di calcolo analitico (a differenza del-

l’Italia in cui si segue più un sistema di calcolo sin-

tetico) che impone nella fase di determinazione del-

l’indennità di fine rapporto di riferirsi alle provvigio-

ni dell’ultimo anno di contratto relative ai clienti svi-

luppati dall’agente.

27

brothers In Arms

In conclusione, sulla base delle osservazioni sopra

esposte possiamo facilmente affermare che il contrat-

to di agenzia in Germania coincide in gran parte con

le disposizioni del codice civile italiano. Basti pensare

che l’Italia si è ispirata e ha optato per il modello te-

desco (e non francese) nella predisposizione del testo

di legge in materia di agenzia.

Però, nonostante questa “somiglianza giuridica” con

il nostro sistema bisogna comunque prestare molta at-

tenzione quando si stipula un contratto di agenzia con

un agente tedesco, dal momento che alcuni concetti

e principi di diritto tedesco non sempre sono in linea

con quelli del diritto italiano.

Massimo Fontana Ross - Bolzano

28

brothers In Arms

Quello che un tempo era al centro del sistema giuridi-

co: le corti con i loro giudici ed i loro avvocati sembra

la periferia, mentre la periferia: le imprese, i merca-

ti ed i consulenti e tra questi le società di revisione, le

banche d’affari ed i grandi studi legali internazionali,

sono divenuti il centro della scena giuridica occiden-

tale. La ragione di questa rivoluzione risiede nel suc-

cesso economico delle imprese multinazionali e nel

conseguente ruolo degli studi legali transnazionali.

Essi, infatti, costituiscono lo strumento attraverso il

quale le corporations possono operare a livello globa-

le, volta a volta, esportando o imponendo i tipi con-

trattuali, i modelli di risoluzione delle controversie,

gli strumenti societari, le strutture patrimoniali e le

regole di gestione delle procedure concorsuali che me-

glio si attagliano alle loro esigenze.

La pratica legale in Italia, invece, si è sempre basata

su una conduzione di tipo familiare, piccoli uffici dove

gli avvocati lavoravano in stretto rapporto con il clien-

te, padrone ed amico al medesimo tempo. Le fortune

dell’avvocato sono spesso collegate a quelle imprendi-

toriali dei clienti di riferimento. È stato stimato (www.

legal500.com) che, ancor oggi, il 97% degli studi italia-

ni non conta più di tre soci1 e che i professionisti che

operano da soli continuano ad occupare una parte im-

portante del panorama legale del nostro Paese.

L’apertura ai mercati internazionali ha portato sem-

pre più di frequente i legali italiani a doversi confor-

mare agli standard internazionali. Vi è, purtroppo, più

di una remora alla creazione di grandi studi, oltre a

quella che Fukuyama chiamerebbe un’antropologica

indisponibilità alla coordinazione in gruppi non basati

su rapporti familiari. Si è assistito, così, ad un massic-

cio fenomeno di acquisizione dei grandi studi italiani

o dei loro soci più importanti da parte di studi stranie-

ri, si è verificato un fenomeno di take over di una gran

parte dei professionisti più qualificati del settore.

In virtù del ricorso a politiche non lungimiranti nella

ripartizione degli utili di studio si osserva l’attitudine

italiana alla scissione ogni volta che un socio ritiene di

poter sottrarre per sé un cliente importante, opposta

a quella anglo-americana di ripartire gli utili in modo

più magnanimo e concorrere all’edificazione di studi

con centinaia di avvocati ed in grado di fornire una co-

pertura planetaria ai propri clienti2.

Dal punto di vista del monopolio della conoscenza e

delle prassi si potrebbe dire che, più che di globalizza-

zione della professione forense, si debba constatare la

realizzazione di un oligopolio anglo-americano dei “li-

velli alti” della consulenza legale e della scientia juris.

Il lavoro svolto dai grandi studi e dalle multinaziona-

li per affermare la superiorità culturale e professiona-

le delle proprie prassi ha determinato, nel tempo, l’im-

plementazione di regole di governo societario, di fi-

nanza d’impresa e di gestione delle procedure concor-

suali nuove, mettendo in crisi il monopolio culturale

dell’élite dei professionisti locali su materie cruciali.

A quest’ultimi, così, non rimane che il monopolio del-

le procedure giudiziali, ma paradossalmente in cam-

po processuale, in Italia, si trovano ad essere vittime

di una paralisi del sistema dovuta ad un eccessivo nu-

mero di legali non specializzati e poco preparati, per i

quali la durata del processo ed il ricorso ad innumere-

voli meccanismi dilatori è divenuto garanzia di sosten-

tamento, ma la cui voce è ancora forte presso gli orga-

nismi di autogoverno dell’avvocatura.

In realtà gli studi di media dimensione sarebbero i

più adatti a fornire un prodotto di qualità alle picco-

le-medie imprese e costituirebbero i migliori interlo-

cutori per gran parte del tessuto industriale naziona-

le. Le PMI a differenza delle multinazionali non so-

no così spesso alle prese con operazioni straordina-

rie (quotazioni in borsa, fusioni e acquisizioni, opera-

zioni di leva finanziaria), hanno, al contrario, neces-

sità di una costante e specializzata consulenza nella

gestione ordinaria dell’attività di impresa (contrat-

Alberto M. Musy

L’avvocatura italiana nell’età della globalizzazione

29

brothers In Arms

ti commerciali, governance societaria, relazioni indu-

striali).

Uno studio di medie dimensioni (30-70 professionisti),

specializzato in un singolo campo oppure organizza-

to in dipartimenti capaci di offrire un servizio specia-

listico e pronto ad accompagnare il cliente presso le

realtà transnazionali quando sia il caso, può offrire al-

le PMI servizi legali che per flessibilità, personalizza-

zione e tariffe, saranno fortemente competitivi con le

mega law firms.

Confindustria attraverso le pagine del Sole 24 Ore,

conduce una campagna a sostegno dell’idea che le

professioni cosiddette liberali debbano essere a tutti i

costi equiparate alle imprese, anche attraverso l’intro-

duzione di soci di capitali nelle compagini associative;

il Consiglio Nazionale Forense ed il professor Guido

Alpa che lo governa, al contrario, difendono la inelut-

tabilità del sistema degli ordini professionali e la cen-

tralità della figura dell’avvocato nella battaglia per i

diritti fondamentali, collegando a questi principi una

difficilmente delimitabile esclusiva degli avvocati sul-

la consulenza legale.

Entrambe le posizioni sembrano estreme: gli indu-

striali dovrebbero osservare con maggiore attenzione

alle sacche di protezionismo presenti nel tessuto na-

zionale delle imprese prima di farsi profeti dell’aper-

tura al mercato delle professioni ad ogni costo senza

curarsi dei problemi di conflitto d’interessi che essa

potrebbe comportare; dal canto loro le professioni e

le associazioni che le governano dovrebbero render-

si conto che difficilmente si impedisce l’affermazione

di assetti istituzionali più competitivi3 e che resister-

vi ciecamente porta più facilmente al rallentamento

dell’evoluzione e dell’affermazione degli studi italia-

ni piuttosto che alla loro sopravvivenza.

La sindrome dei “barbari alle porte” così come quel-

la dell’“è tutto da rifare” hanno senso solo per coloro

che sono rimasti ancorati a una visione datata del ruo-

lo svolto dagli avvocati.

Oggi l’avvocato ha assunto nuovi ruoli accanto a quel-

li tradizionali: in particolare nella produzione delle re-

gole giuridiche che interessano l’economia. Il chapter

11 della legge fallimentare americana - complesso di

norme per il recupero dell’impresa in crisi, che è sta-

to importato da moltissimi paesi, Italia inclusa - è il ri-

sultato dell’attività di un settore dell’avvocatura ame-

ricana. Per questo la colonizzazione del mercato lega-

le italiano non è solo un problema di mercato delle

professioni, ma anche di sviluppo del nostro sistema

giuridico.

NOTE

1. I dati sono tratti dal sito www.legal500.com si veda

anche A. M. MUSY, La comparazione giuridica nell’età

della globalizzazione. Riflessioni metodologiche e dati

empirici sulla circolazione del modello nordamericano in

Italia, Milano, 2004, p. 43.

2. Su tali temi cfr. S. M. LINOWITZ – M. MAYER, The

Betrayed Profession: Lawyering at the End of the Twenti-

eth Century (Johns Hopkins University Press, 1996).

3. Il termine “istituzionali” è utilizzato nell’accezione

di D. C. NORTH, Institutions, Institutional change and

economic performance, Cambridge, 1990.

Alberto M. Musy - Torino

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unA CIttà Per CAntAre

In tempo di crisi ognuno deve fare la sua parte. E se lo

Stato non ha i soldi ci deve pensare qualche parente

prossimo meglio dotato finanziariamente. Questo de-

vono avere pensato al Ministero dell’Economia quan-

do hanno attribuito alla Cassa Depositi e Prestiti ul-

teriori compiti di vero e proprio sostegno allo svilup-

po e di supporto al mondo delle imprese. E di que-

sto è utile ragionare, visto che proprio nelle prossi-

me settimane la Cassa approverà il piano industria-

le per il 2010.

Cosa fa oggi la Cassa?

La Cassa (CDP) è una

Società per azioni a con-

trollo pubblico: lo Stato

possiede il 70% del ca-

pitale, le fondazioni ban-

carie il restante 30%. Ed

è un ente ricco.

Funziona così. La Cassa

emette i prodotti del ri-

sparmio postale (libretti

di risparmio e buoni frut-

tiferi postali, entrambi

garantiti dallo Stato, co-

me i Bot, i Btp e i Cct).

Poste Italiane attraver-

so i suoi 14 mila sportelli

colloca i prodotti. La Cas-

sa impiega il risparmio

raccolto. Il risparmio po-

stale raccolto è una mon-

tagna di soldi: nel solo

2008 ha superato i 14 mi-

liardi, e a questo vanno

aggiunti anche altri ca-

nali di finanziamento.

CDP, fino a ieri, utilizzava queste risorse essenzialmen-

te per finanziare regioni, enti locali, e altri enti pubbli-

ci non territoriali. Oggi, in virtù dei recenti interventi

del Governo, può fare anche molto altro.

1. Sostegno alle PMI

Recentemente, la CDP ha messo a disposizione fino a

8 miliardi di euro per il supporto alle PMI. Il canale di

distribuzione delle risorse è quello creditizio: per ac-

cedere ai finanziamenti le aziende dovranno rivolger-

si a una banca tra quel-

le aderenti all’iniziati-

va. Il rapporto tra CDP

e gli istituti di credito

è regolato da una Con-

venzione firmata da Cas-

sa e ABI. I finanziamen-

ti agli istituti di credi-

to hanno scadenza quin-

quennale: vanno quindi

a coprire le esigenze di

un mercato che - a fron-

te di un’abbondanza di

liquidità a breve termi-

ne - ha invece bisogno di

poter contare sulla prov-

vista a più lunga scaden-

za che un vero operato-

re di medio e lungo ter-

mine come CDP può ga-

rantire. I finanziamenti

dovranno essere utilizza-

ti dagli istituti di credi-

to in via prioritaria per

nuove esposizioni verso

le imprese e dovranno

esplicitare nel contrat-

to sia l’avvenuto ricorso

alla provvista CDP, sia il

Nicola GriGoletto

Qui RomaLa Cassa Depositi e Prestiti: un’opportunità per le imprese

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unA CIttà Per CAntAre

costo di raccolta sostenuto dall’istituto di credito. Le

PMI possono dunque richiedere alla propria banca di

accedere a questa particolare forma di finanziamento.

Da Roma, la Cassa Depositi e Prestiti ha fatto un pri-

mo passo. Ora tocca alle imprese sul territorio utilizza-

re questi canali.

2. Social Housing

Il ministro Tremonti aveva annunciato a inizio anno un

ambizioso piano per la costruzione di nuove case de-

stinate alle fasce meno abbienti della popolazione. Il

piano, definito di “social housing”, prevedeva la rea-

lizzazione di 20.000 alloggi per il 2009. I 200 milioni

assegnati fino ad ora alle Regioni rendono però possi-

bile la costruzione di appena 5-6.000 abitazioni. Eppu-

re le stime di Palazzo Chigi quantificano in 207.519 le

sole case necessarie per i nuclei familiari a basso red-

dito, 71.462 quelle per i giovani tra 29 e 35 anni che vi-

vono ancora in famiglia, 7.187 gli alloggi per gli stu-

denti fuori sede. Insomma, quella del “social housing”

è una opportunità per far ripartire l’economia, che va

colta. Ma come fare?

La via a cui ha pensato il Governo è quella del mix tra

capitali pubblici e privati.

E alla Cassa è stato affidato un ruolo importante di

coordinamento e di volano.

In concreto, i comuni e le province, ma anche le impre-

se e le fondazioni bancarie, dovrebbero farsi promoto-

ri della costituzione di fondi immobiliari misti pubbli-

co-privati. La Cassa, ad esempio tramite la neo-costi-

tuita Cdp Investimenti Sgr, guidata da Matteo del Fan-

te, partecipa al capitale del fondo con un importo che

può arrivare fino al 40% della dotazione iniziale, il re-

sto del capitale lo mettono i privati.

Cassa Depositi e Prestiti ha fatto sapere che la propria

dotazione per iniziative di questo tipo a regime supe-

rerà il miliardo di euro (e comunque la quota già stan-

ziata, utilizzabile per avviare progetti da subito, è at-

tualmente pari a 150 milioni).

Anche in questo caso, adesso tocca a imprese, fonda-

zioni, enti locali farsi avanti e promuovere la costitu-

zione dei fondi. La Cassa, a Roma, aspetta.

Nicola Grigoletto - Roma

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lo sCoPrIremo solo leggendo

Se l’arte della guerra è condivisa da Alessandro, Ce-

sare e Napoleone (e da nessun altro), e se l’arte del-

la memoria appartiene a Pico della Mirandola (e a lui

solo), l’arte della parola appartiene esclusivamente a

Marco Tullio Cicerone.

La forza di questo mito è inossidabile, anche se diversi

grandi oratori lo hanno preceduto (Demostene e Lisia,

per tutti), altri sono vissuti nel suo tempo, quei suoi

maestri e rivali (Antonio, Ortensio), che lo hanno spes-

so battuto nelle cause giudiziarie, ed altri lo hanno se-

guito. Si conoscono purtroppo anche le grandi capaci-

tà di persuasione di Hitler (una nazione non un uomo,

secondo l’analisi filologica di Jung), Mussolini e Sta-

lin, che hanno mostrato come la parola possa eccitare

gli animi sino allo sterminio.

Costoro e grandi oratori come Kennedy, Clinton ed

Obama (la cui capacità dialettica è una delle com-

ponenti essenziali della sua vittoria nella campagna

elettorale americana del 2008), non entreranno di cer-

to nella storia per le loro capacità di eloquio.

C’è da scommetterci.

Perché proprio Cicerone?

Forse perché ha parlato molto, ma ha soprattutto ha

scritto molto. E bene.

Ha scritto anche per abbellire quello che aveva già

detto: nella Pro Milone per correggere una difesa, che

era stata così modesta da non impedire la condanna

all’esilio del suo cliente, lo scritto successivo aveva

fatto dire allo stesso Milone, riparato a Marsiglia, che

se il suo avvocato avesse parlato come aveva scritto,

lui non avrebbe avuto il privilegio di gustare lo squisi-

to pesce di quella città costiera.

Cicerone ha scritto molto, anche perché vi era allora

un’industria vera e propria, che affidava la parola scrit-

ta ai liberti e agli schiavi colti, i quali leggevano a voce

alta per i loro padroni, patrizi o cavalieri romani.

Cicerone ha scritto molto perché voleva che lo si sa-

pesse filosofo, storico, politico, prima ancora (o inve-

ce) che avvocato.

Cicerone ha così forgiato da solo il bronzo, con cui è

stata eretta la sua statua, ed il piedistallo su cui ap-

poggiarla.

Nell’uomo però la forza della parola confliggeva con

molti aspetti del suo carattere, che forte non era, ma

soltanto molto ambizioso e molto tenace.

La sua forza oratoria confligge (o si è nutrita) innanzi-

tutto con l’incoerenza assunta a sistema: l’uomo ambi-

va a scalare le classi sociali e si voleva vicino agli ari-

stocratici, raramente in sintonia con la classe dei cava-

lieri. Ma quando si è trattato di guadagnarsi il conso-

lato, non ha esitato a dare fondo a tutte le sue possibi-

lità economiche e di convincimento per ottenere il vo-

to delle classi inferiori.

Sulla tecnica della sua campagna elettorale, ci infor-

ma un interessante libretto: Il commentariolum petitio-

nis, dovuto al fratello di Cicerone, Quinto.

Si tratta di un libello di propaganda a favore della can-

didatura di Marco Tullio Cicerone, con annotazioni cu-

riose (e quanto mai attuali) di come si manipola e si

seduce, per conquistare il consenso.

Al candidato (petitor) si chiedeva un elevato grado di

astuzia, di simulazione, di lusinga e di adulazione. Co-

stui doveva avere capacità mimetica, atteggiare il vol-

to e le parole in base alle aspettative di occasionali in-

terlocutori, distribuendo, se era il caso, promesse, che

non sempre sarà in grado di mantenere.

Questo per conquistare la città che dominava il

mondo:

“Si tratta di Roma, una città nata dall’amalgama di po-

poli diversi, piena di insidie, di inganni, di vizi di ogni ge-

nere; dove bisogna sopportare l’arroganza, l’alterigia, la

malevolenza, la superbia, l’avversione e il fastidio di mol-

ti. Ben vedo che occorrono molta saggezza e molta peri-

zia, vivendo in mezzo a tanti e tali vizi di gente di ogni

tipo, per evitare il discredito, le calunnie, i tranelli, e per-

ché un sol uomo possa rendersi adatto ad una così grande

varietà di atteggiamenti, di discorsi, di volontà” (Quinto

Cicerone, Commentariolum petitionis, 54; 42)

LAMBERTO LAMBERTINI

La parola, la politica e il potere ai tempi di Cesare

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lo sCoPrIremo solo leggendo

L’incoerenza diviene dunque una virtù, pur di conqui-

stare il potere. E mantenerlo.

La forza di carattere di Cicerone era poi contraddet-

ta da una sua fondamentale mancanza di coraggio, al

punto da rasentare la viltà.

Alla fine della sua vita, quando sa che ormai tutto

è perduto, vaga tra le sue diverse ville e si rifiuta di

prendere il mare che lo avrebbe liberato dalla mor-

te, pur condannandolo all’esilio, perché teme il nau-

fragio.

E finirà, qualche ora dopo, sgozzato sulla sua lettiga.

Persino il suo modo di proporsi sembrava contraddi-

re l’efficacia delle sue orazioni: quando cominciava a

parlare era sempre agitato, spesso percorso da tremo-

ri. A volte, quando il clima in Tribunale era troppo ac-

ceso come nel processo contro Milone, sembrava qua-

si vinto dalla sua stessa debolezza e, tremebondo, non

riusciva neppure a controllare la voce.

Eppure questo uomo incarna ancora il potere della

parola di convincere i giudici ed il pubblico, anche

di ciò che è contrario al vero e di trascinare un udi-

torio, facendolo sorridere, ridere, soffrire, piangere.

Il potere della parola di trasformare l’avvocato in uo-

mo politico.

Ma se si fosse limitato alla parola, la sua fama ci sa-

rebbe forse giunta, ma non quale sinonimo dell’orato-

re perfetto.

Come si è detto, sono i suoi scritti, spesso autoelogia-

tivi, a tramandare il mito di se stesso, scritti nei quali

prevale la riflessione sull’oratoria e la retorica, inqua-

drati nella storia dell’eloquenza.

Nel Brutus Cicerone delinea le proprie preferenze sti-

listiche, collocando lo sviluppo della propria eloquen-

za in una dimensione storica, rendendo omaggio a tut-

ti coloro dai quali ha tratto insegnamenti. Ovviamente

si tratta di una storia che tende a dimostrare come lui

ne sia il perfezionamento, almeno momentaneo.

Verso la fine del ’46 A.C. Cicerone scrive l’Orator, in

cui delinea il perfetto oratore, padrone di almeno tre

qualità: il sapere informare il suo pubblico in manie-

ra attendibile (docere), il saperlo allettare con svilup-

pi narrativi gradevoli o con una giocosa scherzosità

(delectari) ed il saperne accendere le diverse passio-

ni (flectere).

Tutto a beneficio dell’uditorio ed in ciò sta la differen-

za tra l’eloquenza ed altre forme espressive, come la

poesia, la filosofia e la storiografia.

Quella dell’avvocato però resta pericolosamente un’ar-

te simile a quella dell’attore, di cui Cicerone temeva di

copiare il clichè o con cui temeva di essere confuso.

D’altra parte il suo amico Roscio, probabilmente il più

grande attore dell’epoca, molto gli aveva insegnato e

lui l’aveva remunerato difendendolo efficacemente

dall’accusa di parricidio.

Consapevole del potere della parola (e non della re-

citazione), Cicerone ama la politica e vi si immerge;

per questo scrive; per questo ragiona in termini filo-

sofici. La parola sembra infatti più nobile quando non

è diretta ad un convincimento strumentale, come lo è

quando la si usa in Tribunale.

Questo l’uomo e il pensatore (la sua riflessione filo-

sofica ha pervaso la dottrina cristiana nel Medioevo)

che, forte delle sue vittorie nei processi più clamorosi

della sua epoca, scala le vette del potere politico.

Male gliene incoglierà. La sua villa sul Palatino vie-

ne rasa al suolo; dalla moglie è costretto a divorziare

e dalla seconda moglie si tiene lontano; verso la fine

della sua vita i debiti sono divenuti ingenti (non pote-

va certo bastare il palmario - il cesto di frutta nasco-

sto sotto una palma-, che costituiva tradizionalmente

l’unico compenso dell’avvocato).

Una vita comunque pienamente vissuta, su cui la rie-

dizione del prezioso volume di Emanuele Narducci,

per i tipi di Laterza (Narducci, Cicerone, La parola e la

politica, prefazione di M. Citroni, p. 1-425, Euro 30,00)

intesse uno splendido arazzo, in cui tutti i protagonisti

di un’epoca tragica per la Repubblica romana ormai

agonizzante, hanno un loro ruolo, esaurientemente e

sapientemente rappresentato.

Cicerone non è il migliore della sua epoca. Anzi. Ma la

sua epoca, così travagliata, finisce per assurgere a pa-

radigma di un periodo storico non dissimile da quello

che stiamo vivendo oggi.

Si parva licet componere magnis.

Lamberto Lambertini

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CIAo mAmmA guArdA Come mI dIVerto

“L’innovazione finanziaria tra necessità e pericoli”, 26 ottobre 2007

“L’innovazione finanziaria tra necessità e pericoli”, 26 ottobre 2007

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CIAo mAmmA guArdA Come mI dIVerto

“L’innovazione finanziaria tra necessità e pericoli”, 26 ottobre 2007

“Quarto capitalismo: la risposta italiana alla crisi”, 29 maggio 2009

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CIAo mAmmA guArdA Come mI dIVerto

“Quarto capitalismo: la risposta italiana alla crisi”, 29 maggio 2009

“Quarto capitalismo: la risposta italiana alla crisi”, 29 maggio 2009

VeronA

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VICenzA

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Contrà Porti, 24, 36100

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romA

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L A M B E RT I N I & A S S O C I AT IStudio Legale

Sabato 12 settembre 2009ore 10:30

Palazzo delle assIcurazIonI GeneralI dI VenezIa

PIazza VenezIa, 11roma

Presiede i lavori

ProF. PIetro rescIGno

Università di Roma La Sapienza

Interventi di

ProF. GIoVannI GaBrIellI

Università di Trieste

ProF. andrea zoPPInI

Università di Roma Tre

ProF. edoardo reVIGlIo

International University College of Turin

ProF. Franco BassanInI

Presidente Cassa Depositi e Prestiti

CONTROLLI NUOVI PER UNA FINANZA RESPONSABILE