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TOLLO CH -VIA FELIZZI – TEL. 0871. 961126-961587 FAX 0871 961126 EMAIL [email protected] – [email protected] WWW.ISTITUTOCOMPRENSIVOTOLLO.IT
CHIC81300T – AM COD. FISC. 80003000694
A. S. 2016/2019
LE BUONE PRASSI PER L'INCLUSIONE
Fernando Pessoa
Le buone prassi per l'inclusione presuppongono molteplici
riflessioni e permettono numerosi approfondimenti. Abbiamo scelto di
soffermarci su alcune questioni terminologiche allo scopo di chiarire
vocaboli e definizioni non sempre utilizzati con piena consapevolezza.
Abbiamo, inoltre, deciso di approfondire l'argomento relativo ai metodi
didattici, considerandoli come i fattori che meglio caratterizzano un
progetto scolastico. Il metodo, infatti, spiega quali relazioni ci siano tra
le tre variabili essenziali del processo didattico (insegnante - allievi -
sapere) e quale lettura si dia di tale processo. I metodi esprimono le
scelte di fondo dell'insegnante, l'adesione a una determinata
interpretazione del processo di insegnamento-apprendimento e
possono, quindi, essere considerati come lo strumento principe
dell'inclusione.
QUESTIONI TERMINOLOGICHE…
…FACCIAMO CHIAREZZA!
COSA SONO LE BUONE PRASSI
Le buone prassi non sono le buone azioni, non sono le azioni migliori:
è piuttosto l’organizzazione che tiene conto della pluralità dei soggetti
e delle loro diversità.
Una buona azione è quella che permette ad un individuo di superare
delle difficoltà dovute ad un deficit, grazie al buon aiuto, alla buona
disponibilità delle persone che incontra; diventa buona prassi quando
questa azione individuale produce la riorganizzazione di un percorso
istituzionale che tiene conto di tutti.
Inserimento
Inserimento indica una presenza fisica ed evidenzia il fatto che si è
superata una prima esclusione fatta di separazione fisica. Pur non
rappresentando un traguardo avanzato, non è certamente un fatto
trascurabile, anche per le nuove conoscenze che permette di
raggiungere. Il fatto di poter interagire con soggetti non esclusi
permette di conoscere in modo nuovo soggetti che in passato erano
individuati unicamente attraverso il parametro della disabilità.
L’inserimento apre una dinamica che non si ferma e che avvia
processi di integrazione.
Integrazione
Integrazione indica l'insieme di processi sociali e culturali che rendono
l'individuo membro di una società. Il concetto di integrazione ha una
pluralità di significati e dimensioni: può essere considerato come
integrazione etico-culturale e politico-costituzionale, ma anche e
soprattutto come processo in grado di favorire il rispetto dell’integrità
della persona, inteso come rispetto dei suoi diritti umani, e la
predisposizione delle condizioni che le consentano di condurre una
buona vita (dal punto di vista personale, sociale, economico e
culturale) e di interagire in modo reciprocamente positivo e pacifico
con gli altri.
Inclusione
Inclusione vuol dire garantire la piena partecipazione e il massimo
sviluppo possibile di tutti i componenti di una comunità. L’Inclusione è
un processo in cui il “farsi carico” di elementi anche disorientanti e
“sofferenti” si fa sociale. È la capacità di accogliere e contenere in
una comunità tutti, attraverso lo scambio reciproco e permanente con
il contesto, l’ambiente e le risorse formali ed informali. Si tratta di dare
a tutti la possibilità, tenendo conto delle diverse caratteristiche sociali,
biologiche o culturali, di sentirsi parte attiva del gruppo di
appartenenza, ma anche di raggiungere il massimo livello possibile
nella realizzazione della personalità. Si tratta di valorizzare le
competenze e le caratteristiche personali e di cercare e creare
sempre forme di partecipazione attiva.
LA SCUOLA DELL'INCLUSIONE
“Va da sé che il tornitore si sforza di lavorare sul pezzo
non riuscito affinché diventi come gli altri pezzi.
Voi invece sapete di poter scartare i pezzi a vostro piacimento….
Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo
tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli
funzionare.”
Don Milani “Lettera a una professoressa”
Una scuola che “include” è una scuola che “pensa” e che “progetta”
tenendo a mente proprio tutti. Una scuola che non si deve muovere
sempre nella condizione di emergenza, in risposta cioè al bisogno di
un alunno con delle specificità che si differenziano da quelle della
maggioranza degli alunni “normali” della scuola. Una scuola inclusiva
è una scuola che si deve muovere sul binario del miglioramento
organizzativo perché nessun alunno sia sentito come non
appartenente, non pensato quindi non accolto.
I METODI DIDATTICI
I metodi sono i fattori che meglio caratterizzano un progetto didattico e
ne costituiscono un settore particolarmente critico. Il metodo, infatti,
spiega quali relazioni ci siano tra le tre variabili essenziali del
processo didattico (insegnante –allievi - sapere) e quale lettura si dia
di tale processo. I metodi esprimono le scelte di fondo dell'insegnante,
l'adesione a una determinata interpretazione del processo di
insegnamento-apprendimento.
Ausubel distingue due dimensioni fondamentali dell’apprendimento:
la prima si riferisce alle modalità di acquisizione dell’informazione,
cioè ai canali attraverso i quali una nuova unità di contenuto perviene
all’individuo.
Questa prima dimensione contrappone due distinti canali di
apprendimento:
- l’apprendimento per scoperta, nel quale il soggetto viene a
diretto contatto con una nuova informazione in modo attivo e
totalmente autonomo;
- l’apprendimento per ricezione, in cui l’informazione già
strutturata viene trasmessa all’individuo direttamente da altri e
quindi recepita in modo passivo.
La seconda dimensione concerne, invece, le modalità di assimilazione
dell’informazione acquisita, cioè le forme in cui una nuova unità di
contenuto viene incorporata all’interno delle precedenti conoscenze
dell’individuo e delle sue strutture di pensiero.
Si distinguono anche in questo caso due forme contrapposte di
apprendimento:
l’apprendimento significativo, in cui la nuova acquisizione viene
efficacemente collegata con l’insieme delle strutture di conoscenza
già in possesso dell’individuo, eventualmente procedendo ad una
loro più articolata riorganizzazione; la nuova acquisizione si integra
in tal modo nella sua struttura cognitiva;
l’apprendimento meccanico, nel quale la nuova acquisizione non
trova alcun collegamento con la struttura cognitiva, viene assimilata
isolatamente, con l’inevitabile conseguenza di dover ricorrere a
procedimenti meramente ripetitivi per memorizzarla.
Ovviamente i due elementi di ciascuna dimensione vanno intesi
come poli estremi di un continuum ricco di sfumature e di
gradazioni diverse.
L'intersecazione delle due diverse dimensioni analizzate da
Ausubel dà luogo ad una matrice a due entrate, nella quale sono
contemplati quattro tipi di apprendimento:
· significativo per scoperta
· significativo per ricezione
· meccanico per scoperta
· meccanico per ricezione
Lo schema concettuale proposto da Ausubel ha il merito di porre in
rilievo due corollari importanti per la messa a punto di adeguate
strategie metodologiche orientate all'apprendimento:
il primo riguarda l'evidente necessità di tenere in costante
considerazione la struttura cognitiva e il bagaglio di conoscenze
ed esperienze del soggetto che apprende, così da fare in modo
che le informazioni che egli acquisisce assumano per lui la
massima significatività e siano efficacemente integrate nella
rete di acquisizioni precedenti.
A questo riguardo Ausubel propone il ricorso ai cosiddetti concetti
organizzatori anticipati, cioè a principi organizzativi da offrire
preliminarmente, all'inizio dell'apprendimento, che forniscano sia
una visione generale della struttura di un certo insieme di contenuti,
sia un quadro di riferimento che consenta successivamente di
collocare e connettere in modo significativo le informazioni che si
stanno via via acquisendo; in secondo luogo, Ausubel,
sottolineando la natura indipendente delle due dimensioni
considerate, ha posto fine a quella concezione, tanto diffusa quanto
ambigua, secondo cui qualsiasi apprendimento per ricezione deve
essere sempre per sua natura meccanico ed ogni apprendimento
per scoperta deve essere a sua volta sempre necessariamente
significativo.
Nella scelta dei metodi i fattori più importanti di cui tenere conto
sono i contenuti (che cosa si deve insegnare) e i destinatari (gli
allievi ai quali ci si rivolge). Si deve, altresì, accertare che ci sia
coerenza tra obiettivi e metodi, tra il tipo di apprendimento
auspicato e le procedure e i processi attivati. Bisogna tenere conto
sia delle risorse umane a disposizione (le conoscenze degli alunni,
le competenze dei docenti, quelle di eventuali esperti, ecc.), sia di
quelle materiali (attrezzature, sussidi). Un insegnamento di qualità
dovrebbe ragionevolmente proporre l’alternarsi di momenti più o
meno direttamente centrati sull’azione dell’insegnante e di momenti
che riconoscono agli allievi spazi di maggiore autonomia. La scelta
dei metodi è frutto di un insieme di valutazioni, che consentono di
volta in volta di scegliere la soluzione migliore rispetto a una
specifica situazione didattica. Alla luce di questo insieme di fattori, i
metodi migliori appaiono quelli che consentono di valorizzare al
massimo le risorse a disposizione e di contenere il peso dei vincoli.
L’effettiva efficacia delle strategie scelte è data, ovviamente, dalla
risposta degli allievi e dalla qualità del loro apprendimento. Così
come la variabile insegnante gioca, anche in questo caso un ruolo
fondamentale, perché il metodo, qualunque esso sia, è interpretato
e animato dall’insegnante.
In campo educativo il metodo (dalla parola greca methodos che
letteralmente significa percorso che conduce oltre) è un insieme
organico di teorie, itinerari e strumenti ai quali ricondursi per
impostare e gestire un processo di insegnamento-apprendimento. I
metodi didattici ai quali un insegnante può fare riferimento sono
molteplici ed essenzialmente sono classificabili in tre grandi
famiglie: i metodi che fanno perno sull’azione diretta
dell’insegnante, quelli che si incentrano sull’azione dell’allievo e
quelli che seguono una via intermedia. Tessaro propone una
interessante schematizzazione distinguendo tra “metodi didattici” e
“tecniche di insegnamento per apprendimenti eccellenti”. Nei primi
sono inclusi la lezione (metodo espositivo), il laboratorio (metodo
operativo), la ricerca sperimentale (metodo investigativo), la
ricerca-azione (metodo euristico - partecipativo), il mastery
learning (metodo individualizzato).
Nelle tecniche di insegnamento per apprendimenti eccellenti
rientrano tecniche (dette anche metodi attivi), che di fatto sono
strategie di apprendimento. Queste tecniche sono collocabili in
quattro grandi aree: tecniche di simulazione che si fondano
sull’assunzione di ruoli, quali ad esempio il role playing nel quale i
soggetti coinvolti recitano a soggetto e nell’impersonare un ruolo
sono sollecitati a mettersi nei panni dell’altro; tecniche di
riproduzione operativa quali dimostrazioni; tecniche di produzione
cooperativa quali il brainstorming che mira a far esprimere il
massimo di idee nell’analizzare un problema, sollecitando gli
interventi personali e il cooperative learning che valorizza
l’interazione sociale.
NELLO SPECIFICO
CI SOFFERMEREMO SU:
Lezione (dal latino Lectio: lett. Lettura)
Indubbiamente il metodo più tradizionale e ancora oggi quello più
utilizzato: consente all’insegnante di presentare i contenuti in un
ordine logico e di delineare quadri di riferimento utili a orientare le
attività di apprendimento degli allievi. Generalmente il termine lezione
fa pensare a una situazione nella quale l’insegnante espone e gli
allievi ascoltano. In realtà le cose non stanno proprio così perché sono
diverse le tipologie di lezioni che si possono collocare in un continuun
che vede sempre un’attiva partecipazione degli allievi. Una nota
classificazione di Tessaro distingue tre tipi di lezione: ex cathedra,
cosiddetta frontale (metodo espositivo), dialogata (metodo
espositivo interrogativo), cooperativa (metodo espositivo
partecipativo). Il metodo espositivo puro è quello nel quale
l’insegnante spiega e gli allievi ascoltano; la comunicazione è
unidirezionale e gli allievi ricevono e decodificano il messaggio del
docente. Il metodo espositivo interrogativo vede l’esposizione del
docente intervallata da sue domande. In questo caso l’insegnante si
avvale del feed-back che gli viene dalle risposte degli allievi per capire
se lo seguono e per intervenire strada facendo rimodulando il suo
intervento. Il metodo espositivo partecipativo consente agli allievi di
intervenire liberamente ponendo domande e giocando un ruolo più
attivo. In ogni caso la lezione deve essere ben progettata: è
auspicabile che si componga di tre parti, una fase iniziale o di innesco,
una centrale e una finale o riepilogativa. La fase iniziale predispone gli
allievi a meglio ricevere il messaggio: deve creare un clima favorevole
curando il loro coinvolgimento e collegando opportunamente quanto
gli studenti già sanno con quanto si intende loro proporre. L’avvio della
lezione è il momento cruciale. La parola chiave è il coinvolgimento. La
fase centrale vede un insieme di azioni del docente e degli allievi:
sviluppo ordinato e coerente; transfer delle conoscenze, stimolo
continuo verso l’obiettivo, uso della ridondanza, rinforzi tematici, feed-
back parziali, conclusioni intermedie, uso degli esempi, uso di mezzi
didattici, partecipazione dello studente. La fase di chiusura prevede il
riassunto e controllo finale, assegnazione di compiti complementari,
presentazione di riferimenti anticipati.
Cooperative Learning (lett. apprendimento cooperativo)
È un metodo nel quale la collaborazione
tra gli studenti è la “variabile significativa”; si tratta di una
metodologia che valorizza l'interazione e sottolinea il ruolo delle
dinamiche relazionali nei processi di sviluppo e di apprendimento.
Apprendere con gli altri e dagli altri: è questo l'obiettivo del
Cooperative Learning. Il metodo promuove competenze cognitive
e socio-relazionali, attraverso la costituzione di piccoli gruppi
eterogenei, la puntuale assegnazione (e rotazione) di ruoli e
compiti tra gli allievi, la sottolineatura della responsabilità
individuale e collettiva. Un elemento distintivo è la compresenza di
due forme di valutazione: individuale e di gruppo.
Mastery Learning (lett. apprendimento per la
padronanza” o “padronanza nell’apprendimento”)
Il Mastery learning
di Block e Bloom è un metodo di individualizzazione
dell’insegnamento che individua i seguenti step:
- definizione operativa degli obiettivi: l’insegnante definisce le
abilità concettuali e operative che gli studenti dovrebbero
raggiungere al termine dell’intervento didattico;
- frazionamento del contenuto in unità significative: si
stabiliscono i livelli intermedi definendo gli obiettivi particolari in
una successione di unità didattiche in grado di promuovere
progressivamente le abilità finali;
- predisposizione delle unità didattiche tenendo conto il più
possibile dello stato di preparazione iniziale degli allievi;
- elaborazione di prove in grado di verificare il raggiungimento o
meno degli obiettivi delle unità didattiche individuate;
- strutturazione di attività integrative e di recupero da proporre
a quegli allievi che non avessero raggiunto ancora livelli
intermedi di abilità nelle singole unità didattiche;
- controllo che gli allievi non affrontino l'unità successiva se non
hanno conquistato il minimo indispensabile di dominio delle
conoscenze e competenze previste dalle unità precedenti.
Tutoring (apprendimento fra pari: lavori a coppie)
Il mutuo insegnamento consiste
nel proporre agli studenti di utilizzare le competenze che
possiedono per insegnarle ai propri compagni. Ognuno è
invitato a elencare quello che sa e che padroneggia in modo
sicuro. Poi si mette alla prova insegnandolo ai compagni:
attraverso questa esperienza si rende conto di quanto conosce
e di quanto è abile nel comunicarlo agli altri. Il peer tutoring è un
metodo basato su un approccio cooperativo dell'apprendimento.
Si lavora in coppie o in piccoli gruppi di pari dove uno è più
esperto e assume il ruolo di insegnante (TUTOR); l’altro, meno
esperto, è colui che deve apprendere (TUTEE). È una struttura
didattica efficace per lo scambio di informazioni e di abilità. La
collaborazione tra alunni attraverso forme di tutoring crea
opportunità straordinarie per l’educazione di tutti gli alunni,
compresi quelli classificati “a rischio” o diversamente abili.
Questo metodo permette un’educazione individualizzata e
persegue degli obiettivi sociali di integrazione. Il termine tutoring
e il suo utilizzo nella scuola sono recenti. L’aiuto reciproco è
riconosciuto come una tecnica di lavoro individualizzato, basata
sulla creazione di situazioni organizzate nella quale vi sia
l’impegno di insegnare ed imparare da parte di alunni che hanno
i ruoli di tutore ed allievo. I ruoli sono scambievoli e possono
favorire lo sviluppo di risorse e potenzialità.
Favorisce la centralità dell'allievo, realizza la sintesi fra sapere e
fare. Gli alunni, aiutati dal docente, trovano nelle pratiche
laboratoriali occasioni per iniziare a chiedersi perché certe
procedure risultino più efficaci di altre, in che modo ottimizzare
tempo, impegno, risorse, come focalizzare i problemi, le
conoscenze e le abilità necessarie a risolverli in relazione agli
obiettivi formativi da raggiungere. La sua particolarità sta nel
proposito di dar vita ad una strategia o ad un piano da
concretizzare attraverso azioni organizzate. Dalla situazione
problematica scaturisce un processo dinamico e costruttivo in
cui l’alunno viene sostenuto dall’insegnante che lo indirizza, lo
sollecita alla scoperta dei percorsi possibili, lo sostiene nella
fatica di affrontare le difficoltà. Gli alunni si trovano a ragionare,
a confrontarsi su compiti reali. Essi sono posti nella condizione
di fare un’esperienza culturale che ne mobilita le capacità e ne
sollecita le potenzialità buone. Il sapere si mostra ad egli come
un oggetto sensibile, una realtà ad un tempo simbolica, affettiva,
pratica ed esplicativa. Ciò comporta la scelta di occasioni e di
compiti che sollecitano lo studente a fare la scoperta personale
del sapere, di rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e
curioso, di condividere con gli altri queste esperienze, di
acquisire un sapere effettivamente personale.
Strategie e tecniche per la memorizzazione
(mnemotecniche)
Il metodo comunemente usato per
imparare a memoria qualcosa è quello della ripetizione che
consiste nel leggere e ripetere continuamente le informazioni
fino ad impararle. Oltre ad essere il sistema meno efficace in
assoluto per la memorizzazione, esso provoca un'insicurezza
che nasce durante l'infanzia e si radica con il tempo; spesso
infatti le informazioni vengono dimenticate in tempi più brevi di
quanto sperato. È esperienza comune studiare intensamente
un argomento con il metodo della ripetizione e accorgersi
qualche mese dopo di non ricordarsi più nulla o quasi.
Perché questo si verifica e come risolvere questo problema?
Memoria a breve, medio e lungo termine
Possiamo individuare tre tipi di memoria diversi che si
differenziano per il periodo di permanenza dell'informazione
acquisita:
memoria a breve termine (o “di lavoro”): acquisisce dati che
rimangono a disposizione per un tempo compreso fra pochi
secondi e due settimane circa;
memoria a medio termine: tra due settimane e un anno;
memoria a lungo termine: dati che possono rimanere a
disposizione per tutta la vita.
Perché un'informazione si colloca in un tipo di memoria
piuttosto che in un altro?
Possiamo pensare ai tre tipi di memoria come a tre contenitori
distinti. Quando si acquisisce un'informazione nuova, essa si
colloca nella memoria a breve termine e, se non viene più
ripresa, è destinata ad essere dimenticata; utilizzandola
invece in maniera cosciente almeno una volta, essa si sposta
nella memoria a medio termine; se infine si utilizza questa
informazione varie volte, questa viene trasferita nella memoria
a lungo termine.
Sfruttare i meccanismi naturali del cervello
Rispetto a quello a breve e a medio termine, il processo di
memorizzazione a lungo termine coinvolge una più ampia area
cerebrale e attua dei processi biochimici differenti. Il periodo
di permanenza dell'informazione è proporzionale alla
vastità dell'area cerebrale attivata. Esistono particolari
condizioni che permettono al cervello di eseguire questi
processi in modo diretto e di saltare quindi la fase di
memorizzazione a breve e a medio termine collocando
direttamente l'informazione nella memoria a lungo termine.
Compito delle mnemotecniche è di creare artificialmente queste
condizioni e di sfruttare i meccanismi naturali che il
cervello possiede per la memorizzazione delle informazioni. In
altre parole, ciò che differenzia la ripetizione dalle
mnemotecniche più accreditate sta nelle differenti risorse
messe a disposizione del cervello che vengono sfruttate.
Ovviamente quelle utilizzate dalle tecniche di memorizzazione
sono più efficaci.
Principio di memorizzazione delle circostanze
Durante una corretta memorizzazione che porta
un'informazione nella memoria a lungo termine si verificano
reazioni biochimiche differenti dagli altri due tipi. Questo
provoca un fenomeno di particolare importanza per il
funzionamento delle mnemotecniche. Se pensiamo al momento
in cui ci è stata data una notizia molto triste come la morte di
una persona cara, ci accorgiamo di poter ricordare bene anche
il luogo in cui eravamo, cosa stavamo facendo e cose simili.
Questo si verifica perché il cervello deposita in memoria,
insieme all'informazione principale, tutto ciò che percepisce
nello stesso momento e che risulta rilevante.
Le immagini
Il concetto fondamentale su cui sono state costruite le
mnemotecniche è che il cervello ricorda meglio le immagini di
qualsiasi altra cosa. In media l'80% delle informazioni contenute
nella memoria sono di tipo visivo; il restante 20% viene spartito
fra gli altri input sensoriali in ordine: udito, tatto, gusto, olfatto.
La prima cosa da fare quindi, è trasformare ogni cosa, dai
concetti astratti a quelli concreti, in materiale visivo più
facilmente memorizzabile.
Reale e immaginario
Quando vogliamo trasformare la parola "albero" in un'immagine
non abbiamo bisogno di vedere concretamente una pianta ai
fini della memorizzazione. Ci avvarremo delle immagini mentali,
quelle cioè create dal cervello sulla base di informazioni
preesistenti collocate nella memoria. In altre parole per
memorizzare un albero dobbiamo immaginarlo; il cervello infatti
reagisce nello stesso modo sia per le immagini reali sia per
quelle mentali. D'altronde questo non è così lontano dal senso
comune: quando abbiamo un incubo, il battito cardiaco diventa
più veloce e viene rilasciata adrenalina; quando pensiamo al
cibo la salivazione aumenta e lo stomaco attiva la secrezione
dei succhi gastrici. Le immagini mentali quindi, come quelle
reali, creano risposte neurofisiologiche e sono per questo
adatte alla memorizzazione.
E mai ce ne dimenticheremo…
A questo punto abbiamo compreso
che, per depositare un'informazione nella memoria a lungo
termine con facilità, è necessario trasformarla in un'immagine
mentale che viene utilizzata semplicemente come un mezzo.
Non abbiamo però ancora parlato delle "condizioni" necessarie
per l'attivazione dei processi biochimici che determinano la
memorizzazione a lungo termine citate nel paragrafo sfruttando
i meccanismi naturali del cervello; un'immagine infatti è
un'informazione come un'altra ed è quindi soggetta ai
meccanismi che abbiamo visto precedentemente: la prima volta
che viene acquisita viene depositata nella memoria a breve
termine. Esistono quattro elementi che, se aggiunti alle nostre
immagini, permettono di scavalcare questa regola:
esagerazione;
movimento;
associazioni insolite;
coinvolgimento emotivo.
Per tenerli a mente, il noto saggista e mnemonista italiano
Gianni Golfera suggerisce l'acronimo "E MAI CE ne
dimenticheremo" dove le lettere maiuscole rappresentano le
iniziali delle quattro condizioni (E sta per "esagerazione", AI per
"associazioni insolite" etc). Quando tutti questi elementi sono
presenti, l'immagine (e l'informazione ad essa associata) viene
collocata nella memoria a lungo termine; nel caso ne manchi
anche solo uno, essa si colloca nella memoria a medio termine.
Analizziamo ora le quattro condizioni singolarmente.
Esagerazione
L'esagerazione consiste nell'immaginare oggetti dalle misure e
caratteristiche sproporzionate. Quando vediamo una persona di
250Kg o un uomo alto due metri e mezzo la nostra attenzione
viene stimolata e ciò che ne risulta è un sostanziale incremento
dell'attività celebrale che ne facilita la memorizzazione.
Movimento
L'evoluzione ha insegnato al cervello ad indirizzare la propria
attenzione verso gli oggetti in movimento. Se pensiamo ad un
parcheggio con dieci macchine ferme ed una che si sposta, il
nostro sguardo sarà focalizzato sull'unica macchina col motore
acceso. Questa caratteristica è vitale per gli esseri viventi
perché permette di percepire e valutare i pericoli molto più
efficacemente. Come per l'esagerazione, l'attenzione sviluppata
dal movimento aumenta l'area celebrale attivata e il periodo di
permanenza dell'informazione.
Associazioni insolite
Un'associazione insolita si ottiene avvicinando due oggetti o
situazioni che appartengono a contesti diversi; per esempio un
uomo con un serpente al posto della lingua o un cane con la
coda sul muso. Entrambe queste immagini risultano "strane"
per il cervello che fissa l'attenzione su di esse per ottenere
informazioni e gestire eventuali pericoli. Questo provoca
conseguenze simili a quelle viste sia per l'esagerazione sia per
il movimento.
Coinvolgimento emotivo
Questo è forse il meccanismo più potente che si può sfruttare
per una memorizzazione a lungo termine. Quando il
coinvolgimento emotivo che accompagna una notizia è
abbastanza forte, esso basta per ricordare l'informazione per
moltissimo tempo. Purtroppo è particolarmente difficile ricreare
artificialmente coinvolgimenti di tale portata solo con l'utilizzo
delle immagini e quindi, per i nostri scopi, questo elemento sarà
messo sullo stesso piano degli altri tre. Il coinvolgimento
emotivo si può ottenere rendendo persone, oggetti e situazioni
familiari protagonisti delle nostre immagini mentali.
CONCLUSIONI
Per trasferire un'informazione nella memoria a lungo termine è
necessario associarla ad un'immagine mentale concreta avente
caratteristiche di esagerazione, movimento, associazione
insolita e coinvolgimento emotivo. Quest'ultimo si crea
rappresentando situazioni, persone ed oggetti familiari.
L'informazione, insieme alle circostanze ad essa legate, viene
collocata nella memoria a lungo termine utilizzando l'immagine
mentale come “mezzo di trasporto”.
Bibliografia di riferimento
DAVID AUSUBEL, Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 2004.
GENOVESE L., Insegnare e apprendere. Temi e problemi della didattica, Monolite editrice, Roma, 2008.
TESSARO F., Metodologia e didattica dell'insegnamento secondario, Armando, Roma, 2002.