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TOLLO CH -VIA FELIZZI TEL. 0871. 961126-961587 FAX 0871 961126 EMAIL CHIC81300T@ISTRUZIONE.IT CHIC81300T@PEC.ISTRUZIONE. IT WWW.ISTITUTOCOMPRENSIVOTOLLO. IT CHIC81300T AM COD. FISC. 80003000694 A. S. 2016/2019 L E BUONE PRASSI PER L 'INCLUSIONE Fernando Pessoa Le buone prassi per l'inclusione presuppongono molteplici riflessioni e permettono numerosi approfondimenti. Abbiamo scelto di soffermarci su alcune questioni terminologiche allo scopo di chiarire vocaboli e definizioni non sempre utilizzati con piena consapevolezza. Abbiamo, inoltre, deciso di approfondire l'argomento relativo ai metodi didattici, considerandoli come i fattori che meglio caratterizzano un progetto scolastico. Il metodo, infatti, spiega quali relazioni ci siano tra le tre variabili essenziali del processo didattico (insegnante - allievi - sapere) e quale lettura si dia di tale processo. I metodi esprimono le scelte di fondo dell'insegnante, l'adesione a una determinata interpretazione del processo di insegnamento-apprendimento e possono, quindi, essere considerati come lo strumento principe dell'inclusione.

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Page 1: LE BUONE PRASSI PER L'INCLUSIONE · LE BUONE PRASSI PER L'INCLUSIONE Fernando Pessoa Le buone prassi per l'inclusione presuppongono molteplici riflessioni e permettono numerosi approfondimenti

TOLLO CH -VIA FELIZZI – TEL. 0871. 961126-961587 FAX 0871 961126 EMAIL [email protected][email protected] WWW.ISTITUTOCOMPRENSIVOTOLLO.IT

CHIC81300T – AM COD. FISC. 80003000694

A. S. 2016/2019

LE BUONE PRASSI PER L'INCLUSIONE

Fernando Pessoa

Le buone prassi per l'inclusione presuppongono molteplici

riflessioni e permettono numerosi approfondimenti. Abbiamo scelto di

soffermarci su alcune questioni terminologiche allo scopo di chiarire

vocaboli e definizioni non sempre utilizzati con piena consapevolezza.

Abbiamo, inoltre, deciso di approfondire l'argomento relativo ai metodi

didattici, considerandoli come i fattori che meglio caratterizzano un

progetto scolastico. Il metodo, infatti, spiega quali relazioni ci siano tra

le tre variabili essenziali del processo didattico (insegnante - allievi -

sapere) e quale lettura si dia di tale processo. I metodi esprimono le

scelte di fondo dell'insegnante, l'adesione a una determinata

interpretazione del processo di insegnamento-apprendimento e

possono, quindi, essere considerati come lo strumento principe

dell'inclusione.

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QUESTIONI TERMINOLOGICHE…

…FACCIAMO CHIAREZZA!

COSA SONO LE BUONE PRASSI

Le buone prassi non sono le buone azioni, non sono le azioni migliori:

è piuttosto l’organizzazione che tiene conto della pluralità dei soggetti

e delle loro diversità.

Una buona azione è quella che permette ad un individuo di superare

delle difficoltà dovute ad un deficit, grazie al buon aiuto, alla buona

disponibilità delle persone che incontra; diventa buona prassi quando

questa azione individuale produce la riorganizzazione di un percorso

istituzionale che tiene conto di tutti.

Inserimento

Inserimento indica una presenza fisica ed evidenzia il fatto che si è

superata una prima esclusione fatta di separazione fisica. Pur non

rappresentando un traguardo avanzato, non è certamente un fatto

trascurabile, anche per le nuove conoscenze che permette di

raggiungere. Il fatto di poter interagire con soggetti non esclusi

permette di conoscere in modo nuovo soggetti che in passato erano

individuati unicamente attraverso il parametro della disabilità.

L’inserimento apre una dinamica che non si ferma e che avvia

processi di integrazione.

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Integrazione

Integrazione indica l'insieme di processi sociali e culturali che rendono

l'individuo membro di una società. Il concetto di integrazione ha una

pluralità di significati e dimensioni: può essere considerato come

integrazione etico-culturale e politico-costituzionale, ma anche e

soprattutto come processo in grado di favorire il rispetto dell’integrità

della persona, inteso come rispetto dei suoi diritti umani, e la

predisposizione delle condizioni che le consentano di condurre una

buona vita (dal punto di vista personale, sociale, economico e

culturale) e di interagire in modo reciprocamente positivo e pacifico

con gli altri.

Inclusione

Inclusione vuol dire garantire la piena partecipazione e il massimo

sviluppo possibile di tutti i componenti di una comunità. L’Inclusione è

un processo in cui il “farsi carico” di elementi anche disorientanti e

“sofferenti” si fa sociale. È la capacità di accogliere e contenere in

una comunità tutti, attraverso lo scambio reciproco e permanente con

il contesto, l’ambiente e le risorse formali ed informali. Si tratta di dare

a tutti la possibilità, tenendo conto delle diverse caratteristiche sociali,

biologiche o culturali, di sentirsi parte attiva del gruppo di

appartenenza, ma anche di raggiungere il massimo livello possibile

nella realizzazione della personalità. Si tratta di valorizzare le

competenze e le caratteristiche personali e di cercare e creare

sempre forme di partecipazione attiva.

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LA SCUOLA DELL'INCLUSIONE

“Va da sé che il tornitore si sforza di lavorare sul pezzo

non riuscito affinché diventi come gli altri pezzi.

Voi invece sapete di poter scartare i pezzi a vostro piacimento….

Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo

tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli

funzionare.”

Don Milani “Lettera a una professoressa”

Una scuola che “include” è una scuola che “pensa” e che “progetta”

tenendo a mente proprio tutti. Una scuola che non si deve muovere

sempre nella condizione di emergenza, in risposta cioè al bisogno di

un alunno con delle specificità che si differenziano da quelle della

maggioranza degli alunni “normali” della scuola. Una scuola inclusiva

è una scuola che si deve muovere sul binario del miglioramento

organizzativo perché nessun alunno sia sentito come non

appartenente, non pensato quindi non accolto.

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I METODI DIDATTICI

I metodi sono i fattori che meglio caratterizzano un progetto didattico e

ne costituiscono un settore particolarmente critico. Il metodo, infatti,

spiega quali relazioni ci siano tra le tre variabili essenziali del

processo didattico (insegnante –allievi - sapere) e quale lettura si dia

di tale processo. I metodi esprimono le scelte di fondo dell'insegnante,

l'adesione a una determinata interpretazione del processo di

insegnamento-apprendimento.

Ausubel distingue due dimensioni fondamentali dell’apprendimento:

la prima si riferisce alle modalità di acquisizione dell’informazione,

cioè ai canali attraverso i quali una nuova unità di contenuto perviene

all’individuo.

Questa prima dimensione contrappone due distinti canali di

apprendimento:

- l’apprendimento per scoperta, nel quale il soggetto viene a

diretto contatto con una nuova informazione in modo attivo e

totalmente autonomo;

- l’apprendimento per ricezione, in cui l’informazione già

strutturata viene trasmessa all’individuo direttamente da altri e

quindi recepita in modo passivo.

La seconda dimensione concerne, invece, le modalità di assimilazione

dell’informazione acquisita, cioè le forme in cui una nuova unità di

contenuto viene incorporata all’interno delle precedenti conoscenze

dell’individuo e delle sue strutture di pensiero.

Si distinguono anche in questo caso due forme contrapposte di

apprendimento:

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l’apprendimento significativo, in cui la nuova acquisizione viene

efficacemente collegata con l’insieme delle strutture di conoscenza

già in possesso dell’individuo, eventualmente procedendo ad una

loro più articolata riorganizzazione; la nuova acquisizione si integra

in tal modo nella sua struttura cognitiva;

l’apprendimento meccanico, nel quale la nuova acquisizione non

trova alcun collegamento con la struttura cognitiva, viene assimilata

isolatamente, con l’inevitabile conseguenza di dover ricorrere a

procedimenti meramente ripetitivi per memorizzarla.

Ovviamente i due elementi di ciascuna dimensione vanno intesi

come poli estremi di un continuum ricco di sfumature e di

gradazioni diverse.

L'intersecazione delle due diverse dimensioni analizzate da

Ausubel dà luogo ad una matrice a due entrate, nella quale sono

contemplati quattro tipi di apprendimento:

· significativo per scoperta

· significativo per ricezione

· meccanico per scoperta

· meccanico per ricezione

Lo schema concettuale proposto da Ausubel ha il merito di porre in

rilievo due corollari importanti per la messa a punto di adeguate

strategie metodologiche orientate all'apprendimento:

il primo riguarda l'evidente necessità di tenere in costante

considerazione la struttura cognitiva e il bagaglio di conoscenze

ed esperienze del soggetto che apprende, così da fare in modo

che le informazioni che egli acquisisce assumano per lui la

massima significatività e siano efficacemente integrate nella

rete di acquisizioni precedenti.

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A questo riguardo Ausubel propone il ricorso ai cosiddetti concetti

organizzatori anticipati, cioè a principi organizzativi da offrire

preliminarmente, all'inizio dell'apprendimento, che forniscano sia

una visione generale della struttura di un certo insieme di contenuti,

sia un quadro di riferimento che consenta successivamente di

collocare e connettere in modo significativo le informazioni che si

stanno via via acquisendo; in secondo luogo, Ausubel,

sottolineando la natura indipendente delle due dimensioni

considerate, ha posto fine a quella concezione, tanto diffusa quanto

ambigua, secondo cui qualsiasi apprendimento per ricezione deve

essere sempre per sua natura meccanico ed ogni apprendimento

per scoperta deve essere a sua volta sempre necessariamente

significativo.

Nella scelta dei metodi i fattori più importanti di cui tenere conto

sono i contenuti (che cosa si deve insegnare) e i destinatari (gli

allievi ai quali ci si rivolge). Si deve, altresì, accertare che ci sia

coerenza tra obiettivi e metodi, tra il tipo di apprendimento

auspicato e le procedure e i processi attivati. Bisogna tenere conto

sia delle risorse umane a disposizione (le conoscenze degli alunni,

le competenze dei docenti, quelle di eventuali esperti, ecc.), sia di

quelle materiali (attrezzature, sussidi). Un insegnamento di qualità

dovrebbe ragionevolmente proporre l’alternarsi di momenti più o

meno direttamente centrati sull’azione dell’insegnante e di momenti

che riconoscono agli allievi spazi di maggiore autonomia. La scelta

dei metodi è frutto di un insieme di valutazioni, che consentono di

volta in volta di scegliere la soluzione migliore rispetto a una

specifica situazione didattica. Alla luce di questo insieme di fattori, i

metodi migliori appaiono quelli che consentono di valorizzare al

massimo le risorse a disposizione e di contenere il peso dei vincoli.

L’effettiva efficacia delle strategie scelte è data, ovviamente, dalla

risposta degli allievi e dalla qualità del loro apprendimento. Così

come la variabile insegnante gioca, anche in questo caso un ruolo

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fondamentale, perché il metodo, qualunque esso sia, è interpretato

e animato dall’insegnante.

In campo educativo il metodo (dalla parola greca methodos che

letteralmente significa percorso che conduce oltre) è un insieme

organico di teorie, itinerari e strumenti ai quali ricondursi per

impostare e gestire un processo di insegnamento-apprendimento. I

metodi didattici ai quali un insegnante può fare riferimento sono

molteplici ed essenzialmente sono classificabili in tre grandi

famiglie: i metodi che fanno perno sull’azione diretta

dell’insegnante, quelli che si incentrano sull’azione dell’allievo e

quelli che seguono una via intermedia. Tessaro propone una

interessante schematizzazione distinguendo tra “metodi didattici” e

“tecniche di insegnamento per apprendimenti eccellenti”. Nei primi

sono inclusi la lezione (metodo espositivo), il laboratorio (metodo

operativo), la ricerca sperimentale (metodo investigativo), la

ricerca-azione (metodo euristico - partecipativo), il mastery

learning (metodo individualizzato).

Nelle tecniche di insegnamento per apprendimenti eccellenti

rientrano tecniche (dette anche metodi attivi), che di fatto sono

strategie di apprendimento. Queste tecniche sono collocabili in

quattro grandi aree: tecniche di simulazione che si fondano

sull’assunzione di ruoli, quali ad esempio il role playing nel quale i

soggetti coinvolti recitano a soggetto e nell’impersonare un ruolo

sono sollecitati a mettersi nei panni dell’altro; tecniche di

riproduzione operativa quali dimostrazioni; tecniche di produzione

cooperativa quali il brainstorming che mira a far esprimere il

massimo di idee nell’analizzare un problema, sollecitando gli

interventi personali e il cooperative learning che valorizza

l’interazione sociale.

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NELLO SPECIFICO

CI SOFFERMEREMO SU:

Lezione (dal latino Lectio: lett. Lettura)

Indubbiamente il metodo più tradizionale e ancora oggi quello più

utilizzato: consente all’insegnante di presentare i contenuti in un

ordine logico e di delineare quadri di riferimento utili a orientare le

attività di apprendimento degli allievi. Generalmente il termine lezione

fa pensare a una situazione nella quale l’insegnante espone e gli

allievi ascoltano. In realtà le cose non stanno proprio così perché sono

diverse le tipologie di lezioni che si possono collocare in un continuun

che vede sempre un’attiva partecipazione degli allievi. Una nota

classificazione di Tessaro distingue tre tipi di lezione: ex cathedra,

cosiddetta frontale (metodo espositivo), dialogata (metodo

espositivo interrogativo), cooperativa (metodo espositivo

partecipativo). Il metodo espositivo puro è quello nel quale

l’insegnante spiega e gli allievi ascoltano; la comunicazione è

unidirezionale e gli allievi ricevono e decodificano il messaggio del

docente. Il metodo espositivo interrogativo vede l’esposizione del

docente intervallata da sue domande. In questo caso l’insegnante si

avvale del feed-back che gli viene dalle risposte degli allievi per capire

se lo seguono e per intervenire strada facendo rimodulando il suo

intervento. Il metodo espositivo partecipativo consente agli allievi di

intervenire liberamente ponendo domande e giocando un ruolo più

attivo. In ogni caso la lezione deve essere ben progettata: è

auspicabile che si componga di tre parti, una fase iniziale o di innesco,

una centrale e una finale o riepilogativa. La fase iniziale predispone gli

allievi a meglio ricevere il messaggio: deve creare un clima favorevole

curando il loro coinvolgimento e collegando opportunamente quanto

gli studenti già sanno con quanto si intende loro proporre. L’avvio della

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lezione è il momento cruciale. La parola chiave è il coinvolgimento. La

fase centrale vede un insieme di azioni del docente e degli allievi:

sviluppo ordinato e coerente; transfer delle conoscenze, stimolo

continuo verso l’obiettivo, uso della ridondanza, rinforzi tematici, feed-

back parziali, conclusioni intermedie, uso degli esempi, uso di mezzi

didattici, partecipazione dello studente. La fase di chiusura prevede il

riassunto e controllo finale, assegnazione di compiti complementari,

presentazione di riferimenti anticipati.

Cooperative Learning (lett. apprendimento cooperativo)

È un metodo nel quale la collaborazione

tra gli studenti è la “variabile significativa”; si tratta di una

metodologia che valorizza l'interazione e sottolinea il ruolo delle

dinamiche relazionali nei processi di sviluppo e di apprendimento.

Apprendere con gli altri e dagli altri: è questo l'obiettivo del

Cooperative Learning. Il metodo promuove competenze cognitive

e socio-relazionali, attraverso la costituzione di piccoli gruppi

eterogenei, la puntuale assegnazione (e rotazione) di ruoli e

compiti tra gli allievi, la sottolineatura della responsabilità

individuale e collettiva. Un elemento distintivo è la compresenza di

due forme di valutazione: individuale e di gruppo.

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Mastery Learning (lett. apprendimento per la

padronanza” o “padronanza nell’apprendimento”)

Il Mastery learning

di Block e Bloom è un metodo di individualizzazione

dell’insegnamento che individua i seguenti step:

- definizione operativa degli obiettivi: l’insegnante definisce le

abilità concettuali e operative che gli studenti dovrebbero

raggiungere al termine dell’intervento didattico;

- frazionamento del contenuto in unità significative: si

stabiliscono i livelli intermedi definendo gli obiettivi particolari in

una successione di unità didattiche in grado di promuovere

progressivamente le abilità finali;

- predisposizione delle unità didattiche tenendo conto il più

possibile dello stato di preparazione iniziale degli allievi;

- elaborazione di prove in grado di verificare il raggiungimento o

meno degli obiettivi delle unità didattiche individuate;

- strutturazione di attività integrative e di recupero da proporre

a quegli allievi che non avessero raggiunto ancora livelli

intermedi di abilità nelle singole unità didattiche;

- controllo che gli allievi non affrontino l'unità successiva se non

hanno conquistato il minimo indispensabile di dominio delle

conoscenze e competenze previste dalle unità precedenti.

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Tutoring (apprendimento fra pari: lavori a coppie)

Il mutuo insegnamento consiste

nel proporre agli studenti di utilizzare le competenze che

possiedono per insegnarle ai propri compagni. Ognuno è

invitato a elencare quello che sa e che padroneggia in modo

sicuro. Poi si mette alla prova insegnandolo ai compagni:

attraverso questa esperienza si rende conto di quanto conosce

e di quanto è abile nel comunicarlo agli altri. Il peer tutoring è un

metodo basato su un approccio cooperativo dell'apprendimento.

Si lavora in coppie o in piccoli gruppi di pari dove uno è più

esperto e assume il ruolo di insegnante (TUTOR); l’altro, meno

esperto, è colui che deve apprendere (TUTEE). È una struttura

didattica efficace per lo scambio di informazioni e di abilità. La

collaborazione tra alunni attraverso forme di tutoring crea

opportunità straordinarie per l’educazione di tutti gli alunni,

compresi quelli classificati “a rischio” o diversamente abili.

Questo metodo permette un’educazione individualizzata e

persegue degli obiettivi sociali di integrazione. Il termine tutoring

e il suo utilizzo nella scuola sono recenti. L’aiuto reciproco è

riconosciuto come una tecnica di lavoro individualizzato, basata

sulla creazione di situazioni organizzate nella quale vi sia

l’impegno di insegnare ed imparare da parte di alunni che hanno

i ruoli di tutore ed allievo. I ruoli sono scambievoli e possono

favorire lo sviluppo di risorse e potenzialità.

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Favorisce la centralità dell'allievo, realizza la sintesi fra sapere e

fare. Gli alunni, aiutati dal docente, trovano nelle pratiche

laboratoriali occasioni per iniziare a chiedersi perché certe

procedure risultino più efficaci di altre, in che modo ottimizzare

tempo, impegno, risorse, come focalizzare i problemi, le

conoscenze e le abilità necessarie a risolverli in relazione agli

obiettivi formativi da raggiungere. La sua particolarità sta nel

proposito di dar vita ad una strategia o ad un piano da

concretizzare attraverso azioni organizzate. Dalla situazione

problematica scaturisce un processo dinamico e costruttivo in

cui l’alunno viene sostenuto dall’insegnante che lo indirizza, lo

sollecita alla scoperta dei percorsi possibili, lo sostiene nella

fatica di affrontare le difficoltà. Gli alunni si trovano a ragionare,

a confrontarsi su compiti reali. Essi sono posti nella condizione

di fare un’esperienza culturale che ne mobilita le capacità e ne

sollecita le potenzialità buone. Il sapere si mostra ad egli come

un oggetto sensibile, una realtà ad un tempo simbolica, affettiva,

pratica ed esplicativa. Ciò comporta la scelta di occasioni e di

compiti che sollecitano lo studente a fare la scoperta personale

del sapere, di rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e

curioso, di condividere con gli altri queste esperienze, di

acquisire un sapere effettivamente personale.

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Strategie e tecniche per la memorizzazione

(mnemotecniche)

Il metodo comunemente usato per

imparare a memoria qualcosa è quello della ripetizione che

consiste nel leggere e ripetere continuamente le informazioni

fino ad impararle. Oltre ad essere il sistema meno efficace in

assoluto per la memorizzazione, esso provoca un'insicurezza

che nasce durante l'infanzia e si radica con il tempo; spesso

infatti le informazioni vengono dimenticate in tempi più brevi di

quanto sperato. È esperienza comune studiare intensamente

un argomento con il metodo della ripetizione e accorgersi

qualche mese dopo di non ricordarsi più nulla o quasi.

Perché questo si verifica e come risolvere questo problema?

Memoria a breve, medio e lungo termine

Possiamo individuare tre tipi di memoria diversi che si

differenziano per il periodo di permanenza dell'informazione

acquisita:

memoria a breve termine (o “di lavoro”): acquisisce dati che

rimangono a disposizione per un tempo compreso fra pochi

secondi e due settimane circa;

memoria a medio termine: tra due settimane e un anno;

memoria a lungo termine: dati che possono rimanere a

disposizione per tutta la vita.

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Perché un'informazione si colloca in un tipo di memoria

piuttosto che in un altro?

Possiamo pensare ai tre tipi di memoria come a tre contenitori

distinti. Quando si acquisisce un'informazione nuova, essa si

colloca nella memoria a breve termine e, se non viene più

ripresa, è destinata ad essere dimenticata; utilizzandola

invece in maniera cosciente almeno una volta, essa si sposta

nella memoria a medio termine; se infine si utilizza questa

informazione varie volte, questa viene trasferita nella memoria

a lungo termine.

Sfruttare i meccanismi naturali del cervello

Rispetto a quello a breve e a medio termine, il processo di

memorizzazione a lungo termine coinvolge una più ampia area

cerebrale e attua dei processi biochimici differenti. Il periodo

di permanenza dell'informazione è proporzionale alla

vastità dell'area cerebrale attivata. Esistono particolari

condizioni che permettono al cervello di eseguire questi

processi in modo diretto e di saltare quindi la fase di

memorizzazione a breve e a medio termine collocando

direttamente l'informazione nella memoria a lungo termine.

Compito delle mnemotecniche è di creare artificialmente queste

condizioni e di sfruttare i meccanismi naturali che il

cervello possiede per la memorizzazione delle informazioni. In

altre parole, ciò che differenzia la ripetizione dalle

mnemotecniche più accreditate sta nelle differenti risorse

messe a disposizione del cervello che vengono sfruttate.

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Ovviamente quelle utilizzate dalle tecniche di memorizzazione

sono più efficaci.

Principio di memorizzazione delle circostanze

Durante una corretta memorizzazione che porta

un'informazione nella memoria a lungo termine si verificano

reazioni biochimiche differenti dagli altri due tipi. Questo

provoca un fenomeno di particolare importanza per il

funzionamento delle mnemotecniche. Se pensiamo al momento

in cui ci è stata data una notizia molto triste come la morte di

una persona cara, ci accorgiamo di poter ricordare bene anche

il luogo in cui eravamo, cosa stavamo facendo e cose simili.

Questo si verifica perché il cervello deposita in memoria,

insieme all'informazione principale, tutto ciò che percepisce

nello stesso momento e che risulta rilevante.

Le immagini

Il concetto fondamentale su cui sono state costruite le

mnemotecniche è che il cervello ricorda meglio le immagini di

qualsiasi altra cosa. In media l'80% delle informazioni contenute

nella memoria sono di tipo visivo; il restante 20% viene spartito

fra gli altri input sensoriali in ordine: udito, tatto, gusto, olfatto.

La prima cosa da fare quindi, è trasformare ogni cosa, dai

concetti astratti a quelli concreti, in materiale visivo più

facilmente memorizzabile.

Reale e immaginario

Quando vogliamo trasformare la parola "albero" in un'immagine

non abbiamo bisogno di vedere concretamente una pianta ai

fini della memorizzazione. Ci avvarremo delle immagini mentali,

quelle cioè create dal cervello sulla base di informazioni

preesistenti collocate nella memoria. In altre parole per

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memorizzare un albero dobbiamo immaginarlo; il cervello infatti

reagisce nello stesso modo sia per le immagini reali sia per

quelle mentali. D'altronde questo non è così lontano dal senso

comune: quando abbiamo un incubo, il battito cardiaco diventa

più veloce e viene rilasciata adrenalina; quando pensiamo al

cibo la salivazione aumenta e lo stomaco attiva la secrezione

dei succhi gastrici. Le immagini mentali quindi, come quelle

reali, creano risposte neurofisiologiche e sono per questo

adatte alla memorizzazione.

E mai ce ne dimenticheremo…

A questo punto abbiamo compreso

che, per depositare un'informazione nella memoria a lungo

termine con facilità, è necessario trasformarla in un'immagine

mentale che viene utilizzata semplicemente come un mezzo.

Non abbiamo però ancora parlato delle "condizioni" necessarie

per l'attivazione dei processi biochimici che determinano la

memorizzazione a lungo termine citate nel paragrafo sfruttando

i meccanismi naturali del cervello; un'immagine infatti è

un'informazione come un'altra ed è quindi soggetta ai

meccanismi che abbiamo visto precedentemente: la prima volta

che viene acquisita viene depositata nella memoria a breve

termine. Esistono quattro elementi che, se aggiunti alle nostre

immagini, permettono di scavalcare questa regola:

esagerazione;

movimento;

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associazioni insolite;

coinvolgimento emotivo.

Per tenerli a mente, il noto saggista e mnemonista italiano

Gianni Golfera suggerisce l'acronimo "E MAI CE ne

dimenticheremo" dove le lettere maiuscole rappresentano le

iniziali delle quattro condizioni (E sta per "esagerazione", AI per

"associazioni insolite" etc). Quando tutti questi elementi sono

presenti, l'immagine (e l'informazione ad essa associata) viene

collocata nella memoria a lungo termine; nel caso ne manchi

anche solo uno, essa si colloca nella memoria a medio termine.

Analizziamo ora le quattro condizioni singolarmente.

Esagerazione

L'esagerazione consiste nell'immaginare oggetti dalle misure e

caratteristiche sproporzionate. Quando vediamo una persona di

250Kg o un uomo alto due metri e mezzo la nostra attenzione

viene stimolata e ciò che ne risulta è un sostanziale incremento

dell'attività celebrale che ne facilita la memorizzazione.

Movimento

L'evoluzione ha insegnato al cervello ad indirizzare la propria

attenzione verso gli oggetti in movimento. Se pensiamo ad un

parcheggio con dieci macchine ferme ed una che si sposta, il

nostro sguardo sarà focalizzato sull'unica macchina col motore

acceso. Questa caratteristica è vitale per gli esseri viventi

perché permette di percepire e valutare i pericoli molto più

efficacemente. Come per l'esagerazione, l'attenzione sviluppata

dal movimento aumenta l'area celebrale attivata e il periodo di

permanenza dell'informazione.

Associazioni insolite

Un'associazione insolita si ottiene avvicinando due oggetti o

situazioni che appartengono a contesti diversi; per esempio un

uomo con un serpente al posto della lingua o un cane con la

coda sul muso. Entrambe queste immagini risultano "strane"

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per il cervello che fissa l'attenzione su di esse per ottenere

informazioni e gestire eventuali pericoli. Questo provoca

conseguenze simili a quelle viste sia per l'esagerazione sia per

il movimento.

Coinvolgimento emotivo

Questo è forse il meccanismo più potente che si può sfruttare

per una memorizzazione a lungo termine. Quando il

coinvolgimento emotivo che accompagna una notizia è

abbastanza forte, esso basta per ricordare l'informazione per

moltissimo tempo. Purtroppo è particolarmente difficile ricreare

artificialmente coinvolgimenti di tale portata solo con l'utilizzo

delle immagini e quindi, per i nostri scopi, questo elemento sarà

messo sullo stesso piano degli altri tre. Il coinvolgimento

emotivo si può ottenere rendendo persone, oggetti e situazioni

familiari protagonisti delle nostre immagini mentali.

CONCLUSIONI

Per trasferire un'informazione nella memoria a lungo termine è

necessario associarla ad un'immagine mentale concreta avente

caratteristiche di esagerazione, movimento, associazione

insolita e coinvolgimento emotivo. Quest'ultimo si crea

rappresentando situazioni, persone ed oggetti familiari.

L'informazione, insieme alle circostanze ad essa legate, viene

collocata nella memoria a lungo termine utilizzando l'immagine

mentale come “mezzo di trasporto”.

Bibliografia di riferimento

DAVID AUSUBEL, Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 2004.

GENOVESE L., Insegnare e apprendere. Temi e problemi della didattica, Monolite editrice, Roma, 2008.

TESSARO F., Metodologia e didattica dell'insegnamento secondario, Armando, Roma, 2002.