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di Emilia Senatore Avvocato presso il foro di Nocera Inferiore L’integrazione postuma della motivazione del provvedimento amministrativo fra ordinamento interno e comunitario 14 FEBBRAIO 2018

L’integrazione postuma della motivazione del provvedimento ... · La motivazione nell’atto amministrativo europeo. 3.1. L’orientamento della giurisprudenza comunitaria sull’obbligo

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di Emilia Senatore

Avvocato presso il foro di Nocera Inferiore

L’integrazione postuma della motivazione del provvedimento amministrativo fra ordinamento

interno e comunitario

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L’integrazione postuma della motivazione del provvedimento amministrativo fra

ordinamento interno e comunitario *

di Emilia Senatore Avvocato presso il foro di Nocera Inferiore

Sommario: 1. La tendenza del nostro ordinamento a ridurre il ruolo del principio di legalità a vantaggio di quello di efficienza: l’influenza sulla motivazione del provvedimento amministrativo . 2. Il problema della integrazione postuma della motivazione: l’art. 21 octies, comma 2, della L. n. 241/90 fra innovazione e tradizione. 3. La motivazione nell’atto amministrativo europeo. 3.1. L’orientamento della giurisprudenza comunitaria sull’obbligo della motivazione postuma. 4. I più recenti arresti giurisprudenziali: aggiornamento interno. 5. Per un controllo case by case del giudice amministrativo.

1. La tendenza del nostro ordinamento a ridurre il ruolo del principio di legalità a vantaggio di

quello di efficienza: l’influenza sulla motivazione del provvedimento amministrativo.

Negli ultimi anni, l’evoluzione del diritto ha portato ad un processo di dequotazione del principio di

legalità1 in favore della logica di risultato2. Il rigore delle forme tipiche, espressione del potere pubblico

sta, lentamente, lasciando spazio alla correttezza sostanziale degli atti amministrativi. La legalità, intesa

come espressione delle forme tipiche, è protezione e tutela del cittadino e la formalità dell’atto postula

che nello stesso debba essere espressa una valida motivazione. Il diritto si estrinseca nel mondo esteriore

attraverso la forma giuridica e la motivazione trasforma l’arbitro del potere in garanzia 3. Tuttavia, anche

se l’evoluzione giuridica porta ad allontanarsi dal modello dell’amministrazione “legale”, la funzione di

* Articolo sottoposto a referaggio. 1 Cfr. A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati, 2004, Torino; L. Iannotta, Principio di legalità e amministrazione di risultato, in C. Pinelli (a cura di), Amministrazione e legalità. Fonti normative e ordinamenti, 2000, Torino. 2 Cfr. B. Ponti, Amministrazione di risultato, indirizzo politico amministrativo e dirigenza, in F. Merloni, A. Pioggia, R. Segatori, L'amministrazione sta cambiando? Una verifica dell'effettività dell'innovazione nella pubblica amministrazione, 2007, Milano, 148; S. Cassese, Che cosa vuol dire “amministrazione di risultati”?, in Giorn. dir. amm., 2004, 941 ss.; M. Cammelli, Amministrazione di risultato, e G. Corso, Amministrazione di risultati, entrambi in Annuario dell'Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, 2002, Milano, rispettivamente 107 ss. e 127 ss.; A. Romano Tassone, Sulla formula “amministrazione per risultati”, in Scritti in onore di E. Casetta, II, 2001, Napoli, 813 ss.; M.R. Spasiano, Funzione amministrativa e legalità di risultato, 2004, Torino. 3 Cfr. U. Allegretti. A. Orsi Battaglini, D. Sorace (a cura di), Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, Rimini, Maggioli, 1987, II, 234 ss.; F. Ledda, Dal principio di legalità al principio di infallibilità dell'amministrazione. Note sul progetto della Commissione «bicamerale», in Foro Amm., 1997, 3303; A. Falzea, Forma e sostanza nel sistema culturale del diritto, in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, vol. I, Teoria generale del diritto, Milano, Giuffrè, 1999, passim; S. Cognetti, Profili sostanziali della legalità amministrativa, Milano, Giuffrè, 1993, passim.

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valore alla quale assolve la forma non può essere giammai sacrificata, neppure in un ordinamento

improntato alla cultura del risultato, quale quello attuale4.

L’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi5, oltre a realizzare la conoscibilità e la trasparenza

dell’azione amministrativa, permette al giudice di controllare la legittimità della decisione e di fornire

all’interessato le indicazioni sufficienti per stabilire se la stessa sia fondata o inficiata da un vizio. In via

di principio, dunque, ne deriva che la motivazione deve essere comunicata al soggetto interessato

contestualmente all’adozione del provvedimento amministrativo e che la mancanza di motivazione non

può essere sanata attraverso la conoscenza dei motivi della decisione nel corso di un procedimento

giurisdizionale6.

Tale principio generale, espressione senz’altro dei principi costituzionali nazionali in materia di pubblica

amministrazione7, è proprio anche della normativa europea, richiamata anche dall’art.1 della L. n.241/90.

La stessa Corte di giustizia europea, peraltro, ha più volte stabilito nelle sue sentenze che sussiste l’obbligo

di motivazione dell’atto amministrativo e il divieto di integrazione della stessa in sede processuale.

Ciò posto, sussisterebbe una palese contraddizione tra l’art. 21 octies della L.241/90, che consentirebbe

l’integrazione della motivazione in sede processuale , e l’art. 1 della stessa legge, che invece impone la

contestualità della motivazione all’adozione del provvedimento amministrativo8. L’apparente

contraddizione di queste due disposizioni, che sviluppano principi opposti, comporterebbe una totale

rivalsa della sostanza procedimentale sulla forma provvedimentale. Tuttavia, com’è noto, non tutte le

violazioni sulla forma o sulle norme sul procedimento amministrativo meritano una stessa reazione da

4 Cfr. M. De Donno, Riflessioni sulla “motivazione in diritto” del provvedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., fasc. 3, 2013, 629. 5 Cfr. C. Jaccarino, Studi sulla motivazione (con speciale riguardo agli atti amministrativi), Roma, 1933, passim. Si rinvia anche ai seguenti studi monografici: M. Rivalta, La motivazione degli atti amministrativi, in relazione al pubblico e privato interesse, Milano, 1960 e R. Juso, Motivi e motivazioni nel provvedimento amministrativo, Milano, 1963. Ex multis, M. S. Giannini, Motivazione dell'atto amministrativo, in Enciclopedia del diritto, XXVIII, Milano, 1977, 263; A. Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, 1987, 9; Motivazione nel diritto amministrativo, in Dig. Disc. Pubb., Appendice, XIII, Torino, 1997, 687; R. Scarciglia, La motivazione dell'atto amministrativo, Profili ricostruttivi e analisi comparatistica, Milano, 1999, passim; G. Corso, Motivazione dell'atto amministrativo, in Enciclopedia del diritto (V aggiornamento), Milano, 2001; B. G. Mattarella, Il provvedimento, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di Sabino Cassese, Milano, 2005, 867, nonché R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 251 e 275. 6 Cfr. C. cost., 5 novembre 2010, n. 310, punto 6.1 delle considerazioni in diritto: “L’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi… è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi, la trasparenza dell’azione amministrativa. Esso è radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto da un lato, costituisce il corollario dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, e dall’altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale”, in www.giurcost.org/decisioni/2010/0310s-10.htm. 7 Cfr. F. Castillo, La generalizzazione dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi, in Cons. St., 1992, vol. II, 1537; G. Miele, L’obbligo di motivazione degli atti amministrativi, in Foro Amm. It., 1942, 9 e ss. 8 Cfr. I. Rossi, La motivazione del provvedimento amministrativo: evoluzione storica dell’istituto, sua disciplina positiva e possibilità di integrazione postuma, in www.ildirittoamministrativo.it.

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parte dell’ordinamento giuridico9. L’ordinamento, infatti, sanziona con l’invalidità un atto allorquando vi

sia un interesse da tutelare10, viceversa introduce l’istituto della irregolarità 11.

La riflessione che segue mira a verificare se la crisi della legalità ed il depotenziamento della forma possano

determinare l’ammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione e se sono ammissibili in giudizio

nuove ragioni rispetto a quelle enucleate nella motivazione dell’impugnato provvedimento, anche alla

luce del dettato comunitario, atteso l’intenso ed attuale divario nella giurisprudenza tra concezioni

garantiste12 e concezioni riduzioniste13 della motivazione del provvedimento amministrativo14.

2. Il problema della integrazione postuma della motivazione : l’art. 21 octies, comma 2, della L.

n. 241/90 fra innovazione e tradizione.

Sino all'emanazione della L. n. 241 del 1990, e precipuamente dell'art. 3 della stessa, tanto in letteratura

quanto in giurisprudenza, non essendo codificato tale obbligo, fervente era il dibattito circa la sussistenza

di una generale obbligatorietà della motivazione dei provvedimenti amministrativi. Oggi, superata tale

incertezza, è ancora aperto il dibattito circa il “quando” della motivazione. In passato, la giurisprudenza

ha sempre rilevato che tale obbligo risultava adempiuto solo nel caso in cui la motivazione fosse stata

resa contestualmente all'emanazione del provvedimento, essendo, pertanto, irrilevante ogni eventuale

integrazione successiva (e, a fortiori, una motivazione resa in toto posteriormente all'emanazione del

provvedimento)15.

In letteratura, tuttavia, pur raccogliendo sempre maggiori adesioni l’impostazione garantistica avallata

dalla giurisprudenza, non sono mancate voci autorevoli, di segno opposto16, ammettendo la piena

legittimità dell’integrazione postuma della motivazione nel corso del giudizio .

9 Cfr. M. De Donno, Riflessioni sulla “motivazione in diritto” del provvedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., fasc.3, 2013, 629. 10 Cfr. G. Corso, Validità, in Enc. dir., XLVI, 1993, 103 ss.; F. Trimarchi Banfi, Illegittimità e annullabilità del provvedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 2003, 416 ss.. 11 Cfr. G. Morbidelli, Invalidità e irregolarità, in Annuario 2002, AIPDA, Milano, Giuffrè, 79 ss.; S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Milano, Garzanti, 2000, 89 ss.; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1993, 335 ss.; G. Guarino, Atti e poteri, in Dizionario Amministrativo, Milano, Giuffrè, 1983, 243 ss.. 12 Cfr. G. Mannucci, Uno, nessuno, centomila. Le motivazioni del provvedimento amministrativo, in Dir. pubbl., 2012, 837 ss.; Cfr. M. Ramajoli, Il declino della decisione motivata, in Dir. proc. amm., 2017, 897, secondo l’A. il “depotenziamento” della portata garantista della motivazione, si configura come la ricaduta pratica della valorizzazione dei (o meglio, di un certo modo di intendere i) principi di buon andamento ed efficienza dell’attività amministrativa. 13 Cfr. A. Cassatella, Il dovere di motivazione nell'attività amministrativa, Padova, 2013. 14 Cfr. G. Tropea, Motivazione del provvedimento amministrativo e giudizio sul rapporto: derivi e approdi, in Dir. Proc. Amm., fasc.4, 2017, 1235. 15 Cfr. B. D. Fraudatario, Motivazione postuma, L’orientamento garantista del Consiglio di Stato, in Foro amm. CDS, fasc.1, 2010, 151. 16 Primo fra tutti a sviluppare tale tesi fu M. S. Giannini. Egli sostenne che, in virtù del principio generale di auto integrazione di tutti gli atti amministrativi, ad esclusione delle sentenze, un provvedimento amministrativo può

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Il dibattito dottrinale circa la possibilità di integrare in corso di causa la motivazione del provvedimento

impugnato è diventato ancora più vivace alla luce della entrata in vigore della legge n.15 del 2005, che,

nel disciplinare all’art. 21 octies i casi di annullamento del provvedimento amministrativo, al secondo

comma enuncia la regola, assolutamente rivoluzionaria per il nostro ordinamento, della conservazione

degli atti affetti da vizi di violazione di legge “non essenziali”. Possono qualificarsi tali quei vizi che, pur

presenti nel provvedimento, siano superabili allorché la pubblica amministrazione sia in grado di

dimostrare, nel corso del successivo giudizio, che il contenuto dispositivo dell’atto non sarebbe potuto

essere comunque diverso da quello in concreto adottato. Si tratta, in sostanza, della creazione dei c.d.

“vizi formali” ispirati al principio di conservazione dell’atto17 e della strumentalità delle forme degli atti

processuali rispetto al raggiungimento dello scopo.

Orbene, il predetto articolo al comma 2, introducendo la categoria dei c.d. vizi formali, determina che,

sebbene il provvedimento sia viziato e quindi illegittimo, esso non sia annullabile18. In tale dimensione, si

è ipotizzato ed auspicato che con l’introduzione, nell'ambito del diritto amminis trativo, della nozione

essere legittimamente integrato nel suo contenuto da un provvedimento successivo. Ciò posto, non esisterebbe alcun motivo che osti all’applicazione di tale principio anche alla motivazione del provvedimento, cfr. M. S. Giannini, Motivazione dell'atto amministrativo, in Enc. dir., Milano, 1977, XXVIII, 263. Aderiva, successivamente, a questa tesi anche A. Piras, cfr. A. Piras, Intervento, in Aspetti e problemi dell'esercizio del potere di sostituzione nei confronti dell'amministrazione locale, Atti del convegno di studi amministrativi, Cagliari, 19-20 dicembre 1980, Milano, s.d., 56, il quale polemizzando con Costantino Mortati (C. Mortati, Obbligo di motivazione e sufficienza della motivazione degli atti amministrativi, nota critica a Cons. St., sez. IV, 4 luglio 1942, in Giur. It., 1943, III, 8 s.), che invece non ammetteva la possibilità dell’integrazione postuma della motivazione, sosteneva che “Mortati, avrebbe mal interpretato il processo. Laddove si tratti di un piccolo vizio formale, sarebbe inutile passare attraverso due gradi del giudizio per sapere che l'amministrazione ha ragione o, per converso, sapere che l'Amministrazione ha torto completo. La realtà non può fermarsi al momento dell’emanazione dell’atto e alla sua approvazione da parte dell’autorità di controllo”. Analogamente, anche A. M. Sandulli, nel suo scritto più importante avallava la tesi della piena legittimità dell'integrazione della motivazione in corso di giudizio. Tuttavia, l’unica condizione da rispettare era che la stessa venisse fornita dalla Amministrazione agente, parte resistente del giudizio, e non da altri soggetti, nella specie l'Avvocatura dello Stato o il Giudice Amministrativo. Cfr. A. M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940, 353. Altro autorevole sostenitore dell'ammissibilità della suddetta integrazione fu, anche, A. R. Tassone. L’Autore, richiamando i precedenti rilievi di F. Levi, cfr. F. Levi, L'attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967, 498 ss., affermava che fin quando era possibile un sindacato diretto del giudice sugli aspetti della fattispecie reale, non sarebbe sorto alcun problema circa il controllo della motivazione dell’atto e, dunque, d'integrazione della stessa . Cfr. A. R. Tassone, Motivazione nei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, 1987, 398. Infine, in una letteratura più recente, anche F. G. Scoca, intervenendo sulla tematica de quo, ha asserito l’ammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione in corso di giudizio, atteso che sarebbe inutile sanzionare con l'annullamento atti viziati soltanto nella esternazione dei motivi. Cfr. F. G. Scoca, Sul trattamento giurisprudenziale della discrezionalità, in V. Parisio (a cura di), Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano, 1998, 120. Sul tema v., anche, G. Ferrari, Integrazione della motivazione del provvedimento amministrativo nel corso del giudizio, in Giur. merito, fasc.10, 2012, 2189. 17 Trattasi di un principio proprio del diritto civile, disciplinato nell’art. 156 c.p.c.. 18 Cfr. G. Bergonzini, Art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi, in Scritti in onore di Leopoldo Mazzarolli, vol. II, Padova, 2007, 11 ss.

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della irregolarità formale19, con conseguente distinzione fra vizi formali e vizi sostanziali, il difetto di

motivazione sarebbe potuto rientrare fra le ipotesi di violazione di norme sulla forma degli atti, dunque

tra i c.d. vizi “formali”, con conseguente riconoscimento unanime della legittima integrazione postuma

della motivazione nel corso del giudizio20. Si è sostenuto, infatti, che l’annullabilità non è più l’unica

sanzione applicabile al comportamento illegittimo della pubblica amministrazione. Essa diviene,

addirittura, una sanzione eccessiva, inutile, persino dannosa laddove l’interesse pubblico sia stato

comunque tutelato. L’effetto che tale norma intende creare sarebbe solo quello di privare sia la pubblica

amministrazione che il giudice amministrativo di qualunque podestà eliminatoria dei provvedimenti che

presentano le caratteristiche descritte dall’art.21 octies, comma 2. Secondo parte della dottrina21 non

sussisterebbe nel nostro ordinamento alcuna disposizione di legge che vieta una motivazione a

formazione progressiva; anzi, viene osservato che l’integrazione della motivazione può essere disposta,

addirittura, dalla stessa Autorità Giudiziaria. Essa, infatti, basandosi su elementi forniti dalle parti nel

corso del giudizio mediante il deposito della documentazione, compresi nel materiale procedimentale o

semplicemente non valorizzati in modo adeguato nella stesura della parte motiva del provvedimento, può

riconoscere la completezza dell'iter che ha condotto all'adozione di quel determinato provvedimento e

può, altresì, verificare l'esistenza di altre valide ragioni sottese al provvedimento impugnato, non prese,

invece, in considerazione dall'Amministrazione resistente, e dunque, non riconducibili all'originaria

volizione22.

Rimane tuttavia un contrasto in dottrina, non mancando chi, viceversa, nega recisamente la possibilità

d'integrare successivamente ed in corso di giudizio la motivazione, configurandosi l’obbligo di

motivazione come il presidio della trasparenza amministrativa e della tutela del cittadino in relazione

all’esercizio del pubblico potere23. A sostegno di tale tesi è stato ritenuto che il processo amministrativo

ha natura demolitoria, imponendo l’esclusivo riferimento all’atto amministrativo. Il processo

amministrativo è un processo sull’atto, solo attraverso lo stesso è possibile conoscere la statuizione

19 Contra G. Guarino, in Atti e poteri amministrativi, Milano, 1994, 243, dove l’A. sostiene che a differenza di quanto accade in altri campi del diritto, nel diritto amministrativo l'istituto della cd. irregolarità, in contrapposizione a quello dell'illegittimità, non trova accoglimento. 20 Cfr. N. Paolantonio, L'integrazione postuma della motivazione e il problema dei cc.dd. vizi formali, in www.giustammm.it , 2007. 21 Cfr. G. Micari, L'integrazione della motivazione nel corso del giudizio tra novità legislative e tendenza alla procedimentalizzazione del giudizio amministrativo, in Giur. Merito, 2005, 1929 e ss. 22 Se ne è parlato come di un “perfezionamento scontato”, nel quale anziché annullarsi il provvedimento ed ottenerne uno nuovo, ma con un contenuto uguale a quello precedente, si predilige l’integrazione della motivazione anche d’ufficio. Cfr. G. Taccogna, Giusto processo amministrativo e integrazione della motivazione dell'atto impugnato, in Dir. proc. amm., 2005, 696. 23 Cfr. M. Occhiena, Il divieto di integrazione in giudizio della motivazione e il dovere di comunicazione dell'avvio dei procedimenti ad iniziativa di parte: argini a contenimento del sostanzialismo, in Foro Amm. Tar, 2003, 522 e ss.

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amministrativa. Orbene, se si ammettesse un’integrazione postuma dell’atto nella parte della motivazione,

il privato sarebbe costretto ad adire necessariamente il giudice amministrativo per conoscere le vere

ragioni che osterebbero all’ottenimento del bene della vita a cui aspira, con un aggravio di costi e tempo,

oltre che un aumento del carico giudiziale, in spregio al principio di economicità processuale 24. In secondo

luogo, è stato, altresì, sostenuto che la motivazione è finalizzata a “rendere democratico” il

provvedimento amministrativo, ovvero consente ad aumentare l'accettazione sociale delle scelte della

pubblica amministrazione attraverso la conoscenza dei presupposti e delle modalità di formazione della

volontà della stessa. In tal senso, non dovrebbero formarsi atti non adeguatamente motivati ab origine,

poiché si rischierebbe di privare i pubblici poteri della loro credibilità o del consenso degli amministrati25.

Infine, in terzo luogo è stato sostenuto che se la nozione di interesse legittimo26 oggi è comunemente

qualificata come una situazione giuridica soggettiva, sostanziale, risarcibile27, allorquando

l’amministrazione emette un provvedimento che versa in uno stato d'incertezza, la stessa non può basare

la motivazione del provvedimento sull'attività procedimentale espletata fino al momento della domanda

giudiziale, ma la motivazione dovrà essere espressione del contesto decisionale e/o procedimentale

strutturalmente diverso da quello in cui è maturata la statuizione 28. In particolare dovrà esplicare in che

modo è venuta meno la possibilità giuridica della realizzazione della pretesa del ricorrente in ordine al

bene della vita29.

Ciò posto, appare pacifico solo che l’applicazione di tale articolo abbia evidenziato posizioni discordanti:

mentre, da un lato, l’orientamento maggioritario in sede giurisprudenziale predilige l’impostazione

secondo cui la motivazione deve precedere e non seguire il provvedimento amministrativo30; in senso

24 Cfr. F. Cardarelli, La motivazione del provvedimento, in Codice dell'azione amministrativa (a cura di M.A. Sandulli), Milano, 2011, 300 ss. 25 Cfr. A. Zito, L'integrazione in giudizio della motivazione del provvedimento: una questione ancora aperta, in Dir. proc. amm., 1994, 577 e ss. 26 Cfr. A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, I e II, 1962, Milano. 27 Cfr. F.G. Scoca, Le situazioni giuridiche nel pensiero di Antonio Romano Tassone, Relazione al Convegno «  Le prospettive del Diritto amministrativo nei contributi di Antonio Romano Tassone », Copanello, 4-5 luglio 2014, in Dir. proc. amm., 2014, 1109 ss. e in Dir. amm., 2014, 437 ss. 28 Cfr. G. Tropea, Motivazione del provvedimento amministrativo e giudizio sul rapporto: derivi e approdi, in Dir. Proc. Amm., fasc.4, 2017, 1235. 29 Cfr. V. Tomeo, Il diritto come struttura del conflitto. Una analisi sociologica, 1981, Milano, (rist. 2013), richiamato da A. Romano Tassone, Risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, in Enc. dir., agg. VI, 2002, Milano, 1000. 30 Si vedano Cons. St. sez. IV, 7 giugno 2012 n. 3376 in riv. giur. www.iurisprudentia.it; TAR Salerno, sez. I, 13 gennaio 2016; n. 23. Cons. St., sez. V, 14 aprile 2006, n. 2085; Tar Catanzaro, sez. I, 8 marzo 2012, n. 244; Tar Palermo, sez. II, 23 gennaio 2007, n. 192; Tar Piemonte, sez. I, 9 novembre 2005, n. 3501; Tar Napoli, sez. VI, 17 febbraio 2011, n. 996; Cons. St., sez. V, 30 settembre 2009, n. 5898; Tar Catania, sez. IV, 29 marzo 2012, n. 900 in www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/index.html.

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opposto si sviluppa un altro filone giurisprudenziale, che inquadra il difetto di motivazione tra i vizi

formali, ammettendone l’integrazione nel corso del giudizio31.

Vale la pena, infine, richiamare l’orientamento32 di chi ha sostenuto che l’integrazione della motivazione

nel corso del giudizio si configuri come un’attività dovuta della pubblica amministrazione, al fine di

limitare le ipotesi di responsabilità alle quali la stessa potrebbe andare incontro33. In particolare, con la

sentenza n. 500 del 1999, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sancendo la fine del dogma della

irrisarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi, avrebbero in qualche modo imposto la revisione

alla tradizionale impostazione giurisprudenziale in materia di motivazione successiva , configurando un

vero e proprio onere in capo alla pubblica amministrazione di intervenire nel corso del giudizio, al fine

di circoscrivere le ipotesi di responsabilità e di evitare l'obbligazione risarcitoria a carico dell'erario34. Ciò

sarebbe confermato dalla legge del 21 luglio 2000 n. 205, che introduce l’istituto dei motivi aggiunti35: la

possibilità di integrare la motivazione nel corso del giudizio viene così a configurarsi come strumento che

si contrappone all’ampliamento dell’attività di difesa del privato nel corso del giudizio36.

3. La motivazione nell’atto amministrativo europeo

Nell'obiettiva difficoltà di trarre dall’ordinamento interno una risposta univoca sulla possibilità

dell’integrazione della motivazione del provvedimento amministrativo nel corso del giudizio, sembra

opportuno iniziare con il chiedersi se tale possibilità sia riconosciuta a livello comunitario.

Com’è noto, l’art. 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241 informa l’attività amministrativa italiana ai principi

dell’ordinamento comunitario37, sicché l’obbligo di motivazione risulterebbe imposto all’amministrazione

31 Si vedano Tar Abruzzo, Pescara, 14 aprile 2005 n. 185, in www.giustamm.it, 2007; Tar Campania, Salerno, sez. I, 4 maggio 2005 n. 769, in Tribunali Amministrativi Regionali, 2005, I, 380. 32 Cfr. F. Caringella, Il nuovo ruolo del G.A.: articolo 21 octies legge 241/90 - Relazione tenuta al Convegno Giustizia amministrativa e sviluppo economico, svoltosi a Lecce il 30 settembre 2005 e l'1 ottobre 2005 presso il Tar. Secondo l’A. occorre ormai ritenere superato il tradizionale divieto di integrazione della motivazione e ciò perché, da un lato, l'Amministrazione può sempre addurre nuovi argomenti a sostegno del provvedimento oggetto di gravame giurisdizionale e, dall'altro, il ricorrente può proporre motivi aggiunti per censurare gli argomenti la cui conoscenza sia sopravvenuta rispetto all'instaurazione del giudizio. Cfr. inoltre N. Longobardi, La motivazione del provvedimento amministrativo dopo la l. n. 15 del 2005, in www.giustamm.it. 33 Cfr. G. Ferrari, Integrazione della motivazione del provvedimento amministrativo nel corso del giudizio, in Giur. Merito, fasc.10, 2012, 2189; M. Arsì, Piena conoscenza, motivazione e comunicazione del provvedimento, in Giornale di diritto amministrativo, 1996, 130. 34 Cfr. A. Azzena, Natura e limiti dell'eccesso di potere amministrativo, Milano, 1976, 311. 35 Cfr. C. Mignone, I motivi aggiunti di ricorso nel processo amministrativo, Padova, 1984, passim; M. Andreis, A. Romano, R. Villata, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2009, parte quarta, sub art. 19. 36 Cfr. Taz Lazio, Sez. I, 16 gennaio 2002, n. 398, in Rivista-Tar, 2002, 2, con nota di D. U. Galetta, «Recenti novità in tema di illegittimità del provvedimento amministrativo affetto da c.d. vizi formali», 512 e ss; Tar Salerno, Campania, sez. I, 04 maggio 2005, n. 760. 37 Cfr. E. Chiti, La costruzione del sistema amministrativo europeo, in Dir. Amm. Europeo, a cura di M.P. CHITI, Milano, Giuffrè, 2013, 45-67.

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nazionale sia dall’art. 296, II comma del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che dall’art 41

comma II, lett. c), della Carta sui diritti fondamentali dell’Unione Europea. Queste disposizioni

renderebbero, dunque, il nostro sistema amministrativo un “ordinamento multilivello”38, caratterizzato

dalla pluralità delle fonti e degli organi giurisdizionali, ciascuno dei quali è deputato all'applicazione e alla

garanzia delle rispettive norme di riferimento39.

Il rapporto tra i diversi ordinamenti, quali quello nazionale e quello comunitario, è stato scandito dalle

pronunce, talvolta discordanti, della Corte di giustizia e della Corte costituzionale40. Non appare, infatti,

ancora del tutto superata la tradizionale antitesi tra i modelli teorici della visione monista41, sviluppata

dalla Corte di giustizia, che postula un unico ordinamento giuridico comprendente tanto il sistema

normativo comunitario quanto quello nazionale, e della visione dualista o del pluralismo giuridico42,

38 Cfr. A. Cerri, M.R. Donnarumma, Il costituzionalismo multilivello. Profili sostanziali e processuali, Le constitutionnalisme à plusieurs niveaux. Aspects de fond et de procédure. Aracne, 2013, 291. L’espressione “costituzionalismo multilivello” indica lo sviluppo degli strumenti internazionali di tutela dei diritti fondamentali dell’individuo e del fenomeno dell’integrazione fra ordinamenti nazionali ed ordinamenti sovranazionali. Il dibattito sviluppatosi in merito attiene, certamente, alla composizione del contrasto tra le norme del diritto internazionale, fatte proprie dal Trattato di Lisbona e ratificate dagli Stati membri, e la presenza di norme interne incompatibili. Il contrasto può essere risolto in termini di gerarchia o in termini di diversi ambiti di applicazione? Il giudice costituzionale spagnolo, afferma che il contrasto va risolto in termini di distinzione tra i diversi ambiti di applicazione, esulando da qualunque categorizzazione che implichi la supremazia gerarchica. 39 Cfr. N. Picardi, La crisi del monopolio statuale della giurisdizione e la proliferazione delle corti, in Corti europee e giudici nazionali, Bologna, 2011, 5 ss., spec. 21-22; A. Carbone, Rapporti tra gli ordinamenti e rilevanza della Cedu nel diritto amministrativo (a margine del problema dell’intangibilità del giudicato), in Dir. Proc. Amm., fasc.2, 2016, 456. 40 Cfr. R. Bin, Gli effetti del diritto dell'Unione nell'ordinamento italiano e il principio di entropia, in www.robertobin.it/ARTICOLI/Scritti_Modugno.pdf . 41 La tesi monista, accolta dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella nota sentenza Simmenthal, Corte Giust., UE, del 09 marzo 1978, in causa 106/77, sviluppava l’idea secondo cui l’ordinamento comunitario si configurava come integrato nell’ordinamento degli Stati Membri, con la conseguenza che le fonti comunitarie erano integrate in un solo sistema, ordinate in termini di gerarchia con le norme interne. Ne derivava la primauté del diritto comunitario sul diritto nazionale, rendendo inapplicabile la legislazione nazionale laddove fosse in contrasto con la normativa europea. Cfr. H. Kelsen, Principles of International Law, in New York, Rinehart, 1952, 446; G. Morelli, L’adattamento del diritto interno al diritto internazionale in alcune recenti costituzioni, in Riv. dir. int., 1933, 7 ss.; A. La Pergola, Costituzione e adattamento del diritto interno al diritto internazionale, Milano, Giuffrè, 1961, 175; P. Barile, Diritto internazionale e diritto interno, II, Rapporti fra sistemi omogenei e sistemi eterogenei di norme internazionali ed interne, in Riv. Internaz., 1957, 26-102; A Bernardini, Formazione delle norme internazionali e adattamento del diritto interno, Pescara, Libreria dell’Università, 1973, passim; G. Sperduti, Lo Stato di diritto e il problema dei rapporti fra diritto internazionale e diritto interno, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, 29 ss.; A. Pisaneschi, Costituzione e Diritto Internazionale, in Riv. Trim. di Dir. Pub., fasc.3, 2016, 791. 42 Il processo che ha portato all’accoglimento della tesi dualista, accolta dalla Corte costituzionale nella sentenza Granital dell’8 giugno 1984, n. 170, consta di quattro fasi. In una prima fase la Corte (Cort.cost. 07 marzo 1964 n.14) riteneva che il Trattato spiegasse la sua efficacia solo in seguito al recepimento dello stesso mediante una legge di esecuzione. Esso, dunque, rivestiva il medesimo rango della legge ordinaria di ratifica, con la conseguenza che le norme nazionali successive potevano prevalere su una norma comunitaria precedente secondo l’applicazione del principio della successione della legge nel tempo. Nella seconda fase, la Corte costituzionale iniziava a riconoscere il primato delle norme comunitarie in ossequio all’art 11 Cost., sicché la legge interna successiva non poteva contrastare con una norma comunitaria preesistente. L’antinomia tra le norme veniva risolta mediante il sollevamento di una questione di legittimità costituzionale (Cort. cost. 27 dicembre 1973, n.183). Con la terza fase, la

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sostenuta della Corte costituzionale, che postula, invece, due sistemi autonomi e distinti ma coordinati

tra loro. In ogni caso, la soluzione della questione prospettata sembra aver perso interesse concreto, nella

misura in cui, di fatto, l’impostazione accolta dalla giurisprudenza costituzionale italiana non ha impedito

l’apertura del nostro ordinamento al diritto europeo: in seguito ad un faticoso percorso di assestamento,

si sta assistendo, infatti, ad un lento processo che conduce ad accettare la limitazione della sovranità

statale in favore dell'Unione Europea, ai sensi dell’art. 11 Cost .; questo processo, peraltro, è stato

rafforzato dalla modifica intervenuta nel 2001 dell’art. 117, comma 1 Cost., che sottopone la potestà

legislativa tanto dello Stato quanto delle Regioni al rispetto, fra l'altro,  dei vincoli derivanti

dall'ordinamento comunitario43.

Il principio di primazia delle norme e dei principi dell’Ue implica che quest’ultimi, qualificandosi come

parametro normativo di legittimità, si impongano anche sugli atti e provvedimenti delle Amministrazioni

nazionali degli Stati membri fermo restando la loro autonomia istituzionale44. Invero, gli Stati, pur

recependo le norme comunitarie e dovendone dare piena attuazione, sono liberi di definire gli assetti

organizzativi nazionali; hanno piena libertà di scelta circa le modalità di esecuzione del diritto europeo,

riguardanti sia gli aspetti organizzativi, che procedurali ; nonché di individuare i soggetti competenti45.

La Corte di giustizia ha, in tal senso, affermato che, anche laddove l’Unione Europea non abbia specifiche

competenze in materia tanto di procedimento quanto di processo amministrativo, gli Stati membri sono

Corte riconosceva al giudice italiano il potere di disapplicare, senza ricorrere al giudice di legittimità, la norma interna contrastante la norma comunitaria. La Consulta, affermava, in questa sede, che i due sistemi erano configurati come autonomi e distinti, ancorché coordinati. Dunque, il giudice nazionale può solo disapplicare le norme interne in favore delle norme comunitarie ma non può mai riscontrare un vizio di validità delle stesse, abrogandole. Tale questione sarà sempre rimessa alla Corte costituzionale secondo la teoria dei c.d. controlimiti (Cort. cost., Granital, 08 giugno 1984 n. 170) . Infine, la recente quarta fase inaugura il c.d. percorso comunitario. In particolare, nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale, la Corte è legittimata a proporre la questione pregiudiziale dinanzi la Corte di giustizia U.E., ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E. altrimenti risulterebbe leso il generale interesse alla uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di giustizia. Cfr. N. Bobbio, Teoria generale del diritto, Torino, 1993, 275; A. Cassese, Lo Stato e la Comunità internazionale (gli ideali internazionalistici del costituente), in Principi fondamentali, Artt. 1-12, Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma, 1975, 491 ss; Cfr. G. De Vergottini, Costituzione europea, in Enc. dir., annali, I, Milano, 2007, 459. 43 Cfr. I. Piazza, La redistribuzione nella disciplina delle risorse dell’Unione e i limiti istituzionali a una politica di sviluppo europeo, in Riv. It. di Dir. Pubb. Comunit., fasc.6, 2016, 1761; F. Rossi, L'obbligo di disapplicazione in malam partem della normativa penale interna tra integrazione europea e controlimiti. La problematica sentenza Taricco della Corte di Giustizia , in Riv. It. di Dir. e Proc. Pen., fasc.1, 2016, 376; F. Gallo, La concorrenza fra il diritto nazionale e il diritto europeo (UE e CEDU) nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Giur. Comm., fasc.2, 2015, 255. 44 Cfr. G. Vesperini, Il vincolo europeo sui diritti amministrativi, Giuffrè, Milano, 2011, 22. 45 Cfr. A. Massera, I principi generali, in M.P. CHITI e G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, parte generale, II ed., 2007, Giuffrè, Milano, I, 287, 292 l. L’A. afferma che l’autonomia istituzionale è il risultato di un consolidato principio dell’ordinamento comunitario per cui esso non interferisce in linea di massima con l’organizzazione istituzionale interna degli Stati stessi ed, in particolare, con la potestà di questi ultimi di definire l’assetto delle amministrazioni pubbliche operanti nel proprio ambito .

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comunque limitati dall’applicazione dei c.d. “criteri Rewe”46, che importano il rispetto del principio di

equivalenza (come parità di trattamento tra situazioni interne e comunitarie) e del principio di effettività

(come garanzia della loro effettiva tutela). Il giudice è, in ogni caso, obbligato ad interpretare le regole

procedurali e processuali in modo da assicurare l'effettiva applicazione del diritto materiale dell’Unione47.

In questo senso, si è prospettata una funzionalizzazione dei poteri amministrativi interni al

conseguimento delle politiche europee, senza che gli stessi possano mai costituire per esse un ostacolo48.

Ciò posto, l’attenzione deve necessariamente spostarsi sulla compatibilità dell’art. 21 octies II comma ,

prima allinea della L. n. 241/90 e l’obbligo di motivazione di cui agli artt. 296, II comma del TFUE e 41

comma II, lett. c), della Carta sui diritti fondamentali dell’Unione Europea.

In primo luogo, è necessario sottolineare che, analogamente all’obbligo di motivazione, disposto dall’art.

3 della l. n.241/90, che garantisce la trasparenza amministrativa per il corretto esercizio del pubblico

potere, anche l’obbligo motivazionale disposto dalla normativa europea tende a salvaguardare la

posizione giuridica del destinatario dell’atto, potenzialmente leso da un cattivo esercizio del potere. In

particolare, esso permette agli Stati Membri, ratificanti il Trattato di Lisbona, di controllare le decisioni

prese dalle Istituzioni Europee, nella loro veste di padroni del Trattato49. Assolve, pertanto, ugualmente ad

una funzione di trasparenza in una dimensione pubblicistica, la cui mancanza postula l’invalidità dell’atto

amministrativo europeo.

La patologia, invece, che colpisce l’atto amministrativo dello Stato membro che viola le norme

comunitarie, nonostante l’apparente superamento della distinzione tra tesi monista e tesi dualista, non

trova una disciplina unitaria50. Secondo l’orientamento minoritario, accedendo alla tesi della netta

separazione degli ordinamenti, il provvedimento amministrativo nazionale viziato da anticomunitarietà è

nullo per difetto assoluto di attribuzione: le norme dell'Unione sarebbero estranee al sistema delle fonti

e non sarebbero dotate della capacità di imporsi come parametro di legittimità dell'azione amministrativa,

46 I criteri di effettività e di equivalenza nascono con la sentenza Corte giust., 16 dicembre 1976, in causa C-33/76, Rewe, punti 8 - 13 delle considerazioni in diritto, per essere poi più volte ripresi in pronunce successive. Si veda sul tema: U. Galetta, L'autonomia procedurale degli Stati membri, Paradise Lost?, Torino, 2009, 42 e ss; C. Napolitano, Riflessioni sull’autotutela nel diritto procedimentale europeo, in Riv. It. di Dir. Pub. Comunit., fasc.6, 2016, 1531. 47 Cfr. Cort. giust., 16 dicembre 1976, C-33/76, Rewe; Id, 16 dicembre 1976, C-45/76, Comet; Id, 14 dicembre 1995, C-312/93, Peterbroeck, annotata da R. Caranta, Impulso di parte e iniziativa del giudice nell'applicazione del diritto comunitario, in Giur. it., 1996, I, 1, 1289 ss. 48 Cfr. U. Galetta, La giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di autonomia procedurale degli Stati membri dell'Unione europea. Report annuale 2011, in www.ius-publicum.it. 49 Cfr. S. Mangiameli, The Institutional design of the European Union after Lisbon, in The European Union after Lisbon: Constitutional Basis, Economic Order and External Action, a cura di H. Blanke, S. Mangiameli, Springer, Heidelberg, 2012, 97 ss; Cfr. A. J. Karen, “Who are the 'masters of the Treaty'? European governments and the European Court of Justice", in International Organization, 2011, Seattle, WA. 50 Cfr. G. Montedoro, Il regime processuale dell'atto nazionale anticomunitario. I poteri del giudice nel contenzioso implicante l'applicazione del diritto UE, in Riv. It. di Dir. Pubb. Comunit., 2011, 1397 s.

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neppure ove dovesse trattarsi di disposizioni self-executing. Si avrà, quindi, un sindacato del giudice

illimitato nel tempo, in quanto tale vizio potrà sempre essere rilevato51. Accogliendo, viceversa, la tesi

dell'integrazione fra i due ordinamenti, in virtù della quale le norme europee e le norme di diritto interno

si compenetrano dando vita ad un sistema giuridico unitario, l’atto amministrativo antieuropeo è

annullabile per violazione di legge, ai sensi dell'art. 21 octies della legge n. 241/1990, laddove il termine

legge include anche la normativa europea, che assume, tuttavia, un peso specifico maggiore 52. La

giurisprudenza nazionale dominante, sposando quest’ultimo orientamento, tende ad annullare il

provvedimento amministrativo che viola le norme europee53. Tale soluzione, inoltre, sembra porsi

perfettamente in linea con il regime giuridico adottato per gli atti amministrativi delle Istituzioni Europee

in quanto anch’essi soggiacciono al regime dell’annullabilità54.

3.1. La risposta della giurisprudenza comunitaria sull’obbligo della motivazione postuma

Relativamente, invece, alla possibilità di una integrazione postuma della motivazione, atteso che

nemmeno la normativa comunitaria detta una puntuale disciplina della materia, la risposta è stata data

dalla Corte di giustizia europea. Quest’ultima ha, da sempre, affermato che la motivazione deve essere

comunicata all’interessato contemporaneamente alla decisione che arreca pregiudizio, la cui mancanza

non può essere sanata dal fatto che l’interessato venga a conoscenza del ragionamento alla base della

decisione nel corso del procedimento dinanzi alla Corte55.

Alla luce dei principi comunitari, fin ora evidenziati, le Corti nazionali, in particolare la Corte dei Conti,

sezione giurisdizionale per la regione Sicilia56, hanno, più volte, cercato di ottenere una risposta univoca

51 Cfr. R. Murra, Contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria: nullità assoluta degli atti amministrativi di applicazione della norma nazionale?, in Dir. proc. amm., 1990, 284 ss; R. Caranta, Inesistenza (o nullità) del provvedimento amministrativo adottato in forza di norma nazionale contrastante con il diritto comunitario, in Giur. it., parte III, sez. I, 1989, 149 ss.; L. Torchia, Il giudice disapplica e il legislatore reitera: variazioni in tema di rapporti fra diritto comunitario e diritto interno, in Foro it., III, 1990, 203 ss. 52 Cfr. M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Giuffrè, Milano, 2011, 503. 53 Cfr. G. Massari, L’atto amministrativo antieuropeo: verso una tutela possibile, in Riv. It. di Dir. Pubbl. Comunit., fasc.3-4, 2014, 643. 54 Cfr. M. Macchia, Legalità amministrativa e violazione dei diritti non statali, Giuffrè, Milano, 2012,136-137. 55 Cfr. Cort. giust. Grande Sez. del 28 giugno 2005, cause riunite C.189/02, C202/02, C205/02, C206/02, C207/02, C208/02, C213/02 Dansk Ronindustri ed altri, punto D - Sui motivi relativi al diritto di essere sentito e all’obbligo di motivazione, n. 463 in http://curia.europa.eu; ex multis Cort. giust. del 26 novembre 1981, C195/80 Michela; Cort. giust. del 30 marzo 2000 VBA, C265/97, Florimex/Commissione. 56 La questione trae origine da un rinvio pregiudiziale proposto dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, con ord. 28 settembre 2010, n. 330. La Corte, recependo una sentenza del Consiglio di Stato (sez. V, n. 4035/2009), nella quale era stato statuito che i principi del diritto dell’Unione sono applicabili direttamente nell’ordinamento giuridico interno e devono regolare il comportamento dell’amministrazione, chiedeva alla Corte di Giustizia di dare un’interpretazione uniforme sull’obbligo di motivazione e sulla possibilità della sua integrazione nel corso del giudizio, attesa la sua disciplina negli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta.

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dalla Corte di Giustizia circa la possibilità di una integrazione postuma della motivazione nel corso di un

giudizio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 296, II comma, del TFUE, dell’ art. 41, par. 2, lettera

c), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e degli artt. 3, commi 1 e 2 e 21 octies II

comma, prima allinea, della legge n. 241/199057.

In recenti pronunce, la stessa Corte ha reiteratamente affermato la seguente massima “l’interpretazione, da

parte di questa Corte, delle disposizioni del diritto dell’Unione in situazioni puramente interne si giustifica solo se tali

disposizioni sono rese applicabili dal diritto nazionale in modo diretto ed incondizionato, al fine di assicurare un trattamento

identico alle situazioni interne e a quelle disciplinate dal diritto dell’Unione. Invero, quando una disposizione del diritto

nazionale rinvia in modo generale ai «principi dell’ordinamento comunitario», e non specificamente alle disposizioni del

diritto dell’Unione a cui si riferiscono le questioni pregiudiziali, non si può considerare che dette disposizioni siano stat e rese,

in quanto tali, applicabili in modo diretto dal diritto nazionale di cui trattasi. Del pari, non si può ritenere, in tali

circostanze, che il rinvio al diritto dell’Unione per disciplinare situazioni puramente interne sia incondizionato, sicché le

disposizioni interessate dalle questioni proposte sarebbero applicabili senza limiti alla fattispecie di cui alla causa

principale”58. Questo precetto statuito, nella nota sentenza “Cicala”59 è stato, poi, richiamato e riconfermato

nella successiva sentenza “Romeo”. In particolare, la Corte di giustizia statuisce che quando una

disposizione non richiama in modo specifico i principi dell’ordinamento comunitario e quindi, come nel

caso in esame, non essendovi un’applicazione incondizionata dell’art. 296, II comma TFUE e dell’art. 41

II comma lett. e) della Carta, non si può ritenere che queste disposizioni siano state direttamente applicate

dal diritto nazionale. Di conseguenza, la Corte si dichiara non competente a risolvere tali questioni60. In

via di principio generale, tuttavia, in una recentissima pronuncia in Grande Camera, la stessa ha affermato

che l’obbligo di motivazione rispetta i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE allorquando un atto , che

Il giudizio partiva da un ricorso in annullamento per difetto assoluto di motivazione presentato dalla sig.ra Cicala avverso la Regione Sicilia in seguito ad un provvedimento che prevedeva la riduzione dell’importo della pensione di parte ricorrente ed il recupero degli importi erogati in rapporto a periodi trascorsi. Tale provvedimento veniva, poi, integrato nella parte motiva nel corso del giudizio. 57 Cfr. G. Ferrari, op. cit., in Giur. merito, fasc.10, 2012, 2189; La Rana, La responsabilità civile della p.a. con particolare riferimento alla violazione dell'art. 3, l. 9 agosto 1990 n. 241: il rinvio pregiudiziale della Corte dei Conti — sez. giurisd. per la Regione Sicilia-Palermo, ord. n. 330/2010, 28 settembre 2010 sulla compatibilità della cd motivazione postuma rispetto al diritto comunitario, in www.centrostudigiuridiciKoine.eu, marzo 2011. 58 Cfr. Cort. giust., Sez. III, 21 dicembre 2011, C482/2010, massima della sentenza, in http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62010CJ0482. 59 Cfr. Cort. giust., Sez. III, 21 dicembre 2011, C482/2010, punti 19, 25-27, 29-30 e dispositivo in http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62010CJ0482. 60 Cfr. Cort. giust. Sez. V, 7 novembre 2013, C 313/12, punti 24-25 sulle questioni pregiudiziali in Foro Amm. C.d.S. (Il) 2013, 11, 2918.

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arreca pregiudizio, è stato emanato in un contesto noto agli interessati ed il controllo, circa l’accertamento

della motivazione, è effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto61.

Tutto ciò premesso, è possibile dedurre che le decisioni prese dalla Corte di giustizia sono perfettamente

in linea con la natura giuridica del diritto europeo. Il diritto dell’Unione è un diritto materiale, sostanziale

non processuale62. Le norme comunitarie disciplinano unicamente le posizioni giuridiche soggettive

sostanziali lasciando all’autonomia degli Stati membri la sovranità ed il potere di decidere in che modo

tali posizioni comunitariamente garantite devono trovare tutela processuale63. La realizzazione di un

processo unico europeo sarebbe ostacolato dalle diverse tradizioni degli ordinamenti giuridici. Si pensi,

ad esempio, agli ordinamenti di common law e agli ordinamenti di civil law. La diversità, pertanto, rende

impossibile la previsione di regole processuali e di conseguenza anche di regole procedimentali univoche

che sono lasciate, invece, agli Stati nazionali. Ecco perché gli stessi godono della c.d. “autonomia

istituzionale”: il recepimento e l’attuazione dei principi comunitari deve necessariamente armonizzarsi

con il sistema tipico dello Stato membro, senza, tuttavia, creare trattamenti discriminatori. Ai fini della

risoluzione della questione in esame, dunque, la Corte di giustizia non sarebbe legittimamente competente

ad emettere un provvedimento che dia un’interpretazione uniforme a regole procedimentali tipiche e

proprie di uno Stato membro, soprattutto se quest’ultimo non recepisce le norme comunitarie in modo

diretto ed incondizionato64.

Questa conclusione, seppur condivisibile, genera, tuttavia, una contraddizione in termini, perché mentre,

da un lato, si favorisce l’affermazione del principio di legalità europea65 in virtù di un costituzionalismo

multilivello, dall’altro, si assiste, purtroppo, ad una lesione dei principi cui lo stesso si fa portatore. Le

pronunce della Corte di giustizia, in materia, sembrano abbiano messo in luce una vera e propria lesione

del principio di effettività della tutela, nonché della violazione del principio di equivalenza, introdotti dalla

61 Cfr. Cort. giust., Grande sez., 15 aprile 2015, C 409/13, punto 79 su giudizio della Corte; ex multis: Delacre e

a./Commissione, C‑350/88, EU:C:1990:71, punto 16; Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 53 in http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=163659&doclang=IT. 62 Cfr. A. Carbone, Il contraddittorio procedimentale. Ordinamento nazionale e diritto europeo-convenzionale, 2016, Torino; M. Allena, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, 2012, Napoli, spec. 207 ss. 63 In particolare, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, dando vita ad una saldatura tra procedimento e processo amministrativo, richiede una full jurisdiction nel caso in cui le garanzie procedimentali non rispettino gli standard del giusto processo imposti dall'art. 6 Cedu. Tuttavia, trattasi di una disposizione non facilmente attuabile nel nostro ordinamento attesa la riserva di amministrazione che impone la non invasione del Giudice Amministrativo nell’esercizio potere discrezionale della p.a.. Cfr. E. Follieri, Sulla possibile influenza della giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo sulla giustizia amministrativa, in Dir. Proc. Amm., 2014, 699-702; G. Tropea, Motivazione del provvedimento amministrativo e giudizio sul rapporto: derivi e approdi, op. cit. , 2017, 1235. 64 Cfr. S. Civitarese Matteucci, Attività amministrativa e principi dell'ordinamento comunitario, in Giur. it., 2012, 1677 ss; G. Manucci, Il regime dei vizi sostanziali-formali alla prova del diritto europeo, in Dir. Amm., fasc.2, 2017, 259 65 Cfr. F. Merusi, L'integrazione fra la legalità comunitaria e la legittimità amministrativa nazionale, in Dir. amm., 1/2009, 43 e ss.

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stessa, nella nota sentenza “Rewe”. Parimenti risulterebbe violato anche il principio di ragionevolezza66,

che ha come declinazione europea il principio di proporzionalità. Nel diritto comunitario, il principio di

proporzionalità acquista un forte rilievo in ordine al rispetto delle posizioni giuridiche dei soggetti privati

a fronte dell’intervento pubblico: esso tutela maggiormente l’esigenza di non limitazione delle libertà dei

privati che l’esigenza del miglior soddisfacimento dell’interesse pubblico. Tale principio diviene, di

conseguenza, anche un fondamentale strumento esegetico sia per le autorità che per i giudici nazionali e

comunitari in sede di recepimento e applicazione delle direttive europee. Orbene, se il legislatore

nazionale è libero di scegliere le modalità e il programma di attuazione dei principi comunitari nelle

disposizioni interne, il suo sviluppo deve essere compiuto con coerenza, senza escludere fattispecie che

in esso possono essere sussumibili e senza includervi, viceversa, fattispecie ragionevolmente distinguibili:

il paradosso generato causerebbe, dunque, la negazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

4. I più recenti arresti giurisprudenziali: aggiornamento interno

Nonostante l’incompetenza dell'Unione ad una interpretazione uniforme delle disposizioni oggetto della

presente analisi, la giurisprudenza interna, invece, attraverso pronunce meritevoli di essere ricordate, ha

tentato più volte di risolvere il contrasto, che, tuttavia, appare non ancora scandito.

Mentre l’orientamento classico della giurisprudenza amministrativa afferma che il provvedimento

impugnato per difetto di motivazione va annullato anche se vincolato non essendo ammissibile

un’integrazione postuma67, la tesi prevalente afferma che il difetto di motivazione costituisce la violazione

delle norme sulla forma degli atti, pertanto, opera l’art. 21 octies , II co, prima allinea68.

In particolare, è stato sostenuto che il divieto di integrazione della motivazione nel giudizio

amministrativo non ha carattere assoluto: il chiarimento offerto dalla pubblica amministrazione resistente,

in corso di causa, non sempre è inammissibile. Vi sono, infatti, alcune tipologie di atti, statuisce il

Consiglio di Stato, per i quali l'Amministrazione può provare direttamente in giudizio sia l’impossibilità

di un diverso contenuto dispositivo dell'atto che l’indicazione di una fonte normativa non menzionata

già nel provvedimento impugnato, quando questa per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto

essere conosciuta da un operatore professionale. Sebbene, il divieto di motivazione postuma è la garanzia

essenziale del diritto alla difesa nonché espressione del principio di trasparenza e buon andamento della

66 Cfr. R. Bin, G. Petruzzella, Diritto Costituzionale, Giappichelli Editore, Torino, 2010, 476-478; F. Addis, Sulla distinzione tra norme e principi, in Europa e Diritto Privato, fasc.4, 2016, 1019; A. Cerri, Questioni alternative. Problemi dell’eguaglianza. Riflessioni processuali e sostanziali, in Giur. Cost., fasc.5, 2015, 1637. 67 Cfr. Cons. St., sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194; Tar Lecce, Puglia, sez. I, 6 aprile 2016, n. 560, in https://www.giustamm.it/. 68 Cfr. T.A.R. Roma sez. II, 21giugno 2017, n.7251; T.A.R. Trento sez. I, 28 marzo 2017, n.103; T.A.R. Napoli sez. III, 08 novembre 2016, n.5150.

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pubblica amministrazione, deve ritenersi che non sussista il difetto di motivazione postuma allorquando

le ragioni del provvedimento siano già conoscibili all’interessato sia dalla parte dispositiva dell’atto

impugnato, sia perché si tratti di un’attività vincolata. In definitiva, il Consiglio di Stato, pur confermando

il divieto della possibilità della integrazione successiva della motivazione, la cui violazione postula la

annullabilità del provvedimento amministrativo, riconduce l'omissione di motivazione successivamente

esternata tra i casi di non annullabilità previsti dall’art. 21 octies, II co, primo periodo, della L. n. 241/90

in tre ipotesi: qualora tale vizio non abbia leso il diritto di difesa dell'interessato; nei casi in cui, in fase

infra-procedimentale, risultano percepibili al privato le ragioni sottese all'emissione del provvedimento

gravato; infine, nei casi di atti vincolati69.

Questa posizione sviluppata dai giudici di palazzo Spada trova conforto nel mancato riconoscimento nel

nostro ordinamento della c.d. teoria del "one shot"70. Secondo tale teoria, l’Amministrazione può

pronunciarsi negativamente una sola volta: in caso di impugnazione del provvedimento, la stessa verrebbe

spogliata dalla sua funzione, spettando al giudice amministrativo il potere di pronunciarsi sull’affare,

atteso che, l’amministrazione divenuta parte in causa avrebbe perso la sua imparzialità 71. Si comprende,

perciò, come nel corso del giudizio, la pubblica amministrazione deve far emergere tutte le possibili

motivazioni che si oppongono all’accoglimento della istanza del privato. Siffatta teoria, tuttavia, nel

nostro sistema è stata invece recepita in una dimensione, per così dire, “temperata” ovvero vengono

riconosciute all’Amministrazione, in sede di annullamento, due possibilità: in seguito all’annullamento di

un provvedimento amministrativo, da parte dell’autorità giudiziaria, anche a carattere discrezionale,

avente ad oggetto il soddisfacimento di un interesse legittimo pretensivo, seppur il provvedimento del

giudice amministrativo non attribuisce direttamente al privato il bene della vita a cui esso aspira, obbliga

l'amministrazione, in sede di riedizione del potere, a rinnovare il procedimento tenendo conto della

portata conformativa della sentenza72.

69 Cfr. Cons. St., sez. IV, 04 marzo 2014, n.1088; Cons. St., sez. IV, 07 luglio 2014, n. 3417; Cons. St, sez. V, 31 marzo 2012, n. 1907; Tar Ancona, Marche, sez. I, 30 dicembre 2016, n. 761; Tar Campania, Salerno, sez. I, 13 gennaio 2016, n. 23 in https://www.giustamm.it/. 70 Cfr. Cons. St., Sez. IV, 6 ottobre 2014, n. 4987 in http://www.ricerca-amministrativa.it/RA/massima-Ottemperanza-del-giudicato-e-teoria-del-cd-one-shot-temperata-m-1026.xhtml;jsessionid=f4062bbe7f371b198f2ad6b81d58; Cfr. L. Ferrara, La giustizia amministrativa paritaria e l'attualità del pensiero di Feliciano Benvenuti, in Dir. Proc. Amm., fasc.4, 2016, 1009; Cfr. L. Ferrara, Domanda giudiziale e potere amministrativo. L'azione di condanna al fàcere, in Annuario AIPDA 2012. 71 Cfr. P. Carpentieri, Azione di adempimento e discrezionalità tecnica (alla luce del codice del processo amministrativo), in Dir. proc. amm., fasc.2, 2013, 385. 72 Cfr. Cons. St. Ad. Plen. 15 gennaio 2013 n.2 in www.scuolagiuridica.it/repertorio/giustizia-amministrativa/consiglio-di-stato-adunanza-plenaria-15-gennaio-2013-n-2/.

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La questione, infine, è stata attenzionata anche dal giudice delle leggi. È stata, infatti, dichiarata la

manifesta inammissibilità dalla Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 58/201773, della legittimità

costituzionale dell’art. 21 octies, II co, primo periodo della L. n.241/90 in riferimento agli articoli 3, 97,

24, 113, 117, I co Cost.. In particolare, la pronuncia di manifesta inammissibilità deriva dal mancato

chiarimento da parte del ricorrente delle modalità attraverso cui le violazioni procedimentali potessero

incidere sul rapporto obbligatorio di fonte legale; dal mancato esperimento di un tentativo

d’interpretazione conforme a Costituzione del diffuso orientamento della giurisprudenza amministrativa,

secondo cui il difetto di motivazione non può essere in alcun modo assimilato alla violazione sulle norme

formali, dato che la motivazione è il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del

legittimo esercizio del potere amministrativo; ed, infine, dall’utilizzo improprio dello strumento del vaglio

di costituzionalità per avallare una certa interpretazione della norma in esame.

La suddetta decisione, in realtà, richiama una precedente ordinanza74 emessa della stessa Corte nell’anno

2015, dove il tenore testuale era analogo, vi era sostanziale identità delle questioni e delle relative

argomentazioni e la fattispecie in esame era del tutto sovrapponibile a quella analizzata. Per queste ragioni

la Corte ha dichiarato, nell’ordinanza del 2017, che non sussistono ragioni per discostarsene.

Nell’ordinanza del 2015, infatti, veniva analizzata, per la prima volta, dalla Consulta la legittimità

costituzionale dell’art. 21 octies, II co, primo periodo della L. n.241/90 sempre in riferimento agli artt. 3,

24, 97, 113 e 117, I co, della Costituzione. La Corte, anche in questo caso, con un’ordinanza di manifesta

inammissibilità, ha affermato che tale giudizio appare sia stato sollevato per risolvere, non un dubbio di

legittimità costituzionale, ma per ricevere dalla stessa Corte un improprio avallo ad una determinata

interpretazione della norma oggetto della censura: operazione questa inammissibile attesa , peraltro, la

presenza di indirizzi giurisprudenziali non del tutto stabilizzanti. La questione veniva, quindi, rigettata, in

primo luogo perché parte ricorrente non spiegava, in che misura, i vizi procedimentali e, dunque, sulla

forma dell’atto, potessero incidere sul rapporto legale a monte: si chiedeva nel giudizio a quo, oltre

all’annullamento del provvedimento impugnato per difetto assoluto di motivazione , il riesame del

rapporto obbligatorio di quiescenza nella sua globalità che non atteneva, pertanto, a censure formali. In

secondo luogo, il rigetto della questione di legittimità costituzionale derivava dal difetto di motivazione

sulla rilevanza. La parte ricorrente non offriva un’interpretazione costituzionalmente orientata della

73 Cfr. Cort. cost. 17 marzo 2017, n.58 in http://www.cortecostituzionale.it/default.do. La questione, anche in questo giudizio, analogamente al rinvio pregiudiziale dinanzi la Corte di giustizia, è stata sollevata dalla Corte dei Conti, sez. giurisdizionale della Regione Siciliana. Il giudizio partiva da un ricorso in annullamento per difetto assoluto di motivazione presentato dalla sig.ra Bertolami avverso la Regione Sicilia in seguito ad un provvedimento che prevedeva la riduzione dell’importo della pensione di parte ricorrente ed il recupero degli importi erogati in rapporto a periodi trascorsi. Tale provvedimento veniva, poi, integrato nella parte motiva nel corso del giudizio. 74 Cfr. Cort. cost. 26 maggio 2015, n.92 in http://www.cortecostituzionale.it/default.do.

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norma oggetto della censura, né tanto meno prendeva in considerazione lo sviluppato orientamento della

giurisprudenza amministrativa75 secondo cui il difetto di motivazione non può essere assimilato alle

norme procedimentali o ai vizi sulla forma, atteso che la motivazione è il baricentro, l’essenza del potere

amministrativo nel suo legittimo esercizio, il presidio di legalità insostituibile. La Consulta concludeva,

dunque, per l’uso improprio dello strumento del vaglio di costituzionalità 76.

5. Per un controllo case by case del giudice amministrativo

Nonostante la diversità delle conclusioni alle quali sia la giurisprudenza comunitaria che nazionale e sia

la dottrina, sulla base di questa disamina, sono pervenute, sembra possibile tracciare alcune riflessioni di

sintesi.

È ormai chiaro che sia il nostro ordinamento che l’ordinamento comunitario difettano di una normativa

puntuale che disciplini il “quando” della motivazione. La motivazione, tuttavia, è il presidio della legalità

dell’azione amministrativa e solo attraverso di essa il privato può ricostruire l’iter formativo e le ragioni

della scelta discrezionale nonché, permettere al giudice il sindacato sull’atto. Deve, quindi, ritenersi che il

divieto di motivazione postuma, così come sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa prevalente77,

deve essere confermato, salvo eccezioni. Non tutte le ipotesi, infatti, di integrazione della stessa nel corso

del giudizio sono censurabili e, dunque, dichiarabili inammissibili: si pensi al caso in cui il privato abbia

avuto conoscenza delle ragioni sottese all’emissione del provvedimento gravato attraverso la percezione

degli atti infra-procedimentali e nei cui confronti la motivazione si configura come un semplice

chiarimento, ovvero, al caso in cui l’integrazione postuma non leda il diritto alla difesa della controparte

75 Ex multis: Cons. St., sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629; Cons. St., sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4770; Cons. St., sez. III, 30 aprile 2014, n. 2247; Cons. St. sez. V, 27 marzo 2013, n.1808 in Ordinanza Corte Costituzionale, n.92/2015. 76 Analoga questione, giudicata del pari inammissibile dalla Corte Costituzionale, attiene al tema della sufficienza del voto numerico nei pubblici concorsi . Anche in questo caso si assiste all'erosione della portata applicativa dell'art. 3, l. n. 241/1990, in quanto il Giudice delle Leggi, disattendendo le censure avanzate, ha statuito che gli artt. 24, 113, 111 Cost. e 6 CEDU esprimono principi rilevanti sul solo piano processuale; al contrario l’obbligo di motivazione attiene al procedimento amministrativo, affermando la sufficienza del voto numerico atteso il principio di economicità che informa l’azione amministrativa, Corte Cost., 30 gennaio 2009, n.20. Recentemente, su punto è intervenuta l’Adunanza Plenaria la quale ha ribadito la sufficienza del voto numerico, se attribuito in base a criteri predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione, Cons. di St., Ad. Pl., 20 settembre 2017, n. 7. 77 Cfr. T.A.R. Roma sez. I, 28 agosto 2017, n. 9440; T.A.R. Napoli sez. III, 28 giugno 2017, n. 3509; T.A.R. Napoli sez. II, 09 giugno 2017, n. 3116; T.A.R. Napoli sez. VII, 10 maggio 2017, n. 2505; T.A.R. Catania sez. III, 05 aprile 2017, n. 711; T.A.R. Napoli sez. V, 07 giugno 2017, n. 3064; Consiglio di Stato sez. III, 09 gennaio 2017, n. 24; T.A.R. L'Aquila sez. I, 07 novembre 2016, n. 693; T.A.R. Parma sez. I, 13 luglio 2016, n. 230. Tale orientamento statuisce che la motivazione deve precedere e non seguire il provvedimento amministrativo, a tutela del buon andamento della P.A. e dell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario. In particolare essa, costituendo l'essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata, non può essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall'Amministrazione resistente nel corso del giudizio.

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o infine, al caso in cui la pubblica amministrazione debba adottare degli atti vincola ti, la cui motivazione

si riduca ad una semplice elencazione della stessa norma attributiva di potere che ne spiega l’ambito. In

questi casi, l’introduzione nel giudizio di chiarimenti, offerti dalla pubblica amministrazione sulla

motivazione, non determinano l’annullabilità del provvedimento per violazione di legge; in ogni caso

l’istituto dei motivi aggiunti accorda al privato interessato la possibilità di contrastare opportunamente ed

adeguatamente le nuove ragioni che s'introducono in corso di causa 78. In definitiva, dunque, anche dopo

l'entrata in vigore dell'art. 21 octies, II co, primo periodo, della L. 7 agosto 1990 n. 241, in corso del giudizio

la motivazione incompleta può essere solo perfezionata e ricostruita attraverso gli atti del procedimento

amministrativo laddove si tratti di un’attività vincolata e laddove il provvedimento non avrebbe potuto

avere un contenuto differente da quello adottato79, mentre sono inammissibili gli argomenti difensivi

introdotti nel processo, poiché non essendo inseriti nel procedimento amministrativo, sono, invece,

idonei ad integrare in via postuma la motivazione80.

Accedendo, dunque, alla tesi della trasformazione dell’oggetto del processo amministrativo da giudizio

sull’atto, come giudizio impugnatorio, a giudizio sul rapporto81, il giudice amministrativo dovrà quindi,

effettuare ad un controllo case by case, in concreto ed ex post circa la non incidenza, della integrazione

postuma della motivazione, sul diritto alla difesa del soggetto interessato. Invero, la presenza di tale vizio

non produrrà ex se l’illegittimità del provvedimento e lo stesso non sarà annullato qualora il giudice accerti

che la qualificazione del fatto ed il riferimento alla norma siano univoci e non residuino margini di dubbio

nel destinatario82. Tuttavia, però, deve sottolinearsi che, in questo ambito di applicazione della norma, il

sindacato del giudice amministrativo deve ridursi ad una mera attività interpretativa , altrimenti si

assisterebbe alla lesione del principio fondamentale della separazione dei poteri.

Tuttavia, nonostante la crisi del principio di legalità a vantaggio del principio di efficienza, il

provvedimento amministrativo deve sempre rispettare il principio di legalità formale dell'azione

78 Cfr. Cons. St., sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1241: nel caso analizzato dal Consiglio di Stato l’integrazione postuma della motivazione era consistita nella mera indicazione di una fonte normativa prima non menzionata nel provvedimento tuttavia assunta dall'Autorità emanante a fondamento del proprio operato. Tale fonte che ad avviso del collegio giudicante avrebbe dovuto e potuto essere conosciuto da un operatore professionale, quale la società ricorrente, per cui il vizio di eccesso di potere era da ritenersi insussistente, in www.giustamm.it. 79 Cfr. T.A.R. Napoli sez. III, 08 novembre 2016, n. 5150; T.A.R. Trento sez. I, 28 marzo 2017, n. 103; T.A.R. Roma sez. II, 21 giugno 2017, n. 7251; T.A.R. Venezia sez. III, 26 maggio 2017, n. 511. 80 Cfr. Tar Sicilia, sez. III, 25 marzo 2016, n. 889; Cons. St., sez. IV, 7 febbraio 2015, n. 5564; Cons. St., sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3376; Tar Salerno, sez. I, 13 gennaio 2016, n. 23; Cons. St., sez. V, 29 aprile 2016, n. 1645; T.A.R. Roma sez. I, 28 agosto 2017, n. 9440; T.A.R. Roma sez. III, 03 agosto 2016, n. 9030; T.A.R. Roma sez. II, 11 settembre 2017, n. 8243. 81 Cfr. Cons. St. Ad. Plen. del 22 ottobre 2007 n. 12 in http://www.ambientediritto.it/sentenze/2007/CDS/Cds_AP_2007_n.12.htm. 82 Cfr. M. De Donno, Riflessioni sulla motivazione in diritto del provvedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., fasc.3, 2013, 629.

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amministrativa, nonché i principi di tipicità e nominatività. È necessario, dunque, che continui sempre

ad esistere una relazione biunivoca tra norma e potere, e quindi tra norma e provvedimento83.

Inoltre, attraverso la Riforma Madia84, pare che il legislatore stia avviando un processo di rafforzamento

della posizione giuridica di soggetti privati e imprese, con uno spostamento dell'asse dal principio di

affidamento al più pregnante principio di certezza nella stabilità del provvedimento85, recuperando la

centralità della motivazione del provvedimento soprattutto nell’ambito dell’autotutela amministrativa 86.

L’obbligo di motivazione ed il suo divieto di integrazione postuma si qualificano come gli strumenti

necessari per legittimare, non soltanto, il potere dell'autorità amministrativa o del giudice, ma, i n generale,

per legittimare chiunque eserciti un pubblico potere. Non a caso, anche per gli atti normativi delle

Istituzioni europee sussiste l’obbligo di motivazione. Attraverso la motivazione si risponde ad un’esigenza

fondamentale: la pretesa che ogni cittadino ha di conoscere le ragioni per cui è tenuto ad obbedire ai

comandi dell'autorità. La mancanza della motivazione frustrerebbe, invece, la funzione della pubblica

amministrazione come “casa di vetro87”, dove la motivazione è, soprattutto, espressione del principio

trasparenza.

In conclusione, dunque, in ragione dei principi di legalità, di strumentalità delle forme e di separazione

dei poteri, l’integrazione postuma della motivazione non può ottenere un riconoscimento incondizionato

nel nostro ordinamento in quanto, così facendo, si assisterebbe alla lesione non soltanto del diritto alla

difesa del cittadino ma anche alla lesione del principio di certezza del diritto, della parità delle parti e del

giusto processo88 nonché della pienezza della tutela secondo il diritto europeo89.

83 Cfr. G. Corso, Motivazione degli atti amministrativi e legittimazione del potere negli scritti di Antonio Romano Tassone, in Dir. Amm., fasc.3, 2014, 463. 84 Cfr. Legge del 07 agosto 2015, n. 124 (c.d. legge Madia). 85 Cfr. A. Gigli, Nuove prospettive di tutela del legittimo affidamento nei confronti del potere amministrativo, Napoli, 2016. 86 Il rilievo della motivazione assume maggiore rilevanza nell’esercizio del potere di autotutela da parte della p.a. in seguito all’emissione di un provvedimento di concessione in sanatoria. Sebbene, trattasi dell’esercizio di un potere discrezionale non doveroso, l’intensità della motivazione varia a seconda se l’affidamento ingenerato nel terzo sia legittimo o meno. Invero, se l’affidamento è legittimo la motivazione dovrà essere molto intensa, viceversa non è richiesta una motivazione forte se l’affidamento non è legittimo. Infine l’Adunanza Plenaria nega, di contro, la motivazione nel provvedimento amministrativo allorquando la pubblica amministrazione agisce per sanzionare una costruzione abusiva, seppur tardivamente. In tal caso, anche se l’esercizio del potere di autotutela è adoperato a distanza di un lasso temporale molto ampio, per la natura vincolata del potere esercitato e l’assenza di un titolo legittimante, non viene in rilievo una alcuna posizione di affidamento legittimo. Inoltre dato l’illecito sono ininfluenti sia l’alterità soggettiva che la buona fede soggettiva, attesa la conoscibilità da parte del successivo acquirente dell’ abusività dell’immobile. Cfr. Cons. St. Ad. Pl., del 17 ottobre 2017, n. 9. 87 Cfr. A. P. Griffi, Il fondamento costituzionale della legislazione in tema di trasparenza e di lotta alla corruzione: alcune riflessioni, in http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2016/02/patroni_griffi.pdf, marzo 2016. 88 Cfr. M. Ramajoli, Giusto processo e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., fasc.1, 2013, 100. 89 Cfr. Tar Sicilia-Catania, Sez. II, 19 dicembre 2011 n. 3055, punto 3 delle considerazioni in diritto, in http://www.giurdanella.it/2012/01/04/motivazione-incompleta-della-pa-no-all-integrazione-mediante-argomenti-difensivi/.