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Lo Sguardo sui 5 Reali Siti - Anno XI - n° 11/12 - Novembre/dicembre 2013

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interpretate come cementificazione, ma libe-razione delle vie di naturale deflusso. Poi l’aspetto che riguardano le opere umane esi-stenti, sia autorizzate che abusive e quelle che riguardano lo sviluppo futuro dell’attività urbanistico-edilizia.

Se qualche pubblico amministratore pensa che le alluvioni si combattono solo tramite finanziamenti pubblici suf-ficienti, ebbene si sbaglia di grosso. Infatti le alluvioni si combattono “anche” con i finanziamenti di idonee opere pubbliche di prevenzioni, presidio e manutenzione idraulica, ma soprattutto con una gestione tecnicamente valida.

E allora perché non pensare di coin-volgere i Consorzi di Bonifica operanti sul territorio, quello della Capitanata e quello del Gargano, che con uomini, professionalità e mezzi possono avere un ruolo importante al controllo del territorio, con poteri reali di intervento, questo sicuramente rappresenterà la riposta più accettabile

per dimostrare la effettiva volontà per una concreta inversione di tendenza generale della Pubblica Amministrazione a tutela del terri-torio. Solo così, nel medio-lungo periodo, sarà possibile evitare, o almeno mitigare sen-sibilmente, le emergenze ed i disagi per la gente di Capitanata.

“Prevenire, preservare, proteggere” era lo slogan di un’azienda foggiana operante nel settore della sicurezza. Queste benedette tre P dovrebbero essere il chiodo fisso per gli Amministratori locali per i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane ed alluvioni. Il dissesto idrogeologico rappre-senta per la nostra provincia e per il nostro Paese un problema di no-tevole rilevanza, visti gli ingenti danni arrecati ai beni e, soprattutto, la perdita di moltissime vite umane. In Capitanata il rischio idrogeologico è diffuso in modo capillare e si presenta in modo differente a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio: frane, esondazioni e dissesti morfologici di carattere torrentizio, trasporto di massa lungo le conoidi nelle zone montane e collinari, esondazioni e sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura. Ma questo è stato fortemente condizionato dall’azione dell’uomo e dalle con-tinue modifiche del territorio. Tra gli anni ’50 e i primi anni ’60 del secolo scorso nei Monti Dauni con l’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il con-tinuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, l’occupazione di zone di pertinenza fluviale, l’estrazione incontrollata di fluidi (acqua e gas) dal sot-tosuolo, il prelievo abusivo di inerti dagli alvei fluviali, la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio.

Il continuo verificarsi di questi episodi ha indotto la politica di gestione del rischio, dell’epoca, ad una impostazione di base in-centrata sulla riparazione dei danni e sull’erogazione di provvidenze. E così più che affrontare il problema si sopperiva l’emergenza con interventi improvvisati. C’è un tratto di strada che per anni collegava alcuni comuni della Campania con il capoluogo dau-no, la Deliceto-Ponte Radogna, la Sp.91 ter, nel periodo primaverile era soggetto a lavori improvvisati di dranaggio per il dissesto, ma alle prime piogge autunnali tutto andava a

farsi benedire. Quel tratto di strada oramai è il “monumento” al dissesto idrogeologico dei Monti Dauni. Un dato di fatto inconfu-tabile resta che per tutti questi anni è venuta meno la protezione idraulica di territori e geologicamente articolati si può perseguire adeguatamente solo applicando con perseve-

ranza e decisioni alcune strategie, da attuare in piena intelligenza sia nel breve, che nel medio e lungo termine. Iniziando dalla ma-nutenzione idraulica delle vie di deflusso naturale, la pulizia e la manutenzione dei canali, dei fossi, dei torrenti. Si badi bene pulizia e manutenzione che non devono essere

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Mentre la crisi economica avanza e cre-scono disoccupazione e allarme sociale, i partiti e, al loro interno, le diverse correnti, si affaticano a lanciare, nei talk show e sui giornali, spot e slogan di diverso tenore, tutti inneggianti al cambiamento e alla ne-cessità di voltare finalmente pagina, nella speranza di attrarre nella loro orbita il mag-giore consenso possibile. Intanto, mentre il Pdl si divide (Forza Italia e Nuovo cen-trodestra), al centro Pier Ferdinando Casini e Mario Mauro varano la nave popolare, Beppe Grillo e i suoi parlamentari penta-stellati continuano a restare sul tetto - l’Aventino dei tempi moderni - e Matteo Renzi (Pd) è alle porte, cresce a dismisura nel Paese la disaffezione nei confronti della politica, caratterizzata dalla dispe-razione e soprattutto dall’«assenza di speranza», dalla mancanza, cioè, di prospettive per il futuro, a partire natu-ralmente dal lavoro. In questo contesto di frantumazione politica e di profondo disagio della gente, io spero che, dopo l’8 dicembre 2013 (primarie del Pd e scelta del segretario nazionale), arrivi il tempo di chiudere definitivamente con la pro-paganda mediatica - oggi segnata a parole dalla “fame” di rivolgimenti positivi e dalla offerta politica (?) del cosiddetto “nuovo” - per lasciare il posto alle scelte concrete e magari costruttive. Il “nuovo”, di cui tanto si blatera in questo periodo caratterizzato dalla crisi della partecipa-zione e dalla fuga nel privato, non può, però, avanzare ripercorrendo le vecchie strade del verticismo/centralismo (c’è in alto chi, deputato o assessore regionale che sia, decide per tutti ed interviene persino nelle scelte che spettano alla periferia) e del tesseramento “truccato” (i “signori delle tessere” hanno continuato ad operare indisturbati anche nelle vicende degli ultimi tempi, in tutti i partiti, compreso quello al quale, per quanto deluso, appar-tengo): tutto questo non agevola certamente la partecipazione, ma violenta come non mai la dignità e il valore della politica, da tutti ormai rigettata quale “affare losco”.

La politica, al contrario, è “bella”, per dirla con Walter Veltroni, e non può essere deturpata né dalle ambizioni degli avven-turieri di turno né dalle malefatte di chi utilizza il potere conseguito grazie al con-senso della gente per finalità personali e senza preoccupazioni moralistiche, come testimoniano le vicende giudiziarie che han-no investito molte regioni. Se si vuole, per-tanto, tentare di modificare gli atteggiamenti di radicata sfiducia serpeggianti non solo nella pubblica opinione, ma anche tra gli iscritti, bisogna partire dalle piccole cose, oltre che da una severa revisione critica delle attuali strutture partitiche, sia all’in-terno che all’esterno. All’interno è indispen-sabile rivedere i meccanismi di adesione e creare forme di verifica periodica dell’ef-

fettiva appartenenza, se non altro per garan-tire la fisionomia ideologica: il partito, infatti, non è un treno da prendere a proprio piaci-mento e sul quale salire quando si vuole e secondo i propri interessi momentanei.

All’esterno, poi, è urgente accreditare il partito (facendolo diventare realmente) come luogo di dibattito, di confronto culturale, di approfondimento ideologico, senza intolleran- ze e senza dogmatismi, pur nel rispetto di alcune premesse di valore: se tutto questo si realizza, in uno con la “rivoluzione della trasparenza e della gratuità della politica come servizio”, è possibile ancora che si possa porre fine a quel “silen-zioso abbandono”

di cui, a proposito del Pd, parla Massimo D’Alema. In un contesto politico, infine, come quello attuale, in cui l’entourage di Silvio Berlusconi - falchi e colombe, tutti insieme nonostante la scissione apparente - è impe-gnato a battagliare fino all’ultimo (fino a mercoledì 27 novembre 2013, giorno del voto al Senato per la decadenza del cavaliere) per la difesa ad oltranza del loro leader indiscusso; in cui l’esperienza del Movimento 5 Stelle continua a mostrare tutti i limiti tipici del populismo e della demagogia; in cui il Centro cerca nuovi approdi per contare di più; il giovane rampante sindaco di Firenze sembra avere le idee chiare sul pd che verrà e sembra oggi godere delle simpatie degli iscritti e della gente proprio in virtù della sua capacità di accendere la speranza, ma deve dimostrare con i fatti la sua abilità ad immaginare un’alternativa vera allo stato di cose presente, adoperandosi perché il pd recuperi, dopo tante storiche sconfitte, il suo ruolo di forza politica e culturale che, avendo nel suo Dna il valore della dignità dell’uomo, possa essere pronta a fronteggiare quello che Norberto Bobbio ha definito “lo scandalo della disuguaglianza”.

È l’ultima chance per la sinistra italiana. Il “teatrino” è sotto gli occhi di tutti: da un lato il Pdl che sta implodendo sul tema della decadenza di Silvio Berlusconi, come testi-moniano le spaccature endogene tra “falchi” e “colombe” (o, se si vuole, tra “lealisti” e “governativi”, pardon “innovatori”, come amano oggi chiamarsi quelli che hanno com-preso che la partita non si può giocare solo intorno al nome del loro leader, padre-padrone del partito); dall’altro il giovane “rottamatore fiorentino” che sta accendendo una speranza tra la gente, ma che ha ancora molta strada da fare e non sempre in discesa, all’interno di un partito (Pd) lacerato e senza

più la tensione ideale dei primi anni; dall’altro ancora la galassia di centro (Scelta civica) che sta faticosamente cercando la sua strada, come testimonia la vicenda delle dimissioni di Mario Monti. Dinanzi a tutto questo Beppe Grillo gongola, trovando ulteriori conferme al suo grido iconoclastico “tutti a casa”. Le tensioni vissute al centro, poi, si ripercuotono inevitabilmente a cascata anche sulla periferia, dove persino i congressi per la nomina del coordinatore di circolo “si colorano” (si fa per dire) di trucchetti e stratagemmi per l’accapar-ramento delle tessere, oltre che di ca-muffamenti e di ricatti, per assegnare la vittoria a questo o a quel candidato. La vicenda dei congressi del Pd in atto in questi giorni docet, ma così è anche negli altri partiti, pronti a lanciare slogan sul cambiamento, salvo, poi, a disattenderli nella realtà. Credo proprio che oggi ci ritroviamo tutti immersi nella stagione dell’apparire, che non solo sovrasta l’essere, ma addirittura lo condiziona; nella stagione della vacuità della parola che sovrasta il

pensiero e lo condiziona. Non è questo il cambiamento che la gente vuole, così come è diventato un luogo comune (topos), una frase fatta, un modo di dire stantio, ripetere, come in uno stanco ritornello, che il “nuovo” passa tout court attraverso le donne e i gio-vani, riducendo così il confronto politico ad una mera questione anagrafica. O forse oggi per “fare politica” bisogna travestirsi da donna o sottoporsi ad estenuanti lifting per eliminare le rughe del viso e recuperare qualche anno? Penso che le donne e i giovani in politica vadano benissimo, ma le donne e i giovani “innovatori”, capaci, cioè, di essere «imprenditori di idee», di guardare lontano, di proporre modelli e visioni non legati a preoccupazioni di breve periodo, di governare il cambiamento e non di subirlo.

L’arroganza di chi pensa che si possa fare a meno dell’esperienza non ha mai ge-nerato nella storia movimento positivo. Par-leremo più dettagliatamente la prossima volta di come si possa cambiare le cose, a partire da una diversa concezione dei partiti e, nello specifico, del partito del quale mi onoro di far parte.

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La rabbia dei forconi a Cerignola e nei Reali Siti

“Quando un governo non fa più ciò che vuole il popolo, va cacciato con mazze e pietre”. questo si leggeva nel volantino di invito alla mobilitazione alla protesta dei Forconi. Mazze e pietre nella mobilitazione di Cerignola, Orta Nova, Stornarella e Cara-pelle sono restate simboliche, anche se si sospetta la serrata forzata per alcuni esercenti carapellesi. Una mobilitazione contro le tasse, la disoccupazione e i privilegi, ma anche contro la concorrenza senza freno dei cinesi. “Le condivisibili motivazioni di fondo della protesta attivata anche ad Orta Nova rischiano di essere offese e svilite dalle infiltrazioni delinquenziali e dall'atteggiamento squadrista assunto da chi sembra averne assunto il controllo”. In una nota lo afferma il sindaco Iaia Calvio commentando l'evoluzione delle manifestazioni organizzate in città e in altri centri della Capitanata per “rivendicare i le-gittimi diritti di lavoratori e imprenditori e studenti onesti stremati dagli effetti della crisi e sfiduciati dalle incertezze operative del Governo, troppo a lungo tenuto sotto scac-co da chi ora blandisce irresponsabilmente la piazza”.

“L'Amministrazione comunale si sta ado-perando per alleviare questo disagio, come testimoniano il rifinanziamento dei voucher lavoro e l'avvio della Family card”, sottolinea Iaia Calvio, “ed è pronta a schierarsi aperta-mente al fianco dei cittadini e delle categorie produttive, come fatto partecipando alle nu-merose manifestazioni organizzate dall'Anci contro il taglio delle risorse pubbliche desti-nate ai servizi o a quelle indette dalle orga-nizzazioni sindacali e imprenditoriali a difesa del lavoro e del Made in Italy. Nulla è stato fatto per impedire le manifestazioni di questi giorni, convinti come siamo che non si debba censurare il dissenso democraticamente espresso; ma la libertà di pensiero e di parola, garantita dalla Costituzione, nulla ha a che fare con le minacce subite da numerosi com-mercianti che vogliono tenere aperti i negozi o con le azioni che danneggiano direttamente e ingiustamente quanti non intendono aderire alla protesta. Questi sono episodi che atten-gono alla gestione dell'ordine pubblico e come tali vanno trattati e gestiti”, conclude la Calvio, “Mi appello alle persone oneste e alle orga-nizzazioni sane che hanno attivato la protesta, affinché tutelino se stesse emarginando i fa-cinorosi e ristabilendo un corretto dialogo con la città e l'Amministrazione comunale: di sicuro guadagneranno consenso e atten-zione”.

Le famiglie ortesi in difficoltà possono con-tare sulla Family card

“Vogliamo aiutare chi ha bisogno senza attendere che ci venga a chiedere l’elemosina, come purtroppo accade ogni giorno anche

in Comune”. È il senso politico e civico as-segnato dal sindaco Iaia Calvio all’attivazione della Family card: strumento di sostegno al reddito delle famiglie in difficoltà economica realizzato con la collaborazione dei commer-cianti ortesi. La carta garantisce sconti del 10-20% alle famiglie residenti a Orta Nova, con un reddito Isee inferiore a 15.000 euro e almeno due figli a carico, negli oltre 30 esercizi commerciali che hanno aderito all’iniziativa “riscoprendo la funzione sociale della piccola impresa e, mi auguro, ottenendo un beneficio sul fatturato”. La Family card sarà nominativa e rilasciata dall’Ufficio Po-litiche sociali del Comune, dopo la verifica dei requisiti, che comunicherà ai negozianti il codice abbinato all’identità del beneficiario.

“È ora impossibile quantificare il numero di carte che rilasceremo”, continua Iaia Calvio, “ma l’esperienza quotidiana mi dice che i fruitori saranno tanti. Persone alle quali vo-gliamo aiutare ad acquistare ciò di cui hanno bisogno senza rinunciare alla dignità perso-nale. Così come abbiamo fatto con i voucher lavoro, con cui garantiamo un’occupazione retribuita secondo norma a persone che la-vorano per la comunità. Prima i voucher, poi la Family card, che non mi risulta abbia precedenti in Capitanata, sono parte di una politica sociale che mira a sostituire la soli-darietà operosa all’interno della nostra comu-nità con l’assistenzialismo occasionale e op-portunistico. Non intendiamo arrenderci alla ineluttabilità della crisi e non vogliamo farci paralizzare dalla carenza di risorse economi-che: mancheranno i soldi, ma non il nostro ingegno e la nostra buona volontà di ammi-nistratori capaci e onesti”.

Il Dott. Potito Mauriello si è dimesso dal consiglio comunale. Al suo posto Gioacchino Attini

Il Dott. Potito Mauriello ha rassegnato le dimissioni dal consiglio comunale. La de-cisione è maturata per problemi di salute, al suo posto si insediato in consiglio comunale il primo dei non eletti nella lista UdC, Gio-acchino Attini. Il Dott. Mauriello occupava un ruolo di spicco nella commissione sanità,

fu proprio lui, già dai mesi successivi all’in-gresso in consiglio, ad occuparsi della vicenda della Cittadella della Sanità, lo stesso Mau-riello si è impegnato in prima persona anche sulla questione Cim, e sull’abbattimento dei locali adiacenti al Palazzo Ex Gesuitico. Al dott. Mauriello, il sindaco Iaia Calcio ha espresso solidarietà e vicinanza per la sua vicenda umana, prima ancora che politica.

Esonda il Torrente BassifioccoLe forti piogge di questi giorni hanno

portato a livelli d’attenzione i fiumi Carapelle e Cervaro, con il secondo che è esondato causando l’allagamento della S.S. 16 all’altezza di Borgo Incoronata causando pro-blemi alla viabilità stardale. Ingenti danni anche nelle campagne delle città dei Reali Siti, colpita maggiormente la contrada Ma-scitelli che hanno visto allagarsi i propri terreni a causa dell’esondazione del torrente Bassi-fiocco con allagamento della provinciale Orta Nova-Ordona, tratto importante per il traffico verso Napoli.

Laurea

Si è laureata presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea: Letteratura, Musica e Spettacolo, presso l’Università La Sapienza di Roma Doriana Di Pietro discu-tendo la tesi: Fosca: temi e dualismi dell'ultimo romanzo tarchettiano.

Felicitazioni vivissime al papà Salvatore e la mamma Eufemia e il nonno Annito.

Al Gesuitico presentato il dizionario orteseCon una grande affluenza di pubblico si

è svolto, nella sala Rimembranza del Palazzo Gesuitico di Orta Nova, la presentazione del “Dizionario dialettale Ortese” di Potito Di Pietro. L’iniziativa è stata promossa dall’Asso-ciazione Culturale L’Ortese, con il patrocinio dell’Amministrazione comunale. Sono inter-venuti alla manifestazione il presidente dell’Associazione L’Ortese, Annito Di Pietro,

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il sindaco, Iaia Calvio; Nicola Pergola, già dirigente del Crsec di Cerignola e l’autore Potito Di Pietro. Ha presentato l’opera l’on. prof. Michele Galante. I lavori sono stati coordinati dal nostro direttore, Michele Cam-panaro.

Al via il 2° festival neomelodico

Si svolgerà dal 20 al 22 dicembre 2013, presso il Green Park di Foggia, la seconda edizione del Festival Neomelodico organizzato da Peppe Furio.e Aldo Scopece. Grande par-terre di ospiti: Pino Mauro, Enzo Di Dome-nico, Gianni Vezzosi, Antonio Buonuomo, Fabrizio Ferri, Gino Del Miro, Tony Sparan-deo, Alfredo Li Bassi, Nico Desideri, Salva-tore Termini e Gianmaria Barrano.

LuttoHa raggiunto la patria celeste don Salva-

tore Pacifico, vice parroco della parrocchia B.M.V. di Lourdes di Orta Nova. L’Editore, il Direttore e la redazione si associano al dolore dei parenti e dei parrocchiani.

* * *

È venuto a mancare all’affetto dei suoi cari il cav. Giuseppe Ladogana. L’editore Annito Di Pietro, il direttore Michele Cam-panaro e l’intera redazione si stringono al dolore della moglie Antonietta, ai figli, ai fratelli Franco e Mario e ai parenti tutti.

Mi ha colpito molto il commento di un amico al post di Lettere Meridiane in cui riflettevo sullo stop alla gara d’appalto per l’allungamento della pista del Lisa. Il lettore, Antonio Bruno, mi accusa in buona sostanza di aver creato confusione sulla vicenda.

Il cronista racconta i fatti, e i fatti che riguardano la storia amara dell’aeroporto di Foggia sono, purtroppo, oggettivamente con-fusi. Se non si vuol rinunciare all’oggettività del racconto, alla cruda realtà dei fatti, non si può fare a meno di raccontare la confu-sione.

Senonché la frecciata di Bruno ha un suo senso. Chi di noi non vorrebbe una realtà meno complessa, più decifrabile, e così più governabile?

Racconto di queste terra - delle sue spe-ranze, della sue disperazioni - che sono ormai quarant’anni. E m’accorgo che sempre più spesso sono costretto a narrarne la confusione. Che l’esercizio dell’oggettività, la ricerca del racconto che rifiuta il partito preso, si traducono sempre più spesso in un affannoso mettere insieme tessere che alla fine non compongono l’atteso mosaico, con buona pace di chi scrive e di chi legge. E m’accorgo anche che la confusione, il caos nascono dall’affastellarsi disordinato e inestricabile di contraddizioni: tra quello che è e quel che potrebbe essere, tra quel che poteva es-sere, e non è stato. È la contraddizione -

soprattutto quando diventa una costante della vita civile, del modo d’essere di vivere di una comunità - che genera confusione.

Quando le cose stanno così, non si può che chiamare in soccorso la storia. Nel senso che bisogna guardare indietro, a com’era fatto una volta il mosaico, per cercare di comprendere la strategia giusta a rimetterne assieme i pezzi.

Non è nostalgia, ma un tentativo di com-prensione affidato anche allo strumento della memoria.

Era questo che cercavo di dire in un altro post, dedicato a via Arpi, strada dell’arte, della conoscenza, ma anche di tante contrad-dizioni, guadagnandomi l’affettuosa accusa di misoneismo (nostalgia verso il passato, diffidenza verso tutto ciò che è nuovo) da parte di un collega.

Tra via Arpi e la parabola del Lisa ci sono più affinità di quanto non sembri prima vista. Nella seconda guerra mondiale l'aeroporto era il centro del Foggia Airfield Complex, grazie alla sua posizione nevral-gica. Per conquistarlo gli Alleati scelsero di sbarcare nell’insidioso sito di Salerno, e non come sarebbe stato più logico e comodo più a Nord. Una volta preso il Lisa, con la sua fitta rete aeroportuale circostante, divenne per la prima volta tecnicamente possibile bombardare la Germania. Allora, l’aeroporto di Bari Palese era la parte più estrema del

Foggia Airifield Complex: oggi le parti si sono invertite, e una ragione dovrà pur es-serci. Ma senza andare a tempi così remoti, qualcosa dovrebbe insegnarci anche il passato più prossimo. La città ha sempre fortemente creduto nell’aeroporto, tanto che vent’anni fa l’amministrazione comunale guidata da Paolo Agostinacchio creò una compagnia di bandiera tutta foggiana, la Federico II Airways. Mentre la città si indebitava per sostenere il sogno di quella compagnia (che pure dimostrò l’utilità dei voli al Lisa) le aree attorno all’aeroporto andavano sempre di più urbanizzandosi, rendendo sempre più ardua la possibilità di una nuova pista o di allungare quella attuale. Ecco la contraddi-zione che genera confusione.

La Federico II Airways è fallita, inne-scando la crisi economica del Comune che si trascina ancora oggi. Nel frattempo, nelle aree vicine all’aeroporto si è continuato a costruire, e questo ha dannatamente compli-cato il progetto di espansione dell'aeroporto, come si è visto nella tormentata storia dell’adozione del piano dei rischi. È mancata una cabina di regia per l’aeroporto, e non solo. È mancata, continua a mancare, una visione complessiva e condivisa del futuro della città. È questo che genera contraddi-zione e confusione. È questo limite che scom-bussola le tessere del mosaico, e costringe alla confusione di chi deve raccontare i fatti.

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Spegne le prime cinque candeline l’ente sovracomunale dell’Unione dei Comuni dei Cinque Reali Siti, partorita dopo una sofferta gestazione e sulla base dell’esperimento di colonizzazione agraria avviato nel lontano 1774 da Ferdinando IV di Borbone.

Tenacemente voluto dagli allora sindaci del territorio, l’ente mosse i primi passi pro-prio cinque anni fa con il primo storico Con-siglio presso la Sala Consiliare “Zampini” di Orta Nova presieduto dal sindaco di Ca-rapelle Alfonso Maria Palomba, uno dei primi a spingere verso la sua costituzione.

Nel suo discorso di insediamento Palom-ba spiegò chiaramente il senso di tale strut-tura, riassumibile in quattro principi fonda-mentali ossia “processualità, condivisione, trasparenza e sussidiarietà, a condizione che: 1) tutte le amministrazioni credano ferma-mente nel progetto; 2) ci sia una società civile forte; 3) ci siano attori privati che esprimano interessi produttivi e di sviluppo; 4) esista una cooperazione tra i diversi livelli di governo; 5) si affermi un clima di fiducia nella possibilità di una governatrice utile”.

Nel suo libro intitolato “Lunga marcia verso l’Unione“, l’ex sindaco poi osserva come l’Unione sia “una realizzazione in fieri e non certo compiuta in sè: il fine in sè e per sé è sempre al di là. I Cinque Reali Siti mirano di concerto a delineare un piano di -sviluppo sostenibile in una prospettiva di medio-lungo periodo, a partire dalle risorse e dalle potenzialità del comprensorio nel quale risultano mortificate le specificità ter-ritoriali a causa di una limitata valoriz-zazione“.

“Non c’è piano strategico senza la co-struzione collettiva di una visione condivisa del futuro del territorio, realizzata attraverso percorsi di partecipazione, discussione e ascolto di quanti (cittadini, agenti socio-economici, realtà associative, istituzionali e collettive) vi insistono: solo così si possono individuare criticità e punti di forza, vincoli e opportunità, nodi problematici e risorse” prosegue Palomba che conclude il suo lavoro elencando i dieci punti da considerare come esigenza prioritaria:

1. Adozione di misure legate al sociale e partecipazione dei soggetti più a rischio

alla vita della comunità;2. Sostegno a creazione di impresa e la-

voro autonomo, soprattutto a donne e giovani;3. Introduzione forme di cooperazione

attiva tra le amministrazioni;4. Creazione di servizi ricreativi, educativi

e culturali per il tempo libero;5. Miglioramento qualità della vita con

maggior sostegno a qualità ambientale e so-ciale della città;

6. Riqualificazione periferie;7. Investimenti infrastrutturali;8. Aggiornamento e coordinamento degli

strumenti urbanistici tradizionali;9. Razionalizzazione e integrazione della

gestione dei servizi di interesse pubblico;10. Coinvolgimento dei cittadini, favoren-

do la condivisione delle scelte.Una partita sì ancora aperta e tutta da

giocare, ma se si traccia un bilancio di questi primi cinque anni il quadro complessivo non è dei più rosei.

Sin dalla sua costituzione, infatti, l’Unione ha fatto parlare di sé più per il giro di poltrone (nomine di presidenti e deleghe) che per le sue concrete attività: si ricordano piuttosto le officine territoriali per la gioventù (progetto Agorà, tutt’altro che un successo per parte-cipazione e interesse degli adolescenti), l’intervento del sindaco di Orta Nova Cal-vio per contrastare l‘emergenza randagi-smo (“La gestione del canile compete all’Unione”), il contributo economico o di semplice patrocinio a numerose manifestazioni di respiro culturale e sociale (vedasi estate ortese 2013), il sostegno per la costituzione del Liceo delle Scienze Umane e del profes-sionale Socio-Sanitario a Stornara e per ultimo di recente la valorizzazione dell’Ecomuseo Valle del Carapelle.

All’importanza di comunicare le decisioni prese per così ridurre il gap politica-cittadini, i membri dell’Unione sembravano voler ri-servare un posto strategico: dopo l’infruttuoso progetto di un periodico informativo con pub-blicazione mensile (durato solo alcuni nume-ri), a gennaio 2012 ci ha provato l’editore de “Lo sguardo sui Cinque Reali Siti” con un inserto dedicato, poi ridottosi a una sola pagina, fino a scomparire del tutto dopo il numero disettembre quando fu proprio il con-sigliere di maggioranza di Stornarella Franco

Luce a lanciare l’allarme sul futuro dell’ente: “L’unanime approvazione dello Statuto dell’Unione aveva fatto capire che c’era una reale volontà di operare attraverso una stra-tegia comune per lo sviluppo del nostro ter-ritorio. Però sino ad ora di ciò si è visto poco o nulla, addirittura si assiste al paradosso che al contrario si è intensificato il legame e la difesa del proprio campanile”.

Da giugno 2013 il servizio di comunica-zione e informazione è affidato a un giorna-lista il cui compito è “la redazione e diffusione via web, attraverso l’impiego di una mailing list di testate giornalistiche, di comunicati stampa e redazione di una rassegna mensi-le relativa ad ogni iniziativa politico istitu-zionale del’Unione e dei Comuni ad essa aderenti, nonché curare la progettazione di conferenze stampe e convegni, per tema-tiche di particolare rilevanza, ad iniziativa dell’Unione, in tutte le relative fasi organiz-zative” si legge nella delibera di Giunta n. 3 del 4 febbraio 2013.

Ma di tali strumenti, (che costano alla collettività 4.000 euro l’anno più rimborso spese fino a euro 1.000) finora, non se ne vede l’ombra.

Tanti tra i 35.000 abitanti dell’Unione hanno sin da subito nutrito dubbi sull’efficacia di tale ente sovracomunale, proprio a causa di uno scarso senso di responsabilità mostrato in diverse occasioni dai suoi amministratori: in principio furono infatti gli stessi politici locali a puntare il dito contro il “modus operandi” embrionale dell’Unione, poi i suoi cittadini che si sono sempre più sentiti esclusi e lontani dalle decisioni di Giunta e di Con-siglio: alle riunioni consiliari, in cui manca di solito almeno un terzo dei consiglieri oltre alla consuetudinaria assenza dei sindaci-assessori, partecipano poche decine di persone pur trattandosi di argomenti di interesse col-lettivo). Per ultimo il neosindaco di Carapel-le Remo Capuozzo ha espresso perplessità sull’efficacia dell’ente pubblico.

Al presidente, alla Giunta e ai Consiglieri dell’Unione il compito certamente non facile di dare credibilità all’Unione, affinché diventi un laboratorio di idee e si passi concretamente dalle parole ai fatti per ridare slancio a tutto il territorio locale.

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Lunedì 2 Dicembre ci ha lasciati il prof. Potito Mele, onore e vanto di Ascoli Sa-triano, un vero galantuomo, INTEGER VI-TAE SCELERISQUE PURUS, integerrimo nella vita e scevro da ogni compromesso, esemplare nella professione, leale con tut-ti.Io personalmente ho perso un amico, un grande amico sincero, cui ero legato da un rapporto basato su affinità di interessi e stima reciproca. Ho ancora davanti a me il laconico e terribile messaggio telefonico del fratello Raffaele che alle 8,30 del sud-detto lunedì mi comunicava la ferale notizia. Chiedo nuovamente aiuto al poeta Orazio per esprimere il mio stato d'animo: QUIS DESIDERIO SIT PUDOR AUT MODUS TAM CARI CAPITIS? QUALE RITE-GNO O FRENO CI POTREBBE MAI ES-SERE AL RIMPIANTO DI UNA COSI' CARA PERSONA? Nessun freno, caro Potito! Ed è con un magone infinito e con un groppo alla gola che ti parlo, per dirti quanto io sia rimasto colpito dalla tua im-provvisa dipartita, così repentina da impe-dirmi di venire a darti l'ultimo saluto in vita nella tua stanzetta all'Hospice del “Don Uva”, a Foggia, dove hai concluso il tuo calvario, iniziato cinque mesi prima. In quel periodo di incertezza e sofferenza ci siamo sentiti e visti tante volte, e insieme abbiamo sperato che tutto potesse tornare come prima e che tu potessi riprendere i tuoi studi, che davano a te soddisfazione e lustro al tuo paese. Mi informavi di ogni iniziativa o progetto che ti coinvolgesse e poi, puntualmente, mi invitavi ad Ascoli

Satriano in occasione dell'evento. Se mi abbandono all'onda dei ricordi, penso al giorno del '79 in cui presi il tuo posto al Liceo “S. Cuore” di Foggia, all'impegno nel Comitato Prov.le Precari, alla collabo-razione con le Associazioni “Atene e Roma” ed “Aede”, insieme al nostro co-mune e ugualmente compianto amico Gio-vanni La Marca, al mitico viaggio in Grecia nel Giugno '82, alla comune ventennale esperienza didattica nella grande casa del Liceo Scientifico “Volta” durante la Pre-

sidenza Mauriello, a quell'indimenticabile domenica di Aprile '92, allorché, munifico anfitrione, accogliesti un'intera delegazione della nostra scuola in trasferta cultural-sportiva nel tuo “borgo”, così vivace cul-turalmente ed editorialmente. E all'epoca non c'era ancora Faragola e i Grifoni non erano ancora tornati. Che giornata! E tutto grazie al tuo garbo e al tuo squisito senso dell'ospitalità. Ecco perchè non ci può es-sere freno al rimpianto di Potito Mele, uo-mo mite, uomo colto, persona riservata e schiva, ma sempre disponibile. Tu hai mo-strato a tutti, caro Potito, che la cultura senza quell'insieme di doti personali che gli antichi chiamavano “humanitas” è una parola vuota... Tu, Potito, di questa “virtus” sovrabbondavi e di ciò possono andare fieri la tua cara Rosetta, tuo fratello, i tuoi nipoti, i tuoi concittadini, i colleghi, gli amici tutti. Io, semplicemente, ti ringra-zio.Ave atque vale.

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Esistono vari modi per verificare, a inizio di un nuovo anno di lavoro, qual è il grado di successo e di ricaduta sul territorio in merito alle attività svolte. Utile a tale scopo è stata la cerimonia d’inaugurazione anno accademico 2013/2014. Venerdì 14 novembre 2013 nella prestigiosa sala della “Rimembranza” del pa-lazzo ex Gesuitico in Orta Nova si è tenuta l’inaugurazione del nuovo Anno Accademico 2013/2014 dell’Unitre “Unione dei Comuni dei 5 Reali Siti” alla presenza del Sindaco Maria Rosario Calvio e dell’Assessore Anto-nio Tartaglia. Il vicepresidente dell’Unitre Rag. Annito Di Pietro ha moderato la ceri-monia in maniera lodevole, facendo un reso-conto positivo della presenza dell’Unitre sul territorio già da sei anni. Ha preso la parola il Sindaco, che elogiato l’attività meritoria dell’Unitre e dei suoi dirigenti. In particolare ha evidenziato che la scarsezza di risorse e di contributi mette ancora di più in risalto l’Università, cui bisogna riconoscere il pregio di intraprendere programmi ambiziosi. Subito dopo il Direttore dei corsi, Prof. Antonio De Carolis, ha presentato i nuovi corsi e laboratori di tutti e cinque i paesi dell’Unione. L’insieme

di tali percorsi - ha aggiunto - dimostra la vitalità dell’Unitre nel facilitare la crescita culturale e le relazioni interpersonali. Ha terminato gli interventi la Presidente dell’Unitre, Prof.ssa Rina Di Giorgio Cava-liere, ricordando che sono state superate molte difficoltà in questi anni e altre sono da risol-vere con il dialogo costruttivo e il buon senso. Ha, inoltre, ringraziato tutte le persone e le i s t i tuz ioni che hanno in teragi to con l’Associazione, favorendo il raggiungimento degli obiettivi. Le finalità dell’Università sono ben condivise dalle cittadinanze dei cinque comuni e la mostra dei lavori negli adiacenti locali è la prova dell’entusiasmo e della passione degli associati studenti. La serata è proseguita con la rappresentazione melodrammatica della Compagnia Teatrale “Scena Aperta” di Foggia “Coriandoli e altre storie del ‘43”, regia di Tonio Sereno. Lo

spettacolo ha mostrato le vicissitudini dram-matiche vissute dalla città di Foggia durante la seconda guerra mondiale, coinvolgendo ed emozionando il pubblico in sala. I criteri che, anche per quest’anno, hanno guidato nella scelta dei corsi-base e nell’articolazione degli orari, hanno risposto allo scopo di creare si-tuazioni capaci di mobilitare e sostenere l’interesse, presentare spunti per l’espli-citazione di tutti gli elementi utili a successivi svolgimenti. Lezione dopo lezione i docenti procedono con i mezzi e i contenuti adatti all’età dei corsisti. Difficilmente si può pre-vedere con anticipo a quali risultati si potrà arrivare nel corso dello studio. La nostra Sede si attiva per offrire agli iscritti le occasioni migliori propedeutiche alla formazione di un atteggiamento mentale per il quale una persona sia continuamente in grado di stabilire nuovi e fruttuosi rapporti con se stesso, con gli altri e con l’ambiente in cui si trova a operare.

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Si chiama “Parkour”, lo sport urbano estremo nato in Francia nel 1995 e ormai largamente diffuso anche in Italia a partire dal 2005, che consiste nel saltare da un edi-ficio all’altro, superare ostacoli, rimbalzare sui tetti secondo un percorso prestabilito, nel tempo più rapido e nel modo più semplice possibile. Il problema è che, la larga diffusione sulla rete e la presenza di migliaia di filmati amatoriali su internet che mostrano le acro-bazie di esperti parkouristi, ha fatto si che lo spirito emulativo prendesse piede soprat-tutto tra i giovani ed il fenomeno diventasse un vero e proprio cult per giovanissimi ed in particolare, minori alla ricerca dell’ebbrezza del proibito e del pericoloso. Tale diffusione ha naturalmente riguardato anche la provincia di Foggia, dove sono presenti diverse realtà di questo tipo; alcune per-fettamente integrate tra gli sport praticati, altre operanti in palese violazione delle normative vigenti in materia penale e di sicurezza. Infatti se il saltare da una proprietà all’altra è reato penale, punito dall’art. 614 come “violazione di domicilio”; è pur vero che l’affrontare voli di diecine di metri rende tale sport particolarmente rischioso per la salute nonché, al limite. A tal riguardo, va osservato che risultano numerosi ed in crescita da un po’ di tempo a questa parte, anche nel nostro ter-ritorio, gli episodi di minorenni feriti gravemente per aver provato inco-scientemente questi salti e acrobazie urbane. Ed è proprio al “fenomeno Parkour”, stando almeno alle indiscrezioni raccolte in anoni-mato tra gli studenti, che si ricollegherebbe i l g r a v e a t t o p e r p e t r a t o a i d a n n i dell’I.P.S.S.C.T. Adriano Olivetti di Orta Nova, nella notte tra il 30 ed il 1° ottobre scorso. Le incursioni ai danni di istituti sco-lastici ortesi, sulle quali stanno indagando alacremente senza tralasciare alcuna pista i Carabinieri della locale Stazione, sarebbero in totale ben tre. Nello specifico, due episodi riguardano direttamente proprio l’Olivetti ed un terzo invece, la Scuola Media Sandro Per-tini. Se si analizzano le relative scene del crimine, l’idea di fondo che ne emerge lasce-rebbe pensare che i tre episodi risulterebbero parte integrante di una stessa matrice e, non sarebbero finalizzati al furto. Anche la tem-pistica risulta illuminante, dal momento che tutti e tre gli atti criminali sarebbero avvenuti in un brevissimo intervallo di tempo: a soli pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Tutto ciò supporterebbe l’ipotesi dilagante tra gli studenti dell’Olivetti, della sfida tra parkouristi locali degenerata in una deprecabile serie di atti vandalici, ai danni delle relative strutture

scolastiche. E già, perché a scanso di facili equivoci, vale la pena sottolineare che il Parkour è una disciplina di tutto rispetto, che tende alla risoluzione dei problemi e delle avversità attraverso l’analisi delle situazioni critiche che si presentano nella vita di tutti i giorni, anche le più difficili. In ogni modo se tra i vandali in azione siano stati presenti anche studenti dell’Olivetti, è argomento “scottante”, al quale per il momento in assenza di certezze investigative, nessuno si sente di voler rispondere. Quanto alla ricostruzione dell’accaduto: nella notte tra il 25 e il 26 settembre ignoti penetrano scavalcando il cancelletto esterno laterale dell’Olivetti, all’interno del cortile in corrispondenza della porta di uscita della Sala Docenti. Scalando

agilmente la sovrastante facciata, passando dall’inferriata di una finestra al motore esterno di un climatizzatore; asportano il pannello di compensato presente nel punto indicato dalla freccia, penetrando infine all’interno della Scuola. Appena immessisi nel piccolo locale in precedenza adibito a zona bar, la sirena dell’allarme li mette velocemente in fuga. Identica la ricostruzione di quanto ac-caduto invece nella notte tra il 30 ed il 1° ottobre, almeno fino al momento in cui i van-dali sono penetrati all’interno dell’Olivetti. Da questo punto, la modalità di esecuzione del reato evolve e alla contravvenzione dell’art. 614 si aggiunge quella del 635, che contempla le fattispecie di “danneggiamento aggravato”. Infatti, gli ignoti vandali hanno questa volta avuto tutto il tempo di operare indisturbati, tra il secondo ed il primo piano. All’indomani del raid il secondo piano si presenta come il set di un film sull’apocalisse: banchi e sedie divelti in due classi ed estintori svuotati del loro contenuto, lungo tutti i cor-ridoi. Sorte leggermente migliore tocca invece al primo piano, dove ad essere sporcata è solo una parte di corridoio. Tutto ciò ha co-munque determinato l’immediato intervento

dell’Ufficiale Giudiziario, che contestualmente ai rilevamenti operati dai Carabinieri, non ha potuto far altro che dichiarare la struttura inagibile. Conseguentemente il Dirigente Sco-lastico Cendamo ha prontamente disposto l’alternanza dei doppi turni nel Plesso ex Schiavone ed in quello di via IV Novembre, per poter garantire il normale svolgimento delle lezioni ai circa 200 ragazzi della Centrale di via II Giugno. Identica sorte è toccata anche al Plesso C della Scuola Media “Sandro Pertini”, nella notte tra il 26 ed il 27 settembre scorso. Qui, l’azione vandalica messa in atto ha determinato l’inagibilità di ben tredici classi, a causa delle esalazioni prodotte dagli estintori vuotati del loro contenuto. Nel clima di amarezza conseguente episodi tanto depre-

cabili, vale la pena - però - di sot-tolineare una nota positiva, concer-nente gli studenti dell’Olivetti di 1ª, 2ª, 3ª, 4ª, 5ª C quelli di 1ª, 2ª, 3ª, 4ª D e, quelli di 1ª e 2ª E allontanati precauzionalmente dalle proprie aule, in attesa di vederne nuovamente ri-conosciuta l’agibilità. Dando prova di grande maturità e sensibilità, im-mediatamente questi ragazzi si sono attivati riunendosi in una Assemblea Straordinaria, per discutere del grave atto vandalico che ha ferito la loro Scuola ed esprimere - in particolare - la ferma condanna in relazione al reiterarsi di episodi del genere; sot-tolineando la necessità che i re-sponsabili vadano necessariamente

individuati e puniti. Per finire, accanto a questa brutta pagina di cronaca cui si lega involon-tariamente il nome dell’Istituto Professionale Olivetti di Orta Nova, se ne sta scrivendo proprio in questi giorni un’altra di diversa natura, che già non manca di suscitare vivaci proteste tra la popolazione locale e, tutt’altro che lon tana da l conc luders i a lmeno nell’immediato. La questione riguarderebbe sostanzialmente, una richiesta di cambiamento del nome all’Istituto Scolastico. Infatti, dopo l’accorpamento del Liceo Classico e la nascita di due nuovi indirizzi formativi, il nome di Adriano Olivetti, sembrerebbe divenuto im-provvisamente “scomodo” a rappresentare questa rinnovata entità scolastica. Un para-dosso davvero tutto italiano questo. E già, perché mentre - da un lato - proprio in queste settimane va in onda la Fiction Rai sulla vita del grande mecenate torinese (interpretato dall’amatissimo “Montalbano”), che non poco ha contribuito allo sviluppo industriale della Nazione; dall’altro invece, in un piccolo an-golo della Puglia ci si vorrebbe dimenticare quanto prima, proprio di quell’eredità culturale lasciata ai posteri da quello stesso “grande” uomo, che fu Adriano Olivetti.

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Nel forte, trasformato in prigione durante il dominio pontificio, furono rinchiusi il conte di Cagliostro, che vi morì nel 1795, di cui si visita la cella, e Felice Orsini (1844). L'antichissima città di San Leo, di cui S. Leone (sec. IV d.C.) fu l'evangelizzatore, fu capoluogo dall'origine alla fine della contea di Montefeltro e teatro di battaglie civili e militari per circa due millenni, assunse anche con Berengario II il titolo di Ca-pitale d'ltalia (962-964). La città ospitò Dante (“Vassi in San Leo...”) e S. Francesco d'Assisi, che qui ricevette in dono il Monte della Verna dal Conte Orlando di Chiusi nel Casentino (1213). Si conserva ancora la stanza ove avvenne il col-loquio fra i due grandi uomini. Notevole il pa-trimonio architettonico conservato nella cittadina: la Pieve preromanica ben conservata nella sua nobile austerità e il Duomo romanico lombardo del sec. Xll che, saldamente ancorato alla roccia, si erge su una protuberanza del masso leontino, luogo consacrato sin dall'era preistorica alla di-vinità. Il meraviglioso panorama che si gode da San Leo è uno dei più belli, suggestivi e carat-teristici della regione: la vista spazia sui monti circostanti e lungo la vallata del Marecchia, fino al mare luccicante baciato dal sole. I pomeriggi di sabato 18 e domenica 19 sono stati invece il fulcro dei lavori più squisitamente congressuali. Dopo il saluto del Presidente, dott. M. Staltari e del rappresentante del Governo di San Marino nella persona della dott.ssa Palma Crudi, il pro-fessore G. Chicchi, docente di Economia del Turismo della facoltà di Economia dell’ateneo “La Sapienza” di Roma, ha tenuto una ricca ed articolata relazione sul tema “I Dialetti nell’era globale: patrimonio o relitti?”. Il docente ha messo in evidenza come la ricchezza smisurata di fonemi e sfumature sonore, che i dialetti racchiudono in sé, hanno da sempre garantito un maggiore spessore comunicativo - espressivo che spesso

la lingua italiana, oggi più che mai omologata e asfittica, rischia di non avere. Basti pensare all’opera di Pasolini, di Fellini. e di tanti altri insigni artisti contemporanei, tenaci cultori delle lingue dei padri. Altra dotta relazione quella del professore e socio anposdi Stefano Rovinetti Brazzi, letterato, scrittore e poeta, che si è sof-fermato, con dovizia di particolari, sui poeti dialettali romagnoli N. Pedretti e R. Baldini ana-lizzandone la poetica e l’uso espressivo della loro lingua natia. In particolare Nino Pedretti definiva il suo dialetto così: Ogni composizione ha rivelato stile, contenuto, acuta sensibilità e profondità di sentimenti, ricchezza emozionale e non di rado, accensione di puro lirismo espresso con le parole arcane e musicali ereditate dai padri. Ma anche gl’intrattenimenti serali sono stati di grande interesse e gradevolezza. In par-ticolare il concerto del jazz-trio sammarinese, con la voce, di Sarah Jane Ghiotti, il piano di Simone Migani e la chitarra di Roberto Monti, ha regalato atmosfere e suggestioni che solo il jazz sa esprimere in un coinvolgimento totale dei sensi. Non da meno il bellissimo e rarissimo spettacolo della “Compagnia dell’Istrice” e dei “Fanciulli della Corte di Olnano”, che negli storici

costumi medievali, rigorosamente riprodotti, hanno rappresentato danze, canzoni, e liriche del “Dolce Stil Novo” coinvolgendo del tutto il pubblico presente. Toccante come sempre la performance del socio poeta-attore Salvatore Calabrese, il maggior interprete della maschera di Pulcinella: monologo intimo e spirituale, struggente e me-lanconico che ha commosso e ammaliato i pre-senti. Ma il Congresso non è stato solo questo. È stato principalmente l’atteso ritrovarsi dei mem-bri di una grande famiglia che ama questo pe-riodico rincontrarsi e confrontarsi, è stato la bellezza e l’intima spiritualità vissuta nell’ “ora più bella”, quella della Celebrazione della Santa Messa, presso il “Santuario del Cuore Immacolato di Maria”, rituale momento d’incontro con l’Altissimo e di sentito ringraziamento. È stato l’ammirazione della varietà di piante e fiori della mostra di piante ed essenze rare “Florea 2013” ubicata intorno al santuario, ricca di forme, colori, di profumi e fragranze inusuali. E che dire della visita ai musei del territorio e… tanto tanto altro.

Insomma, come sempre, un incontro A.n.po.s.di. è qualcosa di grande ed irripetibile sotto ogni profilo e, quando si chiude il sipario per la fine dei lavori, resta l’intensa gioia di aver vissuto un’eperienza così ricca e gratificante, insieme alla consapevolezza della necessità di ringraziare, in prima istanza, il Presidente M. Staltari e sua moglie Teresa, infaticabili, onni-presenti, efficientissimi organizzatori e disponi-bilissimi in ogni circostanza, insieme a tutti gli altri membri del Consiglio e quanti altri, a vario titolo, hanno lavorato e positivamente contribuito per la buona riuscita del Congresso. Perciò un immenso grazie di cuore a tutti ed un arrivederci a Bassano del Grappa, che vedrà la luce, in ot-tobre, del prossimo Convegno d’Autunno.

(Fine)

(Intro)VERSISi è appena conclusa la Settimana della

Poesia, iniziativa didattico-culturale dal titolo alquanto accattivante (Intro)VERSI, un gioco di parole che oltre ad alludere al carattere in-troverso della scrittura poetica, ha “introdotto” gli alunni delle classi Quarte nel mondo della Poes ia . Nel pr imo momento in t i to la to “Poetando”, gli allievi hanno incontrato il poeta Pasquale Braschi, che dopo aver risposto alle loro domande ha condotto un laboratorio teorico-pratico con la partecipazione della prof.ssa Paola Grillo, docente di Lettere presso l'Istituto Com-prensivo “Aldo Moro” di Stornarella.

Gli alunni hanno conosciuto una nuova tec-nica di scrittura, la Xeropoesia, cioè una com-posizione lirica di gruppo e insieme hanno dato vita a dei puzzle intitolati “L'amicizia” e “La natura”, dove ogni tessera era una piccola poesia prodotta da loro. Nel secondo incontro è stato presentato il libro “Gocce di poesie”, che rac-coglie settantaotto componimenti in versi scritti dagli ragazzi dell'I.C. Moro, premiati in diversi concorsi letterari nazionali e internazionali.

A leggere alcune liriche sono stati gli stessi

studenti “poeti” veniti da Stornarella con il clas-sico scuolabus giallo.

I piccoli hanno partecipato con grande in-teresse all'iniziativa e hanno dedicato ai giovani poeti tanti cartelloni e una loro filastrocca.

Gli incontri si sono svolti nell'auditorium del 2° Circolo, alla presenza della dirigente scolastica prof.ssa Gabriella Catacchio e della prof.ssa Milena Sabrina Mancini, dirigente dell'Istituto Comprensivo di Stornarella.

Braschi ha dichiarato durante l'incontro: “Bisogna stimolare la creatività ed esercitare la pratica della scrittura sin dalla tenera età. La parola scritta si aiuta a mettere su carta il nostro flusso di pensieri, ricco di emozioni e desideri. Anche in maniera maldestra ci si può allenare fino al punto di essere in grado di scri-vere la prima filastrocca, la prima poesia o il primo racconto”.

Tale esperienza dimostra che il motto “l'unione fa la forza” è stato ben inteso dalle due istituzioni scolastiche al fine di combattere la sterilità di pensiero e promuovere la crescita educativa nei bambini.

ConFABULAndoQuesto il titolo dell'incontro che lo scrittore

cerignolano Pasquale Braschi ha avuto con gli alunni delle classi di Seconda. Un momento fan-tastico dove i personaggi di favole classiche si sono incontrati con quelli attuali. Grazie all'aiuto di strumenti multimediali, efficaci e divertenti sono stati i richiami alla quotidianità.

La “magia” delle parole ha coinvolto i pic-coli, stimolando la loro creatività.

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Comunicato stampa Comune“Credo non sia mai successo ad un sindaco

di essere accusato di aver messo in moto una macchinazione ai danni di un dipendente al quale è stato chiesto di svolgere una funzione superiore a quella prevista dal suo contratto”. È il commento della sindaco Iaia Calvio alla “fantasiosa ricostruzione” dei fatti offerta da Michele Spicci relativamente al suo pensiona-mento.

In premessa chiariamo una cosa: il conten-zioso è originato dalla pretesa di ottenere il pagamento delle ferie non godute. Richiesta irricevibile perché contraria alle norme del pub-blico impiego, oltre che al buon senso. Solo per questa ragione, successivamente alla doman- da di pensionamento avanzata dal dipendente, il segretario generale, non certo il sindaco, ha deciso di collocarlo in ferie per non creare un danno al Comune.

E veniamo ai fatti. Il Comune di Orta Nova, al pari di tutti i Comuni italiani, soffre la carenza di organico provocata dai ripetuti divieti di as-sunzione, motivati dalla riduzione del costo della Pubblica amministrazione. Nel caso di specie, abbiamo dovuto fronteggiare l'assenza per malattia dell'unico impiegato addetto ai ser-vizi cimiteriali (livello D) e, per questo, abbiamo attivato la procedura di mobilità interna e chiesto ad ogni settore la disponibilità di un'unità almeno di livello C.

Il protocollo, a cui è applicato Michele Spic-ci, conta due unità e lo stesso Spicci è inquadrato con il livello C. Gli è stato, dunque, offerto di svolgere una mansione superiore a tempo de-terminato, fino al rientro del collega assente.

Ancora oggi mi sfuggono le ragioni del suo netto rifiuto e della sua conseguente deci-sione di presentare domanda di pensionamento, con la pretesa di ottenere il pagamento delle ferie arretrate. Per quanto mi riguarda, Michele Spicci cesserà dal servizio l’1 gennaio e fino

ad allora dovrà rispettare il contratto collettivo di lavoro del pubblico impiego.

Da un dipendente comunale con la sua an-zianità di servizio e la sua esperienza mi sarei aspettata una reazione diversa da quella della pervicace ed incomprensibile difesa della fun-zione svolta, quasi che ci fosse un interesse particolare e personale a svolgerla. Purtroppo, sono in tanti nel Comune a non voler compren-dere ed accettare che l'evoluzione delle norme per il pubblico impiego determinano maggiore flessibilità interna e, per alcune funzioni, im-pongono la rotazione del personale, anche per prevenire corruzione e contrastare inefficenze.

Quanto all'accusa di rappresentare una Am-minisirazione tra le più scadenti degli ultimi 50 anni conclude Iaia Calvio - ricordo a chi la formula che gli organismi politici indirizzano l'azione di governo della città, che tocca ai di-rigenti, i funzionari ed i dipendenti attuare ope-rativamente, garantendo efficienza ed efficacia alla gestione. Il 'caso Spicci' dimostra quanto sia difficile dare attuazione agli indirizzi politici senza la collaborazione operosa della struttura comunale. Ed a pagarne le conseguenze sono i cittadini di Orta Nova”.

Al Sindaco del Conune di Orta Nova (Fg)Dopo aver preso visione del Vs. comunicato

stampa in oggetto e pubblicato sui sito ufficiale del Comune di Orta Nova nei confronti dello scrivente il quale, in precedenza s'era limitato ad esporre sinteticamente il suo caso a persone curiose ed estranee, credo sia doveroso riscon-trare le Sue affermazioni riportate nel succitato comunicato stampa, sperando in futuro un re-ciproco faccia a faccia avvenga pubblicamente in piazza Pietro Nenni, senza ulteriori comuni-cati, nocivi ed insignificanti.

Posso affermare con certezza di non aver mai preteso alcun pagamento delle ferie essendo stato sempre disponibile per qualsiasi chiamata

giornaliera fuori servizio, sia da parte dei colleghi che degli Amministratori, senza mai pretendere remunerazione alcuna visto che lo faceva solo per attaccamento al suo lavoro. Avrei dovuto cbiedere il rimborso dall'anno della data della mia assunzione, 23 ot-tobre 1975, quando a governare la nostra città all'epoca c'era il com-pianto Sindaco Ins. Saverio Zampini. Costan-temente, da allora, ho svolto le mie mansioni in quel del protocollo comunale con abnegazione ed attaccamento, trascorrendo qui le ferie di spettanza, senza rimorso e con piacere, visto l'enorme mole di lavoro da evadere. A testimo-nianza di quanto affermato posso chiamare in causa i Sindaci che l'banno preceduta, i dipen-denti in attività e quelli in pensione.

Riguardo un ipotetico premio con la collo-cazione ad altro ufficio, smentisco categorica-mente che esso sia mai stato adottato nei miei confronti, come falsamente riportato nel Suo comunicato stampa, visto che si è trattato di una proposta “ad Horas” (a voce) quella da lei scandita in precedenza nel suo ufficio e alla presenza del presidente del consiglio comunale Gerardo Ragno e dei consigliere comunale Ge-rardo Lacerenza e di una terza persona estranea.

Visto che la verità è nota sarebbe giusto che la pubblichiate con un apposito comunicato stampa, poiché da persona interessata ai fatti dovrò tutelarmi da una eventuale omertà dei presenti e per non passare dalla ragione al torto con una denuncia per diffamazione.Ribadisco la mia disponibilità ad uo confronto pubblico in Piazza Nenni.

Ossequi.Michele Spicci

Nella Sala della Rimembranza del Palazzo Gesuitico di Orta Nova è stata presentata l’ultima raccolta di poesie di Rocchina Morgese “E la primavera torna ancora”. All’evento sono inter-venuti: Maria Rosa Attini, assessore alla Cultura; la prof.ssa Rina Di Giorgio Cavaliere, presidente dell’Unitre dei 5 Realis Siti; il prof. Antonio De Carolis e Michele Campanaro direttore de Lo Sguardo sui 5 Reali Siti.

Un vocabolo, anche il più comune, è un mondo di cose, che, se non accosti at-traverso la poesia, rimarrà un piccolo mondo sordo e muto e mai lo esprimerai, soprattutto a te stesso. Con questa nuova raccolta di versi, Rocchina Morgese, ci ricorda che la poesia è un’arte astratta e complessa; dal punto di vista esclusivamente culturale presenta grandi difficoltà, da quello umano è il linguaggio comunicativo ed emotivo che dà risposte immediate. “Gustare” il bello dell’arte, vuol dire partecipare come ar-ricchimento dello spirito. Accanto all’arte e alla musica, nell’ambito dell'educazione estetica, la poesia rappresenta un contributo oggi più che mai indispensabile alla salvezza dell’uomo nell’età della tecnica e dell’eco-

nomia consumistica soverchianti e disgreganti; stimola a reagire a qualcosa di diverso da una moda o interesse che possa esaurirsi. Finalmente la fonte di risorse viene dall’interno dell’animo umano e rivela un mondo interiore che è valido più di tutte le proposte o le offerte che il mondo commerciale possa bandire. I contenuti nelle loro più numerose varianti, superato il momento

della sensazione e delle emozioni, consentono all’autrice di lavorare sul piano della razionalità e della critica costruttiva.

A nessuno sfugge che ancor oggi Rocchina Morgese di emozioni ne riceve da tutte le parti, in particolare dalla famiglia ove, nonostante le difficoltà che oggi spesso deve superare un’esistenza familiare che voglia essere rassi-

curante e serena, sorgono le prime espe-rienze infantili. In quest’ ambiente viene filtrato, sia pure su scala ridotta, nei suoi aspetti di bene e di male, il più vasto e vario mondo degli uomini. Dalla “Preghiera” alla “Lettera a Padre Pio” si snocciolano, come i grani di un rosario, le rime inneggianti al vivere moralmente, al compiere le stesse scelte di Gesù risorto verso Dio e verso gli altri, che si riassumono nella legge dell’Amore. Privilegiamo, dunque, e rinnoviamo la lettura meditata, silenziosa e personale; rifondiamo con questo libro e altri di buon livello poetico e letterario, per vedere come le parole si squadernino e si dilatino in mille significati, quando s’ispessiscono della misura del reale.

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A Salvatore Graziella era piaciuta fin da quando l’aveva vista la prima volta, mentre lei usciva dalla Chiesa dell’Addolorata dopo la messa vespertina domenicale. Egli stava sul marciapiede della piazzetta antistante aspettando che uscisse sua madre: doveva andare a casa a cambiarsi d’abito e aveva bisogno della chiave. A quel tempo, parlo dell’inizio degli Anni Cinquanta, la chiave di casa era unica e tenuta saldamente in pos-sesso dalla padrona di casa e anche il capo-famiglia doveva bussare per farsi aprire la porta… Se, per una ragione qualsiasi, la pa-drona di casa doveva assentarsi, lasciava la chiave alla madre o alla suocera oppure a una vicina conosciuta anche dal marito, per cui gli bastava un rapido giro per averla. I figli invece, anche se maggiorenni, erano tenuti ad attendere in strada il rientro di uno dei genitori. Questo dettaglio può sembrare curioso e marginale, ma è invece indicativo dei ruoli e della posizione di ognuno in seno alla famiglia patriarcale di allora, come lo era quello che assegnava al capofamiglia il compito di sbarrare l’uscio quando tutti i componenti il suo nucleo famigliare erano rientrati e dovevano andare a letto.

Salvatore aveva dato un’occhiata “pano-ramica” a Graziella e tutto di lei gli era pia-ciuto. Quando poi, del tutto casualmente, i loro sguardi si erano incrociati e gli era parso di scorgere un sorriso sulle labbra coralline di lei, Salvatore era rimasto folgorato.

Dimenticò il motivo per il quale si trovava davanti alla chiesa e prese a seguirla con discrezione, tenendosi a distanza, ma non tanta da perderla di vista, e girava lo sguardo intorno per vedere se passasse qualcuno che gli potesse dire chi fosse e dove abitasse la ragazza. Il caso mi mise sulla sua strada e, appena fui a pochi passi da lui, mi domandò: “Chi ghèje quedda menenne? De chi èje fi-glie? Che fåce e andò gàbbeteje?”.

“Ehi, calmati e non tempestarmi con una valanga di domande! Andiamo con ordine: Quella ragazza la conosco: èje la figlie de Peppine °°°°, ca tene i terre a la Vije de Sturnarelle. Se chjame Grazzjelle, crede ca tene diciassette diciott’anne e fåce la sartine. Pecchè u vù sapè?”

Rispose con un’altra domanda: “Så si tene u zite?”.

“Ca ije sacce no; comungue nno fåce parte de la cumbagnija mije e petande nno t’u saparrije dice. Ma pozze sapè u mutive?”. Non attesi la sua risposta. Scoppiai a ridere e continuai: “Agge capite! La brunette te ne fatte jì de cåpe, eh?”.

“Me pjace, me pjace asså” rispose lui con voce bassa, pronunziando lentamente le parole e il tono era serio, per cui smisi di ridere e di sorridere, gli diedi una pacca af-fettuosa sulla spalla dicendogli: “e allore fatte ‘nnande e tant’ augurje!”.

“Èje na parole! Ije nno canosce a nisciune, ca la pote preparå pe quanne l’aggia jì a fermå pe parlalle. Cume aggia få?”.

“Få cume fanne l’ate, no?” gli dissi sa-lutandolo perché avevo visto Alberto venire verso di noi.

Come potei constatare nelle domeniche successive, Salvatore seguì scrupolosamente tutte le fasi previste dal cerimoniale conso-lidato dalla tradizione.

Quella sera stessa, infatti, dopo aver in-dossato il vestito buono ed essersi cosparso abbondantemente i capelli di brillantina, in compagnia del suo amico più fidato, egli cominciò a percorrere Corso Umberto dall’altezza della Farmacia Lorusso fino all’incrocio della Circonvallazione, dall’altra parte della quale c’era il Campo Sportivo.

Questo era lo spazio destinato allo “struscio” e, per tacita convenzione accettata da tutti, era suddiviso in tre zone: le coppie di coniugi, con i bambini piccoli e quelle dei fidanzati, seguiti a una certa distanza da qualche parente di lei, passeggiavano sul basolato cen-trale; il marciapiede antistante il Bar Vittoria era riservato agli adolescenti e ai giovanotti e giovinette disposti in file separate di tre o quattro componenti. Il marciapiede dall’altro lato della strada, davanti al Municipio e fino alla fontanella pubblica dell’incrocio con Via Stornarella, era riservato ai professionisti, agli impiegati, ai politici e agli studenti. Anche lo spazio fisico, dunque, delimitava le diffe-renze di età e condizione sociale.

Salvatore finalmente vide Graziella, che passeggiava sottobraccio ad una sorella, in-sieme a due compagne di sartoria, e riuscì ad infilarsi due file dietro di lei. Quando Graziella, giunta alla fine del marciapiede, all’incrocio della Circonvallazione, si girò per ripercorrere il tragitto in senso inverso, Salvatore cercò di incrociare lo sguardo di lei mettendo nel proprio tutto il sentimento che gli gonfiava il cuore. Fece altrettanto

quando furono all’altro capo del marciapiede e continuò a farlo fino alle nove e mezzo, quando la Piazza e il Corso si svuotarono come d’incanto perché tutti rientravano per la cena.

La domenica successiva trovò il modo di piazzarsi proprio dietro Graziella, parlando a voce un po’ più alta del solito col suo amico per dire, senza mai pronunziare il nome di lei, quanto gli piacesse la bella brunetta che aveva visto uscire dalla Chiesa poco prima e quanto ne fosse innamorato. Graziella non poteva non ascoltare e non capire, così come non poteva più ignorare che quel bel giova-notto bruno guardava lei e soltanto lei e co-minciava a sentirsi turbata, ma anche lusingata e felice. Si informò dalla sua più fidata amica e confidente sul conto di Salvatore, il quale, dal canto suo, trovò il modo di rivederla anche nei giorni feriali (allora le ragazze usci- vano a passeggio solo la domenica). Deviava dal percorso abituale che aveva seguito fino ad allora per effettuare le consegne ai clienti (egli aiutava il padre, che aveva un negozio di elettrodomestici, li riparava anche e vendeva le bombole di gas liquido) e cominciò a pas-sare, alle dieci in punto, per la strada nella quale c’era la sartoria. Spingeva molto len-tamente la trajnelle e girava la testa per gettarvi dentro un’occhiata, sperando che lei lo vedesse e questo accadeva, quasi per miracolo, il più delle volte. In realtà Graziella udiva il rotolio del carrettino sul basolato e girava la testa verso la porta. Anzi, a partire dalla seconda settimana, egli la vedeva sul marciapiede davanti all’uscio della sartoria che agitava il braccio come un pendolo per ravvivare la fiamma dei carboni che riempivano il serba-toio del pesante ferro da stiro da sartoria. Si cercavano con lo sguardo poi lei abbassava gli occhi per rialzarli una frazione di secondo più tardi, guardarsi di nuovo e riabbassarli e questa pantomima durava fino a che egli la oltrepassava.

(continua 1)

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Dopo tanti disagi in mezzo a monti, freddo e neve si arrivò al campo di concentramento (Somorija). Si scese, ci inquadrarono per quat-tro e ci portarono nelle baracche di legna, il freddo più si sentiva forte e acuto, così pas-sarono due giorni di riposo; il giorno seguente ci divisero a compagnie di cento uomini, ac-canto alle nostre baracche cerano anche quelle dei prigionieri Russi, che da tempo prima di noi stavano anche loro divisi in compagnie, ed ecco che tutte le suddette compagnie ogni mattine si andava a prendere legna per le cu-cine, e stufe alle baracche degli ufficiali; per andare a prendere questa i legna bisognava fare sei chilometri di strada per andare e sei per il ritorno. Cosicché dodici chilometri al giorno per prendere una legna di tre quattro chili l’uno per ogni uomo, moltiplicando per tante compagnie una legna per uno si portavano dei centinaia di quintali e così via tutti i giorni, via facendo ogni compagnia si camminava tutti a testa bassa e passo lentissimo, cosicché ogni compagnia voleva almeno quattrocento metri di distanza; le guardie che accompagna-vano le compagnie non potevano guardare tutti; se guardavano avanti quelli di mezzo si nascondevano sotto a quei piccoli fossi che si trovano attraverso le strade per scorrere le acque piovane nelle cunette e l ì sotto s’infilavano otto o dieci persone che dopo, che le dette compagnie si allontanavano usci-vano fuori come topi di sotto terra e scappa-vano via nei boschi e se ne andavano per conto loro che non tornavano più nei campi di con-centramento e andavano nelle campagne chie-dendo da mangiare dai borghesi, per masserie, dai pastori e poi quello che si poteva trovare nelle campagne, si lavorava per i contadini basta che si mangiava e passavano i giorni.

Il 29 aprile mi venne in mente di scappare anche dal campo a rischio d’essere sparato dalle sentinelle, presi per compagnia un gio-vane romano guardia di finanza per essere compagno di ventura ma questo mi portò poca fortuna, non era tanto esperto come volevo io ma intanto ci spingemmo e si scappò via di sotto ai fili spinosi.

Di quei tempi uomini per poter lavorare le campagne non cerano, facevano tutto le donne e qualche vecchio ed il resto si trovavano tutti in guerra, quando si vedeva un giovane come noi che eravamo prigionieri dissutili ...

Così ci capitò sottocchio un paesello di-sperso in quelle rupe ci fermammo per comin-ciare a guadagnare qualcosa da metter sotto i denti. Infatti, dopo poche case ci affacciammo a domandare da mangiare oppure lavoro, si affacciò subito una signorina sulla ventina aveva i genitori ma erano vecchi decrepiti, faceva tutto lei in quanto ai lavori di campagna, così come ci vide si allegrò tanto che ci fece entrare nella sua abitazione, ci ospitò con tanta accoglienza con mangiare e fuoco da riscaldarci perché faceva ancora freddo; dopo che si finì di mangiare allora ci portò alla sua campagna per farci scavare le patate, noi cacciavamo le patate e lei se li trascinava a casa; in un batter d’occhio si sentì una diceria che erano arrivati i Gent’armi in quel villaggio; la signo-rina sparì e non si fece più vedere presso di noi; ci vedemmo disorientato in quel momento, non si lavorò più anzi, quando più si faceva

notte, i civili tutti venivano ad avvisarci: scap-pate via che sono arrivati i gentarmi ma dove scappare? Nelle campagne vicine? Non ci con-viene allontanarci dopo aver lavorato tutto il giorno; lasciammo le vanghe e andammo alla casa della signorina, la cercammo in casa sua ma non c’era; stavano soltanto i due vecchi ma loro non sapevano dove era andata la figlia, ci sedemmo dietro la porta aspettando che si ritirasse: niente. Si seppe dagli altri che qualche agricoltore che li bisognasse aiuto di uomini si doveva fare domanda al governo per avere uno o due prigionieri, perché voleva sapere chi e quando ne avesse in consegna con Do-cumenti; questo non cera e (la Signorina) se la diede a nascondersi non sappiamo dove, così passammo il tempo dietro alla casa quando ad un tratto si vide arrivare un gent’armi di quello: scalzo, senza giacca, senza berretto, che sembrava uno scugnizzo, portava. in mano una piccola bacchetta - quello fu mandato da persone che non vogliono farsi i fatti loro, c’intimò di parlare russo, non sapevamo rispon-dere, ci parlò ungherese, peggio; il tedesco, niente, alla fine ci dichiarammo italiani e allora c’intimò di seguirlo assieme.

Allora mi messi a rapporto dicendo: noi siamo stati a lavorare alla padrona di questa casa e ci spetta la paga. Ci rispose: “Bene, me la vedo io ...”, si prese il numero di casa e ci portò via in una casa privata che là do-vevamo stare tre giorni; in questo frattempo dovevano andare esplorando e raccogliendo di tutti i prigionieri che potevano [tutti i fug-giaschi che erano scappati dal concentramento]. La sera, tanto fece (io feci) la spia fin quando la signorina tornò, allora (il gendarme) venne da me e mi portò da Lei che alla nostra pre-senza non poteva dire che non ci conosceva, così ci pagò tutto a patate e ci diede più di mezzo quintale da poter mangiare in questi tre giorni che dovevamo (stare) in quella casa. In quel stesso giorno il mio compagno, cioè il finanziere, mi lasciò quel po’ di roba che possedeva volle tentare la fuga e male gli ven-ne: se ne andò, ma nell’uscire dal paese fu visto da spie che avevano i gent’armi; questi riferirono subito a questi insegnando anche la strada che lui prese. Non fece in tempo a prendere macchia nel bosco vicino che fu pre-so. Non parlo di come lo consarono ....

Lo portarono di nuovo da me in quella casa, poi montarono in furia ci presero a tutti e due e ci portarono in un fienile ci chiusero di dentro e se ne andarono al loro posto, noi con tante patate avevamo fame, mi misi a rapporto e dopo mezzora ci portarono più di quattro chili di patate cotte pelate e il recipiente pieno di latte che si mangiò con avidità incre-dibile; poi ci portarono altre ancora finché fummo satolli; venne l’altra notte dopo ne portarono altri quattro prigionieri come noi, più tardi altri tre, fino al giorno dopo arrivam-mo a una ventina, in quel luogo si stava stretto per dormire e ci presero a tutti e ci portarono alla riva di un fiume da non poter scappare nessuno e di la chi aveva da mangiare man-giava e chi aveva niente, neanche niente met-teva sotto i denti; in questi tre giorni si venne a conoscenza per il Calabrese [certo Fusaro Antonio di Spizzano albanese, provincia di Cosenza]; passato i tre giorni le provviste di

tutte quelle patate a noi ci rimasero pochi chili ma si mangiarono lo stesso; la notte in quel fienile siccome era alto il terreno, il pa-vimento era di legno e ben si sa che gli Italiani anche a costo di morire tenta sempre la fuga e far scemi i Gent’armi, a forza di coltelli si riuscì a tagliare il pavimento; al momento che ci dovevamo liberare ecco un Montene-grino, anche lui prigioniero esce fuori e va a chiamare i militi che in un batter d’occhio si presentano là con moschetti, fucili e bastoni gettando botte da gorbi, perquisendo chi aveva coltelli.

Ci rammucchiammo sotto il fieno uno sull’altro che le botte erano pesanti e, per tutta la notte, non ci fu tregua per trovare i coltelli; il più coltello forte a manico fisso ce l’aveva il Calabrese e non se lo fece scovrire mai.

Quando fu il Lunedì sera ci fecero rientrare di nuovo nello stesso concentramento in una compagnia disciplina; una baracca ch’entrava il vento freddo da tutte le parti, ma per me e il mio amico calabrese non fu così; appro-fittando che in quell’ora si stava distribuendo un po’ di caffè, noi due non andammo appresso a quella schifezza, alzammo i fili spinosi ci aiutarono anche i russi che stavano affianco allargando con le mani i fili spinosi fino a quando ci trovammo fuori a quella trappola, non ci fu un momento di tregua per noi due camminando per tutte le baracche finché ci riuscì a trovare la nostra da dove si scappò la prima volta.

I nostri compagni non vollero prenderci in forza, per ricavare il giorno appresso il rancio [tutto questo avvenne nella giornata del primo maggio 1918]; intanto tante di quelle scuse che si trovava fin quando ci accettarono di nuovo, venne la notte che non si dormì studiando il nuovo piano per poter fuggire di nuovo ma per sempre da quel maledetto luogo che si moriva tutti i momenti per la fame.

Dunque il piano fu fatto: la mattina del due maggio ci alzammo di buonora e fummo fortunati si ebbe il caffè, che dopo tanto tempo che non si aveva più pane invece quella mattina si ebbe un quarto di pane più due pacchettini di tabacco grezzo, per noi fu una giornata ricca ricca; avuto questa razione incominciam-mo a svolgere il piano studiato da noi e fu così: si uscì dalle baracche degl’Italiani ed entrammo nelle baracche dei russi, perché facemmo così? se noi si scappò dalle file dei nostri: c’era gelosia e invidia, e forse per questo fanno capire alle guardie che noi ci diamo alla fuga, per questo si andò nelle file dei Russi, che loro a noi non possono sapere i nostri pensieri, ragionare con noi non potevano e tampoco noi con loro lo stesso, così arrivò 1’ora della partenza per il bosco a prendere sempre quella legna per le cucine, si partì insieme ai Russi, a tre chilometri dal concen-tramento vi era la ferrovia, la stazione è Tukla in Galizia, finché si arrivò a questo punto in due ce ne uscimmo da in mezzo alle file russe, loro ci guardarono come se niente fosse, ci vide una sentinella che per fortuna questa era un Tirolese del Trentino che parlava bene l’italiano, ci venne ad arrivare e ci domandò dove andavamo ed io gli risposi che andavamo alla stazione a fare i bianchini coi muratori, si convinse, e così noi si fece finta di andare alla stazione ferroviaria, invece ci internammo subito in un bosco che si trova lì vicino, le compagnie continuarono il loro cammino.

(Fine)

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NUVOLE

Un lampo, un tuonomi scuotonodal mio dolce dormire.Un nuovo tuono mi porta a guardare il cielo:sospese lassù vagano,come zebre in corsa, senza meta, minacciose nuvole. Il vento le spingeda est ad ovest.Viaggiano senza dimora.Di tanto in tantoun bagliore, un tuono.Più grigie sono le nuvolepiù insistente è la pioggia, come se fossero arrabbiate.Appena le nuvole si svuotano, ecco: il loro sorrisoillumina il cieloe la terra.

Giuseppe Maggio

DAL DOLORE ALLA SERENITÀ

Era una mamma disperata e inconsolabile,il suo mondo predilettoera sparito per sempre:il figlio tanto caroin un giorno maledettoper cause altruiera volato in Cielo.Per anni si è chiusa in se stessa,niente le interessava;triste e piangente,lo chiamava per nomee virtuosamente parlava con lui.

Ora la sua disperazionesi è tramutata in dolcezzae in dialogo con Dio.

Rocchina Morgese

PENA DI MORTE

Pochi interminabili secondidi strazio.L’ago letalechiude la vita di un uomoche forse non era colpevole.

Rocchina Morgese

UN FATTO STRANO

Ohibò, sentite un po’,a me, che non so’ capacede scrive na parolamanco in italiano,e che mastico solo un po’ de romanom’è capitato per un caso stranodi trovarmi un dì a far partedi un gruppo di poeti dialettali.Potete immaginare il mio tremorenel trovarmi in compagniadi cotanta gente assai istruita.E mica so’ gente da poco né.Fra romano e torineseCerco de barcamenarme.So’ poeti che provengonod’ogni parte d’Italia.Ce sò romani, campaniemiliani, pugliesi, sicilianie altri ancora molto numerosi.Ciascuna regione del nostro bel paeseha un degno rappresentante,che il suo dialetto rende palese.In vero mi sento assai onorata

di far parte dell’A.n.po.s.d.i.cioè dell’Associazione nazionalePoeti e Scrittori Dialettali.Il nostro presidenteè un dottore calabreseche è ben preparato in dialettologiae dirige l’Assemblea con grande ma-estria.Io che so’ na semplice simpatizzanteciò na gran frenesiade sentì ciascuno declamarenel proprio dialetto regionalee me rammarico de non sapè scriveun solo verso, neppure in italiano.O divina Musa,tu che della poesia sei la signora,te prego, dà pure a me la capacitàde scrive na poesia in dialetto,in dialetto regionale.Non mi guardare con ostilità:all’Associazione A.n.po.s.d.i.famme appartenè con piena dignità!

Annamaria Selano

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