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Lo spettacolo dell’architettura. Profilo dell’archistar © 1. Archistar © : la costruzione del mito Archistar © : architetto la cui attività non è solamente incentrata sulla progettazione di edifici, ma anche sulla divulgazione della propria immagine. Figura chiave dello star system architettonico. Star system architettonico: sistema di produzione globale, basato sul lancio pubblicitario di personaggi appartenenti al mondo dell’architettura come autentiche star, attraversi efficaci sistemi di divulgazione. Ambito elitario e oligarchico. Per diventare Archistar © non basta essere architetti geniali o trovare un committente in grado di finanziare progetti senza intromettersi: è necessario un attento lavoro di immagine, che porti l’architetto ad essere riconosciuto dal grande pubblico. Nello star system, l’immagine gioca un ruolo fondamentale: la star è creata ad hoc, in base alle figure che il pubblico vuole vedere; lo stesso avviene nl campo dell’architettura. Le star sono, dunque, il prodotto, il pubblico il consumatore. Gli artisti piacciono al grande pubblico proprio perché sono star. Presenzialismo, riconoscibilità e conoscenze sono caratteristiche che contribuiscono alla creazione della figura dell’archistar © . In passato l’interessa ricadeva esclusivamente sull’opera, quindi la biografia di un autore era utile solo al fine di approfondire lo studio dell’opera stessa. Quando l’opera passa in secondo piano e viene esaminata solamente come frutto dell’ingegno dell’autore, che diventa quindi l’oggetto di attenzione primaria, avviene uno squilibrio. L’opera diventa, così, funzione dell’autore. Autorialismo: «L’autorialismo è un particolare investimento sulla funzione autore che fa sì che un’opera d’arte non possa esistere se non prodotto di un autore.» Le star amano stare tra di loro: Johnson è amico di Warhol, ad esempio. Per farsi conoscere dalle masse, le star, utilizzano i media: non c’è mezzo migliore che comparire sulle riviste, di qualsiasi genere siano; al contrario le riviste specializzati, le gallerie e i musei non forniscono una possibilità ampia di promozione.

Lo Spettacolo Dell'Architettura - Riassunto

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Lo spettacolo dell’architettura. Profilo dell’archistar©

1. Archistar © : la costruzione del mito Archistar© : architetto la cui attività non è solamente incentrata sulla progettazione di edifici, ma anche sulla divulgazione della propria immagine. Figura chiave dello star system architettonico. Star system architettonico: sistema di produzione globale, basato sul lancio pubblicitario di personaggi appartenenti al mondo dell’architettura come autentiche star, attraversi efficaci sistemi di divulgazione. Ambito elitario e oligarchico.Per diventare Archistar© non basta essere architetti geniali o trovare un committente in grado di finanziare progetti senza intromettersi: è necessario un attento lavoro di immagine, che porti l’architetto ad essere riconosciuto dal grande pubblico. Nello star system, l’immagine gioca un ruolo fondamentale: la star è creata ad hoc, in base alle figure che il pubblico vuole vedere; lo stesso avviene nl campo dell’architettura. Le star sono, dunque, il prodotto, il pubblico il consumatore. Gli artisti piacciono al grande pubblico proprio perché sono star. Presenzialismo, riconoscibilità e conoscenze sono caratteristiche che contribuiscono alla creazione della figura dell’archistar©. In passato l’interessa ricadeva esclusivamente sull’opera, quindi la biografia di un autore era utile solo al fine di approfondire lo studio dell’opera stessa. Quando l’opera passa in secondo piano e viene esaminata solamente come frutto dell’ingegno dell’autore, che diventa quindi l’oggetto di attenzione primaria, avviene uno squilibrio. L’opera diventa, così, funzione dell’autore.Autorialismo: «L’autorialismo è un particolare investimento sulla funzione autore che fa sì che un’opera d’arte non possa esistere se non prodotto di un autore.»Le star amano stare tra di loro: Johnson è amico di Warhol, ad esempio. Per farsi conoscere dalle masse, le star, utilizzano i media: non c’è mezzo migliore che comparire sulle riviste, di qualsiasi genere siano; al contrario le riviste specializzati, le gallerie e i musei non forniscono una possibilità ampia di promozione. Anche gli architetti sono sempre più interessati alla fama e alla notorietà: che lo vogliano o meno, essere star è necessario per far conoscere le proprie opere a livello internazionale. A differenza delle star di altri settori, progettare un edificio richiede tempi lunghi: l’architetto deve quindi colmare questo periodo di silenzio, molto più delle altre star che hanno possibilità di proporsi continuamente. Altra differenza tra star e archistar© è data dal fatto che l’architetto, parallelamente alla progettazione, deve promuovere la propria immagine come veicolo di diffusione del proprio operato. Ogni archistar© promuove se stessa in base alle proprie caratteristiche individuali. Le archistar©, per rendersi riconoscibili, esibiscono caratteri distintivi che catalizzano l’attenzione e si imprimono indelebilmente nella memoria dell’osservatore. Il discorso è differente per quegli architetti che sono stati coinvolti passivamente nello star system, non avendo alcuna intenzione di autopubblicizzarsi o di automitizzarsi. Entrano così in gioco i mass media che, sempre alla ricerca di nuovi volti da pubblicizzare, intuiscono e sfruttano il potere mediatico di architetti esterni allo star system. Per fare ciò, scattano fotografie da pubblicare su riviste o manifesti. Architetti come Toyo Ito, non hanno deciso di loro spontanea volontà di diventare archistar©, qualcun altro lo ha deciso per loro, potandoli al vertice della notorietà.

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Ad un certo punto l’architetto cessa di essere tale e compare alle masse come persona, con la propria vita privata. Inizia così ad essere una attenzione per la loro vita, come accade per le star.

Rem Koolhass: autore stratega

Rem Koolhaas è considerato da molti un profeta, al pari dei colleghi Wright e Le Corbusier, per la sua volontà di interpretare il mondo per poterlo migliorare dal punto di vista architettonico. Si tratta di un vero e proprio professionista dell’architettura, dotato di una grande abilità e di un metodo di indagine all’avanguardia. È diverso da qualsiasi altro architetto europeo: è uno spirito libero, non etichettabile con nessuno stile. Premiato ed elogiato da numerose riviste, scelto da importanti committenti, Koolhaas non si distingue solamente per i suoi progetti, ma per la sua arguzia nell’intuire problematiche e nel trovarne la soluzione adeguata. Apparentemente, sembra non sfruttare il momento. L’architetto sembra essere restio a comparire in pubblico, a rilasciare interviste o a comparire sulle riviste; eppure i suoi progetti, i suoi libri e le sue idee sono famosissimi. Analizzando il personaggio approfonditamente, si può affermare che ha svolto un’azione di autopromozione con i suoi libri. Nel 1978 esordisce con “Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan” , un testo che mette in crisi i metodi interpretativi della condizione urbana. Nel 1995 l’architetto pubblica “S,M,L,XL”, libro rivoluzionario sia per i contenuti proposti che per l’impaginazione; attraverso questo testo l’architetto acquisisce fama mondiale. Non si tratta di un testo teorico, ma una rappresentazione dei progetti dello studio OMA, classificati per grandezza. Le Corbusier, personaggio che di certo non agiva nella penombra, prima di lui aveva realizzato una monografia sulla propria opera. “S,M,L,XL” non si presenta apertamente come una monografia: a prima vista appare una raccolta di testi completata da foto simboliche e progetti. Questo libro è per Rem Koolhaas più importante di qualsiasi opera abbia costruito: i libri hanno provato fin dalla storia di essere più importanti degli edifici. All’interno del libro sono presenti svariate immagini di Koolhaas: foto studiate per dare l’immagine di un architetto mondiale, in contatto con colleghi e culture extraeuropee. Il libro si presenta come una sorta di Bibbia, al cui interno si può trovare la risposta ad ogni tipo di quesito; la copertina, rivestita in argento, sembra invitare il lettore alla scoperta del contenuto, anche perché né la copertina né il titolo fanno intuire di che argomento tratti. Anche per il libro seguente, Mutations, la copertina ha il compito di attirare l’attenzione, senza però esplicitare il contenuto. Inoltre, c’è un altro punto fondamentale: il libro S,M,L,XL, nonostante il grande successo riscosso, era stato prodotto in edizione limitata e non era stato mandato in ristampa. Ciò fa supporre che la lunga attesa sia stata programmata per poter poi divulgare meglio Mutations. Il ragionamento che sta dietro a questa iniziativa è semplice: dopo aver atteso per anni il libro di Koolhaas diventato un mito, anche un altro, molto simile per dimensione ed impaginazione, avrebbe soddisfatto il desiderio di possedere un libro dell’architetto olandese. Il testo S,M,L,XL è tanto importante da essere citato e ripreso in opere di altri architetti, inoltre ha grande importanza in questo libro l’attenzione data alla grafica; Koolhaas aveva infatti ingaggiato un designer perché lavorasse a tempo pieno all’impaginazione del testo.

Quando il presente è già memoria

Koolhaas, a differenza di alcuni suoi colleghi, non rivela mai se l’artefice della sua fama sia lui stesso o se siano i media a divulgare la sua immagine. Sta di fatto che il suo volto è ben noto, tanto quanto la semplicità del suo look. I suoi progetti, apprezzati dalle riviste specialistiche, compaiono

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anche su quotidiani e magazine divulgativi. La rivista “El Croquis” pubblica nel 1996 un numero dedicato all’architetto olandese, replicando nel 1998 con una edizione aggiornata. In quest’ultimo numero compare in copertina una immagine smarginata dell’architetto. Singolare è il fatto che una rivista di architettura riporti in prima pagina il volto dell’architetto piuttosto che una delle sue opere. La foto, in bianco e nero, illuminata da luce perpendicolare, dà importanza allo sguardo, coinvolgendo emotivamente il lettore e imprimendo l’immagine nella loro memoria; i lettori ricordano il viso dell’architetto, poiché danno più importanza al progettista che al progetto. Lo scopo di questa monografia è quello di mettere a nudo l’architetto non solo dal punto di vista progettuale, ma anche, e soprattutto, dal punto di vista personale. Sebbene Koolhaas sia un architetto attivo, è già storia, poiché ha già lasciato un segno nel futuro.

Frank Owen Gehry: l’architetto iconoclastaLe origini

Frank Owen Gehry nasce a Toronto nel 1929 e nel 1947 si trasferisce a Los Angeles. La gioventù e la formazione dell’architetto sono state caratterizzate da una serie di crisi riguardanti la sua identità politica, storica e architettonica. Grazie alla sollecitazione di diversi insegnanti, Gehry decide di intraprendere gli studi di architettura, durante i quali il giovane architetto recupera pochi stimoli e molto conformismo. Dopo aver abbandonato Harvard, Gehry entra nello studio di Victor Gruen, da cui ricava molti stimoli; nonostante ciò, l’architetto non si sente soddisfatto a pieno del suo lavoro e dei colleghi che non comprendono le sue idee. Negli anni Sessanta, l’architetto viaggia in Europa per osservare i capolavori dell’architettura, tra cui le opere di Le Corbusier. Tornato da questa esperienza, fonda un suo studio a Los Angeles. Mettendo a confronto le opere di Gehry di quel periodo, ci si accorge che sono profondamente diverse le une dalle altre, tanto da non sembrare frutto di una stessa persona. Le architetture di Gehry rappresentavano a pieno la sua personalità tormentata e la sua mancanza di equilibrio interiore. A risolvere questa situazione è Milton Wexler, psicologo che gioca un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’architetto. Affiancato da questo dottore, Gehry inizia una lunga psicoterapia che lo aiuta a scoprire e capire il suo genio creativo, nonché a sfidare il mondo intero. Nel 1978, dopo due anni di matrimonio, completa la casa comprata con la moglie, casa destinata a diventare il manifesto della sua creatività unica. Gehry, trasformando l’anonima abitazione borghese, si trova catapultato al centro dell’attenzione del pubblico e della critica: aveva innescato il giusto meccanismo per rendere pubblica la sua creatività e conquistare il prestigio tanto agognato. Dopo anni di lavori di grandi dimensioni, è il lavoro svolto su una piccola casa a rendere l’architetto un personaggio pubblico, mettendo in luce le sue capacità creative. L’obiettivo di Gehry è stupire, far notare la sua diversità, sovvertendo le regole. Da quel momento in poi, la capacità di ideare forme del tutto personali e riconoscibili diventa la sua carta vincente, nonché un mezzo per riscattare le delusioni del periodo accademico. Il paladino della libertà espressiva

Una delle caratteristiche di Gehry è il suo abbigliamento buffo, carico di ironia ni confronti della storia dell’architettura. Solo osservando con più attenzione si riconosce il volto dell’architetto, sovrastato da uno strano cappello che ricorda quello di un giullare. Non si tratta di un gioco, ma di una azione di redenzione: vuole liberare il mondo dalle convenzioni. Gehry combatte contro la banalità del quotidiano, contro il già visto, tagliando il legame con la tradizione che impedisce la libera espressività. Durante questa performance (Il corso del coltello, messa in scena a Venezia nel

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1985), l’architetto si mostra come colui che con le su azioni e creazioni vuole scuotere il mondo: tutti devono vedere il tormento interiore che ha condotto l’artista alla scoperta del proprio estro creativo. Nel ritratto dell’artista, tutto ne sottolinea lo stato d’animo tormentato: dai capelli spettinati allo sguardo sofferente. Grazie alla psicoterapia, Gehry ritrova in un ritorno alla sua infanzia, spunti che lo portano a rinnovare l’espressione architettonica. Importante il ricordo del pesce, che la nonna comprava al giovedì quando l’architetto era bambino, poiché rappresenta il simbolo della ricerca di nuove forme e la liberazione dalle regole dell’uomo. Gehry esce così dal buio rinforzato e in grado di portare al mondo la sua nuova creatività.La metamorfosi

La rinascita spirituale dell’architetto si riflette anche nel suo aspetto, non più segnato dal tormento, ma più sollevato e rilassato: ora è finalmente libero di dare sfogo alla sua creatività. Nel 1989 Gehry vince l’ambito Premio Pritzker che lo consacra ufficialmente tra i premiati dell’architettura: finalmente vedono in lui, genio disadattato fino a quel momento, la sua capacità creativa. Interessante il fatto che il premio di quell’anno era una moneta con incise sopra tre parole “firmness”, “delight”, “commodity”, principi regolatori dell’architettura tradizionale, che Gehry sfida apertamente. Dal momento in cui ottiene il Pritzker, Gehry si trova all’apice della popolarità: ora tutto il mondo è a conoscenza del valore dell’estetica da lui proposta. Tutto ciò che circonda l’uomo può trasformarsi in architettura e Gehry sottolinea che si tratta di operazioni artistiche, già sperimentate da numerosi esperti del settore. Gehry cerca con la sua architetta di liberare il mondo dall’ordinarietà, per continuare le sperimentazioni avviata dagli altri artisti a lui contemporanei. Scordati gli anni di tormento, l’architetto si presenta non solo come tale, ma anche come imprenditore.

Frank Lloyd Wright alla conquista dell’immagineWright scrive una autobiografia, che prende i tratti di autoesaltazione. I toni in cui è narrata ricordano le atmosfere di un film western, in cui Wright, l’eroe che sfida le contingenza della vita, non esce mai sconfitto. L’architetto ha scelto di proposito di usare questo tono impetuoso nel narrare la propria vita; all’interno della biografia molti avvenimenti sono stati modificati o omessi, con l’intento di mettere in luce soprattutto i successi dell’architetto, tralasciando gli insuccessi. Da questo testo emerge la figura del Wright combattente, ma anche quella del Wright profeta, fino ad arrivare al Wright come intermediario tra Natura e Dio e l’Umanità; in questo modo, l’architetto si eleva al di sopra della volgare massa, che non conosce altro che l’oblio. Tutta la parte progettuale e organizzativa, ruota intorno a lui. A Taliesin (una sorta di scuola-comunità in cui si insegna ai giovani a vivere secondo sani principi e in funzione dell’architettura; ai giovani sono richieste doti per poter incrementare la loro qualità di vita, regole che in verità sono rigide regole imposte da Wright) non esiste gerarchia: c’era Wright e gli altri. Nelle immagini che abbiamo di Wright all’interno della comunità, qualsiasi attività stia svolgendo, lui è sempre in posizione aristocratica rispetto ai suoi discepoli. Per Wright avevano grande importanza il senso estetico e l’abbigliamento: in una raffigurazione viene rappresentato dal basso verso l’alto, con lo sguardo rivolto al basso, che sottolinea il suo intento di salvare l’umanità; Wright non è solo architetto, ma è anche un

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condottiero, ed è abbigliato come tale, eccezion fatta per la cravatta. Questa foto costituisce una immagine costruita che mitizza il soggetto rendendolo sovraumano. Wright indossa solitamente cravatta e cappello, cosa che gli conferisce un aspetto preciso e aristocratico. L’architetto è fondamentalmente un attore di se stesso, della sua vita e della sua attività.

Il più grande architetto del mondo

Wright non nasconde il fatto di considerarsi il miglior architetto mai esistito, nel fare ciò non esista a farsi beffe dei colleghi: da Mies a Johnson (il quale di certo aveva contribuito alla costruzione della fama dell’architetto), senza risparmiare Le Corbusier, suo odiato nemico. Questa autocelebrazione non è dovuta solamente alla presunzione e ambizione dell’architetto: con un tale atteggiamento si autopuntava su di sé i riflettori. Wright era un personaggio che amava attorniarsi di oggetti di lusso: macchine, abiti di alta sartoria e oggetti d’arte, che lo portarono ad accumulare un gran numero di debiti nel corso della sua vita. Suscitò scandalo anche per la sua vita privata: ebbe ben quattro matrimoni. Tanto era conosciuto, i suoi scandali privati catturavano l’interesse pubblico. Wright fece un uso esemplare della stampa: riuscì sempre a servirsene come un mezzo di autopromozione. Le fotografie che comparivano sui giornali, apparentemente spontanee, erano studiate e calcolate. Inoltre, l’architetto era restio dal farsi ritrarre con personaggi più famosi di lui: preferiva farsi ritrarre da solo (nella veste di eroe) o con gli allievi della comunità (nel ruolo di predicatore con i discepoli) o con la moglie (nei panni del re con la propria regina). Generalmente, preferiva farsi raffigurare da solo, ma spesso compariva con i sui committenti, i quali erano uomini particolarmente benestanti e ciò conferiva lui un alto grado di considerazione. Quando era accusato di qualcosa, subito scriveva lettere ai giornali, con il chiaro intento di rendersi noto al maggior numero di persone possibili, in particolar modo nel periodo in cui le commissioni scarseggiavano. Basti pensare alla sua autobiografia, pubblicata proprio in un periodo di crisi economica, per riportare all’apice la sua immagine. I valori di un’autobiografia

Per poter trattare dell’autobiografia di Wright, non si può non citare l’opera “Autobiografia di un’idea”, del suo maestro Sullivan. Il mito di Sullivan e il mito di Wright hanno natura differente: il primo muore in solitudine, deluso e amareggiato per il fallimento del proprio studio, sconfitto in nome dei propri ideali; per Wright, al contrario, coincide con l’apoteosi del successo. Il testo di Wright è un testo glorioso, quello di Sullivan è triste. In entrambi i testi ha grande importanza l’infanzia: entrambi non rinnegano la loro infanzia nella natura, elogiano la loro radici “provinciali”. Si parla poco di architettura in entrambe le opere, è lasciato invece ampio spazio alle descrizioni psicologiche delle persone e alla esposizione di principi “archisociali”. Entrambi utilizzano tempi futuri nella narrazione, ad evidenziare la volontà dei due uomini di rimanere fedeli fino alla fine ai propri ideali. Non utilizzano periodi ipotetici: sono come profeti, che sanno esattamente come andranno le cose. Senza questi testi, soprattutto nel caso di Wright, difficilmente avrebbero avuto tanta influenza sulla società a loro contemporanea.

Philip Johnson: the tastemakerJohnson scopre la sua vocazione da architetto durante un viaggio in Egitto. La famiglia si oppone, non volendo per lui una carriera da architetto, ma Johnson con determinazione è pronto ad andare

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controcorrente per seguire le proprie inclinazioni: il profeta segue il richiamo dell’architettura moderna. La sua scelta di dedicarsi all’architettura è avvolta in un alone mistico; è come se avesse auto una rivelazione tanto profonda da determinare un mutamento in lui e da rendere necessaria una svolta decisiva per la sua vita. Essendo legato alla famiglia, non vorrebbe infrangere le aspettative che ripongono in lui, ma la vocazione all’architettura è troppo forte. L’architetto deve trovare in se stesso la forza per seguire la propria strada, anche andando controcorrente, per esprimere le proprie idee. Prima di scoprire la passione per l’architettura, Johnson aveva passato diversi periodi di depressione, alternati a viaggi culturali offerti dalla famiglia. L’architetto trova una via d’uscita in Hitchcock, vedendovi un genio da cui imparare. Con Hitchcock scrive un libro e nel frattempo inizia a conoscere personaggi influenti e potenti, anche grazie alle sue doti carismatiche. La creazione del mito

Un eroe per affermarsi deve rifiutare le norme della vita limitata che si trova di fronte. Johnson aspira all’assoluto: dal suo sguardo trapela la determinazione; i suoi lineamenti sono decisi e definiti. Nessuna insicurezza sembra segnare il suo viso: Johnson incarna in una immagine in cui nulla è lasciato al caso, un divo che sfida gli uomini e il suo destino. Accanto alla sua caratteristica determinazione, coesiste una sua capacità a fingersi modesto: fingersi, perché dalle sue parole emerge orgoglio per le proprie idee. Il grande pubblico è attratto da quei personaggi che dimostrano di aver vissuto esperienze fuori dal normale: nasce così un mito; Johnson passa da giovane incerto a figura quasi profetica che ha il merito di stabilire un legame tra America e Europa, creando le premesse per la diffusione del moderno. Ci si trova davanti non solo ad un uomo con una forte personalità, ma anche ad un architetto dotato di una ottima capacità di autopromuoversi. Fin dall’inizio esprime una vena provocatoria, volendo presentarsi al pubblico come il “diverso”. Inoltre, si tratta di un personaggio prevedibile e autoironico, dotato anche di una capacità di mettere in cattiva luce anche i suoi amici più stretti. Il potere di Philip Johnson

Come ogni mito degno di tale fama, l’oblio non è ammesso. Viaggi, incontri, mostre, progetti: tutto è documentato con fotografie all’apparenza casuali e spontanee. La fama di un uomo divo cresce proporzionalmente alla circolazione delle immagini che lo ritraggono: non può mancare agli eventi più importanti legati al suo campo d’azione (festival, inaugurazioni ecc.) e deve talvolta prestarsi a fare da testimonial. L’architetto ha uno stretto rapporto con Alfred Barr, direttore del MoMA di New York, il quale non a caso istituisce un dipartimento di architettura e rende possibile la importantissima mostra del 1932 Modern Architecture International Exhibition, entrambi affidati alla direzione dello stesso Johnson. Oltre a questi due incarichi fondamentali, l’architetto ha il privilegio di intrattenere un rapporto con il maestro Mies Van Der Rohe. Quando compare in pubblico non compare mai insicuro e il suo accompagnare le parole con gesti, coinvolge ancora di più di più il pubblico. Johnson riesce anche a stringere amicizia con un altro dei grandi maestri dell’architettura: l’orgoglioso Wright. La loro amicizia è in un qualche modo obbligata: Johnson non può ignorare un collega influente come Wright, così come quest’ultimo non può non mantenere un rapporto con il più importante dei testemaker americani. La fame di Johnson non si accresce solamente per le sue opere, contribuisce il suo protagonismo e la moltiplicazione delle sue immagini: l’architetto non si lascia sfuggire nessuna occasione per autopromuoversi, tanto che il suo volto viene continuamente riproposto, al pari di una Coca-Cola. Johnson non perde occasione, inoltre, per conferire alle sue

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opere un valore sopra all’ordinario: rappresenta i suoi lavori come epifanie dell’opera di un profeta. La sua genialità colpisce anche nella copertina che realizza nel 1979 per il “Time”: l’architetto è ripreso dal basso verso l’alto, con lo sguardo abbassato come ad osservare il lettore. In una mano tiene il plastico di uno dei suoi edifici più importanti. L’autore acquisisce superiorità rispetto al suo prodotto. L’architetto e l’importanza del progettista sono gli argomenti sui il “Time” si concentra: non più l’architettura e il progetto. Per l’ennesima volta Johnson ha ideato una formula vincente: comprende che i committenti desiderano edifici che diventino simboli, facilmente riconoscibili e lui è pronto ad offrirli loro.La famiglia acquisita

Nel 1996 e nel 2001, in onore rispettivamente del novantesimo e del novantacinquesimo compleanno di Johnson, partecipano una serie di volti illustri e a documentare i due eventi vi è un importante fotografo di moda. Per il novantacinquesimo l’architetto riesce addirittura a guadagnarsi la pubblicazione con i suoi ospiti. Gli invitati non sono semplici conoscenti, ma sono amici intimi dell’architetto, che lui ama chiamare “kids”. Questi kids altri non sono che gli architetti più importanti che devono a Johnson parte della loro fama. La foto dell’architetto con i suoi adepti sembra una foto di famiglia, ed ha la volontà di mostrare quali sono gli architetti del momento. Tra questi si riconoscono esponenti del decostruttivismo, lanciati dalla mostra di Johnson del 1988.La famiglia naturale

I fan vogliono conoscere ogni dettaglio della vita privata di un artista. Johnson, in quanto personaggio pubblico, non poteva sottrarsi dal far conoscere ai suoi fan la sua famiglia. Nella biografia dedicata alla sua vita uscita nel 1994 c’è una grande varietà di foto che lo ritraggono nelle più svariate situazioni; probabilmente si è rifatto alla biografia dell’amico/nemico Wright, ricca anch’essa di fotografie. L’autocostruzione mediatica avviene anche grazie all’immagine che il soggetto è in grado di dare di sé, non solo dalle conoscenze che riesce ad avere.

Charles-Edouard Jeanneret, in arte Le CorbusierLe Corbusier, uomo indifferente alla gloria e ai sistemi mediatici, ama definirsi uno spirito libero. A dire il vero, l’architetto non è per nulla indifferente alla celebrità, ma deve ostentare la sua superiorità culturale. Il suo compito è stupire e guidare: in quanto ambasciatore del vecchio mondo, contrario al sogno americano, vuole mostrarsi indifferente nei confronti delle futili glorie e portare il popolo all’ordine e allo sviluppo. Quando ancora non era “Le Corbusier”, l’architetto, aveva collaborato con un pittore d’avanguardia parigino nella realizzazione di una rivista, che li aveva resi noti nell’ambiente parigino. Secondo i loro progetti, la rivista, doveva trattare tutti gli ambiti dell’attività contemporanea, compresa l’architettura. Il titolo scelto era, non a caso, l’Espirit Nouveau. Dalla necessità di trovare uno pseudonimo per scrivere sulla rivista, nasce Le Corbusier. La particella “Le” gli conferisce un che di nobile: un uomo fuori dal comune, messaggero dello spirito innovativo del moderno; cambiando nome l’architetto si pone al di sopra di ogni genealogia provinciale, per mettere in mostra la propria eccezionalità. Nel 1920 l’architetto firma il primo articolo sulla rivista e in breve tempo la sua notorietà si accresce talmente tanto da spingere l’amico a lasciarlo solo alla conduzione dell’Espirit Nouveau. Attraverso una serie di scritti successivi, tra i quali Vers une architecture, Le Corbusier ha la possibilità di esporre le sue teorie. Questi scritti erano particolarmente efficaci grazie alla sua capacità propagandistica; non lasciava nulla al caso:

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selezionava cosa omettere e cosa pubblicare, decideva l’impaginazione e sceglieva anche le fotografie. Dal momento che doveva mostrare al pubblico la propria identità culturale, ogni particolare aveva grande importanza: non stava semplicemente esponendo le sue idee, bensì stava gettando le basi per la costruzione della sua fama. L’architetto, da abile stratega, non esitava ad adulare industriali e personaggi influenti che potessero poi finanziare la sua impresa. Oltre a fare ciò, l’architetto si è prodigato a rendere note le sue idee, in grado di stupire, che dovevano essere valorizzate agli occhi dei clienti. Le sue opere comparivano nella parte dell’editoriale, ma anche nelle pagine industriali degli inserzionisti. La notorietà di Le Corbusier e dei suoi progetti aveva così iniziato a crescere a dismisura. L’architetto si mostrava come intellettuale moderno, precursore dei tempi. A rappresentare questa modernità anche il fotomontaggio che vede l’architetto a bordo di una mongolfiera, pronto ad allontanarsi dal mondo terreno per averne una visione ampia e completa. L’architetto si schiera contro la pubblicità americana, eppure nella sua rivista sono contenuti veri e propri messaggi pubblicitari: per promuovere e rendere realizzabile la sua opera di rinnovamento nel modo di vedere gli oggetti e l’architettura, erano necessari tali espedienti. [da finire]Tracce fotografiche

È difficile immaginare Le Corbusier senza i suoi occhiali dalla montatura nera e spessa, quasi attaccati ermeticamente al suo viso. Quando se li toglieva non sembrava la stessa espressione, cambiava la sua espressione. Il suo abbigliamento è sempre uguale: pantaloni e giacca scuri e camicia bianca: l’unica nota di colore e di eccentricità era data da cravatte e papillon colorati. Questa sua divisa corrisponde allo stile di vita dell’architetto, che conduceva un’esistenza quasi militare. Lo studio di Le Corbusier è stato per anni in un antico collegio sconsacrato, con grandi finestre con vista su una chiesa: questo insieme di caratteristiche gli conferiva un alone mistico, come anche all’architetto. l’architetto alternava momenti di ilarità a momenti di nervosismo; era caratterizzato da una smisurata smania di ottenere commissioni di qualunque genere e commissionate da committenti di ogni genere: era disposto a tutto per questo, dal tenere convegni a partecipare a convegni.

Peter Eisenman: l’agitatore culturalePeter Eisenman, come ha dichiarato lui stesso; l’architetto osserva l’obiettivo dall’alto, sottolineando la propria superiorità intellettuale e la sua sicurezza. Anche nell’aspetto sono evidenti queste caratteristiche: è sempre impeccabile, con una disinvoltura tipica di chi è consapevole delle proprie capacità. Tra i cinque architetti ricordati negli anni Sessanti come i migliori d’America, spicca Peter Eisenman, anima teorica del gruppo. L’architetto testimonia nei suoi scritti la lotta contro le convenzioni e i luoghi comuni della vita, per dare il via alla realizzazione di opere caratterizzate da un linguaggio autonomo e totalmente autoreferenziale, frutto di processi logico slegati da ogni aspetto pratico della vita quotidiana. Il suo scopo era quello di separare l’architettura dalle contaminazioni del mondo reale. A garantire il valore di tali idee erano i personaggi e le istituzioni più in vista di New York. Il gruppo di architetti poteva, inoltre, contare sull’appoggio del direttore del MoMA dell’epoca, il quale organizzava per loro la mostra e presentava il catalogo. In generale, le opere dei Five furono apprezzate; le critiche non mancarono, ma ebbero anch’esse una funzione promozionale. Nel 1972 viene pubblicato un libro su di loro, che sanciva l’esistenza non di un vero e

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proprio gruppo, bensì di cinque architetti accomunati da una impostazione comune. Formare un gruppo era stato loro necessario per poter emergere e autopromuoversi nell’ambiente americano. Ben presto, Eisenman, grazie all’ Institute for Architecture and Urban Studies (Iaus), ha la possibilità di far conoscere le sue posizioni, nonché di intrattenere un gran numero di amicizie con personaggi illustri, tra i quali Philip Johnson, Rem Koolhaas, Arata Isozaki, Frank O. Gehry. In seguito, l’architetto fonda una propria rivista, che prende il nome di “Oppositions”, in cui il direttore si limita a fare opposizioni di pensiero. Grazie al suo ruolo nello Iaus e alla rivista, Eisenman si afferma nei panni dell’agitatore e organizzatore culturale. Nelle immagini che lo ritraggono è solitamente da solo, poiché ogni attenzione deve essere concentrata sulla sua persona. Inoltre, essendo un personaggio che ama andare controcorrente non indossa mai la giacca: si fa ritrarre con la camicia sbottonata e con le maniche rialzate. È una persona aperta a dialogare con chiunque, pronta ad affrontare nuove sfide, ma con la sicurezza di chi è ben consapevole delle proprie capacità. Indossa gli occhiali, ma con montatura molto semplice, in modo che non nascondano il suo viso e le sue espressioni. Nonostante passi il tempo questa rimane la sua divisa, non si lascia influenzare dalle mode. Sentendosi limitato dal gruppo, nel 1987 fonda un suo studio. Ulteriore spinta alla notorietà dell’architetto è data dalla mostra Decostruictivist Architecture del MoMA del 1988, promossa dall’immancabile Philip Johnson, che lancia a livello internazionale i “magnifici sette”. Anche in questo caso, la capitale in cui avviene il lancio di un gruppo di architetti è New York. Da questo momento si ha un cambiamento: Eisenman alla metodologia tradizionale sostituisce nuovi elementi che possano donare alle sue strutture diversità, ordine. Contemporaneamente, l’architetto inizia a farsi ritrarre al fianco di un personaggio di grande rilievo culturale: il filosofo francese Jacques Derrida; per accrescere la propria fama è necessario farsi ritrarre con altri personaggi altrettanto noti. L’architetto inizia ad essere sempre più argomento di articoli su riviste di vario genere. Alla fine del 1990 l’architetto fonda una istituzione culturale, di cui fanno parte gli altri big dell’architettura, con lo scopo di promuovere studi multidisciplinari sull’architettura (Anyone Corporation). Eisenman dimostra una smisurata astuzia nel coinvolgere chi gli sta intorno nel gioco di relazioni pubbliche di cui è protagonista e regista. La fama dell’architetto è in gran parte legata alla sua attività intellettuale: ecco perché si pone come “il critico” dell’architettura. In quanto architetto non ha realizzato molti edifici, ma, a suo parere, non conta il numero ma la qualità. Eisenman è la prova tangibile che la fama personale non è interamente legata al numero di edifici costruiti, ma è legata anche alle capacità dell’architetto di promuoversi. L’evoluzione di Peter Eisenman

Con il cambiare dei tempi e l’evoluzione dell’architettura, diventa sempre più difficile affermare la propria immagine. Eisenman cambia il suo modo di porsi: depone la camicia in favore di una appariscente divisa da football rosso fuoco con il numero uno, il suo numero; al posto di un plastico tiene in mano una palla, la palla vincente. D'altronde, per diventare un numero uno sullo scenario architettonico “devi essere un gorilla”.

2. Il potere dell’immagine: architettura e pubblicitàVitra: esponenti della cultura per sedute d’autorePhilip Johnson per Vitra

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Tra i personaggi noti che hanno prestato il loro volto come testimonial per la Vitra, non può certo mancare Philip Johnson, il re dei mass media. L’architetto che posa su una delle sedie prodotte dalla ditta, non ha bisogno di dimostrare nulla, in quanto la sua personalità è nota e affermata a livello mondiale. Rimane fedele a se stesso: vestito con la solita giacca e cravatta nera, composto e serio, tutto è perfetto e curato nei minimi dettagli. Da buon attore e architetto, fa una variazione sul tema: lo vediamo seduto sulla sedia all’incontrario; Johnson non è come tutti gli altri, egli è al di sopra dell’agire delle persone comuni, perciò può permettersi una tale posa. La sua posizione rigida rispecchia la rigidità delle gambe e dello schienale della sedia. L’architetto sembra essere divertito da questa posa, la sua espressione è giocosa e allegra. Dopo anni di lotta, Johnson è riuscito ad ottenere il potere assoluto e ora può permettersi di mostrare il lato più scherzoso ed estroverso della propria personalità, sicuro di attirare ancora una volta l’attenzione e di autopromuoversi ulteriormente.

Apple: «Think Different»

Il logo Apple non è semplicemente uno stratagemma di marketing: la mela è simbolo di creatività, intelligenza; di novità contrapposta al vecchio. La Apple ha dato il via ad una rivoluzione: il computer da strumento elitario è diventato alla portata di tutti. Innovazione, ricerca, sviluppo: sono tutte parole chiave ricollegabili a quella mela. Per evidenziare questo carattere innovativo, negli anni Ottanta viene lanciata la campagna «Think Different», basata sull’idea di utilizzare volti noti per proporre i prodotti Apple. Questi messaggi pubblicitari vengono trasmessi durante i programmi televisivi, su riviste, su poster e cartelloni sparsi per la città. Per essere testimonial Apple il requisito fondamentale è uno solo: essere persone in grado di cambiare il mondo. I personaggi ingaggiati sono diversi fra loro per professione e personalità, ma c’è un filo conduttore che li accomuna: il concetto di cambiamento. I testimonial Apple sono conosciuti per la loro audacia e per la loro influenza a livello sociale. Sono personaggi tanto importanti da essere subito riconosciuti, senza bisogno di inserire una didascalia con il loro nome o i loro meriti. Tra questi testimonial troviamo anche Frank O. Gehry. L’architetto è visto dalla Apple come il condottiero della rivoluzione architettonica americana. Nella foto per la campagna pubblicitaria sembra esser stato ritratto mentre cammina per strade, con alle su spalle edifici anonimi. Dal suo abbigliamento e dal suo aspetto poco curato dà l’idea di essere un personaggio anticonformista, che non si cura delle opinioni altrui. Potrebbe essere chiunque, ma è tanto noto che è impossibile non riconoscerlo, anche perché all’epoca della campagna l’architetto era già noto a livello mondiale ed era considerato uno dei più importanti architetti d’avanguardia contemporanei. Le sue opere non lasciavano spazio a dubbi: il suo linguaggio architettonico era completamente nuovo, che ha trovato la massima espressione nel capolavoro del Guggenheim di Bilbao. La capacità di Gehry sta nel rendere ciò che è famigliare per l’osservatore in alieno, per questa ragione da molti non è apprezzato o capito.

Location firmateLa pubblicità riassume in sé molti requisitivi che servono al regime dello spettacolo per attuarsi: vi si riscontrano varie forme di esaltazione e processi di banalizzazione; alla base della pubblicità vi è un principio di accettazione passiva. Infatti, la pubblicità si presenta come una enorme positività indiscutibile e inaccessibile, mentre non si sa nulla di ciò che non appare. Inoltre, tramite la

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pubblicità il dominio dello spettacolo (rapporto fra immagini, individui e mondo che li circonda) espone quali sono gli strumenti comunicativi di cui si serve per garantire la sua stessa esistenza. Osservando uno spot, infatti, appare evidente come sia “manipolata” l’attenzione del pubblico: si pone appositamente l’attenzione su determinati elementi, rendendoli più accattivanti, mentre altri, considerati scomodi, non vengono inseriti. Frank O. Gehry per Omnitel

Omnitel ha lanciato una serie di spot, con protagonista Megan Gale, in cui l’architettura risulta parte integrante del messaggio televisivo, servendo come mezzo per alludere ai valori distintivi del marchio: dinamismo e attitudine a voler superare le frontiere fisiche e mentali. Allo spot ambientato su La Torre di Seattle, segue quello a Bilbao. In questo spot la protagonista si esibisce in uno spettacolo di pattinaggio, nientemeno che sul museo Guggenheim progettato da Gehry. Tutto viene pensato per ampliare la spettacolarità dell’azione. Le immagine si concentrano sull’edificio e sulla protagonista, senza alcun riferimento al contesto urbano. Il rivestimento del museo può ricordare quello di un telefono, che non a caso è stato proposto nella stessa tonalità. Omnitel prima di tutti propone una ambientazione fuori dagli schemi per un cellulare innovativo su scala internazionale. Frank O. Gehry per Audi

L’Audi è stata la prima azienda automobilistica a servisti dell’alluminio come principale materiale della carrozzeria: nei messaggi pubblicitari ha sempre cercato di evidenziare questa innovazione. Non è un caso per lo spot dell’Audi 6 sia stata scelta come location il museo di Gehry, poiché anch’esso sembra essere rivestito in alluminio. Le scelte formali e materiali dei due prodotti vengono a coincidere: sono entrambi prodotti di design contemporaneo. Nello spot è rappresentata solo una parte del Guggenheim, non un riferimento alla sua funzione o al contesto: è un oggetto come un altro; un oggetto di alta tecnologia, contraddistinto da materiali pregiati e forme accattivanti.Frank O. Gehry per Nutella

Nutella: un prodotto alimentare rivolto ad un target prevalentemente giovane. Accostata ad opere architettoniche contemporanee, come nello spot in questione, la Nutella acquisisce maggiore valore di novità. Conosciuta come prodotto prettamente italiano, ambientare lo spot a Barcellona le conferisce un carattere internazionale. Non volendo mutarne il logo o l’etichetta, i pubblicitari decidono di accostarla a qualcosa di inedito. Oltre a questo, l’obiettivo è quello di estendere il messaggio ad un target più ampio e adulto. L’opera di Gehry è ripresa nella speranza di creare una associazione di idee: svuotarla del suo significato e renderla un oggetto commerciale e popolare come Nutella.Mies Van Der Rohe per Alfa RomeoDaniel Libeskind per Jean ColonnaFrank Lloyd Wright per Hamilton

MinispettacoliLa pubblicità ha il compito di promuovere, prodotti, luoghi, oggetti di moda, una qualsivoglia cosa. Uno dei suoi principali obiettivi è la seduzione: il successo si basa sulla persuasione ottenuta mediante strategie comunicative. La seduzione non è altro che un processo che consiste nel captare i desideri altrui e di riuscire a proporli: questa è la strategia utilizzata dalla pubblicità. La merce deve sedurre i potenziali consumatori, deve rendere la propria immagine spettacolare sopra ogni misura

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con l’ausilio della pubblicità, al fine di farsi notare tra la moltitudine di spettacoli in corso. Per perseguire tale obiettivo, è necessario servirsi di ogni nuovo strumento, l’attrezzatura nuova diventa il fine e il motore del sistema. Gli scopritori di location sono ovunque alla ricerca di paesaggi o edifici adatti ad esaltare un determinato oggetto; cercano location da rendere ambientazioni affascinanti e che possano avere analogie di senso con ciò che si pubblicizza. La città viene interpretata come una struttura costituita da un insieme di possibili elementi pubblicitari che, manipolati ed estrapolati dal contesto, possono diventare simboli della produzione. Se si utilizza ogni materiale che ci circonda come prettamente semiotico, si cancella automaticamente ogni suo valore politico o culturale. A questo punto entra in gioco l’architettura, o meglio le costruzioni griffate che vengono scelte per dare maggiore rilievo alle caratteristiche di specifici oggetti. Le opere più utilizzate dalla pubblicità sono quelle di Gehry, Foster, Libeskind, Le Corbusier. Si tratta di edifici che non passano inosservati per le loro caratteristiche tecnologiche e formali, nonché per la firma dell’architetto. Accanto a questi edifici vengono reclamizzati principalmente oggetti tecnologici e meccanici, quindi automobili, telefoni, fino ad arrivare a profumi e abiti. Ogni peculiarità architettonica degli edifici scelti viene messa in evidenza per fondare la comunicazione pubblicitaria sull’associazione con le caratteristiche del prodotto in questione; così, mostrando oggetti che possiedono le stesse qualità di rinomate costruzioni, la comunicazione aspira ad accrescerne il valore rispetto agli altri prodotti della stessa categoria. Paragonando oggetti ad architetture di tale calibro, si intende trasmettere ai prodotti quotidiani gli stessi valori di prestigio e longevità propri dell’architettura. Le immagini che raffigurano queste architetture sono studiate per esaltarne i particolari funzionali alla trasmissione del messaggio. Si tratta di immagine decontestualizzate: non vi è riferimento alla funzione o al contesto urbano. Dal momento in cui vengono utilizzate esclusivamente per il loro valore di scambio, perdono ogni valore derivato dal loro utilizzo e dal contesto sociale e urbano, diventando oggetti astratti. Vengono sottolineate alcune tracce architettoniche, che tolte dal loro contesto, vengono semplificate per essere equiparate a segni appartenenti ad altri oggetti. Si va oltre il reale, per raggiungere un livello superiore che trascende, in modo positivo o negativo a seconda dei punti di vista, ciò a cui si riferisce. Ci vengono mostrate semplicemente immagini di oggetti puri: cioè di oggetti astratti dal loro uso, per assumere uno statuto puramente soggettivo.

3. I Pritzker architettiIl Pritzker Prize tra Nobel e OscarJay Pritzker istituisce nel campo dell’architettura un premio tanto importante quanto lo è il Nobel; si tratta, appunto, del Pritzker Prize, un riconoscimento assegnato annualmente al migliore architetto. Il Pritzker Prize si ispira apertamente al Nobel sia nelle modalità di selezione dei candidati, sia nel prestigio dei membri della giuria. Le nomine al premio avvenivano conseguentemente a segnalazioni provenienti da istituzioni, critici, architetti: da chiunque abbia un interesse nel riconoscere la grande architettura. La selezione finale è poi fatta da una giuria internazionale. Altro punto in comune con il premio svedese è l’internazionalità del riconoscimento: l’intenzione di Pritzker è che il “Nobel dell’architettura”, per definirsi tale, deve avere un campo di applicazione mondiale; lo sforzo in questa direzione è stato veramente intenso. Ogni anno la cerimonia ufficiale si svolge in posti diversi del mondo, per rendere omaggio all’architettura delle varie epoche e al lavoro compito dagli architetti premiati. Questa internazionalità del premio è marcata ancora di più

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dalla mostra The Art Of Architecture, sponsorizzata dal Pritzker Architecture Prize, che ha come soggetto le architetture degli architetti vincitori. Per garantire l’assoluta serietà del premio, nel corso degli anni, sono intervenute alle cerimonie ufficiali importanti personalità: nl 1998, ad esempio, anno dell’anniversario del Pritzker, la cerimonia si è tenuta alla Casa Bianca e vi ha preso parte Bill Clinton. Inoltre, analogamente al premio Nobel, vi sono riconoscimenti mondani che accompagnano la premiazione. Il premio consiste in una ricompensa monetaria, un attestato di premiazione e una medaglia. La medaglia del Pritzker, su un lato ha rappresentato un disegno di Sullivan, mentre sull’altro cita quelle caratteristiche che Henry Wotton considera fondamentali affinchè l’architettura sia buona: «Firmness, commodity and delight». Le cadenze delle premiazioni sono serrate: la giuria sceglie il vincitore in primavera, mentre la cerimonia ufficiale di premiazione ha luogo a maggio/giugno. La volontà di Pritzker era quella di istituire un premio che mettesse in evidenza i migliori architetti, mentre per il Nobel l’obiettivo non è individuare il migliore in qualche campo, ma premiare chi contribuisce al benessere e allo sviluppo dell’umanità. L’iniziativa della fondazione di istituire un riconoscimento di tale importanza nel campo dell’architettura è lodevole: il titolo di migliore architetto viene, però, visto come tramite necessario per diventare una archistar©. Questo premio rappresenta una delle chiavi che permette l’accesso a quella cerchia ristretta di volti e nomi noti a livello mondiale: si tratta di architetti speciali, al di sopra della norma. L’internazionalità del Pritzker alimenta una forma di divismo di cui il pubblico è desideroso. Definendo gli architetti del architetti “star dell’anno”, si può notare una analogia con la notte degli Oscar. L’accesso al tempio degli elettiBisogna, innanzitutto, fare una distinzione tra gli architetti che hanno vinto il Pritzker nel passato e quelli che lo hanno vinto di recente. Agli albori, il premio, veniva conferito con la volontà di rendere omaggio ad un’epoca piuttosto che alle diverse tradizioni architettoniche. In questa ottica si può leggere il premio conferito a Johnson nella prima edizione del 1979. La scelta di una nomina a Johnson, inoltre, può essere interpretata come uno sforzo compiuto dalla giuria di dare credibilità al premio; in un primo momento il premio veniva conferito a buoni architetti e ne chiudeva la carriera, accogliendolo nell’Olimpo degli architetti migliori. Dagli anni Novanta si assiste ad un cambiamento: viene il tempo dei grandi studi e delle star dell’architettura contemporanea: Gehry, Piano, Tadao Ando, Rem Koolhaas, tra gli altri. Nulla è casuale nelle celebrazioni del Pritzker: tutti i più famosi architetto lo vincono. Certo, accade a volte che il premio venga a conferito a personaggi non particolarmente famosi, ma si tratta di una mossa strategica: il premio deve mantenersi al di sopra delle tendenze per mantenere la propria credibilità. Per molti degli architetti premiati, la vincita del Pritzker rappresenta l’ennesima conferma del loro status divistico, per altri la vittoria porta ad un salto di qualità che contribuisce ad imporre la propria immagina a livello mondiale. Questo è il caso, ad esempio, di Tadao Ando, il quale dopo la vittoria del premio ottiene un incremento delle commissioni al di fuori del paese d’origine.

4. Grandi promoter per una cultura d’autoreSe l’architettura appartiene alla cultura, allora l’architettura è marketing: si tratta di un sillogismo forzato, ma tutto sommato corretto. Artisti di qualsiasi genere si sono prestati, nel corso degli ultimi anni, a sostenere performance, sotto lauto compenso, sostenuti dalle grandi multinazionali; Basti

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pensare ai musei che accettano di esporre collezioni di moda, ad esempio, ma la lista è interminabile: il sodalizio cultura-azienda è un fenomeno affermato. Questo rapporto potere/architettura, esistente da secoli, ha subito una variazione tra Ottocento-Novecento: con l’affermarsi delle avanguardie, si consolida il fenomeno di affermazione di una estetica estranea a quella tradizionale. Si tratta di un periodo in cui le aziende si moltiplicavano a vista d’occhio e si presentava la necessità di creare strutture che migliorassero le condizioni di lavoro, al fine di migliorare la qualità di prodotti e produzione. Inoltre, le innovazioni tecnologiche portavano i giovani architetti a sperimentare un nuovo linguaggio formale, che esprimesse lo spirito del tempo. Ne risulta una nuova architettura frutto del lavoro di tecnici e artisti, che riuscivano a comprendere le nuove possibilità formali, rese possibili dai nuovi materiali come ferro e vetro. Gli industriali erano i principali committenti, pronti ad investire ingenti somme di denaro in progetti di qualità funzionale e estetica; gli architetti erano visti come gli intermediari tra arte e industria. Il centro da cui si sviluppavano queste suggestioni era principalmente la Germania, in cui esperienze come il Werkbund avevano lo scopo di migliorare la qualità del prodotto anche sul piano estetico e promuovevano una cooperazione delle varie arti. Esempi di collaborazione tra arte e industria sono la collaborazione tra Gropius e la Fagus o tra Behrens e la Aeg. In Italia figura chiave di questo modo di pensare è l’industriale Olivetti, che ha offerto agli architetti la possibilità di esprimere il loro linguaggio. La collaborazione fra industriali e architetti metteva in luce la necessità di risolvere problemi legati alla qualità della vita nelle fabbriche e di studiare la struttura in un’ottica funzionale. Tutt’oggi questa collaborazione persiste, ma all’utopia di una società migliore si sostituisce la realtà di una dimensione commerciale: l’immagine diventa l’unico credo delle aziende, mentre l’architetto è lo “strumento” per conferire un marchio di garanzia a questa cura estetica. L’architettura, con i suoi edifici duraturi, si presenta agli occhi dei clienti come un “megalogo”; l’architettura non rappresenta più una ricerca sociale, per migliorare le condizioni di vita della collettività, bensì è un architettura all’insegna dell’immagine d’impresa di lotta per il controllo del mercato. Così, i grandi industriali, si danno battaglia per accaparrarsi le migliori archistar©. La tendenza è quella di coinvolgere un architetto dallo stile fortemente personale, in modo da provocare la clientela. Queste icone anziendali, inoltre, sono solitamente collocate in luoghi nevralgici del commercio, frequentati da un gran numero di turisti. Accade altre volte che un’azienda decida di erigere un proprio simbolo in città minori: questo genere di operazioni ha lo scopo di far parlare di sé, poiché un edificio firmato da un archistar© attira l’attenzione. In altri casi, l’architetto viene scelto come architetto ufficiale di una determinata azienda. Architetti e aziende basano sempre più il loro rapporto sulla reciproca promozione: la firma sulla firma. Euralille: un villaggio internazionaleVitra: icona architettonica sullo scenario globaleLa Vitra, azienda con sede a Weil am Rhein, rappresenta a tutti gli effetti un museo a cielo aperto. L’avventura di questa azienda inizia nel 1981, quando un incendio distrugge quasi completamente il complesso industriale. Si programma subito la ricostruzione, viene così convocato un architetto inglese a progettare il masterplan dell’espansione. In un secondo momento entra in scena Frank O. Gehry, che progetta diversi edifici tra cui il Vitra Design Museum. L’individualismo inizia così a diventare la linea guida dell’espansione architettonica Vitra. Il museo in particolar modo si fa manifesto del marchio Vitra: contemporaneità, complessità, diversità. La stazione dei pompieri di

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Zaha Hadid continua il discorso più scultoreo che architettonico. Oltre ai due grandi architetti interviene poi Tadao Ando, realizzando un edificio sotterraneo, sottraendo piuttosto che aggiungendo. Questa costruzione cerca un dialogo più profondo con la natura circostante, volontariamente scollegato dagli altri interventi. La molteplicità di linguaggi utilizzati nella realizzazione dei vari edifici del centro Vitra rappresenta anche il nuovo spirito dell’azienda, caratterizzato da un modo di pensare che implica cambiamento e rinnovamento. Inoltre, questa diversità di architetture è dovuta alla strategia adottata dall’imprenditore a capo dell’azienda: per non far morire il marchio, invece che costruire lo showroom in una grande città ha scelto di realizzarlo nella sua cittadina, Weil am Rhein, e di attirare l’attenzione mondiale esibendo le creazioni delle più importanti archistar. A fini propagandistici, infatti, ingaggiare un solo architetto non avrebbe avuto un effetto abbastanza forte. Le cinque realizzazioni, diverse e inconciliabili tra di loro, sono frutto di cinque architetture, culture e idee distanti. Viene offerta al visitatore la possibilità di poter “consumare” la sua architettura preferita e di rimanere soddisfatto dell’esperienza. Queste architetture d’autore non hanno lo scopo di migliorare la qualità dello spazio di lavoro: il cliente deve avere la percezione che tutto sia in perfetta sintonia.

I disneyarchitettiNel 1986, Michael Eisner, leader della Walt Disney Company, inizia ad osservare le varie proposte di progetto per i nuovi alberghi del Walt Disney World in Florida, firmate tra gli altri da Robert Venturi e Michael Graves. Eisner aveva impiegato ben un anno nella selezione degli architetti: caratteristiche discriminanti sono state la loro fama e la loro riconoscibilità. La scelta di un architetto come Graves dipese soprattutto dalla sua capacità di comunicare l’ideologia della Disney, da sempre basata su divertimento e evasione. Sorgevano così l’Hotel Swan e l’Hotel Dolphin, caratterizzati da colori caldi, decorazioni e da grandi statue rappresentanti cigni e pesci sui tetti: ogni elemento è studiato per alludere ad una architettura dello svago, slegata dal contesto. Questa atmosfera fantastica e fiabesca è la stessa che si ritrova anche nei parchi disneyani. Eisner voleva creare una vera e propria identità architettonica, che andasse oltre i parchi a tema e le connesse strutture alberghiere: ogni costruzione (quindi anche uffici, edifici di rappresentanza ecc.) dovevano richiamare immediatamente all’impero Disney. Inoltre, Eisner vuole compiere un salto di qualità, cioè affidare il progetto dei parchi Disney ad architetti di fama internazionale, in modo da poter vantare la realizzazione di edifici di elevata qualità architettonica e al tempo stesso di collegare il nome della compagnia a nuovi circuiti culturali. Infatti, al World Disney World ad Orlando, è presente un numero elevatissimo di edifici “firmati” e ognuno di questi deve stupire, sorprendere, raccontando un mondo meraviglioso. Tra questi edifici vi è la stazione dei pompieri di Venturi, che non presenta alcuna caratteristica che rimandi alla sua funzione. Eisner commissiona edifici solo ad architetti americani, tra i quali si ritrovano Graves e Gehry, l’unica eccezione è caratterizzata da Arata Isozaki. In ogni edificio è fondamentale l’impatto visivo. Pubblicità e autocelebrazione sono le parole guida che uniformano i progetti commissionati dalla Disney: si tratta di oggetti firmati che, posizionati in punti strategici del territorio, risaltano per dimensioni, stile ed eccentricità. Anche per la realizzazione del parco di Parigi vennero scelti architetti americani, poiché la visione degli europei era troppo distante dagli ideali disneyani. I progetti Disney attualmente mirano molto più in alto, non si limitano più ai parchi divertimento, ma si estendono alle città: ecco che nel 1995 viene

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inaugurata Celebration in Florida. Questa città rappresenta un luogo in cui tutti vivono in una armonia artificiale e sono chiamati diversi architetti a cimentarsi nella realizzazione di abitazioni in diversi stili. L’architettura, e in particolar modo le opere di determinati architetti, sono strumenti di cui si serve la Disney per attuare strategie mediatiche.Il filo rosso della Fondazione Guggenheim Per sette decenni, la Fondazione Guggenheim ha dato un esempio di come si dirige un museo, rimanendo impareggiabile in ogni epoca. A rendere il Guggenheim un colosso culturale mondiale non è solamente la collezione di opere d’arte che possiede, c’è dell’altro. Infatti, il Guggenheim non è un semplice museo, si tratta di una vera e propria azienda produttrice di cultura che basa la sua strategia sia su una ricca collezione sia su principi destinati a diventare nuove regole della gestione museale contemporanea: collocazione in posizioni strategiche, centri artistici e culturali, architetture d’effetto, artisti e architetti di fama mondiale. Tutto ciò coordinato dalla supervisione di Krens, stratega dall’economia culturale, artefice del grande successo della fondazione. Già dalla direzione di Hilla Rebay l’architettura giocava un ruolo fondamentale. A realizzare il primo museo per la Fondazione è Wright, il più affermato architetto del primo Novecento. Il suo museo con la caratteristica forma a spirale, risucchia il visitatore dall’alto al basso, riesce in un certo qual modo a sopraffare la collezione in esso contenuto: il contenitore acquista importanza sul contenuto. Con Krens la Fondazione compie un passo avanti, egli guarda il futuro con una visione più ampia. L’architettura è al centro della strategia museale, diventa l’icona per far conoscere al mondo intero il museo e la sua collezione. Negli anni successivi al progetto vengono realizzati altri musei, ma nessuno riesce ad eguagliare la fama di quello di Wright, fino a quando Gehry realizza il progetto del Guggenheim di Bilbao. Gehry ha assicurato successo al Guggenheim e il Guggenheim lo ha assicurato a Gehry, in un rapporto a doppio senso. L’architetto non solo ha fatto parlare della Fondazione, ma gli ha anche donato un volto nuovo. L’enorme costruzione commissionata da Krens rappresenta il simbolo del rinnovamento economico del colosso museale statunitense. Questa costruzione è tanto straordinaria da essere scelta come location di pubblicità come quella della Omnitel, sponsor del Guggenheim di Bilbao. Per Las Vegas si decide di cambiare architetto, in una città totalmente legata all’apparenza, l’edificio deve porsi in contrapposizione, utilizzando quindi un linguaggio realista. Rem Koolhaas è l’architetto su cui ricade la scelta, si tratta di un personaggio molto distante da Gehry, benché entrambi siano famosi su scala mondiale. Krens pensa a qualcosa di totalmente innovativo, azione finalizzata al guadagno di nuove basi culturali. Il Guggenheim non è semplicemente un museo di arte moderna e contemporanea: la posta in gioco è più alta. Questa Fondazione da tempo intrattiene alleanze con altre istituzioni. Ora non vuole solo esporre arte, ma controllare fenomeni che decidono le tendenze artistiche. Il museo tratta la cultura in senso ampio e innovativo: anche la moda ne è quindi inclusa. La moda della moda: i negozi firmatiDagli ultimi anni del XX secolo musei e moda si trova a collaborare, fino al culmine di questa relazione: la celebrazione dei venticinquesimo anniversario di carriera di Giorgio Armani svoltasi al Guggenheim di New York. Si tratta di un’esibizione di importanza storica: il Guggenheim ospitava per la prima volta i lavori di un designer di moda. Un fenomeno incredibile si diffondeva così in ogni parte del mondo: i musei si aprivano in mostre dedicate ai più grandi stilisti e gli showroom delle grandi griffe si rinnovavano per dare maggiore spazio alla cultura, ospitando opere di giovani artisti.

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Il gruppo Lvmh, che comprende un gran numero di prestigiosi marchi, si propone come un mecenate della cultura. La Fondazione Prada si propone già dagli anni Novanta come un osservatorio delle tendenze più emblematiche dell’arte di oggi, tanto che all’interno dei suoi spazi espositivi si sono tenute mostre di tanti artisti di fama internazionale. Con l’affacciarsi del nuovo millennio, moda e cultura si intrecciano: ai nomi delle grandi griffe si affacciano immagini tratte dal mondo dell’arte, del cinema e della fotografia. All’interno di tale contesto l’architettura, disciplina le cui qualità si prestano a un rapporto sinergico con il mondo della moda, contribuisce a rafforzarne l’immagine. Il sodalizio fra architettura e moda si inserisce nel fenomeno più ampio di collaborazione tra aziende e architettura; soprattutto negli ultimi anni si sono verificati un gran numero di collaborazioni tra archistar e stilisti. Già dagli anni Ottanta i personaggi di maggiore spicco nel campo della moda avevano colto l’importanza del negozio come icona pubblicitaria. In questi anni le aziende iniziavano ad ampliare il loro bacino d’utenza, proponendo al pubblico una gamma più ampia di prodotti oltre a quelli tradizionali. Un esempio è Calvin Klein, che mirava a promuovere una visione totalizzante della moda: abiti, profumi, biancheria erano l’icona di un’esistenza moderna. Tutto ciò era promosso da campagne pubblicitarie efficaci e negozi in sintonia con la sua estetica. In questi negozi, le vetrine lasciavano intravedere gli ambienti interni, dove le luci e i marmi creavano una atmosfera atemporale e dove l’ambientazione si smaterializzava, dando risalto solamente alle merci. La corrispondenza di principi estetici era negli anni novanta il principale motivo che orientava gli stilisti nella scelta degli architetto a cui commissionare lo spazio di riferimento del marchio. In verità, riflettendo attentamente si scopre che arte, architettura e moda hanno iniziato a relazionarsi già dalla fine dell’Ottocento. Accadeva non di rado che stilisti e artisti intrattenessero rapporti di amicizia (come ad esempio Elsa Schiapparelli e i surrealisti). Questi rapporti non sfociavano mai in collaborazioni lavorative, in quegli anni solo l’opera di Adolf Loos si legava ai nomi delle case di moda, in particolar modo a due: Goldman&Salatsch e Knize. Loos ha sempre avuto un grande interesse per la moda, tanto che in Das Andere pubblica articoli e fotografie di moda, per orientare il pubblico verso un gusto moderno. L’opera di Loos rappresenta però un unico caso isolato e anche negli anni successivi furono scarsi i rapporti tra architetti e case di moda. Ai nostri giorni invece, a soli pochi anni distanza dagli anni novanta e ottanta, il rapporto tra moda e architettura si è consolidato, mostrando alcuni mutamenti: sono cambiati i criteri che orientano le case di moda a scegliere un architetto e sono cambiati i nomi dei protagonisti coinvolti in questo sodalizio. Dagli anni novanta, nel mondo dell’architettura si iniziano a verificare determinati fenomeni che portano alcuni architetti a diventare archistar. Se i nomi e i volti degli architetti, oltre alle loro opere, sono utilizzate in campagne propagandistiche o sono argomento dei media, ciò significa che l’architettura è coinvolta in operazioni comunicative di un nuovo genere. Alcune aziende (Disney e Vitra) hanno colto anticipatamente la forza insista nelle architetture e nei nomi delle archistar. Ora come ora, in un mercato saturo di prodotti non si può vendere in modo convenzionale. La vocazione dei negozi di moda a fondersi con spazi dedicati a esposizioni artistiche è oramai ampiamente utilizzata, perdendo di efficacia. Se invece si chiamano architetti affermati e stimati a progettare i punti di contatto tra aziende e clienti (showroom, negozi ecc.) è garantita la notorietà. I protagonisti del fashion system guardano con sempre maggior interesse le archistar, che a loro volta cercano committenze disponibili e aperte a sperimentazioni. Si hanno così firme delle moda (Armani, Prada,

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Vuitton ecc.) che incontrano firme dell’architettura (Ando, Gehry, Koolhaas ecc.). Ecco quale è la vera novità: le aziende di moda voglio comunicare a chi passa per strada, la propria creatività e il proprio stile. Esigono quindi spazi vivaci, dinamici, che esprimano il loro stile. Le archistar vengono chiamate per tradurre nelle tre dimensioni l’essenza dello stile e dell’immagine delle aziende.