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Società Italiana di MEDICINA GENERALE Diabete mellito tipo 2 Malattie digestive Errore in medicina BPCO a 270° ISSN 1724-1375 6 2013 www.simg.it Edizione digitale Periodico bimestrale. Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA Aut. trib. di Firenze n. 4387 del 12-05-94 - IR - I.P. - Dicembre

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Società Italiana diMedIcIna Generale

Diabete mellito tipo 2

Malattie digestive

Errore in medicina

BPCO a 270°

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Direttore ResponsabileClaudio Cricelli

Direttore EditorialeAlessandro Rossi

Direttore ScientificoGiuseppe Ventriglia

SIMGSocietà Italiana di Medicina GeneraleVia Del Pignoncino 9/11 • 50142 FirenzeTel. 055 700027 • Fax 055 [email protected] • www.simg.it

Copyright bySocietà Italiana di Medicina Generale

EdizionePacini Editore S.p.A.Via Gherardesca 1 • 56121 PisaTel. 050 31 30 11 • Fax 050 31 30 [email protected] • www.pacinimedicina.it

Marketing Dpt Pacini Editore Medicina

Andrea Tognelli Medical Project - Marketing Director Tel. 050 31 30 255 • [email protected]

Fabio Poponcini Sales Manager Tel. 050 31 30 218 • [email protected]

Manuela Mori Advertising Manager Tel. 050 31 30 217 • [email protected]

Alice Tinagli Junior Advertising Manager Tel. 050 31 30 223 • [email protected]

RedazioneLucia CastelliTel. 050 31 30 224 • [email protected]

StampaIndustrie Grafiche Pacini • Pisa

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Rivista Società Italiana di Medicina GeneraleDiabete mellito tipo 2La gestione del paziente con diabete mellito tipo 2 in Medicina GeneraleEsperienza di Audit professionale di un gruppo di MMG della ASL 11 di Empoli (Regione Toscana) nel 1° semestre del 2013F. Calcini, G. Susini .......................................................................................... 3

Malattie digestive Malattie digestive nelle cure primarie: rilevanza e impatto nella pratica quotidianaM. Salera, C. Tosetti, G. Savorani, D. Zocchi, A. Balduzzi, L. Bagnoli .................... 7

BPCOBPCO A 270°G.L. Bettini, A. Bonvicini, A. Braga, G. Filippini, M.A. Franchini, F. Inverardi, M.G. Rossi, A. Turrini, G. Bettoncelli ................................................................ 11

L’erroreL’errore in medicina – Parte primaR. De Gobbi, R. Fassina ................................................................................. 16

Congress ReportMalattia diverticolare del colon e sindrome dell’intestino irritabile: sintomi simili e approccio terapeutico simile? Simposio Satellite, 19° Congresso FISMAD, Bologna 10-23 marzo 2013a cura di A. Bertelé, S. Bertolini ...................................................................... 21

Inserto specialeHS-Newsletter

Finito di stampare presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. - Dicembre 2013Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, [email protected], http://www.aidro.org.I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Ospedaletto (Pisa).

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La gestione del paziente con diabete mellito tipo 2 in Medicina GeneraleEsperienza di Audit professionale di un gruppo di MMG della ASL 11 di Empoli (Regione Toscana) nel 1° semestre del 2013

Filippo Calcini, Giovanni SusiniAnimatori di Formazione in Medicina Generale, ASL 11 Empoli (Regione Toscana)

Medici di Medicina Generale della ASL 11 partecipanti all’Audit: A. Alessi, R. Bagnoli, M. Bargiani, A. Bellucci, D. Benvenuti, M. Bianchi, S. Bimbi, M.R. Biondi, G. Borrone, L. Caciagli, S. Caliari, M. Cammisa, A. Cantini, M.L. Carangelo, B. Cicconofri, C. Cinini, F. Cinotti, C. Colombini, G. Dainelli, S. Dini, A. Ferreri, G. Fontanelli, A. Giannanti, D. Isolani, G. Innocenti, S. Logli, M. Lupi, R. Mengozzi, D. Moriani, B. Niccolai, F. Niccolini, L. Nigi, A. Orsini, F. Peruzzi, P. Piazzini, L. Rocchi, L.D. Rodari, E. Rottoli, G. Santoli, J. Scaduto, B. Vitale, M. Viviani

3Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.6>>> 2013

Obiettivi del lavoroObiettivo generale

Verifica della qualità dell’assistenza ai pazienti con DMT2, con particolare riguardo alla diagnosi clinica e funzionale, al monito-raggio dei dati e alla loro corretta registra-zione nella cartella clinica di un gruppo di medici dell’AUSL 11.

Sottobbiettivi

1. Il problema della prevalenza.2. Identificazione di criteri, indicatori e

standard di buona pratica clinica in base alle linee guida (LG) 2.

3. Verifica delle abilità essenziali dei medi-ci nella registrazione ed estrazione dei dati dagli archivi.

4. Valutazione delle caratteristiche orga-nizzative degli ambulatori del MMG.

5. Valutazione della diffusione delle rego-le del Cronic Care Model (modello di

Introduzione sull’Audit professionale

Sono trascorsi circa 10 anni da quando abbiamo iniziato a trasformare la metodo-logia formativa per la Medicina Generale (MG) nella nostra ASL; siamo passati lentamente, ma costantemente, da una metodologia di tipo “tradizionale” (lezioni al grande gruppo con discussione finale) a una metodologia che prevedeva un sem-pre maggior coinvolgimento del medico di medicina generale (MMG) nella propria formazione. Abbiamo adottato la metodo-logia dell’Audit professionale con la quale sono i medici stessi, riuniti in gruppi, che stabiliscono tutto il ciclo della propria for-mazione, a partire dalla scelta dell’argo-mento da trattare, in base a un’attenta analisi dei bisogni, fino ad arrivare a una revisione e successiva valutazione quan-titativa e qualitativa del proprio operato. Tutto ciò al fine di apportare correttivi al proprio lavoro capaci di migliorare le loro performance. L’Audit professionale è un processo sistematico di autovalutazione che consta di alcune fasi ben definite, come riportato nella Tabella I 1 3. Nel pre-sente lavoro abbiamo convenuto di trattare globalmente l’argomento “diabete mellito tipo 2 (DMT2)”. Sono state effettuate quat-tro riunioni del gruppo a cadenza mensile, della durata di quattro ore ciascuna.

medicina di iniziativa mirata sulle prin-cipali patologie croniche) (CCM) negli studi medici.

6. Valutazione della applicabilità in MG delle LG internazionali per la gestione del DMT2.

Analisi dei bisogni: perché parlare di DMT2

Il DMT2 è una patologia importante ed estremamente rilevante nell’ambito delle patologie croniche a causa della sua alta incidenza e dei suoi alti costi sia umani che sociali. Le conoscenze sulla sua eziopato-genesi, fisiopatologia e terapia sono molto cresciute in questi ultimi anni e sono stati scoperti numerosi nuovi farmaci di notevo-le efficacia 4 7. L’incidenza e la prevalenza sono in aumento principalmente a causa dell’allungamento della vita media, degli errati stili di vita, del mancato riconosci-

Tabella I.

Le fasi dell’Audit professionale.

1 Individuazione del problema, selezione della priorità specifica degli obiettivi

2 Definizione dei criteri di buona qualità, degli indicatori e degli standard

3 Selezione delle fonti dei dati, raccolta, organizzazione e presentazione degli stessi

4 Confronto della performance con criteri, indicatori e standard predefiniti

5 Discussione e identificazione delle cause di criticità

6 Progetto di miglioramento e introduzione dei cambiamenti necessari

7 Rivalutazione della performance

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Diabete mellito tipo 2 F. Calcini, G. Susini

4 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

mento precoce della malattia e della scarsa aderenza alle LG nel trattamento da parte dei medici. Anche nell’ambito della medi-cina generale il DMT2 è sicuramente sot-tostimato e/o gestito, talvolta, in modo non corretto. Il MMG è deputato ad eseguire la diagnosi precoce della malattia, a impostare l’iter diagnostico e terapeutico e a collabo-rare, qualora necessario, con lo specialista di riferimento e/o con un team multidisci-plinare di cure. è il MMG, inoltre, che per primo affronta il problema dell’educazione del paziente e del suo coinvolgimento nella gestione della cura. L’attività di formazione dovrebbe riuscire ad affinare nel medico generale la sensibilità diagnostica, terapeu-tica e di gestione complessiva del paziente diabetico. Tutto questo allo scopo di ridur-re il tasso di mortalità e delle complican-ze della patologia, di ridurre le prestazioni ospedaliere, di ridurre le giornate di assen-za scolastica o lavorativa e, non ultimo, di migliorare la qualità di vita del paziente 6 8.

Il campione dei MMG, il metodo di estrazione dati e il problema delle diagnosiSu 47 MMG iscritti all’Audit, 3 si sono ritirati, 40 hanno inviato i dati completi, 4 hanno inviato dati incompleti a causa di difficoltà tecniche incontrate nell’estrazione con mezzo informatico. Dei 44 medici che hanno inviato i dati, 17 sono femmine e

27 sono maschi con un numero medio di pazienti in carico pari a 1.358. Tutti i medici usano con regolarità, nella propria attivi-tà professionale, il programma MilleWin. I dati dell’Audit sono stati estratti mediante l’invio di “stringhe di estrazione” uniformi che sono state inserite nel programma Mille Utilità/Statistiche. I colleghi hanno eseguito una revisione di tutta la propria casistica che ha portato a selezionare e ad estrarre le diagnosi certe di DMT2 sulla base delle indicazioni emerse dall’attività formativa (Tab. II) 2 che sono state oggetto di discus-sione e approfondimento durante le riunioni del gruppo. Successivamente ogni medico ha eseguito un importante lavoro di “Self Audit” che gli ha permesso di estrarre, analizzare e, eventualmente, correggere le inappropriatezze riscontrate.

Lo studio di prevalenzaSono stati studiati complessivamente 59.470 assistiti di età superiore ai 16 anni; di questi 842 (21,5% del campione) hanno un’età maggiore di 80 anni e sono porta-tori di importanti comorbidità (le patologie associate “aperte” nella cartella clinica sono risultate pari a 7,6 per ogni paziente). Il numero medio dei pazienti diabetici per medico è stato di 95,9. Tutte le diagnosi erano codificate secondo la classificazione internazionale ICD9. La prevalenza totale del DMT2 nel campione è stata di 7,3% con

un numero totale di diabetici pari a 4.314 e un’età media di 69,1 anni. La prevalenza era attesa in un range compreso fra 4,5-7,0%; i dati in letteratura fanno però preve-dere prevalenze, in un prossimo futuro, sino a 11% a causa dell’aumento dell’obesità, della sedentarietà e degli stili di vita.

RisultatiNella Tabella III sono riportati i risultati di 13 indicatori confrontati con gli Standard/LAP (Livello Accettabile di Performance) attesi.

DiscussioneDei 13 indicatori valutati, 7 sono risultati nello standard atteso (studio di prevalenza, rilevazione HbA

1c nell’ultimo anno, rileva-

zione creatininemia negli ultimi 15 mesi, calcolo rischio cardiovascolare (RCV) negli ultimi 10 anni, diabetici senza terapia far-macologica nell’ultimo anno o in terapia con solo metformina o con antiaggreganti piastrinici). Quattro indicatori non hanno raggiunto lo standard atteso, ma si sono avvicinati molto a tale risultato (rilevazione indice di massa corporea (BMI) negli ulti-mi 2 anni, rilevazione abitudine fumo negli ultimi 2 anni, rilevazione pressione arteriosa (PA) nell’ultimo anno e rilevazione LDL negli ultimi 15 mesi).Due indicatori, invece, hanno evidenziato un più cospicuo scostamento dallo stan-dard atteso: la percentuale di diabetici con

Tabella II .

Criteri diagnostici adottati 2.

Diagnosi, nosografia e fattori di rischio del DMT2 - Criteri diagnostici (Raccomandazioni)In assenza di sintomi tipici della malattia (poliuria, polidipsia e calo ponderale), la diagnosi di DMT2 deve essere posta con il riscontro confermato in almeno 2 diverse occasioni di:

Glicemia ≥ 126 mg/dl (con dosaggio su prelievo eseguito al mattino, alle ore 8 circa, dopo almeno 8 ore di digiuno)

Oppure

Glicemia ≥ 200 mg/dl 2 ore dopo carico orale di glucosio eseguito con 75 gOral Glucose Tolerance Test (OGTT)

In entrambi casi da confermare con un secondo test

Oppure

HbA1c ≥ 6,5% (solo col dosaggio standardizzato)

In presenza dei sintomi tipici della malattia, la diagnosi di diabete mellito deve essere posta con il riscontro, anche in una sola occasione, di:

Glicemia ≥ 200 mg/dl (indipendentemente dall’assunzione di cibo)

Nota: il dosaggio dell’HbA1c deve essere standardizzato e allineato a IFCC; inoltre devono essere tenute in considerazione eventuali condizioni che possano interferire con il dosaggio dell’HbA1c.

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Diabete mellito tipo 2La gestione del paziente con diabete mellito tipo 2 in MG

5Rivista Società Italiana di Medicina Generale

clearance creatinina (calcolata secondo la formula di Cockoft) rilevata negli ultimi 15 mesi è risultato al 43,1% contro un valore atteso del 70-90%, mentre la rilevazione della microalbuminuria negli ultimi 15 mesi è risultata del 50,1% contro un valore atte-so di 60-80%.In relazione a tali risultati negativi, nel gruppo è nata una discussione per meglio valutare le possibili cause e conseguenze di questa importante inappropriatezza. Abbiamo, per-tanto, approfondito il tema delle complican-ze del DMT2 rilevando che le complicanze coronariche e le cerebrovascolari rappresen-tano la prima e più costosa causa di morte, mentre la nefropatia diabetica, in casistiche nordeuropee e statunitensi, rappresenta la prima causa di insufficienza renale terminale con necessità di dialisi 5.

Nel registro italiano delle cause di dialisi e trapianti dell’anno 2001 il DMT2 si colloca al terzo posto di tutte le cause con un’inci-denza pari al 12%. Per quanto riguarda le forme non terminali, casistiche italiane su coorti cliniche e di popolazione riportano una prevalenza della microalbuminuria compresa tra il 20 e il 32% e tra il 7 il 17% di macroal-buminuria (nefropatia conclamata).Abbiamo deciso pertanto di approfon-dire questa rilevante complicanza del DMT2, estraendo dai nostri archivi il dato “Percentuale dei diabetici con clearance secondo Cockoft < 60 negli ultimi 15 mesi” che sono risultati il 18,1% e “la percentuale dei diabetici con Cockoft < 60 negli ultimi 15 mesi con reale insufficienza renale” che sono risultati il 4,8% con un valore assoluto pari a 207.

Abbiamo quindi stadiato questi pazienti (Tab. IV) e abbiamo applicato le raccoman-dazioni per lo screening e il trattamento della nefropatia diabetica (Tab. V).

ConclusioniDurante l’audit abbiamo discusso e supe-rato gli ostacoli legati alla registrazione e all’estrazione dei dati.I risultati analitici presentano una discreta variabilità della prevalenza da medico a medico. Questo può derivare dalla maggio-re o minore accuratezza delle diagnosi, dal fatto che alcuni diabetici sfuggono al MMG perché vengono seguiti dallo specialista o a causa di una non corretta registrazione delle diagnosi.Come evidenziato nella discussione in 7

Tabella II I .

Criteri. Indicatori, risultati e standard**.

INDICATORI RISULTATI STANDARD/LAPTotale assistiti in carico al gruppo dei MMG 59.470

Diagnosi codificate (ICD9) di DMT2 4.314

1 Prevalenza totale del gruppo 7,3 4,5-7,0

2 % diabetici con BMI rilevato negli ultimi 2 anni 63,6 70-90

3 % diabetici con dato Fumo rilevato negli ultimi 2 anni 63,6 80-95

4 % diabetici con HbA1c rilevato nell’ultimo anno 78,9 50-95

5 % diabetici con PA rilevata nell’ultimo anno 64,1 70-90

6 % diabetici con microalbuminuria rilevata negli ultimi 15 mesi 50,3 60-80

7 % diabetici con creatininemia rilevata negli ultimi 15 mesi 78,1 70-90

8 % diabetici con LDL rilevato negli ultimi 15 mesi 56,1 70-90

9 % diabetici con clearance creatinina (Cockoft) rilevata negli ultimi 15 mesi 43,1 70-90

9a % diabetici con Cockoft < di 60 negli ultimi 15 mesi 18,1

9b % diabetici con Cockoft < di 60 negli ultimi 15 mesi con insufficienza renale 4,8 (207 casi)

10 % diabetici con calcolo del rischio cardiovascolare (RCV) rilevato negli ultimi 10 anni 56,0 50-90

11 % diabetici senza terapia farmacologica specifica nell’ultimo anno 24,0 15-30

12 % diabetici in terapia con metformina monocomponente ultimo anno 43,8 40-50

13 % diabetici in terapia con antiaggreganti piastrinici (ASA, ticlopidina, clopidogrel) ultimo anno 44,0 40-60

ALTRI DATI EMERSI DALLO STUDIO

% medici con ambulatorio organizzato secondo il CCM 27,3

% medici con ausilio infermieristico in ambulatorio 40,9

% medici che usano il programma di Audit del MilleWin (MilleGPG) 20,45

** I criteri sono i valori, le condizioni, i comportamenti e le regole specifiche, giudicati di buona qualità, dalla letteratura o da esperti (rappresentano il ”che cosa dobbiamo fare”).Gli indicatori sono gli elementi da scegliere per monitorare e “misurare” le attività professionali dei medici; rappresentano la fotografia delle prestazioni effettivamente fornite (rappresentano il ”che cosa stiamo facendo”).Gli standard corrispondono alla specificazione quantitativa precisa del livello qualitativo di un determinato criterio che ne stabilisce la soglia di accettabilità o il livello di ottimalità (rappresentano il ”livello minimo di performace che dobbiamo raggiungere”).

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Diabete mellito tipo 2 F. Calcini, G. Susini

6 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

indicatori sui 13 valutati, si è raggiunto e superato lo standard atteso. Performance meno positive sono state ottenute nei restanti 6 indicatori specialmente in rela-zione ai dati sul filtrato glomerulare, sulla rilevazione della microalbuminuria e del-l’LDL. Complessivamente, comunque, un quarto del campione è al di sopra del LAP. Dobbiamo migliorare la capacità di regi-strazione e di estrazione dati. L’attenzione per i pazienti a rischio di complicanze renali deve proseguire nel tempo con assiduità. Attualmente non si sono registrate diffe-renze significative nelle performance tra i medici organizzati secondo il CCM e/o con ausilio infermieristico e i medici che lavo-rano in assenza di tali caratteristiche e/o ausili. Le LG per la cura del diabete offrono un riferimento importante per impostarne una corretta gestione. Anche un gruppo di medici di famiglia italiani ha partecipato ad uno studio di validazione per l’Italia di tali LG, ma vi sono evidenze che dimostra-no che la loro applicazione nella medicina generale è ancora scarsa e/o disomogenea. Esse, invece, dovrebbero essere costante-

mente testate nella pratica quotidiana al fine di ottenere gli eventuali aggiustamenti e la definitiva validazione. Dobbiamo quin-di fare uno sforzo per migliorare la cono-scenza del diabete da parte del MMG e per implementare nella sua pratica quotidiana l’utilizzo di LG validate.Relativamente alla metodologia formativa usata nel nostro studio, è importante che i medici, i formatori e le strutture del SSN a ciò preposte prendano atto sempre più del fatto che una formazione efficace non può prescindere da un coinvolgimento sempre maggiore del MMG nell’arricchimento delle proprie competenze e nella successiva verifica delle proprie performance al fine di ricercare adeguati correttivi al proprio lavoro.

Bibliografia1 Susini G. La formazione continua in medicina

generale: “Un lavoro sul campo” - Esperienza di Audit professionale su argomento Pneumologico (BPCO) di un gruppo di MMG della ASL 11 di Empoli (Regione Toscana) nell’anno 2012. Rivista SIMG 2013;(2):3-9.

2 Standard italiani per la cura del diabete

mellito tipo 2. Edizione per la Medicina Generale (2011). Revisione e adattamento del testo originale a cura di G. Medea.

3 Medea G, Pasculli D. Self audit e audit di gruppo supportati dal MilleGPG quale pratici strumenti di formazione sul campo e di miglioramento nella gestione del diabete mellito tipo 2 in Medicina Generale: il progetto Analysis. Rivista SIMG 2011;(6):9-14.

4 Medea G. Nuove terapie per il diabete mellito tipo 2 (analoghi del GLP-1): la soddisfazione del paziente e il miglioramento della qualità di vita. Rivista SIMG 2011;(5):51-7.

5 Piccinocchi G. Nuova Linea Guida dell’Istituto Superiore di Sanità sull’identificazione, prevenzione e gestione della malattia renale cronica nell’adulto. Rivista SIMG 2011;(5):36-8.

6 Grilli P, Paccamiccio E, Mastrodicasa F. Gestione del paziente con diabete mellito tipo 2 in un ambulatorio dedicato nel setting della Medicina Generale. Verifica di una esperienza. Rivista SIMG 2009;(3):15-9.

7 Cucinotta D. Il ruolo dei glitazoni nella terapia del diabete mellito tipo 2. Rivista SIMG 2008;(5):53-7.

8 Girotto S, Andreoli C, Vaona A, et al. Il diabete mellito di tipo 2 nell’ambulatorio del medico di famiglia: una proposte per la gestione del paziente diabetico. Medicina Pratica Dialogo sui farmaci 2010;(1).

Tabella IV.

Stadi della malattia renale cronica 2.

Stadio Descrizione GFR (ml/min per 1,73 m2)1 Danno renale* con GFR normale o aumentato ≥ 90

2 Danno renale* con GFR lievemente ridotto 60-89

3 Moderata riduzione del GFR 30-59

4 Grave riduzione del GFR 15-29

5 Insufficienza renale terminale <15 o dialisi

* Il danno renale è definito dalla presenza di anormalità del sedimento urinario, ematochimiche, anatomopatologiche o degli esami strumentali.

Tabella V.

Raccomandazioni per lo screening e il trattamento della nefropatia diabetica 2.

Raccomandazioni generali

Ottimizzare il compenso glicemico per ridurre il rischio e/o rallentare la progressione della nefropatia

Ottimizzare il controllo pressorio (< 130-80 mm Hg) per ridurre il rischio e/o rallentare la progressione della nefropatia

Nei pazienti con nefropatia conclamata l’apporto proteico dovrebbe essere ridotto alla razione dietetica raccomandata (0,8 g/kg/die). Un’ulteriore riduzione (0,6-0,8 g/kg/die) può essere utile per rallentare il declino del filtrato glomerulare (GFR) in pazienti in progressione nonostante l’ottimizzazione del controllo glicemico e pressorio e l’uso di ACE-inibitori e/o sartani (ARB)

Tutti gli individui con nefropatia diabetica devono essere considerati a elevato rischio di eventi cardiovascolari e dovrebbero essere trattati per ridurre tale rischio. In particolare, è opportuno correggere eventuali alterazioni del quadro lipidico al fine di rallentare la progressione della nefropatia e ridurre l’associato RCV

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Malattie digestive nelle cure primarie: rilevanza e impatto nella pratica quotidiana

Marcello Salera, Cesare Tosetti, Giandomenico Savorani, Donato Zocchi, Antonio Balduzzi, Luigi BagnoliMedici di Medicina Generale, SIMG Bologna

7Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.6>>> 2013

base di differenti epidemiologie e necessità di expertise specifico per la loro gestione. Sono state pertanto selezionate l’infezione da Helicobacter pylori (HP), le intolleranze alimentari, la stipsi cronica, la diarrea croni-ca, l’epatite virale HCV-correlata e l’ascite. Le domande poste per ciascun item erano le seguenti: quale impatto sull’attività quo-tidiana del MMG, quando e come nasce il sospetto diagnostico della patologia, chi gestisce l’iter diagnostico, chi decide e gestisce la terapia, chi si fa carico della gestione del follow-up e, infine, quale rile-vanza sanitaria e sociale avrà lo specifico problema nel prossimo futuro (previsione di una espansione o di una regressione del problema). Hanno partecipato allo studio 55 MMG iscritti alla SIMG di Bologna (71% maschi) con un carico assistenziale totale di oltre 88.000 pazienti e con un’anzianità media di attività convenzionata>25 anni nel 62% dei casi.

RisultatiLa prima domanda del questionario aveva l’intento di sondare la percezione del MMG di quanta rilevanza abbia lo specifico problema digestivo nel proprio contesto lavorativo (Fig. 1). La stipsi cronica risulta essere per tutti un problema significativo: il 68% lo considera di grande rilevanza e di forte impegno professionale. Questi dati confermano l’impatto epidemiologico della stipsi nella popolazione degli assi-

BackgroundLe malattie digestive sono assai diffu-se nella popolazione e costituiscono un campo di intervento quasi quotidiano per il medico di medicina generale (MMG) 1-6. L’eterogeneità e la complessità delle malat-tie digestive comporta la necessità di diversi gradi di integrazione tra MMG e specialista, tuttavia è possibile che una quota rilevante dei pazienti venga gestita esclusivamente nell’ambito delle cure primarie. In realtà è poco conosciuto quanto il MMG consideri proprio appannaggio la gestione diretta di tali patologie (nel senso di una autonoma programmazione dei percorsi diagnostico-terapeutici) o quanto ricorra alla collabora-zione degli specialisti o addirittura all’affi-damento diretto del caso ai centri gastro-enterologici di riferimento. Abbiamo voluto quindi sondare quale rilevanza abbiano alcune malattie digestive nella percezione soggettiva del MMG, qual è la percezione di incidenza sul lavoro quotidiano, quale impe-gno professionale esse richiedano e quale è il rapporto di gestione della patologia con gli specialisti.

MetodiI MMG iscritti alla SIMG di Bologna sono stati invitati a rispondere ad un questionario on line, in cui si ponevano 6 domande per ciascuna patologia selezionata. Le proble-matiche gastroenterologiche su cui esegui-re l’indagine sono state selezionate sulla

stiti, in particolare in quelli più anziani 6. Di notevole impatto sulla attività quotidia-na del medico di famiglia sono anche le altre patologie ad elevata diffusione nella popolazione: intolleranza alimentari e l’in-fezione da HP, che risultano essere rilevan-ti e impegnative per l’85% dei MMG. Di impatto marginale per oltre il 30% degli intervistati sono la diarrea cronica e l’e-patite virale HCV correlata; assolutamente marginale, probabilmente in relazione alla sua bassa prevalenza, l’ascite (93% delle risposte).Il sospetto diagnostico del singolo problema digestivo nasce in genere quando il pazien-te accede all’ambulatorio del proprio medi-co curante: come espresso nella Figura 2 ciò avviene in crescendo a partire da un minimo del 14% dei casi (epatite virale HCV-correlata) a un massimo del 76% (la stipsi). La segnalazione da parte dei centri specialistici di riferimento è rilevante (24-27%) solo nei casi di epatite virale e sue complicanze, laddove prevale comunque la rilevazione casuale, che avviene spes-so nel corso dell’esecuzione di esami di routine o di altri esami non indirizzati spe-cificatamente alla diagnosi del problema (44%). Interessante, invece, da sottolineare la discreta percentuale di intervento attivo del medico di medicina generale (variabile dall’8 al 23% a seconda della patologia) che ha predisposto dei propri percorsi di medicina di iniziativa per i singoli problemi digestivi.

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Malattie digestive M. Salera et al.

8 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Una volta individuato il problema, è neces-sario avviare un iter diagnostico specifico: nella maggioranza delle malattie digestive che abbiamo preso in considerazione, la quasi totalità dei MMG prescrive le inda-gini di primo livello e poi invia il paziente allo specialista per condividere le scelte diagnostico-terapeutiche e per gestire il paziente in collaborazione (Fig. 3). Ci sono però due campi in cui la Medicina Generale rivendica con forza la propria pertinenza e la gestione autonoma del problema: si trat-ta della stipsi cronica (83%) e dell’infezio-ne da HP (90%). Quest’ultima rappresenta certamente un’area di intervento della MG in funzione della facilità diagnostica e delle terapie disponibili 7, anche se persistono aree di incertezza legate prevalentemen-te alle disposizioni normative conflittuali in assenza di linee guida condivise con la Medicina Generale 8.La quarta domanda del questionario sonda la disponibilità del MMG a gestire la terapia, una volta definita la diagnosi. Molto spes-so la terapia del singolo problema gastro-enterologico viene decisa dallo specialista di riferimento e poi seguita nel tempo dal MMG, nell’ambito di una gestione in colla-borazione (Fig. 4); solo nel caso dell’epatite virale HCV una discreta percentuale dei casi (33%) viene affidata totalmente al centro specialistico, probabilmente anche in rela-zione alla complessità degli schemi tera-peutici che la patologia comporta. Ancora una volta, stipsi e infezione da HP vengono avocate dal medico di medicina generale, che per il 90% degli intervistati decide in prima persona il trattamento e gestisce la terapia in totale autonomia.Anche per quanto riguarda il follow-up delle malattie digestive, il MMG opta nella maggioranza dei casi per una piena colla-borazione con lo specialista, riservandosi il compito di rilevare gli effetti collaterali dei farmaci, di diagnosticare per tempo le pos-sibile complicanze e di rinviare il paziente allo specialista per i controlli programmati o in caso di necessità (Fig. 5). Ciò non vale per la stipsi e per l’infezione da HP, campi in cui più del 75% degli intervistati afferma di prendere in carico il paziente, impostando personalmente il proseguo delle cure e lo scadenziario dei controlli clinici e strumen-tali.

FIgura 1.

Rilevanza del problema nel contesto lavorativo del MMG.

FIgura 2.

Formulazione del sospetto diagnostico della patologia digestiva: A. casualmente (eseguendo esami di routine non indirizzati alla diagnosi del problema); B. all’interno di percorsi di medicina di iniziativa predisposti dal MMG; C. per segnalazione dell’ospedale; D. per accesso diretto del paziente in ambulatorio causa sintomatologia specifica.

0 20% 40% 60% 80% 100%

Marginale Intermedio Rilevante Impegnativo

Stipsi

Intolleranza alim.

Infezione HP

Diarrea

Epatite HCV

Ascite

Epat

ite H

CV

Asci

te

Infe

zion

e HP

Into

llera

nza

alim

.

Diar

rea

Stip

si

32

13 60

15 60

33 60

37 58

93

62

25

25

5

5

7

6

2

2

Casuale Iniziativa MMG Ospedale Accesso paziente

100%

80%

60%

40%

20%

0%

44

13 13 16 8 8

18

1023 15

8 11

24

2715

6

10 5

14

50 4963

74 76

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Malattie digestiveMalattie digestive nelle cure primarie

9Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Con l’ultima domanda del questionario si è richiesto al MMG di cimentarsi in una pre-visione per il futuro: le patologie digesti-ve sin qui trattate tenderanno a diventare più diffuse, complesse e rilevanti e quindi a coinvolgere e a impegnare più dura-mente il MMG sul piano professionale? Certamente sì quando si parla di epatite virale HCV (45% degli intervistati), forse in rapporto al crescere degli immigrati pro-venienti dalle zone endemiche, e quando si parla di stipsi (48%), forse in relazione all’invecchiamento della popolazione e al cambiamento delle abitudini alimentari. Ma il problema più temuto è senz’altro quello delle intolleranze alimentari che per l’87% dei MMG comporterà presto gravi problemi di gestione, sia per una maggio-re diffusione nella popolazione sia per le difficoltà di diagnosi e cura che esse com-portano 9.

ConclusioniI risultati di questa indagine illustrano come il MMG sia parte attiva di un sistema integrato di gestione delle patologie dige-stive dove la collaborazione con gli spe-cialisti di riferimento e la condivisione dei percorsi sono gli elementi fondamentali. Risulta essenziale il ruolo del MMG nella intercettazione del caso e nel suo primo inquadramento diagnostico nonché nella facilitazione della compliance terapeu-tica del paziente e della sua adesione ai controlli clinici e strumentali programmati. Due sono le problematiche gastroenterolo-giche che vengono prepotentemente avo-cate dai medici di famiglia per una propria gestione in autonomia: si tratta della stipsi cronica e della infezione da HP, conside-rate ormai campo specifico di intervento della Medicina Generale.

RingraziamentiHanno partecipato allo studio i seguenti MMG della SIMG Bologna: Aldrovandi Emanuela, Amorati Paolo, Amovilli Marco, Bandi Giulio, Baraldini Laura, Benassi Rita, Borghi Paolo, Camanzi Maurizio, Cammarata Antonino, Casadei Massimo, Casadio Roberto, Dalaiti Andrea, Delfini Enrico, Erlich Shirley, Ermini Giuliano, Francia Roberta, Furlò Giancarlo, Grandi Marina, Lalli Antonio luigi, Livio Franco, Maccaferri Marco, Marzo Carla, Mazzetti Gaito Piero, Nadalini Nino, Oggianu

FIgura 3.

Il comportamento del MMG di fronte al problema digestivo: A. gestione in prima persona del percorso diagnostico e terapeutico; B. avvio delle indagini di primo livello e poi invio del paziente allo specialista per condividere le scelte e gestire il paziente in collaborazione; C. affidamento al centro specialistico di riferimento.

FIgura 4.

Gestione della terapia: A. in autonomia dal MMG; B. delegata totalmente al centro specialistico di riferimento; C: decisa dallo specialista e seguita nel tempo dal MMG, nell’ambito di una gestione in collaborazione.

0 20% 40% 60% 80% 100%

Gestione in autonomia Indagini di 1° livello e cogestione Delega allo specialista

Gestita in collaborazione Delegata allo specialista Decisa e gestita dal MMG

Infezione HP

Stipsi

Diarrea

Intolleranza alim.

Epatite HCV

Ascite

90

83 17

25 75

15 73

90

85

10

12

9

15

Epat

ite H

CV

Asci

te

Infe

zion

e HP

Into

llera

nza

alim

.

Diar

rea

Stip

si

100%

80%

60%

40%

20%

0%20

32

88 90

33

5

10

10

67

92

70 67

12

1

3

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Malattie digestive M. Salera et al.

10 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Massimo, Ognibene Gianluca, Palasciano Maria, Palestini Saida, Pollini Giovanni, Pretto Paola, Quadrelli Stefano, Rambaldi Francesca, Ramini Giovanni, Rocchi Piergiovanni, Romualdi Anna, Rubini Stefano, Santi Sandra,

Serio Alberto, Severino Anna Maria, Siena Matteo, Simoncini Elisabetta, Speziali Pietro, Tavernelli Stefano, Tovoli Stefano, Vecchiatini Roberto, Verri Andrea, Virgilio Silvana, Zoccoli Giuseppe.

Bibliografia1 VII Report Health Search 2011-2012. www.

healthsearch.it/documenti/Archivio/Report/VIIReport_2011-2012/uniflip_publication/index.html.

2 Libro Bianco AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) 2011. Proposta per un piano nazionale per il controllo delle malattie epatiche. Definizione ambiti e possibili interventi. www.webaisf.org/media/13891/libro-bianco-aisf-2011.pdf.

3 Everhart JE, Kruszan.Maran D, Perez-Perez GI, ET AL. Seroprevalance and ethnic differences in Helicobacter pilori infection among adults in the United States. Journal of Infectious Diseases 2000;181:1359-1363.

4 Biselli R, Fortini M, Matricardi PM, et al. Incidence of Helicobacter pilori infection in a cohort of Italian military students. Infection 1999;27:187-91.

5 Capurso L, Ubaldi E. Stipsi cronica e probiotici. Medicina Generale 2008;5:32-40.

6 Tosetti C, Cottone C, Ubaldi E. La stipsi cronica. Inquadramento clinico. Medicina Generale 2011;6:49-54.

7 Maconi G, Tosetti C, Miroglio G, et al. Management of Helicobacter pylori related gastrointestinal diseases by general practitioners in Italy. Alimentary Pharmacology & Therapeutics 1999;11:1499-1504.

8 Tosetti C. Evolution of the management of Helicobacter pylori infection in general practice. Helicobacter 2006;1208-10.

9 Bozzani A. Il ruolo della ipersensibilità agli alimenti nella sindrome dell’intestino irritabile. Medicina Generale 2006;4:42-43.

FIgura 5.

Ruolo del MMG nel follow-up del problema gastroenterologico: A. delega completa al centro specialistico di riferimento; B. gestione in collaborazione con lo specialista; C. presa in carico totale da parte del MMG (impostazione personale delle cure e dello scadenziario dei controlli).

Delega allo specialista Gestione in collaborazione Presa in carico del MMG

Epat

ite H

CV

Asci

te

Into

llera

nza

alim

.

Diar

rea

Stip

si

Infe

zion

e HP

100%

80%

60%

40%

20%

0%22 23

75 7794 92

70 77

235 5 8

25

3

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bpco

bpco a 270°

G.L. Bettini1, A. Bonvicini1, A. Braga1, G. Filippini1, M.A. Franchini1, F. Inverardi1, M.G. Rossi1, A. Turrini1, G. Bettoncelli2 1 Ambulatorio Medico San Luca, Villanuova sul Clisi (BS); 2 Responsabile Area Pneumologica SIMG

11Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.6>>> 2013

• individuare in questo gruppo mediante un pratico test di screening una sotto-popolazione di pazienti ad alta proba-bilità di danno tabagico da sottoporre a esame spirometrico per diagnosi di BPCO;

• elargire a tutti i pazienti fumatori un minimal advice;

• intercettare i pazienti BPCO dei primi stadi mediante diagnosi spirometrica;

• implementare un modello di collabo-razione con gli specialisti secondo il PDT per la BPCO rilasciato dall’ASL di Brescia.

Il ProgettoIl progetto era basato su interventi da effet-tuarsi in regime di medicina opportunistica durante la normale attività lavorativa. La Figura 1 mostra il disegno del progetto. Il progetto è iniziato nell’aprile del 2010 con la fase preparatoria, con incontri tra pari su temi di audit e, successivamente, in col-laborazione con il servizio di pneumologia dell’Ospedale locale, con gli specialisti su temi di aggiornamento specifico. I dati iniziali del gruppo (Fig. 2) mostravano una prevalenza di BPCO del 5,1% (media-na 3,94) con notevole variabilità nel gruppo anche quando si confronta la prevalenza con la presenza del dato spirometrico a conferma della diagnosi (Fig. 3). Da notare il dato di un Collega con abnorme prevalen-za associata al valore più basso di conferma spirometrica, emblematico di certe situazio-

Nel novembre 2009 ha preso corpo un progetto della nostra medicina di gruppo per la medicina di famiglia per l’approccio alla diagnosi di BPCO nei pazienti di età compresa tra 35 e 65 anni, a rischio per esposizione tabagica, denominato BPCO a 270°. Il nome voleva indicare la volontà di riappropriarsi della gestione del malato di BPCO per la parte di nostra competenza ristabilendo un giusto rapporto di collabo-razione con gli specialisti.Con il patrocinio di AIPO ricerche, il progetto è stato realizzato dal team della medicina di gruppo “Ambulatorio San Luca s.r.l.” di Villanuova sul Clisi in provincia di Brescia. Il gruppo era (ed è) costituito da 8 medici di famiglia, una infermiera professionale, 3 segretarie e 2 specializzandi in medicina di famiglia che, avvicendandosi nei 12 mesi di lavoro, hanno collaborato al progetto dal 1 novembre 2010 al 31 ottobre 2011.Partendo dalle premesse, note a tutti, circa le criticità evidenziate (Tab. I) nell’approccio alla diagnosi della BPCO, abbiamo cerca-to di proporre un modello adatto al setting della medicina generale, con strumenti facilmente reperibili, di pronto e rapido uti-lizzo e di basso costo (Tab. II).Il progetto si proponeva di raggiungere i seguenti obiettivi:• raccogliere il dato fumo in tutti i pazienti

afferenti all’ambulatorio nell’ambito di un intervento opportunistico;

• selezionare in base al dato anamnestico la popolazione a rischio;

Tabella I.

Le criticità note.

• Dato fumo incompletamente indagato

• Diagnosi tardiva e negli stadi più avanzati e sintomatici

• Prevalenza bassa negli stadi iniziali

• Imprecisione nella stadiazione e nella classificazione per carenze metodologoche diagnostiche

• La maggior parte dei pazienti hanno diagnosi senza esame spirometrico

• Incompletezza e inaffidabilità dei dati diagnostici essenziali (spiro senza FEV1)

• Terapia spesso sproporzionata alla gravità della malattia o non commisurabile alla stessa

• Scarsa compliance alla terapia continuativa

Tabella II .

Gli strumenti.

• L’audit

• L’anamnesi

• Lo “screening”

• Il minimal advice

• La collaborazione

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BPCO G.L. Bettini et al.

12 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

ni note in medicina generale in cui prevale la diagnosi clinica su quella spirometrica. L’osservazione dei dati nei 2 anni prece-denti evidenzia come l’esame spirometrico (la rilevazione è riferita a tutte le spirometrie registrate ed eseguite per malattie ostrutti-ve o per altri motivi come tutela della salute nei luoghi di lavoro) sia utilizzato marginal-mente con una media di poco più di una spirometria per medico al mese (103 e 119 nei 2 anni precedenti lo studio).Il progetto prevedeva che tutti i pazienti, di età compresa tra 35 e 65 anni che fossero afferiti all’ambulatorio per qualunque causa, dovessero essere indagati circa l’abitudine tabagica. Un “warning” inserito nella cartel-la ricordava al medico che quel paziente era arruolabile nel progetto. I casi possibili erano 4:1. paziente che non ha mai fumato. Si

cancellava l’avviso e si registrava il dato fumo. In questo caso l’iter finiva qui;

2. paziente ex fumatore: se non già fatto, si inseriva il problema “Anamnesi per-sonale uso tabacco” con la data di

FIgura 1.

Disegno dello studio.

Stop Esame PIKO 6 Winsmoke, test di Fagestroem e motivazionale

RIunIOnE DI StARt-uP• Dott.Bettini(MMG):presentazioneprotocollo

operativoalGruppoCurePrimarie(8MMG)

Entro il 15 ottobre 2010

Entro il 30 ottobre 2010

Novembre 2010

-

-

BassaMotivazione

Alta motivazione+

+

T1-Apr 2011 T2-Nov 2011

TO:prevalenzaBPCOconfermataspirometriasultotalefumatori

• dott.Vincenzo:BPCO,statodell’arte

Arruolamentofumatoriedexfumatori con età 35-65 anni

Consuelling

Conferma spirometrica PnLBPCOSì/No–Stadiazione

trattamento farmacologico

Astinenza12mesiSì/Notrattamento come da linee guidainternazionali

0

5

10

15

20

FIgura 2.

Ambulatorio San Luca.

Prevalenza

4,233,9 3,98 4,06

2,43

17,71

2,53 2,573,57

Medico1

Medico2

Medico3

Medico4

Medico5

Medico6

Medico7

Medico8 HS

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BPCOBPCO a 270°

13Rivista Società Italiana di Medicina Generale

inizio, quindi si valutava il consumo tabagico pregresso inteso come pack-year (n.  sigarette medio x n. anni di fumo/20). Cut off posto a 10 Py. Nel caso fosse superiore a 10 si proponeva l’esecuzione di test di screening “PIKO 6”. Il valore di questo determinava il successivo iter, come vedremo poi;

3. paziente fumatore: inserimento del pro-blema “Anamnesi personale uso tabac-co” secondo quanto già detto, counsel-ling breve e test di Fagestroem/Mondor a discrezione del medico nei casi idonei, valutazione consumo tabagico in pack/year ed esecuzione del test di screening “Piko 6”. Se il valore era inferiore a 70 (come per il Tiffeneau nella BPCO) si richiedeva spirometria con eventuale test di broncodilatazione per sospetta BPCO. Se il valore era superiore a 80 non si dava indicazione ad esame spi-rometrico. Nel caso di risultato tra 70 e 79, si lasciava alla valutazione clini-ca del medico curante la opportunità di esecuzione di spirometria secondo i criteri codificati. In ogni caso il giudizio clinico del curante poteva condurre alla

necessità di approfondimento spirome-trico a prescindere dal risultato del test di screening;

4. paziente noto per precedente diagnosi di BPCO o Asma: valutazione clinica e anamnestica della necessità di valuta-zione spirometrica.

RisultatiLe Tabelle III e IV illustrano alcuni dati iniziali del nostro lavoro. I pazienti da esaminare rappresentavano circa il 50% del totale (6.144 su 12.275). Alla fine dell’anno sono stati valutati 3.751 pazienti, cioè il 61,5% (mediana 65,9) con una grossa variabilità nelle performance dei membri del gruppo. I fumatori attivi erano 724, cioè il 19,3% (la DOXA nel 2010 aveva calcolato la prevalen-za dei fumatori al 21,7% in Italia) mentre i fumatori che avevano superato il cut off dei 10 pack year erano 657, il 17,5%. Abbiamo eseguito e registrato 657 esami con “Piko 6”. Un quarto circa di questi avevano un valore borderline (tra 70 e 79) e 1 su 10 circa, francamente patologico. Sulla base di questi dati abbiamo richiesto 206 spirome-

trie, cioè poco meno di un terzo dei pazienti che avevano mostrato un consumo tabagi-co oltre i valori limite dei 10 P.Y. (Tab. V).Come si vede dalla Tabella VI le spirome-trie effettivamente eseguite sono state 164; cioè ben 42 esami, 1 su 4, prescritti dal medico non sono stati eseguiti dal pazien-

0

10

20

30

40

50

60

70

80

FIgura 3.

Prevalenza/% spirometrie.

Medico1

Medico2

Medico3

Medico4

Medico5

Medico6

Medico7

Medico8 HS

72,5

4,23

73,17

4,06

61,11

2,43

31,03

17,71

33,33

2,53

72

2,57

9,14

3,57

32,5

3,9

39,53

3,98

Prevalenza

Spirometria

Tabella II I .

Progetto BPCO 270° - Dati iniziali.

Pazienti totali 12.275

Età 35-65 6.144 (50,05%)

Spirometrie eseguite periodo 2008-09 103

Spirometrie eseguite periodo 2009-10 119

Tempo d’attesa 20 giorni

Pazienti con diagnosi BPCO 624 (5,08%)

Tabella IV.

Progetto BPCO 270° - I risultati.

Pazienti da esaminare 6.144

Pazienti valutati abitudine tabagica 3.751

Percentuale sul totale

61,5% (88,7% - 26,3%

- Mediana 65,9)

Fumatori attivi 724 (19,3%)

Fumatori > 10 PY 657 (17,51%)

Tabella V.

Progetto BPCO 270° - I risultati.

Pazienti da esaminare 6.144

Pazienti valutati 3.751 - 61%

Fumatori 724 - 19,3%

Pazienti > 10 PY = piko eseguiti 657

Piko borderline 70/79 170 - 25,9

Piko > 70 72 - 10,9

Spirometrie richieste 206 - 31%

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BPCO G.L. Bettini et al.

14 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

te. Ricordiamo che la fascia dei pazienti era sotto i 65 anni e che la BPCO è l’unica importante malattia cronica priva di esen-zione e che il costo di una spirometria va da una trentina di euro (spirometria semplice) a circa un centinaio di euro (spirometria globale con test di broncodilatazione).Il minimal advice è stato elargito e registrato in 412 pazienti. Come sempre accade, una buona parte di noi ha effettuato, in alcuni casi, il minimal advice senza registrarlo …Il lavoro ha prodotto questi risultati in termi-ni di nuove diagnosi (Tabb. VII, VIII): le nuove diagnosi hanno interessato quasi esclusi-vamente (88%) il primo stadio della BPCO, come ci si aspettava trattandosi di pazienti asintomatici o paucisintomatici. I 2 pazien-ti al 3° stadio erano asmatici riclassificati in BPCO probabilmente per evoluzione del quadro clinico. Alla fine dell’anno di lavoro i dati complessi-

vi dimostrano (Tab. IX) un significativo incre-mento delle nuove diagnosi di BPCO (+65 contando anche altre diagnosi nei pazienti over 65 anni) con buona efficienza nella registrazione del dato fumo (88,7% contro il 71,5% iniziale), con diagnosi spirometri-ca quasi raddoppiata e il dato registrato di Fev1 (stadiazione possibile!) nel 75% dei casi. Altro dato importante è l’età media alla diagnosi nei pazienti dello studio: 55,51 anni.Il BMI è stato registrato nel 76% dei pazienti BPCO. Il lavoro è stato effettuato dagli otto medici con percentuali di efficienza assai diverse, legate a fattori di diversa origine, che vanno da una differente adesione al progetto, da differente efficacia personale sino a problemi personali incidentali che hanno influenzato la partecipazione. Nella Tabella X potete vedere il quadro riassuntivo relativo al lavoro dei medici. Questa variabilità era forse legata a una inconciliabilità o impraticabilità, almeno secondo alcuni, di questo lavoro con la pra-tica clinica quotidiana? Lo abbiamo chiesto ai medici e la Figura 4 evidenzia come quasi tutti, ma non tutti, i Colleghi abbiano giudi-cato che il carico lavorativo aggiuntivo sia compatibile con il pur pesante carico lavo-rativo quotidiano del medico di famiglia. Cosa ha prodotto, ed è rimasto, di questo

Tabella VI.

Progetto BPCO 270° - I risultati.

Pazienti totali 6.144

Pazienti valutati 3.751 - 61%

Fumatori 724 - 19,3%

Pazienti > 10 PY = piko eseguiti 657

Piko border line 70/79 170 - 25,9

Piko > 70 72 - 10,9

Spirometrie realmente eseguite 164 - 25%

Minimal advice registrato 412

Spirometrie non eseguite 42

Tabella VII .

Le nuove diagnosi.

Pazienti > 10 pack/year 657

Piko anormale 242

Spirometrie eseguite 164

Spirometrie patologiche 52

Tabella VII I .

Progetto BPCO 270° - I risultati.

Nuove diagnosi – stadiazione

• Stadio 1° 46 (88,3%)

• Stadio 2° 4 (7,8%)

• Stadio 3° 2 (3,9%)

• Stadio 4° 0

Tabella IX.

Progetto BPCO 270° - Riepilogo.

• 689 pazienti con diagnosi di BPCO (vs. 624; +65)

• 5,63% prevalenza finale (vs. 5,08; +0,55)

• 88,7% con dato fumo registrati (vs. 71,5%)

• 32,5% dei BPCO sono fumatori (vs. 27,2%)

• 42% hanno una spirometria prescritta (vs. 29,6%)

•32,8% con FEV1 registrato (vs. 17,1%) (cioè oltre il 75% delle spirometrie hanno il FEV1 registrato!)

• 55,51 età media alla diagnosi

Tabella X.

BPCO 270° - Fumo

Pz tot % valut

% fumat Piko Piko

bordPiko patol Spiro Con

MMG 1 777 88,7%689

21,2%146

148 43 10 32 122

MMG 2 772 64,4%487

21,2%113

46 6 12 23 6

MMG 3 802211

26,3%39

18,5% 24 6 6 14 1

MMG 4 766 67,4516

17,490

79 6 6 13 95

MMG 5 673 73,6%495

10,9%54

83 13 11 35 55

MMG 6 745 50,1%373

25,2%94

85 13 1 32 43

MMG 7 827 39,5%327

15,9%62

9 2 4 10 11

MMG 8 782 82,2%643

19,6%126

183 81 22 55 79

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BPCOBPCO a 270°

15Rivista Società Italiana di Medicina Generale

lavoro, come traccia di modificazione per-manente o persistente, mutuando i termini applicati per la fibrillazione atriale, nella pra-tica quotidiana dei medici che vi hanno par-tecipato? Il dato soggettivo è illustrato nella Figura 5 dove si vede come questa esperien-za abbia indotto un cambiamento rispetto agli atteggiamenti inziali della quasi totalità dei Colleghi nei confronti del problema fumo e della totalità nei confronti dell’approccio alla BPCO. Mentre la Tabella XI propone un significativo confronto dei dati raggiunti con realtà professionali significative a livello loca-le (Governo Clinico Asl Brescia) e a livello nazionale (Health Search).Ma il dato soggettivo non basta e quindi siamo andati a vedere cosa è cambiato dal punto di vista pratico nel comportamento dei medici nell’anno successivo al termine del progetto in assenza di input alla prosecuzio-ne di attività che non fossero l’autoconvinci-mento della pratica utilità delle stesse.Le spirometrie eseguite nel periodo succes-

sivo (01/11/2011-31/10/2012) sono state 280 e gli esami piko 6 eseguiti, 100. Se confrontiamo il dato spirometrico con quel-lo prima dell’intervento (Tab. III), si può ben vedere come la richiesta sia incrementata di oltre il 150% e per quanto riguarda il test di screening vi sia stato un utilizzo pratico al di là della necessità legata al progetto.L’ultimo dato significativo di questo lavoro, illustrato nella Figura 6, riguardante l’in-tervento sul fumo mostra come, a distanza di oltre un anno, la metà dei pazienti con nuova diagnosi (BPCO stadio 1°) persista nella cessazione dell’abitudine tabagica. Tale dato non può non essere significativa-mente legato alla persistenza nel tempo del rapporto medico-paziente che lega spesso per decenni il paziente al proprio medico e ne impronta il rapporto, rendendone signifi-cativamente più efficaci gli interventi reite-rati nel tempo.

ConclusioniIl lavoro che abbiamo concluso temporal-mente il 30 ottobre 2011 in realtà prose-gue e, nell’esperienza quotidiana, continua ad essere implementato e corretto. In via di realizzazione, con la partecipazione dei nuovi giovani medici specializzandi, la ricer-ca nella fascia 65-70 che ci pare quella in cui si possa programmare un intervento

preventivo sui pazienti senza diagnosi ma con abitudine tabagica corrente o pregres-sa significativa. Il “BPCO a 270°” a nostro avviso dimostra che le principali criticità riscontrate nell’approccio alla diagnosi della BPCO siano risolvibili nell’ambito della Medicina di Famiglia con interventi di medi-cina opportunistica a costi assai contenuti. La nostra esperienza, non si tratta di uno studio con i sacri crismi scientifici, necessi-ta di conferme e di studi costruiti ad hoc per eliminare bias ma per ora sembra concreta-mente evidenziare le immense potenzialità della medicina generale nella capacità di dare risposta a problemi concreti, purché ci si creda.

“Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa” Einstein

RingraziamentiUn particolare ringraziamento a chi ha sostenu-to attivamente la realizzazione del progetto: AIPO ricerche e G. Parlato. Un ringraziamento per l’aiuto concreto ai medici specializzandi: A. Avanzi, C. Provaroni. Infine un grazie allo staff dello studio per la preziosa collaborazione: la nostra I.P. M. Tiboni e lo staff di segreteria coordinato da L. Arbini: C. Cocca e M. Baccinelli.

FIgura 4.

Questionario.

L’impegno richiesto è compatibile con il lavoro routin.?

• Sì 7

• No 1

L’entità dell’impegno è comunque stato:

• Poco impegnativo 3

• Impegnativo 5

• Molto impegnativo 0

FIgura 5.

Questionario.

L’approccio al problema fumo è:

• Immodificato 1

• Poco modificato 3

• Molto modificato 3

L’approccio al problema BPCO è:

• Immodificato 0

• Poco modificato 1

• Molto modificato 6

Tabella XI.

Dati BPCO 2011.

Prevalenza Registrazione fumo Spirometria Spirometria

con dato

Governo clinico ASL 2011 3,2 69,4 35,6 42,3

Heath Search 2012 3,57 79,5 61 -

S. Luca 5,63 97,2 72,4 75,2

FIgura 6.

Problema fumo.

Interventi sui nuovi pz BPCO Interventi di smoke cessation

Metà dei pazienti di nuova diagnosi hanno cessato il fumo di sigaretta a distanza di 1 anno dalla fine del progetto strutturato

(dati personali)

412 consigli65 pz eleggibili a terapia farmacologica

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L’er

rore

L’errore in medicina – Parte prima

Riccardo De Gobbi, Roberto FassinaMedici di Medicina Generale, docenti nella Scuola di Formazione Specifica in Medicina Generale della Regione Veneto

16 Rivista Società Italiana di Medicina Generale n.6>>> 2013

del consenso; vengono introdotte precise modalità di compilazione, utilizzo ed archi-viazione delle cartelle cliniche e di inseri-mento di neo assunti nello staff 1.Il riferimento internazionale di tutte le ini-ziative istituzionali, che nei paesi occiden-tali hanno affrontato il problema dell’errore e del rischio clinico, è dato dal rapporto del 1999 “To err is Human” dell’Institu-te of Medicine della National Academy of Science (USA). Esso evidenzia che annual-mente: 1.000.000 di americani riporta danni da cure mediche; un numero com-preso tra 44000 e 98000 americani muore per errori medici; dai 17 ai 37,6 miliardi di dollari vengono spesi per errori e danni 2.

Introduzione

Il riconoscimento dell’errore è antico quanto la medicina ma la ricerca sistematica delle cause o, forse meglio, dei fattori e delle pro-cedure che lo hanno favorito è una acquisi-zione piuttosto recente.Nel 1992 il Department of Health (UK) pub-blica il primo manuale per la realizzazione di programmi di Risk Management (RM); nel 1995 vengono introdotti standard per il RM, viene adottato un sistema di incident repor-ting, viene introdotta una policy per il moni-toraggio e l’analisi degli incidenti più gravi nonché un sistema di gestione dei reclami, di informazione al paziente e di acquisizione

Nel 2000 l’Agenzia Americana per la Qualità delle Cure e la Sicurezza (Agency for Healthcare and Quality Research, AHRQ) vara un innovativo Piano per la sicurezza: vengono finanziati progetti finalizzati allo studio ed alla prevenzione degli errori nelle cure, aggiornati periodicamente 3.In Italia, il Ministero della Salute nel 2004 pubblica “Risk Management in Sanità. Il problema degli errori” e nel 2006 “La sicu-rezza dei pazienti e la gestione del rischio clinico”, cui sono seguiti progetti ed iniziati-ve in alcune regioni italiane 4. A livello accademico e professionale nel nostro paese vanno ricordate le magistrali lezioni del maestro Augusto Murri (1841-

La Medicina Generale presenta un’elevata complessità gestionale, legata a molteplici fattori. Tra questi, molto rilevante è il fenomeno del progressivo incremento di prevalenza di malattie cronico-degenerative e delle conseguenti comorbilità. Il medico di famiglia, in questo sistema complesso, è il primo e principale riferimento per la salute delle persone, ed è chiamato a trovare tutte le risorse, le energie e le competenze necessarie per rispondere a questa domanda.C’è quindi la necessità di costanti verifiche e di una formazione continua guidata dai bisogni e orientata alle criticità.Un indicatore di bisogni formativi e culturali è rappresentato dalla conoscenza e consapevolezza dei “punti deboli”, che possono emergere conoscendo le distorsioni dei percorsi assistenziali provocati dagli errori gestionali e professionali. Per tale motivo, occorre prendere in considerazione il rischio clinico insito nell’attività professionale, gli errori medici e gli eventi avversi che possono verifi-carsi, così da correggere i percorsi e i comportamenti responsabili di danni evitabili al paziente.L’articolo, insieme a un altro che seguirà su questa Rivista, si pone l’obiettivo di analizzare le dinamiche dell’errore in medicina e al tempo stesso individuare le possibilità di prevenzione attraverso diversi approcci, che possono partire sia dalle strutture e dai proces-si, sia dall’individuo con le sue caratteristiche e i suoi limiti.Questo lavoro contribuisce a sviluppare nell’analisi dell’errore un prezioso strumento che ci consente di individuare misure correttive delle criticità umane, organizzative e strutturali, e quindi un mezzo per tendere al miglioramento continuo della qualità delle cure e della sicurezza delle persone.

Damiano ParrettiResponsabile Incident Reporting SIMG

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L’erroreL’errore in medicina – Parte prima

17Rivista Società Italiana di Medicina Generale

1932) 20: esse hanno tracciato una via che è stata proficuamente sviluppata in particolare da E. Poli, Mario Austoni e la sua Scuola 5.Tuttavia, malgrado l’indiscusso valore dei clinici italiani, gli apporti più innovativi nell’analisi dell’errore e del rischio in medi-cina sono venuti dai Paesi Anglosassoni, con l’elaborazione dell’Analisi dei Sistemi (che si occupa delle strutture che erogano le cure e dei processi da queste seguiti) e con gli approfondimenti della Psicologia cognitivista (che si occupa dell’individuo e di ciò che lo induce ad errare).Scopo di questo articolo è presentare questi due importanti approcci all’errore, analiz-zandone le varie parti e la relativa specifi-cità in relazione alla professione medica, e commentando la loro utilizzazione pratica in due casi clinici presi dal vero.

L’approccio sistemicoNell’ambito dell’approccio sistemico dob-biamo ricordare gli importanti contributi pervenutici da ambiti culturali e professio-nali apparentemente lontani dalla medicina, quali l’ingegneria e l’aeronautica 6. In ambito medico l’approccio sistemico è stato sviluppato con successo in particolare da James Reason, psicologo di Cambridge che è divenuto un punto di riferimento inter-nazionale: basterà qui ricordare il suo scher-zoso modello delle fette di formaggio svizzero giustapposte che rappresentano altrettanti potenziali barriere all’errore, che si manife-sterà solo se ogni barriera non riesce a com-pensare ciò che la barriera precedente non è riuscita a fermare. I “buchi” del formaggio simbolizzano le permeabilità dei sistemi di controllo: se non si pone rimedio alle perme-abilità precedenti, l’errore come una freccia percorrerà tutto il suo iter lesivo 7.L’approccio sistemico ha fornito e continua a fornire contributi di grande rilievo nella pre-venzione dell’errore, in particolare in ambi-to sanitario. In sintesi possiamo affermare che esso si occupa non tanto dell’individuo quanto piuttosto dei processi lavorativi nei quali l’operatore sanitario è inserito e delle procedure con le quali svolge il suo lavoro: si esaminano analiticamente tutte le fasi del processo con l’intento di prevenire l’errore e di mitigarne le conseguenze con sistemi di filtraggio e di compensazione. Il princi-

pio che sta alla base di questo approccio è il riconoscimento che l’essere umano inevitabilmente commette errori: l’unico modo di prevenirli è quello di evidenziarli, di individuarne i più frequenti e ricorrenti e di ridurne la variabilità ed imprevedibilità stabilendo procedure rigorose e controllate.L’approccio sistemico ha individuato in par-ticolare cinque aree di azione nella preven-zione dell’errore e degli effetti avversi 8.

Aree di azione nell’approccio sistemico1. Ridurre la complessità.2. Ottimizzare il processo di Informazione.3. Introdurre procedure automatizzate.4. Usare meccanismi di restrizione nelle

procedure ad alto rischio. 5. Mitigare gli effetti indesiderati di ogni

innovazione attraverso un attento moni-toraggio.

1. Ridurre la complessità

Risale al discorso sul metodo di Cartesio l’aureo principio che non vi è pensiero o progetto tanto complesso che non possa essere tradotto in un numero adeguato di elaborazioni più semplici e comprensibili.Nei sistemi sanitari questo significa aver ben chiari tanto gli obiettivi quanto le varie tappe necessarie al raggiungimento degli obiettivi, ognuna delle quali comporta l’analisi delle procedure e degli operatori coinvolti.

2. Ottimizzare il processo di informazione in una ottica di continuità delle cure

Molti errori sono correlati ad una incom-pleta o inadeguata trasmissione di infor-mazioni: un importante articolo pubblicato nel 2008 dal New England documenta un impressionante numero di negligenze od inadeguatezze nella trasmissione e nella gestione delle informazioni sanitarie 9.Va pertanto favorita e controllata una cor-retta ed esauriente trasmissione delle infor-mazioni tra i vari operatori sanitari.

3. Introdurre – con saggezza – un numero quanto possibile elevato di procedure automatizzate

L’automazione delle procedure può com-

portare una considerevole riduzione delle possibilità di errore sempre che il principio guida sia quello, tanto semplice quanto pro-fondo, che l’automazione deve supportare non sostituire l’operatore sanitario.Se queste condizioni di partenza sono rispet-tate e se i processi automatizzati avvengono sotto il vigile controllo dell’operatore i risultati sono generalmente molto positivi.

4. Usare meccanismi di restrizione nelle procedure ad alta frequenza di errore o ad alto rischio

Le applicazioni sono molteplici: dai pro-grammi informatici intelligenti che mettono in guardia sulle interazioni farmacologiche pericolose all’abolizione di soluzioni con-centrate di elettroliti (esempio potassio) per evitare errate somministrazioni.

5. Mitigare gli effetti indesiderati di ogni nuovo farmaco, tecnica o procedura attraverso un attento monitoraggio ed una semplificazione delle procedure

Va ricordato che in un processo a più fasi, in cui si ipotizzi il 5% di probabilità media di errore o di evento indesiderato per ogni fase, se aumenta il numero di queste aumenta considerevolmente la probabilità di errore: con il passaggio da 1 a 5 fasi la probabilità sale al 33% ed arriva al 72% nei sistemi con 25 fasi 8.All’interno dell’approccio sistemico all’er-rore uno dei filoni più ricco di sviluppi e di ricadute positive per la medicina è la tecnica della RCA (Root-Cause-Analysis), l’anali-si delle cause profonde di errore. Essa si è sviluppata in USA ed in Inghilterra sul finire del Novecento ed è stata recentemente per-fezionata in Canada. L’Agenzia Sanitaria della Regione Emilia Romagna nel 2006 ne ha pubblicato una utilissima versione italiana.La RCA si basa sull’assunto che ogni evento sia l’effetto di una causa o di più concause che a loro volta possono essere l’effetto di ulteriori fattori causali: nell’indagine si risa-le a ritroso fino ad individuare ogni fattore causale e ad identificare le azioni correttive e di miglioramento.Nella RCA si effettua anzitutto una descri-zione precisa e molto dettagliata dell’evento indesiderato con particolare attenzione a

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L’errore R. De Gobbi, R. Fassina

18 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

tutti i fattori che possono avere influenzato l’evento.Quindi fattore per fattore si prendono in esame le possibili cause chiedendo-si sistematicamente perché la singola causa abbia potuto agire portando a quell’effetto 10.

La rappresentazione grafica di una ana-lisi delle cause profonde (diagramma a spina di pesce o diagramma ad albero) è particolarmente efficace nella indivi-duazione delle possibili azioni correttive e migliorative.

Esempio di caso clinico con evento critico esaminato con la metodica della RCASi prenda in considerazione questo esem-pio (frattura di anca) tratto dalla casistica personale degli Autori.

Tabella I.

Esame con metodica RCA del fattore causale “Incremento Terapia Ipotensiva” (diagramma ad albero).

Azioni correttive

Azioni correttive

Valutareedisporre le azioni correttive

Valutareedisporre le azioni correttive

Èintervenutoadeguatamente e tempestivamente

Il personale era a conoscenza delrischiodicadutadellapaziente

È stata informata la paziente suipossibilieffetticollaterali

INCreMeNTOTerAPIAIPOTeNSIVA

SìnO

nO

nO

nO

Era necessario?

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L’erroreL’errore in medicina – Parte prima

19Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Una donna di 79 anni, ipertesa e diabetica da molti anni, viene ricoverata in reparto medico per edema polmonare in corso di crisi ipertensiva. Durante il ricovero viene potenziata la terapia ipotensiva (aggiun-

ta di carvedilolo e diuretici: furosemide + spironolattone) con miglioramento di tutti i parametri cardiovascolari. Poco prima della dimissione, recatasi da sola al bagno, dopo avere urinato presenta un episodio sincopa-

le in seguito al quale cade procurandosi un trauma cranico di moderata entità ed una frattura d’anca. La paziente viene ricoverata in ortopedia ove viene operata: la degenza si prolunga per settimane con sofferenza,

Tabella II .

Esame con metodica RCA del fattore causale “La paziente si reca da sola in bagno” (diagramma ad albero).

Disporre azioni correttive

Disporre azioni correttive

tornare al diagramma sullaterapia

Disporre azioni correttive

Sono presenti barriere architettoniche

Nelbagnosonopresentiausili cheevitanolecadute?

Il personale era a conoscenza del rischio dicaduta?Èintervenutoadeguatamente

e tempestivamente?

Lacadutaèstatafavorita dalle caratteristiche del bagno

Ècadutaperproblemilegatiallaterapia

Era in grado di farlo

La paziente si reca da sola in bagno

nO

nO

nO

nO

nO

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L’errore R. De Gobbi, R. Fassina

20 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

disagi ed aumento della spesa sanitaria.L’analisi dell’evento critico con la metodica della Root Cause Analysis porta anzitutto a individuare una prima serie di fattori che hanno concorso all’episodio sincopale.

Esame del caso clinico con le metodiche della RCA

Fattori principali in gioco:a. incremento della terapia ipotensiva;b. introduzione dei diuretici con aumento

della diuresi;c. la paziente si reca in bagno da sola;d. caratteristiche del servizio igienico.Ognuno di questi fattori causali viene ulte-riormente analizzato per chiarire se in ogni singolo fattore vi fossero carenze, errori od omissioni.a+b) Nel caso della terapia essa risulta giu-

stificata, ma resta da verificare se sia stata adeguatamente monitorata la

pressione arteriosa della paziente e se la paziente sia stata adeguatamente informata sui possibili effetti collaterali della terapia (ipotensione). Si veda il relativo diagramma ad albero (Tab. I).

c) Il dato che la paziente si sia recata in bagno da sola suggerisce l’ipotesi di una carente informazione e comuni-cazione nonché quella di una carente assistenza infermieristica. Si veda il relativo diagramma ad albero (Tab. II).

d) Le caratteristiche del servizio igienico vanno attentamente valutate sia sotto l’aspetto strutturale (barriere, spigoli ecc.) che da quello funzionale (maniglie ed appoggi), che, infine, da quello della manutenzione (pavimento bagnato ecc.).

Ogni dato emerso in questo secondo livello di indagine va ulteriormente indagato con

approfondimenti successivi, individuando, livello per livello, le azioni correttive neces-sarie.La RCA si è dimostrata uno strumento molto utile, versatile e di facile applicazione e dovrebbe far parte del bagaglio culturale e degli strumenti di indagine di tutti i medici che operano in strutture sanitarie integrate o comunque complesse (sia Ospedali che RSA, Case di Riposo, ecc.).Non dobbiamo tuttavia dimenticare che anche riducendo al minimo gli errori legati alle procedure vi sono meccanismi psicolo-gici che ci portano inconsapevolmente ad errare nel processo diagnostico. Di questi meccanismi inconsapevoli se ne occupa, con successo, la psicologia cognitiva.

(Fine prima parte. Nel prossimo numero della Rivista verrà esposto l’approccio cognitivista e sarà pubblicata la bibliografia completa)

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ress

Rep

ort

Malattia diverticolare del colon e sindrome dell’intestino irritabile: sintomi simili e approccio terapeutico simile?Simposio Satellite, 19° Congresso FISMAD, Bologna 10-23 marzo 2013

a cura di Anna Bertelé1,2, Simone Bertolini11 Unità di Farmacologia Clinica & Fisiopatologia Digestiva, Dipartimento di Medicina Clinica & Sperimentale, Università di Parma; 2 Divisione di Gastroenterologia & Endoscopia Digestiva, Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma

21Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.6>>> 2013

IntroduzioneFranco Bazzoli Dipartimento di Scienze Mediche & Chirurgiche, Università di BolognaLa sindrome dell’intestino irritabile (SII) e la malattia diverticolare (MD) sono state, in passato, considerate due entità molto diver-se tra loro, entrambe con alta prevalenza ed elevato impatto sulla qualità della vita. La MD era spesso considerata una “malattia chirurgica” mentre la SII una malattia fun-zionale e pertanto “medica”. Lo scenario sta cambiando, infatti il ruolo dei chirurghi nel trattamento della MD si sta riducendo e il “dogma” dell’intervento necessario dopo due attacchi di diverticolite è stato supera-to; si tratta comunque di un cambiamento recente poiché fino al 2005 le linee guida riportavano ancora due episodi di diverti-colite come indicazione assoluta all’inter-vento chirurgico. Anche per la SII le cose stanno cambiando ed essa non viene più considerata solo una patologia funzionale ma le sono riconosciute anche componenti organiche. Ci si deve dunque chiedere se le due patologie siano legate da processi per esempio infiammatori e/o infettivi e se esistano percorsi terapeutici comuni per le due malattie.

Si tratta di malattia diverticolare o di sindrome dell’intestino irritabile?Vincenzo Stanghellini Dipartimento di Scienze Mediche & Chirurgiche, Università di Bologna

SII e MD sono sempre state considerate due entità separate; tuttavia spesso in cli-nica ci si confronta con pazienti portatori di una delle due condizioni in cui si riscontra una sintomatologia simile. Sembra quindi opportuno chiedersi se la gestione debba essere diversa o se, entro certi limiti, il trat-tamento possa essere sovrapponibile. La definizione di SII globalmente riconosciuta deriva dai criteri di Roma III nei quali si parla di dolore o fastidio addominale associati a modificazioni dell’alvo  1. Tali sintomi devo-no essere migliorati dal passaggio di feci o gas, devono durare da almeno tre mesi ed essere insorti negli ultimi sei. La definizio-ne di MD deve partire dalla considerazione che la diverticolosi è, in genere, un reperto occasionale e non si tratta di una malattia; si tratta di una condizione frequente e la maggior parte della popolazione anziana presenta diverticoli che non necessaria-mente richiedono un trattamento. Si può parlare di malattia quando la condizione diventa sintomatica con eventi che vanno da semplici episodi di dolore addomina-le con modificazione dell’alvo, come nella SII, a forme decisamente più complicate con flogosi importanti come la colite seg-mentaria, nelle quali deve essere presa in considerazione una diagnosi differenziale con le malattie infiammatorie croniche inte-stinali. Infine la MD a differenza della SII può provocare ascessi e altre complicanze e, in rari casi, anche portare all’exitus. NeI primo caso, con dolore addominale e modifica-zione dell’alvo sovrapponibili ai casi di SII, spesso è difficile comprendere se il pazien-te sia affetto da SII con diverticoli asintoma-

tici oppure da diverticoli che sono divenuti sintomatici. Anche la SII può comunque essere considerata importante dal punto di vista sintomatologico e della qualità di vita; infatti uno studio recente dimostra come lo score di attività della malattia possa avere valori simili nella malattia di Crohn e nella SII, sia in variante diarroica che in variante stiptica. Per differenziare le due malattie, Crohn e SII, occorre ricorrere alla valuta-zione di esami di laboratorio con indici di flogosi ed ematocrito che risultano alterati nell’una e non nell’altra patologia 2.Nello studio di Lovell e Ford  3 si evidenzia come la prevalenza media di SII sia di circa il 10% su una casistica, studiata in tutto il mondo, di oltre 260.960 persone con una variabilità che dipende dalla provenienza geografica, e che in Italia si attesta attorno al 12%; un terzo dei pazienti presenta stip-si. L’incidenza di SII è di 1,5% per anno, tut-tavia solo un quarto delle SII presenti nella popolazione vengono effettivamente dia-gnosticate 4 5. Altro dato importante è che, indipendentemente dal tipo di definizione scelta, la SII è una patologia che si sviluppa prevalentemente nei giovani e negli adulti, a differenza di quanto accade per la MD la cui frequenza, nei paesi occidentali, tende a salire con l’avanzare dell’età. Nei paesi orientali l’andamento è diverso e presenta un picco tra i giovani adulti; inoltre, men-tre la SII è una condizione prevalentemente femminile, la MD non conosce differenze di genere 6-8. La diverticolosi diventa sintoma-tica solo nel 20% dei casi e, oltre alle forme sovrapponibili alla SII, vi sono forme più importanti, alcune con febbre, leucocitosi e

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Congress Report Malattia diverticolare del colon e sindrome dell’intestino irritabile

22 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

dolore, altre più severe, eventualmente con complicanze, isolate o ricorrenti, per cui è necessario il ricovero. I pazienti possono essere dimessi anche in presenza di feb-bre purché sia dimostrato un deciso calo della proteina C reattiva 9. Infine esiste una forma complicata di malattia che si presen-ta con stenosi, ascessi, fistole, perforazioni, occlusioni ed emorragie ove è, ancora oggi, spesso necessaria la terapia chirurgica 9.Nei paesi occidentali, nel 95% dei casi, sono colpiti da MD il sigma insieme ad altre parti del colon, in genere il discendente, a volte il trasverso, e molto raramente l’intero colon; il solo sigma è colpito nel 65% dei casi. Nei paesi orientali invece, nel 70% dei casi è colpito il colon destro con eventuali complicanze diverse; mentre in occidente prevalgono forme infiammatorie, in oriente prevalgono forme emorragiche. I diverticoli del colon destro sono in genere veri diver-ticoli che coinvolgono tutta la parete nelle sue tre componenti (mucosa, sottomucosa e muscolare) mentre quelli localizzati nel sigma e colon discendente sono spesso pseudo diverticoli 10 11.

Per quanto concerne i fattori di rischio per MD negli anni Settanta, e per il ventennio successivo, si è pensato che una dieta vegetariana proteggesse dall’insorgenza della malattia, mentre una dieta prevalen-temente a base di carne rossa espones-se maggiormente alla malattia. Anche la sedentarietà era considerata predisponente mentre fumo, alcool e caffè non sembrava-no comportare rischi particolari; studi effet-tuati verso fine anni ’90 invece segnalavano come il fumo generasse un rischio aumen-tato di 3 volte per lo sviluppo di MD 12-16.Studi più recenti hanno però smentito i dati del passato e hanno indicato come una dieta ricca di semi, noci, popcorn e fibre in genere non è differente nel portare o meno a svilup-po di MD 17. Recentemente uno studio della Mayo Clinic ha mostrato come l’essere affetti da SII sia esso stesso un fattore di rischio (di circa 2 volte) di sviluppo di diverticolite e MD in generale: avere una età avanzata anche senza avere SII porta a un rischio di circa 3 volte maggiore rispetto alla popola-zione più giovane ma avere, o avere avuto, per un lungo periodo SII è un fattore di rischio

ancora più elevato. Sembrerebbe quindi che curare meglio, anche in termini di dieta, la SII in giovane età potrebbe ridurre il rischio di sviluppare MD con l’invecchiamento 18.I fattori di rischio per una diverticolite ricor-rente sono: l’eventuale presenza di un ascesso, una storia familiare di diverticolite e l’estensione a un segmento superiore ai 5 cm; mentre sembrerebbe essere un fat-tore protettivo avere diverticoli localizzati al colon destro. L’unico fattore di rischio signi-ficativo per il sanguinamento dei diverticoli è la stipsi, come dimostrato da un’analisi presentata all’ultima Digestive Disease Week, differentemente dalla presenza di ipertensione, diabete, vasculopatie, o tera-pie con anticoagulanti e/o antiaggreganti 19. Per quanto concerne il rischio di perfora-zione sembrano avere un effetto favorente le terapie con farmaci antiinfiammatori non steroidei, oppiacei e corticosteroidi  20. Il rischio di mortalità legata a MD complicata sembra essere aumentato dall’uso di ste-roidi, da presenza di diabete, malattie del collagene o compromissione del sistema immunitario 20 21.

FIgura 1.

Fisiopatologia della sindrome dell’intestino irritabile.

Microbiota

Mediatori

Dolore Fibre nervose afferenti

Muscolatura liscia

SistemaNervoso Enterico

Linfociti T

Eosinofili Mastociti

Aumentata sensibilità viscerale

Fattori psicologici

Alterata motilità

+

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Congress ReportMalattia diverticolare del colon e sindrome dell’intestino irritabile

23Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Da un punto di vista fisiopatologico, la pre-senza di una alterata permeabilità intesti-nale funzionale permette il contatto del contenuto luminale (flora, alimenti ecc.) con le cellule del sistema immunitario presenti nella sottomucosa, portando alla liberazione di mediatori dell’infiammazione che comunicano con il sistema nervoso enterico e con le fibre nervose afferen-ti generando uno stato di ipersensibilità con conseguente percezione dei sintomi (Fig. 1). L’infiammazione microscopica, che è identificabile solo attraverso una biopsia effettuata durante l’endoscopia, è sovrap-ponibile a quella che si identifica nella colite microscopica e nella forma inattiva della retto-colite ulcerosa. Sembrerebbe inoltre che nei soggetti femminili ci sia una preva-lenza di mastociti in stretto contatto con le terminazioni nervose e che vi sia una forte correlazione tra il numero di mastociti pre-senti e il grado di dolore percepito; mentre nei soggetti di sesso maschile sembrerebbe esserci una risposta maggiormente legata ai linfociti  22. La permeabilità intestinale risulta aumentata anche nei pazienti con diverticolite rispetto ai soggetti sani  23. Quindi una barriera che non permette un corretto controllo della flora e degli altri contenuti dell’intestino, li porta in contatto

con il sistema immunitario che si attiva e libera citochine infiammatorie e proteasi che causano la rottura delle giunzioni ser-rate e portano a una infiammazione intesti-nale che spesso non è visibile macrosco-picamente e comporta una percezione dei sintomi a livello centrale e una alterazione delle funzioni attraverso la modulazione del sistema nervoso enterico. Questi risultati hanno quindi chiarito anche la causa della “corda colica” generata da una ipercontrat-tilità non propulsiva del sigma stimolata dal pasto. Anche nella diverticolosi esiste una ipercontrattilità non propulsiva che porta a un incremento della tensione e, in zone di minore resistenza, come i forami obliqui, determina una estroflessione di mucosa e sottomucosa (Fig.  2). Tutto ciò è spiegato dalla legge di Laplace, che dice come in un condotto cilindrico la tensione sulle pareti sia inversamente proporzionale al quadrato del raggio; pertanto, in un organo cavo pic-colo, la tensione è maggiore che in un orga-no di diametro ampio 24. Anche nella diver-ticolite, come nella SII, vi è una eccitazione delle fibre nervose causata dalla sostanza P, dalla galanina e da altre tachichinine che mediano la contrazione dell’intestino e che risultano sovra espresse nella MD più che nella diverticolosi 25.

Le basi della terapia che ancora oggi viene applicata sono riassunte nella monografia di Mayer del 2008  28 in cui si consiglia-no almeno 20 grammi di fibre nella stip-si anche se devono essere considerate le differenze fra fibre solubili e insolubili poiché un uso generalizzato non sembra corretto; si consigliano anche lassativi osmotici o ammorbidenti delle feci (Fig. 3). Nelle situazioni in cui prevale la diarrea è consigliata la loperamide che però non è certamente il farmaco più adatto; per quanto concerne il gonfiore è invece dif-ficile dare indicazioni specifiche tuttavia il trattamento della stipsi con l’ausilio di probiotici sembrerebbe utile. Per control-lare il dolore si suggerisce di trattare stipsi e diarrea, di impiegare antispastici e, nel caso non si riesca a risolvere il problema in questo modo, sono indicati lassativi da contatto come il bisacodile con l’ausilio di probiotici, di antidepressivi e di antibiotici anche non assorbibili (come la rifaximina) per la riduzione dei gas. Una considera-zione si deve fare sull’uso delle fibre; una meta-analisi sull’argomento indica come la loro assunzione sia utile nel trattamen-to della SII, ma il vantaggio terapeutico si dimostra solo con l’impiego di fibre solubili mentre le fibre insolubili, che sono quel-le maggiormente consigliate nella prati-ca quotidiana, non sembrerebbero avere effetto nel trattamento della SII, ma invece peggiorare i sintomi nel 55% dei casi 27.Considerato che l’infiammazione riveste un ruolo importante nella SII, è stato valutato l’effetto della somministrazione di predni-solone, in soggetti con SII postinfettiva, alla dose di 30 mg/die per tre settimane, ma la risposta ottenuta non è stata diversa rispetto alla terapia con placebo 28. Vi è un solo stu-dio sull’argomento, e quindi non è possibile trarre conclusioni. Studi degli anni Novanta hanno dimostrato che il sodio cromoglicato ha un effetto positivo poiché riduce il rilascio dei mediatori dei mastociti e conseguente-mente anche i sintomi  29  30. Uno studio di fase 2B su pazienti trattati con mesalazina ha messo in evidenza una riduzione del numero dei mastociti, un incremento nello stato di benessere generale e una riduzione, su un numero piccolo ma significativo di soggetti, del dolore addominale 31.La terapia della MD si basa anch’essa sulla

FIgura 2.

Patogenesi della diverticolosi (da Jeyarajah e Papagrigoriadis) 24.

LOCI MINORIS RESISTENTIAEForami obliquiArterie perforanti (plesso sottomucoso e muscolare)

CAMERE DI SEGMENTAZIONECamere chiuse formate per l’effetto di contrazioni segmentarie (Painter e Truelove, 1964)

LEGGE DI LAPLACEP (pressione) = T (tensione) / r (raggio)La pressione intraluminale è maggiore dove minore è il raggio del cilindro cavo (Almy, 1965)

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24 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

somministrazione di fibre, rifaximina, mesa-lazina e probiotici; tuttavia gli studi eseguiti a sostegno di queste modalità di trattamen-to avrebbero bisogno di ulteriori confer-me  32. Evidenze recenti su pochi soggetti che avevano avuto almeno due attacchi di diverticolite nell’anno precedente, sem-brerebbero evidenziare che un trattamento ogni tre mesi con macrogol, nel dosaggio utilizzato per la preparazione alla colonsco-pia, porterebbe alla normalizzazione della sintomatologia; infatti nessuno dei sogget-ti in trattamento ha avuto recidive mentre due soggetti che hanno sospeso la terapia sono stati sottoposti a intervento chirurgi-co  33. Gatta ha recentemente pubblicato uno studio open sull’impiego di mesalazina nella MD nel quale i soggetti in trattamento hanno avuto una riduzione della ricorrenza di malattia rispetto ai soggetti non trattati 34.Rispetto al passato il ricorso alla chirur-gia nelle diverticoliti non è più conside-rato necessario purché vi sia una rispo-sta, anche parziale, alla terapia medica.

L’intervento chirurgico urgente si impone solo nel caso di una peritonite aperta, mentre una chirurgia elettiva è necessaria in caso di fistole, di stenosi o di ascessi non rispondenti alla terapia antibiotica. Ovviamente, la terapia chirurgica non è scevra da problemi ed è gravata da una mortalità che va dall’1 al 3% e l’età avan-zata e obesità sono fattori di rischio per un esito negativo. Se non si utilizzano anti-biotici come profilassi, la morbilità addo-

minale può raggiungere il 6,5%, mentre la morbilità extraddominale si eleva al 18% in caso di presenza di patologie polmonari o epatiche 20 35 36.In conclusione le due patologie, SII e MD, sono diverse sotto svariati punti di vista: la definizione per ora è puramente sintomati-ca per la SII mentre è morfologica e asso-ciata alla clinica per quanto concerne la MD (Fig.  4). Hanno entrambe prevalenza elevata; quella della MD è solo parzialmente

FIgura 3.

Approccio farmacologico alla sindrome dell’intestino irritabile (da Mayer, 2008) 26.

FIgura 4.

Sindrome dell’intestino irritabile e malattia diverticolare del colon: principali caratteristiche differenziali.

Trattamento della SII

Stipsi DiarreaMeteorismoBorborigmi

Dolore

Sintomi

Prima linea di trattamento

•Aumentare l’apporto

di fibre (20 g)

•Lassativi osmotici

•Ammorbidenti delle feci

•Loperamide •Trattare la stipsi

•Probiotici

•Trattare stipsi/diarrea

•Antispastici

SII

•Diagnosi basata sui sintomi

•Alta prevalenza

•Giovani adulti, F > M

•Nessun rischio per la vita

Diverticolosi,MD

•Diagnosi morfologica ± quadro clinico

•Prevalenza sconosciuta

•Età Avanzata, M = F

•Rischio per la vita

•Bisacodyl

•Tegaserod

•Colestiramina

•Alosetron

•Probiotici

•Antibiotici •Antidepressivi

Seconda linea di trattamento

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25Rivista Società Italiana di Medicina Generale

conosciuta in quanto la sua diagnosi si basa su indagini strumentali. Età e distribuzione di genere sono diverse. Inoltre la SII com-porta costi sociali e personali ma non ha rischi di mortalità contrariamente alla MD. Nonostante questo, molti aspetti fisiopatolo-gici e probabilmente anche molti aspetti nella terapia sono simili; sembrano essere due malattie che si influenzano vicendevolmente.

Modificazione del microbiota intestinale nella terapia della malattia diverticolare e della sindrome dell’intestino irritabileGerardo Nardone Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università di Napoli Federico IIAlla nascita l’intestino è sterile, ma dopo poche ore inizia una lenta e progressiva colonizzazione influenzata dalle modalità del parto, dalla flora batterica vaginale e dal tipo di alimentazione del neonato. In una prima fase la flora è costituita da bifi-dobatteri, successivamente si aggiungono i lattobacilli e con la crescita del bambino si ha un arricchimento in varietà di batteri anaerobi e aerobi facoltativi, sia gram nega-tivi che gram positivi; alla fine del secondo anno di vita la flora batterica è completa ed è costituita da specie acquisite alla nascita e da specie transitorie di origine ambienta-le  37. La distribuzione dei batteri differisce qualitativamente e quantitativamente nei vari tratti dell’intestino e vi si trovano dalle 500 alle 1.000 specie batteriche che danno ragione di un peso di 1,5 Kg. La composizio-ne in batteri dipende da vari fattori: dall’a-cidità gastrica, dalla motilità intestinale, dal sistema immunitario dell’individuo e dalla continenza della valvola ileo-cecale. Ci si è più volte chiesti se la flora batterica rivesta un ruolo importante e positivo o se sia solo potenzialmente dannosa per l’individuo. Lo studio di animali da esperimento germ-free che, per la loro vita in condizioni di sterilità, presentano anomalie strutturali, morfologi-che e funzionali, ha consentito di compren-dere meglio il ruolo dei batteri nell’intestino. Queste alterazioni si estrinsecano in una mucosa intestinale sottile, villi piccoli, crip-te poco profonde, ridotta secrezione degli enzimi digestivi, rete vascolare poco svilup-

pata e motilità abnorme. In sintesi, questi animali invecchiano precocemente e muo-iono prima, rispetto a quelli allevati in con-dizioni normali. Andando a ricolonizzare l’in-testino di animali germ-free con una specie batterica come il Bacteroides thetaiotami-cron, esso riprende tutte le normali fun-zioni e pertanto, come affermava Pasteur, “sarebbe impossibile su questo pianeta la vita senza batteri”. La flora ha funzioni trofiche, protettive, contribuisce alla regola-zione della permeabilità intestinale, è coin-volta nei processi di immunomodulazione e influenza la motilità del tratto gastrointesti-nale. In presenza di una alterata permea-bilità, batteri e prodotti della degradazione batterica attraversano la barriera intestina-le e possono raggiungere organi e tessuti vicini e divengono responsabili di malattie allergiche, ma anche di patologie a carico di detti organi, come avviene, ad esempio, per la cistite ricorrente da E. coli che si riscontra nei soggetti di sesso femminile. Inoltre i batteri intestinali stimolano i siste-mi dell’immunità sia acquisita che innata e in questo modo influenzano lo sviluppo del tessuto linfoide associato all’intestino (GALT – Gut-Associated Lymphoid Tissue). Tra le 500-1.000 specie che compongono il microbiota intestinale vi sono batteri utili, cioè quelli che non inducono una rispo-sta infiammatoria e non attivano le vie del segnale che portano alla secrezione del TNFα; ma anche batteri nocivi che sono in grado di legarsi ai Tool Like Receptors (TLR) sulle membrane cellulari che, attraverso la proteina MyD88, defosforilano l’inibitore di NFkB (IkB) permettendo a quest’ultimo di migrare nel nucleo e di portare a una sovra espressione di TNFα e IL8 generando effet-ti proinfiammatori. In questo modo si attiva una risposta infiammatoria di tipo Th17 che è in grado di influenzare anche l’enteroglia e le vie di trasmissione del segnale, e quin-di del dolore, a livello della sottomucosa. Uno studio dimostra come animali germ-free abbiano un intestino ipocinetico e un cieco disteso che dopo contaminazione con sole due specie batteriche, riprendono un’attività motoria che risulta ulteriormente aumentata in presenza di flora intestinale convenzionale  39  40. Quindi in presenza di una flora in equilibrio e di un ambiente sano non si verificano reazioni infiammatorie a

livello intestinale e pertanto si ha uno stato di benessere e di salute; se questo equili-brio si altera e ci si trova in una condizione di disbiosi o di sovraccrescita batterica si genera uno stato infiammatorio che potreb-be essere responsabile dello sviluppo di SII o MD sintomatica. Ne deriva che il micro-biota intestinale dovrebbe diventare un bersaglio specifico della terapia in queste condizioni patologiche.I fattori eziopatogenetici della MD, in par-ticolare di quella sintomatica e non com-plicata, hanno un denominatore comune rappresentato dal microbiota intestinale; infatti una flora batterica alterata può deter-minare, attraverso uno stato infiammatorio, un’alterata attivazione delle fibre afferenti ed efferenti con una relativa disfunzione muscolare e neuronale, che porta allo svi-luppo dei sintomi addominali  41. Sopeña e Lanas hanno considerato la presenza di una flora batterica alterata con un’elevata fermentazione e un’elevata produzione di gas alle quali consegue la distensione del lume intestinale con conseguente sviluppo di sintomi 42. I principali agenti che possono modificare favorevolmente l’equilibrio del microbiota intestinale sono gli antibiotici e i probiotici, che non eliminano la flora bat-terica intestinale ma la modulano in senso favorevole. Gli antibiotici dovrebbero agire riducendo la carica batterica e quindi i pro-cessi fermentativi, la produzione di gas, in modo da ridurre la pressione intraluminale e con essa la presenza di sintomi. I batteri principalmente implicati in una MD sinto-matica sono gli anaerobi sia gram positivi che gram negativi, ma anche i germi aero-bi 43; l’antibiotico ideale non dovrebbe agire a livello sistemico, ma avere un ampio spet-tro d’azione che gli consenta di agire contro i batteri aerobi e anaerobi sia gram positivi che negativi, dovrebbe essere altamente biodisponibile nel tratto gastrointestinale e, soprattutto, dovrebbe poter essere impiega-to in condizioni limite come nell’anziano che in genere è polimedicato e dunque più sog-getto ad affetti indesiderati e a interazioni tra farmaci. Diversi sono gli antibiotici che hanno effetti sulla flora batterica ma l’unico con le caratteristiche ideali sopra citate è la rifaximina. Infatti altri antibiotici hanno atti-vità limitata (metronidazolo) o sono gravati da nefrotossicità o ototossicità (neomicina

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26 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

e paramomicina). Rifaximina agisce contro i batteri aerobi e anaerobi ma, soprattutto presenta uno scarso assorbimento a livello del tubo digerente (<  1%) anche in pre-senza di malattie infiammatorie e quindi di alterata permeabilità (Fig. 5)  44. Dopo la terapia si ha una riduzione della escrezione di idrogeno e quindi una minore produzione di gas che si rispecchia in un miglioramen-to da un punto di vista sintomatologico  45. Come dimostrato da Zullo et al.  46 in una sua revisione sistematica della letteratura pochi sono gli studi selezionabili sul trat-tamento della MD con antibiotici, ma tutti sono concordi nel ritenere che l’aggiunta di rifaximina a una terapia ricca di fibre ridu-ca lo score globale sintomatologico. Sugli stessi studi è stata recentemente fatta una meta-analisi che concorda nel ritenere che l’aggiunta di rifaximina alla terapia migliora i sintomi e riduce il rischio di ricorrenza di attacchi di diverticolite (Fig. 6)  47. Un ulte-riore, recente studio in cui viene impiegata rifaximina a supplementare una dieta ricca in fibre evidenzia un miglioramento globale e una riduzione della ricorrenza dei sintomi. Tuttavia l’efficacia di questa terapia sembra evidente soprattutto nei soggetti con lunga

storia di MD 48. La ricerca comunque è stata svolta su una popolazione di ridotta nume-rosità e sono quindi necesari studi metodo-logicamente più robusti per confermarne i risultati  49. In sintesi, tutti gli studi sono concordi nel dimostrare che la rifaximina in aggiunta a una dieta ricca in fibre è in grado di ridurre la sintomatologia e la recidiva di diverticolite. Tuttavia le attuali evidenze non hanno ancora permesso di produrre delle linee guida concrete su un argomento così importante; anche l’AIFA  50 auspica che vengano sviluppati protocolli di studio per razionalizzare la gestione dei pazienti affet-ti da MD che, nella terza età, colpisce una elevata parte della popolazione.Nell’ambito della MD i probiotici sono utili perché contrastano l’adesione dei batte-ri nocivi a livello della mucosa intestinale, modificano gli aspetti metabolici a livello mucosale e riducono la sintesi di citochine infiammatorie. Una rassegna recente che analizza i lavori scientifici svolti sull’argo-mento conclude che i probiotici da soli, o in combinazione con mesalazina, sono sicuri e potenzialmente utili nel trattamento della sintomatologia della MD; gli autori hanno comunque sottolineato che la qualità degli

studi è bassa, che il numero di pazienti è limitato e che ci sono alcuni problemi meto-dologici. Anche in questo caso, quindi, non ci sono dati sufficienti per raccomandare l’uso dei probiotici nel trattamento di questa condizione 51.Si può pertanto concludere che per quan-to riguarda il trattamento della MD ci sono dati favorevoli all’impiego di rifaximina e probiotici ma, ad oggi, occorrono studi mul-ticentrici, randomizzati e contro placebo per comprendere se questa scelta terapeutica possa avere un forte impatto sociale ed economico positivo.La SII ha visto, negli ultimi tempi, modifica-te le ipotesi sulla sua eziopatogenesi e oggi si parla di alterata percezione degli stimoli, di un’aumentata sensibilità viscerale e di alterata motilità. Recentemente, però, le ricerche si sono focalizzate su alterazio-ni a carico della risposta immunitaria e sull’infiltrazione di linfociti a provocare un basso grado di infiammazione; inoltre gli studi si sono concentrati anche sul ruolo del microbiota intestinale nello sviluppo della patologia  52. Le evidenze a favore dell’ipotesi che alterazioni nell’equilibrio microbico intestinale possano avere effet-

FIgura 5.

Rifaximina: spettro dell’attività antibatterica (da Scarpignato e Pelosini, 2005) 44.

Gram+ Gram+ Gram-Gram-

L’assorbimento della rifaximina è inferiore all’1%

Batteriaerobi Batterianaerobi

enterococcussppM.tuberculosisStreptococcuspyogenesStreptococcusfaecalisStreptococcuspneumoniaeStaphylococcusepidermidisStaphylococcusaureus

Escherichia coliShigella sppSalmonella sppYersinia enterocolicaProteussppPeptococcussppPeptostreptococcussppVibrio cholerae

ClostridiumperfrigensClostridiumdifficilePeptococcussppPeptostreptococcusspp

BacteroidessppBacteroidesfragilisHelicobacterpylori

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27Rivista Società Italiana di Medicina Generale

FIgura 6.

Efficacia della rifaximina nel controllo dei sintomi e nella prevenzione della diverticolite acuta in pazienti con malattia diverticolare (da Bianchi et al., 2011) 47.

FIgura 7.

Prevalenza di Breath Test positivo in pazienti con sindrome dell’intestino irritabile e soggetti sani di controllo (da Pimentel, 2010) 53.

Miglioramento dei sintomirifaximina vs. controlli

Incidenza di diverticolite rifaximina vs. controlli

Chocrane RD (random effect)Chocrane RD (random effect)

Papi 1992

Papi 1995

Latella 2003

Colecchia 2007

Parodi et al. a

Grover et al. b

McCallum et al. a

Lupascu et al. a

Pimentel et al. c

p = 0,0137

p = 0,07

p = 0,001

p = 0,0001

p = 0,0137

Papi 1992

Papi 1995

Latella 2003

Colecchia 2007

Quattro studi prospettici randomizzati: 1.660 pazienti

Il trattamento con rifaximina associata a fibre è efficace nel miglioramento dei sintomi e nella prevenzione delle complicanze

0,1

Pooled RD = 0,29 (95% CI = 0,245 to 0,336)

Percentuale di soggetti

a Glucosio b Lattulosio c Saccarosio(utilizzati come substrato)

Pooled RD = -0,019 (95% CI = -0,034 to -0,0057)

-0,09

0 20 40 60 80 100

-0,05 -0,01 0.0 0,000,2 0,3 0,4 0,5

SII Controlli

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28 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

to sulla patogenesi della SII derivano dal fatto che, dopo un evento acuto, in molti soggetti permangono sintomi gastroin-testinali che portano allo sviluppo di SII. Diversi studi hanno valutato le differenze nella produzione di gas a livello intestinale e, indipendentemente dalla metodologia impiegata, tutti hanno dimostrato un’au-mentata produzione di gas nei soggetti affetti da SII (Fig. 7)  53. In altri studi sono stati valutati gli effetti degli antibiotici nel trattamento della SII e tutti concordano nell’indicare come l’antibiotico-terapia, in particolare con rifaximina, sia utile nella gestione dei sintomi e nel ridurre la ricor-renza degli attacchi; essa è anche in grado di ridurre la produzione di idrogeno a livello intestinale  54. Una meta-analisi, che rac-coglie sei studi per un totale di 1.859 pazienti, evidenzia come ci possa essere un beneficio nel trattamento con antibioti-ci; tuttavia se si valuta il numero di pazienti da trattare per avere un effetto benefico, si nota come occorra trattare dieci sogget-ti per avere il beneficio su uno (Fig. 8) 55.

Lo studio di Pimentel, pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2011 56, ha analizzato circa 1.260 pazienti trattati con 550 mg di rifaximina 3 volte al giorno e ha dimostrato come la terapia antibio-tica porti a un miglioramento dei sintomi. Tuttavia è cruciale la dose dell’antibiotico. Infatti, nei pazienti che non rispondono a un trattamento con 1.200  mg di rifaxi-mina per due settimane, l’utilizzazione di una doppia dose determina un sostanziale incremento nel numero di pazienti in cui si riscontra un miglioramento dei sintomi e una risposta alla terapia 57. Dopo un tratta-mento di due settimane gli effetti benefici perdurano per un periodo di tempo di circa 10-12 settimane 58 59.Una meta-analisi di 19 studi randomizzati e controllati sull’impiego dei probiotici nel trattamento della SII indica come questi possano avere effetti benefici; tuttavia vi sono ancora diverse perplessità per quanto concerne la specie e la quantità di probio-tico da impiegare  60. Occorre un follow-up più lungo che permetta di valutare meglio il

tipo di probiotico, il dosaggio e la durata del trattamento da utilizzare 61.Uno studio svolto dal gruppo di lavoro che ha sviluppato i criteri di Roma ha valutato i vari metodi disponibili per il trattamento della SII in base a criteri di efficacia e invasività, dimostrando che la terapia antibiotica risulta più efficace ma anche più invasiva in considerazione del fatto che la categoria comprende anche gli antibiotici sistemici mentre i probio-tici sono meno efficaci ma sicuramente meno invasivi 62.In conclusione, brevi cicli di trattamento antibiotico con rifaximina sono utili nella gestione dei pazienti con SII, ma, sia per gli antibiotici sia per i probiotici, occorrono ulteriori ricerche metodologicamente cor-rette, con un numero adeguato di soggetti e un lungo periodo di follow-up.

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WD, et al.Functional bowel disorders. Gastroenterology 2006;130:1480-92

FIgura 8.

Efficacia della rifaximina sulla sintomatologia globale e sul gonfiore addominale in pazienti con sindrome dell’intestino irritabile: meta-analisi di studi randomizzati (da Menees et al., 2012) 55.

Sei studi randomizzati, 1.859 pazienti, prevalenza di SII con diarrea

Rari eventi avversi seri (< 1%) simili con rifaximina e placebo

Rifaximina > efficace del placebo nel miglioramento globale dei sintomi

OR = 1,57; 95% IC = 1,22-2,01Guadagno terapeutico = 9,8%Numero di pazienti da trattare = 10,2

Rifaximina > efficace del placebo nel miglioramento del gonfiore addominale

OR = 1,55; 95% IC = 1,23-1,96Guadagno terapeutico = 9,9%Numero di pazienti da trattare = 10,1

Sharara et al.

Pimentel et al.

Lembo et al.

target 1

target 2

Overall

3,70 (0,92, 14,89)

4,83 (1,44, 16,18)

1,39 (0,93, 2,07)

1,52 (1,09, 2,11)

1,44 (1,04, 2,00)

1,57 (1,22, 2,01)

3,06

3,99

20,01

33,20

33,73

100,00

Pimentel et al.

Lembo et al.

target 1

target 2

Overall

3,81 (1,39, 10,45)

1,30 (0,87, 1,95)

1,62 (1,16, 2,27)

1,48 (1,07, 2,05)

1,55 (1,23, 1,96)

5,16

25,83

33,84

35,17

100,00

Studio Or(95%IC) Peso% Studio Or(95%IC) Peso%

0.5 1 2 51.5 10,5 2 3

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Il trapianto di fegato: una realtà terapeutica

Luciano G. De CarlisDirettore S.C. Chirurgia Generale e dei Trapianti, Niguarda Transplant Center, Dipartimento Chirurgico Polispecialistico, A.O. Niguarda Ca’ Granda, Milano

al trapianto. Attualmente la gravità della malattia epatica è meglio evidenziata con il punteggio MELD (Model for End Stage Liver Disease) che predice la sopravvivenza del paziente entro 6 mesi dalla valutazione e che considera in scala logaritmica i valori di bilirubina, INR e creatinina.Un fattore limitante per una corretta valu-tazione del timing al trapianto è rappresen-tato dalla discrepanza esistente fra organi da trapiantare e pazienti che necessitano il trapianto. Questo fa sì che i pazienti deb-bano spesso aspettare molti mesi in lista di attesa con conseguente progressione della malattia epatica, aggravamento delle con-dizioni generali e soprattutto aumento dei rischi perioperatori.

Protocolli di immunodepressioneLo scopo principale dell’immunosoppres-sione nel trapianto è quello di prevenire lo sviluppo del rigetto. Il rischio di rigetto è particolarmente elevato nelle prime setti-mane post-trapianto e tende ad attenuarsi col passare del tempo. Sebbene il numero dei protocolli terapeutici sia estremamen-te vasto, quasi uguale a quello dei cen-tri trapianto, vi è un accordo generale sui seguenti punti:1) Associazione di più farmaci. La com-

binazione di più farmaci consente di esplicare un’azione immunosoppressi-va efficace utilizzando dosaggi inferiori

Indicazioni e controindicazioniGran parte delle malattie epatiche giunte allo stadio terminale possono beneficia-re del trapianto. Tuttavia la complessità dell’intervento chirurgico, ancor oggi grava-to di una mortalità perioperatoria dell’ordi-ne del 5-10%, e il rischio di recidiva della malattia di base, sono elementi da tenere ben presenti al momento di porre l’indica-zione all’intervento. Difficile è poi il ricono-scimento del momento adatto o “timing” per il trapianto. Tale decisione deve infat-ti soppesare da una parte la qualità della vita e il rischio di morte legato alla storia naturale della malattia epatica, e dall’altra considerare i rischi di mortalità e morbilità del trapianto. Utile a questo riguardo è la stadiazione della malattia epatica secondo Child-Pugh che tiene conto della compro-missione delle attività sintetiche e detos-sificanti del fegato (albuminemia, attività protrombinica, bilirubinemia) nonché della presenza di complicanze maggiori della cirrosi, quali l’ascite e l’encefalopatia. In genere viene proposto per il trapianto un soggetto cirrotico in stadio di Child-Pugh B o C. Nella classificazione di Child-Pugh non viene purtroppo tenuta in considera-zione la terza complicanza maggiore della cirrosi ovverossia il sanguinamento da varici gastroesofagee. Il pregresso sanguinamen-to da varici o la persistenza di varici esofa-gee a elevato rischio emorragico costituisce comprensibilmente un ulteriore importante criterio clinico di riferimento per il timing

dei singoli preparati con conseguenti minori effetti collaterali. Lo schema più utilizzato prevede l’associazione della ciclosporina o di FK506 (Prograf) (farmaci cardine dello schema) con gli steroidi. A questo schema a due farma-ci può essere aggiunta l’azatioprina o il micofenolato (schema a 3 farmaci). Alcuni centri (tra cui anche il nostro) trovano vantaggioso utilizzare per i primi 5 giorni post-trapianto anche un siero policlonale purificato (schema a 4 farmaci) o un inibitore anticorpale selet-tivo di IL2. L’aggiunta di questi farmaci ha il vantaggio di consentire di ritar-dare di qualche giorno l’impiego della ciclosporina (terapia sequenziale) la cui tossicità nell’immediato postoperatorio può essere particolarmente minacciosa in presenza di insufficienza renale o di encefalopatia nel ricevente.

2) Immunosoppressione scalare nel tempo. L’immunosoppressione deve essere cer-tamente più profonda nelle prime setti-mane post trapianto (terapia di induzione) per poi ridursi progressivamente (terapia di mantenimento). Per quanto riguarda la ciclosporina, i livelli ematici di riferimento presentano ampie variazioni da centro a centro oscillando tra i 200 e i 400 ng/ml nelle prime settimane post trapianto per poi progressivamente diminuire fino a una finestra tra i 100 e 200 ng/ml dopo il 12° mese, mentre per l’FK506 vanno mantenuti valori iniziali di 5-8 mg/ml a

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scalare fino a 3-5 mg/ml dopo i primi 12 mesi. Per quanto riguarda gli steroidi questi vengono generalmente impiegati a dosi superiori al mg/kg/die per la prima settimana. Rapidamente (in genere entro una settimana) si passa a un manteni-mento di 0,2-0,3 mg/kg/die. Vi è poi una generale tendenza a una progressiva riduzione fino alla sospensione completa dopo un periodo di tempo variabile tra 1 e 12 mesi post-trapianto.

L’azatioprina infine viene abitualmente impiegata al dosaggio di 1-2 mg/kg/die e continuata nel tempo per perio-di molto variabili da centro a centro. Il micofenolato va mantenuto a posologia generalmente di 500 mg x 2 mante-nendo monitorata la crasi ematica.

Attualmente per prevenire l’insuffi-cienza renale da farmaci inibitori delle calcineurine come la ciclosporina e l’FK, sono stati introdotti farmaci mTOR inibitori meno nefrotossici (Everolimus) che hanno manifestato anche interes-santi proprietà antitumorali (1,2).

3) Immunosopressione aggiuntiva. Quando si sviluppa un rigetto acuto, l’immuno-soppressione va rafforzata sommini-strando farmaci che interferiscono con l’arco effettore della risposta immunitaria (steroidi a dose bolo o siero antilinfocita-rio o anticorpi monoclonali).

Le complicanze chirurgiche del trapianto

Complicanze vascolari

La complicanza vascolare più temibile e più frequente, soprattutto in età pediatrica, è la trombosi arteriosa (3-11% nelle diverse casistiche). Il flusso arterioso è fondamen-tale per una pronta ripresa funzionale del graft epatico; un’occlusione o una stenosi significativa precoce dell’arteria epatica non è generalmente compatibile con la sopravvivenza e si deve pertanto procedere con rapidità a un tentativo di rivascolarizza-zione del graft o a ritrapianto. Indici indiretti devono essere considerati un incremen-to repentino delle transaminasi, un crollo dell’attività protrombinica e un arresto del flusso biliare. La trombosi arteriosa tardiva può essere

invece discretamente tollerata e consenti-re una sopravvivenza a lungo termine del fegato tendendo a manifestarsi unicamen-te come complicanza biliare di differente grado di gravità, dalla semplice substeno-si al danno biliare massivo e irreversibile (dilatazioni e stenosi intra ed extraepatiche, vanishing bile duct syndrome, ecc.). Più rare risultano le complicanze legate a una occlusione del flusso portale (2% circa) e generalmente, pur provocando un’impor-tante danno funzionale sul neofegato e la ricomparsa di ipertensione portale con fre-quente repentino sanguinamento esofago-gastrico, sono suscettibili di trattamento chirurgico o radiologico (TIPPS, stent por-tale). Rare risultano le complicanze cavali (1% nelle diverse casistiche) e si manife-stano, a seconda della sede della trombosi o della stenosi, con massivi edemi declivi, insufficienza renale di vario grado, insuffi-cienza epatica, o, in caso di distacco del trombo, con embolia polmonare parcellare o massiva.

Complicanze biliari precoci

Le complicanze biliari sono raramente con-seguenze di errore tecnico (stenosi ana-stomotica, eccessiva lunghezza dei due monconi biliari con conseguente Kinking, ischemia dei monconi biliari da eccessiva scheletrizzazione, perdite biliari perianasto-motiche), ma più frequentemente conse-guenza di danni immunologici o di perfu-sione-conservazione sull’epitelio biliare. Da non sottovalutare le complicanze legate alla presenza del tubo di Kehr per suo malposi-zionamento o dislocazione con conseguenti peritoniti biliari e stenosi cicatriziali coledo-ciche, tali da indurre alcuni autori a non uti-lizzare più il Kehr nella ricostruzione biliare.La diagnosi e il trattamento delle compli-canze biliari si avvale della colangiografia retrograda (ERCP) e della colangiografia percutanea (PTC) che consentono da un lato la definizione diagnostica della sede e della morfologia della lesione, dall’altro per-mette di intervenire sulla stessa mediante papillosfinterotomia, dilatazione del tratto stenotico e “stentaggio” della via biliare principale. I nostri protocolli, che prevedo-no il mantenimento dello stent per circa un anno, con la sua sostituzione ogni 3 mesi, hanno permesso la risoluzione della compli-

canza biliare in circa l’85% dei casi senza necessità di intervento chirurgico.

Le complicanze mediche del trapianto

rigettoacuto

Nonostante la terapia immunosoppressiva, un certo grado di risposta immune contro il neofegato (rigetto minimo o lieve alla biopsia epatica) è praticamente la regola anche se non sempre la sua presenza rende neces-sario l’impiego di farmaci immunosoppres-sori aggiuntivi. Il rigetto acuto meritevole di terapia aggiuntiva si osserva invece in una percentuale variabile tra il 30 e il 70% dei pazienti. Questa grande discrepanza tra le varie casistiche riflette la grossa variabilità circa i protocolli di immunosoppressione, i non univoci criteri impiegati per la diagnosi di rigetto e non da ultimo la diversa pre-disposizione al rigetto di alcune forme di cirrosi. Il rigetto acuto si manifesta nella maggior parte dei casi tra la 5a e la 10a giornata postoperatoria. I segni clinici più probanti sono rappresentati da una modificazione dell’aspetto della bile che diventa più chia-ra e meno filante e da un’elevazione degli indici di colestasi (bilirubina, gGT, alkaline phosphatase). Non infrequentemente è associato anche un incremento delle tran-saminasi. Meno specifici sono la comparsa di febbre, leucocitosi ed eosinofilia. La biopsia epatica è certamente molto utile per suffragare il sospetto di rigetto acuto.

Rigetto cronico

I criteri istologici per la diagnosi di rigetto cronico sono assai meno chiaramente defi-niti rispetto a quelli riconosciuti per il riget-to acuto. In linea genereale la progressiva scomparsa dei dotti biliari (vanishing bile ducts) associata a colestasi e a degenera-zione piumosa degli epatociti (foam cells) costituiscono dei criteri suggestivi. Dal punto di vista clinico la forma più frequente di rigetto cronico insorge tra la 6a settimana e il 6° mese post-trapianto, in genere dopo ripetuti episodi di rigetto acuto e si caratte-rizza per la comparsa di una colestasi rapi-damente ingravescente associata a un qua-

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dro istologico quale quello sopra descritto. Il destino finale è l’insufficienza epatica a impronta colestatica. Più raramente il riget-to cronico insorge tardivamente, anche anni dopo il trapianto, e tende in questi casi ad avere un andamento clinico più lentamente evolutivo nel tempo.L’incidenza di rigetto cronico è estrema-mente variabile, oscillando tra il 3 e il 20% nelle varie casistiche. Anche in questo caso la grande variabilità di dati riportati in lette-ratura riflette la mancanza di criteri univoci per la diagnosi di rigetto cronico e l’impiego di protocolli di immunosoppressione molto variabili da centro a centro. Dal punto di vista terapeutico il retrapianto rappresenta probabilmente l’unica opzione terapeutica anche se non si può escludere la com-parsa di rigetto cronico nel nuovo fegato. Incorraggianti sono le recenti segnalazio-ni di regressione di rigetto cronico in fase iniziale dopo conversione da ciclosporina a FK506.

Disturbineurologiciepsichiarici

Un ruolo particolarmente importante è quello dei farmaci immunosoppressori, soprattutto la ciclosporina e l’FK596 che presentano molti aspetti in comune: tendo-no a causare disturbi neuropsichiatrici nelle prime settimane post-trapianto, soprattutto quando somministrati per via endovenosa; generalmente l’effetto neurotossico è cor-relato con elevati “trough levels” del far-maco; i disturbi neurotossici regrediscono con la riduzione delle dosi o la sospensione del farmaco. è degno di nota come l’effetto neurotossico di questi farmaci sia più eleva-to nei pazienti sottoposti a trapianto epatico rispetto a pazienti sottoposti a trapianto di altri organi solidi e questo dato sembra tro-vare spiegazione nelle alterazioni della bar-riera ematoencefalica presente nei pazienti cirrotici. I quadri clinici di neurotossicità sono estre-mamente variabili essendo stati descritti casi di cecità corticale, mutismo, afasia, paresi e convulsioni, atassia cerebellare.

Le complicanze biliari tardive

L’albero biliare riceve una tenue irrorazione arteriosa dall’arteria epatica e le possibili-tà di circoli collaterali sono alquanto scar-

se. Questa caratteristica anatomica rende ragione del fatto che situazioni di ischemia secondarie a cause differenti (trombosi arteriosa o rigetto) possano portare all’in-sorgenza di complicanze biliari sia di tipo stenotico che di leakage biliare. Le compli-canze biliari tardive sono prevalentemente di tipo ostruttivo ed è utile distinguere:• ostruzioni anastomotiche: tipicamente

tra il 2° e il 6° mese post-trapianto. Possono essere secondarie a un pro-blema arterioso o a rigetto cronico. Si trattano sia endoscopicamente che chi-rurgicamente (conversione a colodoco-digiunostomia);

• ostruzioni ilari: sono in parte attribui-bili alla tenue irrorazione arteriosa di questo distretto. Sono particolarmen-te frequenti nei riceventi di fegati che hanno subito tempi di ischemia pro-lungati oppure nei riceventi di fegati ABO incompatibili. Sono molto difficili da correggere chirurgicamente, men-tre possono essere talvolta risolte con procedure di radiologia interventistica (dilatazione e posizionamento di stent);

• ostruzioni biliari diffuse: riconoscono gli stessi elementi patogenetici delle ostruzioni ilari. Spesso l’unica opzione terapeutica è il retrapianto;

• coledocolitiasi: in genere si associano ad una patologia stenotica che deve ovviamente essere corretta in prima istanza;

• disfunzione dello sfintere di Oddi: non infrequente dopo trapianto epatico, pro-babilmente consegue a un’alterazione della normale motilità delle vie biliari. La terapia consiste nella sfinterotomia.

La recidiva della malattia di base

Larecidivadell’epatiteB

Le prime esperienze di trapianto epatico in pazienti affetti da cirrosi HBV correlata sono state alquanto sconcertanti. In assenza di profilassi, la recidiva dell’epatite dopo tra-pianto si verificava nel 100% dei pazienti con elevata replica virale prima del trapian-to (HBV-DNA o HBeAg-positivi) e in circa il 70-80% dei pazienti con bassa replica vira-

le (HBV-DNA o HBeAg negativi). Sempre in assenza di profilassi, i pazienti con epatite fulminante o con coinfezione delta recidi-vavano meno frequentemente (50%). La minore incidenza di recidiva epatitica in questi casi trova probabilmente spiegazio-ne nell’assenza di HBV-DNA nella maggior parte dei pazienti con epatite fulminante e nell’inibizione della replica dell’HBV indotta dall’HDV nei pazienti con coinfezione delta.La profilassi antivirale mediante immuno-globuline specifiche iperimmuni sommini-strate indefinitamente dopo il trapianto ha consentito di migliorare di molto i risultati soprattutto nei pazienti con bassa replica virale prima del trapianto con percentuali di recidiva attualmente comprese tra il 10 e il 30%. Le immunoglobuline specifiche non si sono purtroppo rivelate altrettanto effica-ci nei pazienti con alta replica virale i quali ancor oggi sono esclusi nella maggior parte dei centri dal programma di trapianto. Solo recentemente l’impiego profilattico di nuovi farmaci antivirali quali la Lamivudina e il Famciclovir ed ora nuovi farmaci ancora più efficaci (nucleosidici e nucleotidici) sembra-no poter garantire il trattamento e la pro-filassi di questa infezione portando virtual-mente a zero la recidiva post-trapianto (3).

Larecidivadell’epatiteC

La reinfezione da virus C è evento presso-chè costante dopo trapianto epatico e vero-similmente origina da particelle virali circo-lanti presenti al momento dell’intervento. Questo fatto spiega perchè il 90-95% dei pazienti con cirrosi HCV correlata rimanga-no sempre HCV-RNA positivi dopo trapianto. La reinfezione, peraltro, non significa malat-tia epatica in quanto la recidiva epatitica si osserva solo nel 40-60% dei pazienti reinfettati. Generalmente l’epatite recidi-va presenta un decorso clinico blando e apparentemente non evolutivo, ma in una percentuale, compresa tra il 10-20% dei casi, l’evoluzione della malattia può esse-re così rapida da portare alla cirrosi e alla insufficienza epatica terminale entro 1 o 2 anni dal trapianto. Queste forme ad anda-mento più aggressivo sono caratterizzate da una marcata colestasi e fibrosi non dis-simile dalla “fibrosing cholestatic hepatitis” descritta nel corso di recidiva di epatite B.Purtroppo non si conoscono ancora i fattori

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che agiscono sull’espressione clinica della recidiva virale e sul perché ad esempio alcuni pazienti abbiano una recidiva epati-tica severa e altri invece un’epatite blanda o addirittura assenza di malattia. Un fatto-re predittivo sembra essere rappresentato dal genotipo virale laddove il genotipo 1b (secondo la classificazione di Simmonds) appare associato più frequentemente a malattia epatitica aggressiva. Altri possibili elementi predittivi quali il livello di virioni circolanti e la relazione immunologica tra donatore e ricevente sono ancora oggetto di studio. Per quanto riguarda la profilassi e la terapia dell’infezione HCV, prima essen-zialmente basata sull’utilizzo di associazioni farmacologiche con interferone e ribaviri-na poco attive e scarsamente tollerate, si assisterà a breve dopo l’introduzione di far-maci specifici a base di sofosbuvir per os estremamente attivi a una regressione della malattia in oltre il 90% dei casi. Questi far-maci saranno pertanto in grado non solo di variare la storia naturale della malattia ma anche di debellare la recidiva della stessa dopo trapianto di fegato.

La recidiva neoplastica

Il ruolo del trapianto epatico nella terapia dell’epatocarcinoma è sempre stata ogget-to di controversia per l’elevato rischio di recidiva della malattia neoplastica dopo l’intervento. Studi recenti, peraltro, sembra-no confermare la superiorità del trapianto rispetto a ogni altra opzione terapeutica soprattutto nei casi di piccola neoplasia pri-mitiva epatica non resecabile con risultati di sopravvivenza a lungo termine compa-rabili a quelli ottenuti in pazienti con sola malattia cirrotica. L’accurata selezione del paziente è pertanto cruciale per il succes-so dell’intervento. In base alle esperienze più consolidate possono essere indicati i seguenti criteri di trapiantabilità: nel caso di neoplasia singola, la lesione non deve superare il diametro massimo di 5 cm; nel caso di neoplasia multifocale il numero delle lesioni non dovrebbe essere superiore a 3 e il loro diametro massimo non supe-riore ai 3 cm. Tali criteri (criteri di Milano) usati a livello mondiale consentono la tra-piantabilità dei pazienti affetti da neoplasie con risultati eccellenti e paragonabili alla patologia non neoplastica. Fattore limitante

è la progressione della malattia neoplastica che se non contrastata con terapia radio-logica (radiofrequenza o chemioembolizza-zione) o chirurgica resettiva può condurre a una fuoriuscita del paziente dai criteri di trapiantabilità. Purtroppo altri fattori quali la considerazione del rischio della procedura trapianto, del suo elevato costo nonchè la consapevolezza della scarsa disponibiltà di donatori impongono delle scelte. Noi cre-diamo che soprattutto l’età del paziente e la gravità della sua cirrosi siano fondamentali elementi guida per l’inserimento in un pro-gramma di trapianto (4).

Split liver e trapianto da vivente

L’evoluzione della chirurgia epatica e soprat-tutto la necessità di implementare l’impiego degli organi disponibili ha consentito l’e-voluzione della tecnica di split liver. Già da alcuni anni Henry Bismuth di Parigi preco-nizzava l’idea che il fegato al pari del rene fosse un organo doppio dotato di una parte destra e di una sinistra autonome e poten-zialmente trapiantabili singolarmente. Ma quello che più ha portato allo sviluppo delle split-liver è la critica mancanza di donato-ri in età pediatrica soprattutto per bimbi di piccola massa corporea. L’impiego del 2° e 3° segmento epatico hanno rivoluziona-to la concezione del trapianto pediatrico consentendo in pratica una riduzione della lista di attesa a poche settimane per piccoli pazienti in attesa di trapianto. Una evolu-zione ulteriore è lo split liver per ricevente adulto in cui la divisione del fegato ottiene due parti pressoché simili per dimensioni e consente il trapianto di due pazienti adulti: questa tecnica è ovviamente più complessa di quella utilizzata nel trapianto pediatrico ed è utilizzabile solo in casi selezionati (5,6).Lo split liver per due adulti e il trapianto parziale di fegato da donatore vivente su ricevente adulto sembrano destinati ad acquisire una rilevanza sempre maggiore nonostante i rischi di mortalità e morbilità sul donatore vivente e i conflitti bioetici che quest’ultima procedura ha sollevato.Attualmente il trapianto di fegato da dona-tore vivente sia in Europa che nei Centri USA e asiatici può essere considerata la più importante risorsa terapeutica dopo il tra-pianto da donatore cadavere.D’altro canto tale opzione terapeutica è

l’unica a disposizione in molti paesi ove il prelievo da donatore cadavere è vietato o, comunque, del tutto episodico per motivi storici, religiosi o socio-culturali. Dopo il 1° intervento eseguito con successo da Makuuchi a Tokio nel 1993 con trapianto di emifegato sinistro da vivente e da Tanaka che utilizzò l’emifegato destro, tale proce-dura si è rapidamente espansa negli Stati Uniti e in Europa (7,8,9).

Bibliografia 1. Angelico M, Nardi A, Marianelli T, et al.

Hepatitis B-core antibody positive donors in liver transplantation and their impact on graft survival: evidence from the Liver Match cohort study. Journal of Hepatology 58:715-23, 2013

2. De Simone P, Nevens F, De Carlis L, et al. Everolimus with reduced Tacrolimus improves renal function in de novo liver transplant recipients: a randomized controlled trial. American Journal of Transplantation 12: 3008-20, 2012.

3. Saliba F, De Simone P, Nevens F, et al. Renal function at two years in liver transplant patients receiving everolimus: results of a randomized, multicenter, Study. American Journal of Transplantation 13: 1734-45, 2013.

4. Vitale A, Volk ML, De Feo T, et al. A method for establishing allocation equity among patients with and without hepatocellular carcinoma on a common liver transplant waiting list. Journal of Hepatology 2013 0ct 23. pii: S0168-8278(13)00732-0. doi: 10.1016/j.jhep.2013.10.010 [Epub ahead of print].

5. Zambelli M, Andorno E, De Carlis L, et al. Full-Right-Full-Left Split Liver Transplantation: the retrospective analysis of an early experience including graft sharing American Journal of Transplantation 12 :2198-210, 2012.

6. Aseni P, De Feo T, De Carlis L, et al. A prospective policy development to increase Split-Liver transplantation for 2 adult recipients: results of a 12-year multicenter collaborative study. Annals of Surgery 259: 157-65, 2014.

7. Broelsch CE, Whitington PF, Emond JC, et al. Liver transplantation in children from living related donors: surgical techniques and results. Ann Surg 214: 428-37, 1991.

8. Pomfret EA, Pomposelli JJ, Lewis WD, et al. Live donor adult liver transplantation using right lobe grafts: donor evaluation and surgical outcome. Arch Surg 136: 425-33, 2001.

9. Cronin DC, Millis JM, Siegler M. Transplantation of liver grafts from living donors into adults: too much, too soon. N Engl J Med 344: 1633-7, 2001.

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24 Osservatorio / Un ruolo sempre più impegnativo

Qualcuno sostiene che gli uo-mini generalmente non san-

no che cosa sia veramente la pro-stata fino a quando non comincia a “farsi sentire”. In effetti, non è un organo vitale ma è una specie di “centralino” dell’apparato urinario e riproduttivo maschile. La funzio-ne principale di questa ghiandola è quella di produrre il liquido se-minale quale ambiente idoneo al mantenimento degli spermatozoi durante l’eiaculazione.La prostata è attraversata dall’ure-tra che è un canale che trasporta l’urina e il liquido seminale.Durante il corso della vita la pro-stata può essere colpita da diverse malattie. Le più comuni sono quel-le ipertrofiche (ipertrofia prostati-ca benigna o IBP), infiammatorie, solitamente di origine batterica (le prostatiti) e tumorali (adenocarci-noma prostatico). Mentre le pro-statiti colpiscono più spesso in età giovanile, le altre due condizioni

Dott. Aurelio SessaMedico di Medicina GeneralePresidente Lombardia Società Italiana di Medicina Generale (SIMG)Comitato Scientifico di Europa Uomo Italia Onlus

L’importanza del medico di famiglia

Fra gli uomini che si rivolgono al proprio medico per l’ipertrofia prostatica, sono sempre piùquelli che chiedono di essere guidati nella valutazione dei fattori di rischio del tumore della prostata.

Articolo tratto dalla Rivista “Europa Uomo” maggio 2013 – edita dell’Associazione “Europa Uomo Italia Onlus”- www.europauomo.it

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sono più comuni mano a mano che l’età avanza. Questo è il motivo per cui l’uomo comincia ad accorgersi personalmente dell’esistenza della prostata dopo i 50 anni, proprio per una serie di disturbi che sempre più frequentemente si presentano con il passare degli anni. Questi disturbi prendono il nome di LUTS, un acronimo inglese che significa “Low Urinary Tract Symptom” ossia “Sintomi delle basse vie urinarie”.Sono questi i sintomi che portano il paziente, solitamente ultracinquan-tenne, dal proprio medico di fami-glia riferendogli di alzarsi spesso di notte ad urinare e che il getto – spe-cialmente alla mattina – è debole e che tutto ciò, da qualche tempo, rende la sua vita non gradevole…

Ma quanti sono questi uomini?Dal database di HealthSearch (Uni-tà di ricerca della Simg - Società Italiana di Medicina Generale), che raccoglie le cartelle cliniche di ol-tre 2 milioni di persone - da par-te di circa 1000 medici di famiglia italiani -, emerge che, rapportando il dato alll’intera popolazione italia-na, siano almeno 4 milioni gli uomi-ni affetti da patologia prostatica.Come si evince dalla figura 1, la prevalenza incrementa continua-mente sia perché aumenta costan-temente la vita media dei maschi italiani e sia perché vengono poste più diagnosi. Infatti, i maschi ricor-rono più frequentemente al proprio medico, riferendogli questi distur-bi in maggior quantità rispetto agli anni precedenti.Tra l’altro, “l’epidemia” di IPB inte-ressa praticamente quasi un ma-schio su 2 dopo i 65 anni e con una distribuzione geografica con una maggior prevalenza nel Sud Italia (fig. 2 e fig. 3).Compito del medico di famiglia è innanzitutto cercare di alleviare ai suoi pazienti questa sintomatolo-gia fastidiosa in una gestione com-plementare con l’urologo e impo-

Figura 1. Prevalenza (%) “lifetime” di ipertrofia prostatica benigna (2003-2011).

Figura 2. Prevalenza “lifetime” di IPB per fasce d’età nel 2011.

Figura 3. Prevalenza “lifetime” di IPBstandardizzata per fasce di età: analisi regionale.

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Figura 5. Percentuale di casi di tumore della prostata (in alto) in seguito alle prescrizioni di PSA nella popolazione maschile sopra i 50 anni (in basso).

Figura 4. Prevalenza (casi per 1000) di tumore della prostata dal 2003 al 2011.

stare una terapia farmacologica appropriata al fine di prevenire la progressione verso due eventi spiacevoli quali la ritenzione acuta d’urina e la terapia chirurgica.Orbene, i nostri pazienti, che defi-niamo “prostatici”, vogliono anche informazioni sul tumore della pro-stata, sia perché molti loro coeta-nei hanno vissuto questa esperien-za e sia perché è una paura che, se anche non viene direttamente esplicitata, li accompagna. Talvolta il tutto parte con una richie-sta di eseguire il dosaggio del PSA mentre vengono prescritti altri esa-mi ematochimici, altre volte perché il nostro paziente l’ha letto su qualche rivista o ne ha sentito parlare in tele-visione oppure perché il medico di famiglia lo prescrive proprio a com-pletamento di indagini diagnostiche nei pazienti con disturbi prostatici.

I dati epidemiologici ci dicono che in Italia ogni anno sono più di 40 mila gli uomini con una nuova dia-gnosi di tumore della prostata, il che significa che ogni medico di famiglia ha mediamente un nuo-vo paziente ogni anno con questa diagnosi, oltre ai pazienti ai quali è stata posta la diagnosi negli anni precedenti.Anche la prevalenza del tumore della prostata è cresciuto negli ul-timi anni (fig. 4), in particolare dagli anni ’90, quando è stata dimostra-ta l’utilità del PSA nella diagnosi di tumore della prostata e da allora si è diffuso ampiamente l’uso clinico

Osservatorio

In assenza di unsospetto diagnosticoo di fattori di rischio,

è importante informare il paziente

sui pro e i controdel dosaggio del PSA

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Figura 6. Prevalenza (x 1000) di tumore della prostata: analisi per regione.

del suo dosaggio. Ciò è dimostrabile anche in Italia perché laddove si richiede un mag-gior numero di dosaggi di PSA vi è un aumento della diagnosi di tumo-re della prostata (fig. 5),

36%34%

23%

31%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

Nord Centro Sud-isole Italia

tanto che la distribuzione geografica mostra una maggior prevalenza nel Nord/Nord-Est rispetto al Sud Italia con un rapporto quasi di due casi al Nord contro un caso al Sud (fig. 6).Siamo convinti che possano entrare in gioco in questa differenza sia una diversa alimentazione che fattori

ambientali concomitanti, ma il dato più significativo è che al Sud ven-gono richieste meno determinazioni di PSA rispetto al Nord Italia.Ciò a conferma del fatto che l’uso del PSA nell’attività clinica ha de-terminato una importante antici-pazione diagnostica ma anche un sovratrattamento di quelle forme neoplastiche che non si sarebbero mai rese clinicamente manifeste.Per questo motivo riteniamo, come società scientifica, di non supporta-re campagne che vogliano promuo-

vere lo screening di massa del PSA ma che sia importante discutere con il paziente l’opportunità di tale dosaggio, nel caso lo desideri, for-nendo tutte le informazioni sui pro e i contro della determinazione del marcatore in assenza di un sospet-to diagnostico o di fattori di rischio.Quindi, il ruolo del medico di fami-glia è determinante del processo di cura del paziente, non solo nel momento della diagnosi, ma anche nei momenti successivi all’insor-genza della patologia anche per indirizzare e affidare il paziente alle migliori cure specialistiche.Oggi le cure possono variare dagli atteggiamenti osservazionali nel tempo, e cioè dal monitoraggio della “Sorveglianza Attiva” alla “Vi-gile Attesa”o “Watchful Waiting”, alla chirurgia oppure la radiotera-pia o la terapia ormonale, talora diversamente combinate. Ebbene, l’urologo potrà consigliare e valutare insieme con il pazien-te la terapia più adatta in relazione alle caratteristiche del tumore e alle aspettative del paziente stesso. Ogni trattamento può avere rea-zioni avverse o interferenze con terapie farmacologiche che il pa-ziente assume perché portatore di altre patologie. Ecco che, nei tempi successivi, diventa ancora più im-portante il rapporto con il proprio medico di famiglia, che è deposi-tario della continuità delle cure del paziente. L’alleanza con il paziente deve tradursi nei modi e nei tempi in cui l’aderenza alle terapie deve essere massima, così come la ca-lendarizzazione dei controlli ema-tochimici e strumentali che devono essere valutati con l’urologo nella visione di una gestione integrata.Oggi, fortunatamente, grazie all’im-pegno della ricerca, dell’epidemio-logia clinica, delle cure e di questa gestione interdisciplinare la soprav-vivenza di questa neoplasia è tra le migliori in campo oncologico e con-tiamo, nel tempo, di migliorare sem-pre più questo percorso di cura. n

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Disturbi addominali

Lombardo LucioSpecialista in Gastroenterologia, Torino

La dizione “disturbi addominali” è voluta-mente vaga e comprende sintomi diversi, dal senso di malessere indefinito, al dolore addominale di ogni intensità e caratteristi-ca, al senso di gonfiore e tensione, che ogni singolo paziente può calibrare da insignifi-cante a intollerabile. Solitamente tale dizio-ne è fusa e confusa con il termine ancora più generico, ma più medicale, di dispepsia oppure con l’altro, non meno generico, di sindrome dell’intestino irritabile (IBS).L’obiettivo di questa flow-chart è di aiutare il medico pratico nella soluzione dei problemi clinici quotidiani, di fronte a situazioni cli-niche che corrono il rischio di essere eti-chettate genericamente come dispepsia o IBS, ma che possono, e debbono, essere precisate dal punto di vista diagnostico e, conseguentemente, terapeutico.Escludere neoplasie degli organi addominali è il primo obiettivo.Aiuti importanti al raggiungimento di tale obiettivo ci vengono dall’anamnesi e dalla medicina basata sull’evidenza. L’anamnesi e l’esame obiettivo ci consen-tono di capire se sono presenti sintomi di allarme e fattori di rischio, che ci indirizza-no correttamente (calo ponderale >  10%; anemizzazione, emorragia digestiva, inap-petenza severa, masse addominali, ver-samento peritoneale; presenza di malattie infiammatorie croniche dell’intestino o IBD, poliposi familiare, familiarità per cancro, HNPCC, fumo, alcol, sovrappeso, dieta ricca in carni rosse e insaccati etc.).

L’epidemiologia ci guida e orienta sulla maggiore o minore possibilità di neoplasie in una data fascia di età o di sesso in una data area geografica. Sappiamo per esempio che in Italia, in assenza di sintomi di allar-me, sotto l’età di 45 anni, il tumore gastri-co è virtualmente inesistente e che negli uomini è più frequente che nelle donne (con un’incidenza standardizzata rispettivamente del 19/105 e 8/105, mentre in Piemonte è discretamente più bassa: 16/105 e 6/105, rispettivamente) 1. Il cancro del colon retto nell’Italia settentrionale ha un’incidenza del 66,5/105 (M: 70/105; F:43/105) e l’età più colpita è quella oltre i 50 anni 1. Il cancro del pancreas ha un’incidenza nel nostro Paese del 9,2/105 , con un rapporto M:F = 1:1.In presenza di sintomi di allarme è neces-sario procedere a esami anche invasivi (EGDscopia, Colonscopia, TAC, RM etc), onde porre diagnosi di sicurezza e tratta-mento idoneo.Con questi dati in mente, tuttavia, in assen-za di sintomi di allarme, si possono evitare, in una percentuale importante di casi, inda-gini invasive, socialmente e individualmente costose, e ottenere un inquadramento dia-gnostico e terapeutico corretto, con soddi-sfazione del paziente e del medico.Con l’aiuto di un’attenta anamnesi farma-cologica è inoltre possibile individuare ulte-riori utili informazioni. Alcuni farmaci, infatti, come gli inibitori della pompa protonica (IPP), gli antibiotici, l’allopurinolo, gli psi-colettici, gli Inibitori selettivi del re-uptake

della serotonina (citalopram, fluoxetina, paroxetina ETC) possono indurre sintomi variabili, da sfumati a molto severi, dal gon-fiore, al dolore addominale, alle alterazioni dell’alvo, prevalentemente di tipo diarroico, fino alla malnutrizione, con modificazioni importanti dell’ecoflora intestinale  2  3. In particolare gli IPP possono causare sovrac-cescita batterica dell’intestino tenue (SIBO) con un’incidenza del 50% dopo 1 anno e del 75% dopo 5 anni di trattamento conti-nuo a dose piena (Figg. 1, 2) 2.Pertanto, una volta escluse condizioni pato-logiche come la celiachia e l’intolleranza al lattosio (con un semplice esame del san-gue, l’abtTG, e con il breath test al lattosio), percorsi mentalmente i passaggi logici della flow-chart sui disturbi addominali, consi-derando analiticamente e criticamente l’a-namnesi farmacologica, il medico pratico si trova di fronte a una situazione clinica che possiamo definire “funzionale” e che spes-so può essere inquadrata in un’alterazione della flora batterica intestinale e nella SIBO, in particolare.Può essere utile, a questo punto, conferma-re la diagnosi con un Breath test che può essere al glucosio, al lattulosio o al lattosio.Il breath test al glucosio è indicato per la diagnosi di SIBO “alta”, cioè localizzata nel tratto digestivo alto (duodeno e digiuno).Il breath test al lattulosio può essere utile nella diagnosi della SIBO “bassa”, cioè localizzata all’ileo, dove il gluco-sio, prontamente assorbibile, potrebbe

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non arrivare per essere metabolizzato dai batteri in eccesso eventualmente presenti nell’ileo, mentre il lattulosio vi giunge facilmente.Il breath test al lattosio, disaccaride com-posto da glucosio e galattosio, oltre a darci una diagnosi di sicurezza di intolleranza al lattosio, consente di porre diagnosi di SIBO, nel caso di presenza di batteri in sovraccre-scita nei tratti digestivi superiori, segnalan-

do tale evenienza con un precoce picco di H

2 o di CH

4 nell’espirato raccolto.

Ora è noto che la SIBO dà sintomi che si confondono con quelli della IBS. Viene valu-tato che, in realtà, l’IBS nasconde/simula una SIBO nel 20-40% dei casi, a seconda dell’area geografica e abitudini alimentari e farmacologiche della popolazione. Se si aggiungono i casi dei pazienti in trattamen-to con IPP per più di 1 anno, con un rischio

di contrarre la SIBO superiore al 50%, si evince facilmente che la percentuale di pazienti che possono ricevere una diagnosi e un trattamento corretto, pensando a que-sta possibilità, è tutt’altro che trascurabile.Mentre per un’alterazione lieve, qualitativo/quantitativa, della flora batterica intestina-le può essere sufficiente un trattamento standard con rifaximina (400 mg  x  2/die per 1 settimana), seguito da un “condizio-namento” con probiotici (bifidobatteri e/o lattobacilli, in particolare) per 1 settimana, per la SIBO la terapia deve essere più con-sistente e prolungata, se si vuole raggiun-gere un tasso di guarigione alto (> 90%). In quest’ultimo caso la posologia consolidata è di 400 mg x 3/die per 2 settimane, meglio se seguita da un periodo di trattamento con probiotici per 2 settimane. In caso di recidiva della SIBO, prevedibile se persiste la causa, è possibile un ri-trat-tamento con rifaximina alla stessa posolo-gia e durata. Altri antibiotici (ciprofloxacina, levofloxacina, metronidazolo etc.) possono essere considerati, da soli o in associazione con rifaximina, nei casi più difficili. Gli antibiotici sistemici, tuttavia, posso-no avere un’incidenza di effetti collaterali superiore alla rifaximina, antibiotico ad azione topica, mirata, con una percentuale di assorbimento < 1%.L’augurio e l’obiettivo di questa impostazione di lavoro sono che con elementari indagini anamnestiche e misure diagnostiche sem-plificate sia possibile raggiungere una qua-lificata condotta diagnostico-terapeutica, con soddisfazione del paziente e del medico e risparmio della spesa economica individuale e sociale, per riduzione degli esami invasivi e del ricorso ripetuto alle strutture mediche del territorio e specialistiche.

Bibliografia1 Incidence and mortality cancer trends of the

Italian Network of cancer Registries (AIRTUM) 1998-2005. Epidemiologia & Prevenzione 2009;33:1926-50.

2 Lombardo L, Foti M, Ruggia O, et al. Increased incidence of small intestinal bacterial overgrowth during proton pump inhibitor therapy. Clin Gastroenterol & Hepatol 2010;8:504-8.

3 Pilotto A, Franceschi M, Vitale D, et al. For FIRI and SOFIA project. The prevalence of diarrhea and its association with drug use in elderly outpatients: a multicentre study. Am J Gastroenterol 2008;103:2816-23.

FIgura 1.

Incidenza della SIBO nei pazienti trattati per 1 anno con inibitori della pompa protonica, a dose piena, (PPI) e rispettivamente nei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile (IBS) e nei soggetti sani di controllo (HC) 2.

FIgura 2.

Prevalenza della SIBO nei pazienti trattati con inibitori della pompa protonica in funzione della durata della terapia 2.

%

PPI IBS HC0

10

20

30

40

50

60

Positivitàalglucosio-HBT

MesiditrattamentoPPI

2-6

15

7-12

22

13-36

69

37-60

73

> 61

75

0

10

20

30

40

50

60

70

80

%

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Decidere in terapiaDialogo sul Metodo della cura

Decidere in terapia? Si, molto interessante…io devo decidere tutti i giorni, cosa fare con quel paziente.Scorro l’indice:Terapie senza diagnosi? Molteplicità di terapie Logica e terapia Guarigione e cronicizzazione Pedagogia della guarigione Etica della prevenzione Etica della terapiaDecidere in condizioni d’incertezza Etica dell’informazione al paziente Quando e come la “terapia etica”Il fenomeno dell’iperprescrizione Quando smettere?

Temi rilevanti e quotidiani della pratica del medico di medicina generale: tutti i giorni decido, ma è vero che non rifletto sul metodo della deci-sione? allora perché decido di fare in un modo anziché in un altro? oramai lo do per scontato…all’Università nessuno me lo ha insegnato!

E via via che scorro queste pagine e mi lascio trascinare dal dialogo fra Luciano e Giacomo, mi rendo conto che mi piace perché non si tratta solo di un dialogo fra due medici “esperti”, ma di un dialogo che trasferisce all’esterno e rende esplicito il dialogo interno del medico, che c’è in ogni atto medico, e avviene sempre per dare risposta alla domanda del paziente. Questo è tanto più vero per il medico di Medicina Generale, dove l’approccio bio-psico-sociale, la conoscenza nel tempo del paziente e della sua storia, dei suoi vissuti di malattia, rendono quasi automatico il passaggio dal dottore io ho…alla risposta “di cura” del medico… anche quando la cura non è sempre un farmaco, ma un consiglio, un esame, un nuovo appuntamento… per aggiungere a volte torna se non passa…Il nostro metodo sembra preferire il fare al sapere.A chi non fa la nostra professione il nostro agire può sembrare superficiale e generico, ma non lo è.In realtà c’è dietro non solo un allenamento decisionale, ma un saper essere e un saper fare specifico della nostra professione, che ci permette il passaggio dal “sapere”, al “saper fare” e al “fare”…anche quando la risposta è non fare…aspettare…far tornare…per capire la vera domanda del paziente… Quante domande fra il pensare, il dire e il fare! Si può aspettare?…La terapia è quella più adatta per quel paziente, al di là delle linee guida? Quale ricaduta avrà sulla sua qualità di vita? Quante volte ritornerà per lo stesso problema? Bisogna agire sempre con pochi strumenti tecnologici e molto ragionamento, prima- durante -dopo la cura. Oltre che per il medico come professionista, questo libro è un aiuto per i medici di Medicina Generale quando svolgono l’attività di Tutor e docenti: il dialogo fra Giacomo e Luciano è lo specchio di quanto succede quando noi, dialogando con il nostro tirocinante, diamo risposte sia a lui che a noi stessi, perché esplicitiamo il processo decisionale e il perché abbiamo deciso in un modo piuttosto che in un altro…

Il dialogo che si svolge fra i due autori è una sorta di viaggio, con riflessioni, dubbi e risposte diverse e motivate, che stimolano domande e risposte nei lettori per conciliare scienza e arte della cura per la persona… è una guida al ragionamento terapeutico” metodologicamente corretto ed eticamente fondato” come lo definiscono gli autori. Il dialogo può così a volte veicolare insegnamenti, attraverso le risposte che un “maestro” dà a un “discepolo”, altre volte confutare argomenti, facendo dialogare polemicamente personaggi portatori di opinioni diverse; è un “passo a due” di danza, che si adatta bene alla fatica della scoperta del “perché si fa così”... (dalla prefazione di Cesare Scandellari, Fabrizio Consorti e Carlo Maganza)Buon viaggio allora per “decidere in terapia”.

Maria Stella Padula

Recensione