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Metropolzine 25

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Metropolzine 25

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Metropolzine n. 25Metropolzine è un periodicodell’Associazione Culturale“Italian Dreamers”Casella Postale 16147838 Riccione Centro RN

Tiratura: 1500 copie

Finito di Stampare:dicembre 2005

Italian Dreamers Staff:Simone FabbriMarco Petrini

Collaboratori:Ivan IapichellaEmiliano MaielloStefano TappariAntonio VescioMarco TermineFrancesco Zecchetto

Web Master:Francesco CastaldoAlessandro Tramonti

Sede Legale ed iscrizioni:Italian DreamersCasella Postale 16147838 Riccione Centro RN

Internet Home Page:www.italiandreamers.net

Forum:www.ytseitalia.net

Photo Credits:Italian Dreamers StaffMike PortnoyMP.comJordan RudessJR.comDarko BohringerScott Hansen

Stampa:Studiostampa s.a. - RSM

DREAM THEATER 20TH ANNIVERSARY TOUR GRAND FINALE AT RADIO CITY MUSIC HALL IN NEW YORK CITY! Date storiche nella storia dei Dream Theater: 28 maggio 1986 - Sundance - Bayshore, NY (primo vero concerto)

23 aprile 1993 - The Marquee - London, England (Live at the Marquee CD) 31 gennaio 1995 - Ronnie Scott’s - London, England (“Uncovered” Fan Club show / A Change Of Seasons CD) 22 giugno 1998 - Nighttown - Rotterdam, Holland (“Unplugged” Fan Club show / 5 Years In A LIVEtime DVD) 25 giugno 1998 - Le Bataclan - Paris, France (Once In A LIVEtime CD) 30 agosto 2000 - Roseland Ballroom - New York City (Live Scenes From New York DVD & CD) 6 marzo 2004 - The Pantages - Los Angeles, CA (When Dream And Day Reunite DVD & CD) 26 aprile 2004 - Budokan - Tokyo, Japan (Live At Budokan DVD & CD) Aggiornate il vostro calendario perchè ora c’è una nuova data da segnare:

Sabato 1 aprile 2006 “A VERY SPECIAL EVENING WITH DREAM THEATER” at RADIO CITY MUSIC HALL in NEW YORK CITY Ultimo concerto del 20th Anniversary Tour 2005/2006, questo “Grand Finale” sarà registrato e filmato per una prossima uscita in CD e DVD.

Toto “Falling in Between”Prodotto e registrato in un periodo di circa 9 mesi presso i Phantom Studios di Los Angeles; esce il 10 febbraio il nuovo album dei Toto: “Falling in Between”. Il vero nucleo della band che si riunisce: Bobby Kimball (cantante), Steve Lukather (chitarre/voci), David Paich (tastiere), Mike Porcaro (basso), Simon Philips (batteria) e con la novità Greg Phillinganes (Stevie Wonder, Michael Jackson, Eric Clapton) alle tastiere e cori. Varie partecipazioni d’eccellenza tra cui Joseph Williams (primo cantante della band) che duetta con Steve Lukather ma, anche Ian Anderson (Jethro Tull), la sezione fiati dei Chicago, L. Shenkar (Peter Gabriel) e ancora Lenny Castro, Tom Scott, Roy Hargrove e tanti altri. Ma la vera novità è che questo nuovo album esce per una casa discografica tutta italiana, la Frontiers Records (www.frontiers.it). A seguire un tour che toccherà Europa e Giappone ed arriverà in Italia sabato 18 marzo al Mazda Palace di Milano. Per l’occasione Frontiers Records mette in palio 3 copie di questo “Falling in Between” a chi risponderà correttamente alla seguente domanda: “Quanti album hanno pubblicato i Toto?”.

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Mamma mia che freddo. Scaldiamo-ci i cuori e ripar-tiamo da ottobre ringraziando tutti voi per l’affetto e la stima che ci avete dimostrato. Volti noti e facce nuove che hanno vissuto i tre concerti ita-liani con la giusta intensità di chi sa di far parte di qual-cosa di ecceziona-le. L’accoglienza nei confronti dei Dream Theater è

stata toccante, l’aria che si respirava era elettrica e frizzante. Segno evidente che la voglia di Dream Theater è difficile da sopire.Vi volevamo ringraziare per la vostra edu-cazione e cortesia sia per l’entrata antici-pata che la tribuna riservata, tutto è filato liscio mentre gli altri guardavano con invidia il nostro striscione e le faccie dietro di esso. Ad incorniciare il tutto ci abbiamo pensato noi allegandovi l’ormai “famoso” regalo di Natale. Lo sappiamo che siamo un pelo in ritardo ma mettetevi comodi e gustatevi il DVD, per noi ne vale veramente la pena. Metropolzine 25 si presenta così, sappiamo che la prima cosa che farete sarà vedervi il filmato, anche per più volte, ma una volta che vi sarete ripresi, tornate a leggere an-che la vostra amata fanzine. Vi raccontia-mo come abbiamo vissuto noi questo anno fantastico, vi sveliamo i segreti di Jordan ed andiamo in profondità in tutte le teorie e le fantasie che hanno accompagnato l’uscita di Octavarium. Per quanto riguarda la band, in primavera saranno in Nord America per la parte finale del tour che si concluderà con la ciliegina sulla torta suonando nello storico “Radio City Music Hall” di New York il prossimo primo aprile (pesce?). Noi ci sa-remo per un resoconto totale sulla serata e sul tour del loro ventesiamo anniversario. Dopodichè i Dream Theater andranno in vacanza e passeranno l’estate 2006 a non fare assolutamente nulla, “La prima estate libera dal 1993” così dice Mike in una mail (ma sarà vero?). Leggetevi anche la pagina dedicata ai concorsi perché c’è una grossa ed importante novità legata alla cover band ufficiale italiana ed alla serata della finale. Noi , intanto, torniamo vicino al termosifo-ne con un bicchiere di vin brulè in mano. Salute.

Italian Dreamers Staff

Office Of Strategic Influence 2 (con Mike Portnoy) Jim Matheos, Kevin Moore and Mike Portnoy si sono incontrati al Carriage House Studios in Connecticut dal 18 al 20 novembre scorso per registrare la batteria del nuovo capitolo del progetto OSI. Successivamente Jim and Kevin hanno terminato le chitarre e la voce. L’album sarà mixato a gennaio 2006 e per l’uscita vi preghiamo di visitare il sito: www.osiband.com.

Mike Portnoy’s “Amazing Journey” (A Tribute to The Who) (featuring Mike Portnoy, Paul Gilbert, Billy Sheehan and Gary Cherone).La quarta (e probabilmente ultima) cover band assemblata da Mike Portnoy suonerà tre concerti negli USA come tributo ad una delle più grandi live band nella storia del Rock & Roll.

27 maggio 2006 - Whittier, CA - The Center Theater Stage 30 maggio 2006 - Chicago, - IL Durty Nellie’s 31 maggio 2006 - New York City - BB King’s Blues Club

The Hammer Of The Gods “Two Nights In North America”DVD e doppio CD (featuring Paul Gilbert, Daniel Gildenlow, Dave LaRue and Mike Portnoy).I concerti di New York e di Montreal in tributo ai Led Zeppelin sono disponibili in un unico DVD ed in un doppio CD direttamente sul sito di Mike Portnoy: www.mikeportnoy.com

www.jordanrudess.comNovità sul sito di Jordan, è online il Rudess Download Store con musica, video e materiale raro. Scaricabili anche samples e programmi per sinth originali.Dall’online store è possibile acquistare anche il nuovo video didattico “Keyboard Madness: Mastering Live Performance”, un viaggio nella carriera di Jordan con i Dream Theater, bonus footage tratto da tre pezzi di “Rhythm of Time.”

www.italiandreamers.netGli account degli iscritti al nostro sito verranno disabilitati il 31 marzo 2006. Sia per i vecchi che per i nuovi iscritti, al ricevimento della nuova tessera, bisognerà eseguire nuovamente la procedura di registrazione per poter accedere ai contenuti speciali.

Dream Theater: SFAM & Made in JapanSorpresa nelle date giapponesi di Tokyo del 13 gennaio e di Osaka del 15 gennaio 2006 quando, perseguendo la loro tradizione di cover album durante la seconda serata, i Dream Theater hanno eseguito tutto “Made in Japan” dei Deep Purple. Il 16 gennaio per la terza serata di Tokio hanno eseguito dall’inizio alla fine Octavarium.Nelle date sudamericane del 4 dicembre a Buenos Aires e dell’11 dicembre 2005 a San Paolo è stato eseguito tutto Scenes from a Memory.

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Il volo verso Newark passa in-solitamente veloce e tranquillo, penso di aver dormito per i tre quarti del viaggio mentre mia sorella non ha fatto altro che sfogliare riviste di moda. Divide-rò questo viaggio con lei, i primi tre giorni nella grande mela ed i restanti quattro a Philadelphia, ospitati dalla Francy che vive li da due anni insieme a Marco, chimico di UPENN. Le nuove leggi sulla sicurezza degli States mi imbarazzano un po’, vorrei proprio vedere che faccia ave-vo nella fotografia che ti fanno appena sbarcato mentre l’omo-ne in divisa ti “invita” a lasciare anche le tue impronte digitali nell’apposita macchinetta.

Bus fino a Port Authority e taxi fino all’Holiday Inn sulla 57esi-ma, ho seguito il consiglio di Mike ed ho prenotato nello stesso albergo in cui soggiorna la band visto che l’Hit Factory è solo a tre isolati di distanza. L’appuntamento con lui è per il giorno dopo e quindi decido di ammazzare il jet lag con un hot dog ed una birra inconsistente in piena Times Square. Piove nelle strade di New York City, ma fa nulla, torniamo in albergo zuppi e straniti dalle luci e dai gratta-celi. Gli Holiday Inn di Manhat-tan sono ottimi ma, attenzione, perché qualsiasi tasto tu tocchi in camera ti verrà addebitato sul

conto, c’è un servizio nella tele-visione interattiva che ti permet-te di navigare su internet, ma esiste solo una tariffa, dieci dol-lari per 24 ore, avanti pure, crepi l’avarizia, ho necessità assoluta di leggere le mail ed ecco quello che cercavo. L’appuntamento per il giorno dopo in studio è slittato, Mike, che sta scrivendo da circa 300 metri di distanza, mi invita per le 14 di mercoledi 16 febbraio, niente di particolare tranne il fatto che proprio quel giorno ci saranno le sessioni di registrazione dell’orchestra, mi addormento con uno strano sor-riso in faccia.

La sensazione è inti-ma, solo Petrus sape-va dove sarei andato quando mi sono imbar-cato, ma nessuno dei due immaginava che l’ennesimo sogno si sarebbe materializzato. Imbraccio la mia D70, lo zoom 70-200 ed il grandangolare sono pronti e passata la por-ta d’ingresso mi dirigo verso l’ascensore indicatomi dalla segretaria. L’Hit Factory è come un grande condominio, ma mi da l’idea di essere un at-timo in disuso, l’ascensore sale lentissimo, tutto in legno sem-bra più una piattaforma, sbuco in un corridoio che mi conduce

in un’anticamera pie-na di tavoli, sedie e roba da mangiare e da bere. Ci siamo, di fronte a me le porte dello studio numero 1, apro, entro e nessuno si gira. Mike, John, Doug e tre assistenti sono tutti impegnati a guardare aldilà del vetro, la piccola or-chestra formata da 16

elementi è al secondo “take” di quello che scoprirò più tardi es-sere la parte finale di “Sacrificed Sons”. Sbalordito e con il cuo-re a mille, ecco come mi sono sentito. Vero è che incontrare la band è ormai routine, ma esse-re li, in quel momento e in quel contesto mi ha, ancora una vol-ta, trasformato in un bimbo feli-ce che vede per la prima volta un Luna Park.

Pausa, ci salutiamo mentre Doug entra in sala registrazioni per si-stemare meglio il microfono del violoncello, arriva anche Jordan e Rich, un ragazzo inglese che sta scrivendo la biografia ufficia-

le del gruppo. Siamo affondati in quel sofà marrone da circa un’ora quando il Pro Tool sul Mac si pianta e deve essere riavviato, mi alzo per sgranchirmi ed ecco Mike, con un insolito paio di oc-chiali da vista che mi dice di se-guirlo in sala, lui ha la sua solita telecamera digitale, io sfodero la Nikon ed incomincio a scattare. Le foto le avete viste su Metropol-zine 23 e, per il risultato inaspet-tatamente ottimo, mi verranno richieste poco prima dell’autunno anche per essere immortalate nel Tourbook ufficiale che accompa-gna il merchandise della band in giro per il mondo.

Ore 17.37, l’orchestra esce e ri-mane in sala solo il flauto; incredi-

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bile, effettua solo una registrazio-ne del solo che sentiamo all’inizio di Octavarium e Petrucci dichiara “buona la prima”. Terranno quel-la, senza una seconda versione, applauso generale e finalmente la tensione si stempera, Mike or-dina “Burgee!!!”, sostanzialmente hamburger per tutti.

Sinceramente, del nuovo album non ho capito nulla, ascoltando solo le parti dove sarà aggiunta l’orchestra faccio fatica a dare giudizi, ma non ero li per quel-lo, avremo modo di sezionare ogni nota di Octavarium quando uscirà quindi seguo Mike giu per le scale senza domande parti-colari. “Le pareti di tutto lo stu-dio due giorni fa erano piene di dischi d’oro, siamo in un luogo storico e spetta a noi chiudere la porta e spegnere le luci per sempre”. Sembra quasi conten-to del fatto che due giorni dopo tutto questo verrà smantellato.

Lo studio 6 è si e no ¼ dello stu-dio 1. “Ormai abbiamo portato via tutto, ma in questa sala era-no stipate le mie due batterie, gli ampli e le tastiere di Jordan, vieni entriamo qua, James sta registrando i cori quindi fai poco casino”. Pat Thrall (proprietaria degli Avatar Studios, luogo di re-gistrazioni di Falling…) è china sulla consolle mentre aldilà del vetro James indossa le cuffie ed una maglietta rosso fuoco. Non so neanche se mi abbia notato, ma è giunta l’ora di uscire. Ho portato un po’ di cose da lascia-re a tutti, vino per John e James ed i cd del nuovo concorso per la cover band ufficiale italiana a Mike. Convenevoli e saluti per tutti tranne che per Jordan, io e lui infatti, ci incontreremo stase-ra per la cena a base di filetto e

Chianti a Tribeca.

“Sai, molti mi stanno do-mandando del perché sono passato alla Korg ed è difficile per tutti ac-cettare la semplice veri-tà. Avevo semplicemente voglia di provare qualche macchina nuova e Korg è spuntata nel momento esatto. Tecnologicamen-te parlando, il mondo sta acce-lerando a velocità supersoniche ed a volte Bert (il suo assistente personale) si metteva a ridere quando doveva caricare i suoni sulla 2600 ancora da una porta SCSI. Tengo comunque tutte le porte aperte ed addirittura ho preparato suoni e sinth che ho venduto alla Roland.”

Giornata da “circoletto rosso” sul calendario, come direbbe qual-cuno, giornata infinita. Dopo il dessert torniamo all’Hit Factory in taxi e non vi nascondo che mi ha fatto un certo effetto vedere Jordan prendere la sua auto dal parcheggio e dirigersi a nord per andare a dormire a casa sua, insieme alla propria famiglia, come un impiegato comune. Devo riordinare le idee e non ho sonno, faccio due passi fino alla 53esima dove dopo due incroci ritrovo i murales di 6 anni prima, ancora intatti sui muri dellAvatar Studio, qualla era la mia pri-ma volta a New York, da solo, un’esperienza scioccante.

Giro l’angolo ed imbocco la via dell’hotel, quasi non lo noto, ma davanti a me c’è un signore che trascina dietro di se un trolley, si infila in una “deli” ed esce nel preciso istante in cui passo io, tiene in mano una Snapple co-lor rosa: è bellissimo incontrare

James così, per caso, nelle strade di New York. A passo lento ar-riviamo all’Holiday Inn, lo invito a prendere un te insieme, lui ci pensa su, ma dice di no, ha ancora un paio di pezzi da studiarsi per bene per l’indomani ed allora gli strappo la promessa per una cena durante il

tour italiano del suo disco soli-sta, promessa mantenuta. “Ciao James, buonanotte”.

Siamo in tre sulla Tigra in dire-zione Padova, io, Marco e la Daly, viaggio tranquillo ma con la radio ben accesa, “Abemus Papa!!!”. Eggià, nel giorno del-l’insediamento di Benedetto XVI, noi stavamo andando al concerto di James al New Age, gran concerto, grande James e grande Marco Sfogli.

Bissiamo al Transilvania di Mila-no due giorni dopo, dove, grazie alla promessa di James, scopria-mo dei personaggi ineguagliabi-li: tale John “mozzarella” Maca-luso (ne ha ingurgitate quattro di fila intere al ristorante) e tale Matt “ti prego riforma i Dali’s Di-lemma” Guillory, letteralmente impazzito per le donne italiane e per le auto tuning. Dedichiamo Metropolzine 23 a tutto ciò, con aneddoti e situazioni che vanno oltre al mero, ma qualitativa-mente superlativo, concerto. A Milano riusciamo ad improvvisa-re anche un piccolo Aftershow con i soci del Fan Club presen-ti sul posto. “Sarà un album a metà fra Awake e Scenes…” le parole di James su Octavarium. Un piccolo segreto da mantene-re per tutti.

Senza fiato in questa calda primavera le date da segnar-si sono: 18 maggio semifinale YtseJamKr, 21 maggio semifi-nale Progeny, 7 giugno uscita Octavarium, 21,22 e 23 giugno Dream Theater in Italia.

Il concorso per la cover band ufficiale è orgoglio per noi, cre-diamo talmente tanto in questo progetto e lo sentiamo talmen-

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te nostro che, a volte, ci toglie più energie di un concerto dei Dream Theater stessi. Le pro-blematiche, le logistiche e le va-riabili sono infinite, quante volte ci siamo trovati a discutere, a ra-gionare e a litigare pur di prende-re la decisione migliore per tutti. I Dream Theater stessi hanno deciso i gruppi semifinalisti, noi abbiamo portato la nostra testi-monianza diretta ed ora, ancora i Dream Theater decideranno la finale. Mi guardo in giro ma non credo che ci siano altri progetti come questo, nel mondo della musica, che coinvolgano così direttamente il gruppo madre. Indipendentemente da chi vin-ce o chi perde, l’orgoglio è lo spirito dei Dream Theater che chi va sul palco si porta con se grazie all’impegno di tutti. E’ una sensazione di altri tempi ma che si percepisce guardando negli

occhi chi ha toccato con mano questa realtà, non c’è posto per mercenari o gente qualsiasi.

L’estate è la stagione più difficile da affrontare, la-voriamo tutti. Fucecchio ed Ascoli passano veloci mentre fissiamo il punto d’incontro ad Este. Arri-vo a ¾ del concerto e c’è

gente che giura di avermi visto in terza fila, tutto vero. Sono li più che altro per salutare tutti gli amici di vecchia data e mentre scorre Pull me Under ci ritrovia-mo sul palchetto per i disabili brindando a birra. L’Aftershow non è previsto dalla scaletta, ma fra Bert che allunga due pass ed una “supercazzola” alla sicurez-za riusciamo a portare una decina di voi dietro al cancello, accanto ai famosissimi quindici Platinum Tickets che hanno sborsato poco meno di 200 euro per essere trattati come alle poste, mah!

Al di la delle zanzare pa-dovane, troviamo James e Petrucci in una forma smagliante, ci bastano vera-mente pochi secondi per carpire dal loro comportamento se tut-to sta filando liscio, attenzione non parliamo mai del concerto, siamo più attenti alla psicologia del momento. Se la produzione è ok, se a casa va tutto bene, se in tour bus ed in albergo si dorme bene, se i loro progetti personali sono a buon punto, se la crew è affiatata, se il catering ha sfornato ottime pietanze e se a fine concerto c’è dell’Amaro-ne ed un vassoio di cannoli ad aspettarti, va da se che la per-formance nella cornice di Villa Pisani sarà da ricordare. Per la cronaca, Jordan era fortemen-te convinto di aver suonato a

Firenze due sere prima (!!!), e mentre qualcuno gli ricorda che ce la siamo girati insieme solo un anno fa, riusciamo a conse-gnare a Mike i DVD dei Progeny e degli YtseJamKr.

Considerare i Dream Theater dei fenomeni sarebbe troppo semplice, il fenomeno ha que-sto nome perché arriva, produ-ce e scompare. Se fosse così il Fan Club avrebbe avuto vita breve. Ci siamo sempre battuti, invece, per andare aldilà del-l’apparenza, abbiamo la testa talmente dura che non ci basta sentirli e vederli suonare e voi, che state leggendo queste ri-ghe, siete assolutamente sulla stessa lunghezza d’onda. E’ fin troppo facile iscriversi al Fan

Club a dicembre di ogni anno solo dopo che abbiamo annun-ciato il CD o il DVD di Natale. Chiedete a chi ha Metropolzine 2 cosa c’e’ scritto in un articolo che si intitola “Duri, Incazzati e Progressivi”, chiedete a chi ha Metropolzine 10 cosa ne pensa-vamo in “Tanaliberatutti”. Pura e semplice voglia di vita vera, dubbi, difficoltà e contraddizio-ni da affrontare a petto in fuori e con sguardo fiero. Dentro di noi abbiamo la forza di questa musica fantastica che ancora ci emoziona, che ci fa innamo-rare e che, qualche volta, ci fa anche piangere. Fuori, abbiamo conosciuto meglio questi prota-gonisti, professionisti e staka-

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novisti del loro mestiere, alcuni eclettici e megalomani, altri di una semplicità disarmante. Un mix fantastico che ci fa sorridere quando qualcuno ci dice che lo fanno solo per soldi. Brutta be-stia l’invidia!

Petrus parte per Parigi dove unisce vecchi amici, Dream Theater e Iron Maiden. Intanto è annunciata la doppia data di Amsterdam, viene diramato il tour europeo autunnale e Mike ci conferma le nostre impressio-ni sulla finale delle cover band… che sarà a tre. Via al Gigantour, ci rintaniamo in spiaggia sotto l’ombrellone, nella speranza che smetta di piovere.

L’Amsterdam Arena ci accoglie in tutta la sua maestosità, è uno stadio bellissimo anche da fuori, immaginatevi dentro con il tetto che piano piano si chiude, fac-ciamo il giro del parcheggio e sbuchiamo in un lungo viale che sembra più un immenso cen-tro commerciale. Siamo carichi per questo primo concerto e le ginocchia ci ringrazieranno per essere stati in piedi per più di due ore e mezza.

Il nuovo palco è ottimo anche se preferivamo i vecchi schermi di TOT a questi proiettori dalla

luce flebile. Il concerto è buo-no anche se inconsciamente tutti sono già pronti per il gior-no dopo. La capitale olandese è vivibilissima ed è a dir poco stupefacente nel sistema dei trasporti pubblici. Per essere metà ottobre non fa neanche troppo freddo e a tutti consi-gliamo i ristoranti di sushi, te-stati soprattutto a pranzo. A fine anno uscirà la notizia che per rapportarsi alle norme europee, i coffee shop potrebbero chiu-dere i battenti, davanti a questa premonizione ci siamo sentiti in dovere di fare un saluto in più ai simpatici e poliedrici gestori dei più o meno noti locali sparsi in città.

Theresa Thomason è stata la vera sorpresa della seconda serata. Mike ha cercato di ingannare i presenti con una serie di finti “intro” di altri gruppi ma, quando l’incedere di “The Dark Side of the Moon” si è fat-to realtà, tutti si sono chie-sti chi avrebbe cantato i cori della voce femminile. A dire il vero Theresa si è inquartata un attimo, ma ragazzi, chi l’avrebbe mai detto di rivederla sul suo palchetto a destra in alto come fece al Roseland.

Esecuzione talmente perfetta che per i Dream Theater sem-brerebbe quasi routine. “Se do-vessi cantare così tutte le sere, potrei arrivare tranquillamente a 55 anni con le corde vocali intatte!” Così James nell’Af-ter Show riservato solo ai Fan Club europei in riunione straor-dinaria.

Quando diciamo che Jordan è un signore, non lo facciamo per partito preso. Poco prima di salire sul palco riceve una tele-fonata dall’America, questioni molto personali che potrebbero turbare chiunque. Bene, quella sera non solo è salito sul palco ugualmente, ma quando usci-rà l’Official Bootleg di “Dark Side…” fate caso anche “come” ha suonato quest’uomo.

Il tour sgancerà in Italia tre bom-be: Forum, Palamalaguti e Pala-lottomatica, gli stessi tre del 2004. Raccogliamo la sfida e affiliamo le unghie, prima di tutto abbiamo l’entrata riservata per tutti i nostri soci per ognuna delle date, all’in-terno dei palazzetti avremo una tribuna tutta nostra e, ciliegina sulla torta, a Bologna ci sarà un Aftershow con nuovi soci e vec-chi abbonati ai quali l’urlo si era strozzato in gola per due volte dal 2002 fino ad oggi. Con calma, pa-zienza e dedizione siamo riusciti a recuperare TUTTO!

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L’appuntamento con Jordan è a mezzogiorno all’Hilton ma non facciamo tempo ad arrivare all’entrata che subito salta sul Galaxy. “Avevo paura di essere in ritardo, quelli del CPM non possono aspettare”. Sa già tut-to tranne del ritardo di Franco Mussida, così, intanto, Roberto Gualdi fa da cicerone per i cor-ridoi e le aule del Centro. Anche questo era un sogno che cova-vamo da un po’ e che si era materializzato una prima volta nell’estate del 2004 dove ad aprire i concerti estivi avevamo pensato bene di mettere in contatto PFM ed Elio. Saltò tutto poi, tranne la voglia di fare incontrare, un giorno queste perso-ne. Il giorno è arrivato e, nonostante tutto, fa proprio un bell’effetto vedere Jordan tenere il tempo col testone men-tre Franco passa il CD di “Dracula” nelle casse del piccolo studio di re-gistrazione all’interno della scuo-la. Noi siamo solo di contorno a questa chiaccherata, spettatori felici e scanzonati che piomba-no nel silenzio quando, dopo abbondanti porzioni di spaghetti “Uè Uè” consumati al ristorante d’angolo, udiamo la frase: “Mah, un giorno prima o poi, noi due dovremo fare qualcosa insieme!” Alè, abbiamo fatto la frittata.

Roma, per i Dream Theater sarà il quarto concerto di fila, vi facciamo notare questo perché ricordiate bene come ha canta-to James in Italia. Sembrerà un paradosso ma è lui l’ago della bilancia, è lui il protagonista che fa in modo che un concerto sia

buono, ottimo o memo-rabile.

Se poi a tutto ciò viene aggiunto come “uomo del tour” un John Myung mai così bello, agile, vivo e presente sul palco, possiamo affermare, anche gra-zie alle vostre testimo-niante che le tre date italiane siano state le

migliori di questa parte del tour. Difficile eleggere il concerto mi-gliore in quanto sono state per-formance differenti, sicuramente Bologna questa volta ha lasciato il segno e non è stata caratteriz-zata da nessun inconveniente, anzi Speak to Me e Octavarium hanno guadagnato molti punti.

La capitale era pronta all’ultimo concerto prima di una lunga

pausa e noi eravamo pronti al nostro sforzo organizzativo più impegnativo. Oltre a tenere a bada la vostra esuberanza ai cancelli, all’interno del palaz-zetto stava succedendo qual-cosa di magico. Con quattro telecamere ed un’intervista in corso sul palco, stavamo dando seguito ad un progetto nato a primavera inoltrata. Quest’anno il regalo di Natale del Fan Club sarebbe stato un DVD, un rac-conto, dal nostro punto di vista, del tour che ha fatto tappa negli stati dei cinque maggiori Fan Club europei.

Un mix di immagini, canzoni, interviste e chiacchere che ora

potrete gustarvi spaparanzati in poltrona. A Roma toccava a noi riprendere in mezzo a tutto quel casino.

Dopo tonnellate di telefonate e mail fra noi, Mike, Millo e i suoi cugini, dopo aver girato tutto il tour senza pass, dopo i cannon troppo corti per arrivare al mixer audio, dopo due black out nel bel mezzo di “Under a Glass Moon” e dopo averla messa in culo a Mr. Murphy e alla sua fa-mosa legge ancora una volta, seguite qui sotto le curiosità del DVD che avete in mano. L’enne-sima scommessa vinta!

Tutti i protagonisti di questo progetto li trovate elencati nel booklet del DVD. Buona visione e…mi raccomando.

The International Fan Clubs DVD 2005 “A Walk Beside The Band”Durata totale delle riprese: 2500 minutiDurata del DVD: 128 minutiTotale delle Persone coinvolte nel progetto: 25 Numero di telecamere totali usate: 16Numero di mail scambiate fra i Fan Club: più di 600Data della prima mail accen-nante all’idea del DVD: 28 maggio 2005Numero di ore necessarie per il montaggio del DVD e la crea-zione dell’artwork: più di 110Litri di caffè consumati durante il montaggio: 5 Litri di birra consumati durante il montaggio, l’artwork, i menù e l’authoring: dato confidenziale!

Simone Fabbri

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L’idea di scrivere questo articolo su Jordan è nata qualche giorno prima dei concerti di ottobre. Era un pomeriggio di ottobre e nell’angolino basso del mio desktop vedo che qualcuno mi sta cercando su Skype, era Jordan che voleva parlare con me. Il motivo di questa chiacchierata era soprattutto pianificare i tempi e le modalità per l’intervista che potete trovare nel DVD allegato a questa fanzine (ovviamente se vi siete iscritti per tempo!!!) ma le chiacchiere sono andate avanti anche verso altre direzioni. Qualche giorno prima al nostro amico Roberto Gualdi era venuta un’idea: “Perché non facciamo visitare il CPM a Jordan Rudess ?” La nostra macchina si era subito mossa in quella dire-zione soprattutto quando anche Franco Mussida aveva dato la disponibilità ad aprire la sua scuola alla visita di Jordan e a fare lui stesso da cicerone al tastierista dei Dream Theater. Visto che questo pomeriggio già è descritto nel precedente articolo di questa fanzine, torniamo alla telefonata con Jordan: i tempi e le modalità per l’intervista erano decisi ma sia a me che a Jordan ci sembrava man-casse qualcosa per completare l’opera. Ebbene si; durante l’intervista non avrebbe avuto il tempo di spiegare completamente la sua strumentazione per cui si pensò ad un articolo per integrare il tutto e qualche foto per i dettagli. Dal DVD si può perfettamente notare chi ha scattato le foto presenti in questo articolo; foto che sono state prontamente passate ad una persona che sicuramente sapeva cosa farsene. Chi meglio di un grande fan di Jordan e anche studente del CPM? Il nome di colui che ha messo le basi per questo articolo è Gilles Boscolo; il suo articolo è stato inglobato in queste pagine che riportano anche un’intervista fatta a Jordan durante il tour di giugno dai nostri colleghi francesi. Questo collage è un po’ il completamento naturale di tutto quanto visto nel DVD e vi servirà ad entrare ancora di più nel fantastico mondo di Jordan Rudess. La parola, quindi, passa a Gilles:

Tutti sappiamo la storia di que-sto uomo, come è diventato uno dei migliori tastieristi esistenti, che scuole ha fatto e con chi ha suonato. Con questo intervento entrerò nel merito della strumen-tazione che Jordan ha usato in tutti questi anni. La prima appa-rizione di Jordan in Italia fu, per coincidenza, sullo stesso palco dei Dream Theater, in opening ai loro concerti nella primavera del 1998; unico concerto per l’Italia fu Pordenone ed appunto fu il duo Rudess e Morgenstein ad allietare il pre-concerto con una prestazione che lasciò parecchi

di stucco. Nonostante la parteci-pazione al Liquid Tension Experi-ment tutto iniziò nel 1999 con un video mandato da Mike Portnoy al Fan Club italiano durante le registrazioni di Metropolis 2, fu la presentazione ufficiale di Jordan in veste di membro dei Dream Theater; ed in quel video compa-riva una tastiera poco conosciuta a quel tempo. In quegli anni (ed ancora ora) nel mondo del prog e rock si utilizzava per la maggior parte tastiere e sintetizzatori di casa Korg. Da quel momento tut-ti i fan si informarono su chi era Jordan Rudess, cosa aveva fat-

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to, la sua strumentazione, etc. un pò come una caccia all’uomo. Si scoprì che era endorser di casa Kurzweil, e collaborava attiva-mente con quest’azienda per lo sviluppo delle loro tastiere e già con i Liquid Tension Experiment aveva utilizzato i loro suoni mol-to belli, completi e vari. L’uscita di Scenes from a Memory fu un colpo grosso per coloro che era-no abituati ai pochi suoni (seppur perfetti) dei precedenti tastieristi, mentre in questo nuovo album, ogni canzone, ogni minuto era una scoperta nuova. Ma ovvia-mente noi tastieristi siamo coc-ciuti e sappiamo che in studio di registrazione si può far miracoli e la domanda più ricorrente era: dal vivo come farà il signor Ru-dess a riproporre tutta sta varietà di suoni in così “poco” tempo?

Facciamo un piccolo passo indietro.NAMM del 31-1-1999. Jordan Rudess si presenta con Rod Morgenstein in una performan-ce semplicemente strabiliante (la stessa tenuta in quel di Por-denone qualche mese prima!!!). Riproponendo varie canzoni del loro album si presenta in palco con un’unica tastiera Kur-zweil k2500.Morgenstein passa in secondo piano (anche se la sua esibizio-ne è perfetta), tutti sono incantati dall’immagine di questo tastierista proietta-ta nello schermo dietro al palco. Riesce a fare cento cose nello stesso attimo, con suoni divisi a destra e a sinistra della tastiera che ogni tanto cambiano, uti-lizza il sequencer in modo assurdo, preme bottoni e succede sempre qualcosa di nuovo. Jordan sembra tutt’uno con la tastiera, e nella serata spiega molte cose sul suo modo di suo-nare: utilizza moltissime funzioni di questo strepito-

so sinth, riesce a dividere la tastie-ra in molte parti, sovrappone suo-ni, utilizza basi fatte in precedenza e le fa partire nel momento in cui preme una determinata nota. I “mille” suoni li cambia in un modo molto efficace, li mette in lista e con un semplice pedale li fa avan-zare progressivamente. Va detto che tutte queste funzioni si posso-no trovare anche in altre tastiere, solo che molti o non le conosceva-no o non le utilizzavano. Grazie a lui inizia una vera e propria moda, e Kurzweil incrementa le vendite delle sue tastiere.

Ritorniamo a Metropolis 2, alla prova del nove del tour: cosa ci si può aspettare? Prime indiscre-zioni affermano che utilizzerà molte tastiere per ovviare ai molti suoni e parti fatte sul cd, si parla di campionamenti e parte la pau-ra del cosidetto playback: tutto assolutamente falso in quanto Jordan si presenta con un’unica tastiera anche in questo caso. Il modello è cambiato, Kurzweil k2600xs (x sta per 88 tasti e s per il sistema di campionamen-to). Semplicemente strepitosa, una tastiera potentissima, una marea di controlli real time, mille funzioni midi, un sistema di sinte-si praticamente perfetto (v.a.s.t.), un sinth strepitoso per un altret-tanto strepitoso tastierista.Alle sue spalle (Rudess suona di lato, rivolto a Portnoy) però si vede un rack composto da 2 expander Korg Triton, 2 Kur-zweil k2600r (r sta per rack) e un’altra k2600xs sopra questo. Gli expander non son altro che

moduli sonori, avere un k2600r è come aver una tastiera k2600 senza però tasti, leve, levette ecc., stessa cosa per il Triton, per cui è come se Rudess utilizzasse in tutto 4 tastiere k2600 e 2 Triton. C’è da dire che non tutti sono uti-lizzati in pieno, in quanto un Triton e un k2600 sono “di riserva”, cioè se si rompe uno...è subito pron-to l’altro, e gli altri Kurz servono uno per aumentare la polifonia della tastiera e l’altro settato solo sul kb3, cioè il sistema di riprodu-zione degli organi Hammond su Kurz. Rudess preferisce usare una potente tastiera come master e prendere i suoni da expander, il tutto collegato a un mixer che in questo caso è un Makie 1604VLZ Pro. Sempre in questo rack in-serisce due hard disk, dai quali prendeva altri suoni e campioni, uno tra tutti il sitar di Home.

Jordan manda avanti questa “ba-racca” con 2 semplici pedali, uno per il sustain e uno per il cam-bio suoni. Con questo pedale (in gergo “Data Inc” riesce a far tranquillamente tutto un concerto utilizzando una tastiera sola, ma sopratutto senza diventare mat-to a pigiare in continuazione altri tasti che non siano quelli bianchi e neri. Faccio l’esempio di una canzone in cui ci sia una sequen-za del tipo: piano>violini>lead. Lui setta la tastiera per quella song con suono numero 1 pia-no, numero 2 violini e al numero 3 il lead, poi non deve far altro che pigiare sul pedale e zac … prima pianoforte ... poi preme e … violini e così via. Nel tour di Metropolis 2000 c’è un esempio emblematico in cui Rudess da sfogo alle sue capacità tecniche e di programmazione, con un as-solo che resterà nel cuore di tutti i tastieristi, dove cambia suoni, usa gli slider per far “entrare” pro-gressivamente effetti e suoni, fa partire basi, insomma fa di tutto. E così molti tastieristi iniziano ad amarlo e k2600 diventa la tastie-ra da sogno. Molti la comprano perchè vogliono esser come lui, pensando che chi ha una k2600 per forza di cose è un “mostro”. Ma piano piano si scopre che, si, la tastiera fa di tutto, ma bisogna saperla usare, bisogna saper metterci le mani, e non essendo tutti Rudess molti iniziano a stan-carsi di programmarla e scervel-larsi. Avviene così una divisione

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in due gruppi, c’è chi compra la k2600 solo per “estetica” e chi inizia a “smontarla” per capire in tutto e per tutto cosa sia in grado di fare questo mostro.

Tornando a Jordan, terminato il Metropolis Tour, i Dream si pren-dono una piccola pausa rifles-siva prima di rientrare in studio per diversi mesi per registrare un album che segna una prima svol-ta stilistica per il loro genere. Six Degrees vede una successiva svolta anche in campo tastieristi-co in quanto la ricerca dei suoni progredisce con effetti e lead di-versi da prima. Anche le sonorità sono diverse, in alcuni brani più aggressive, in altri più sperimen-tali. La conferma di questa svolta l’abbiamo nel relativo tour. Ru-dess cambia qualcosa nel suo rack, sempre posizionato alle sue spalle: la k2600 che aveva sopra viene sostituita da un altro expander k2600r, poi sempre i 2 rack Triton, il suo mixer, i suoi hard disk, ed in più fa da con-torno una tastiera Korg Karma, dalla quale prende molti suoni. Torna a far parte del suo key-board world il giovanissimo Bert Baldwin il quale, dopo aver dato una grossa mano a Jordan nella programmazione delle tastiere in studio lo segue anche in tour come tecnico di palco.

Un’altra novità salta subito agli occhi… Rudess “gira”: la Kur-zweil k2600xs viene montata sopra un tubo ro-tante, abbando-nando il classico portatastiera a X. In questo modo Rudess può gi-rare e guardare prima il palco, poi il pubblico, poi gli spalti, e viceversa dare l’occasione di farsi vedere a 360 gradi. La

cosa è più difficile di quanto sem-bri, oltre al problema di suonare girando c’è anche un problema logistico: come fare a cambiare i suoni e fare le parti con il su-stain quando si è in una posi-zione diversa? I pedali così si moltiplicano. Jordan addotta due posizioni di comodo, una classi-ca di fianco, guardando Portnoy, ed una rivolto al pubblico.Utilizza un pedale per il sustain, uno per il Data Inc, uno con funzione di Wha Wha per i lead ed uno per simulare l’effetto leslie degli or-gani, ovviamente moltiplicati per le 2 posizioni. In questo modo suonando sia di lato sia frontale sotto i suoi piedi ha i medesimi pedali. utto ciò è molto semplice da programmare visto la grande disponibilità di pedali che la Kurz può adottare. Le altre posizioni (tipo quando da le spalle a Port-noy) sono solo di passaggio, lì non ha pedali.

Il 17 febbraio del 2002 (giorno successivo al concerto di Dream a Bologna) Jordan tiene una le-zione/concerto a Monselice in provincia di Padova, una serata semplicemente stupenda.Utilizza solo una Kurzweil k2600x, eseguendo brani dall’album “Ru-dess-Morgenstein Project” e spie-ga le tecniche che utilizza in live e per esercitarsi. Termina l’esibizio-ne con una “The Spirit Carries On” suonata con il piano Kurz e canta-ta praticamente da tutti i presenti. Durante questo tour nasce un pic-colo problema per Jordan: le parti di tastiera, gli intro e i vari sample sono cosi tanti che la Kurzweil viene praticamente “tappezzata” di fogliettini che aiutano Jordan durante la serata. Infatti, durante il concerto “tributo” ai Metallica, Rudess deve utilizzare un leggio davanti alla tastiera, con il con-seguente problema di non poter

“girare” (sempre se lo vogliamo chiamare pro-blema). E’ a questo pun-to della sua carriera che esce un nuovo lavoro solistico (tutti gli altri era-no passati praticamente in sordina poiché aveva-no visto la luce prima del suo ingresso nei Dream Theater): “Feeding the Whell”, con sonorità di-verse da quelle sentite nei lavori dei Dream, stessa cosa accaduta

successivamente con “Rithm of Time”; lavori dei quali risulta diffici-le parlare in quanto mai portati dal vivo, e per i quali non si è a cono-scenza completa della strumenta-zione usata. Vale la pena ricordare che Rudess risulta endorser oltre che di Kurzweil anche di alcune case costruttrici di effetti, amplifi-cazione, programmi per PC, per cui si presume che per i suoi lavori solistici in studio vada ad attingere un po’ dappertutto.

Tornando ai Dream Theater, in-vece, Train of Thought segnala un’altra svolta, questa volta an-che molto criticata. Si parla di mancanza totale della presenza delle tastiere all’interno dell’al-bum, dello scarso apporto musi-cale da parte di Rudes e chi più ne ha più ne metta. Le parole di Jordan riguardo all’album par-lano da sole: “Rispetto agli altri album Train Of Thought mi ha appagato in maniera diversa: an-che se si sentono meno le mie ta-stiere, ci sono chiaramente molte parti di tastiera e se le togliessi, ti chiederesti: cosa succede, man-ca qualcosa! In Train Of Thought i miei suoni erano spesso là per sostenere la chitarra, per rendere l’insieme più “grungy”, più potente e durante gli assoli, in alcuni mo-menti, la gente poteva pensare che fossero di chitarra, e una vol-ta arrivati al concerto si rendeva-no conto che erano di tastiera”

Per il tour il “tubo rotante” viene cambiato con un traliccio ed in più Jordan monta davanti alla tastiera una specie di monitor. Si chiama Music Pad Pro, costruito dalla Freehand System. Su que-sto monitor Rudess può scriversi tutte le parti delle song, appunti, passaggi, assoli, insomma tutto ciò che non si ricorda durante l’esecuzione, e, comandato da un altro pedale messo sotto i suoi piedi nella posizione latera-le, può averlo sotto gli occhi men-tre gira con il suo portatastiera. Il suo rack si allarga e viene posi-zionato con la faccia rivolta verso il pubblico. Viene aggiunto an-che un ulteriore Kurzweil k2600r montato sotto il mixer e non tutti lo notano. Leggende metropolita-ne dicono che serva ad effettare il Triton, ma molto più probabil-mente serve per aver ancora più memoria per il tour. Così siamo arrivati quota 4 k2600r, 2 Triton

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rack, 2 hard disk, un mixer e una Korg Karma, tutto pilotato dalla solita master k2600xs. Sul fian-co sinistro della tastiera, sopra le 2 whell, viene posizionata una scatolina con la quale Jordan può regolare il volume generale di tutto il suo arsenale. In più si fa installare alle sue spalle un mixer Behringer Eurorack Pro rx 1602, con cui può gestire a suo piaci-mento i suoi “in ear” monitor.

Questo tour risulta sfortunato dal punto di vista operativo sia per Jordan che per Bert i quali più volte hanno problemi alle tastiere. La prima volta che Mr. Murphy fa capolino è a Stoccarda quando la tastiera di Jordan si spegne alla fine del primo atto del concerto e per alcuni minuti non si riaccende. Il quarto d’ora di pausa si allunga di altri 20 minuti che servono per ricaricare i suoni per i brani man-canti. Un altro caso, e di maggior portata, capita al Palamalaguti di Bologna, dove nel bel mezzo di Stream of Consciousness la ta-stiera smette di suonare. Rudess alza le mani ed esce dal palco non potendo intervenire immediata-mente sulla tastiera. La canzone continua e questo power-trio im-provvisato entra nella storia. Le cause sono dovute ad un sovrac-carico dei sistemi di protezione e alimentazione alternativa; in po-che parole i gruppi di continuità del reparto tastiere non hanno retto al momento di un calo di tensione e tutto il rack di Jordan si è spento perdendo tutti i suoni e le imposta-zione già caricate. Ovviamente il concerto non poteva interrompersi per cui, dopo un breve consulto con Mike (che nel mentre stava suonando!!!) si è deciso di carica-re i suoni per un ultimo brano che fu eseguito proprio dopo Stream of Consciousness.

Il 7 luglio 2004, dopo le 3 date one-off in Italia, Rudess è di nuovo ad Este; per la terza volta dopo il clinic del 2002 e la serie di clinic, concer-to acustico e presenza alla festa del decen-nale Italian Dreamers nell’agosto 2003. Con grande sorpresa non si tratta di una sem-plice esibizione, ma di una vera e propria Master Class dedicata ad allievi scelti da lui stesso mediante provi-no. Sul palco vengono montate una Kurzweil k2600xs ed una Triton Extreme, l’ultima nata in casa Korg. Il con-certo della stessa sera Rudess lo esegue con questa nuova ta-stiera, affiancata da una Karma, e con uno Steinway. Il pubblico rimane un pò spaesato, i suoni non sono quelli soliti, molte cose cambiano, non c’è feeling tra le sue mani e lo strumento ma, il concerto viene comunque svolto alla perfezione. Iniziano a circo-lare delle voci incontrollate circa la fine del legame professionale con la casa Kurzeil a favore della Korg. Jordan dichiara più volte che la Kurzweil non ha più inte-resse a lasciarlo sviluppare nuo-vi suoni, nuovi programmi per le tastiere e, visti anche i problemi avuti durante l’ultimo tour, Ru-dess fa l’occhiolino alla Korg che non perde l’occasione di lasciare la possibilità di utilizzare le nuove tastiere al Keywiz. Molti restano senza fiato (i più fanatici si sen-tono traditi!!!) mentre in internet iniziano a girare video e foto che ritraggono Jordan sempre in compagnia di una Triton Extre-me. Compare anche nel video dimostrativo di un nuovo “gio-cattolo” chiamato Receptor della Muse, ed anche qua Jordan usa una Extreme.

In un altro video lo si vede con un altro strumento, una specie di tastiera senza tasti che si chiama Continuum. Questa sfrutta la pressione delle dita per creare bending, vibrati, glissati su tutta la lunghez-za della tastiera. Si potreb-be definire un’evoluzione del ribbon controller della

Kurzweil. I suoni del nuovo album risultano diversi, ma certe cose rimangono comunque made in Kurzweil Siamo al NAMM 2005, viene presentata la nuova nata in casa Korg: la Oasys, una tastie-ra computer con un vero sistema operativo interno gira per far an-dare avanti questo mostro con la stessa sintesi usata dal Karma. Siamo alle prime date del tour di Octavarium e Jordan rilascia que-sta dichiarazione:“Ho utilizzato tanto materiale per le registrazioni. E’ stata la festa delle tastiere. Volevo avere molta scelta su dove mettere le mani, e quindi ho portato più tastiere in studio: la mia Korg Triton Extre-me, una Rolland V-Synth, la mia vecchia Kurzweil, un Grand Pia-no Yamaha, una Yamaha Motif, e ho anche sperimentato dei nuovi strumenti e anche programmi per sintetizzatori. Ad esempio i suoni di piano presenti sull’al-bum provengono da un program-ma che si chiama Ivory. Adesso che siamo in tour, utilizzo una Korg Oasys. Ho ripreso tutto il mio vecchio impianto ed insieme a Bert abbiamo programmato la Korg Oasys per gestire tutto.”Sul palco, infatti, non compare solo la Oasys, ma a lato, in un al-

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tro traliccio rotante, viene monta-to il Continuum e una Slide Guitar a testimoniare le varie sperimen-tazioni che Jordan ha fatto in stu-dio. Ecco le sue parole a spiegare un po’ il tutto:“Per le registrazioni ho utilizza-to un Lapsteel Fender ‘Vintage’. Non sapevo ancora dell’esistenza di questo strumento. Ho compra-to un Fender poiché Steve Howe mi ha indirizzato a un Lapsteel, adoro le melodie del Lapsteel negli Yes. Avevo già utilizzato un suono del Lapsteel con i Dream Theater, come in “In the name of God”, per esempio… (Jordan spiega che ha suonato gli ac-cordi con la mano sinistra e una melodia con la mano destra. Le due mani erano occupate e in-nescava il glissato caratteristico del suo Lapsteel con un pedale). Ma per questo disco mi sono det-to che avrei imparato a suonare un Lapsteel. Quando siamo stati in tour con gli Yes l’anno scorso, ho passato del tempo con Steve, gli ho posto molte domande e lui mi ha mostrato qualche trucco. Al ritorno dalla tournée, sono andato a New York e mi sono regalato in bel Lapsteel Fender. Dopo ho cercato uno strumento per partire in tour e ho trovato questo stru-mento, chiamato “industrial gui-tar” creato da Chris Foulke. Ne ho comprato uno, non era così costoso e si è dimostrato un otti-mo strumento. Adesso, sul palco, ho la mia Korg Oasys sulla base ruotante, come prima la mia Kur-zweil, poi ho un’altra base ruotan-te dietro di me con il Lapsteel sot-to e sopra il Continuum, un altro nuovo strumento nel mio mondo musicale. Il suono che senti nel-l’intro di Octavarium (al 0’37), si-mile ad una chitarra ma più “sci-

voloso” è il Continuum. Volevo una sorta di tastiera fretless, per poter suonare una nota e fare un glissato, un vibrato e ho trovato questo strumento fatto da Lippold Haken. Era esattamente quello che sognavo; è come un nastro tattile gigante, ma più spesso e più lungo, e si possono suonare più note allo stesso tempo. L’ho utilizzato molto per gli assoli, come in “Sacrificed Sons”; dal vivo, lo uso quando devo suonare “Just Let me Breathe”, ”Lie”. Ho dunque imparato a suonare que-sti due strumenti completamente nuovi per questo disco e per que-sto tour. Tutti nel gruppo continua-no a dirmi che sono folle!”

Posizionato dietro di lui il suo vec-chio rack fa da sfondo, molto vuo-to rispetto a prima, ma con alcune novità: prima su tutti i due expan-der V-sinth XT della Roland dan-no il suono al Continuum. Appena sotto ai Roland troviamo il Recep-tor della Muse, che carica al suo interno VST (strumenti virtuali per PC) e sotto a questo un gruppo di continuità APC 2200 gia adottato nel tour di Train ma a supporto dell’APC, dall’altra parte del rack, ci son due stabilizzatori di corren-te Eta Systems PD9Leta per pro-teggere tutta la strumentazione da sbalzi e mancamenti di corren-te. (Vi ricordo che i campioni cari-cati in qualsiasi tastiera vengono salvati in una memoria virtuale, se salta la corrente questa me-moria si cancella.) Durante il tour però si “sentono” molti problemi: suoni diversi, effetti in ritardo, par-ti di tastiera che scompaiono. Le performance di Rudess iniziano a scadere, senza ombra di dubbio la tecnica è inequivocabile, ma la potenza della sua strumentazio-ne di certo non lo aiuta. Forse il cambio è stato troppo repentino e frettoloso per poter affrontare un tour, e si cerca una smentita nel secondo tour di Octavarium.

Anche qui ci sono altre novità riguardanti la strumentazione; a fianco del rack fa ingresso un imponente “armadio”, un mo-dular sinthetyzer, una specie di ModularMoog (usato da Keith Emerson) dei nostri giorni. Con la strumentazione cambiano an-che i suoi pedali e le posizioni sul traliccio passano da due a tre: nella posizione principale ha un wha, un data inc, uno sustain

e un cambio pagina per il music pad pro. In posizione centrale ha un cambio pagina, uno sustain e un data inc. In più aggiunge una posizione dando la schiena a Portnoy, e qui ha solo un data inc e uno sustain. Anche sotto il Con-tinuum e la Slide ha altri pedali: 2 wha per i rispettivi strumenti, ed uno per gli effetti della Slide.

Non utilizza più una sola tastiera, ma anche quella del modular, e lo si può vedere molto bene du-rante l’esecuzione di Octavarium. Inoltre una piccola tastiera viene posizionata tra Rudess e Portnoy, ad usarla è LaBrie nell’intro di Octavarium, con i suoni generati dalla Oasys via midi (Da notare che vista la scarsa conoscenza delle note sulla tastiera di James, i tasti di questa tastiera vengono colorati e numerati e James deve solo premere l’esatta sequenza (i numeri) per ciascuno brano (defi-nito dai colori).

Nonostante i miglioramenti in fatto di potenza musicale i suoni rimangono pressochè invariati e non convincono gli intenditori: ad esempio trovo pessimo il suono di piano usato per Through My Word, quasi uno xilofono. Molti vorrebbero da Jordan un ritorno alle origini…..never enough !!!Tra i due tour di Octavarium accade un fatto strano: Jordan realizza dei video dimostrativi per Motu, ed utilizza una k2600x. Inoltre realizza un dvd dove spie-ga le sue tecniche, i suoi suoni e tutto ciò che riguarda le sue performance, ed indovinate con che ta-stiera? K2600.Ai posteri l’ardua sen-tenza…..

Gilles Boscolo (e Petrus)

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Era una notte buia e tempestosa quando il mio telefono squillò. “Scenda subito nel garage. Ho qualcosa che può interessarle”. Non so ancora perchè, ma ob-bedii. Mi vestii e mi inoltrai nel-l’enorme garage, ma feci pochi passi che gli abbaglianti di una macchina mi resero cieco. Intra-vidi una figura e capii subito che si trattava del padrone di quel-la voce. Fumava una sigaretta. Non disse nulla, posò un pacco per terra, risalì in macchina e scomparve nella notte. Di quel-l’uomo ricordo solo la targa del-la macchina: RI8585. Forse non avrei dovuto, ma ho deciso che il mondo deve sapere. L’umani-tà deve conoscere “I SEGRETI DEL CODICE OCTAVARIUM”

In questo articolo sono riunite tutte le teorie, dalle più strampa-late alle più verosimili, sul con-cept che si cela dietro all’ultimo

disco dei Dream Theater. Tutto è stato raccolti per voi da Mastro Petrus e il sottoscritto. Abbiamo scandagliato la rete, in partico-lare YtseItalia, fino a mettere faticosamente insieme tutto il materiale per questo articolo. Vi avvertiamo che nulla di ciò che leggerete è stato convalidato da alcun membro dei Dream Thea-ter, ma è frutto della ricerca e del ragionamento dei Fan che han-no risposto alla grande all’ap-pello del Buon Mike. Qualcuno si ricorderà le parole di Portnoy nell’intervista inclusa nella pre-cedente Fanzine: “Octavarium possiede un concetto molto profondo[...] Non posso rivela-re i dettagli, questa sfida che costituisce il raccogliere i pezzi di questo puzzle, fa parte della mia follia, è il tipo di cose che mi tiene sveglio la notte. Abbiamo

messo alla prova i nostri fans e siamo curiosi di vedere cosa ne verrà fuori da tutte le ricerche che anche voi farete”Beh, possiamo dire che i Fan hanno superato le aspettative di Mike, sviscerando nota per nota questo complicato album. Ora è tutto nelle vostre mani e sta a voi capire e scegliere quali teo-rie siano vere e quali siano una boiata atomica. Ma bando alle ciance, perchè la parola passa a...Voi!

1. IL SIGNIFICATO DELLA PA-ROLA OCTAVARIUM1.1 Octavarium è semplicemen-te un gioco di parola tra Octavus, “ottavo”, e l’aggettivo Varius, “Vario”. Più nello specifico, un suffisso -arium è rintracciabile in latino per indicare “una serie di cose, un insieme vario di una certa cosa”. Ad esempio “erba-rio”, “planetario”, e così via. Da ciò se ne deduce presumibil-mente che la parola Octavarium voglia indicare “un disco fatto di canzoni che abbiano a che fare con il numero otto”

1.2 Ottavo album, otto tracce. Settimo album, sette tracce; sesto album, sei tracce. La loro passione per la numerologia è risaputa. “Octavarium”, ottavo album (08), è uscito il 7 giugno 2005, ossia il 07/06/05....08 07 06 05.

1.3 La parola “Octavarium” ap-pare per la prima volta in un libro, edito dallo stato Vaticano, chia-mato “Octavarium Romanum”. Esso racchiude la spiegazione di diverse festività cattoliche. Il libro è menzionato per la prima volta durante il pontificato di Sisto V (1585-1590) (Sisto il QUINTO, nato nell’1, 5, 8, 5) per cadere poi nel dimenticatoio fino al pontefi-cio di Clement VIII (1592-1605).

2. LA STRUTTURA DI OCTAVARIUM2.1 A differenza degli ultimi al-bums, che iniziano dove finisce quello precedente, questo ini-zia e finisce su se stesso, con la stessa nota: “the story ends where it began”.

2.2 La prima canzone è nella to-nalità di FALa seconda in SOLLa terza in LALa quarta in SILa quinta in DOLa sesta in RELa settima in MIL’ottava in FAOtto note = un’ottava = Octava-rium

2.3 Solo tra alcune canzoni ci sono delle mini-tracce, rumori, intro, ecc... Guarda caso questi mini-intro sono solo dove ci sono i “diesis” sulla scala. Invece tra si e do, ossia “I Walk Beside You” e “Panick Attack”, e tra mi e fa, “Sacrificed Sons” e “Octavarium”, non c’è nulla. Se guardate la lun-ghezza delle canzoni scritte nel retro e mettete il cd nel lettore, non tutte le lunghezze corrispon-dono. Appunto, sono gli intro.

2.4 Si può dire che quest’album sia una specie di concept, che senza farsi troppe domande racconta delle vicissitudini di noi piccoli “evil”, che in una immen-sa danza cerchiamo il significato delle nostre vite, a volte sba-gliando, a volte avvicinandoci ad esso. Una danza infinita, da cui l’uomo non sarà mai capace di uscire, nella sua perpetua ricer-ca di un perchè. E’ per questo che Octavarium è un album “ci-clico”.

2.5 Su questo album i Dream Theater ragionano sulla ciclicità degli eventi, sull’impossibilità, or-mai, di creare qualcosa che sia al di fuori di ciò che è stato crea-to negli ultimi anni. Una specie di autocritica. Inoltre “The root of all evil” è direttamente collegata con “Octavarium”. L’ultima nota di piano si abbandona con un tappeto d’archi che è lo stesso dell’intro di Octavarium. Questi due pezzi (anche da soli) rappre-sentano la ciclicità. Perchè allora sono solo 7 le parti, e non 8?“Octavarium” I. Someone like him II. Medicate (Awakening) III. Full Circle IV. Intervals V. Razor’s edge

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“The root of all evil” VI. Ready VII. Remove Proprio come le “note” (senza alterazioni). Fa Sol La Si Do Re Mi -> (Fa) e si ricomincia.

3. IL BOOKLET DI OCTAVARIUM3.1 All’interno del booklet, nella foto dove ci sono le tessere del domino, compaiono 3 corvi. I corvi sono gli uccelli che porta-no le anime dei morti, di coloro che non ci sono più. E chi è che non c’è più, nei Dream Theater? Kevin Moore, Charlie Dominici, Derek Sherinian. Tre persone. Inoltre il retro della confezione raffigura esattamente un’otta-va di pianoforte, con i tasti neri (guarda a caso 5) raffiguranti la band. Sempre sul retrocoper-tina Portnoy sta sul Do diesis. Do diesis = C# (pronuncia See Sharp). See sharp = “vedere chiaro”. Portnoy è l’unico con gli occhiali scuri.

3.2 Aprite il booklet, guardatelo aperto per esteso. Le 8 palle sono gli otto tasti bianchi (par-tendo da fa), gli uccelli sono 5 e sono presenti solo dove ci sarebbero tasti neri, i diesis. Questo rapporto 8:5, presente in tutto il disco, è la cosiddet-ta Sezione Aurea: “La sezione aurea fu studiata dai Pitagorici, i quali scoprirono che il lato del decagono regolare inscritto in una circonferenza di raggio r, è la sezione aurea del raggio. Costruirono anche il pentagono regolare intrecciato o stellato, o stella a 5 punte che i Pitagorici chiamarono pentagramma e lo considerarono simbolo dell’ar-monia e lo assunsero come loro segno di ricoscimento, ottenuto dal decagono regolare, con-giungendo un vertice si e uno no. A questa figura è stata attri-buita per millenni un’importanza misteriosa, probabilmente per la sua proprietà di generare la se-zione aurea, da cui è nata.” “Il matematico pisano Leonardo Fibonacci fu ricordato soprat-tutto per via della sua sequen-za divenuta ormai celeberrima. L’uso della sequenza di Fibo-nacci risale all’anno 1202. Essa si compone di una serie di nu-meri (0,1,1,2,3,5,8,13,21.). Tra i numeri di questa successione esiste una relazione per cui ogni

termine successivo è uguale alla somma dei due immediata-mente precedenti. Più importan-te dal nostro punto di vista è il fatto che il rapporto tra due ter-mini successivi si avvicini molto rapidamente a 0,61.

1:2=0,500 8:13=0,615 2:3=0,667 13:21=0,619 3:5=0,600 21:34=0,618 5:8=0,625 34:55=0,618

Sappiamo infatti che 0,618 è il rapporto della sezione aurea.” Ok, ora provate a sommare la lunghezza di tutte le can-zoni prima di “Octavarium”, in secondi, e a metterla in pro-porzione con quell’ultima, e scoprite che numero ottenete.

3.3 Se in quell’aggeggio a otto palle alzate le due estreme (come nel disegno) e le fate ricadere in-sieme, come sembra, in assenza di attrito le due palle ripartono esattamente verso l’alto, ecco perché non ci sono indicatori di movimento, le palle potrebbero

star scendendo o salendo, “the story ends where it began”.

3.4 Pare che nella chiesa di Rennes-Le-Chateau, in Francia, ci sia un collegamento con pagi-na 8 del booklet di Octavarium (ed è ovvio che fosse a pagina 8). Ciò conferma le eccezionali doti di preveggente dell’abate Sauniere che oltre 2 secoli fa aveva già previsto che dei musi-cisti stranieri avrebbero inserito dei codici cifrati per decodificare il mistero dell’Abbazia stessa. 3.5 La donna in copertina rap-presenta un bar-lume di speran-za. L’uomo può

fare qualcosa contro il destino ineluttabile. Non può fermare la sfera, ma può evitarla. Infatti nelle nostre vite, le nostre de-cisioni saranno sempre influen-zate dalla casualità degli eventi, dalla nostra relativa piccolezza. Tuttavia abbiamo le capacità per adattarci, per ottenere co-munque qualcosa. Non potremo mai raggiungere l’apice, ma una via di mezzo sì. Ne abbiamo la dimostrazione ogni giorno.

3.6 Il ciclo (Full Circle) della vita (la donna in copertina) e del-le esperienze dell’ Anima sulla terra, è vissuto nell’unico modo che i Dream Theater conosco-no: volando e sognando verso nuovi orizzonti (da qui gli uccelli in copertina) che migrano in ter-re lontane e poi ritornano.

3.7 In copertina è singolare che le due sfere esterne siano in movimento. Quell’aggeggio infatti, funziona in modo che la “prima” da il colpo e l’ultima un contraccolpo. Invece qui sono tutte e due in movimento. In teoria, escludendo le vibrazioni delle corde, le due palle in mo-vimento, quando si scontrano con quelle ferme nello stesso momento con forza di uguale intensità, dovrebbero fermarsi per sovrapposizione degli effet-ti. Quindi il ciclo si ferma! Que-sto è in contrapposizione con l’ipotetico significato dell’album, ovvero quello di un ciclo conti-nuo. Il fatto delle palle estreme che sono contemporaneamente in movimento potrebbero simbo-leggiare la fine del ciclo e quindi la morte. Ma allora siamo sicuri che il personaggio in coma da 30 anni nell’ultima canzone parli ancora da vivo?

3.8 I 5 uccelli sono “intrappolati” nelle 8 sfere. Il primo tassello del domino ha 5 pallini, mentre il secondo 8. La stella a 5 vertici ma è intrappolata nell’ottagono ecc. Il messaggio musicale tra-smesso potrebbe essere que-sto: il numero 5 sono i Dream Theater intrappolati nella loro

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passione più grande, ovvero la musica o meglio, l’ottava musi-cale. Tutto quello che loro han-no composto in questi anni, per quanti miliardi di note possano essere, sono sempre frutto di una combinazione delle famose 8 note racchiuse nell’ottava.

4. OCTAVARIUM E LA STORIA4.1 La song “Octavarium” (trac-cia numero 8) è divisa in 5 parti. La scala completa sarebbe, fa sol la si do re mi fa, che corri-sponde alla scala Lidia. Cos’era la Lidia? “La Lidia era un’antica regione dell’Asia Minore occi-dentale. Situata tra la Frigia, la Caria e la Misia. La capitale della regione era Sardi, altre città im-portanti Colofone e Clazomene. Secondo la tradizione storiografi-ca greca, riportata da Erodoto di Alicarnasso nelle sue “Storie”, la Lidia è la patria di provenien-za degli Etruschi. Da qui infatti una parte dei Lidi emigrarono in seguito ad una terribile care-stia in cerca di una nuova terra ed approda-rono, guidati dal principe Tirreno, sulle coste occiden-tali dell’Italia, dando vita ad una nuova ci-viltà cui i Greci si riferirono col nome di Tirreni (da cui anche il nome del mare che essi dominarono)”. La scala Lidia è anche detta Modo Lidio, ma Lidio può essere visto come il dimi-nutivo di Illidio. “Illidio fu il quarto vescovo di Clermont. Nel 370 l’usurpatore dell’Impero, Massimo, lo chiamò a corte affinché gli liberasse la figlia malata o, come si credeva, indemoniata. Il santo la guarì e, come ricompensa, ottenne dal-l’Imperatore che nell’Alvernia la tassa sul vino e sul grano, che si pagava in natura, si pagasse in contanti. Morì probabilmente nel 384, poiché al concilio di

Clermont dell’anno seguente prese parte il suo successore, Nepoziano. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria ad Sanctos, detta in seguito basilica Sancti Illidii. Secondo la testimonian-za di S. Gregorio di Tours, sulla sua tomba si verificarono molti miracoli, come egli stesso spe-rimentò, per cui volle dedicare a Illidio un oratorio nella sua città. I Normanni nell’865 bruciarono la Basilica del Santo che però fu riedificata nel sec. X dai Be-nedettini. Nel 1311 ci fu una tra-slazione delle reliquie (ed anche delle ossa della figlia di Massi-mo, sepolta presso il suo bene-fattore) ad opera del vescovo Auberto. Durante la rivoluzione del 1789 la Basilica fu demolita. Nella diocesi di Clermont, Illidio è festeggiato il 5 giugno, mentre il Martirologio Romano lo ricor-da il 7 luglio.” Bene, ora pren-dete tutti i testi di Octavarium (non sappiamo se la canzone o l’inero disco, scopritelo voi), una volta sommate 8 ad ogni

lettera e un’altra moltiplicatele per 5. Quello che otter-rete saranno due brevi trattati in “ko-baiano” (la lingua inventata dai Mag-ma) che parlano dell’invasione della Lidia da parte di Alessandro Magno e della vita di San Illidio.

4.2 Come fatto notare in prece-denza, ai 5 tasti neri del pianoforte corrispondono 5 Uccelli:Nero->Black Uccello-> Bird

Blackbird è il nome comune dell’SR-71 (7+1=8), l’aereo che una decina di anni fa l’esercito americano utilizzava per mis-sioni di ricognizione. L’SR-71 fu il sostituto dell’A-12, mentre l’A-12 a sua volta fu il sostituto di quale altro aereo? Dell’U-2. Il primo volo ufficiale del Black-bird è avvenuto nel 1967; in che anno sono nati i tre membri uf-ficiali dei DT? Nel ‘67. Inoltre il

progetto SR-71 si concluse uffi-cialmente nel 1989. In che anno è uscito il primo disco dei DT? Proprio nel 1989!

5. FULL CIRCLE5.1 Nella terza parte della can-zone Octavarium, chiamata “Full Circe”, sono molte le citazioni che il buon Mike ha nascosto tra le righe. Molte sono state spie-gate dai megaschermi durante le ultime date italiane. Ecco per voi un piccolo riassunto:Sailing on the = “Sailing on the seas of Cheese” (album dei Pri-mus del 1991).Sailing on the Seven Seas = Canzone degli OMD (“Orchestral Manoeuvers in the Dark”) tratta dall’album “Sugar Tax” del 1991.Seven Seize = Seven Seas of Rhye (Canzone dei Queen dal-l’album ononimo del 1973).Seize the Day = Citazione da “A Change of Seasons” e da “L’atti-mo fuggente”.Day Tripper = Canzone dei Be-atles (dall’album “Yesterday and Today” del 1966).Diem = Carpe Diem.Jack the Ripper = Canzone di Morrissey (dall’album “Beetho-ven was Deaf” del 1993).The Ripper = Canzone dei Ju-das Priest (dall’album “Sad Win-gs of Destiny” del 1976).Ripper Owens = Cantante degli Iced Earth, ed ex Judas Priest.Owen Wilson = Attore Ame-ricano (Insieme a Ben Stiller in “Starsky e Hutch” e nel cult “Zoolander”).Wilson Phillips = Trio vocale femminile fondato dalla moglie di Brian Wilson dei Beach Boys.Supper’s Ready = Canzone dei Genesis (dall’album Supper’s Ready del 1972).Lucy in the Sky with Diamonds = Canzone dei Beatles (dall’album “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” del 1967).Diamond Dave = Album di David Lee Roth del 2003.Dave’s not Here = Pezzo teatra-le di Cheech & Chong.Here I Come to Save the Day = Famosa frase presa dal cartone animato “Mighty Mouse”.Day For Night = Album degli Spock’s Beard del 1999.Nightmare Cinema = Nome che

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si davano I Dream Theter nel 1995 quando eseguivano “Per-fect Strangers” dei Deep Purple scambiandosi gli strumenti. Alla chitarra Nicky Lemon!Cinema Show = Canzone dei Genesis (dall’album “Selling En-gland by the Pound” del 1973).Show Me the Way = Canzone degli Styx (dall’album “Age of the Century” del 1990).Get Back = Canzone dei Beatles (Album singolo del 1970).Back Home Again = Album di John Denver del 1974.Flying off the Handle = Frase idio-matica americana che vuol dire pressappoco “Andare fuori dai gangheri”.Handle with Care = Canzone dei Travelling Wilburys (dall’album ono-nimo del 1988). Sono stati membri del gruppo anche Gorge Harrison, Tom Petty e Bob Dylan.Careful with that Axe Eugene = Canzone dei Pink Floyd (dall’album “Ummagamma” del 1969).Gene, Gene the Dance Machine = Personaggio del Gong Show (show televisivo da cui è stata tratta anche la nostra Corrida).Machine Messiah = Canzone degli Yes (dall’album “Drama” del 1980).Light my Fire = Canzone dei Doors (dall’album “The Doors” del 1967).Gabba Gabba Hey Hey = Celeber-rimo inno dei Ramones.Hey Hey, My My = Canzone di Neil Young (dall’album “Rust Never Sleeps” del 1979). Nel testo c’è la famosa frase: “it’s better to burn out than to fade away”, che Cobain citò nella sua lettera d’addio.My Generation = Canzone degli Who (dall’album “The Who sings My Generation” del 1966).Home Again = Citazione dal-le canzoni “Breathe Reprise” e “Time” di Dark Side of the Moon.Home Again = Canzone popo-lare Irlandese, ripresa anche da Ritchie Blackmore.

5.2 Tra le tante citazioni di “Full Circle”, merita attenzione una in particolare: “Supper’s Ready”There’s an angel standing in the sun, and he’s crying with a loud voice,“This is the supper of the mighty one”. Lord of Lords, King of Kings, Has returned to lead his chil-dren home,To take them to the New Jerusalem. (Genesis, Supper’s Ready, 1972)Questo brano è citato in tutti gli scritti sulla sezione aurea come

esempio di sezione aurea in musica, le parti della canzone e la lunghezza dei versi seguono la sequenza di Fibonacci. 5.3 Full Circle è stata compo-sta con la tecnica cosiddetta “Stream of Consciousness”. In più il concept dei circoli che ritor-nano, la danza infinta, fa torna-re in mente un opera di James Joice (il più grande maestro di questa tecnica) che si chiamava Finnegan’s Wake, che iniziava con la fine del periodo con cui finiva l’ultima pagina.

6. OCTAVARIUM E LA STORIA DEI DREAM THEATER6.1 In una recente intervista a Portnoy e Petrucci, fu chiesto perché mettere un lento alla seconda traccia, scelta un po’ inusuale. Petrucci ha risposto “Ce lo ha richiesto il concept segreto che c’è dentro il disco, quella canzone doveva essere messa lì, come tutte le altre”. Questo perché la prima song si lega alla prima canzone del pri-mo disco (“A Fortune In Lies” ), e così via...

The root of all evil -> A fortune in lies The answer lies within -> Another day

These walls -> Innocence Faded I walk beside you -> Hollow Years Panic Attack -> Fatal Tragedy Never Enough -> SDOIT Sacrificed Sons -> In the name of God Octavarium -> Octavarium Questo è un album autocelebrati-vo di tutta la loro carriera. Ciò po-trebbe far pen-sare addirittura che sia il loro

ultimo album. Più semplicemente aspettavano con ansia di chiude-re il contratto con Atlantic, cosa che si realizza con questo otta-vo disco. Dal prossimo, i Dream Theater saranno svincolati, inizia un nuovo ciclo. C’erano già, da molto tempo, delle indicazioni. Sulla copertina di “Six Degrees Of Inner Turbulence” tra i vari graffiti, c’è un cerchio diviso in 8 settori, di cui 6 sono riempiti. Ne mancano solo due, ovvero “Train of Thought” (settimo album) e “Octavarium” (l’ottavo). Per quan-to riguarda le canzoni, anche qui abbondano i riferimenti. Ogni bra-no di “Octavarium” ha una parte, seppur minuscola, che è identica alla relativa canzone del passato.

6.2 Sempre nel booklet c’è un’immagine di cinque pesciolini (i componenti del gruppo) che fuggono da una piovra (Octo-pus, otto tentacoli, otto dischi). Ovviamente la scena è ambien-tata in acqua... mare... Oceano... Atlantic, la loro etichetta. E come si chiama la divisiona dell’Atlantic per la quale lavoravano i Dream Theater? ATCO, che letta al con-trario fa OCTA. In quell’immagine inoltre è presente un cartello di Stop con all’interno il simbolo dei Majesty (il primo nome dei Dream Theater), il simbolo sostituisce la parola STOP:

Six degrees of inner turbulence Train of thought Octavarium P...

A quale pittore si rifacevano i disegni sul’Ibanez di Petrucci? Chi è quel pittore che disse: “I bravi artisti copiano, i grandi ar-tisti rubano”? Chi è quel pittore che ha disegnato quel quadro che rivela la posizione del Santo Graal? Rispondete a una qual-siasi di queste domande e avre-te il titolo del prossimo disco.

6.3 La canzone Octavarium è una parafrasi della carriera dei Dream Theater. La loro storia è rappresentata dalle vicissitudini

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del protagonista della canzone All’inizio volevano essere origi-nali, non volevano essere come questo “qualcuno” citato nel tito-lo. Questo potrebbe essere l’in-tera categoria dei padri della mu-sica progressive. Andando avanti però si sono accorti di essere dei “derivati”, ma non per questo si sono lamentati. Il secondo passo è stato quello di diventare “famo-si” proprio come i loro “padri”. 6.4 Guardate la copertina di TOT, quanti uccelli ci sono? Bene sommateci quello del retro-co-pertina (quello vicino la scala per intenderci) In totale avremo 5 uccelli, guarda caso gli stessi di Octavarium. Il messaggio tra le righe sembra essere: “stiamo uscendo dal tunnel (TOT) con l’occhio della casa discografica incombente. Ora invece siamo liberi (con l’uscita di Octavarium)

7. OCTAVARIUM, LA CANZONE7.1 Avete presente la trama del film “risvegli”, con Robin Williams e Ro-bert De Niro? Una parte della storia sembra ispirata proprio a quel film. Nella prima strofa di Octavarium il protagonista dice che non sa-rebbe mai voluto diventare come qualcuno (il padre?), un qualcu-no che vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, senza fare progetti futuri, una vita molto pragmatica i n s o m m a . Nella secon-da strofa pare che il prota-gonista, dopo lungo tempo, sia diventato proprio come quel “qualcu-no” che non sarebbe mai voluto esse-re, e sembra anche soddisfatto di ciò (“Content to live each day like it’s my last” - Soddisfatto di vivere ogni giorno come se fosse il mio ultimo). Tuttavia dice anche “Still i swear that i’m missing out this time” - Giuro ancora che sto perdendo il mio tempo. Nella ter-za strofa poi “But still ask myself could this be everything” - Ma mi

chiedo ancora se questo possa essere tutto. Insomma, nonostan-te il testo sia davvero uno “stream of consciusness”, sembra chiaro che il protagonista sia deluso da come è diventato. Nella seconda parte, “Medicate”, si risveglia dopo un lungo sonno. Evidentemente ha avuto un incidente ed è stato in coma per 30 anni (a catatonic sleep). Ecco la somiglianza con “ri-svegli”. Il medico in qualche modo è riuscito a fargli riacquisire co-scienza, tuttavia questo beneficio è solo momentaneo, e lentamente comincia a regredire fino a tornare allo stato catatonico precedente.Le altre due parti a mio pa-rere non sono altro che una riflessione,sempre molto onirica, che partendo da questa storia abbraccia una tematica più ge-nerale, quella dell’uomo e del suo destino (i Dream ne hanno già parlato in “Take The Time” e “Pull Me Under”). I tre versi finali sono emblematici sotto quest’aspetto: “Step after step we try controlling our fate,when we finally start living it has become too late” - Passo dopo passo cerchiamo di control-lare il nostro destino,ma quando incominciamo a vivere è già trop-po tardi. Le 7 precedenti canzoni di Octavarium narrano con sem-plicità disperazioni (The root of

all evil, These walls ,Sa-crificed Sons) e speranze (“The answer lies within”, “I walk beside you”) della vita, ed Octavarium non è altro che una riflessione su tutto ciò. Octavarium non è altro che una trappola (Trapped inside this octavarium), la trappola del destino umano e della sua ciclicità.

7.2 Nella quarta parte, “Intervals”. In cuffia senti-rete Mike che scandisce le varie strofe, dalla prima all’ottava, così:

[Root] Our deadly sins feel his mortal wrath, remove all obstacles from our path [Second] Asking questions Search for clues The answer’s been right in front of you

[Third] We try to break through Long to connect Fall on deaf ears with failed muted breath [Fourth] Loyalty, trust, faith and desire Carries love through each darkest fire [Fifth] Tortured insanity A smothering hell Try to escape but to no avail [Sixth] The calls of admirers Who claim they adore Drain all your lifeblood while begging for more [Seventh] Innocent victims for merciless crimes Fall prey to some madman’s for impulsive designs [Octave] Step after step We try controlling our fate When we finally start living it’s become to late

Alla prima Mike dice Root (ra-dice, inizio) e non First proprio per dare un indizio. Ogni mini strofa corrisponde ad una canzone del disco. In sottofondo viene fatta sentire pianissimo una parte di ogni rispettiva canzone, guarda caso una parte di ognuna di esse che è perfet-tamente in FA, come Octavarium!

7.3 The Root of All Evil: La can-zone è riferita ai problemi con l’alcool di Mike PortnoyThe Answer Lies Within: Il testo dice di vivere la vita senza farsi troppi problemiThese Walls: Difficoltà di comu-nicazione (Tear down these walls for me, stop me from going un-der) I Walk Beside You: Questa è una dichiarazione di amore eternoPanic Attack: Il testo è incentrato sulla depressione e sugli attacchi di panicoNever Enough: Mike Portnoy si sfoga contro i fan che vogliono sempre di piùSacrificed Sons: Canzone sul

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terrorismo e l’11 settembre in particolareOctavarium: Un uomo, un musi-cista, non vuole diventare come qualcuno, un qualcuno che vive ogni giorno come fosse l’ultimo, senza progetti futuri. Questo musicista, infine, diventa proprio come quel qualcuno che non sa-rebbe mai dovuto essere, sem-bra soddisfatto (“Content to live each day like it’s my last”) ma si chiede se è davvero questo quel-lo che voleva e se sta perdendo il suo tempo (Someone Like Him). Cade in coma per 30 anni, e un medico riesce a svegliarlo aumentando le dosi dei medici-nali, ma lui ricade nel coma (Me-dicate). Full Circe è la parte più ambigua di tutto il testo, è uno Stream of Conciousness, quindi scritto senza grammatica né sin-tassi e si può interpretare come il ritorno allo stato comatoso del protagonista. Intervals racchiude in se tutto il significato del disco:[Root] è riferito a The Root of All Evil. Rimuovere i peccati dal no-stro cammino.[Second] è riferito a The Answer Lies Within. Non pensare alle do-mande, vivi la vita.[Third] è riferito a These Walls. Difficoltà a comunicare, tentare di andare oltre le “mura”.[Fourth] è riferito a I Walk Besi-de You. L’amore.[Fifth] è riferito a Panic Attack. Depressione, difficoltà a uscire dai momenti difficili.[Sixth] è riferito a Never Enough. L’irriconoscenza, lo sfogo.[Seventh] è riferito a Sacrificed Sons. Il sacrificio di persone in-nocenti in nome di qualcosa.[Octave] è riferito alle prime parti di Octavarium. Passo dopo pas-so cerchiamo di controllare il no-stro destino, quando finalmen-te riusciamo a vivere è diventato troppo tardi.

Razor’s Edge racchiude il signi-ficato di quanto detto finora: ci muoviamo in cerchi (il destino), in equilibrio sulla rama di un ra-soio. Una sfera perfetta collima con il nostro fato, questa storia finisce dove è iniziata. Ed infatti Octavarium finisce esattamente

dove inizia, tutto ricomincia, tutto è ciclico, come una sfera perfet-ta. Il destino dell’uomo è sem-pre lo stesso. Come nel caso dell’umanità, la ciclicità consiste nel fatto che si nasce e si muore e si ricomincia sempre così per generazioni e generazioni, an-che se i punti nel mezzo (cioè ogni singola vita) sono diversi ogni volta. Una sfera perfetta, che può essere associata al-l’infinito, una cosa astratta, per-fetta nella sua teoria e quindi, irraggiungibile, che collide con il proprio destino. Essendo noi esseri umani, e quindi per defi-nizione non-perfetti, siamo come “sovrastati” dalla perfezione che cerchiamo di raggiungere. Ci av-viciniamo a lei passo dopo pas-so, ma comunque manca sem-pre qualcosa. Inoltre il mostro modus-operandi per avvicinarsi ad essa ci fa ottenere il risultato contrario (il fato che risulta im-prevedibile, e quindi, lontano da qualsiasi canone di perfezione). L’ultima frase indica appunto, che come creazione e distruzio-ne, tutto ricomincia e tutto finisce, come la sfera. Ma sembra esser-ci una via di fuga. Sul retro del booklet c’è una figura che schiva le sfere (ovvero il destino), non si capisce se è un uomo o una donna, ma riesce comunque a schivare il destino, a compiere alcune scelte. L’uomo non riesce a plasmare il proprio destino, ma può cambiarne alcuni punti, che sarebbero le scelte che ci sono proposte dalla vita. Scelte che portano sempre alla fine, e all’inizio.

8. CURIOSITA’Questa sezione non serve pro-prio a nulla. Esiste soltanto per suddividere l’articolo in 8 parti e non 7. ;-). Per riempirlo vi rive-liamo altre piccole curiosità su quest’album.8.01 Il primo accordo di chitar-ra in “The Root of all evil” è lo stesso dell’intro usato durante il tour di When Dream and Day Unite nel 1989. Può essere an-che ascoltato nel menù di When Dream and Day Reunite.8.02 All’inizio di The answer lies within, le campa-

ne suonano 8 volte la medesima nota della campana di The glass Prison.8.03 Il cuore all’inizio di These Walls batte a 58 bpm8.04 L’orologio all’inizio di I walk beside you, richiama da vicino Scenes From a Memory.8.05 Il riff finale di Panic Attack risuona 5 volte in ogni speaker.8.06 Pare che il motivo dal minu-to 7:02 a 7:32 di Panic Attack, sia uguale a “Teddy Bear’s Picnic”, una filastrocca per bambini.

8.07 Il piano al minuto 6:33 di Octavarium è identico al tema di Bohemien Rhapsody dei Queen.8.08 Al minuto 9:00 sotto il groo-ve di basso, l’arpeggio di chitar-ra è uguale al tema vocale di Anna Lee8.09 Al minuto 17:47 viene suo-nato Jingle Bells8.10 Al minuto 14:03 potete ascoltare in sottofondo le paro-le: “This is where we came in”. Questa frase è un bellissimo omaggio a The Wall dei Pink Floyd. Nel capolavoro targato Waters, negli ultimi istanti del disco potete ascoltare le paro-le “So this is where...”, mentre l’album inizia con la frase “...we came in.” Anche The Wall, come Octavarium ha una struttura cir-colare. Finisce dove inizia 8.11 Se moltiplicate tutte le let-tere di questo articolo per 8 e le suddividete per 5 otterrete…un numero che non vuol dire nulla.

Marco “Gonzo X-Files” Termine

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When Dream and Day Reunite DVD (NTSC, Region Free) & CD(Live Series)Ytsejam DVD001Ytsejam 009

Il ConcertoE’ il 6 marzo 2004: da pochissimi giorni è iniziata sulla West Coast la Leg americana del Train of Thought Tour, che quel giorno fa tappa a Los Angeles. Nei giorni precedenti, sulla rete si era par-lato dell’imminente anniversario, ma dalla band non era trapelato praticamente nulla, se non la volontà di festeggiare l’avveni-mento in qualche modo. C’era perciò un reale clima di attesa, anche perché, come si sa, ad un compleanno che si rispetti non devono mancare le sorprese… Il concerto parte con la “consue-ta” scaletta e il primo set termina dopo quasi due ore: la presta-zione della band è notevole ma il bello deve ancora venire. Già durante l’intervallo, i più attenti notano i cameraman prendere posto all’interno del Pantages Theater, mentre la regia predi-spone gli ultimi dettagli. Le luci si spengono nuovamente ed ecco riapparire Mike dentro al fascio luminoso di uno spot: è da questo punto in avanti che il DVD in questione documenta la serata. Questo video è fino ad

ora il gioiello più prezioso dell’in-tera Official Bootlegs Series e si può considerare uno dei migliori momenti dell’intera videogra-fia della band, nonostante sia un prodotto commercialmente di seconda linea, destinato ad un di pubblico di nicchia. Dopo l’emozionata introduzione (che ho tradotto all’inizio di questo articolo) inizia la festa. E’ovvia-mente il maestoso intro di A For-tune in Lies che apre le danze: anche se siamo di fronte ad un esperienza principalmente vi-suale, ci salta subito “alle orec-chie” la qualità audio, così lon-tana dalle ruvidezze analogiche del disco a cui eravamo abituati. Il mix audio è gradevole, pulito e ben bilanciato: possiamo fi-nalmente apprezzare al meglio e quasi riscoprire un album che, pur tra qualche ingenuità e pro-lissità tipiche degli esordi, con-serva ancora alcune autentiche gemme.

Tra l’altro viene finalmente resa “giustizia sonora” al grande la-voro di Myung, che per l’occa-sione ci propone una versione “ripulita” del suo celebre sound potente e ricco di armonici degli esordi. Il suono di Portnoy è ov-viamente anni luce più definito, brillante e ricco di quello dell’89, ma i suoi arrangiamenti riman-gono molto fedeli all’originale. Lo stesso vale per Petrucci, che però, come vedremo, proporrà interessanti variazioni rispetto alle partiture originali. Labrie (molto buona l’interpretazione di A Fortune in Lies) viene fortu-natamente valorizzato dal mix, mentre di Rudess ci accorgiamo davvero solo all’inizio del pez-zo successivo, Status Seeker (che non veniva eseguito da 11 anni!!), introdotto proprio da un bel riff di tastiera. Se dal punto di vista esecutivo non c’era al-cun dubbio (anche se eseguiva per la prima volta dal vivo ben 5 brani su 10), Rudess supera an-che il test di credibilità nei suo-ni impiegati. Sempre su Status Seeker possiamo apprezzare in modo particolare le potenti pul-sazioni del 6 corde di Myung:

anche meglio del Budokan! Da notare il finale del brano, che differisce dalla album version: è solo la prima di numerose varia-zioni che arricchiranno la serata. La concentrazione della band è altissima e non lascia spazio ad errori neanche su un pezzo dif-ficile come Ytse Jam (assente dalle scalette della band da 10 anni, anche se una piccola par-te era stato riproposta all’interno dell’Instrumedley). Il brano però scorre via in maniera abbastan-za anonima : forse la ricerca del-la “perfezione” formale prevale sull’istinto. Rudess “personaliz-za” le note e il sound del suo as-solo, mentre Petrucci e Myung sono senz’altro meno “estremi” e sicuramente più puliti dei ri-spettivi “originali”. Peccato che il bel solo di Myung non venga inquadrato! Un inedito arpeggio di tastiere accompagna le note semi acustiche della chitarra di John: ecco iniziare l’epica The Killing Hand, forse il miglior bra-no del disco, sicuramente uno dei più amati dai fan. Era da tempo immemorabile che l’intro origina-le del brano non veniva eseguito dal vivo. Anche se la canzone era stata ampiamente eseguita fino al 2002, ci eravamo quasi dimenticati che questo era il suo vero inizio, abituati com’eravamo (già dai tempi di I&W) ad ascol-tarlo introdotto dalla strumentale “Another Hand”, composta pro-prio per unire Another Day a The Killing Hand. Nonostante questo recupero dalla versione originale, The Killing Hand risulta il brano più differente rispetto alla album. Innanzitutto Rudess inserisce anche questa volta il breve stac-chetto “a la Carmina Burana”; oltre a questo, la sezione finale del brano viene anticipata dalla citazione del “Carol of the Bells” (citazione ormai così consolida-ta da essere riproposta anche in questa particolare occasione) e per finire Petrucci estende il suo assolo prima delle ultime strofe. Tutto ciò causa una “sforatura” di ben 4 minuti rispetto all’originale, mentre tutti gli altri brani rispet-tano più o meno le durate del disco.

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Senza sbavature l’ottima inter-pretazione di James, che però avrebbe potuto osare di più in certi break e, sul finale, non ar-riva certo a rinverdire i fasti del Live at the Marquee: il basso di Myung prova a farci dimenticare il suo avariato acuto finale.

Siamo alla metà del disco ed è tempo di qualche considerazio-ne circa la qualità delle immagi-ni, il montaggio e le riprese.La definizione dell’immagine non presenta particolari problemi e le luci non disturbano quasi mai le riprese: un mix di fasci caldi e atmosfere di fondo più dark e fredde, tendono a contrasta-re e far emergere ottimamente i contorni delle figure. Petrucci e Portnoy hanno più spazio nel montaggio, ma in definitiva ci perdiamo poco dei momenti to-pici degli altri tre (in particolare qualche assolo di Myung, come in The Killing Hand). Le riprese d’insieme sono effettuate “lato Petrucci” e in generale non pos-siamo lamentarci della fotogra-fia, anche se raramente la re-gia va sul dettaglio. Quello che manca veramente è una inqua-dratura frontale ravvicinata sul-le mani di Petrucci (quella che abbiamo è troppo distante e la maggior parte degli assoli ven-gono purtroppo ripresi “di sbie-co”). Inoltre sono poco usate le immagini della camera applicata sulla Kurzweil di Jordan (im-piegate soltanto durante il bis) mentre dal “retro” della batteria di Mike (intorno alla quale c’è un po’ troppo “traffico” di personag-gi..) abbiamo solo brevissime e poco stabili inquadrature.

Labrie è seguito abbastanza bene dalle camere, mentre sono rari gli zoom su Myung (d’altronde, dato che questa volta il mix audio lo premia, possiamo anche accontentar-ci!). Indirettamente possiamo anche usufruire delle immagini dei tre maxischermi presenti sul palco, mentre ci sorprendiamo per l’ennesima volta nel vedere il pubblico americano in piedi (ma con comode poltrone da teatro disponibili), a pochissima distanza dal palco senza alcuna barriera o transenna…

Un roadie stringe un piatto a Mike e Light Fuse and Get Away può anche iniziare…Dopo ben 11 anni, inaspettatamente, que-sto brano risulta uno dei più tra-scinanti e meglio eseguiti della serata. Labrie si inerpica sulle metricamente impossibili strofe, mentre Portnoy appare più moti-vato e “pesta” più del solito, Ru-dess miscela suoni azzeccatissi-mi e Petrucci finalmente alza lo

sguardo alla platea e in scioltez-za trascina il tutto verso la parte strumentale. Dopo il break di Myung pressoché identico al di-sco, Rudess imposta la sua par-te in maniera molto più solistica rispetto alle “atmosfere”originali di Moore e dilata questa scelta profondendo scale veloci, sia pulite che distorte. Petrucci ac-compagna la tastiera ma non la rincorre per poi superarla come sul disco (peccato!) e la sua se-zione inizia più come in un pas-saggio di testimone da Jordan, che con un sorpasso da Formu-la 1. Il suo assolo, molto bello e ricco di feeling, è più aderente al disco rispetto a quanto fatto da Rudess, ma più che la partitura conserva solo il sapore di quello originale. A voler cercare il pelo nell’uovo, si sono purtroppo “perse per strada” due stupen-de coppie di triplette di doppia cassa e basso proprio all’inizio del solo di chitarra. Ma siamo presto ripagati: Labrie canta le ultime strofe e il magnifico outro viene allungato con la tastiera che “doppia” la chitarra in uno splendido unisono.La band ha veramente saputo interpretare un brano difficile e non orecchiabile, arricchendolo e sfruttando le sue potenzialità inaspettate grazie ad un mix au-dio finalmente degno di questo nome.

E’ la volta di Afterlife, ennesimo battesimo live per Jordan. Uno dei migliori pezzi di WDADU, anch’esso mai eseguito dalla band negli ultimi 11 anni, ma con una potenziale live molto forte. Certo, a confronto con le recenti performance di questo brano che la band (specie Ja-mes ) ci ha regalato, a questa versione sembra mancare un po’ di intensità, ma il brano è co-munque ben eseguito e fila liscio sino alla fine, con uno stupendo unisono chitarra/tastiera.Alzi la mano chi si ricordava i tuoni e la pioggia all’inizio di The Ones Who Help To Set The Sun…bhe io me li ricordavo e

sono rimasto un tanti-no deluso nell’ascolta-re solo un brevissimo accenno di tuono (per altro seguito da quasi 20 secondi di lights off e silenzio) e niente più…

A differenza degli al-tri, questo brano era già stato riproposto 7 volte durante il tour di Train of Thought, dopo un oblio che du-rava dal tour di Awake. Se però consideriamo che Derek Sherinian

non imparò mai la sua partitu-ra (preferendo andare a farsi un drink nel backstage quando il brano veniva eseguito!), per una versione completa di tastie-re di questo brano bisogna risa-lire addirittura al tour di WDAU, cioè al 1989! Il brano è eseguito molto bene, con l’esatta misce-la di perizia tecnica e feeling. Il satrianesco e fumoso assolo di Petrucci (scandito dagli armoni-ci di Myung) si svolge purtroppo sotto delle luci inappropriate (cosa sottolineata anche da Mike nel commento) e introduce uno dei brani più complessi del disco d’esordio. Labrie si muove agilmente tra le originali linee melodiche vocali e finalmente osa anche di più; Myung ricama abbellimenti e il suo suono cor-poso emerge alla grande. Il solo di Petrucci si muove fluido tra gli incastri molto difficili del brano e Portnoy è assolutamente per-fetto. Infine Rudess si dimostra più diligente dello “scapestrato” Derek e riesce anche a perso-nalizzare in parte il brano.

Una buona Only a Matter of Time (uno dei brani più rari, con un fi-nale molto tirato,) “chiude” il di-sco ma non il concerto….Infatti nel finale ci attendono del-le sorprese molto ghiotte.To Live Forever (nella versione originale senza la strofa finale aggiunta nel’94) è scelta come primo bis: un brano dalle dinami-che gradevoli, riconducibile allo stesso periodo di WDADU, già proposto in tre occasioni duran-te il Tour di TOT ma che non era eseguito da 6 anni. Subito dopo la prima (deliziosa) strofa, Labrie sorprende tutti e lascia il palco introducendo Charlie Dominici, primo cantante della band e voce di WDADU! L’emozione per Charlie è forte e si sente..15 anni sono passati dall’ultimo concerto insieme: i riccioloni neri non ci sono più ma il timbro è sempre quello. Char-lie scorazza sul palco e gioca con gli ex compagni, amici da sempre. Larghi sorrisi e il brano

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si conclude in maniera soddisfa-cente..

Pochi istanti e l’inconfondibile intro di Metropolis Pt. 1 invade il Pantages Theater: anche questo mitico brano festeggia i suoi pri-mi 15 anni! Mike incita il pubblico a tenere il tempo e il brano parte mentre le luci si accendono sve-lando un nuovo ospite a sorpre-sa: Derek Sherinian!Ai ben informati a questo pun-to torna tutto: sia Derek che Charlie risiedono infatti nel sud della California (rispettivamente a Hollywood e San Diego) e la scelta di suonare a Los Angeles il 6 marzo appare adesso molto chiara. Certo qualcuno in platea si sarà chiesto perché non ci fosse Kevin Moore sul palco, do-manda lecita. Già dai tempi del concerto al Roseland del 2000, quando declinò l’invito di Mike a partecipare ad una versione a 2 tastiere di Learning to Live (che sarebbe dovuta finire sul dvd di SFAM), Kevin fece intendere che questo tipo di eventi non faceva-no per lui: coerentemente Kevin ha rifiutato anche questa volta.Il pubblico è in delirio.. sul palco c’è aria di rimpatriata: Petrucci e Sherinian si abbracciano mentre Dominici e Labrie si alternano le strofe di Metropolis. Anche se il di-vario tra i due è incolmabile, dopo qualche iniziale difficoltà, Charlie prende più coraggio e riesce ad interpretare in maniera originale le sue parti e ad eseguire degli ottimi controcanti.Ma quando Labrie tira fuori la voce non ce n’è per nessuno! La sezione centrale del brano vie-ne quindi trasformata in una sorta di “sfida” a tre tra Rudess, Sheri-nian e Petrucci.Derek fa sfoggio del suo incon-fondibile sound e il risultato è un incredibile climax strumentale che rappresenta l’apice della celebra-zione. Così Labrie e Dominici ri-tornano sul palco e chiudono in bellezza (Charlie un po’ meno…) le ultime meravigliose strofe. Baci, abbracci e ringraziamenti e lo show si chiude con Mike rivolto al pubblico: “Dream Theater history tonight and you were here..”.Nei titoli di coda possiamo ascol-tare una versione per solo piano di Ytse Jam, realizzata da Peter “Mr. Bungle” Rajkal a metà degli anni ’90 e molto popolare tra gli iscritti alla Ytsejam Mailing List. Notiamo anche il nome di Scott Sill, autore della regia e del montaggio (ovviamente sotto la supervisione di Mike). L’audio è stato registrato da Rich Mou-ser (che ha già lavorato con gli Spock’s Beard e Neal Morse) e mixato da Bryan Russel agli Hit Factory Studios (gli stessi di Octavarium).

CommentoAlla fine del concerto e della parte principale del DVD, tiriamo le somme. Senz’altro abbiamo trovato moltissimi punti positi-vi lungo tutta la performance e la grande qualità audio riesce nello scopo di farci apprezzare al meglio il primo lavoro della band. Come ho detto all’inizio, questa produzione rimane una delle cose migliori della video-grafia dreamtheateriana, an-che per tutto l’insieme di extra che andremo ad esaminare più avanti. Uno sforzo musicale e produttivo che sicuramente non è stato colto da chi ha sostenuto che la band “ha iniziato a ra-schiare il fondo del barile ripro-ponendo materiale vecchio di 15 anni”. Chi conosce realmen-te la storia dei Dream Theater sa che questo non è stata solo una semplice celebrazione, ma il compimento di qualcosa che era nell’aria da anni: dare al pri-mo disco della band una nuova occasione di essere apprezzato senza l’handicap di una produ-zione approssimativa. Inoltre chi conosce veramente il progetto Official Bootlegs, sa che si rivol-ge ad una nicchia, in un ambito commerciale di seconda linea. E tutto sommato non mi dispia-cerebbe che la band tornasse a “raschiare il fondo del barile” se ciò volesse significare il ritorno ad un certo sound che l’ha resa famosa…La percezione di chi ha avuto la fortuna di essere a Los Angeles quel giorno, deve essere stata assolutamente straordinaria sot-to ogni aspetto. Ma noi abbiamo davanti un prodotto frutto di un lavoro di editing audio e video, che possiamo vedere e rivedere, con più lucidità, a freddo e con la possibilità di mettere a fuoco il dettaglio. Perciò, analizzando a fondo il filmato, sembra che fino a The Killing Hand venga privilegiato l’aspetto esecutivo, tendendo a “raffreddare” quello emotivo e tutta la dinamica live che in fondo dovrebbe fare la differenza. Ne risulta una perfor-mance sicuramente perfetta e anche arricchita dal punto di vi-sta esecutivo, ma questo a sca-pito dell’intensità dinamica ed è così che i primi brani appaiono abbastanza “statici”. Senza portare agli estremi questa mia considerazione, credo che nella prima parte ci troviamo davanti ad una prestazione meno tra-scinante rispetto agli standard sicuramente più pirotecnici del-la band. In particolare Petrucci non riesce a trainare la band come dovrebbe. Questa frase può forse far sorridere qualcu-no: infatti la sua esecuzione è tecnicamente quasi perfetta. Ma

quel suo continuo guardarsi le mani è segno di una profonda concentrazione che non riesce però a liberarsi e sciogliersi in feeling e dinamica live. Provia-mo a confrontare l’esecuzione dei primi 3 pezzi con il bis: qui, finalmente, non solo Petrucci ma tutta la band si ”scioglie” del tutto e da il meglio di se…Una considerazione va fatta anche su Labrie: senza voler tornare a sottolineare lo stato di grazia crescente in cui il cana-dese è entrato ormai dall’estate del 2003 (e dal quale spero non esca mai più!), vorrei segnala-re come la performance di Los Angeles sia, a mio parere, ab-bastanza “bugiarda”, ovvero, pur essendo priva di errori gravi e sicuramente di buon livello, non rispecchia appieno il vero potenziale del Labrie di quel pe-riodo (adesso ulteriormente au-mentato, basti citare le recenti versioni di Afterlife e A Fortune in Lies, con variazioni melodi-che sorprendenti e affondi voca-li ammirevoli). A Portland, solo pochi giorni prima, James era stato protagonista di una sera-ta straordinaria, sopra le righe, e il prosieguo del tour fu tutto un susseguirsi di grandi exploit vocali che trascinarono tutta la band. Ma a Los Angeles il “vero” Labrie esce fuori solo a sprazzi, forse temendo troppo di sbaglia-re. E infatti nel finale, quando l’atmosfera si fa più rilassata, anche James tira fuori il meglio di se. Resta in ogni caso il fatto che si stavano eseguendo pezzi suonati di rado o comunque non eseguiti dai tempi di Images & Words e perciò già l’assenza di errori esecutivi sarebbe motivo di ammirazione. Ma si sa che per il fan ”everything is never enough” ;)

Il DVDUna volta avviato il DVD nel no-stro lettore veniamo accolti dal menu principale che è per metà statico e per metà animato con immagini prese dal concerto. In sottofondo possiamo ascoltare “Distant Echoes” una sorta di collage di varie parti di canzoni di WDADU mixate insieme a dei sample parlati. Questa intro ven-ne impiegata nelle poche date del When Dream and Tour Unite e possiamo ascoltarla anche su qualche bootleg dell’epoca.Il menu principale ci offre tre possibilità di scelta: possiamo vedere il concerto dall’inizio (“Play”), scegliere i brani (“Song Selection”) oppure passare di-rettamente al “Bonus Material”. Scegliendo la seconda opzione arriviamo in un sottomenu stati-co (con un bel loop di The Killing Hand live in sottofondo) dal qua-

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le possiamo scegliere tra tutti i 10 brani presenti. La sorpresa però arriva dopo aver clicca-to sui titoli: infatti, per ciascun brano, è possibile scegliere tra la versione live del concerto del 2004 oppure la sezione del do-cumentario “I Can Remember When” (di cui parlerò dopo) de-dicata al brano scelto. Ne risulta che, per ogni brano, è possibile vedere la versione live 2004 op-pure quella del 1989, grazie ai numerosi estratti video dell’epo-ca, usciti direttamente dai “Port-noy Archives”.Nel sottomenu “Song Selection” è nascosta l’unica “easter egg” del DVD, che si attiva cliccando sulla cassa destra della batte-ria di Mike: si tratta di un bre-ve video in cui, evidentemente dopo numerose birre, Charlie Dominici sfodera le sue doti di cabarettista…(occhio alla rea-zione di Kevin!).Passiamo ora ad analizzare il sottomenu del “Bonus Material”.

“I Can Remember When”“I Can Remember When” (frase non a caso tratta da A Fortune in Lies) è un documentario di ben 70 minuti di filmati inediti diret-tamente dagli archivi di Mike. Si tratta sia di “auto-interviste” della band in “studio” (legga-si nella cantina di Mike...) sia di riprese dal vivo (più o meno amatoriali) risalenti appunto al periodo 1988/89. L’inizio del do-cumentario, in tono auto ironico, ci spiega che già nel 1989 (!) Mike aveva iniziato a selezio-nare questi filmati per farne un video da regalare ai fan, ma il progetto fu presto abbandonato per essere poi ripreso e comple-tato solo 15 anni dopo, appunto in questa occasione: meglio tar-di che mai!Da non sottovalutare l’interesse di questi filmati per i patiti della storia delle strumentazioni dei singoli componenti della band (specie per quanto riguarda Portnoy e Petrucci), che posso-no carpire i segreti dei set live dei primordi grazie a queste im-magini prima inedite.Il video è inoltre costellato di una serie di gag e battute che lo rendono ancora più gradevo-le oltre che informativo su molti argomenti. Chiudono il docu-mentario le profetiche parole di Charlie: “Quando vedrete que-sto video probabilmente sarò stato buttato fuori dalla band e ci sarà un nuovo cantante: ma anche se questo dovesse un giorno accadere io rimarrò sem-pre un amico, io rimarrò sempre un amico di questi ragazzi..”

Audio CommentaryLa successiva opzione del Menu

del “Bonus Material” ci permette di seleziona-re o meno l’ascolto del commento durante la visione del concerto. Non esistono altre op-zioni audio particolari: l’unica traccia audio disponibile è in Dolby Digital 2.0 a 192 kbps.Il commento è stato registrato dalla band il 1 dicembre 2004 agli Hit Factory Studios di New York, mentre stavano lavorando ad Octavarium. L’intento di un commento au-dio di un concerto è quello di fornire informazioni aggiuntive a chi guarda il DVD, tirando fuori ricordi, aneddoti e storielle varie e magari anche svelando qualche piccolo segreto: questo commento riflette tutte queste caratteristiche. Ovviamente ci è impossibile riportare tutto ciò che viene raccontato durante il commento, ma vale sicuramen-te la pena dedicare un ascolto sforzandosi di capire ciò che viene detto.

Audio Commentary - Behind the ScenesUn’altra opzione presente nel menu (“Audio Commentary - Behind the Scenes”) ci per-mette anche di poter vedere un esilarante filmato di 7 minuti con estratti video registrati durante la realizzazione del commento. Possiamo così vedere Petrucci che ci parla del sushi preparato da Charlie e Myung che ricorda il periodo in cui la band si trasfe-rì in Pennsylvania per incidere WDADU, con le registrazioni che iniziavano alle 6 del matti-no! Labrie ci racconta invece di quando finse di voler acquistare un enorme impianto stereo (di marca Majestic!) in un centro commerciale, “testandolo” con il singolo di Status Seeker che la band gli aveva spedito in Canada, dato che il suo lettore cd si era rotto! Fu così che Ja-mes ascoltò per la prima volta i Dream Theater!!

Divertente anche il racconto di Jordan, che non avendo idea di chi fosse, scambiò Charlie per un tassista quando lo incontrò per la prima volta! Mike fa poi notare come la posizione di De-rek vicino a Petrucci , ricalcasse l’originaria posizione dei Maje-sty sul palco, quando John era vicino a Moore. Nel finale, dopo aver ricordato il divertimento di quella serata speciale, la band saluta e ringrazia tutti. Ma non è finita…assistiamo infatti ad un momento inedito (non presente sul commento vero e proprio):

credendo di essere “fuori onda”, tra sbadigli e stiracchiamenti vari, Petrucci dice “Ogni volta che regi-striamo questi commenti, mi ren-do conto di quanto parliamo poco tra di noi..”. Le risate scattano im-mediate: ma quanto c’è di vero in questa battuta?

WDADU Rehearsal & SoundcheckL’ultima opzione disponibile del Menu del “Bonus Material” è il filmato delle prove e del soun-dcheck del concerto, “WDADU Rehearsal & Soundcheck”. Que-sto filmato, di circa un quarto d’ora, è molto interessante in quanto ci propone parte delle pro-ve del concerto. Dopo i saluti ini-ziali da parte di Mike, ci troviamo subito davanti ad una delle scene più belle dell’intero DVD: James che “insegna” a Charlie come af-frontare un difficile passaggio di Metropolis. Poter vedere la faccia di Charlie mentre James gli “spa-ra” in faccia un acuto spaventoso con una facilità disarmante, non ha prezzo. Il video prosegue con estratti del soundcheck di To Live Forever, durante il quale sia Mike che James danno numerosi con-sigli a Charlie. La seconda metà del filmato ci propone il soun-dcheck di Metropolis, con Derek Sherinian dopo sei anni di nuovo sul palco insieme alla band. Derek sembra molto più sciolto rispetto a Charlie, che però dimostra di cavarsela molto bene con i testi. Nei minuti finali troviamo alcune riprese realizzate nel backstage da Dominici, subito dopo la fine del concerto.

L’ArtworkNel consueto sfondo viola della Live Series, Scott Hansen ha iro-nicamente rielaborato la coper-tina originale di Amy Guip: anzi-ché venire marchiato con il logo Majesty, al ragazzo (che indossa un cappellino da party) viene in-vece offerta una torta con tanto di candelina per festeggiare il suo quindicesimo “compleanno”.

Antonio Vescio...again and again

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Correva l’anno 1995, quando ad un certo Joe Satriani , ven-ne in mente una grande idea: organizzare uno show dedicato a sua maestà la chitarra. Una festosa celebrazione della sei corde, dedicata a tutti coloro che amano questo strumento e la musica in generale. Come primo compagno di viaggio, Sa-triani pensò subito ad un certo Steve Vai. Il buon vecchio Joe non si era scordato di questo promettente ragazzino che ogni settimana veniva a prendere le-zioni di chitarra a casa sua. In-tanto nel tempo libero, il giovane Steve era entrato già sedicenne nel gruppo di Frank Zappa, ave-va inciso diversi dischi solisti e aveva esplorato e sperimentato praticamente ogni angolo più recondito delle sei corde, diven-tando (volenti o nolenti) il chitar-rista più famoso al mondo.

Il progetto prese subito il nome di G3, ovvero Guitar 3, e non Great 3 come molti hanno pen-sato erroneamente. La dicitura più esatta per descrivere questo show sarebbe però stata G2+1, in modo da chiarire a tutti come il progetto ruoti intorno alla figu-ra di Joe Satriani e Steve Vai, due artisti eccezionali e così stilisticamente lontani fra loro. Non sto qui ad elencare le qua-lità di questi due mostri sacri, né a spiegare come siano sta-ti la principale influenza di una moltitudine di chitarristi profes-sionisti e non (in primis quello là che suona la chitarra nei Drim

Tiater). Nella prima versione del progetto i due axe man stupiro-no tutti chiamando alla loro corte un chitarrista semi sconosciuto al grande pubblico, ma adorato da una nicchia di veri intenditori: Eric Johnson.

Gli show del G3 riscuoterono subito un grande successo di pubblico, Satriani e Vai stupiva-no le platee con le loro esibizioni funamboliche, mentre Johnson le incantava con uno stile uni-co e di gran classe. Il chitarrista era accompagnato da musici-sti straordinari e sconosciuti al pubblico: Stephen Barber alle tastiere, Roscoe Beck al basso e Brannen Temple alla batteria. La struttura dello show era sem-pre la stessa: un set di circa tre quarti d’ora per ogni chitarrista insieme al proprio gruppo (in ordine Satriani, Johnson, Vai) più una jam finale con tutti e tre i chitarristi sul palco accompa-gnati dalla band di Satriani. Dal-la data del 2 novembre 1996, al Northrop Auditorium di Min-neapolis, furono tratti un album e una videocassetta (poi ripro-posta in Dvd) intitolati “G3 Live in Concert” che vendettero uno sfacelo di copie in tutto il mondo, diventando subito dei classici della chitarra elettrica. Nella jam finale vennero proposte “Going down” uno standard blues di Don Nix, “My guitar wants to kill your mama” di Frank Zappa e “Red House” di Jimi Hendrix. Successivamente il G3 fu ripro-posto con diversi chitarristi fa-

mosi. Al fianco di Vai e Satriani si alternarono nomi come Ken-ny Wayne Shepherd, Michael Schenker, Uli John Roth e Ro-bert Fripp. Da segnalare il rifiuto da parte del tanto grande quanto folle Paul Gilbert che a quanto pare respinse l’invito di Satriani, rilasciando diverse dichiarazioni in cui spiegava di sentirsi princi-palmente un cantante e non un chitarrista!

Per registrare un nuovo album Vai e Satriani decisero di invita-re il chitarrista che per molti era il naturale completamento del G3: Yngwie Malmsteen. Nac-que così “G3 Live in Denver” (Cd e Dvd) registrato al Fillmore Auditorium, il 20 ottobre 2003. Questa volta per la jam fina-le furono scelte “Little Wing” e “Voodoo Child” del nume tute-lare Jimi Hendrix e la stupen-da “Rockin’ in the free world” di Neil Young. A differenza del primo però, il secondo capitolo del G3 non convinse più di una persona. Le critiche più aspre erano naturalmente rivolte alla presenza di Yngwie Malmsteen. L’esibizione dello svedese ap-parve ai più, una pura e sempli-ce “masturbazione chitarristica”.Del resto Malmsteen è un artista da “prendere o lasciare”. Alcuni (pochi) pensano che sia un ge-nio, altri (molti) non riescono a capire come faccia ad avere un tale successo chi ha passato l’intera carriera a copiare spu-doratamente partiture di musica classica, senza aver inventato

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assolutamente nulla.Una cosa che non si può assolu-tamente negare ad Yngwie però, è una grande presenza scenica e un’energia live veramente stra-ripante. Vai e Satriani invece, pur rimanendo su livelli marziani, ap-paiono leggermente sotto tono, forse anche per una scelta dei brani mirata anche a supportare i rispettivi nuovi dischi.

Per la prima volta però, Vai pre-senta la sua nuova e inarriva-bile band: i “The Breed”. Sotto questo nome sono riuniti nien-tepocodimenoche: il giovanis-simo, bravissimo e tatuatissimo Jeremy Colson alla batteria, un grande fantasista come Dave Weiner alla chitarra, Tony Ma-calpine a chitarra e tastiere (uno che da solo potrebbe essere invitato tranquillamente al G3, provate ad ascoltare qualsia-si suo progetto solista...), e un certo Billy Sheehan al basso. Il gruppo di Vai esibisce tutta la propria maestria con una esi-bizione al limite delle capacità umane, che fa impallidire qual-siasi altra all star band. Il buon Satriani invece, rimane legato (e fa bene) a Jeff Campitelli alla batteria, mentre Matt Bissonette prende il posto di Stuart Hamm al basso. Ai tre si aggiunge Ga-len Henson alla chitarra.

Dopo la parentesi con Malm-steen, il G3 cambia completa-mente faccia in vista di un im-minente tour europeo. Dopo lo straripante ed eccentrico Malm-steen, arriva il minimalismo del geniale Robert Fripp. Insieme al leader degli immensi King Crim-son, il G3 approdò anche in Ita-lia nel luglio del 2004 per quattro concerti a Milano, Roma, Stra e Pistoia. Nella data di Roma (a cui assistetti personalmente) durante la Jam finale, i tre chi-tarristi furono raggiunti sul palco anche da Steff Burns, chitarrista per diversi anni della band di Vasco Rossi. Fu uno show vera-mente unico che lasciò a bocca aperta tutto il Foro Italico e che mi fece capire quanto il G3 sia uno spettacolo prettamente live, il cui coinvolgimento e la bellez-za visiva e sonora non potranno mai essere catturate da nessun supporto audio o video.Robert Fripp, con la sua chitarra “spaziale” (il cui suono veniva

elaborato da due armadi di va-rie diavolerie elettroniche), fu un elemento di rottura nella tradi-zione del G3. Il venerato chitar-rista apriva gli show con un set molto delicato e personale, a volte psichedelico, suonato con una infinita umiltà, seduto su di uno sgabello posizionato ad un angolo del palco. Nessun suono “tradizionale” (distorto o pulito) della chitarra poteva essere percepito durante il set di Fripp, che non veniva supportato da nessuna band. Addirittura Fripp toccava poche volte il suo stru-mento, dedicando più tempo ad una moltitudine di complicatissi-mi effetti elettronici riuniti in dif-ferenti rack. In definitiva quello di Fripp era uno spettacolo mol-to raffinato, ma così personale e anticonvenzionale da risultare di difficilissima comprensione per il pubblico. Da segnalare durante la jam finale, l’esecuzione (oltre all’inno “Rockin in the free world” e un abituale pezzo di Hendrix) del classico dei King Crimson “Red”.

Dopo questo escursus storico, arriviamo finalmente al G3 in-sieme a John Petrucci. Il buon John fu invitato al G3 per la prima volta nell’estate del 2001 per un breve tour americano. I Dream Theater erano proprio nel mezzo della composizione e registrazione di “Six Degrees”, ma John non volle farsi scap-pare questa prestigiosa oppor-tunità e scattò sull’attenti alla convocazione del commissario tecnico Satriani. John presentò alcune canzoni che dopo una lunga gestazione e continui rifa-cimenti, sarebbero diventate la colonna portante di “Suspended Animation”. All’interno di queste canzoni John rendeva spesso omaggio alla sua band madre, inserendo alcuni stralci di can-zoni targate Dream Theater (un piccolo estratto di Erotomania veniva sempre inserito). Vai e Satriani elogiarono ripetuta-mente il lavoro di Petrucci sia nei Dream Theater che nelle sue numerose collaborazioni. I due maestri erano soprattutto impressionati dalla precisione di John, della sua grande puli-zia e della sua strumentazione tecnologica all’avanguardia. An-che a livello umano Satriani e Vai parlarono di Petrucci come

di un vero tesoro, una persona umile e divertente con cui an-dare in tour era un vero piace-re. Naturalmente nessuno deve offendersi se consideriamo che la chiamata di John Petrucci nel G3 fu anche un’abile mossa commerciale, visto il numero e l’affettuosità dei fan dei Dream Theater. Anche per questo Sa-triani organizzò subito la regi-strazione di una serata e per l’occasione venne scelta la data di Los Angeles. L’album però, per diverse e non specificate ra-gioni, non venne mai alla luce. Dopo circa quattro anni di silen-zio, nel maggio del 2005 John si riunì a Satriani e Vai per una breve tournee in Giappone. Nel frattempo John era riuscito a pubblicare il suo album solista proprio con la Favored Nation, l’etichetta fondata da Steve Vai. Il tour si presentava come un’occasione straordinaria per promuoverlo insieme a “Real Il-lusions: Reflections”, il nuovo di-sco di Vai. La data scelta per la registrazione del nuovo album del G3 fu quella dell’otto maggio allo splendido Tokio Forum. I fan di tutto il mondo però avrebbe-ro dovuto aspettare altri sette mesi prima di avere finalmente fra le mani il nuovo Guitar 3 con John Petrucci, rilasciato in tutto il mondo alla fine di novembre.Rispetto ai due predecessori, la nuova uscita discografica del G3 è caratterizzata da una maggio-re cura del prodotto. Sopratutto il dvd presenta dei menù belli e particolari, e una qualità video e sonora veramente molto alta. E’ un dato di fatto che quasi tutti gli album e dvd registrati nel sol levante, sono caratterizzati da una qualità sopraffina. La regia è veramente ispirata e le teleca-mere inseguono i tre chitarristi offrendoci inquadrature molto particolari. La spettacolarità delle scelte registiche non va però ad ostacolare la chiarezza (fondamentale per un prodotto come il G3) necessaria ad esal-tare le doti tecniche di Satriani e soci. A differenza di altri prodotti Europei e Americani, “G3 live in Tokio” da l’idea di essere stato ripreso da persone competen-ti nel proprio lavoro, ma anche appassionate di musica.Petrucci apre le danze con due canzoni tratte da “Suspended

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animation”: “Glasgow Kiss” e “Damage Control”. Rispetto a Vai e Sa-triani, il set di Petruc-ci è formato da una canzone in meno, per un totale di 18 minuti e 33 secondi. 3 minuti e 10 secon-di in meno di Vai e 3 minuti e mezzo in meno di Satriani. Ad accompagnarlo c’è il fido Mike Portnoy e un eccezionale Dave LaRue al basso. Per chi non lo conoscesse, LaRue è stato il bassista dei Dixie Dregs e dei Planet X e ha girato il mon-do insieme a tipini come Vinnie Moore, Alan Holdsworth e Bruce Hornsby.

John imbraccia naturalmente il suo modello personale Music Man, Mike invece deve “accon-tentarsi” di un set molto ridotto rispetto al suo Siamese Mon-ster, con soltanto una cassa. Il buon Dave LaRue invece, sfoggia uno splendido Music Man a 5 corde modello Bongo, arancione fiammante. Cosa dire dell’esibizione di Petrucci? Le canzoni tratte dal suo album so-lista sono davvero molto belle. Il lunghissimo lavoro compositi-vo di “Suspended Animation” ci ha regalato delle canzoni molto aggressive ed elaborate. Forse si sente un pò la mancanza di alcuni fraseggi più melodici e orecchiabili, necessari per non annoiare il pubblico durante un’esibizione strumentale.

Durante il suo spot, John inonda il pubblico con un sound molto cattivo e veloce, la sua ormai famosa plettrata alternata do-mina stilisticamente i due pezzi. “Glasgow Kiss” risulta però più varia di “Damage Control” an-che grazie al lavoro sopraffino di Portnoy e LaRue. John ap-pare concentratissimo, la sua esibizione è ineccepibile e an-che i passaggi di una difficoltà spaventosa sono suonati con una leggerezza sorprendente. In definitiva il “nostro” chitarri-sta suona bene, dannatamente bene. Come al solito.

Questa volta però ci lascia un pò di amaro in bocca. In quasi

venti minuti John alzerà la fac-cia della chitarra solo un paio di volte, la sua esibizione è perfet-ta, ma fredda come il ghiaccio. Anche nei Dream Theater, Pe-trucci non è certamente Angus Young, ma la sua progressiva “imbalsamazione” è parzialmen-te compensata dalla presenza di LaBrie, dalla personalità dei suoi compagni e dalla loro bra-vura tecnica. Quì invece, tutti i riflettori sono puntati solo su di lui, sul palco non c’è il gruppo prog più famoso al mondo, ma soltanto John Petrucci. Per que-sto è quasi imbarazzante ve-dere il buon Mike coinvolgere il pubblico più di John.

Questa sensazione viene anco-ra più alla luce quando sul palco sale Steve Vai. Il palazzetto s’in-fiamma con uno show raffinato e pirotecnico. L’esibizione del suo gruppo è veramente da brividi. L’intesa con Sheehan è perfetta, Colson mena come un fabbro, mentre Macalpine suona divina-mente chitarra e tastiere. Intanto Steve Vai sparge magia su tutto il pubblico. La sua esibizione stavolta è incentrata leggermen-te di meno sulla tecnica pura, a vantaggio di una esasperata ricerca sonora. Steve plettra, percuote, accarezza, violenta la sua chitarra ricavandone sfu-mature uniche. Questo grande artista può piacere o no, ma nessuno al mondo suona come lui. Potete trovare qualcuno che tecnicamente sia addirittura più bravo di Vai, ma è impossibile trovare un suo clone.

L’esibizione del gruppo di Steve Vai mette in ombra anche quella del maestro Joe Satriani. Alcuni problemi tecnici e una scaletta

non troppo felicis-sima ne penaliz-zano leggermente la qualità. Vedere suonare Satriani però, rimane una gioia per gli occhi. Mai una nota in più del necessario ed una precisione eguagliata solo da un’espressività che rende unica ogni sua esibizione. La sua setlist si chiu-de con un classico come “War” che

scalda il cuore del pubblico e fa capire a tutti che gli anni pur-troppo passano inesorabili, ma la classe, quando è innata, non scompare mai. “Foxy Lady”, cantata da Satriani, con Portnoy alla batteria e Bis-sonette al basso, apre alla gran-de la Jam finale. Satriani non eccede certamente nel canto e si sente, ma la canzone viene interpretata in modo superlativo dai tre chitarristi. La canzone in se stessa è un gioiello e la band rimane all’altezza delle aspetta-tive con una versione aggressiva e di gran classe. Portnoy spicca con un’esibizione perfetta e fan-tasiosa, anche se non può per-mettersi eccessivi protagonismi. Già dalle prime battute si nota la perfetta intesa fra Satriani e Vai, nata grazie ai moltissimi con-certi insieme. Petrucci rimane un poco in disparte suonando però in modo superlativo. A vol-te può sembrare che Vai e Sa-triani “snobbino” un poco John, ma questa sensazione è dovuta soprattutto al fatto che tutta la band è concentrata su Satriani che ricopre in qualche modo il ruolo di “direttore di orchestra”, guidando il gruppo durante le variazioni della struttura e i nu-merosi stacchi improvvisati.

La jam prosegue con “La Gran-ge” degli ZZ Top, con Campitelli alla batteria e Billy Sheehan a basso e voce. L’album si chiude con i fuochi d’artificio di “Smoke on the Water”. Al gruppo si uni-sce anche Bissonette nella veste di secondo bassista e cantante. La canzone non è certamente delle più facili da interpretare, ma Bissonette non sfigura asso-lutamente, aiutato anche dai cori di Sheehan. Per tutta la Jam Pe-

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trucci suona davvero bene, ma in alcuni passaggi, soprattutto a livello di fantasia ed espres-sività, Satriani e soprattutto Vai sono semplicemente inarrivabili. Due veri mostri sacri.

Il dvd è completato da pochi, ma molto interessanti contenuti spe-ciali. Si può assistere infatti, ad un lungo estratto del soundche-ck per la jam finale. Possiamo vedere tre alieni mettersi d’ac-cordo come dei comuni mortali dividendosi le parti da suonare. Possiamo ascoltare Vai e Sa-triani parlare di effetti e calli alle dita, i musicisti scherzare fra loro e vedere come durante una foto di gruppo, Vai riesce a suona-re anche un pollo di gomma. Il soundcheck può anche essere ascoltato con il commento sepa-rato dei tre chitarristi. Molto belli i racconti di Satriani sui passati G3 e gli aneddoti divertenti di Vai.

I due poi non risparmiano i complimenti a tutti i musicisti incontrati nelle varie evoluzioni del G3, ribadendo inoltre come questo tipo di show sia un’espe-rienza unica ed estremamente divertente, in cui si ha l’oppor-tunità di suonare con musicisti fantastici di cui si possono ap-prezzare e “rubare” le tecniche più personali. Il commento di Petrucci è invece praticamente inutile. Assolutamente noioso e ancora una volta fuori luogo ri-spetto al clima festoso del G3. Nessun aneddoto divertente o particolare, soltanto parole di circostanza che lasciano il tem-po che trovano.

In definitiva il nuovo “G3 Live in Tokio” è un prodotto assoluta-mente di alto livello. Possiamo stare quì a parlare ancora di piccoli particolari, ma quando in una uscita discografica sono racchiusi insieme nomi come Petrucci, LaRue, Portnoy, Sa-triani, Bissonette, Campitelli, Vai, Sheehan e Macalpine; il risulta-to non può essere che ottimo, anche se personalmente penso che non si raggiungono i livelli del primo G3. Una cosa però ha lasciato perplesse molte perso-ne. Perchè, visti i grandi nomi in ballo, comprimere questa magi-ca serata in un misero Dvd? Il concerto dell’otto maggio non si limitava assolutamente alle

canzoni inserite nell’album. La vera scaletta dell’evento (più di 4 ore!!!) era invece questa:

Set One – JOHN PETRUCCI JAWS OF LIFE GLASGOW KISS LOST WITHOUT YOU CURVE WISHFUL THINKING DAMAGE CONTROL Set Two – STEVE VAI THE AUDIENCE IS LISTENING BUILDING THE CHURCH K’M-PEE-DU-WEE THE CRYING MACHINE Billy Sheehan Bass Solo LOTUS FEET GET THE HELL OUT OF HERE Set Three – JOE SATRIANI UP IN FLAMES SUMMER SONG HORDES OF LOCUSTS ALWAYS WITH ME, ALWAYS WITH YOU SEARCHING IS THERE LOVE IN SPACE? WAR FLYING IN A BLUE DREAM Encore - G3 JAM 1.FOXY LADY (JIMI HENDRIX) 2.LA GRANGE (ZZ TOP) 3.SMOKE ON THE WATER (DEEP PURPLE)

4.GOING DOWN (DON NIX)

In definitiva si è persa l’occasio-ne per un’uscita discografica che poteva essere una mastodonti-ca celebrazione della sei corde. Si sarebbe potuto produrre un doppio dvd e un triplo cd con più di 4 ore di splendida musica suonata da musicisti incredibili. La decisione di amputare la se-rata risulta inspiegabile anche a livello commerciale. Il G3 infatti, è un prodotto riservato esclusi-vamente ai musicisti (soprattutto chitarristi naturalmente) e a veri appassionati di musica.

Il perfetto ritratto di un sogget-to capace anche di vendersi un rene pur di avere un concerto completo con quella incredibile scaletta. Anche perchè quasi tutte le canzoni suonate non si possono trovare in nessun pre-cedente live dei tre chitarristi. E poi mio cuggino mi ha detto che il nuovo chitarrista di questo G3, suona con un gruppo chiamato Drim Tiater che sono abbastan-za bravi e hanno un sacco di fan che hanno comprato questo dvd a scatola chiusa solo per avere qualsiasicosaincuisuonaunodei-dreamtheater!!!

Marco “Gonzo” Termine

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Dunque, prima di tutto un po’ di storia.

OCTAVARIUM viene registrato dal solito e fedele Doug in for-mato SDII, ossia il protocollo Sound Designer utilizzato da Pro Tools. I files vengono portati al Quad Studio di NY per il mix.Il Quad Studio è uno studio di medie dimensioni fornito, nel-la sala principale, di un banco SSL9000J a 80 canali. SSL è l’acronimo (ormai usato come nome ufficiale) di Solid State Lo-gic, una azienda Inglese vicino ad Oxford che produce SOLO banchi di altissimo livello (e co-sto) per studi di registrazione, nessun banco per concerti.

Tanto per fare un esempio, la nuova serie 9000K, successiva alla 9000J, nel formato simile di 80 canali costa 300.000 Sterline (circa 900.000.000 delle vec-chie lire). Recentemente, notizia di Luglio 2005, la SSL ha avuto qualche problemino economico ed è stata,quindi, acquistata da due amici : David Engelke e.... udite, udite.... Peter Gabriel. Speriamo che i nuovi proprieta-ri, sappiano risolvere i problemi di questa casa che ha fornito i propri banchi al 90% degli studi di alto livello.

Torniamo ai dati tecnici, il 9000J (come anche il nuovo 9000K) è un banco ANALOGICO... pro-prio così... nell’era del digitale, dei plug-in e degli strumenti “vir-tuali” i migliori fonici del mondo preferiscono usare banchi ana-logici. La scelta non è affatto da ritenersi strana : i vantaggi del digitale, come l’editing, il copia-incolla e l’automazione dei pa-rametri, possono essere usati tranquillamente, poi il segnale passa alla console analogica che “scalda” il risultato finale, da sola o con l’ausilio di altri outboard analogici (ad esempio degli ottimi compressori valvola-ri esterni).

Altre dotazioni del Quad Studio in sala A sono vari compressori, gates ed equalizzatori come:-Pultec EQP-1, EQP-1A, MEQ-5 e EQH-2-Universal Audio LA-2A e 1175-Dbx 902 e 160-Drawmer DUAL GATE e DYNA-MITE-Api 550

E processori di segnale come:-Yamaha SPX90 e REV7-Lexicon 480L, 224XL, PCM-70, -PCM42, DIM-D e PAN SCAN-Eventide H3500-Roland STEREO FLANGER

Ma uno studio ben fornito e con un ottimo trattamento acustico, non basta a realizzare un buon prodotto, ci vuole un buon fonico.

Michael Brauer inizia la sua attività nel 1976 presso gli stu-di Media Sound di NY, e, con l’iniziale ruolo di assistente, la-vora con alcuni tra i migliori fo-nici Newyorkesi dell’epoca (B. Clearmountain, R. St. Germain e G. Diamond, tra i tanti).

Il primo incarico da fonico “se-nior” arriva con la registrazio-ne ed il missaggio di due brani di Luther Vandross, brani che fanno parte di un album dal ti-tolo “Change”. Vandross rimane così soddisfatto da chiedergli di registrare e missare il suo album solista successivo (che divente-rà poi disco d’oro), da questo punto in poi Michael continua il suo sodalizio con Luther, che ol-tre ad essere un artista è anche produttore, lavorando alle sue musiche per i successivi 4 anni, che includono anche due album di Aretha Franklin.

Nel 1984 il mercato Inglese sta “tirando” di più, così Michael si trasferisce a Londra, dove la-vora per le più grandi etichette Inglesi, ma nel 1990, passata l’ondata british, decide di torna-re a New York.

Nel frattempo si è costruito un’ottima fama come “mixato-re”, grazie alla quale lavora con artisti del calibro degli Stones, i New Radicals, Simon and Gar-funkel, Tony Bennet (l’album “Unplugged” vince il Grammy), i Coldplay (altro Grammy per “Parachutes”), Bob Dylan, Eric Clapton e Billy Joel.Nel 1982 mixa “Traslocando” del-la nostra Loredana Bertè.Alcune tra le tante recenti colla-borazioni includono Paul Mc Cart-ney, Anouk, Phil Collins ed ancora l’ultimo lavoro dei Coldplay.Se pensiamo agli artisti citati si evince che Michael ha una no-tevole esperienza ed un gusto particolare per i suoni acustici molto morbidi.

Il Quad Studio è uno degli studi preferiti di Michael, quasi una seconda casa, anche per motivi logistici.Non ha un suo vero è proprio studio, ma ha impiegato molti anni e molti soldi a realizza-re quelle che ha chiamato le “Sound Towers” :si tratta di 4 “fri-goriferi” a rack pieni di outboard (nel vero senso della parola, dato che ne hanno anche nella parte posteriore). Molti appa-recchi sono veramente vintage, non sarà stato facile trovarli e nemmeno risistemarli, dato che appaiono come nuovi e funzio-nano senza nessun problema.

Le Sound Towers seguono Mi-chael ovunque, anche nei tra-sferimenti in studi oltre-oceano, per questo sono equipaggiate ciascuna con un misuratore di forza G, ovvero un apparec-chietto che misura e memoriz-za una variazione di G troppo repentina, che può solo essere causata da una caduta o da un colpo molto violento. In questo modo si è sempre in grado di scoprire se un trasportatore (ca-mionista, addetto al carico di una linea aerea, etc.) ha maltrattato uno degli oggetti, e si può quin-

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di aver diritto ad un rimborso in caso di danni. La presenza del misuratore G è ben segnalata da un adesivo su ciascun rack, generalmete tutti i trasportatori conoscono quell’apparecchio e quindi prestano particolare at-tenzione agli spostamenti, onde evitare grane.

I rack sono stati assemblati e cablati da Vince Guttman della MARC Systems di Woodstock, che si occupa anche della ma-nutenzione di tutti gli apparecchi. Sono dotati di una patch-bay di tipo TT, collegata con cavi Mo-gami, dotati di ventole di raffred-damento molto silenziose e sta-bilizzatori di tensione Furman.Per i dettagli sulle dotazioni dei rack, visitate www.mbrauer.com/soundtowers, troverete anche alcuni gingilli di antica fabbrica-zione italiana, come un vecchio eco Meazzi.

OCTAVARIUM ha richiesto 10 giorni per il missaggio, vale a dire:-un giorno per ciascun brano-due giorni per OCTAVARIUM dato che è un brano lungo-un giorno per alcune modifiche finali

Michael non ha un “approccio standard” al mix, è piuttosto un creativo del suono, più artista e meno Ingegnere. Pensa a quel-lo che vuole fare solo quando ha in mano le tracce e le ascolta la prima volta.Nel caso di OCTAVARIUM si è limitato a cercare di dare risalto alle qualità sonore degli stru-menti e della voce, senza “forza-re” con eccessivi effetti. Infatti mi informa che alcune voci distorte sono arrivate già così effettate sulla traccia, come anche i rever-beri e gli echi delle tastiere.

Il processo di mix è stato estre-mamente rilassato, senza fretta, ed è stato seguito solo da Mike e John P.I suoni su questo album non si accavallano molto ed è stato facile farli risaltare tutti sen-za sconvolgerli, anche perchè sono stati molto ben registrati in partenza.

Del resto le registrazioni sono state fatte presso gli HIT FACTORY di NY, lo studio più

famoso della Grande Mela, che ha chiuso i battenti appena finito il lavoro con i DT, i coniugi Thrall (proprietari, Pat è anche molto conosciuto come chitarrista per via delle ottime trascrizioni di parti difficili di Satriani, Vai, Mal-msteen, etc.) hanno dichiarato che la chiusura dello studio è legata ad un accordo di “inglo-bamento” alla catena CRITERIA STUDIOS di Miami ed al conse-guente spostamento in Florida.

L’approccio al mix è stato molto musicale, ma Michael è riusci-to anche a mantenere il punch tipico degli album rock e metal di oggi.

Spenderemo poche parole su tastiere, chitarre e basso, per-chè non sono state molto tratta-te in fase di mix.Come appena scritto, le tastiere non hanno richiesto alcun tipo di effetto (a parte quelli program-mati da Jordan direttamente sulle macchine).Anche le chitarre elettriche di John sono arrivate già effettate sulla registrazione, quindi niente del re-amping che oggi sembra andare molto di moda, solo le acustiche hanno richiesto un po’ di reverbero di ambiente ed una compressione, stessa cosa per gli archi.Un po’ di compressione sul bas-so, già ben compresso ed effet-tato in registrazione.

La voce di James è stata trattata con due differenti processori di dinamica a seconda del tipo di brano, un AWA Limiting Com-pressor ed un ELECTRODYNE CA-700, la distorsione è stata messa già in registrazione, ma Michael avrebbe usato il SANS-AMP per ottenere lo stesso ri-sultato.

Poco reverbero, appena un po’ di plate dal SONY DRE777 che è un processore a campiona-mento, vale a dire che può ca-ricare campioni di algoritmi di altre macchine o direttamente da ambienti naturali.Gli echi usati sulla voce sono stati il WEM COPICAT, il FULL-TONE TUBE ECHO e in qual-che caso il BINSON ECHOREC 2. Generalmente regolati a 1/8 o a 1/4 dei bpm della song.La batteria di Mike ha maggior-

mente beneficiato della tecnica di compressione “multibuss” di cui Michael è portabandiera (di-verse riviste tecniche del settore lo hanno intervistato per avere dettagli), in pratica: -si assegnano le tracce a diffe-renti busses-ciascun buss ha una sua com-pressione-si lasciano comunque anche i segnali non compressi arrivare al master (ma si tengono a vo-lume zero)-si crea il mix dei vari busses-se una traccia risulta troppo poco presente, la si enfatizza alzando il segnale dry sul master

La parte “bottom” della cassa è sui 60 Hz, mentre la punta è sui 2KHz.I compressori utilizzati sulla bat-teria sono tutti quelli onboard del banco.In alcuni casi Brauer ha aggiun-to dei campioni di cassa e di rullante, appartenenti alla sua libreria personale, come sfondo al suono originale per dare mag-gior botta.

Per il corretto ascolto del missag-gio, per ogni song, è stato usato il seguente procedimento:-usati monitors ProAc per l’ascolto principale durante la fase di Eqing e compressione-usato un radioregistratore ste-reo Sony (cosa che molti fonici della vecchia guardia fanno) po-sto dietro il fonico (messo sopra una delle Sound Towers) come riferimento “a basso volume” per verificare il corretto bilancia-mento dei volumi.

Questi i dettagli relativi al mis-saggio di OCTAVARIUM, per quel che concerne le tecniche di mix “generali” che usa Michael in ogni lavorazione, vi consiglio di visitare www.mbrauer.com ed andare a leggere le FAQ e le interviste riprese dalle riviste originali.

Grazie a Michael Brauer per le info ed a Francesco Tappari - neoassistente alle produzioni dello studio Capt. WOOFER e “youngest DT fan” - per il sup-porto e le correzioni.

Ci vediamo ai concerti (se la prossima volta riesco a venire).

Stefano

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Ciao a tutti, ci pare doveroso iniziare questo spazio dedicato ai concorsi con la news appena pubblicata sul sito ufficiale degli Astra.

“Visto il regolamento del contest per la tribute band ufficiale italiana dei Dream Theater, il quale prevedeva come partecipanti band emergenti e quindi senza contratto, gli Astra abbandonano il contest in virtù del deal recentemente firmato con la Burning Star. Questo però non vuol dire che smetteremo di suonare le cover dei Dream Theater. Anzi, abbiamo già date nuove durante le quali non è escluso che proporremo anche brani nostri. Nel frattempo, un in bocca al lupo ai Progeny e agli Ytse Jam KR e un saluto all’Italian Dreamers col quale abbiamo collaborato in questi anni.”

Astra

Leggiamo la notizia con due sentimenti contrapposti, la firma del contratto ci nega la possibilità di organizzare la serata finale con i tre gruppi partecipanti come l’avevamo pensata noi ed i Dream Theater, dall’altra parte però abbiamo la soddisfazione di aver fatto emergere un gruppo sostanzialmente sconosciuto (il primo concorso vinto dagli Astra risale all’inizio 2001) che, oltre alle proprie indubbie capacità e, grazie anche al fatto di essere la cover band ufficiale per l’Italia dei Dream Theater, ora suona musica propria con un contratto per il primo disco. Questo è stato lo scopo principale del concorso e non possiamo fare altro che ringraziare gli

Astra per la collaborazione e per l’amicizia che ci ha unito in questi anni augurando loro il più grosso in bocca al lupo per la loro carriera. Il titolo di “Cover Band Ufficiale” ora è vacante ma non preoccupatevi, la serata finale con i Progeny e con gli YtseJamKr si terrà ugualmente, stiamo riassestando i nostri piani dopo la news degli Astra e stiamo individuando il luogo ed il periodo più adatto per avere, durante la serata, la presenza di almeno un membro dei Dream Theater con noi. Qualsiasi news al riguardo sarà pubblicata sul sito e vi verrà spedita una newsletter a casa.

Passando ai concorsi della scorsa fanzine, 1 copia del DVD di Yellow Matter Custard va a: Mustic Nedad 4865, che ha spiegato per filo e per segno la nascita di questa cover band dei Beatles formata da Mike Portnoy, Neal Morse, Paul Gilbert e Matt Bissonette. Il nome proviene dalle parole inserite nel noto brano “I am the Walrus”, il concerto finito sul DVD è del 18 maggio 2003 al BB King’s di New York.

Le tre copie di Octavarium autografato vanno a: Ebuli Alessandro 4777Paolone Claudio 3215 Angela Crivello 5081 L’album è stato mixato presso i Quad Studio di New York da Michael Brauer.

Le 2 copie del DVD Drumavarium, vanno a: Mariano Sardo 5147 Mauro Mazzocchi 4682 Gli unici due ad aver indovinato. Il DVD contiene le riprese effettuate con la drum-cam di Mike Portnoy durante le sessioni di registrazione dell’album, gli extra contengono 3 minuti di folli Studio Outtakes e l’editing è stato affidato a Mike Brown che cura normalmente tutti i video dei “Portnoy Archives”.

Nuovo concorso con i seguenti premi in palio:1 Official Bootleg “The Majesty Demos” a chi ci dice qual’è stata la primissima canzone che scrissero insieme Portnoy, Petrucci e Myung.1 Official Bootleg “The Making of Scenes from a Memory” a chi ci dice quali sono i 4 concept album citati nel booklet che hanno influenzato i DT nella decisione di scrivere SFAM.1 Official Bootleg “When Dream and Day Unite Demos 1987-1989” a chi ci dice qul’è il primo “vero” brano strumentale scritto dai Majesty.

Inviare le risposte esclusivamente in busta chiusa a:

Italian DreamersC.P. 161

47838 Riccione Centro RN

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Iscriversi per il 2006 al Fan Club può avvenire in due modi seguendo queste istruzioni:

1 - ISCRIZIONE BASEVECCHIO SOCIO: all’interno del pacco trovate un bollettino postale prestampato da compilare con tutti i vostri dati comprensivi del vostro numero di tessera. Il bollettino va intestato a: Italian Dreamers - Casella Postale 161 - 47838 Riccione Centro RN C/c n. 37076098 - il costo del rinnovo e’ di € 20.00

SOCIO EX NOVO: se volete iscrivervi al Fan Club per la PRIMA VOLTA, dovrete inviare un vaglia postale di € 20.00 al seguente indirizzo: Italian Dreamers - Casella Postale 161 - 47838 Riccione Centro RN

L’iscrizione base comprende: Tessera Personalizzata - 3 numeri di Metropolzine - Regalo di Natale 2006.

2 - ISCRIZIONE BASE + MERCHANDISE PROMOZIONE 2006: LE SPESE DI SPEDIZIONE LE PAGHIAMO NOI!!!Questo il Merchandise ancora a disposizione:Cod. A - Iscrizione 2000 (Metropolzine 7-8-9 + Fan Club CD 2000) € 20.00Cod. C - Iscrizione 2003 (Metropolzine 17 digitale, 18-19 + Fan Club CD 2003) € 20.00Cod. D - Iscrizione 2004 (Metropolzine 20-21-22 + Fan Club CD 2004 + S.O.C. CD) € 20.00 Cod. P - Iscrizione 2005 (Metropolzine 23-24-25) € 20.00Cod. I - Maglietta Decennale 1985-2005 Nero-Grigio (taglie M-L-XL-XXL) € 15.00Cod. L - Maglietta Decennale 1985-2005 Blu-Azzurro (taglie M-L-XL-XXL) € 15.00Cod. M - Maglietta Decennale 1985-2005 Donna Nero (taglie S-M) € 15.00Cod. N - Zaino Fan Club Italian Dreamers € 12.00Cod. O - Marsupio Fan Club Italian Dreamers € 10.00

Per esempio, volete iscrivervi per il 2006 ed ordinare anche una maglietta? L’importo totale è di € 35.00

Maggiori informazioni sul merchandise sono disponibili sul nostro sito internet ed anche su Metropolzine 24.Quando compilate il bollettino o il vaglia, inserite semplicemente i codici del merchandise che volete ordi-nare, il numero dei pezzi e le eventuali taglie, nel caso ordiniate le magliette. Una volta effettuato il pagamento vi preghiamo di scrivere una mail con il riepilogo del vostro ordine a: [email protected]. Questa operazione è importantissima perché ci darà modo di controllare direttamente la spedizione, o di risolvere velocemente eventuali controversie su ordini errati e taglie non corrette.

L’iscrizione ha validita’ nell’anno solare e scadrà il 31/12/2006 anche per chi si iscrive negli ultimi mesi del-l’anno che, comunque, ricevera’ TUTTO il materiale pubblicato durante il 2006, salvo esaurimento scorte.

ATTENZIONE, NON ACCETTIAMO PAGAMENTI IN CONTANTI, NON SPEDITE BUSTE CON I SOLDI DENTRO.RICORDATEVI di inserire nel bollettino e nel vaglia SEMPRE il vostro Nome, Cognome e Indirizzo com-pleto di Via, Numero Civico, CAP, Citta’ e Provincia.Per qualsiasi dubbio visitate il nostro sito: www.italiandreamers.net.

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Dream Theater & Octavarium Italian Fall Tour 2005 crew.Altri ringraziamenti vanno a: Gianni Andreotti & Elena Zermiani@Warner Italia, Mariela,

Andrea, Simone@Live, Muzio e tutta la crew della produzione (grazie per il nastro), Elena, Marzia, Cristina & Aldo@Barley Arts, Claudia@Rock FM (dopo quanto tempo! Carramba che sorpresa!), Byron Smith@Ernieball USA, tutti@Inside Out, tutti@Audioglobe, Elio Bordi@Fontiers records, Clear Channel.Un ringraziamento a Kim, Sebel, a tutto il DVD Team e agli altri DT Fan Clubs sparsi nel mondo: Seb, Bertrand & Stephane@Your Majesty Francia, Steffen, Margret, Michael & Darko@The Mirror Germania, Masa e Famiglia@Carpe Diem Giappone, Savvas@Infinite Dreams Grecia, Andreas@SDTS Svezia, [email protected], Dave H@Damentiaradio, Tom & Kerry@Voices Inghilterra.Special thanks to: Loredana, Franco Mussida e tutto lo Staff del CPM a Milano per l’accoglienza riservataci, Roberto Gualdi perchè è sempre in mezzo come il giovedì, la cameriera del ristorante La Piccola Napoli a Milano soprannominata “Euforia Zeman”, il Burghy di Bologna, lo Sheraton Hotel di Firenze, i suoi bagni in marmo e la sontuosa colazione a scrocco, il cugino di Millo e relativo amico per le riprese a Roma, il Ford Galaxy per averci scarrozzato per tutto il tour, tutte le crew della sicurezza di Milano, Bologna e Roma per aver creduto che le nostre felpe valessero come “pass”.Also thanks to: Marco, Martina, Liso e Fernando quali security improvvisati a Roma nella tribuna Italian Dreamers, i puntualissimi tram di Amsterdam ed il Japan Zushi Restaurant.Very very special thanks to: i tre tipi che si sono messi a giocare a pallavolo con un goldone gonfiato proprio mentre stavamo riprendendo la tribuna Italian Dreamers a Roma; ora tutti sanno chi siete!Special No thanks to: il barbone che ci ha fatto perdere metà concerto degli Iron, le impiegate mestruate dell’ufficio Hertz di Rimini, le autostrade italiane e relativi autovelox connessi!Un saluto speciale a tutto lo staff di Qui Studio a Voi Stadio ed in particolare a Tiziano Crudeli per le emozioni che ci regala ad ogni partita del Milan!