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Modulo 8 ASPETTI TIPOLOGICI DELLA LINGUA ITALIANA: IMPLICAZIONI GLOTTODIDATTICHE Anna De Marco Università della Calabria 1

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Modulo 8 ASPETTI TIPOLOGICI DELLA LINGUA ITALIANA: IMPLICAZIONI GLOTTODIDATTICHE Anna De Marco Università della Calabria

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Indice 8.0. Guida al modulo 8.1. Il rapporto tra lingua materna (L1) e lingua seconda (L2)8.2. Il transfer linguistico: gli aspetti problematici e quelli facilitanti8.3. L’Italiano L2 8.4. Verso l’italiano: elementi di linguistica acquisizionale 8.4.1. La costruzione del sistema fonologico

8.4.2. La costruzione del sistema morfologico nominale8.4.3. La costruzione del sistema morfologicoverbale8.4.4. La costruzione del sistema sintattico8.4.5 La costruzione del sistema lessicale8.4.6 Il riferimento all’interlingua nella glottodidattica

8.5. I profili linguistici dei bambini stranieri8.6. Riflessioni sulle L1 degli apprendenti stranieri 8.6.1 Due lingue balcaniche, l’albanese e il macedone, in contatto con l’italiano 8.6.1.1. Apprendimento dell’italiano: alcune osservazioni 8.6.2 Il cinese, lingua isolante, in contatto con l’italiano 8.6.2.1. L’apprendimento dell’italiano da parte di allievi cinesi: gli aspetti problematici più comuni. 8.6.3. Altre lingue indoeuropee (il russo, l’arabo, il romanè) in contatto con l’italiano 8.6.3.2 L’apprendimento dell’italiano: osservazioni8.7. Le conseguenze applicative delle diversità tipologiche nella pratica didattica 8.7.1. Suggerimenti per attività didattiche con attenzione alla L1 e alla cultura di partenza

8.7.2. Attività per l’esercitazione della morfosintassi in Italiano L2 8.7.3. Attività per l’esercitazione del lessico in Italiano L2 8.7.4 Attività per l’esercitazione della pragmatica nell’Italiano L2 8.7.5. Spunti per possibili percorsi didattici8.8. Guida bibliografica

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8.0. Guida al modulo Il Modulo 8 è diviso in tre parti; nella prima (par. 8.1, 8.2, 8.3, 8.4, 8.5) sono presentati i concetti di Lingua Materna (L1) nel rapporto con una Lingua Seconda (L2) (par. 8.1), i problemi relativi al trasfert linguistico tra due lingue in contatto (par. 8.2), la necessità, in presenza di alunni stranieri di tracciare una loro biografia linguistica (par. 8.5) ed infine è stata data una definizione dell’italiano come L2 (par. 8.3) e indicate alcune caratteristiche del processo di costruzione dell’interlingua dell’italiano L2 da parte di apprendenti stranieri (par. 8.4), indicando i riferimenti all’interlingua nella pratica glottodidattica (par. 8.4.6). La seconda parte illustra le caratteristiche tipologiche di alcune delle lingue maggiormente presenti nelle scuole italiane: albanese e macedone (par. 8.6.1), cinese (par. 8.6.2), russo, arabo e romanè (8.6.3). Si è cercato di conferire una certa omogeneità dividendo le descrizioni per tipologia linguistica, per quanto esse non siano esaustive, né si propongano, ovviamente, come corsi di lingua. La breve descrizione è solo uno strumento utile al confronto (tipologico) tra le varie lingue e poter fare anche dei confronti utili alla la didattica linguistica. La terza ed ultima parte offre dei consigli per l’impostazione di attività didattiche (par. 8.7), divedendo le attività pratiche presentate in base ai vari aspetti della struttura linguistica (morfosintassi 8.7.2; lessico 8.7.3; pragmatica 8.7.4) e accompagnate da possibili spunti per percorsi interculturali (par. 8.7.5). Infine viene riportata un’ampia guida bibliografica, con indicazioni di siti Internet utili come spunti per attività didattiche (8.8).

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8.1 Il rapporto tra lingua materna (L1) e lingua seconda (L2) Un buon apprendimento della seconda lingua non è legato alla perdita della L1, ma al contrario è dipendente dal suo sviluppo: infatti l’abbandono della L1 può comportare un blocco dello sviluppo linguistico-cognitivo, che può essere superato solo quando il livello di conoscenza della L2 rende possibile la ripresa dei processi di acquisizione delle funzioni superiori. Se si permette all’allievo di proseguire il suo sviluppo linguistico-cognitivo nella L1, in seguito egli potrà usare tali conoscenze anche nella L2, se, al contrario, questo sviluppo viene arrestato, si potrà verificare un rallentamento nell’apprendimento della L2. Perdere la lingua materna può comportare anche dei problemi nella vita di famiglia e nel rapporto con le proprie tradizioni e origini, soprattutto quando la madrelingua viene connotata come un elemento di diversità dal quale liberarsi. La didattica per l’insegnamento della L2 non deve relegare la L1 al ruolo di conoscenze buone ma inutili, e la L1 e la L2 non devono essere intese in un rapporto gerarchico, in cui la L2 prevale sulla L1 in quanto legata alla sopravvivenza sociale e all’integrazione. L’insegnamento della L2 non deve minacciare l’identità del bambino ma deve essere uno strumento di apertura verso nuove esperienze. Il rapporto L1-L2 deve essere indirizzato in una convivenza bilingue tra le due in cui il bambino si deve sentire rassicurato nell’interazione tra le sue conoscenze presenti e passate, che lo possano guidare in riflessioni e confronti sempre nuovi. La scuola quindi deve favorire il bilinguismo, che deve essere considerato come un valore; ciò non significa che la scuola debba farsi carico dell’insegnamento delle L1 dei suoi allievi, ma deve progettare dei percorsi che insegnino il valore della conoscenza di più lingue, sia agli allievi stranieri che italiani. L’obiettivo fondamentale dell’insegnamento linguistico a livello elementare è la preparazione linguistica, psicologica e culturale che solo in seguito verrà approfondita. Il contatto con una lingua diversa dalla propria promuove nel bambino il rispetto per stili di vita e punti di vista diversi dai propri: la scoperta della pluralità diventa ricchezza e non emarginazione.

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8.2 Il trasfert linguistico: gli aspetti problematici e quelli facilitanti. C’è un’altra importante valenza nel mantenimento e nella valorizzazione della L1: il parlante straniero di qualsiasi età a contatto con una nuova lingua si costruisce una grammatica spontanea non solo in base all’input linguistico della L2 a cui è esposto, ma anche attraverso processi di generalizzazione e di transfert, cioè di trasferimento di quanto già “regolarizzato”, scoperto nella sua L1, attraverso processi di analisi e comparazione. La L1 quindi ha un ruolo piuttosto importante nel determinare le produzioni iniziali dell’apprendente. Il meccanismo che regola l’influenza del sistema linguistico di origine nei confronti della L2 è chiamato, appunto, transfert e deve essere inteso in maniera più ampia rispetto all’idea di transizione/passaggio di elementi linguistici dalla L1 alla L2 perché si tratta di influenze di diverso genere, non solo di trasferimento di strutture da una lingua all’altra; possono verificarsi casi di transfert anche da altre lingue conosciute e non solo dalla L1; il transfert è uno dei processi che danno forma all’interlingua. Il meccanismo del transfert è più attivo dove si percepiscono similarità tra le due lingue, se esse hanno una distanza tipologica ridotta. L’interferenza può diventare un ostacolo dopo essere stata di aiuto iniziale nell’avvicinarsi alle parole o strutture che sembravano “uguali” a quelle della L1: infatti l’apprendente potrebbe evitare di progredire oltre un primo stadio di contatto con la L2, pensando di continuare a “poggiarsi” sulle conoscenze di cui è già in possesso per comprendere la L2, sedimentando così comportamenti non corretti. La possibilità di trasfert sembra seguire una scala di occorrenza: è più presente nella fonologia, poi nel lessico, nella sintassi, mentre sembra è senz’altra molto ridotta a livello morfologico. Il trasfert, inoltre, agisce di più al livello delle produzioni spontanee che nei compiti guidati, più negli adulti che nei bambini, più negli apprendenti iniziali che in quelli avanzati.

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8.3. L’italiano L2 Apprendere l’italiano L2 implica anche che l’insegnamento si imponga scopi e obiettivi diversi per tener conto del coinvolgimento culturale e psicologico che il nuovo codice linguistico assume ai fini di un inserimento positivo nella comunità. L’italiano L2, in situazioni di apprendimento spontaneo, non è né vicino alla L1, lingua legata agli affetti e alle emozioni più intime, né alla LS, visto che viene appreso soprattutto dal contatto quotidiano con il luogo in cui esso è usato come lingua di comunicazione, e non solo quindi come lingua di studio. Questa situazione di apprendimento è chiamata “mista” per la varietà degli input ricevuti in modo vario e non omogeneo. Ancor di più in situazioni di immigrazione l’italiano L2 è legato a bisogni di sopravvivenza e a vari fattori psicologici, esso serve per vivere e si carica di aspetti positivi (ma anche negativi) perché serve all’immigrato per far parte del gruppo, ma continua a non essere la sua lingua, quelle delle sue storie e dei suoi affetti e ricordi. Il processo di acquisizione della L2 non è mai completo, attraversa stadi diversi e costruzioni instabili per giungere alla conoscenza della lingua obiettivo (target). Questo passaggio progressivo tra stadi linguistici verso la costruzione della propria lingua è chiamato interlingua e presuppone un apprendimento attivo da parte dell’apprendente, fatto di tentativi ed errori e di applicazioni di strategie per evitare gli ostacoli. In questa progressione continua sono probabili sbalzi in avanti o ricadute all’indietro, fenomeni legati anche ai fattori emotivi e affettivi coinvolti nell’apprendimento. L’osservazione delle tappe evolutive dell’interlingua ha portato a concludere che esistono delle similitudini tra le varie evoluzioni interlinguistiche degli apprendenti, che prescindono dalla loro L1 e che coinvolgono l’evoluzione delle strutture verbali, sintattiche, morfologiche e lessicali della L2. L’apprendimento della L2 risulterà più veloce e “corretto” in base al grado di inserimento nella comunità italiana, cioè alla volontà di esprimersi usando la lingua in modo adatto alle diverse situazioni, in modo da “saper fare” della lingua un mezzo di espressione consono alle proprie esigenze. Questo “know how” richiede pratiche di insegnamento che portino lo studente a poter comunicare in una dimensione più globale, in modo da poter realizzare i suoi scopi immediati in una lingua veicolo di espressioni e formule necessarie per stabilire e regolare i contatti con gli altri.

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8.4 Elementi di linguistica acquisizionale dell’italiano L2 8.4.1. La costruzione del sistema fonologico. Nell’acquisizione spontanea di una L2, la componente fonologica è quella che insieme alla sintassi conosce più fenomeni di interferenza perché più dipendente dalla L1 o meglio, perché più soggetta dalla distanza tipologica tra le lingue coinvolte. Lo sviluppo della fonologia passa per dei fattori di interferenza particolari, quali la semplificazione sillabica, l’assimilazione consonantica, il raddoppiamento sillabico o la cancellazione, tutti fenomeni dipendenti da universali linguistici, più che dall’interferenza della L1, e fortemente influenzati dalla minore o maggiore marcatezza assunta dai singoli fonemi. Del resto, sul piano della resa grafica, la componente fonologica lascia delle tracce vistose, sia nella difficoltà di realizzazione di alcuni grafemi propri dell’ortografia italiana, sia nell’incapacità di selezionare i segmenti del continuum fonico secondo le regole morfologiche della L2, preferendo l’uso di un fonema “familiare” della L1 al posto di un fonema simile della L2.

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8.4.2. La costruzione del sistema morfologico nominale. La morfologia è la componente linguistica che meglio evidenzia l’elaborazione autonoma effettuata dall’apprendente sul materiale a sua disposizione, attraverso la formulazione d’ipotesi che hanno un valore momentaneo visto che esse possono essere abbandonate non appena raggiunto uno stadio più avanzato. Al contrario della fonologia e del lessico, la morfologia non subisce forti interferenze della L1 ed è più indipendente della sintassi dai fattori pragmatici. Nelle fasi iniziali dell’interlingua, il materiale prevalentemente usato dall’apprendente è il materiale lessicale, proveniente e selezionato dall’input, che si costituisce come base dei successivi apprendimenti. Infatti, nei primi approcci con la L2, la selezione del materiale morfologico porta ad un primo apprendimento dei morfemi grammaticali più liberi e con un corpo fonetico più esile, somiglianti maggiormente al materiale lessicale. In queste prime fasi, la produzione degli elementi morfologici è quasi del tutto assente: i morfemi liberi e semiliberi (quali copule, articoli e preposizioni) non vengono quasi del tutto prodotti (in questo caso si parla di ellissi) e anche i morfemi flessivi, che non possono essere cancellati nella morfologia italiana, vengono utilizzati in una forma scelta come forma base, ripresa dalle forme flesse più frequenti nell’input e poi generalizzata. Infatti, attraverso una strategia di regolarizzazione, gli allomorfi più frequenti sono appresi prima e sovraestesi in formazioni analogiche più trasparenti. È solo in un momento successivo che l’elaborazione si fa più complessa, di tipo sintetico, ristabilendo un equilibrio in base, anche, alla facilità articolatoria. Per quanto riguarda l’acquisizione della categoria di genere, viene individuata una sequenza di acquisizione della categoria di genere e dei criteri di assegnazione del genere ai sostantivi. Tale sequenza indica che il genere viene appreso in un primo momento seguendo criteri mor(fonologici) legati al riconoscimento dell’associazione fra certe terminazioni/classi flessive (nomi in –o > genere masch.; nome in –a > genere femm.), poi i criteri semantici (che concerne l’associazione genere/sesso, ed in fine quelli morfologici che riguardano l’uso di specifici morfemi per la derivazione di genere: uso dei morfemi -a, -ina, -trice, -essa per formare nomi femminili; Nell’acquisizione della morfologia nominale, uno spazio particolare è occupato dallo sviluppo del sistema pronominale. I pronomi clitici dell’italiano costituiscono, dal punto di vista tipologico e per le regole sintattiche cui sono collegati, un sottosistema morfologico ad alta complessità, il cui apprendimento ed uso corretto risulta, delle volte, assai complicato per gli stessi parlanti nativi. Inoltre, l’ordine d’acquisizione dei clitici è governato da una parte, da fattori semantici e pragmatici e, dall’altra, da una gerarchia di difficoltà crescente. Anche se largamente presenti nell’input, le forme pronominali, soprattutto nelle prime fasi sono scarsamente presenti nell’interlingua. Quindi, le forme usate con funzione di soggetto emergono per prima e sono sovraestese, anche sotto l’influenza dell’input colloquiale, alle forme usate con funzione oggettivale: un esempio, è l’uso di lui e lei, generalmente in funzione del pronome di 3^ persona.

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8.4.3. La costruzione del sistema morfologico verbale. Nei primi stadi di acquisizione, lo sviluppo del sistema verbale dell’italiano è molto più precoce dello sviluppo del sistema nominale per la centralità che ricopre nell’organizzazione degli enunciati. Il sistema verbale dell’italiano è ricco di una morfologia sofisticatissima che favorisce sin dai primi stadi, l’emergenza della morfologia flessiva verbale, organizzandola in un paradigma ben preciso. I momenti d’acquisizione dei singoli tempi e modi sono così articolati: Primo stadio. In questo stadio rientrano i primi momenti d’esposizione e di contatto con la lingua italiana. Gli enunciati sono per lo più formati da elementi lessicali in apparenza non collegati tra loro da una sintassi elementare; compaiono, però, delle forme di negazione e l’uso dell’elemento predicativo c’è, utilizzato in vari casi, anche per esprimere delle relazioni esistenziali e possessive. I verbi compaiono in una forma assunta come basica, di solito la 3^ persona singolare del presente indicativo, mentre l’uso delle altre forme verbali è ridotto alla presenza dell’infinito e dell’imperativo, tutte forme selezionate dall’input ricevuto. Secondo stadio. Questo stadio è particolarmente segnato dallo sviluppo del participio passato, la cui presenza può già sussistere dal primo stadio come variante della forma basica, ma il cui uso si specifica in varietà un po’ più avanzate. Questa forma verbale, marcata dal suffisso –to, ha la funzione specifica di portatrice di valori perfettivi e gli apprendenti sembrano, infatti, sensibili a tali sfumature, e con il participio tendono ad indicare, per lo più, un’azione completata nel tempo. Il participio passato risulta, così, una forma tipica delle interlingue nell’indicazione di un’idea passata, più dell’imperfetto, che appare successivamente, e più del passato prossimo, dal momento che l’ausiliare ha uno sviluppo posteriore e presenta una grande variabilità tra gli apprendenti. Lo sviluppo dell’ausiliare (che è gradualmente accompagnato dall’accordo con il participio) indica il momento in cui si mette in relazione il tempo dell’evento con il momento dell’enunciazione, dando una valenza più decisa al riferimento al passato. In questo stadio può sussistere la comparsa del gerundio, soprattutto nella perifrasi composta dal verbo stare e dal gerundio stesso, con cui è espressa l’idea di un’azione “in progress”, cioè in atto e non ancora completata. Terzo stadio. Il passaggio ad uno stadio più avanzato è segnato dall’emergenza dell’imperfetto, la cui presenza riduce progressivamente l’uso del presente indicativo in contesti perfettivi. Le prime forme di imperfetto ad emergere sono la 3^ persona singolare e la 1^ persona singolare del verbo essere (era; ero), utilizzate con funzione di copula, e solo in un secondo momento l’uso dell’imperfetto viene esteso anche agli altri verbi. Inoltre, essendo questo tempo molto presente nell’italiano

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colloquiale, la sua presenza nelle varietà iniziali è giustificabile: esso è, infatti, il terzo tempo ad emergere. Quarto stadio. Questo stadio ricopre uno spazio piuttosto vasto di varietà avanzate. La caratteristica principale di queste fasi è costituita dall’emergenza delle forme del futuro, del condizionale e del congiuntivo, con le quali viene espressa la relazione tra realtà ed irrealtà, che nelle fasi precedenti. era stata affidata ad elementi lessicali o pragmatici, comuni anche nell’italiano colloquiale, come l’uso dell’imperfetto con un’idea modale.

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8.4.4. La costruzione del sistema sintattico. Nelle interlingue degli apprendenti dell’italiano, esiste un ordine sintattico riconosciuto come basico, che è quello S V O. Naturalmente, sussistono delle devianze da questa norma, rappresentati dalle costruzioni con soggetto post-verbale e dalle costruzioni che recano l’oggetto in posizione pre-verbale. Queste variazioni sono motivate dall’assenza di stabilità che l’ordine sintattico ha nelle sue prime fasi di sviluppo. Le variazioni sono altrettanto influenzate dalla comparsa dei clitici, e dal loro successivo uso, anche se il peso più grande nella stabilizzazione dell’ordine sintattico è data dalla distanza tipologica che intercorre tra le lingue e dall’influenza della L1 sull’interlingua. Il sistema delle subordinazioni viene sviluppato in un momento successivo all’acquisizione dell’ordine sintattico, giacché per lungo tempo si possono conservare enunciati brevi e frammentari, coordinati semplicemente tramite l’utilizzo di e o ma. Le prime frasi complesse a comparire sono le proposizioni oggettive, introdotte da che, e le proposizioni temporali, introdotte da quando. Il ritardo più significativo è segnato dalla comparsa delle proposizioni relative.

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8.4.5. La costruzione del sistema lessicale. Lo sviluppo del lessico appare come un processo cognitivo trasversale ai diversi livelli di conoscenza della lingua ed è la componente più necessaria per “iniziare” la comunicazione di base nella L2. Il lessico è un sistema più aperto della grammatica e della fonologia, giacché le sue numerose unità di base, i lessemi, si prestano molto più difficilmente alla regolarizzazione. Inoltre, l’acquisizione del lessico è normalmente legata a precisi contesti situazionali; infatti, il primo lessico appreso dagli apprendenti in modo semplice e veloce è quello con cui essi sono maggiormente in contatto nei primi tempi d’esposizione alla L2, per esempio il lessico della scuola o riguardante la loro situazione lavorativa. In seguito, una grande influenza viene assunta dal lessico appreso durante i momenti liberi dal lavoro o dalla scuola, attraverso le attività praticate o gli ambienti frequentati. Lo sviluppo ulteriore del lessico è legato a strategie universali ma con delle caratteristiche dipendenti anche dalla L1, anche se, di frequente è sul modello e con il materiale della L2 che sono spesso costruite le forme lessicali degli apprendenti. Quando, infatti, un apprendente non conosce un determinato vocabolo può ricorrere a strategie lessicali, basate sulla sinonimia o sull’iperonimia, oppure all’uso di perifrasi, con la quale viene espresso il significato mancante; è proprio nell’uso delle perifrasi che il rapporto comunicativo con i nativi risulta rilevante come fonte di nuovi elementi lessicali che possano arricchirne la costruzione. Inoltre, la percezione della vicinanza tra due lingue può portare gli apprendenti a trasferire elementi lessicali della L1 alla L2, dando luogo ad interferenze o a veri e propri prestiti lessicali. Nelle formazioni lessicali sono state individuate alcune costanti, parallele ai fenomeni di derivazione nominale, apprese piuttosto velocemente e di solito sovraestesi (un esempio è l’uso dei suffissi –mento e –zione applicato alla creazione di parole non esistenti in italiano), che aiutano gli apprendenti nella costruzione del lessico.

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8.4.6 Il riferimento all’interlingua nella glottodidattica L’insegnamento istituzionale deve tenere conto dei principi naturali di acquisizione linguistica per poter essere efficace. Per questo sembra utile suggerire una didattica che non parta dalla “grammatica” ma dalle funzioni, che dia, cioè, gli strumenti linguistici per “fare qualcosa” cioè presentarsi, salutare, ringraziare…… Per insegnare a narrare bisogna quindi puntare sui mezzi lessicali usati più di frequente che danno un ancoraggio temporale e la sistematica esposizione a queste forme e strutture, presentate in ordine controllato e in un piano di difficoltà crescente, porterà di certo verso un apprendimento di successo, per cui gli apprendenti avranno sempre a disposizione i mezzi più idonei per comunicare e narrarsi. Così l’istruzione formale si adegua alle sequenze acquisizionali, attraverso, cioè, la predisposizione di un input (dati linguistici) adeguato all’obbiettivo di volta in volta selezionato. Si dovrà quindi scegliere i materiali e la modalità di presentazione degli stessi, che possano aiutare a facilitare il superamento dell’errore e l’acquisizione di strutture e forme regolari. In seguito, per favorire il ripescaggio di quanto noto e analizzato, si potranno proporre dei compiti comunicativi che mettano gli apprendenti in condizione di riutilizzare i nuovi elementi assunti. Si costruisce così una progressione fondata su principi per lo più universali; questa progressione, però, non ci informa sui tempi di permanenza degli apprendenti nei vari stadi dell’interlingua, né sulla velocità dei loro percorsi o delle difficoltà incontrate nel passaggio tra gli stadi. I tempi, infatti, sono diversi a seconda della L1 di partenza, dell’età, del tipo di input ricevuto, delle diversità individuali. L’insegnamento istituzionale si trova così a lavorare forzando i tempi della maturazione spontanea e, per questo, il suo compito più importante è creare interventi individualizzati e costruire dei materiali idonei.

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8.5. I profili linguistici dei bambini stranieri L’apprendimento di una L2 per un immigrato ricopre uno spazio molto ampio che va dall’impegno e attenzione psicologica che devono essere rivolti totalmente all’apprendimento, alle ragioni strumentali legate alla “sopravvivenza linguistica” che rientra nell’ambito delle necessità primarie durante il soggiorno in un paese straniero. Questa acquisizione, influenzata da vari fattori, diventa ancor più delicata nel caso di bambini immigrati, che hanno dovuto superare il distacco, spesso traumatico, dalla loro terra, dai loro amici e abitudini e dallo loro scuola. In particolare, la scolarità pregressa, cioè già acquisita in nella comunità di partenza, può diventare un problema: il bambino infatti è abituato a ritmi di studio diversi, orari diversi, modalità di insegnamento diverse che rendono difficili i primi periodi di contatto con la nuova realtà scolastica, tanto da apparire agli insegnanti come svogliati o demotivati. Oltre ad imparare una nuova lingua, infatti, il bambino si trova nella condizione di voler mantenere la sua lingua madre. Mantenere e sviluppare la L1 e le competenze relative, infatti, è molto importante per gli immigrati per poter continuare a tenere vivi i principi della propria cultura, ma lo è anche per gli insegnanti che si trovano in contatto con loro perché, ad esempio, confrontare la lingua italiana con la L1 di partenza potrebbe risultare uno strumento utile per riconoscere e comprendere gli errori più ricorrenti dei propri alunni e per aiutarli a superare tali difficoltà. L’insegnante che accoglie nella sua classe un allievo straniero dovrà tenere presente che la sua L1 va intesa sotto un duplice aspetto: come patrimonio di dati permeabili, cioè come conoscenze che possono essere trasferite in L2; come patrimonio di dati impermeabili cioè non assimilabili alla L2 e quindi non riutilizzabili, ma che rimangono patrimonio dello studente. In questi casi risulta utile stilare una sorta di biografia linguistica del nuovo arrivato che tenga conto della lingua usata nella comunicazione familiare, di quella usata a scuola e della lingua straniera studiata a scuola, tutti saperi da valorizzare affinché non divengano ostacoli nell’apprendimento della L2.

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8.6. Riflessioni sulla L1 degli apprendenti stranieri 8.6.1. Due lingue balcaniche, l’albanese e il macedone in contatto con l’italiano L’albanese e il macedone sono due lingue balcaniche, nel senso che entrambe vengono parlate e sono le lingue nazionali di due paesi che si trovano appunto nella penisola balcanica, ma non hanno le stesse radici. L’albanese è, infatti, una lingua che fa parte del ceppo indoeuropeo e non di quello slavo a cui appartiene invece il macedone, e quest’ultimo non discende direttamente dall’antico macedone, che invece era una lingua indoeuropea. Anche l’albanese è una delle lingue più antiche d’Europa, discendendo dall’antico illirico da cui poi si è evoluta a contato con altre lingue, tra cui quelle dei conquistatori dell’Albania (latini e turchi, ad esempio). Entrambe le lingue differiscono dall’italiano a livello fonetico-fonologico oltre che grafico. Infatti il macedone utilizza l’alfabeto cirillico (che consta di 31 lettere a cui è unito un unico suono) e ha due peculiarità fonetiche che lo relazionano al suo gruppo slavo cioè la vocale “grande er” dell’antico slavo ecclesiastico che si è sviluppata in una o e la depalatizzazione delle consonanti molli che oggi sono solo 5. Anche il sistema fonologico albanese è stato codificato in modo da far coincidere ogni lettera ad un suono e per questa ragione si contano 36 lettere, semplici e composte. Vi sono 29 fonemi consonantici con 9 consonanti doppie, che non possono essere divise anche se scritte come fonemi doppi. Questa ragione può indurre gli apprendenti albanesi a dei problemi con la resa delle consonanti doppie italiane che in albanese non esistono: occorre spiegare accuratamente i nuovi suoni italiani e i loro corrispondenti grafici e le possibili interferenze tra le due lingue. Le vocali invece non presentano interferenze: sono 7, con due che non hanno corrispondenze in italiano cioè la ë quasi muta e la y che si rende come la u francese. Per quanto riguarda la componente morfologica, l’albanese è una lingua sintetico-analitica, in cui sono presenti la declinazione indeterminata e una determinata per i sostantivi, pronomi, aggettivi e articoli; è proprio la declinazione determinata a ricoprire anche le funzioni degli articoli determinativi, che praticamente in albanese non esistono. Proprio per queste ragioni può capitare che, nelle prime fasi di apprendimento dell’italiano da parte di un allievo albanofono, gli articoli determinativi siano omessi o usati senza comprensione, ma lo sono solo sulla base di un’assonanza con la vocale finale del nome che segue (es. le monte). Al contrario esiste l’articolo indeterminativo nje, che viene sempre unito alla forma indeterminata. Esiste, inoltre, l’articolo prepositivo, che non ha corrispondenze in italiano, e non è né una preposizione né un articolo determinativo. Si usa in modo vario, unito al morfema del nome, oppure come segnalatore del caso, genere e numero, e si usa anche prima degli aggettivi. Esso ha quattro forme: i, e, të, së. Da ricordare è che la lingua albanese ha cinque casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, ablativo) per la declinazione dell’articolo prepositivo, del sostantivo e dell’aggettivo.

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Invece i nomi macedoni hanno tre generi: maschile, femminile e neutro, distinzioni che, però, non vengono rispettate negli oggetti plurali. Non ci sono casi per i sostantivi: rimane solo il vocativo per i nomi propri e per nomi di persone o animali; i casi rimangono per i pronomi personali (accusativo, dativo). Per quanto riguarda gli articoli, ne esistono tre serie, ognuna delle quali denota la collocazione dell’oggetto rispetto al parlante (articoli generali, articoli per oggetti vicini, articoli per oggetti distanti). Gli articoli vengono posposti e attaccati alla fine del nome. Le preposizioni in albanese si dividono in base ai casi che reggono, nel senso che ogni caso della declinazione richiede delle preposizioni specifiche, anche diverse da quelle italiane. Ad esempio, non esiste una preposizione che indica possesso (es. “di”) ma si usa il caso genitivo. Inoltre, mancando l’articolo determinativo, non esistono le preposizioni articolate. Una caratteristica del macedone è, in particolare,la “duplicazione obbligatoria dei clitici”: gli oggetti definiti diretti ed indiretti non possono apparire soli nelle frasi, ma devono essere sempre accompagnati da un clitico, che deve concordare con il nome in genere, persona e numero. Per quanto riguarda la morfologia verbale, l’albanese presenta due diatesi, attiva e medio-passiva, come in italiano. Il verbo ha nove modi, due dei quali non esistono in italiano, cioè ammirativo, che esprime meraviglia, e l’ottativo, che esprime desiderio. I tempi sono in generali simili a quelli dell’italiano; l’ausiliare che si usa è “avere” (un kam). Non c’è accordo tra soggetto e participio passato. Proprio queste due ultime caratteristiche, che potrebbero condurre a degli errori, sono quelle su cui l’insegnante dovrebbe insistere, nel rinforzo della pratica dell’uso dell’ausiliare “essere” oltre che “avere” e sulla concordanza tra participio e nome del passato prossimo. Nel sistema verbale del macedone i verbi si distinguono in due gruppi: imperfettivi e perfettivi, a seconda che l’azione sia completata o meno. I verbi perfettivi non possono essere usati al presente e sono più frequenti al passato definito (aoristo), che è uno degli otto tempi del macedone. I verbi hanno tre persone (prima, seconda, terza) e due numeri (singolare e plurale). Come altre lingue slave ha perso l’infinito, che è stato sostituito con una costruzione finita, formata da una particella (da) e un verbo finito al presente che si accorda con i nomi in genere e numero. I modi rimangono tre: indicativo, imperativo e condizionale. Un breve accenno alla componente sintattica: non esistono sostanziali differenze tra la struttura frasale italiana e albanese, che si compone, in genere, come soggetto + predicato + complemento. Solo nel macedone l’ordine delle parole è diverso dall’italiano perché l’aggettivo precede sempre il nome.

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8.6.1.1. Apprendimento dell’italiano: alcune osservazioni E’ diffuso il luogo comune che gli apprendenti provenienti dai Balcani conoscano già l’italiano perché hanno avuto modo di apprenderlo attraverso i media. Di frequente, ci si trova di fronte a “falsi principianti” che riescono da subito a comprendere e agire nelle interazioni quotidiane in classe, parlando anche un italiano scarno, adatto alle prime interazioni comunicative. Di sicuro, ad influire su questa “piccola padronanza” della lingua è la zona provenienza dell’allievo e il reale contatto con la lingua italiana, oltre che, ovviamente, il grado di alfabetizzazione ricevuto in patria. Oltre a questi fattori, bisognerà considerare l’intenzione alla stabilità della famiglia di appartenenza, e quindi il loro progetto migratorio, per valutare in pieno la determinazione e le altre variabili affettive che potrebbero influenzare l’apprendimento della L2.

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8.6.2. Il cinese, lingua isolante in contatto con l’italiano La lingua cinese ha origini antichissime ed è l’unica, tra le lingue ancora in uso a non aver subito variazioni dalle sue origini per lo più nella forma scritta; le prime testimonianze risalgono, infatti, al secondo millennio prima di Cristo. Dal punto di vista linguistico, la Cina è caratterizzata da una forte frammentazione dialettale che può portare addirittura a casi di incomprensione reciproca, dal momento che i dialetti sono vere e proprie lingue, che, se pur con un’origine regionale comune, si sono evolute in maniera separata fino a divenire non intelligibili tra loro. Oltre alle varietà dialettali, la lingua cinese conosce un’ulteriore differenziazione tra la lingua orale familiare parlata quotidianamente, il chuan zhu yu, e la lingua scritta, il putonghua, insegnata nelle scuole e che, per questo motivo, rimane sconosciuta a chi non ha l’opportunità di frequentarle o agli anziani. L’elemento di unione tra le due tipologie di lingue orali è la lingua scritta che è identica per tutti i parlanti del cinese e che ne ha preservato l’unità e la conservatività nei secoli. È proprio questa lingua scritta che viene insegnata unicamente nelle scuole e perciò non è a disponibile a tutti. Nella pratica scolastica vengono fatti memorizzare ben 2500 caratteri, che però rappresentano “solo” la cifra a cui si approssima lo standard di alfabetizzazione fissato per la scuola elementare e che non riesce a ricoprire la comprensione dell’intera produzione scritta letteraria e di informazione, da cui molta gente rimane esclusa. In Cina la scrittura viene usata non solo per comunicare ma anche per il suo forte valore grafico-pittorico; la tradizione calligrafica, infatti, è molto importante e rappresenta una vera e propria forma d’arte, in cui si fondono la tradizione e l’innovazione del linguaggio. Nelle scuole, addirittura, la calligrafia, cioè la scrittura regolare, è insegnata come mezzo tramite cui apprendere l’equilibrio estetico e il carattere. A ciascuno dei caratteri cinesi corrisponde un suono ed un significato; ogni carattere, come unità grafica, corrisponde al morfema dal punto di vista grammaticale e alla sillaba dal punto di vista fonologico. Ogni carattere ha una sua direzione e un numero minimo di tratti, e tra di loro i caratteri devono seguire una rigida successione. La caratteristica principale del cinese è la sua tendenza monosillabica, per cui ogni carattere designa una sillaba e ogni sillaba rappresenta una sola unità semantica: ogni parola ha unità di significato e suono. Le sillabe sono poco più di 400, quindi i restanti caratteri (circa 60.000) si pronunciano pressoché allo stesso modo. Inoltre i toni, che regolano la modulazione dell’elemento vocalico, non risolvono questi problemi di omofonia; essi sono solo 4 nel puntonghua ma aumentano fino ad 8 in altri dialetti. Esiste un sistema di traslitterazione dei caratteri cinesi che permette di trascrivere i caratteri cinesi con un sistema alfabetico: si chiama pinyin zimu e permette di riprodurre i suoni cinesi in modo facilitato, grazie agli accenti posti sulle componenti sillabiche, che segnalano appunto le diverse sillabe. Altra caratteristica peculiare del cinese è il suo essere priva di flessioni, proprio come le altre lingue isolanti. Ogni unità lessicale è invariabile e la sua forma prescinde dal ruolo grammaticale che essa ricopre. Le funzioni grammaticali sono segnalate dalle posizioni che i costituenti occupano nella frase e dall’uso di particelle grammaticali. Infatti, ogni frase segue un ordine preciso di

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organizzazione e successione che deve essere mantenuto per rendere la frase comprensibile. Il genere e il numero dei nomi non è di solito specificato e di solito viene indicato da quantificatori indefiniti, che si mettono a sinistra del nome, o con l’aggiunta del suffisso nominale men, che indica la collettività per i nomi di persona. Il caso dei nomi non è segnalato da flessione ma attraverso le proposizioni. Non esistono gli articoli determinativi o indeterminativi, anche se esistono dei referenti determinativi che si pongono a sinistra del verbo, mentre quelli indefiniti alla sua destra. Il verbo è invariabile in genere e numero e può assumere una funzione reggente solo nei gruppi verbali. In molte occasioni è il contesto a fornire le indicazioni modali e temporali. Inoltre, sono le particelle che seguono il verbo a fornire le indicazioni sullo stato di svolgimento dell’azione. I verbi transitivi reggono sempre l’oggetto diretto che deve essere sempre espresso, mentre un certo numero di verbi intransitivi regge come oggetto diretto il luogo a cui si riferisce il moto espresso. Esempio: “Yun Jing jingtian zai tushuguan”: Yun Jing oggi stare biblioteca: “Oggi Yun Jing è in biblioteca”. La composizione frasale cinese si compone di una struttura con tema e commento; il tema è un gruppo nominale che si trova all’inizio della frase, mentre il commento è di solito una frase costruita di solito sullo schema S O V, in cui S (soggetto) e O (oggetto) possono a loro volta essere costituiti da altre frasi. Nella costruzione frasale possiamo notare l’assenza totale di connettivi, dal momento che la lingua cinese è molto più essenziale, per cui non ha forme molto complesse e pesanti ma punta molto sul contesto in cui la frase è inserita per la sua comprensione.

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8.6.2.1. L’apprendimento dell’italiano da parte di allievi cinesi: gli aspetti problematici più comuni. Nel ricordare che l’apprendimento dell’italiano da parte dei cinesi di solito è molto lento, per una lentezza dovuta in parte alla chiusura della comunità cinese ed in parte alla distanza tipologica tra le due lingue, cercheremo, di seguito, di indicare le difficoltà più ricorrenti dividendole secondo i vari livelli linguistici. Dal punto di vista fonetico, come è risaputo, la maggiore difficoltà è quella della corretta produzione dei fonemi “l” e “r”, che vengono dette “ipodifferenziate”, poiché nel putonghua non sono distinte, con produzione del tipo “loba, aplile”, oppure nella realizzazione sonora delle occlusive sorde “t” e “p” (es. “dembo” per “tempo”) e nella realizzazione delle consonanti doppie, che il pinyin non prevede e nella mente di un parlante cinese raddoppiare i caratteri vuol dire assegnare una diverso significato alla parola. L’insegnante potrà aiutare l’allievo a rafforzare la memorizzazione scandendo meglio i suoni per metterli in evidenza confrontando, con vari esercizi, la produzione corretta ed errata dello stesso suono. Dal punto di vista grafico, le maggiori difficoltà nella produzione di caratteri alfabetici potrà essere incontrata da allievi già scolarizzati in patria e che per questo hanno memorizzato ed utilizzato una parte dei caratteri che compongono la resa grafica tipica della loro lingua. Per gli altri, non ancora scolarizzati, basterà un po’ di allenamento in più per familiarizzare con dei tratti grafici diversi e con le diverse modalità di scrittura (maiuscolo, minuscolo, corsivo, stampatello). Ricordiamo che gli allievi cinesi sono molto portati all’ordine e alla bella scrittura (calligrafia) proprio per tradizione ed educazione, e quindi non è raro che la riproduzione della scrittura occidentale sia effettuata senza sbagli e con molta disciplina. Nel caso della morfologia nominale, praticamente assente nel cinese, potrebbero essere incontrate delle difficoltà nell’uso dell’articolo, ad esempio, che viene collocato nella frase a seconda di posizioni specifiche più che per accordi di genere o numero, sulla base dell’uso dei classificatori in cinese, che di per sé non sono unità di significato autonomo. L’acquisizione della flessione nominale di genere, invece, non risulta molto problematica, mentre lo è di più il concetto di numerabilità, spesso scambiato o usato come il genere. Utile in questi casi può risultare l’associazione tra figure e nomi. Nella morfologia verbale, l’apprendimento delle varie forme avviene più per memorizzazione, a cui il cinese è abituato per cultura, che per comprensione, e frequenti sono i casi di sovraestensioni dell’uso della terza persona del presente indicativo o dell’infinito, recepiti dall’input a cui sono sottoposti e memorizzati. Proprio l’infinito viene usato spesso come tempo principale, forse proprio per ragioni culturali. Infatti i cinesi più di altri sono abituati ad utilizzare forme di citazione memorizzandole e senza la tendenza ad analizzarle in morfemi. Per quanto riguarda la componente sintattica, essendo l’ordine frasale del cinese basato sulla struttura S O V, di frequente, almeno nei primi periodi di contatto con l’italiano, poterebbero essere prodotti enunciati coerenti con quest’ordine sintattico e quindi frasi del tipo “scuola dopo io vado” oppure “io Cina torno 8”.

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Solo un uso costante di input ricco e vario più aiutare nell’apprendimento di forme nuove, varie, e declinate in genere, numero e caso.

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8.6.3. Altre lingue indoeuropee (russo, arabo, romanè) a contatto con l’italiano Russo, arabo e romanè sono tre lingue chiaramente diverse tra loro sia per la storia che per la zona geografica che rappresentano. Ad esempio, la lingua russa è parlata in un territorio immenso quale quello dell’ex Unione Sovietica e perciò unisce linguisticamente popoli di diverse nazionalità, con una grande varietà culturale. Anche l’arabo vanta una storia antica la cui importanza è radicata profondamente nei suoi parlanti: non è una lingua unitaria nel senso che i parlanti arabi utilizzano per la comunicazione quotidiana le forme dialettali, molto diverse e talvolta incomprensibili tra loro (lingua dârija), tramandate oralmente e diffuse anche nei media. La lingua scritta (fusha) è l’unica forma scritta di riferimento, viene insegnata nelle scuole e si rifà all’arabo classico del Corano. La lingua romanè invece ha origini indiane ed è parlata dai popoli rom dispersi nelle varie parti del mondo. Non possiede una lingua scritta unitaria, visto che le varie lingue rom, partite da un’unica radice, si sono differenziate a contatto delle lingue delle zone di stanziamento. Solo di recente si sta diffondendo un forma grafica unica basata sulle modalità utilizzate dalle lingue slave. Gli elementi comuni tra i gruppi riguardano il lessico della vita quotidiana, la morfologia nominale con i suoi casi e il sistema verbale e i suoi tempi. Le lingue russe ed arabe utilizzano delle grafie diverse da quelle di tipo occidentale. Il russo infatti utilizza l’alfabeto cirillico che ha tra le altre caratteristiche quella di basarsi sulla corrispondenza totale tra grafema e fonema e di variare nella forma grafica tra corsivo e stampatello. La lingua araba ha una grafia di tipo alfabetico e utilizza 28 lettere che si scrivono in modo diverso a seconda che trovino ad inizio, in mezzo o in fine parola. Ci sono anche altri segni ortografici che danno indicazioni importanti sulla pronuncia e sulla lettura del carattere. Le tre vocali di base sono a (fatha), i (kasra), u (damma) che possono essere lunghe o brevi, e quando lo sono non vengono scritte. Ogni grafema è associato ad un fonema e non esistono digrammi o trigrammi. C’è solo un tipo di scrittura, cioè non esistono corsivo o stampatello, cui sono diversi caratteri tipografici, ma la scuola insegna a scrivere solo in un modo. La punteggiatura è usata di rado, perché si pensa che interrompa il discorso, e non esiste neanche la sillabazione. Una particolarità della grafia araba è la procedura, nella scrittura, da destra verso sinistra: anche i quaderni vengono cominciati da quella che per noi è l’ultima pagina. L’arabo, come altre lingue semitiche, è una lingua che si sviluppa da radici, che spesso sono formate da tre consonanti, e si dicono perciò trilittere. Ci sono sei mila radici di derivazione, da cui si possono creare milioni di termini. Questa è una caratteristiche molto affascinante dell’arabo, che richiama anche i principi matematici. Le parole possono appartenere a tre categorie: nomi, verbi e particelle. Esiste solo un articolo (al-), che è l’articolo determinativo per tutti i generi e i numeri. I nomi si declinano in tre casi, nominativo, ablativo e obliquo, a cui si riferiscono i vari complementi indiretti. Vi sono tre numeri, dal momento che

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oltre al singolare e al plurale esiste il duale che si usa nel caso in cui i referenti siano in coppia (es. occhi, braccia). Nel russo la componente morfologica è formata da categorie classificabili e declinabili, sulla base delle quali variano le parole e sulle quali viene costruita la frase. Dal momento che esiste un forte apparato morfologico non esistono articoli, perché superflui. Anche i pronomi e gli aggettivi si declinano in base a genere, numero e caso. Inoltre, la loro animatezza o meno influisce sull’attribuzione delle desinenze dei casi. Infatti, ci sono sei casi nella declinazione: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, strumentale, prepositivo, ognuno dei quali è ricco di significati e di riferimenti ad altri campi. Gli aggettivi numerali hanno, inoltre, un sistema di declinazione molto ricco di eccezioni e, quindi, complesso, che addirittura i linguisti vorrebbero semplificare per ragioni di studio. Per quanto riguarda il verbo, esso ha cinque forme (infinito, indicativo, condizionale, imperativo, participio, gerundio) che possono cambiare anche in relazione al tempo, al genere e la numero. La sua caratteristica peculiare è la categoria dell’aspetto, cioè perfettivo ed imperfettivo, che si basa sulla durata dell’azione nel tempo. Molti verbi si formano aggiungendo dei prefissi che possono attribuire alla stessa radice dei significati opposti. Inoltre esistono verbi di moto unidirezionale e pluridirezionali, di aspetto imperfettivo, e altri che indicano tipi di movimento in direzioni specifiche e/o generiche. Nel romanè il sostantivo ha due generi e due numeri. I sostantivi maschili terminano prevalentemente in o oppure in consonante e quelli femminili in i oppure in consonante. L’articolo maschile è o, quello femminile è e. Al plurale troviamo gli articoli le o e per entrambi i generi. Il nome viene declinato in otto casi. Il nominativo corrisponde alla radice, l’accusativo al caso obliquo per gli animali; si usano le stesse desinenze per femminile e maschile, con qualche variazione fonetica. Esistono anche delle proposizioni che esprimono le relazioni di caso. La forma base del verbo, invece, è la radice verbale, visto che non esiste l’infinito. Il sistema verbale si basa su quattro tempi: presente, imperfetto, perfetto, trapassato. Il presente e l’imperfetto si basano sulla radice verbale: aggiungendo le desinenze delle varie persone si forma il presente, e aggiungendo a queste la desinenza –a si forma l’imperfetto. Il perfetto e il trapassato si formano sulla radice del participio passato, il quale a sua volta si forma con l’aggiunta dei suffissi –d o –l alla radice del verbo. Esiste anche un futuro perifrastico formato da ka e il presente del verbo; questa costruzione, di origine greca moderna, non si trova nei dialetti dell’Europa centrale e settentrionale. Non esistono tempi composti, quindi non si usano ausiliari, e non esiste un verbo corrispondente ad “avere”, dal momento che si ricorre alla locuzione “è a me”, quindi si usa il presente del verbo “essere” e il dativo. Lo stile della lingua russa è ancora fortemente influenzato dal russo arcaico che non si è perso e che è rimasto nella lingua moderna con i suoi suffissi, le sue voci auliche e con molti termini. Non esiste la concordanza temporale: i tempi delle proposizioni principali e secondarie devono essere usati nello stesso modo. L’ordine dei costituenti frasali è abbastanza libero e anzi non sono rari

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casi di inversione nella frase, che le conferiscono particolari sfumature e danno rilievo ai suoi componenti in modo diverso, ma senza ambiguità, dal momento che le declinazioni aiutano nell’organizzazione frasale. Si usano le frasi impersonali molto di frequente, anzi l’uso dell’avverbio predicativo come predicato delle forme impersonali è una forma tipica del russo, che indica lo stato o la condizione di una persona o di un ambiente. La lingua araba moderna sta evolvendo le sue strutture frasali in costruzioni tipo S V O. oltre a queste costruzioni, l’arabo presenta frasi di tipo verbale, il cui ordine è V S O, oppure di tipo nominale in cui soggetto e predicato non sono congiunti da copula. Se il predicato è determinato si introduce il cosiddetto “pronome separante” che si riferisce al predicato e lo distingue dal soggetto. Come corrispondenti del verbo “essere” e “avere” si usano due costruzioni particolari: per indicare l’essere si usa kâna, che significa esistere; per il concetto di appartenenza si utilizzano frasi nominali rette da preposizioni visto che il verbo “avere” non esiste. Anche nel romanè l’ordine frasale basico è Soggetto-Verbo-Oggetto (S V O), ma l’ordine delle parole non è rigido, visto che l’uso dei casi facilita il riconoscimento delle relazioni tra i costituenti. Addirittura non si usa molto neanche il pronome soggetto vista la flessibilità del sistema verbale. Ciò che distingue fondamentalmente l’italiano dal romanè è la mancanza dell’infinito, che incide non solo nel sistema verbale ma anche nelle strutture frasali. In tutte le proposizioni subordinate infatti si trova sempre un tempo finito. Come tutte le lingue orali il vocabolario del romanè è piuttosto ridotto. Questo avviene anche perché non esiste un linguaggio “scientifico” che porti a delle differenziazioni specifiche e settoriali; ad esempio tutti gli uccelli sono čiriklì, così come tutti i fiori sono luluği. Anche i nomi delle parti del corpo sono piuttosto generici: muj significa sia bocca che viso, e vah significa mano e braccio. Essendo il sistema familiare impostato in modo diverso dal nostro, anche i termini di parentela indicano legami diversi anche se il lessico è piuttosto vario dal momento che la famiglia è al centro dell’organizzazione sociale. Una giovane sposa, ad esempio, sarà chiamata borì (sposa) e sarà la borì di tutti, anche per la suocera e per le cognate.

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8.6.3.2 L’apprendimento dell’italiano: osservazioni Gli aspetti più problematici per un apprendente russo dell’italiano riguardano la morfologia nominale e verbale. Le difficoltà che potrebbero essere incontrate potrebbero essere, ad esempio, nell’uso dell’articolo che in russo manca completamente, nell’uso dei pronomi di terza persona come forma di cortesia (in russo si usa la II^ pers. plur.) e nell’uso delle preposizioni che nel russo sono sostituite dal caso in cui si trova il sostantivo. Nelle morfologia verbale il problema potrebbe riguardare la concordanza dei tempi o il tempo dlle frasi subordinate viste le varie differenziazioni tra passati e trapassati, condizionale e congiuntivo. Invece, tra gli elementi che non presentano grossi problemi per un apprendimento efficace dell’italiano L2, c’è la trascrizione della lingua con caratteri latini che, per quanto differisca completamente dall’alfabeto cirillico, è comunque conosciuta nelle scuole, dove vengono da tempo insegnate le lingue europee. Inoltre dal punto di vista fonetico non ci sono grosse differenze tra le due lingue, visto che i sistemi vocalici e consonantici sono quasi del tutto identici, tranne qualche eccezione. Gli allievi arabi possono avere problemi nell’apprendimento dell’italiano sia nello scrivere che nel distinguere i suoni e a riprodurli oralmente e graficamente. Infatti, se nel loro paese hanno frequentato la scuola, hanno preso l’abitudine a scrivere da destra a sinistra e quindi potrebbero essere disorientati nel gestire lo spazio a loro disposizione. Una certa confusione potrebbe essere causata anche dai vari tipi di scrittura e dalla punteggiatura, caratteristiche grafiche che in arabo non esistono. Inoltre a livello fonetico sono presenti in italiano dei suoni che non hanno corrispondenti in arabo: ad esempio le coppie di fonemi p/b e f/v oppure la coppia s/z, la [s] italiana, infatti, in alcuni contesti corrisponde al suono della [z] araba. Anche la presenza di diagrammi e trigrammi può creare problemi, visto che in arabo non esistono; in questi casi si consiglia di spiegare con cura le variazioni fonetiche portate da più consonanti vicine. Per quanto riguarda la componente morfologica, una delle maggiori difficoltà potrebbe essere riscontrata nell’uso dei diversi articoli e delle preposizioni articolate. Non sembra che sia fatta confusione per la mancanza di una declinazione dei nomi, dal momento che le lingue dârija tendono a trascurare tale componente. Invece delle difficoltà sono legate all’ordine dei costituenti nella frase, nell’uso della copula e dei verbi “essere” e “avere”, anche come ausiliari. Tutte le altre difficoltà rilevate sembrano non essere dovute a interferenza della L1 ma fanno parte degli “errori” legati ai diversi stadi dell’interlingua, che riguardano, per esempio, la formazione del passato con il participio, le concordanze tra articolo e nome, l’uso dell’articolo, l’uso delle varie persone verbali (invece delle sovraestensioni di una sola persona, ad esempio la terza persona del singolare). In presenza di un allievo rom bisogna tener presente che egli ha un concetto molto elastico dell’apprendimento linguistico dovuto alla mobilità della sua cultura di appartenenza. Le famiglie di appartenenza sono lontane dai canoni dell’istruzione, quindi lontane dal fornire stimoli e motivazione, e, inoltre, l’appartenenza ad una cultura prevalentemente orale crea difficoltà oggettive con la scrittura e con tutto ciò che la scrittura rappresenta, cioè stabilità e

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organizzazione. Infatti un rom non conosce “istruzioni d’uso” per nessun campo: anche il lavoro viene imparato attraverso l’osservazione e la pratica. Anche il concetto di memoria è diverso: si dimentica ciò che non serve per il presente e si ricordano solo le cose necessarie per la sopravvivenza. Le parole poi hanno il potere di dare nomi alle cose e quindi sono creduti quasi “magici” i nomi di persona o anche quelli dei defunti. Nell’apprendimento prettamente linguistico, le difficoltà maggiori sono quelle legate all’uso del verbo che seleziona relazioni diverse da quelle che i casi che il romanè richiede. A proposito dei casi, difficile è la resa del genitivo, che porta a costruire le struttura in modo che il genitivo (o complemento di specificazione) preceda il soggetto a cui si riferisce. Un altro ostacolo è l’apprendimento dei tempi composti con l’ausiliare che nel romanè non esiste, e che nelle prime fasi di contatto con l’italiano viene soppresso. L’ordine delle parole spesso ricalca l’ordine romanè, con la collocazione dell’avverbio o dell’oggetto prima del verbo (es. veloce il pane mangiato; bene ha fatto).

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8.7. Le conseguenze applicative delle diversità tipologiche nella pratica didattica Nella prima fase di inserimento l’insegnamento deve cercare di dare risposta in tempi rapidi ai bisogni primari di comunicazione con i pari ed infatti la comunicazione, nell’insegnamento di una L2, è molto vicina a quella naturale, cioè concentrata sul contenuto e non sulla forma. L’apprendente è immerso quotidianamente nella nuova lingua e riceve in continuazione, dai pari e dall’ambiente circostante, input e stimoli comunicativi; egli in seguito rielabora queste stimolazioni che danno luogo ad un sistema e ad uno sviluppo autonomi, ed è per questo che i suoi “errori” o “forme scorrette” devono essere accettate in quanto parte di questo sistema, e non deviazione da una norma, se non pregiudicano la comprensione del messaggio. Inoltre, quando si progetta un percorso di insegnamento di una L2, si devono tener ben presenti tutti i fattori coinvolti che influiscono sull’apprendimento linguistico. I dati devono essere raccolti attraverso l’osservazione diretta, i colloqui con i genitori, ma anche attraverso la consulenza dei mediatori culturali che aiutano a comunicare con le famiglie e ad interpretare meglio certi comportamenti. Spesso i primi periodi di inserimento scolastico sono contraddistinti da momenti di silenzio, in quanto l’apprendente non produce subito ma passa molto tempo ad ascoltare. Questa fase è da rispettare, visto che appena si sentirà pronto l’allievo inizierà a parlare. Quindi, nella programmazione delle unità didattiche, si dovrebbero pensare per queste prime fasi delle attività che diano agli alunni la possibilità di rispondere anche attraverso la gestualità e il movimento e lasciare le conversazioni alle fasi successive. La prima cosa che l’insegnante deve fare è fornire un primo vocabolario necessario ad orientarsi nell’ambiente scolastico. Queste prime parole sono destinate a comporre le prime frasi minime sulle quali si agganceranno in seguito gli attributi e tutte le espansioni. Le parole da insegnare sono presentate nel loro contesto naturale e allo stesso tempo sono isolate, essendo proposte al bambino con immagini visuali, quali immagini o gesti. Questi referenti concreti rendono la comprensione più facile e danno alla comunicazione orale un ruolo predominante nei primi momenti di inserimento. L’insegnante, dal canto suo, facilita l’apprendimento della L2 rispettando i tempi dell’allievo, accettando la fase di silenzio iniziale non forzandolo, proponendogli espressioni semplici e comprensibili e incoraggiando le sue risposte, attingendo anche a mezzi extralinguistici e realia (foto, disegni, oggetti). Inoltre, per quanto l’apprendimento della L2 sia l’obiettivo dell’insegnamento è necessario che il bambino non perda la sua L1, perché ciò significherebbe sgretolare le sue competenze comunicative e rendere difficili le sue relazioni sociali e affettive con il nuovo gruppo. È necessario prevedere una fase intermedia in cui l’alunno straniero “imparerà ad imparare” la nuova lingua e in cui bisogna avvicinarlo all’apprendimento di strategie che siano di aiuto nello studio della L2. In questa fase “ponte” si deve aiutare l’apprendente nella comprensione di testi scritti, nell’acquisizione e nell’uso dei connettivi e nella promozione del transfert dei saperi e delle

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competenze tra L1 e L2. Vengono individuate 5 nozioni generali di base, il cui lessico, se appreso, servirà da base per lo sviluppo di altre capacità cognitive, quali l’osservazione e l’individuazione di legami e relazioni. Nella prima fase di apprendimento l’intervento didattico (che potrebbe essere organizzato in lezioni tipo), per lo sviluppo della L2 dovrebbe avere tre obiettivi principali che riguardano lo sviluppo delle capacità di ascolto e di produzione orale nella L2, in modo da poter comunicare spontaneamente dentro e fuori la scuola; lo sviluppo delle capacità di base di lettura e scrittura nella L2 e l’apprendimento delle strutture di base della L2. L’insegnamento dovrebbe infatti indirizzare l’allievo straniero a costruirsi un italiano a “sua misura” basando i suoi progressi nella conoscenza delle varie discipline che gli sono proposte e sui vari temi che esse coprono; inoltre l’insegnamento, non solo dell’italiano, dovrebbe insegnargli ad usare la lingua per diverse funzioni, presentate secondo uno sviluppo modulare.

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8.7.1 Suggerimenti per attività didattiche con attenzione alla L1 e alla cultura di partenza È importante tener presenti alcune coordinate per un’impostazione corretta della attività glottodidattica per ragazzi che dovrebbe ricreare in classe situazioni di naturalità comunicativa, contestualizzando contenuti linguistici e culturali, e che si basi sul collegamento tra i vari tipi di comunicazione verbale e non verbale, quale canto, musica, gestualità e immagini; bisognerebbe, inoltre, usare input e materiali utili per un uso immediato della lingua, per favorire l’uso della lingua per varie funzioni (espressione di idee e sentimenti, relazioni con gli altri…). Prima di passare a presentare, in modo ragionato, un inventario di attività didattiche riteniamo che nell’ambito di questa “convivenza interculturale” sarebbe interessante e utile anche imparare i giochi dell’ “altro”, in modo che i bambini stranieri insegnino ai compagni alcuni degli aspetti della loro cultura d’origine e che possano condividerli con i loro amici italiani: questo procedimento aiuterebbe questi ultimi ad allargare il loro punto di vista oltre ciò che conoscono e praticano abitualmente e i bambini stranieri a sentirsi più protagonisti nella vita di classe. Ad esempio, in presenza di allievi cinesi, sarebbe interessante proporre attività come gli origami, nel quale i bambini hanno la possibilità di mettersi alla prova anche linguisticamente e i loro compagni italiani trovano l’occasione di conoscere degli aspetti in più di questa cultura così “esotica”. L’appartenenza a culture diverse è, quindi, una fonte interminabile di ricchezza: tanti sono i contenuti da poter condividere nella classe, che possono essere utilizzati come mezzo di conoscenza reciproca. Spunti per le attività interculturali potrebbero riguardare la lettura di storie e testi nelle varie lingue presenti nella classe, magari favole tipiche dei diversi paesi di provenienza oppure il racconto di varie feste e usanze. Si potrebbero utilizzare materiali bilingui oppure film e filmati, da cui trarre poi dei questionari utili anche per testare la capacità di comprensione dei testi orali. A proposito dei materiali bilingui, ci sembra utile ricordare l’efficacia dell’accostamento L1-L2 nella prime attività che si propongono agli apprendenti stranieri, dal momento che li aiutano a comprendere meglio i nuovi elementi lessicali da utilizzare, avendo come base la loro lingua madre, mezzo che può aiutarli a “classificare” ed ordinare le nuove parole con facilità. Le varietà individuali (in termini di età, scolarità, lingua, classe frequentata) influiscono anche sulla scelta dei testi da adottare per la didattica, che devono, infatti, fornire delle proposte mirate a soddisfare i bisogni e le esigenze più diversificate. L’utilizzo dei testi scritti sin dalle prime fasi di inserimento scolastico dovrebbe essere accompagnato da una semplificazione testuale degli stessi testi per evitare che gli ostacoli incontrati nella lettura scoraggino lo studente straniero e lo demotivino nel suo rapporto di studio con la nuova lingua. Testi semplificati non vuol dire testi banali o senza significato, ma testi ad alta comprensibilità, con una “scrittura controllata” che tiene conto della distanza linguistica-culturale tra chi scrive e chi legge. Questo tipo di semplificazione si rivela utile in ogni materia da insegnare dal momento che permettono

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all’apprendente un accesso e una comprensione facilitata ai testi e allo sviluppo delle abilità di lettura, favorendo la memorizzazione del lessico e la sua appropriazione. Le differenze tra le varie culture devono essere trattate non solo nell’insegnamento dell’italiano, ma anche dagli insegnanti delle altre discipline, che dovrebbero prevedere dei momenti di confronto tra i bambini di nazionalità diversa presenti nella classe, in modo che ognuno di loro possa tirare fuori il proprio punto di vista. Ad esempio, un maestro di scienze potrebbe parlare degli animali del mondo e del rapporto tra l’uomo e gli animali nelle varie culture introducendo come supporto alle lezione proverbi e modi di dire, cioè argomenti che tutti possono conoscere, anche sugli animali stessi (es. “Furbo come una volpe”, “Lento come una tartaruga”) e confrontarli tra le diverse culture per rilevare somiglianze e/o differenze (es. in Italia si dice “Cammina come un elefante su dei bicchieri di cristallo” mentre in Inghilterra si dice “Si muove come un toro in un negozio di porcellane”). Inoltre, in quasi tutti i corsi di lingua straniere, in questo caso adattabile all’insegnamento dell’italiano L2, si fa riferimento al corpo umano trattando argomenti come caratteristiche fisiche o malattie varie. Anche in questo caso molti modi di dire e proverbi fanno riferimento a parti del corpo (avere le mani bucate; andare con i piedi di piombo; ha il cervello di gallina): infatti, il significato proprio si perde per i meccanismi del linguaggio figurato facendo emergere quello figurato. Un altro argomento frequente è quello delle nazionalità; ci sono modi di dire comuni, anche curiosi, riferiti a stranieri, che possono essere citati e spiegati agli allievi in modo che non risultino offensivi. Infatti la loro motivazione iniziale è andata persa, magari legata a tradizioni nazionalistiche e xenofobe presenti in passato; ora rimangono solo i nomi dei popoli (andarsene all’inglese; fare l’indiano; parlare arabo; fumare come un turco) che, quindi, richiedono delle spiegazioni culturali.

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8.7.2. Attività per l’esercitazione della morfosintassi in Italiano L2 Per gli insegnanti di italiano, un modo per fornire agli studenti motivazioni ad usare le strutture grammaticali può essere la presentazione degli esercizi sotto forma di gioco. Quasi ogni forma di esercizio può assumere l’aspetto di un gioco: dalla ripetizione corale o ritmica delle frasi ai giochi di squadra che possono servirsi di produzioni autonome dei testi. Il vantaggio dell’esercitazione in forma di gioco, oltre alla piacevolezza, è quello di fornire una motivazione forte – vincere o risolvere il gioco – e praticare le strutture richieste, spingendo così sulla memorizzazione delle strutture e sul loro apprendimento. Di seguito proponiamo alcune tipologie di gioco che si possono provare in classe, anche applicate ad strutture diverse da quelle proposte di seguito. Al termine del gioco può essere pensata una fase di verifica degli eventuali errori. Proposta di lavoro 1 Sfida di participi La classe è divisa in due squadre che si posizionano una di fronte all’altra. A turno ogni membro di una squadra sfida un membro dell’altra a flettere al participio un verbo (proponendo anche le forme irregolari più difficili). Per ogni risposta corretta la squadra prende un punto e ovviamente vince chi ha più punti. Ogni giocatore deve proporre participi che lui stesso conosce altrimenti la squadra perde il punto. Si può usare questo gioco nel ripasso o per la memorizzazione dei diversi elementi e strutture. Proposta di lavoro 2 Catena di passati prossimi Gli studenti siedono in circolo. Il primo studente dichiara ad alta voce una frase del tipo “Ieri ho…” (“…mangiato la pizza; giocato a pallone” etc..). lo studente successivo ripete la frase del compagno (“Ieri X ha”….) ed aggiunge una frase che lo riguarda (“e io ho…”). Lo studente successivo ripete le prime due frasi e ne aggiunge una che lo riguarda e così via. Quando un giocatore sbaglia, ripetendo la frase in modo scorretto o dimenticando qualcosa, deve restare in piedi fino al turno successivo. Proposta di lavoro 3 Caccia alla coda L’insegnante prepara dei cartoncini su cui sono scritti dei nomi e altri su cui sono scritti dei suffissi, in maniera che dalle coppie di nome + suffisso si possa creare un aggettivo (es. noia + -oso; natura + -ale). Ogni studente riceve un numero uguale di cartoncini di suffissi e nomi e tutti i ragazzi devono scambiare i cartoncini tra loro per formare gli aggettivi in modo corretto. Vince chi forma più parole correttamente. Una variante del gioco potrebbe essere l’asta dei cartoncini, per cui l’insegnante è il battitore e gli alunni hanno del “denaro” per comprare i suffissi.

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Proposta di lavoro 4 La parola proibita L’insegnante sceglie delle parole che gli studenti dovranno indovinare e le suggerisce agli alunni divisi in squadre, che giocano a turno. Ad ogni turno l’insegnante suggerisce la parola ad un giocatore che deve farla indovinare alla propria squadra, dando delle definizioni ma senza pronunciarla mai. Deve usare frasi finali come “serve per”, oppure relative “è una cosa che”, o temporali “si usa/si dice quando” che possono essere scritte alla lavagna per favorirne la comprensione da parte di tutti. Vince che indovina il termine entro il tempo massimo stabilito. Proposta di lavoro 5 La parola misteriosa L’insegnante prepara dei cartoncini su cui vengono scritte parole difficili, e le loro definizioni, probabilmente non conosciute dagli alunni. Ad ogni turno l’insegnante detta la parola ma non dice la definizione, che deve essere inventata dagli studenti. Vince chi si è avvicinato maggiormente al significato originale del termine. Il gioco è utile perché allena gli studenti all’analisi di parole sconosciute, avviando verso un’analisi metalinguistica della terminologia, facendo conoscere i termini più rigorosi della lingua italiana. Proposta di lavoro 6 Chi ha detto che cosa? Questo gioco è una variante del precedente. L’insegnante prepara dei cartoncini con frasi tratte da riviste e articoli. Mentre la legge ad alta voce alla classe si blocca ad un certo punto per far continuare la frase in modo logico agli studenti che devono scrivere le loro conclusioni su altri cartoncini. Successivamente tutti i cartoncini vengono mischiati e gli alunni scelgono quale sua la frase originale. È un gioco utile specialmente per esercitare la consecutio temporum in frasi subordinate. Per introdurre gli allievi all’argomento dei suffissi, ad esempio, si potrebbe pensare ad attività composte da vari momenti che per gradi di difficoltà avvicinino alla regola, magari accompagnando la spiegazione con cartelloni ed immagini molto colorate, che inducano i ragazzi a ragionare sul suo uso. Interessanti sono anche le attività di lettura analitica del testo, su cui si riflette in modo originale.

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8.7.3. Attività per l’esercitazione del lessico in Italiano L2 E’ molto importante prestare attenzione esplicita al vocabolario durante le lezioni di lingua, dal momento che l’apprendimento di una lingua è strettamente connesso all’insegnamento del lessico. Infatti spesso i parlanti hanno aspettative diverse nei confronti delle corrispondenze tra la L1 e la L2, a seconda di ciò che si pensa di sapere della LS e delle distanze hanno che le due lingue hanno. Dato il ruolo esercitato dalla L1 sull’apprendimento del lessico di una L2 è utile richiamare l’attenzione degli studenti sulle somiglianze tra le due lingue per agevolare l’apprendimento; per lo steso motivo l’insegnante è avvantaggiato dalla conoscenza della L1 dei suoi allievi e dalla conoscenza delle caratteristiche linguistiche dell’italiano. Interessante far rintracciare agli allievi stranieri parole della loro L1 o, più in generale, le parole straniere in uso nella cultura italiana e verbalizzarle su di un cartellone. Oppure, gli alunni più piccoli possono scrivere su un cartellone tutti gli alfabeti usati nella classe, per far notare la ricchezza della scrittura, o riportare per iscritto i vari codici linguistici ed extralinguistici in uso nella scuola. A questo proposito si può proporre di abbinare le parole italiane e straniere che si somigliano e verificare se e come cambia il significato. Ci sono infatti diversi fattori che determinano la difficoltà di apprendimento di una parola, alcune di ordine individuale, altre legate al tipo di input a cui si è esposti, cioè la frequenza (che è determinata dall’uso e dalla ricorrenza), la disponibilità della stessa parola, “falsi amici”. Di sicuro il modo più semplice di imparare elementi lessicali è quello di vederli presentati accanto alle relative immagini (es. presentare gli oggetti di casa abbinandoli all’immagine relativa: cosa serve per tenere in ordine la casa?; liste di parole: cose da mangiare, bene, vestiti). L’attività seguente può essere riambientata in altri contesti (es. quali sono i lati negativi del viaggio in treno?). Proposta di lavoro 7 I seguenti aggettivi esprimono aspetti del carattere di una persona. Li conoscete? silenzioso; noioso; pigro; aggressivo; attivo; generoso; calmo; riflessivo; simpatico; freddo; nervoso; timido; spiritoso Dividete le parole in tre categorie: aggettivi positivi, negativi, neutri. Quali di questi aggettivi usereste per descrivere un membro della vostra famiglia? E per voi stessi? Nel modo più “classico” si possono presentare in due liste parole tra di loro sinonimi, una lista di uso comune, l’altra di genere più ricercato che si devono far collegare; o, ancora, unire un nome con un aggettivo che ne indichi le caratteristiche principali. Per stimolare le strategie di compensazione, a cui si ricorre quando non si conosce un termine, si potrebbe inventare un gioco in cui venga “vietato” di

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pronunciare un determinato nome, a cui si deve risalire con domande del tipo “come si chiama/dice?”; “come sui chiama il posto dove…?” “si trova in…” “è quando…”. Un’attività che può risultare interessante per i ragazzi è quella di fornire, ad esempio nell’insegnamento delle scienze o della geografia, una sorta di “fotografia” o scheda degli argomenti trattati, di cui l’insegnante fornisce la definizione, il mondo a cui appartiene, gli esempi, ciò che fa venire in mente, come può essere, ciò che può fare, e i modi di dire legati a quel elemento, e quindi tutto il lessico relativo a quel argomento. Questo tipo si schedatura potrebbe rivelarsi utile anche nella descrizione del paese natale o in eventuali confronti con il nuovo paese di soggiorno. In relazione alla descrizioni di luoghi si potrebbero proporre attività come “La descrizione della mia città” con degli elementi lessicali forniti in precedenza o presenti sui libri di testo; o il gioco dei mestieri oppure “I trasporti” in relazione ai mezzi di trasporto usati in Italia e in patria, utili anche nella descrizione dell’arrivo in Italia, attraverso una piccola indagine. Sempre nel confronto tra l’Italia e il paese d’origine un insegnante di matematica potrebbe proporre delle esercitazioni che prevedano il confronto tra le monete e le valute della loro terra d’origine e quelle italiane e la storia delle monete dei vari paesi. A proposito dell’Euro, un insegnante di geografia potrebbe prendere da qui le mosse per introdurre all’Unione Europea, i suoi confini e la sua storia. Tutte queste attività possono essere, naturalmente, affiancate dagli esercizi più “tipici” di riflessione sulla lingua come i test a scelta multipla, gli esercizi di trasformazione, la formulazione di domande, gli esercizi di riordino; inoltre ci sono delle attività che possono essere usate come compito di verifica, essendo più lunghe e complesse, come il completamento di una storia, il confronto di un testo audio con uno scritto, prove di comprensione di un testo orale quali una canzone, la realizzazione di un role-play. A questo proposito presentiamo dei suggerimenti di attività ludiche che possono risultare utili nell’insegnamento della L2, ed adattabili alle varie discipline e alle varie esigenze. Tra i giochi d’azione si potrebbe pensare ad una tombola, nel modo classico, se si vuole esercitare i numeri o con cartelle od immagini se si vuole esercitare il lessico; cruciverba e giochi di enigmistica; una caccia al tesoro, per praticare la comprensione orale; “Indovina chi”, dando la descrizione fisica di qualcuno che deve essere “smascherato” dai compagni; i mimi di azioni o pensieri scritti su dei cartoncini; il puzzle da ricostruire attraverso delle descrizioni scritte su foglietti da accoppiare.

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8.7.4. Attività per l’esercitazione della pragmatica nell’Italiano L2. Nell’apprendimento di una lingua straniera, accanto allo studio del lessico e delle strutture grammaticali, è importante imparare a riconoscere ed a utilizzare quella serie di formule e locuzioni che rendono più scorrevoli la comunicazione e che rendono la lingua utile in situazioni e comunicazioni di ogni genere. Proponiamo di seguito due attività che potrebbero risultare stimolanti e coinvolgenti: Proposta di lavoro 8 A che ora? Le date e gli orari di queste opere non sono corretti. Fate corrispondere le date e gli orari corretti alle opere eseguite al Teatro alla Scala, telefonando alla biglietteria del Teatro e chiedendo informazioni.

TITOLO DATA ORE La Gioconda venerdì 13 giugno 2004 15:00 Le Nozze di Figaro venerdì 4 luglio 2004 18:00 Tosca sabato 18 gennaio 2004 20:00

Proposta di lavoro 9

1. Immagina di dover organizzare la festa di compleanno di un bambino o di una bambina, forse di un vicino di casa, di un cuginetto o di una sorellina. Cosa gli piacerebbe mangiare? Chi sarebbero gli invitati? Cosa faresti di divertente? Dove si svolgerebbe la festa? 2. Nella vostra classe d'italiano ci sono tante persone e tante personalità. Decidere quale cartolina mandare a un amico o a una amica non è sempre facile. Con un compagno di classe, scegliete tre persone nella classe a cui vorreste spedire una cartolina Ora considerate l'occasione per cui avete scelto la cartolina nella preparazione precedente. Potete spiegare le ragioni per aver scelto queste cartoline? Poi considerate quale cartolina mandereste alle seguenti persone:

• al presidente degli Stati Uniti per il suo compleanno

• al famoso tenore Pavarotti per il successo di un suo concerto

• alla famiglia italiana che vi ha ospitato o vi ospita durante il vostro soggiorno in Italia

• a una vecchia zia che ha perso il marito Se vogliamo che un apprendente sappia partecipare ad una conversazione e quindi ai racconti suoi e degli altri compagni, agli scherzi, agli aneddoti che caratterizzano l’andamento della comunicazione comune e quotidiana, si deve fare esercitare tanto il racconto quanto l’ascolto, dando all’prendente un ruolo attivo e positivo. Interessanti sono in questa ottica le attività di role-play specialmente nell’esercitazione sul ruolo pragmatico della lingua. Infatti l’input linguistico offerto deve avere per l’allievo un’utilità immediata sul piano

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pragmatico, per la comunicazione, l’interazione con gli altri e per il soddisfacimento dei propri bisogni. L’insegnamento dell’italiano come lingua seconda è principalmente funzionale: nella scelta degli input linguistici bisogna chiedersi che lingua serve comprendere e produrre per prima per permettere all’allievo straniero di interagire con gli altri. A proposito di routine, le formule coinvolte nella comunicazione telefonica, alle quali non viene di solito dedicato molto spazio nella didattica, sono necessarie da conoscere e gestire nelle realtà comunicativa. Si potrebbe pensare, perciò, a giochi di ruolo relativi alle telefonate, in cui gli studenti dovrebbero evitare la conversazione non verbale e quindi non sedere uno di fronte all’altro. Se è possibile meglio che la “scenetta” si svolga di spalle. L’obiettivo è quello di acquisire le formule più frequenti e di utilizzarle in maniera appropriata. Queste attività sono facilmente realizzabili in classe, basta stabilire in precedenza le variabili coinvolte, quali telefonate privata/di lavoro, formale/informale, cortese/scortese. Proposta di lavoro 10 Dividere gli alunni in coppie; a sinistra leggeranno i comandi della colonna sinistra e così a destra. SINISTRA DESTRA Vuoi parlare con il signor Rossi Sei il signor Carli Tel. 987665 Tel. 987664 Vuoi parlare con Agnese Agnese non c’è Vuoi parlare con Marco Sei Marco, ma la linea è disturbata Vuoi parlare con Francesco Verdi Sei Francesco, ma il cognome è Mori Vuoi parlare con l’ingegner Moretti Sei la segretaria, l’ingegnere rientra

più tardi Altre formule utili da imparare sono quelle di apertura e di chiusura della conversazione, i saluti e le presentazioni, che nella conversazione quotidiana, formale ed informale, sono sempre presenti. Nel clima di una classe multiculturale deve essere chiaro come ci si comporta in una precisa situazione con una determinata persona, come si esprimono cioè le proprie intenzioni ed i propri interessi. Per ampliare man mano il repertorio a disposizione dell’allievo si potrebbero utilizzare giochi di ruolo che abbiano tracce piuttosto libere. Proposta di lavoro 11 Dopo aver inserito le seguenti routine nei dialoghi, provate ad immaginare i partner delle varie conversazioni e il tipo di rapporto esistente tra loro.

A) Posso presentarle mia moglie? B) Torna a casa bene! C) Di nuovo grazie mille e arrivederla! D) Dormi bene! E) Ciao tesoro mio!

1. Mario: Grazie per la magnifica serata! La prossima volta siete a cena da me!

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Monica: Affare fatto!_____________________ Mario: Buonanotte! 2. Rossi: Buonasera signor Carri! Grazie di essere venuto! Carri: Buonasera signor Rossi!__________________ Rossi: Buonasera signora Carri! Lieto di conoscerla! 3. Studente: professore la ringrazio molto per il materiale che mi ha prestato Professore: Di niente! Mi telefoni ancora se ha bisogno di qualcosa. Studente:__________________________________________ 4. Sonia: Ciao amore! Franco: ________________Guarda cosa ti ho portato! Sonia: un altro regalo per me? Grazie!!! 5. Katia: beh, Matteo io vado a dormire! Buonanotte! Matteo: fra poco vado anch’io!______________ Katia: anche tu! È utile, anche ai fini di un inserimento positivo nella classe conoscere ed adoperare le routine di cortesia, affinché tutti i ragazzi possano apparire beneducati, anche all’interno di un contesto socioculturale diverso da quello di origine. Le tre caratteristiche di un comportamento cortese sono il non imporsi; l’offrire alternative; l’essere amichevole, tecniche spesso utilizzate per attrarre l’attenzione dell’altro e ottenere da lui dei benefici! Si potrebbe provare a dimostrare questa teoria con un’attività semplice: chiedere alla classe di indicare come convincerebbero una determinata persona a fare una telefonata in libreria, ipotizzando varie possibilità in situazioni contestuali differenti. “Sedurre” l’altro sarà poi così difficile?! Inoltre è bene far capire ai bambini che un’espressione cortese è sempre meglio del suo contrario: fornite ai bambini una lista di frasi scortesi che leggerete in tono consono alla stessa espressione e chiederete agli alunni di sostituirle con quelle cortesi che leggerete di nuovo con una nuova espressione. Forniamo di seguito alcuni esempi: AL RISTORANTE. Cameriere….

- non vede che non ho la forchetta? - E questo sarebbe caffè?

Sul treno. - mi lasci passare! - Tolga questa valigia!

In hotel. - mi dia una camera più tranquilla o cambio albergo! - Vi decidete a cambiare le lenzuola?

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Non vogliamo di sicuro dimenticare le forme di allocuzione, cioè il modo in cui ci si rivolge ad una persona, che dipendono dall’evoluzioni dei rapporti con l’altro. Un’attività come quella che segue, per quanto sia banale, permette di mostrare esempi di situazioni comunicative in cui possono essere applicate semplici norme di comportamento sociale. Proposta di lavoro 12 In quali casi i personaggi elencati dovrebbero dare del tu o del lei? Nonna/nipote; vigile/passante; due amiche; bambino/signora; studente/professore; due colleghi. Proposta di lavoro 13 Supponendo che i due protagonisti non siano amici ma conoscenti, cambiate il tu con il lei e la coniugazione dei verbi relativi. È solo tarmite questa sostituzione he uil registro passa da informale a formale o servono anche altre trasformazioni a livello grammaticale e lessicale? Enzo: Silvano anche domani a pesca? Silvano: sicuro: solita ora, solito posto. E tu che fai? E.: vado vicino al vecchio mulino S.: perché non vieni con me? Non te ne pentirai! E.: dici sul serio? Se venissi al ponte avrei più fortuna? S.: certo! Prenderai più pesce se cambierai finalmente posto! Se vieni avvertimi!

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8.7.5 Spunti per possibili percorsi didattici Altri spunti per possibili percorsi interculturali si concretizzano nelle attività proposte di seguito:

• “I ruoli dei maschi e delle femmine”, che riguarda l’identità di genere nelle varie culture, con relative uguaglianze e diversità

• “Dal baratto alla carta di credito”: storia delle monete • “I giochi nel mondo”, con particolare attenzione ai giochi “da

bambina” e quelli “da bambino” • “Lo sport nel mondo”, con attenzione agli sport nazionali e

alla pratica e diffusione tra i giovani • “I divertimenti”: uno sguardo sulle modalità di interazione tra

i giovani, sui loro passatempi e i loro luoghi di incontro, sugli spettacoli più seguiti (televisione, cinema, teatro), sul ruolo del ballo nelle diverse culture

• “La cucina nel mondo”: tradizioni, usi e storia del cibo Inoltre, la disponibilità del computer aiuta a scandire le lezioni in modo diversificato e allo stesso tempo personalizzato nell’apprendimento della L2: si possono, infatti, elaborare percorsi personalizzati che possono anche utilizzare programmi di disegno o di pittura (es. Microsoft Clip Art 3; Microsoft Creative Writer) o di elaborazione di testi e diapositive (es. Power Point).

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8.8. Guida bibliografica Vengono di seguito indicati dei testi di riferimento per arricchire la biblioteca scolastica e fornirla di strumenti di “in-formazione”sia per gli insegnanti che per gli studenti. È solo una base di partenza per costruire ed utilizzare una biblioteca interculturale ed operativa. AGESCI, Il mondo è la mia casa, Nuova Editrice Fiordaliso ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, L’educazione Interculturale e

l’integrazione degli alunni stranieri, Firenze, Le Monnier, 1995. AA.VV., Incontriamoci, Milano, Guerini studio, 1998 AA.VV., L’educazione all’interculturalità. Premesse e sperimentazioni, EGA,

1995 AA.VV., Popoli in festa, Bologna, EMI, 2000 AA.VV., Tessere di quotidianità interculturale, Bologna, EMI, 2000 AA.VV., Un libro buono un mondo, Giunti, 1994 AA.VV., Un libro lungo un mondo, Giunti, 1995 AA.VV., Un mondo per giocare, Varese, La coccinella, 1998 AA.VV., Il giro del mondo il 4 puzzle, Clementoni e Fabbri Editori, s.d. BALBONI P., Didattica dell’italiano a stranieri, Roma, Bonacci, 1994. BALBONI P., Tecniche glottodidattiche, Torino, Utet, 1998. BALBONI P., Dizionario di glottodidattica, Guerra Edizioni, Perugia, 1999 BALBONI P. (a c. di), Educazione bilingue, Guerra Edizioni, Perugia, 1999 BALBONI P., Grammagiochi, Roma, Bonacci Editore, 1999 BALBONI P. (a c. di), ALIAS Approccio alla Lingua Italiana per Allievi Stranieri,

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BERRETTA M., Sviluppo di regole di formazione di parola in italiano L2: “nomina actionis” costruiti con il participio passato. In Giacalone Ramat, 1988.

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www.bdp.it/interculturawww.unimondo.orgwww.cospe.itwww.pavonerisorse.to.itwww.informascuola.it

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L1 indica la lingua materna, quella parlata come prima lingua nella famiglia in cui si nasce; L2 indica una lingua diversa da quella materna che viene usata accanto ad essa in situazioni comunicative quotidiane; LS indica la lingua non materna insegnata nelle scuole, quindi una lingua straniera.

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Secondo Vygotsky lo sviluppo del linguaggio nella prima infanzia è strettamente legato allo sviluppo delle “funzioni cognitive superiori”: concettualizzazione, generalizzazione, astrazione, pensiero logico.

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cfr. paragrafo 8.4

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I criteri fonologici sono utilizzati, più che per individuare il genere, per stabilire la forma tipica della fonologia italiana tramite la vocale finale di parola. Può capitare che nelle prime fasi di sviluppo, quando l’attenzione è posta più sul contenuto della comunicazione che sulla componente morfologica, ci sia comunque una produzione corretta dei sostantivi, dovuta a delle analisi corrette dell’input. I criteri semantici entrano in gioco in un secondo momento, in base alla relazione genere-sesso del referente. Si scelgono dall’input le forme più utilizzate per indicare i generi: di solito esse sono -o per il maschile, -a per il femminile. I criteri morfologici sono utilizzati nell’assegnazione del genere quando si sviluppano i suffissi derivazionali, come -tore, -trice. Da questo momento in poi, gli accordi di genere cominciano ad essere più presenti, soprattutto nei contesti semantici più rilevanti, come i pronomi tonici di 3^ persona, e in quelli più frequenti, come gli articoli.

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Dal momento che la distinzione tra il tempo e il modo viene affidata a diversi e complessi principi strutturali, quali i tratti sovrasegmentali e i tratti morfologici coinvolti nella definizione delle persone.

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All’interno di questo paradigma, la prima organizzazione tocca al presente indicativo; al suo interno, il singolare è organizzato prima del plurale e, tra le persone, la prima e la terza precedono, con la loro organizzazione, quella della seconda persona. È stato possibile individuare alcuni stadi nell’organizzazione del sistema verbale, l’acquisizione dei quali tempi è indicata in una sequenza ben precisa:

Presente Indicativo > (Ausiliare) + Participio Passato > Imperfetto > Futuro

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L’uso della 3^ persona singolare come forma “basica” (cioè non marcata) è collegato ad una prima analisi fatta dall’apprendente sull’input ricevuto nel quale egli individua una parte invariabile nelle forme verbali con desinenze variabili; essa, al momento, è collegata tanto ad un uso presente quanto ad un uso futuro.

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L’uso dell’infinito è stato giustificato in vario modo in modo: la sua presenza nelle prime fasi può essere il risultato di una strategia di formazione dei verbi, oppure una conseguenza all’esposizione ad un input fortemente semplificato (es. il foreigner talk) o a forme imperativali negative e positive. Inoltre, l’uso dell’infinito in modo sovraesteso può essere connesso ai verbi modali (fare, dire, venire..), avvertiti come principali nella sintassi frasale e, quindi, utilizzabili in ogni contesto, anche in luogo del futuro e del congiuntivo. Le deviazioni dalla norma sono, in ogni caso, sempre collegate al contesto della comunicazione. L’uso dell’imperativo, con estensione della forma di seconda persona singolare, è sicuramente connessa all’input ricevuto dall’apprendente in contesto lavorativo o scolastico (“leggi”, “pulisci”, ecc…).

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Il futuro, i cui valori erano stati sinora espressi mediante il presente, appare, in realtà, in modo piuttosto variabile secondo gli apprendenti, poiché alcuni ne fanno un uso sporadico, altri non ne sviluppano alcuna forma. Per questi ultimi, infatti, il sistema verbale si ferma ad una versione “ridotta”, che comprende presente, passato prossimo ed imperfetto; la comparsa del futuro è, infatti, associata ad alcuni contesti particolari, quali l’insegnamento scolastico o un input di varietà alte dell’italiano. L’emergenza del condizionale e del congiuntivo è collocata in una fase molto avanzata dell’apprendimento: essi sono gli ultimi tempi ad essere appresi, anche perché fortemente dipendenti dall’input ricevuto. Infatti, i due tempi in italiano non hanno un uso univoco, ed in particolare il congiuntivo, che “oscilla tra valori modali e la segnalazione della semplice dipendenza sintattica”, può, nell’uso comune, essere sostituito dall’uso dell’indicativo, in relazione a fattori sociali, geografici, o in relazione al verbo reggente.

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Un esempio è l’ordine sintattico con cui gli apprendenti cinesi strutturano in generale le loro frasi; l’ordine assunto in questo caso come basico è S O V, fissato sulle costruzioni sintattiche proprie del cinese e che può sussistere anche in interlingue più avanzate.

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Essendo le prime manifestazioni in L2 costituite unicamente da parole-contenuto, la componente lessicale assume un ruolo fondamentale sin dalle primissime fasi dell’interlingua. Infatti, la prima produzione del parlato spontaneo è costituita da formule fisse, quali le forme di saluto e di negazione, che sono dei “pezzi” di lingua non analizzata, che danno all’apprendente l’unico carico di memorizzarle così come sono. Questo permette un utilizzo precoce di strutture complesse prima di capirne il funzionamento, dando, così, il massimo rendimento comunicativo. D’altro canto, l’utilizzo di formule fisse, per quanto agevoli la comunicazione, falsa, in qualche modo, lo sviluppo del lessico, poiché le parole che compongono tali formule non sono ancora, in queste prime fasi, riutilizzate in altre combinazioni. Come è stato detto, le formule fisse non sono analizzate, e l’uso frequente che n’è fatto dall’apprendente lo porta a non saper ancora assegnare le parole ad una classe morfologica determinata; pertanto, una forma, tra quelle presenti nell’input, è scelta come basica, a seconda della frequenza con cui essa ricorre nell’input stesso, della sua facilità articolatoria, della sua lunghezza e della sua tipicità. Ad esempio, nella morfologia verbale dell’italiano, la forma scelta come basica è, di solito, la a della prima coniugazione, perché risponde ai criteri di ricorrenza, facilità e lunghezza, anche se essa non risponde al criterio della tipicità verbale, perché può essere presente anche in aggettivi e sostantivi.

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Queste costanti sono: • La presenza di strutture analitiche/perifrastiche (es. “cose per

amici” per “regali”; “una cosa male” per “malattia”; “cosa che ha fatto riso” per “dolce di riso”), utilizzate anche per evitare la selezione degli elementi lessicali;

• L’aggiunta di morfemi (es. “scambiare” per “cambiare”, “disillusionato” per “disilluso”);

• La sovraestensione di morfemi derivativi (“rauchezza” per “raucedine”);

• Le semplificazioni morfematiche (“ruba” per “rapina”); • I fenomeni di aplologia (“mprare” per “imparare”, “blisimo” per

“bellissimo”). Alcune di queste costanti sono chiaramente influenzate dall’input colloquiale, dal momento che si trovano nell’italiano popolare

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Queste scelte vanno incontro alle modalità universali di acquisizione della temporalità che tendono a preferire nelle prime fasi dell’interlingua i mezzi pragmatici ai mezzi grammaticali, visto che i primi ricordano la stretta dipendenza dal contesto e l’ordine cronologico appreso in modo precoce.

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Ricordiamo qui l’ipotesi di insegnabilità di Pienemann (1984) secondo cui esiste un ordine di acquisizione naturale degli aspetti grammaticali di una lingua che l’insegnamento istituzionale non può modificare e stravolgere.

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Probabilmente, ricorrendo a materiali autentici si dovranno alterare i dati per rendere i tratti prescelti più frequenti e salienti nell’input stesso. Così l’attenzione degli apprendenti si porterà su quei tratti analizzandoli per poi procedere al loro apprendimento.

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Questa attenzione potrà essere più o meno esplicita: si potranno proporre più volte i tratti prescelti in testi anche realizzati ad hoc, oppure orientare l’attenzione con richiami espliciti all’analisi dell’input. Si ricorda che l’input sarà più efficace quanto più sarà autentico, cioè parte di una lingua vera, non artificiale per quanto manipolata dall’insegnante.

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Tra i vari fattori coinvolti nell’apprendimento di una L2 si possono individuare: le caratteristiche individuali; la situazione linguistica (lingua/lingue parlate quotidianamente; altre lingue straniere conosciute); tipo di input linguistico ricevuto; livello di scolarità, intesa come riserva di saperi e conoscenze già acquisite; situazione familiare e progetto migratorio; contesto di inserimento sociale. A livello individuale agiscono la motivazione ad apprendere la nuova lingua, il grado di ansia, il disagio vissuto dal bambino nel processo di adattamento, i disturbi nella costruzione della nuova identità.

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cfr modulo 5, par. 3.3.1, “L’area balcanica”

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L’albanese ha due dialetti principali, il tosco, la lingua nazionale standard dal 1970, insegnata nelle scuole, e il ghego, utilizzato nella comunicazione quotidiana. Tra di loro differiscono per fonetica e nella struttura morfosintattica, anche se i parlanti delle diverse zone riescono a comprendersi ugualmente attraverso la lingua tosca, ormai patrimonio comune. La separazione tra le due aree dialettali è il fiume Shkumbini, che attraversa il centro dell’Albania. Al di sopra del fiume e nelle zone del Kosovo, del Montenegro e della Macedonia nord occidentale si parla il ghego; al di sotto del fiume, cioè nell’Albania meridionale e sud occidentale, si parla il tosco.

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cfr. modulo 5, par. 3 “La tipologia areale”

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Il macedone è stato riconosciuto lingua letteraria solo nel 1944, quando cioè la Macedonia si unì alla Federazione Jugoslava come popolo indipendente con una propria lingua ufficiale. Oggi viene utilizzata quotidianamente nella pubblica amministrazione e insegnata nelle scuole e in alcune università straniere. È parlata sul territorio macedone dal 70% della popolazione, seguita da albanese e turco

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La trascrizione dei caratteri cirillici nei caratteri dell’alfabeto latino segue, nel caso del russo, tre tipologie di traslitterazione che utilizzano rispettivamente il sistema fonologico inglese, francese e il sistema fonologico internazionale. Quest’ultimo, chiamato scientifico, è quello utilizzato in Italia dalle case editrici. La questione rimane comunque irrisolta perché molto complessa

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Possibili interferenze fonetico-grafiche tra italiano e albanese La lettera c si legge come la z di stazione (z sorda) La lettera ç si legge come la c di cena (c palatale) La lettera g si legge come la g di gatto (g gutturale) La lettera j si legge come la i di ieri (semivocalica) La lettera h è aspirata La lettera k si legge come la c di casa (gutturale) La lettera ll si legge come l’inglese will La lettera nj si legge come il digramma gn di agnello (palatale) La lettera q si legge con un suono intermedio tra ci e chi La lettera r si legge come la r dolce La lettera rr si legge come rosa La lettera sh si legge come la sc di sciarpa La lettera x si legge come la z di zaino (sonora) La lettera xh si legge come la g di giallo (palatale) La lettera z si legge come la s di isola (sonora)

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I tempi del macedone sono: presente, passato aoristo, passato imperfetto, perfetto, piuccheperfetto, futuro, futuro anteriore, futuro riportato. L’aoristo e l’imperfetto condividono il cosiddetto significato “garantito”, cioè sono usati quando il parlante è convinto della veridicità di ciò che afferma e può perciò garantirla. I tempi del perfetto e del futuro sono composti; in particolare il perfetto è utilizzato per descrivere eventi riportati di cui i parlante non è stato testimone, quindi con un certo margine di dubbio ed incertezza.

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È proprio la lingua scritta, basata su caratteri, a non aver subito mutamenti nel corso della sua storia; i caratteri, infatti, possono essere codificati a prescindere dalla componente fonologica, il che potrebbe aiutare laddove la comunicazione orale fallisce per mancanza di comprensione.

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Nella scuola vengono insegnati gli otto tratti fondamentali della scrittura, che varia, così, a seconda dei contesti, dal tipo squadrato e semplificato che si trova nei giornali e nei libri, a quello che segue uno sviluppo personale, paragonabile al nostro corsivo, a quello usato a Taiwan che non è semplificato e non viene usato in Cina. La scrittura per tanto occupa un posto molto importante nella scuola e il suo apprendimento richiede molta memoria e costanza; infatti vengono presentate al bambino delle flashcards in cui l’immagine è abbinata al significato, e talvolta al corrispondente significato inglese.

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Il pinyin è la trascrizione ufficiale dei caratteri cinesi in 26 lettere latine. La trascrizione dà informazioni sulla pronuncia e sul tono del carattere. I bambini imparano a scrivere il pinyin nei primi anni di scuola, prima della scrittura dei caratteri, in modo che possano condividere la pronuncia dei suoni con bambini provenienti da altre zone e con altri dialetti. Questa trascrizione però non coincide con l’alfabeto italiano; ad esempio, ch si legge c, c si legge z, h davanti vocale è sempre aspirata.

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cfr. modulo 5, par. 1.4.1. “Il tipo isolante”

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Dati raccolti da M. G. Sica, tesi di laurea in Didattica delle Lingue Straniere, Università della Calabria, 2002.

8.6.2.1.

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Essa ha una storia molto antica, visto che le sue radici si possono far risalire al periodo precedente alla Cristianizzazione (988) con la fusione tra dialetti locali orali e il macedone, lingua dell’evangelizzazione; ma fu solo nel 1708 che l’introduzione dei “caratteri civili” nell’alfabeto permise lo sviluppo scritto letterario in lingua russa

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Il lessico si basa su radici che si individuano all’interno di una parola e da cui si creano “per incastro” termini con diversi significati. Ad esempio, dalla radice ktb, che fa riferimento all’idea di scrittura si costruiscono altri vocaboli come kitâb (libro); kâtib (scrittore); miktab (macchina da scrivere); maktaba (biblioteca). Con questa radice, per estensione, si creano diversi termini grazie all’aggiunta di prefissi coma mi- e ma- che indicano idee precise (mi- indica un utensile; ma- indica un luogo).

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Le categorie sono: genere, animatezza, numero, caso, aspetto, modo, tempo. Il genere, il numero e il caso riguardano i sostantivi, i pronomi, gli aggettivi e i verbi; l’animatezza solo i sostantivi, che possono essere animati o inanimati; l’aspetto, il modo e il tempo solo i verbi.

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I gruppi dei pronomi sono: personali, riflessivi, possessivi, dimostrativi, determinativi, interrogativi, relativi, negativi, indefiniti.

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I casi della declinazione del nome del romanè sono: nominativo, accusativo, genitivo, dativo, strumentale, ablativo, locativo, vocativo.

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Il perfetto esprime un’azione passata e corrisponde sia al passato prossimo che al passato remoto

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Il predicato delle forme impersonali è di solito un verbo alla terza persona singolare oppure un avverbio predicativo. L’agente (sostantivo o pronome) va al dativo.

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La copula non viene mai espressa, rimane sottintesa perché superflua. Nello stesso modo non si usano le costruzioni “c’è/ci sono”, le espressioni tipo “che ora è?” (che diventa “quante ore?”), i dimostrativi (“questo è…”).

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L’impostazione dell’unità didattica dovrebbe tener presente il livello linguistico in cui si trova l’apprendente straniero. Di solito si individuano tre livelli, consecutivi tra loro. Proponiamo di seguito delle attività che riguardano le abilità cognitive coinvolte nell’apprendimento della L2, divise secondo i livelli di conoscenza della stessa L2, con delle schede relative a degli esercizi che possono servire da spunto per crearne degli altri. Alcune di queste attività possono essere pensate anche per materie diverse dall’insegnamento dell’italiano.

LIVELLO I

OBIETTIVI TIPOLOGIA ATTIVITA’ - ASCOLTO

Comprendere parole Flashcards; tombole sonore; bingo numerici o figurati

Comprendere parole e frasi con riferimento ad oggetti

- PARLATO Nominare oggetti Indovina cos’è

Formulare domande Conversazioni con la classe e le maestre

Utilizzare formule di saluto e ringraziamento Parlare in breve di sé

- LETTURA Abbinare parole e immagini Abbinare frasi di un racconto ai disegni Rispondere SI/NO a brevi frasi - SCRITTURA Copiare parole Trovare parole nascoste Scrivere sotto dettatura dettato di parole o frasi minime Completare frasi incomplete

LIVELLO II OBIETTIVI TIPOLOGIA ATTIVITA’

- ASCOLTO Comprendere il significato di un discorso conversazioni libere Comprendere brevi registrazioni di favole

- PARLATO Drammatizzare in microsituazioni giochi simbolici Descrivere sé o un compagno Indovina chi?, MB Giochi Raccontare una storia con l’aiuto di immagini Le Carte Storie, N. Milano

- LETTURA Ricomporre frasi Ricomporre frasi e abbinarle ad immagini Leggere e rispondere VERO/FALSO

- SCRITTURA Scrivere didascalie Completare dialoghi Compilare un modulo o una cartolina

LIVELLO III OBIETTIVI TIPOLOGIA ATTIVITA’

- ASCOLTO Comprendere istruzioni ricette di cucina Comprendere le regole di un gioco giochi vari Riconoscere gli eventi di una storia letta dall’insegnante

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- PARLATO Riassunto orale raccontare una storia ascoltata Produzione orale guidata inventare un racconto a partire da pochi elementi Esprimersi su argomenti vari spiegare le regole di un gioco

- LETTURA

Leggere un testo e rispondere a domande aperte Cambiare il finale di una storia Individuare le parole chiave di un racconto Rimettere in ordine le frasi di una storia

- SCRITTURA Leggere una storia e dare il titolo Concludere un racconto Cercare le frasi chiave

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Le strategie di apprendimento si dividono in metacognitive (verifica della propria capacità di comprensione; organizzare un testo scritto; autovalutarsi); cognitive ( usare dizionari; prendere appunti; sottolineare o evidenziare parole chiave e concetti; fare confronti); socioaffettive (richiedere spiegazioni; lavorare in gruppo; gestire le proprie emozioni; auto-valorizzarsi).

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Le cinque nozioni generali sono tempo (storia familiare e personale; cronologia di fatti presenti, passati e futuri; ricordi; progetti; abitudini); spazio (viaggi; direzione; luogo familiare; rappresentazione grafica di un luogo, paesi e continenti; confini); qualità (descrizioni; confronti; caratteristiche); logica (cause; numerazione; operazioni matematiche; classificazioni; verifica; ipotesi; possibilità/non possibilità; previsioni); relazioni interpersonali (personaggi reali e immaginari; relazioni tra i personaggi; trama; sensazioni; aiuto; fantasia e sogno; aspettative). Come si può notare abbracciano tutti i campi del sapere scolastico; quindi potrebbero essere gestite in modo interdisciplinare, cioè in modo che i vari insegnamenti le relazionino le une alle altre.

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Una lezione tipo, di due ore circa, dovrebbe prevedere: - un momento iniziale, nel quale si apprendono le routine scolastiche o

quotidiane attraverso il “fare” con la lingua, cioè attraverso la partecipazione e l’interazione con il gruppo

- un secondo momento in cui si esercita la lettura/scrittura a partire da situazioni personali con l’utilizzo di materiali di diversa natura (foto, disegni, racconti) dando importanza alla produzione orale e a brevi messaggi scritti, quali didascalie, vignette, etc..

- una fase di fissazione delle regole con esercizi di completamento, scelta multipla, etc…

- un momento finale di verifica che può essere organizzato sulla base di attività ludico-operative.

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I temi che di solito vengono presentati nella prima fase di apprendimento sono i seguenti: l’identità personale; la scuola e i suoi oggetti; la famiglia; la casa; l’abbigliamento; i giochi; il corpo; il tempo e il calendario; il cibo; il quartiere; i mezzi di trasporto; gli animali; i divertimenti e il tempo libero.

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Le funzioni che ci si propone di sviluppare nella fase iniziale hanno a che fare con la necessità di agire con la L2 e, quindi, sono funzioni di base per la comunicazione interpersonale. Esse sono: presentarsi; chiedere agli altri il nome e l’età; salutare; richiamare l’attenzione; capire ed eseguire le funzioni della scuola; chiedere qualcosa e ringraziare; invitare e rispondere ad un invito; denominare oggetti o persone; indicare possesso; esprimere stati e bisogni, gusti e preferenze; inserirsi in una conversazione; collocare azioni nel tempo; riferire fatti.

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Ogni tema potrebbe essere presentato secondo uno sviluppo modulare, che può prevedere: la presentazione del lessico e delle strutture del tema proposto; esercizi di riconoscimento, completamento, trasformazione; una prima produzione orale con riutilizzo del lessico e delle strutture presentate; uso della scrittura per scrivere elenchi, didascalie, cartelloni.

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Per favorire la motivazione in attività didattiche pensate per bambini bisogna far leva sulla curiosità, rendendo presente il mondo straniero in aula con foto, cartelloni, realia, per favorire anche il confronto tra le diversità e le somiglianze. Inoltre è importante stimolare il piacere del gioco, ponendo sfide, gare esplicitando, però, lo scopo del divertimento delle stesse.

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Per facilitare la comprensione dei messaggi orali è necessario controllare e prestare particolare attenzione alla lingua con cui ci si rivolge agli allievi, specialmente stranieri, con le seguenti attenzioni:

- integrare i vari tipi di linguaggi non verbali (gesti, espressioni) per facilitare la comprensione dl discorso e stimolare i diversi canali sensoriali;

- i messaggi linguistici vanno inseriti in contesti autentici e significativi, facili da collegare con la realtà circostante

- è preferibile scegliere strutture sintattiche semplici e regolari, ma non forzatamente semplificate da rendere la lingua innaturale

- il lessico va scelto in funzione alla concretezza dei referenti evitando il linguaggio astratto e decontestualizzato.

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I materiali bilingui sono uno strumento davvero utile nella didattica della L2. Ne esistono di diverso genere: schede illustrate bilingui che presentano il lessico ad alta frequenza relativo a diversi domini (scuola, famiglia, cibo) per fornire allo straniero un vocabolario basilare per le prime fasi di contatto con la L2; vocabolari illustrati e cd-rom bilingui; liste di parole ed espressioni utili come “pronto soccorso linguistico” per gestire il contatto iniziale, ad uso anche dell’insegnante. Essi possono fornire un ancoraggio basato su poche parole della nuova lingua e sull’idea che la propria L1 sia valorizzata anche nel paese di immigrazione, avendo un posto accanto alla L2. Materiali di questo genere sono utili anche per i bambini autoctoni per imparare a gestire le diversità linguistiche e imparare nuove parole.

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Film adatti ad una visione in laboratorio potrebbero essere “Arrivederci ragazzi” di Louis Malle, 1987; “Central do Brasil” di Walter Salles, 1998; “Kundun” di Martin Scorsese, 1997; “Salaam Bombay!” di Mira Nair, 1988; “Il piccolo Buddha” di Bernardo Bertolucci, 1993; “Il pianeta delle scimmie”di Tim Burton, 2001; “Train de vie” di Radu Mihaileanu, 1998; “Balla coi lupi” di Kevin Costner, 1990; “Lamerica” di Gianni Amelio, 1994; “Così ridevano” di Gianni Amelio, 1998; “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci, 1987.

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Bisogna seguire alcuni criteri per semplificare un testo, cioè ordinare le informazioni in senso logico e cronologico; le frasi devono essere brevi e i testi non devono superare le 100 parole; si presta molta attenzione al lessico, utilizzando un vocabolario di base e fornendo la spiegazione delle parole nuove; si preferiscono frasi con ordine SVO (soggetto, verbo, oggetto); i verbi si usano nei modi finiti e nella forma attiva; non si usano forme impersonali; si usano immagini come aiuto alla comprensione; si sottolineano i termini specifici e le parole chiave.

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Esempi di brevi letture semplificate. Lettura n. 1 Fata Primavera Quando il sole comincia a sciogliere le nevi, Fata Primavere si sveglia, indossa la sua veste azzurro-cielo, pettina i suoi lunghi capelli biondi e corre fuori sui prati. Salta leggera sull’erba, quasi volando, e al suo passaggio sbocciano mille fiori colorati. Gli animaletti, destati dal loro lungo sonno invernale, le corrono intorno allegri gridando: “Bentornata! Bentornata Fata Primavera!”. Parole difficili: Fata: personaggio femminile delle fiabe bello gentile dotato di poteri magici. Veste: vestito, abito Sbocciano: si aprono, distendono i petali Destati: svegliati Lettura n. 2 Un albero vecchio C’era una volta un albero vecchio che a stento, quando veniva la primavera, rimetteva le foglie rade sui neri rami; non dava più fiori né frutti. Un giorno un picchio verde si posò su quell’albero per cercare le formiche; e nel vederlo così storto e spoglio, ne ebbe compassione. “poveretto” disse “come sei ridotto male! La tua vita deve essere molto triste adesso!” “No” rispose il vecchio albero “perché di qui vedo molti giovani alberi fiorire”. Parole difficili: A stento: con fatica Rade: poche, sparse Picchio: uccello che scava oil nido nel tronco degli alberi con il becco Spoglio: senza foglie né frutti Ebbe: passato remoto del verbo avere Compassione: pietà, sentimento di vicinanza agli altri che soffrono

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Una lettura facilitata segue tre momenti: un’attività di prelettura, in cui si selezionano le parole chiave per il testo, si discutono il tema e le informazioni sul testo che gli studenti già posseggono, si collega la lettura ad esperienze personali; il momento della lettura, in cui si ricorre a mezzi non verbali quali le immagini per migliorare la comprensione, si usa il tono di voce in modo espressivo, si segnalano le relazioni tra le diverse parti del testo; un’attività di modifica del testo, con criteri di semplificazione dal punto di vista grafico (caratteri medi; immagini; evidenziatore), morfosintattico e lessicale. La stessa procedura può servire per le attività di ascolto, con una fase che prepari lo studente alla comprensione dell’input (pre-ascolto: distribuzione di liste dei contenuti chiave), una fase successiva che faciliti la comprensione (es. completamento di tabelle), una fase di consolidamento della comprensine (es. questionario, riassunti, redazione di glossari). Inoltre si potrebbe fornire un breve testo che l’allievo deve spiegare in seguito con dei suoi disegni, guidati dai dei brevi comandi: la lettura del testo e dell’immagine richiedono, infatti, un impegno attivo dello studente.

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Si propone di seguito una scheda proponibile anche nell’insegnamento delle scienze: COME SI DICE Il corpo umano (si consiglia di disegnare una figura umana con delle vignette libere ai lati per inserire i nomi delle parti del corpo. Es. mano, piede, testa, e così via. Per meglio memorizzare i nomi delle parti del corpo si possono fare dei cartoncini con i seguenti modi di dire che contengono nomi di parti del corpo umano). La testa: Non sto bene: mi gira la testa Tu vuoi fare sempre di testa tua! Hai la testa tra le nuvole! La faccia: Preferisco le persone che dicono le cose in faccia, non alle spalle! Lui è un volta faccia! I capelli: Ne ho fin sopra i capelli! L’orecchio: Sono tutto orecchi! E’ inutile parlare con lui! Quello che gli dici gli entra da un orecchio

e gli esce dall’altro! Quel ragazzo ha orecchio per la musica L’occhio: Stanotte non ho chiuso occhio! “Occhio per occhio, dente per dente” Il naso: Oggi non h messo il naso fuori casa! Lei mette sempre il naso negli affari degli altri! Luigi ha buon naso per gli affari! La bocca: Acqua in bocca! Lucia non ha aperto la bocca per tutta la serata Il braccio: ti aspetto a braccia aperte! Gli operai oggi hanno incrociato le braccia La mano: Mi dai una mano? È una persona alla mano Mario ha le mani bucate: spende tutti i suoi soldi La gamba: E’ un ragazzo in gamba Il piede: Questo lavoro è fatto con i piedi Luigi ha deciso di lasciare il lavoro su due piedi.

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Proponiamo delle attività per praticare le strutture del periodo ipotetico, i tempi del passato e, più in generale, varie strutture grammaticali, in modo ludico. SE IO FOSSI. Questa è un'attività che permette di esercitarsi nell'uso del periodo ipotetico in modo collaborativo mantenendo allo stesso tempo il sapore del gioco. L'insegnante deve munirsi di foglietti di carta e li consegna agli studenti. Ogni studente avrà un suo foglietto e quando l'insegnante darà il via scriveranno ognuno una frase che inizi con il se + il congiuntivo imperfetto, l'indicativo o futuro, il congiuntivo trapassato a seconda del tipo di periodo ipotetico che l'insegnante intende esercitare. Poi finito di scrivere la frase girano il foglietto e lo passano al compagno alla propria destra che non potrà leggere la frase precedentemente scritta. L'insegnante dà nuovamente l'ordine di scrivere, ma questa volta si tratta di una frase con l'indicativo presente o futuro, condizionale semplice o composto. Alla fine l'insegnante ritira i foglietti e legge alla classe quanto è stato prodotto. Ne escono spesso frasi totalmente assurde e per questo divertenti. Da un punto di vista del controllo è una buona occasione per correggere collettivamente frasi con strutture del periodo ipotetico. Questa stessa tecnica può essere applicata in molti altri casi: il "mestiere" dell'insegnante offre tanti qualificati momenti per dar spazio alla fantasia e alla creatività.

LE MIE VACANZE.

MATERIALI: portate delle cartoline considerando che ogni coppia di studenti dovrà avere due cartoline della stessa località. (Es. una coppia due cartoline di Roma; un'altra due di Londra, un'altra ancora due di una località balneare, ecc.). Se possibile, cercate anche altro materiale sulle stesse località (Es. brevi guide turistiche; dépliant informativi, ecc.)

PROCEDURA: 1 Dividete gli studenti a coppie. 2 Distribuite a ciascuna coppia due cartoline e, possibilmente, altro materiale informativo, di una stessa località. 3 Ciascuna coppia di studenti deve immaginare di aver fatto una vacanza insieme nel posto rappresentato sulle cartoline. Deve quindi fingere di ricordare, inventando, come ha passato queste vacanze, come erano organizzate le giornate, le escursioni fatte, ecc. 4 Sciogliete le coppie originali e formate nuove coppie, all'interno delle quali ciascuno deve descrivere al compagno le sue vacanze, mostrando le cartoline e l'eventuale altro materiale, così come le ha "ricordate" con il compagno della coppia precedente. 5 Girate per la classe, soffermandovi ad ascoltare per un po' ciascuna coppia per correggere eventuali errori.

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ASTA

MATERIALI: due fogli di carta e una penna.

PROCEDURA: l'insegnante a casa prepara un foglio con una decina di frasi non molto lunghe (la difficoltà, certo, varia a seconda del livello degli alunni). Il numero delle frasi varia a seconda del tempo a disposizione. Circa dieci dovrebbero andare bene per un'oretta di lezione. Bisogna, però, annunciare il numero delle frasi agli studenti all'inizio del gioco. Alcune frasi avranno un piccolo errore (articolo errato, genere o numero errato, verbo mal coniugato, ecc.) e altre corrette. Ogni studente o ogni gruppo di studenti (se ci sono più di tre, quattro studenti è preferibile dividerli in gruppi e nominare un portavoce per gruppo) ha a disposizione una certa quantità di denaro, ma non molto alta per evitare confusioni e agevolare i calcoli (300 euro dovrebbero andare bene). Per lo stesso motivo non è possibile usare i centesimi. Quindi sul secondo foglio si scrivono i nomi dei portavoce e la somma di denaro virtuale di cui attualmente dispongono. L'insegnante passa alla lettura lenta della prima frase e si deve accertare che gli studenti la scrivano correttamente (quindi, contemporaneamente gli studenti possono esercitarsi anche un po' con il dettato, con l'ascolto quindi). Gli studenti che pensano che quella frase sia corretta, dovranno cercare di acquistare la frase che verrà venduta al miglior offerente (un solo studente o un solo gruppo) proprio come in un'asta. Se la frase è effettivamente corretta (prima di annunciare il risultato bisogna chiedere agli studenti che non l'hanno acquistata quale secondo loro è l'errore), lo studente guadagna la somma di denaro scommessa. Per esempio, se era arrivato a pagare la frase 100 euro, la sua somma di denaro complessiva diventa di 300 euro. Se la frase acquistata si rivela errata, gli studenti perdono la somma usata per acquistarla quindi, nel caso dei 100 euro, arriverebbero a 200 euro. Chi durante il gioco arriva a 0 viene eliminato. Vince chi alla fine delle frasi ha la somma di denaro più elevata. Chi non acquista né perde né accumula denaro. In questo gioco vengono stimolate la conoscenza e la riflessione grammaticale (in maniera divertente), l'ascolto e il calcolo (deve scommettere in modo da cercare di guadagnare più degli altri e deve stare attento a non arrivare a zero).

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Si tratta di esercizi che possono benissimo essere adattati alle diverse materie di studio. Ad esempio la proposta di lavoro 1 può essere abbinata allo studio delle tabelline; la proposta 3 allo studio di avvenimenti storici particolari; la proposta 6 allo studio della storia e dei suoi personaggi.

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1. GUARDA QUESTE PAROLE:

2. DIVIDI LE PAROLE IN DUE LISTE, A E B, IN BASE A COME SONO “FATTE” ( NON IMPORTA IL SIGNIFICATO ).

Lista A GATTA, VISO … Lista B NONNINO, STELLINA …

3. QUALE LISTA DI PAROLE È PIÙ LUNGA? LA LISTA ______ È PIÙ CORTA

4. DIVIDI LE PAROLE IN DUE LISTE, A E B, METTENDO SULLA STESSA RIGA LE PAROLE SIMILI.

Lista A MAMMA GATTO Lista B MAMMINA GATTINO

5. LE PAROLE DELLA LISTA B SONO PIÙ LUNGHE (HANNO UNA “CODA”). QUAL È? SCRIVILA QUI SOTTO. QUESTA “CODA” SI CHIAMA “SUFFISSO”.

Osserva:

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NONNO/ NONNINO GATTO/ GATTINO BAMBOLA/ BAMBOLINA STELLA/ STELLINA QUANDO LE PAROLE A SINISTRA VANNO A DESTRA PERDONO UNA LETTERA.

N O N N O / N O N N ( O ) I N O LA LETTERA PERDUTA È “O ” G A T T O LA LETTERA PERDUTA È “… ” B A M B O L A LA LETTERA PERDUTA È “… ” S T E L L A LA LETTERA PERDUTA È “… ” 6. PERCHÉ QUALCHE VOLTA LA “CODA” È - I N O E ALTRE VOLTE È - I N A ?

7.SCRIVETE QUALCHE “PAROLA DI BASE” CHE CONOSCETE E METTETELE LA “CODA

( = CREATE LA “PAROLA DERIVATA” )

8. PROVATE A METTERE I SUFFISSI ( LA “CODA” ) ALLE PAROLE D E N T E, P I E D E, M A N O …E VEDETE CHE SUCCEDE.

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Lettura analitica Preposizioni articolate

a

1.

Da: W. Peruzzi, G. Bonansea, R. Fossati, M. Naja, O. Trioschi, Popoli nel tempo. Dallpreistoria al XIV secolo. Lineamenti 1, Giunti, Firenze 1999, p. 9.

Della storia sono state date, nei secoli, numerose definizioni. Fra le tante, ti proponiamo quella dello studioso francese Marc Bloch, uno dei fondatori della Scuola delle Annales1. Per Bloch la storia “è la scienza degli uomini nel tempo”. L’attenzione di questo studioso al termine plurale “uomini” ci fa pensare che la storia guarda alle tante vicende umane via via accadute nel corso dei secoli. E per Bloch, ogni individuo, sia uomo che donna, sia che appartenga a una classe sociale povera che a una ricca, sia analfabeta che colto, ha il diritto ad essere nella storia e ad avere una storia. 1 Scuola della Annales: gruppo di storici francesi, attivi nella prima metà del Novecento, che ha preso il nome dalla rivista “Les Annales”, fondata nel 1929 dagli storici Marc Bloch e Lucien Febvre.

Osserva la prima frase del testo: “Della storia sono state date, nei secoli, numerose definizioni”. Le parole della e nei sono combinazioni di preposizione e articolo (si chiamano infatti preposizioni articolate). Scrivi qui sotto quale preposizione e quale articolo le compongono.

= della

= nei

2. Cerca nel testo altri esempi di preposizioni articolate. Scrivile qui sotto e indica ogni volta la preposizione e l’articolo che le compongono.

Preposizioni articolate

Combinazioni

Dello

di + lo

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Ad esempio, nel caso di un apprendente arabo, si potrebbero accoppiare le seguenti parole con tecniche diverse (Memory; Domino; Tombola dei nomi): Duktur = Dottore Laymun = Limone Rizma = Risma Sharif = Sceriffo Musiqa = Musica Bantalun = Pantalone Tilifun = Telefono Mikanikiyy = Meccanico Bayt = Baita Oppure si potrebbe provare a far rintracciare le parole le parole che derivano dall’arabo come alchimia; algebra, azzurro; zucchero; zaffiro; tamarindo e così via.

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Esempio di “fotografia” o scheda didattica: Fiume Mondi a cui appartiene: geografia, luoghi, natura, scienze Definizione: il fiume è una corrente d’acqua che va verso il mare Esempi: In Marocco ci sono dei fiumi A Torino ci sono due grandi fiumi: il Po e la Doria Riparia In Romania vado sempre la fiume. Mi fa venire in mente: acqua, bagno, nuotare, pescare, pesci, giocare Come può essere: profondo, grande, piccolo, lungo, stretto. Che cosa può fare: distruggere, danneggiare quando è in piena; aiutare nella coltivazione attraverso l’irrigazione. Modi di dire: Fiumi di parole. (materiali per la didattica, lezioni per il corso di Formazione IT L2 a cura di Franca Bosc)

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L’insegnante della materia non linguistica può incorporare degli aiuti nelle attività normali di produzione scritta e orale quali:

- indicare l’ordine di presentazione dei contenuti per la descrizione di un’attività

- fornire, per ogni paragrafo, una frase o espressione iniziale di apertura - il lavoro viene affrontato prevalentemente in gruppo - dare tracce del lavoro - fornire testi da completare - preparare gli studenti a creare mappe concettuali, che colleghino e

associno i concetti tra loro oppure tabelle contrastive (sinonimi e contrari, vero e falso, pro e contro)

- incoraggiare la correzione e la riscrittura

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CHE MESTIERE FACCIO?

OBIETTIVI: lavorare sul lessico riguardante i mestieri.

MATERIALI: 2 foglietti di carta.

PROCEDURA: Questa è un'attività che permette di esercitare, fissare, ripassare il lessico riguardante i nomi dei mestieri o le professioni. Su due fogli l'insegnante scrive una serie di nomi di mestieri (fiorista, panettiere, medico) scelti tra quelli che gli studenti hanno già incontrato. Divide poi la classe in due squadre e chiede a uno studente per squadra di stare in piedi di fronte alla propria squadra. Gli consegna il foglio e gli chiede di imitare il primo dei mestieri (o professioni) indicati. La squadra deve indovinare di che lavoro si tratta. La stessa cosa sarà fatta, a turno, con l'altra squadra. Tre studenti che non partecipano al gioco formano la giuria. Valutano cioè con quanti tentativi viene indovinato il mestiere e con che grado di correttezza di pronuncia e assegnano i punti con un massimo di 3 punti per ogni mestiere o professione: 3 se il termine viene indovinato al primo tentativo e con pronuncia esatta; 2 entro il secondo tentativo con pronuncia esatta o al primo con pronuncia sbagliata; 1 al terzo tentativo e pronuncia esatta o al secondo con pronuncia sbagliata. Vince chi indovina i termini guadagnando più punti. L'insegnante è l'arbitro della gara.

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Indagine: Per venire a scuola uso…. Per andare a scuola usavo…. Per andare al museo ho usato….. Per andare dagli amidi uso……. Con quale mezzo di trasporto l’arrivo in Italia? Quali sono i mezzi di trasporto più usato nel tuo paese d’origine? Quali mezzi di trasporto uso in Italia? (da “Benvenuta, Benvenuto” CIDISS, Torino, 1998)

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Attività 1 Quale è la differenza fra ninna nanna, filastrocca, canzone? Parlatene con l’insegnante e cercate di ricordarne qualcuno/a. Prima di cominciare il lavoro sulla canzone l’insegnante dovrebbe cercare di attivare la curiosità degli allievi chiedendo loro se conoscono altre canzoni di De Gregori o di altri cantanti sia italiani che stranieri, invitandoli a dire titoli, a intonare qualche motivo, recuperando così le conoscenze della classe relativamente alla canzone e il lessico specifico. Successivamente, sempre con l’intento di sostenere la motivazione del gruppo, si chiederà agli allievi di lavorare in piccoli gruppi e di riflettere sulla specificità di generi che in alcuni casi possono avere molti aspetti in comune come per esempio la ninna nanna e la filastrocca. Alla fine, una breve discussione con l’intera classe concluderà l’attività. Attività 2 Lavorate a coppie o in piccoli gruppi e, con l’aiuto dell’insegnante, dite che cosa rappresenta ogni immagine. L’attività serve per introdurre alcune parole chiave presenti nella canzone di De Gregari “Buonanotte fiorellino”) Attività 3 Inventate una storia usando le parole dell’attività 2 e poi raccontatela al resto della classe. Questa attività ha lo scopo di indirizzare l’attenzione degli allievi sul tema della canzone attraverso la narrazione di storie che poi saranno confrontate fra loro e con la canzone stessa (cfr. Attività 6). Attività 4 Ora ascoltate la canzone e riordinate le striscioline di carta che vi ha dato l’insegnante con scritto sopra il testo. Alla fine dell’ascolto numeratele. L’insegnante deve fare tante fotocopie della canzone quanti sono gli studenti, poi ritagliare il testo in dodici parti da distribuire a ogni studente. Riascoltate la canzone e poi indicate con una X se le frasi sono vere o false. Prima di far riascoltare la canzone per la seconda volta, verificare che il contenuto linguistico delle frasi sia chiaro a tutti.

1. Buonanotte fiorellino ricorda una ninna nanna. 2. La canzone è allegra e vivace. 3. De Gregori dedica la canzone alla donna che ama. 4. È estate e fa caldo. 5. L’uomo e la donna sono insieme nello stesso posto. 6. L’uomo soffre perché non ama la brutta stagione. Leggete il testo nella canzone e sottolineate con due colori diversi i nomi che si riferiscono ai seguenti campi semantici: mondo vegetale (piante, fiori, ecc.), tempo atmosferico (vento, ecc.). La attività serve per sviluppare il lessico attraverso l’esplorazione di campi semantici. Mondo vegetale: granturco, fiorellino, foglie. Tempo atmosferico: sole, pioggia, vento, fiocchi di neve. Lavorate a coppie e individuate nella canzone i nomi alterati con valore diminutivo e trascriveteli qui di seguito.

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Attività 5 Cercate nel testo e trascrivete i contrari di:

• falso vero • valido scaduto • acerbo maturo • caldissimo gelato • allegria tristezza • in compagnia solo

Attività 6 Rileggete con attenzione la canzone indicate con una X il sentimento o i sentimenti che presenti in ognuna delle tre strofe fra quelli elencati qui di seguito. Alla fine confrontate le vostre risposte con quelle dei compagni. Risposte libere.

Sentimento

Strofa 1

Strofa 2

Strofa 3

riconoscenza assenza malinconia gioia affetto dispiacere distanza tristezza serenità solitudine inadeguatezza

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Con questo termine si intende una grande varietà da fare in classe: recite, dialoghi, libera espressione e conversazione su problemi reali o fittizi. Il role-play richiede agli alunni di calarsi in un ruolo oppure di interpretare se stessi in contesti particolari ma sempre con la maggiore autonomia e creatività possibile, per essere più naturali possibili. Si fornisce agli allievi un elenco definito di atti linguistici per cui le battute sono quasi obbligate, oppure si possono fornire indicazioni più generiche (es. spazio, tempo, luogo, scena) che costituiscono una specie di canovaccio per gli interlocutori. Ad esempio, si divide la classe in coppie, si distribuisce ad ogni coppia un foglietto che illustra chiaramente la situazione simulata e si assegnano i ruoli. Ognuno dei due attori riceve l’elenco dagli atti linguistici da produrre e le coppie recitano a turno davanti alla classe che deve indovinare dove si svolge la scena o il ruolo interpretato. Ad esempio: Barista: Prego, signori. Tu: Un _______________, per favore. L'amico: Un __________ di __________, per favore. Barista: Qualcosa da mangiare? L'amico: No, grazie, però ho una domanda. C'è l'accesso all'Internet qui? Barista: Sì, signore. Abbiamo __________ postazioni collegate ad Internet. Tu: Si può usare Netscape? Barista: Sì, c'è la possibilità di usare Netscape, __________ ed anche __________. L'amico: Ci sono postazioni ai giochi di Realtà Virtuale? Barista: Sì, c'è _____ postazione con _________ __________. Tu: Possiamo chiacchierare on line? Barista: Sì signore, abbiamo 96 ________________ _______________. L'amico: Grazie, cameriere. Barista: __________. Ritorno subito.

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Proponiamo di seguito alcune attività ludiche utili nell’insegnamento della matematica. NUMERI E IMITATORI CONTENUTI LINGUISTICI numeri da 1 a 20, Sai fare così? MATERIALI un dado, una pallina DESCRIZIONE Si spostano i banchi, i bambini si siedono in cerchio al centro dell’aula. L’insegnante lancia il dado. Poi lancia la pallina a un bambino. Il bambino comincia a contare, il bambino seduto alla sua sinistra prosegue e così via. Ogni volta che si arriva al numero segnato dal dado o a un suo multiplo il bambino si alza e, invece di dire il numero, si rivolge al bambino alla sua sinistra, fa una cosa strana, buffa o difficile (una smorfia, un movimento di ginnastica ecc.) e gli dice «Sai fare così?». L’altro bambino deve provare a farla. Gli altri bambini assegnano un punteggio all’imitazione, 10, 15 o 20 (in caso si procede per alzata di mano, in caso di parità decide l’insegnante). Ogni volta che un bambino sbaglia il numero, ricomincia a contare da 1. Quando si arriva a 20, l’insegnante rilancia il dado e il gioco si ripete. Alla fine si contano i punteggi raccolti dai vari “imitatori” e si elegge il migliore. RITMI CONTENUTI LINGUISTICI numeri da 1 a 20 DESCRIZIONE Si spostano i banchi per creare una spazio libero al centro dell’aula. I bambini sono divisi in due squadre. L’insegnante spiega che ogni bambino di ciascuna squadra è un musicista e deve inventare un ritmo battendo le mani. Fa lui stesso una dimostrazione, battendo le mani secondo un certo ritmo e dando un certo numero di colpi. Poi chede ai bambini se sanno dire quanti colpi ha battuto. Quasi sicuramente i bambini non sapranno rispondere esattamente (l’insegnante allora dice il numero). A questo punto dice ai bambini che hanno cinque minuti di tempo per pensare a un ritmo (ogni bambino ne trova uno). Ogni bambino si sposta in un punto dell’aula a provare. Quando tutti hanno pensato e provato un po’ il ritmo, lo scrivono su un foglio (dovranno ricordarlo bene), per es. così:

| ||| ||| || || | | ||| Sotto scrivono il numero dei colpi, simboleggiati dalle aste: in questo caso 16. Il numero massimo è venti. Quando tutti i bambini sono pronti, l’insegnante sistema così le due squadre su due file opposte a qualche metro di distanza. Ogni bambino della squadra A ha di fronte a sé un bambino della squadra B. Il gioco comincia. Il primo bambino batte il suo ritmo una volta. La squadra avversaria prova a dire il numero esatto dei colpi battuti. È possibile una sola risposta. La squadra può consultarsi rapidamente, ma la risposta deve essere data dal bambino che sta di fronte a quello che ha suonato il ritmo. Se la squadra dà il numero giusto (nei due sensi: se i colpi sono 16 è “sedici” e non “quindici” o “diciassei”) al primo tentativo guadagna tre punti, se lo dà al secondo tentativo due punti, se al terzo tentativo un punto. Sono possibili solo tre tentativi. Dopo ogni tentativo fallito il musicista ripete una volta il suo ritmo. Si va avanti finché tutti i bambini hanno suonato il loro ritmo. Vince la squadra che raccoglie più punti.

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DISPARI “A ZOPPINO” CONTENUTI LINGUISTICI numeri da 1 a 12 MATERIALI due dadi DESCRIZIONE Si formano due gruppi, su due file opposte almeno a cinque metri di distanza. Il primo bambino del gruppo A lancia il dado. Se esce un numero dispari grida “dispari”. Tutti i bambini del gruppo B si mettono su una gamba sola. Poi dice il numero, per es. “nove”. Allora il primo bambino del gruppo B va verso di lui, saltellando su una gamba sola e contando ad alta voce a ogni saltello fino a nove. I suoi compagni lo seguono, saltellandogli a fianco senza dire niente. Se invece esce un numero pari, il bambino della squadra A grida “pari”, dice il numero, per es. “otto”, e si procede come sopra, solo che i saltelli si fanno a pie’ pari. Se il bambino del gruppo B sbaglia un numero o fa meno/più saltelli rispetto al numero indicato dal dado deve fermarsi, tornare indietro con tutti i suoi compagni, e si riparte dal compagno accanto. Lo stesso se un compagno si ferma prima o dopo, facendo troppi saltelli o troppo pochi. Se il bambino del gruppo A, dopo aver gridato “pari”/“dispari” sbaglia il numero, deve passare i dadi al gruppo B perdendo il turno. Il gioco prosegue passando al primo bambino del gruppo B e ripetendo la stessa procedura, poi al secondo bambino del gruppo A e così via. CALENDARIO CONTENUTI LINGUISTICI numeri da 1 a 30, Che giorno è domani?; Domani è il _ MATERIALI cinque dadi DESCRIZIONE Si fa spazio in mezzo all’aula e si dividono i bambini in due squadre. Ogni squadra nomina un caposquadra. I due capisquadra chiamano ciascuno un giocatore della squadra avversaria. Li fanno sedere, per terra, davanti a loro a un metro di distanza. Gli altri bambini, per ora spettatori, si assiepano intorno al campo di gioco, quelli di una squadra e destra, quelli dell’altra squadra a sinistra. Il caposquadra A lancia i cinque dadi e chiede ai due giocatori “Che giorno è domani?”. I due giocatori guardano i dadi e devono dire più alla svelta possibile “Domani è il _”. Chi dà la risposta giusta per primo guadagna un punto. L’avversario perde un punto. Se chi dà la risposta per primo la dà sbagliata perde un punto e l’avversario può provare a dare la risposta giusta: in questo caso, recupera il punto perso. Il caposquadra B ripete il lancio dei dadi e la domanda, sempre agli stessi due giocatori. Si prosegue con i capisquadra che chiamano un’altra coppia di giocatori. Dopo che la terza coppia di giocatori ha risposto, si cambiano i capisquadra, per dare modo anche a loro di giocare. Vince la squadra che alla fine del gioco ha accumulato più punti. Se ci sono molti bambini si possono creare due campi di gioco. QUANTO COSTA

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CONTENUTI LINGUISTICI numeri (decine, centinaia, migliaia), Quanto costa?, Troppo caro, no grazie; Va bene

MATERIALI immagini di cose che si possono comprare, numeri della tombola, quattro carte da gioco modificate

DESCRIZIONE Il gioco consiste nel chiedere quanto costa una certa cosa e dire il prezzo facendo un rapido calcolo in base a semplici regole. Per prima cosa vanno preparate le immagini e le carte. Per le immagini basta ritagliare da giornali fotografie o disegni di cose da mangiare, di qualsiasi cosa che si può comprare o immaginarsi di comprare, o anche di animali. Incollando le immagini su dei cartoncini si potrà utilizzarle più volte. Le carte si modificano così: ci si attacca sopra col nastro adesivo un rettangolino di carta; sul primo si scrive sopra “UNITÀ”, sul secondo “DECINE”, sul terzo “CENTINAIA”, sul quarto “MIGLIAIA”. Il numero della tombola serve a trovare la prima o le prime due cifre del prezzo. Le carte servono a determinare il prezzo finale. Alcuni esempi possono chiarire il meccanismo. 9 + carta “UNITÀ” = 9 euro 9 + carta “ DECINE” = 90 euro 9 + carta “CENTINAIA”, = 900 euro 9 + carta “MIGLIAIA” = 9000 euro 57 + carta “UNITÀ” = 5,70 euro 57 + carta “DECINE” = 57 euro 57 + carta “CENTINAIA” = 570 euro 57 + carta “MIGLIAIA” = 5700 euro Si dividono i bambini in due gruppi, seduti per terra su due file opposte a breve distanza fra loro. Ogni bambino riceve tre immagini di cose che si possono comprare. Le immagini restano coperte. Il primo bambino del gruppo A pesca un numero e poi una carta. Li mette davanti a sé. Scopre una immagine e la volta verso il bambino-cliente che gli sta di fronte. Alla sua domanda “Quanto costa?” deve dire la cifra seguendo le indicazioni del numero e della carta. Il bambino-cliente deve dire “Troppo caro, no grazie” se il prezzo non gli va bene o “Va bene” se il prezzo gli va bene. Se il bambino-venditore sbaglia a fare il conto o a dire il prezzo, il cliente ha diritto a uno sconto automatico del 50%, a patto che dica correttamente il prezzo scontato. Per es. dirà “285 euro, va bene” se il prezzo di partenza era di 570 euro. Naturalmente questo gioco ha obiettivi puramente linguistici e nessun intento pedagogico- realistico: l’effettivo valore del denaro è semplicemente ignorato. I bambini giudicano una cosa cara o no a loro piacimento (il che non esclude che possano già ragionare e calcolare da adulti).

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