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Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Via Pacis 20I3 n.31 Anno VIII - n. 3 - Luglio-Settembre 2013 - Trimestrale Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi sullaVIAdellaPACE ® EDITORIALE: La relazione liberante ALLEANZA: La visita di Mons. Delgado del Pontificio Consiglio per i Laici IL PAPA INCONTRA I MOVIMENTI

N.31 Sulla via della pace

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Rivista di in-formazione dell'Associazione Via Pacis

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Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Via Pacis 20I3 n.31

Anno VIII - n. 3 - Luglio-Settembre 2013 - TrimestralePoste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi

sullaVIAdellaPACE

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EDITORIALE:La relazione liberante

ALLEANZA:La visita di Mons. Delgado

del Pontificio Consiglio per i Laici

IL PAPA INCONTRAI MOVIMENTI

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L’Associazione Via Pacis è un’Associazione Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica e membro della Fraternità Cattolica delle Associazioni e Comunità Carismatiche di Alleanza di Diritto Pontificio.

Le attività di solidarietà promosse dall’Associazione Via Pacis sono gestite dalla Associazione Via Pacis onlusViale Trento, 100 - 38066 Riva del Garda (TN) - ItalyTel. +39.0464.555767 - Fax +39.0464.562969 [email protected]

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SULLA VIA DELLA PACETrimestrale di in-formazioneAnno VIII - n. 3 luglio-settembre 2013

Registrazione n. 263 presso ilTribunale di Rovereto (TN)(19.01.2006)

Direttore responsabilePaolo Maino

Direttore di redazioneRuggero Zanon

RedazioneTiziano CivettiniRuggero Zanon

CollaboratoriPaola AngerettiStefania Dal PontAnnalisa Zanin

Archivio FotograficoPatrizia Rigoni

Distribuzione e numeri arretratiGraziana Pedrotti

AmministrazioneRenato Demurtas

EditoreAssociazione Via Pacis onlus

Direzione e amministrazioneViale Trento, 10038066 Riva del Garda (Trento) [email protected]. +39.0464.555767Fax +39.0464.562969

GraficaEmmanuele PepèSilvia [email protected]

StampaAntolini Tipografia - Tione (TN)

Finito di stamparenel mese di giugno 2013

In copertina:Piazza San Pietro, 19 maggio 2013:Via Pacis all'incontro del Papa con i movimenti ecclesiali(foto di Patrizia Rigoni)

GARANZIA DI RISERVATEZZA Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n° 196/2003 (tutela dati personali) si garantisce la massima riserv-atezza dei dati personali forniti dai lettori ad Associazione Via Pacis onlus e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione, o di opporsi al trattamento dei dati che li riguardano, rivolgendosi al Titolare del trattamento dati, Associazione Via Pacis onlus – viale Trento, 100 – 38066 Riva del Garda (TN) o scriv-endo al Responsabile Dati dell’Associazione Via Pacis onlus Paolo Maino anche via email all’indirizzo [email protected]. è possibile consultare l’informativa completa all’indirizzo www.viapacis.info/privacy.aspx

3 Editoriale • La relazione liberante4 Giornata di Alleanza9 Dalle Filippine a Via Pacis10 La recezione del Concilio Vaticano II

nei movimenti ecclesiali14 I have a dream • Liberamente prigionieri16 Il Papa incontra i movimenti20 Giovani • Occhio alla rotta!

Come affrontare gli iceberg quotidiani22 www.viapacis.info23 Areopago • Libertà: uguale per tutti? 24 Serata di solidarietà28 Checkpoint • Pronti a salpare?30 Relazione con le famiglie d'origine32 Quanto amo la tua parola, Signore

Un perdono a 360°34 Il nuovo CD "Quiero dos alas" 35 Carissimo • Alla ricerca della felicità

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E D I T O R I A L E

Tutta la nostra vita si basa su un elemento fondamentale: la relazione. È un aspetto dato spesso per

scontato, ma, altrettanto spesso, trascurato nella sua componente più autentica: l’incontro fra due alterità, fra due libertà.Sappiamo bene come le relazioni umane siano essenziali nella nostra vita privata, nel nostro lavoro, nella nostra vita pubblica; i legami − siano essi affettivi, amicali, professionali, familiari − sono vitali. Eppure, tante volte sono vissuti come un’impresa rischiosa o un impegno faticoso. Perché? Forse per le tante difficoltà e insidie del vivere quotidiano; forse perché siamo poco disposti a rinunciare a quelli che riteniamo nostri “diritti”, alle inclinazioni del nostro carattere, al nostro stile di vita, alle nostre convinzioni. Cambiare è sempre difficile e, piuttosto che affrontare la fatica, spesso si preferisce accettare lo status quo. Ma, se davvero ci stanno a cuore i rapporti tra le persone, è necessario comprendere che sono qualcosa di estremamente fragile, che richiedono di essere aggiustati e rinsaldati di continuo, e non “tenuti insieme” in qualche modo.L’altro/gli altri, per il semplice fatto di esistere, mettono continuamente in discussione le nostre certezze,

i nostri punti di vista, le nostre verità, fino ad apparirci come dei nemici. Scriveva il filosofo francese Sartre: «L'inferno sono gli altri». È un’affermazione categorica, ma fotografa un dato di fatto: possiamo imputare agli altri tutte le difficoltà, le crisi, le rotture dolorose, le violenze, i disagi psichici, spogliandoci di ogni responsabilità. Comprendiamo che l’aspetto relazionale, se da un lato, ci espone al conflitto, alla rottura, alla divisione, dall’altro, ci mette di fronte a noi stessi, ai nostri limiti, alle nostre paure, alle nostre dipendenze. È una presa di coscienza capace di schiacciarci, ma anche di generare forza e dare vita, permettendo alla relazione di diventare momento di crescita, opportunità straordinaria per maturare.Nelle dinamiche relazionali siamo posti costantemente di fronte a scelte: andare avanti fino in fondo o fuggire; evitare le difficoltà o affrontarle; chiudersi in difesa o trovare strade nuove; porsi in atteggiamento di dipendenza o cercare la vera libertà; rassegnarsi o impegnarsi in rapporti migliori. Si tratta di decisioni che non possiamo delegare ad altri. La dignità dell’uomo si concretizza nella pienezza e verità delle relazioni. Chi sa rinunciare a qualcosa di sé, al proprio individualismo, al proprio bisogno di “avere ragione”, alla propria ambizione perché prevalga e vinca il dialogo, non perde nulla, ma guadagna tutto. Troppo spesso, però, alle provocazioni (reali o presunte) degli altri reagiamo con parole e gesti che chiudono la comunicazione, escludendo una condivisione più profonda. È sempre forte la

tentazione di voler dimostrare la propria competenza, di voler affermare il proprio ruolo, mettendo in chiaro la propria autorità o esercitando un certo bisogno di essere “contro”. Finché guardiamo unicamente alle nostre “ragioni”, incuranti di quanto accade alla persona che ci sta di fronte, ci ritroviamo a erigere barriere, ad alzare difese. E allora, senza accorgercene, finiamo col far dipendere le nostre relazioni unicamente dalla simpatia e dall’antipatia, sottomettendoci alla tirannia del nostro egocentrismo. Alle sollecitazioni degli altri spesso rispondiamo in modo emotivo, sulla scorta di pregiudizi e precomprensioni, senza fare la fatica di riflettere prima di parlare e agire, o anche solo di ascoltare. Potrebbe essere interessante chiederci che cosa seminano le nostre parole, i nostri atteggiamenti: unità o tensione? comprensione, stima, attenzione oppure disprezzo, sfiducia, contrapposizione?E se provassimo ad “investire” nelle relazioni ed accogliere con radicalità la sfida che esse ci pongono? Certo, questo significa accettare soprattutto coloro che facciamo più fatica ad accogliere ed amare, scommettendo sul bene che certamente c’è nell’altro. Significa impegnarsi con costanza e fatica nel cambiare atteggiamenti, comportamenti e parole. Per migliorare la qualità delle nostre relazioni occorre lavorare su noi stessi, sul nostro modo di relazionarci. Questa è la via maestra per poter contribuire a costruire un mondo un po’ più bello, un po’ più vero, un po’ più buono.

La relazione LIBERANTE

di Paolo Maino

LA RELAZIONE LIBERANTE

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GIORNATA di Alleanza

Domenica 14 aprile 2013 l’Associazione Via Pacis ha vissuto uno degli eventi più importanti della propria vita comunitaria nella celebrazione della giornata nazionale di Alleanza. Alla presenza di Mons. Miguel Delgado Galindo, Sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici, alcuni nuovi membri sono entrati a fare parte integrante dell’Associazione.

Contemporaneamente tutti i componenti, già membri effettivi da alcuni o molti anni, hanno rinnovato la loro scelta di seguire Gesù Cristo nella Chiesa vivendo il carisma Via Pacis ed impegnandosi, quindi, a vivere e testimoniare nella propria quotidianità la chiamata ad essere “ambasciatori di riconciliazione”. Mons. Delgado ha poi tenuto una lectio di cui, a pagg. 10-13, proponiamo degli ampi stralci.

Questi anni di preparazione sono stati molto difficili: molti muri da distruggere, tanti angoli da smussare, ma ce l’ho fatta. Durante questo periodo la domanda

che mi affiorava alla mente era sempre la stessa: “Sono pronta a diventare un membro effettivo della famiglia Via Pacis?”. Nel cercare di rispondere a questo

interrogativo, mi sono accorta che, quasi senza che me ne rendessi conto, Via Pacis era già entrata a far parte della mia vita.

L A U R A

Fausta Matteotti e Stefania Dal Pont (al centro), che hanno sottoscritto l'Alleanza di Vita Celibataria, con i fondatori Paolo ed Eliana Maino

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S A L U T Odell’Arcivescovo di Trento S.E. mons. Luigi Bressan

Egregio Paolo Maino, volentieri invio la mia benedizione in occasione dell’annuale giornata di Alleanza dell’Associazione Via Pacis, che si terrà domani a Varone.Il vangelo di questa domenica ci invita ad andare anche noi al largo con Pietro: gli apostoli infatti dicono: “Veniamo anche noi”. E Gesù conferma a Pietro il mandato. L’unità è sempre stata la vostra caratteristica e certamente il vostro in-contro sarà un’opportunità per pregare per la Chiesa tutta intera.Chiedo anche una preghiera per la “Visita ad limina”, espressione di comunione ecclesiale non solo da parte dei Vescovi, ma anche di tutte le chiese locali, con il successore di Pietro, papa Francesco.Con un cordiale saluto

+ Luigi Vescovo

Quando ho iniziato il percorso di preparazione all’Alleanza, sentivo in me la chiamata forte a radicarmi sempre di più nel carisma della pace e della riconciliazione, a mettere Via Pacis e il Signore in cima alle priorità della mia vita. Durante questi tre anni ho imparato a relazionarmi in maniera migliore, a condividere le gioie, ma anche, e soprattutto, i dolori.

M A S S I M I L I A N O

Facendo Alleanza scelgo che Via Pacis sia la  mia strada, la mia vocazione, il luogo dove incontro Dio continuamente,

unita con voi.Che cosa tiene unito il gregge in cammino? La sequela

del pastore, il tenere lo sguardo su di lui, l'ascoltare la sua voce. Il Dio della libertà e dell'attesa non ci vuole in un

recinto chiuso, ma ci lascia liberi di seguirlo.

L O R E D A N A

GIORNATA DI ALLEANZA

Foto di Laura Zinetti

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Ben presto ho capito come doveva girare il mondo: tutto intorno a me! Ho imparato a puntare i piedi, a voler avere sempre l'ultima parola, a voler aver ragione a tutti i costi, ad essere spesso contro tutto e tutti, a credere di essere perfetta e, se succedeva qualcosa, io non c'entravo; casomai, erano gli altri che sbagliavano.Poi ho incontrato Via Pacis e ho scoperto che la superbia e l’orgoglio sono dei tiranni, che ci costringono a non ammettere mai di aver sbagliato e questo è faticoso; col passare del tempo, non solo gli altri si stancano di te, ma anche tu ti stanchi di te. Uno dei momenti di maggior libertà nella mia vita è stato quando sono stata in grado di riconoscere che posso sbagliare e che... non sono perfetta!Con Via Pacis ho ritrovato Dio. Non è stato un colpo di fulmine, ma un innamoramento lento. In Via Pacis ho imparato a pregare, iniziando così a conoscere quel Dio che non conoscevo. Gli anni passavano, e il mio cammino in Via Pacis continuava. Circa cinque anni fa mi sono fermata a riflettere seriamente sulla mia vita e mi sono chiesta: Fausta, cosa vuoi fare della tua vita? Ero impegnata in Via Pacis, ma per me non era sufficiente. Capivo però che Via Pacis era l’occasione della mia vita, il mio posto, perché aveva cominciato a trasformare la mia vita, il mio carattere, il mio modo di relazionarmi con gli altri, il mio concetto di giustizia e di libertà. Io volevo vivere una vita per l’uomo, per l’umanità, come Gesù: schierarmi dalla parte della giustizia, della lealtà, della verità, dalla parte di chi non ce la fa. Ci sono tanti modi per fare questo e, in passato ho avuto tante altre occasioni per farlo, ma non avevo ancora trovato quello che Dio aveva pensato per me. Uno dei tanti pensieri che mi preoccupava, se aderivo totalmente a Via Pacis, era che Dio mi chiedesse troppo: Ma cos’è il troppo quando decidi di sottometterti all’Amore? Cos’è il troppo se la misura dell’amore è amare senza misura? Io volevo salvare il mondo, ma ora capisco che non potevo (e non posso) farlo da sola: il cristianesimo non è una religione per single... e poi da soli si fa troppa fatica!Oggi scelgo di appartenere solo a Dio in Via Pacis:- per gratitudine: tanto ho ricevuto, in termini di accoglienza, attenzione, amore, aiuto concreto, ascolto, incoraggiamento... e tanto desidero dare;- perché con Dio le parole “giustizia e libertà” hanno trovato un senso, una direzione e un significato profondo, vero;- perché non mi accontento: l'Immenso mi attrae e tutto me lo ricorda.Dio (e non solo Lui) è stato tanto paziente con me: mi ha sedotto, ed io mi sono lasciata sedurre.

F A U S TA

Foto di Marco Berteotti

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Quando ho conosciuto Via Pacis, ero la classica brava ragazza: perfettina, attenta a tutto e a tutti, che cercava di fare sempre tutto bene, che, spesso con sforzi sovrumani, ce la metteva tutta per non sbagliare mai. Senza rendermi conto, avevo portato all’esagerazione dei comportamenti buoni in sé, divenendo piuttosto rigida e piena di schemi mentali, accentratrice di attenzioni, pretenziosa nei confronti degli altri, spirituale all’inverosimile e molto poco con i piedi per terra.L’incontro con il Carisma Via Pacis – e con la pace-riconciliazione in tutte le sue sfaccettature – ha fatto luce nella mia vita, svelandomi, piano piano, le cose che dovevano essere purificate, messe in ordine e pacificate.In Via Pacis ho scoperto un Dio diverso da quello che avevo sempre pensato: un Dio padre, amico, confidente, aiuto e conforto, ma non certo jukebox che esaudisce i miei desideri come il genio della lampada. Ho capito che era necessario rinnovare le mie relazioni: quella con i miei genitori, per poter essere sempre più figlia, e figlia adulta, consapevole e grata di tutto ciò che avevo ricevuto, e continuavo a ricevere, da loro; e tutte le altre relazioni, perché potessero essere vissute come occasione di dono, senza pretesa alcuna.Dopo un lungo cammino, ho capito che tutto ciò che avevo gratuitamente ricevuto non poteva che essere ridonato gratuitamente. La mia vita aveva senso solo se la ridonavo a chi me l’aveva data: Dio e Via Pacis.Ho percepito la vicinanza di un Dio molto umano e concreto, che mi ha aspettato con infinita pazienza, seducendomi, ogni giorno di più, proprio come un innamorato geloso.

S T E F A N I A

GIORNATA DI ALLEANZA

In questi anni di cammino in Via Pacis ho scoperto che con Dio si può avere un rapporto più profondo, personale e che vale la pena di spendersi per Lui. Il Signore mi ha donato di diventare una persona che non è più spaventata di trovarsi a contatto gli altri, e che, anzi, ha scoperto la bellezza di condividere con i fratelli la propria vita, di stare assieme, di lavorare per uno scopo comune. Mi sento più libera. So di avere qualcosa di buono e di bello da condividere e che con il mio agire posso cercare di rendere il mondo un po’ migliore. Ho sperimentato che far parte di Via Pacis significa impegno costante, sapere di non essere arrivata, di dover camminare e andare avanti in fiducia: questa è la vita che sento di abbracciare.

In questi tre anni di preparazione all’Alleanza, mi sono sentito chiamato, in modo più vivo e profondo, da un Dio che è Padre e che mi ha dato un nome. I miei fratelli mi

hanno accolto e voluto bene, non perché sono perfetto, ma solo perché sono io. E ciò mi ha fatto sentire fratello tra fratelli. Se all’inizio di questo percorso sentivo l’ardore e il

desiderio di seguirlo per diventare “santo”, per meritarmi i Suoi “bravo, Tommaso!”, ora vedo la bellezza di diventare fratello in questa Comunità con questi fratelli. Il vivere a

stretto contatto con gli altri mette sempre più in luce le mie fragilità, le mie incongruenze e contraddizioni, i miei difetti e limiti; ma è proprio questo che mi sta facendo

scoprire sempre più quello che realmente sono: creatura, non perfetto, bisognoso di accoglienza, di relazioni e sostegno.

N A D I A

T O M M A S O

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8 GIORNATA DI ALLEANZA

Prima di conoscere Via Pacis vivevo alla giornata cercando di fare quello che potevo, perché il peso che portavo sulle mie spalle era enorme, mi bloccava e mi impediva di guardare negli occhi coloro che incontravo, di donare loro un saluto, un sorriso. Per me era tutto troppo faticoso.Diventavo sempre più triste, ed ero sempre meno contenta del muro che avevo costruito intorno a me e che mi impediva di avere una vera relazione con gli altri, a cominciare dalla mia famiglia. Poi per grazia del Signore, ho incontrato Via Pacis. Ho conosciuto persone che mi hanno donato un sorriso, un abbraccio, una parola di conforto, che mi hanno fatto pregustare la bellezza di essere dono per gli altri, la bellezza dell’amore fraterno, della pace e della serenità. Con tutta me stessa ho tanto desiderato afferrare la mano che il Signore mi aveva teso, ma sono consapevole che posso continuare a tenerla stretta soltanto se mi lego a Lui e ai fratelli, perché riconosco di essere fragile, riconosco che in un momento di difficoltà posso fermarmi, inciampare e cadere.

Prima di incontrare Via Pacis per me il Signore non esisteva. Eppure è bastato un incontro a comprendere che qualcosa in me era cambiato: il Signore aveva atteso tanto e ora era lì

ad aspettarmi. Da quel giorno ho iniziato a frequentare regolarmente gli incontri di Via Pacis. Quello che mi colpiva era l’amore tra le persone e l’accoglienza nei miei

confronti: da una settimana all’altra si ricordavano di me, dei miei problemi, delle mie preoccupazioni, e mi assicuravano le loro preghiere. Dopo un iniziale periodo di

entusiasmo, un po’ alla volta mi sono sentito spiritualmente morto, come se fossi alla fine del mio cammino spirituale. È stato così che ho capito che potevo farmi aiutare per poter

ripartire, per “uscire dal mio sepolcro”. E Via Pacis è stata questo aiuto.

Dopo varie peregrinazioni in cerca della pace e nel tentativo di cambiare un cuore indurito dai dolori della vita, Gesù mi ha condotto a Via Pacis: un’oasi fatta di accoglienza, di

relazioni fraterne e di condivisione con i poveri. È come se Gesù mi avesse detto: “Non avere paura, ora ci sono io a prendermi cura di te. Deponi le tue armi. Smetti di

cercare di essere autosufficiente e forte. Io sono la tua forza!”. Con il tempo, giorno dopo giorno, incontro dopo incontro, caduta dopo caduta, ho capito che il mio posto era qui, qui

la mia nuova casa. Ora non sono più sola.

V E R A

C A R M E L A

R O D O L F O

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di Miguel Delgado Galindo*

Sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici

I movimenti ecclesiali e la ricezione del Concilio Vaticano IINel discorso ai partecipanti al seminario di studi per vescovi, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici nel 2008, Benedetto XVI pronunciò queste parole: «I movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono una delle novità più importanti suscitate dallo Spirito Santo nella Chiesa per l’attuazione del Concilio Vaticano II. Si diffusero proprio a ridosso dell’assise conciliare, soprattutto negli anni immediatamente successivi, in un periodo carico di entusiasmanti promesse, ma segnato anche da difficili prove. Paolo VI e Giovanni Paolo II seppero accogliere e discernere, incoraggiare e promuovere l’imprevista irruzione delle nuove realtà laicali che, in forme varie e sorprendenti, ridonavano vitalità, fede e speranza a tutta la Chiesa»1.

A tale riguardo, bisogna aggiungere che l’atteggiamento pastorale di Benedetto XVI nei confronti dei movimenti ecclesiali è sempre stato in perfetta sintonia con i pontefici precedenti. Basti ricordare il memorabile incontro di Benedetto XVI con gli aderenti ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità laicali in Piazza San Pietro del 3 giugno 2006, durante la celebrazione dei primi Vespri della solennità di Pentecoste2. Come non ricordare anche l’esortazione rivolta lo stesso anno 2006 a un gruppo di vescovi tedeschi in visita ad limina, riproposta anche a tutti i pastori della Chiesa: «Vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore»3. Se Benedetto XVI riconosceva nei movimenti ecclesiali degli strumenti per l’attuazione del Concilio Vaticano II, allora pare coerente sostenere che queste realtà ecclesiali hanno inteso adeguatamente gli insegnamenti del concilio, cioè hanno accolto in sé e fatto propria la ricca dottrina teologica dell’intera assise conciliare. Certamente, con questa affermazione non si intende ritenere che i movimenti ecclesiali siano stati gli unici soggetti ecclesiali ad attuare il Concilio Vaticano II, com’è stato giustamente evidenziato da Mons. Agostino Marchetto, specialista dell’ermeneutica del

Concilio Vaticano II4, ma non c’è dubbio che essi si siano rivelati, nella stragrande maggioranza dei casi, dei canali eminenti per contribuire alla recezione degli insegnamenti del concilio.

a) L’ecclesiologia di comunioneI movimenti ecclesiali possono essere annoverati tra i modelli paradigmatici della recezione del Concilio Vaticano II per il fatto che essi hanno ben compreso quale fosse l’idea centrale e fondamentale contenuta nei documenti del concilio, ossia l’ecclesiologia di comunione5. In questo senso, i movimenti ecclesiali hanno contribuito, ognuno secondo il carisma proprio, a una visione di Chiesa come comunione, intesa sia come partecipazione della nostra umanità al mistero della vita trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (dimensione verticale), sia come unione tra tutti i credenti in vista del fine ultimo della Chiesa, che è appunto la salvezza della anime (dimensione orizzontale). La Chiesa è, infatti, una comunione di mutui aiuti soprannaturali. All’interno di essa si riscontra una pluralità di carismi e vocazioni, ordinati verso l’unità e sotto la guida di una stessa gerarchia, nel centro della quale si trova il Papa, senza il quale non può sussistere l’unione

La Recezione del Concilio Vaticano II

NEI MOVIMENTI ECCLESIALI

F O R M A Z I O N E

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in una stessa fede. La riscoperta dei sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione ed eucaristia) come mezzi tramite i quali si accede alla comunione nella Chiesa è stata essenziale a questo scopo6. Volendo concentrarmi sugli aspetti che ritengo più salienti della recezione del Concilio Vaticano II nei movimenti ecclesiali, ho scelto per la loro grande portata due temi: la chiamata universale alla santità di tutti i fedeli e la partecipazione alla missione evangelizzatrice della Chiesa.

b) L’universale chiamata alla santità di tutti i fedeliIl capitolo V della Lumen gentium contiene la proclamazione della vocazione universale alla santità7: «Tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell'Apostolo: «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (1 Ts 4,3; cfr. Ef 1,4)»8.Questa è una verità chiave della fede cattolica: la santità, l’unione intima con Dio, è per tutti, non soltanto per alcuni privilegiati nella Chiesa. Essa è patrimonio comune di tutti i battezzati, i quali sono veramente chiamati da Dio (in latino, vocare significa proprio “chiamare”) a diventare figli adottivi in Cristo e partecipi della sua missione redentrice. Nella Chiesa

non esiste diversità di categorie tra i cristiani. Ogni fedele che partecipa della fede cattolica è chiamato alla pienezza dell’amore di Dio. Esiste soltanto una santità, alla quale tutti siamo chiamati9: ogni fedele deve perseguire quest’unica santità secondo i doni e le funzioni che gli sono propri. Così nella Lumen gentium si legge: «Tutti quelli che credono in Cristo saranno quindi ogni giorno più santificati nelle condizioni, nei doveri o circostanze che sono quelle della loro vita, e per mezzo di tutte queste cose, se le ricevono con fede dalla mano del Padre celeste e cooperano con la volontà divina, manifestando a tutti, nello stesso servizio temporale, la carità con la quale Dio ha amato il mondo»10.La chiamata universale alla santità appartiene, senz’altro, al patrimonio storico della Chiesa, ma dal IV fino al XX secolo ha subìto un certo oscuramento11. Parallelamente, la nozione di vocazione è stata associata più specificamente alla vita religiosa, nonché alla chiamata al sacerdozio ministeriale. Con il sacramento del battesimo, i fedeli laici ricevono pure una vocazione concreta connotata dall’indole secolare, che consiste – con parole dello stesso Concilio Vaticano II – nel «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (LG, n. 31). I fedeli laici partecipano della vocazione comune di tutti i

battezzati, ma allo stesso tempo la secolarità fa sì che la loro vocazione cristiana comune diventi vocazione particolare. A differenza delle chiamate di Dio al sacerdozio o alla vita consacrata – che vengono segnate, l’una, da un sacramento della Chiesa e, l’altra, dal rito della professione religiosa –, la vita laicale non comporta una chiamata del Signore a diventare laico. Quindi, nella condizione laicale il battezzato non viene inserito ulteriormente nella Chiesa come laico, giacché egli è già in quello stato. La vocazione dei fedeli laici è piuttosto una presa di coscienza graduale, e non senza l’aiuto della grazia divina, del progetto di Dio per la propria esistenza, da avverarsi nel mondo. Lo specifico della vocazione dei fedeli laici risiede nel percepire che la vita ordinaria nel mondo, con tutte le sue vicissitudini, ha un senso nel progetto di Dio, e non è soltanto il risultato dell’esistenza naturale sulla terra. Si evince, pertanto, che non si è fedele laico per il fatto di non aver ricevuto nessuna vocazione nellaChiesa12. Il Signore è un Dio vicino a tutti noi e con ognuno, senza alcuna distinzione, desidera avere un rapporto personale di amicizia.

c) La partecipazione alla missione evangelizzatrice della chiesaIntimamente collegata alla chiamata universale alla santità è la chiamata a irradiare il messaggio cristiano. La vocazione cristiana, infatti, è per sua stessa natura vocazione all'apostolato. Il decreto conciliare Apostolicam actuositatem, al n. 2/b, asserisce a proposito dell’apostolato dei fedeli laici13:«I laici, essendo partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all'interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo. In realtà essi esercitano l'apostolato evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l'ordine temporale, in modo che la loro attività in quest'ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini».Tutti i battezzati, senza esclusione alcuna, sono indubbiamente chiamati a estendere il Regno di Dio, affinché il messaggio della salvezza giunga ovunque, a tutti gli uomini. Si tratta di un vero e proprio diritto

LA RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II NEI MOVIMENTI ECCLESIALI

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fondamentale dei fedeli che non richiede un’abilitazione specifica. Il mandato missionario, infatti, fu dato una volta per tutte da Gesù ai Suoi discepoli di tutte le epoche, come si legge nel Vangelo: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Sia il primo annuncio della fede (kèrigma) in tanti luoghi dove essa ancora non è giunta, sia la nuova evangelizzazione di regioni cristianizzate da secoli, ma dove il discorso religioso è da tempo messo da parte, sono priorità assolute della Chiesa. È in ragione del primato di questo fine apostolico, che l’argomento scelto per l’ultimo Sinodo dei vescovi, tenutosi nel mese di ottobre del 2012, è stato “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, e che Benedetto XVI ha voluto indire, con la Lettera apostolica Porta fidei (11 ottobre 2011), uno speciale “Anno della fede” (11 ottobre 2012 - 24 novembre 2013), in occasione del 50º anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. «La Chiesa esiste per evangelizzare»14, rammentava Benedetto XVI all’inizio dell’ultimo Sinodo dei vescovi, questo è il suo compito fondamentale. Dopo il Concilio Vaticano II, nel magistero pontificio viene richiamato di continuo il dovere di evangelizzare, come dimostrano – ad esempio – l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), del venerabile servo di Dio Papa Paolo VI, e l’enciclica Redemptoris missio (7 dicembre 1990), del beato

Papa Giovanni Paolo II. L’evangelizzazione, annuncio della Persona di Gesù Cristo, non è questione di strategia pastorale e di riforma delle strutture sociali, ma piuttosto di santità personale. In ogni tappa della storia del cristianesimo sono stati i santi i grandi evangelizzatori15, quelli conosciuti, come pure quelli che non lo sono agli occhi degli uomini, ma che, toccati da Dio, hanno testimoniato la fede ai loro contemporanei nelle circostanze ordinarie della vita. L’assoluta necessità dell’evangelizzazione proclamata dalla Chiesa, è stata messa in risalto anche dal Santo Padre Francesco all’indomani della sua elezione, durante la Santa Messa nella Cappella Sistina con i cardinali partecipanti al conclave, con questa eloquente espressione: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ong assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore»16.A questo proposito, c’è da dire che i movimenti ecclesiali rappresentano una grande speranza per l’evangelizzazione, in quanto costituiscono spazi di formazione cristiana per i loro aderenti e per le persone che si avvicinano ad essi, nonché scuole per la missione, dove si constata la forza creatrice dello Spirito Santo, che continua a ispirare in tutti i tempi nuove iniziative apostoliche secondo carismi differenti. In questo, i movimenti si rivelano preziosi collaboratori della

missione ecclesiale, operando in fedeltà al magistero della Chiesa e in unione filiale con il Papa e con i vescovi. A questo proposito l’allora cardinale Joseph Ratzinger, ebbe a dire: i movimenti ecclesiali «senza tentennamenti riconoscono nella Chiesa la loro ragione di vita, senza di cui non potrebbero sussistere»17.

ConclusioniArrivo al termine di queste riflessioni. Il Concilio Vaticano II ha contribuito certamente alla riscoperta della dimensione pneumatologia della Chiesa nel contesto di una rinnovata ecclesiologia di comunione, che ha implicato la valorizzazione dei carismi, quali grazie elargite dallo Spirito Santo che, insieme alla parola di Dio, ai sacramenti e alle virtù, contribuiscono all’edificazione dell’intera Chiesa. Il Concilio ha concesso, inoltre, una particolare rilevanza ai carismi ordinari, come sono quelli ricevuti dai fondatori dei movimenti ecclesiali. Queste realtà hanno concorso a evidenziare la reciprocità che esiste tra la dimensione istituzionale della Chiesa, fondata dalla parola di Dio, il ministero ordinato e i sacramenti, e la dimensione carismatica della medesima. A questo proposito, è significativo che nell’omelia della Santa Messa crismale del Giovedì Santo del 2012, Benedetto XVI abbia detto: «Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa,

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la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo»18.Non possiamo stupirci se in talune circostanze capita di constatare che ancora c’è molto da fare affinché i movimenti ecclesiali siano compresi appieno. Ogniqualvolta la Chiesa si rinnova, occorre un congruo tempo affinché le novità attuate dallo Spirito Santo vengano assimilate. Pensiamo, ad esempio, alla figura di sant’Antonio abate (sec. III-IV), con il quale incomincia il monachesimo orientale. Alcuni dei suoi contemporanei pensavano che egli stesse dando luogo a una ramificazione all’interno della Chiesa, creando una Chiesa dentro la Chiesa. Niente di più errato.Qualche tempo fa ho letto che in una diocesi europea, gli effetti del Concilio di Trento (1545-1563) si sono cominciati ad avvertire soltanto dopo cent’anni dalla sua chiusura. Questo dimostra, ancora una volta, che i tempi del Signore sono diversi dai tempi dell’uomo. Nel caso del Concilio Vaticano II, possiamo certamente constatarne già al giorno d’oggi abbondanti e preziosi frutti, dei quali siamo grati al Signore. A ognuno di noi senza alcuna esclusione, in quanto membra vive del corpo ecclesiale, corrisponde il compito di collaborare affinché gli insegnamenti dell’ultimo concilio

ecumenico, che si racchiudono nei suoi documenti, possano essere ancora scoperti e ben recepiti nella vita della Chiesa, in modo tale che essa possa mostrare al meglio il suo volto di sposa di Cristo, salvatore dell’umanità.

*Sintesi della Lectio del 14 Aprile 2013 tenuta alla Giornata di Alleanza dell'Associazione Via Pacis

1 Benedetto XVI, «Discorso ai partecipanti al seminario di studio per vescovi, organizzato dal Pontificio Consigli per i Laici», 17 maggio 2008, Insegnamenti di Benedetto XVI, 4/1 (2008) 810.2 Id., «Omelia nella Veglia di Pentecoste in Piazza San Pietro con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità», Insegnamenti di Benedetto XVI, 2/1 (2006) 757-765.3 Id., «Discorso al secondo gruppo di vescovi della Conferenza Episcopale della Repubblica Federale di Germania, in visita ad limina», L’Osservatore Romano, 19 novembre 2005, 5.4 Cfr. A. MArchetto, «Il Concilio Vaticano II e i movimenti ecclesiali in visione comunionale», Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, 285.5 SynoduS epIScoporuM, Relatio finalis «Ecclesia sub verbo Dei», II, C, 7 dicembre 1985, EV 9/1800-1809; congregAzIone per lA dottrInA dellA Fede, Lettera «Communionis notio» su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 28 maggio 1992, EV 13/1774-1807; J. rAtzInger, «L’ecclesiologia della Lumen gentium», La comunione nella Chiesa, Cinisello Balsamo 2004, 129-161.6 pontIFIcIuM conSIlIuM pro lAIcIS, «State saldi nella fede…». Alla riscoperta dell’iniziazione cristiana, Laici oggi, Città del Vaticano 2013.7 g. phIlIpS, La Chiesa e il suo mistero.

Storia, testo e commento della Costituzione Lumen Gentium, Milano 1993, 389-435; V. BoSch, Llamados a ser santos. Historia contemporánea de una doctrina, Madrid 2008.8 LG, 39.9 Cfr. LG, 41.10 LG, 41.11 Cfr. y. M.-J. congAr, Per una teologia del laicato, Brescia 19662, 19-44. Tra i precursori della chiamata universale alla santità si possono annoverare san Francesco di Sales (1567-1622), santa Teresa del Bambino Gesù (1873-1897) e san Josemaría Escrivá de Balaguer (1902-1975).12 A questo proposito, sarebbe inesatto affermare che un fedele laico si sposa perché Dio non gli ha concesso alcuna vocazione nella Chiesa. È proprio il contrario: egli si sposa perché Dio gli ha concesso appunto la chiamata al matrimonio, che è una vera e propria vocazione cristiana.13 Cfr. LG, 33/b.14 Benedetto XVI, «Omelia nella Messa per l’apertura della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”», 7 ottobre 2012, L’Osservatore Romano, 8-9 ottobre 2012, 6; cfr. pAolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14.15 Cfr. gIoVAnnI pAolo II, Discorso ai partecipanti al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, 11 ottobre 1985, AAS 78 (1986) 186.16 pApA FrAnceSco, «Omelia nella Santa Messa pro Ecclesia nella Cappella Sistina con i cardinali elettori», 14 marzo 2013, L’Osservatore Romano, 16 marzo 2013, 7.17 J. rAtzInger, «I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica», Nuove irruzioni dello Spirito. I movimenti nella Chiesa, Cinisello Balsamo (MI) 2006, 45.18 Benedetto XVI, «Omelia nella Santa Messa del Crisma», 5 aprile 2012, L’Osservatore Romano, 6 aprile 2012, p. 7.

LA RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO II NEI MOVIMENTI ECCLESIALI

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Vivere la chiamata, secondo questa Parola, significa che siamo obbligati a sopportarci: questo

obbligo (parola che può non piacere) per la Bibbia è scegliere di non camminare da soli, di non diventare santi da soli, di non fare della chiamata una questione individuale e personalistica: solo se ci facciamo liberamente prigionieri del sopportarci, il Regno di Dio è in mezzo a noi, diamo gloria a Dio e siamo felici, e anche Dio è felice. La Parola di San Paolo vuole fare

piazza pulita degli ideali romantici che ci siamo fatti dell’amore fraterno: relazioni comunitarie perfette, in cui ci si capisce al volo, dove va sempre tutto bene, dove si va d’amore e d’accordo, ecc… Non ci dobbiamo spaventare, perché la promessa di Dio supera questa visione romantica, idealizzata e idilliaca. Ecco la bella notizia: è davvero possibile – ce lo dice la Parola – amarsi come fratelli, è veramente possibile sopportarsi. Ma come?

L’umiltà rivelatrice dell’altroQuesta capacità di sopportare e accettare l’altro nasce dall’umiltà. L’alterità, la diversità dell’altro, è sempre un peso. Proprio questa diversità, questa alterità, è necessaria perché si renda evidente la bellezza di Dio. Grazie all’umiltà nella quale riconosco i miei limiti, le mie povertà, il peso che io sono per l’altro, posso divenire capace non solo di sopportare l’altro, ma, con amore, di trovare proprio nell’alterità anche la ricchezza del suo essere, delle sue idee e della fantasia di Dio.“Umiltà” è una parola cristologica.

Significa imitare il Dio che scende fino a me, che si mette al mio fianco, che soffre per me ed è morto per me: questa è l’umiltà da imparare, l’umiltà di Dio. In questa umiltà è possibile vederci sempre nella luce di Dio, riconoscere la grandezza di essere una persona amata da Dio e scoprire la nostra piccolezza, la nostra povertà, e così comportarci giustamente. Umiltà significa non pensare in grande di sé stessi, avere la giusta misura. La grandezza della piccolezzaIl contrario dell’umiltà è la superbia, che fin dai Padri della Chiesa è considerata come la radice di tutti i peccati. La superbia è arroganza, vuole soprattutto potere, apparire agli occhi degli altri, essere qualcuno o qualcosa. Nella superbia l’uomo non ha l’intenzione di piacere a Dio, ma di piacere a se stesso, di essere accettato e venerato dagli altri. È l’«io» al centro del mondo. Essere cristiano vuol dire superare questa tentazione originaria, che è anche il nucleo del peccato originale: la tentazione cioè di essere come Dio, ma senza Dio. Essere

di Claudia Carloni

«Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell'amore, avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace». (Ef 4,1-3)

LIBERAMENTE prigionieri

I H A V E A D R E A M

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cristiano è scegliere di essere vero, sincero, realista. L’umiltà conduce alla verità, è vivere nella verità, è imparare la verità, è imparare che la mia grandezza sta proprio nella mia piccolezza, perché così sono importante per il grande tessuto della storia di Dio con l’umanità. Sono grande nel momento in cui riconosco che sono un pensiero di Dio, che sono insostituibile nella mia piccolezza, che solo in questo modo sono grande. Scrive Benedetto XVI: “Io penso che le piccole umiliazioni, che giorno per giorno dobbiamo vivere, sono salubri, perché aiutano ognuno a riconoscere la propria verità ed essere così liberi da questa vanagloria che è contro la verità e non mi può rendere felice e buono. Accettare e imparare questo, e così imparare ad accettare la mia posizione nella Chiesa, il mio piccolo servizio come grande agli occhi di Dio. E proprio questa umiltà, questo realismo, rende liberi”. Quando sono

umile ho la libertà anche di essere in contrasto coi pensieri degli altri, con le idee diverse dalle mie, perché l’umiltà mi rende capace di verità. Chiamati non da soliLa realizzazione dell’amore fraterno

parte dall’aver ricevuto una chiamata, e la chiamata è sempre anche una vocazione ecclesiale. C’è una dimensione personale della chiamata: Dio chiama me, conosce me, aspetta la mia risposta personale. E, nello stesso tempo, la chiamata di Dio è sempre anche una chiamata in comunità, una chiamata

ecclesiale: Dio ci chiama in una comunità. Che fare, allora, se la persona con la quale non ho empatia, non ho feeling, è nella mia comunità? Che fare quando non è il mio vicino di casa o il mio collega che faccio fatica ad accettare, ma è un mio fratello, una mia sorella di comunità?

Se la Parola ci esorta a sopportarci, è perché sa che è un aspetto faticoso, un punto delicato. Ma la Parola sa anche che proprio nelle relazioni c’è in gioco la chiamata e, quindi, la realizzazione nella gioia di ciascuno di noi.Il verbo “sopportare/sopportarsi” non è un verbo passivo: non significa tollerare dall’alto della propria benevolenza che l’altro, poverino, proprio non ce la fa. Non significa nemmeno tollerare dal basso della mia benevolenza, subendo inerme l’altro, esercitando qualche forma di buonismo o irenismo di cui nel Vangelo non vi è traccia. Non è un verbo passivo, non implica staticità; è un verbo attivo, perché ha una dynamis, un movimento: “sopportandovi a vicenda nell’amore”. Implica reciprocità, relazione e, quindi, fatica (tutto ciò che ha a che fare con la relazione costa fatica; diffidiamo delle cose spontanee, immediate!). E scopriamo che in questa reciprocità non si è in due, ma in tre: “a vicenda” (quindi in due), “nell’amore” (ecco il terzo).

Sono grande nel momento in cui

riconosco che sono

un pensiero di Dio, che sono

insostituibile nella mia piccolezza,

che solo in questo modo

sono grande

LIBERAMENTE PRIGIONIERI

«Solo se ci facciamo

liberamente prigionieri

del sopportarci, siamo felici, e anche Dio

è felice»

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Piazza San Pietro · 18-19 maggio 2013

“(...) Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono, ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo, abbiamo una parola che spiega bene questo: “Il Signore sempre ci primerea”, è primo, ci sta aspettando! E questa è proprio una grazia grande: trovare uno che ti sta aspettando. Tu vai peccatore, ma Lui ti sta aspettando per perdonarti. (...) Il Signore ci aspetta. E quando noi Lo cerchiamo, troviamo questa realtà: che è Lui ad aspettarci per accoglierci, per darci il suo amore. E questo ti porta nel cuore uno

stupore tale che non lo credi, e così va crescendo la fede! (...) Anche voi parlavate della fragilità della fede, come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità – è curioso, eh? – è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, e lo sappiamo. Ma Lui è più forte! Se tu vai con Lui, non c’è problema! Un bambino è fragilissimo – ne ho visti tanti, oggi –, ma era con il papà, con la mamma: è al sicuro! Con il Signore siamo sicuri. La fede cresce con il Signore, proprio dalla mano del Signore; questo ci fa crescere e ci rende forti. Ma se noi pensiamo di poterci arrangiare

da soli… Pensiamo che cosa è successo a Pietro: “Signore, io mai ti rinnegherò!” (cfr Mt 26,33-35); e poi ha cantato il gallo e l’aveva rinnegato per tre volte! (cfr vv. 69-75). Pensiamo: quando noi abbiamo troppa fiducia in noi stessi, siamo più fragili. Sempre con il Signore! (...)Passiamo alla seconda domanda: “Penso che tutti noi qui presenti sentiamo fortemente la sfida, la sfida della evangelizzazione, che è al cuore delle nostre esperienze. Per questo vorrei chiedere a Lei, Padre Santo, di aiutare me e tutti noi a capire come vivere questa sfida nel nostro tempo, qual è per lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti, associazioni e comunità dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati. Come possiamo comunicare in modo efficace la fede di oggi?”.Dirò soltanto tre parole.La prima: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione, con

il Papa incontra iMOVIMENTI

Discorso di Papa Francesco alla Veglia di Pentecoste

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altre cose, con belle cose, ma senza Gesù, non andiamo avanti, la cosa non va. Gesù è più importante. (...)La seconda parola è: la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto – e questo è collegato con quello che ho detto prima – sentirsi guardati. Il Signore ci guarda: ci guarda prima. La mia esperienza è ciò che sperimento davanti al Tabernacolo quando vado a pregare, la sera, davanti al Signore. Alcune volte mi addormento un pochettino; questo è vero, perché un po’ la stanchezza della giornata ti fa addormentare. Ma Lui mi capisce. E sento tanto conforto quando penso che Lui mi guarda. Noi pensiamo che dobbiamo pregare, parlare, parlare, parlare… No! Làsciati guardare dal Signore. Quando Lui ci guarda, ci dà forza e ci aiuta a testimoniarlo. Sentiamo che Dio ci sta tenendo per mano. Sottolineo allora l’importanza di questo: lasciarsi guidare da Lui. Questo è più importante di qualsiasi calcolo. Siamo veri evangelizzatori lasciandoci guidare da Lui. (...)E terza: la testimonianza. (...)Questo lasciarsi guidare da Gesù ti porta alle sorprese di Gesù. Si può pensare che l’evangelizzazione dobbiamo programmarla a tavolino, pensando alle strategie, facendo dei piani. Ma questi sono strumenti, piccoli strumenti. L’importante è Gesù e lasciarsi guidare da Lui. Poi possiamo fare le strategie, ma questo è secondario. (...) La comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l’amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria esistenza e che lo Spirito Santo fa vivere dentro di noi. È come una sinergia fra noi e lo Spirito Santo, e questo conduce alla testimonianza. La Chiesa la portano avanti i Santi, che sono proprio coloro che danno questa testimonianza. Come ha detto Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI, il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita: la coerenza di vita, proprio la coerenza di vita! Una coerenza di vita che è vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale. (...)

La terza domanda: “Vorrei chiederle, Padre Santo, come io e tutti noi possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri. In che modo l’uomo sofferente è una domanda per la nostra fede? Noi tutti, come movimenti, associazioni laicali, quale contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica” – questo è importante! – “il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini e donne?”.(...) Prima di tutto, vivere il Vangelo è il principale contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. E in questo siate furbi, perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo. Una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia, essere efficienti. No, quello è un altro valore. Il valore della Chiesa, fondamentalmente, è vivere il Vangelo e dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione. (...) Questo momento di crisi, stiamo attenti, non consiste in una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale. È una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo! E ciò che può essere distrutto è l’uomo! Ma l’uomo è immagine di Dio! Per questo è una crisi profonda! In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai problemi. Non chiudetevi, per favore!

Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: “Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!” (cfr Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! Pensate anche a quello che dice l’Apocalisse. Dice una cosa bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare nel nostro cuore (cfr Ap 3,20). Questo è il senso

dell’Apocalisse. Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi figli di Dio? In questa “uscita” è importante andare all’incontro; questa parola per me è molto importante:

l’incontro con gli altri. Perché? Perché la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via, la cultura dello scarto. Ma su questo punto, vi invito a pensare – ed è parte della crisi – agli anziani, che sono la saggezza di un popolo,

«Questo momento di crisi

non consiste in una crisi

soltanto economica . . .

È una crisi dell'uomo:

ciò che è in crisi è l'uomo!»

IL PAPA INCONTRA I MOVIMENTI

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ai bambini… la cultura dello scarto! Ma noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. E un altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi stessi, troviamo la povertà. Oggi – questo fa male al cuore dirlo – oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo è grave, questo è grave! Noi non possiamo restare tranquilli! Mah… le cose sono così. Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo

diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! (...) Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri.

La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà

della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E questo non è facile. Ma c’è un problema che non fa bene ai cristiani: lo spirito del mondo, lo spirito mondano, la mondanità spirituale. Questo ci porta ad una sufficienza, a vivere lo spirito del mondo e non quello di Gesù. (...)La quarta domanda: “Davanti a queste situazioni, mi pare

che il mio confessare, la mia testimonianza sia timida e impacciata. Vorrei fare di più, ma cosa? E come aiutare questi nostri fratelli, come alleviare la loro sofferenza non potendo fare nulla o ben poco per cambiare il loro contesto politico-sociale?”.Per annunciare il Vangelo sono necessarie due virtù: il coraggio e la pazienza. Loro [i cristiani che soffrono] sono nella Chiesa della pazienza. Loro soffrono e ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa; più martiri! Fratelli e sorelle nostri. Soffrono! Loro portano la fede fino al martirio. Ma il martirio non è mai una sconfitta; il martirio è il grado più alto della testimonianza che noi dobbiamo dare. Noi siamo in cammino verso il martirio, dei piccoli martìri: rinunciare a questo, fare questo… ma siamo in cammino. E loro, poveretti, danno la vita, ma la danno – come abbiamo sentito la situazione nel Pakistan – per amore a Gesù, testimoniando Gesù. Un cristiano deve sempre avere questo atteggiamento di mitezza, di umiltà, proprio l’atteggiamento che hanno loro, confidando in Gesù, affidandosi a Gesù. (...) Un cristiano deve saper sempre rispondere al male con il bene, anche se spesso è difficile. (...) Ogni uomo e ogni donna devono essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia. Perché? Perché quell’uomo e quella donna sono figli di Dio. (...)”.

«Preferisco mille volte una Chiesa incidentata,

che una Chiesa ammalata per

chiusura!»

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“Cari fratelli e sorelle, (...) vorrei riflettere su tre parole legate all’azione dello Spirito: novità, armonia, missione.1. La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti. Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità – Dio porta sempre novità –, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui (...). La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi: siamo aperti alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso

la capacità di accoglienza? Ci farà bene farci queste domande durante tutta la giornata.2. Un secondo pensiero: lo Spirito Santo, apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece, sotto la sua azione, è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia. Nella Chiesa l’armonia

la fa lo Spirito Santo. Uno dei Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto: lo Spirito Santo “ipse harmonia est”. Lui è proprio l’armonia. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri

particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa. Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dell’azione dello Spirito Santo; l’ecclesialità è una caratteristica fondamentale per ogni cristiano,

per ogni comunità, per ogni movimento. È la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi! (...) Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa? 3. L’ultimo punto. I teologi antichi dicevano: l’anima è una specie di barca a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la sua spinta, senza la sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto; ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo. Lo Spirito Santo è l’anima della missione. (...) Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza di Cristo risorto ai suoi Apostoli, ma Egli vuole che giunga a tutti. Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, dice: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). È lo Spirito Paràclito, il «Consolatore», che dà il coraggio di percorrere le strade del mondo portando il Vangelo! Lo Spirito Santo ci fa vedere l’orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione. Ricordiamo oggi queste tre parole: novità, armonia, missione. (...)”.

Omelia alla Santa

Messa con i Movimenti

Ecclesiali

«Lo Spirito Santo è lo Spirito di

unità, che non significa

uniformità, ma ricondurre

il tutto all'armonia»

19IL PAPA INCONTRA I MOVIMENTI

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Che lo si voglia o no, siamo tutti in viaggio. Quello che dobbiamo chiederci, però, è se siamo in viaggio o se “siamo viaggiati”: chi è il timoniere della mia barca? Come affronto gli iceberg e la nebbia in cui mi imbatto nella mia vita? Se decidessi di prendere in mano il mio viaggio, so a quale “manuale di navigazione” affidarmi?Con queste pro-vocazioni, Tiziano Civettini – nella giornata di formazione per i giovani dai 17 ai 25 anni organizzata da Via Pacis il 10 marzo 2013 intitolata “Manuale di navigazione del timoniere del Titanic: come affrontare gli iceberg quotidiani” – ci ha accompagnati in un viaggio dentro di noi, nel centro del nostro cuore e della nostra mente, dai quali spesso siamo allontanati dalle molteplici distrazioni che eclissano le cose essenziali dell’esistenza. La metafora del Titanic, la nave consid-erata inaffondabile, dove i passeggeri possono trascorrere il tempo in un mondo di divertimenti, illudendosi di vivere, dove l’orchestra continua a suonare anche mentre affonda, si presta bene al caso. Ma anche noi siamo imbarcati sulla nave dell’esistenza. È vero, nessuno ci ha chiesto se volevamo imbarcarci. Non abbiamo scelto noi di venire al mondo, né di essere battezzati o di andare a scuola. Di fronte a questi ed altri eventi il rischio più grande è quello di lasciarsi vivere, di farsi trasportare, fino al punto di scegliere di voler essere condizionati dagli altri in che studi com-piere, con chi dover avere o meno relazioni, come sia meglio divertirsi, ecc.Siamo sempre noi che navighiamo e che teniamo il timone. La bussola del nostro cuore è orientata là dove spera di trovare tesori. Nel Vangelo si dice: “Dov’è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore”. Qual è il tesoro per cui vale veramente la pena orientare la mia vita? Sono pronta a riappropriarmi del mio viaggio per vivere da protagonista?

Occhio alla rotta! di Elisa Casarini

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Nella letteratura la navigazione è da sempre considerata la grande metafora della vita. Essa rap-presenta il desiderio ardente di conoscere, il bisogno profondamente umano di vedere ciò che è oltre, di andare al cuore delle cose. Dante nell’Inferno scriveva “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”: l’uomo, quindi, non è stato creato per vivere una vita me-diocre, ma per compiere grandi progetti. Lo stesso papa Benedetto XVI, in uno dei suoi scritti, dichiara che “l’uomo è stato creato per tendere all’infinito”. Ma quali sono i mezzi giusti per affrontare il grande viaggio della vita? La prima priorità del timoniere è quella di avere una mèta ben precisa davanti a sé: in questo modo è già a metà del viaggio. Avere una mèta significa attribuire un senso compiuto al viaggio; non si può vivere in crociera per sempre. Prima di imbarcarsi, bisogna essere consapevoli dei rischi e dei pericoli che comporta la navigazione: tempeste, iceberg, nebbia… Per questo è importante im-parare a riconoscere le nostre paure e dare loro un nome, in modo da poterle affrontare al meglio. Spesso per raggiungere la mèta è necessario cambiare rotta: siamo in grado di tornare indietro quando ce n’è bisogno? Siamo capaci di accettare i nostri errori in modo da non ripeterli?La navigazione richiede, inoltre, un bagaglio leggero. Non possiamo portare tutto con noi, altri-menti la nave affonderebbe. Siamo in grado di distinguere tra necessario e superfluo, stabilire delle priorità?Il mare comporta non solo imprevisti, ma anche distrazioni. Pensiamo ad Ulisse, che si fece legare all’albero maestro per non cedere al canto delle sirene. Qual è il nostro “albero maestro”? Quali sono i capisaldi cui dobbiamo “legarci” per non farci ingannare dalle voci ammaliatrici?La società di oggi ci bombarda continuamente di messaggi che possono fuorviare la nostra rot-ta. Spesso lasciamo prendere il comando del nostro timone al mondo esterno, perché lasciarsi guidare dagli altri è meno faticoso. In questo modo viviamo il viaggio in modo passivo, ci lasciamo trasportare dalla corrente, anziché essere controcorrente.Chi è dunque il timoniere della mia barca? Sono in grado di prendere delle decisioni senza essere condizionato dagli altri? Pensiamo alle scelte importanti della nostra vita: le abbiamo prese da soli o le ha prese qualcun altro per noi?Essere il timoniere della propria barca non vuol dire però viaggiare da soli. È importante avere delle persone che condividano insieme a noi il nostro viaggio. Occorre abbandonare la mentalità egois-tica del nostro tempo: la nostra forza risiede negli altri. Siamo tutti passeggeri della stessa nave, e questo comporta un grande senso di responsabilità.

Come affrontare gli iceberg quotidiani

GIOVANI

di Mariateresa Tonelli

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ASSOCIAZIONE

LANGUAGE

SOCIAL

®

NUOVOSITO VIA PACIS

Online dal 1 aprile 2013il nuovo sito

dell’Associazione Via Pacis

WWW.VIAPACIS.INFO

®

HOME ATTIVITÀ ONLUS FORMAZIONE NEL MONDO COMUNICAZIONE

Dal 1 aprile 2013 è online il nuovo sito dell’Associazione Via Pacis. Un restyling completo (layout, stile grafico, contenuti, organizzazione delle informazioni, team di lavoro), che ha visto protagonisti soprattutto i giovani, sotto la guida del responsabile Lorenzo Parisi.Il sito è stato pensato per rappresentare la mondialità di Via Pacis e al tempo stesso garantire un servizio di informazione puntuale per le realtà locali. È consultabile in tre lingue (italiano, inglese, spagnolo). La parte istituzionale è comune, mentre eventi, appuntamenti, notizie sono specifici di ogni realtà locale.Il sito, importantissimo strumento di evangelizzazione, si rivolge a tutte le persone che desiderano conoscere Via Pacis, il suo carisma, le varie attività, la sua storia.Un’intera sezione è dedicata all’Associazione Via Pacis onlus, nella quale è possibile visualizzare i progetti di solidarietà in corso attraverso una comoda mappa interattiva. Sono, inoltre, disponibili tutte le informazioni per attivare un’adozione a distanza.Nella home page è presente la sezione “Aggiornamenti”, che riporta tutte le novità del sito. È, inoltre, possibile ricevere una newsletter, che consente di rimanere aggiornati sui principali eventi.Sull’home page è pure presente la sezione “Pillole di Via Pacis”, che riporta stralci di scritti, insegnamenti o pensieri dei fondatori e di altri membri dell’Associazione. Grande importanza è stata data all’integrazione con i principali social network, in particolare con la pagina facebook dedicata all’associazione. Essere presenti in maniera efficace sul web al giorno d’oggi è un obbligo per poter essere veri evangelizzatori. La speranza è che con il nuovo sito anche l’Associazione Via Pacis si sia mossa in questa direzione, per poter essere ambasciatori di riconciliazione... in rete.

(Lorenzo Parisi)

Per dirigere i nostri passi sulla via della pace

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LIBERTÀ: uguale per tutti?

Nei primi giorni di aprile 2013 accadevano, con significativa coincidenza, alcuni fatti inquietanti. In Olanda, una Corte d’appello sentenziava che una associazione dedita alla promozione della pedofilia aveva diritto a continuare la sua attività. In Francia, imponenti manifestazioni pacifiche protestavano contro il disegno di legge destinato ad istituire il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso. In più occasioni le forze dell’ordine intervenivano con durezza immotivata, mettendo in carcere dimostranti pacifici e silenziosi. Un caso emblematico: un uomo multato perché, al parco con la famiglia, indossava un indumento “urtante”: una felpa senza scritte, con il disegno di un padre, una madre e due figli per mano.Benedetto XVI ha parlato spesso di “dittatura del relativismo”: non era un’esagerazione. La libertà ormai non è uguale per tutti, e

sono sempre più insistenti i tentativi di far passare come incitamenti all’odio, e quindi reati, le convinzioni contrarie al relativismo imperante. Ad esempio, si tenta di introdurre norme per punire con pesanti multe, o con il carcere, chi osa sostenere che per un bambino sia meglio avere un papà ed una mamma, piuttosto che due “genitori” dello stesso sesso.Come siamo arrivati a questo punto? Alcuni segni erano chiari da decenni, e non è mancato chi ha avuto occhi per vederli. Nel famoso discorso di Harvard, “Un mondo in frantumi” (1978), Aleksandr Solženicyn affermava: «Nella società occidentale di oggi è avvertibile uno squilibrio tra la libertà di fare il bene e la libertà di fare il male. (...) La libertà di distruggere, la libertà dell’irresponsabilità, ha visto aprirsi davanti a sé vasti campi d’azione». Già dagli anni ’60 due filosofi cattolici, Augusto Del Noce e Michele Federico Sciacca, avevano messo in guardia contro lo strisciante totalitarismo della società del benessere, tecnocratica, secolarizzata e relativista. Quando si pone lo sviluppo economico come valore supremo, è inevitabile che non si accettino, sopra di esso, fede religiosa o valori morali. Secondo Del Noce, la caratteristica centrale della cultura che si andava

A R E O P A G O

affermando non era il consumismo ma il permissivismo. Si passava dalla “democrazia liberale” alla “democrazia licenziosa”, caratterizzata da un libertinismo di massa. La rivoluzione sessuale e la liberalizzazione dell’aborto erano il nuovo e vero “oppio dei popoli”, per distrarli e tenerli traquilli. Oggi è ancor più chiaro: il consumismo è in crisi, la tecnocrazia non riesce più a far crescere il benessere, ma cerca di legittimarsi promuovendo nuovi “diritti”.Allora gli attacchi al cristianesimo erano meno evidenti, forse perché la secolarizzazione incalzante faceva sperare che esso si dissolvesse da solo. Oggi, si cerca di scardinare la visione cristiana dell’uomo proprio con i nuovi diritti (“diritti degli animali”, “diritto all’aborto” ...) e di zittire i cristiani trasformando in reati le loro convinzioni.Le maschere sono cadute: un tempo i fautori dell’aborto sostenevano che permetterlo non imponeva nulla a nessuno. Oggi invece si battono per togliere ai medici la possibilità dell’obiezione di coscienza. Le prospettive sono fosche, eppure c’è una buona notizia. Nonostante tutto, il cristianesimo ha resistito alla secolarizzazione in modo inatteso. Gli attacchi sempre più duri che riceve sono una prova della sua vitalità.

di Walter Versini

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SUOR RITA PANZARIN, REFERENTE VIA PACIS IN CONGO BRAZZAVILLE

SERATA DISOLIDARIETÀ

«Quest’anno festeggio 38 anni di Africa, 18 dei quali passati a Sembè, in Congo-Brazzaville. Ma posso dire che, se non ci fossero i benefattori, non avremmo mai potuto realizzare quello che è l’orgoglio di noi tutti: il Centro Medico don Domenico

Pincelli. Vi porto, quindi, il ringraziamento da parte di tutta la missione, delle mie consorelle, e di tutti i poveri di cui ci occupiamo. Sono convinta che i missionari non siano soltanto coloro che partono per una terra lontana, ma proprio tutti.Poco prima di partire per venire in Italia, a Sembè è arrivato un elicottero; a bordo c'era il Ministro Nazionale della Sanità, che desiderava visitare la nostra struttura sanitaria. Ci ha chiesto: “Come mai si è fatto tutto questo a Sembè e non nella capitale Brazzaville?”. Molto semplicemente ho risposto: “Perché qui non esisteva niente, mentre a Brazzaville ci sono tanti ospedali e cliniche”. Si ricordava che nella zona in cui ora sorge il magnifico Centro Medico non c’era nulla, nemmeno la strada per arrivarci. Eppure oggi è nato e si è sviluppato un autentico gioiello, come ha sottolineato il Ministro: “Tutte le strutture sanitarie del Congo dovrebbero essere come

questo Centro”.Il Centro Medico è davvero l’unica speranza per il popolo pigmeo.Prima di partire per venire in Italia, sotto una pioggia torrenziale, è arrivato al Centro un ragazzo dicendo solo poche parole: “Mamma muore!”. Avevamo già la jeep pronta per partire, ma, vista la drammaticità di quell’appello, decidiamo di andare al villaggio del ragazzo. Arrivati, entriamo in una capanna fatta di paglia e foglie e vediamo una donna giovane, rannicchiata. Stava per morire. La carichiamo sulla macchina, cercando di guidare il veicolo meglio che si può… purtroppo le strade da noi sono molto dissestate. Durante il viaggio nasce un bimbo piccolissimo, ma subito dopo la situazione della madre peggiora a causa di una forte emorragia. Riusciamo ad arrivare al Centro: la mamma riesce a dare alla luce un altro bambino prima di morire. Chiediamo al ragazzo dov’è il papà di questi bambini. Ci risponde che

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Il 19 aprile 2013 l'Associazione Via Pacis onlus ha tenuto ad Arco (Tn) una serata pubblica all’insegna della solidarietà.Erano presenti l’Assessore alla Solidarietà Internazionale e alla Convivenza della Provincia Autonoma di Trento, dott.ssa Lia Giovanazzi Beltrami, e la referente Via Pacis per i progetti di solidarietà in Congo, suor Rita Panzarin.È stata un’occasione per lasciarsi interrogare, alla luce dell’esperienza delle due relatrici, dal rinnovato appello del povero, che aiuta a riscoprire valori profondi come la condivisione con la sofferenza, la sobrietà, la convivenza pacifica, la reciprocità, la speranza, anche e soprattutto nel difficile periodo in cui viviamo.In rappresentanza delle comunità locali erano presenti il Presidente del Consiglio Comunale di Riva del Garda, Massimo Accorsi, e il Vicesindaco di Arco, Alessandro Betta.Di seguito riportiamo alcuni brani degli interventi di suor Rita Panzarin, dell’Assessore Lia Beltrami e della Presidente Roberta Riccadonna.

il papà è morto a seguito del morso di un serpente, così i due fratellini più grandi (7 e 9 anni) rientreranno al villaggio, ma non troveranno nessuno.Un episodio tra tanti per dirvi come gli orfani facciano parte di tutti noi. Sono situazioni difficili: è duro per noi accettarle, viverle e cercare di risolverle.Un altro episodio. Quando arrivano gli ammalati al Centro, non arriva solo chi sta male, ma il villaggio intero. Poi per l’assistenza rimane solo la famiglia. Un giorno è arrivata tantissima gente e non riuscivamo a capire chi fosse a stare male. Si è fatta avanti una famiglia composta da papà, mamma e tre bambini. Ci hanno raccontato che, nonostante avessero percorso

due giorni di cammino per arrivare a Sembé, uno dei loro bimbi non aveva mai pianto. Purtroppo il piccolo era morto, e loro non se n’erano nemmeno resi conto.

Da sempre a Sembé puntiamo tanto sulla formazione. E questo grazie al supporto dell'Associazione Via Pacis.Formazione per il personale medico e infermieristico, che è costantemente aggiornato – ora possiamo contare su un’équipe molto competente –, ma anche nei villaggi, per le mamme e le giovani generazioni per poter allontanare sempre più

lo spettro della morte neonatale.Grazie a voi abbiamo potuto fare davvero molto e così il Centro Medico è una vera speranza per tutta la gente, perché educando

i piccoli o i giovani diamo loro la possibilità di diventare adulti migliori, speranza per il domani.Con Via Pacis abbiamo realizzato tre scuole per pigmei, aperte anche agli altri bambini. Le prime volte che entravo nelle classi, spesso i piccoli pigmei erano rannicchiati negli angoli; ora sempre più sono bambini vivaci e veramente meravigliosi. I più grandi frequentano il liceo nel capoluogo o in Cameroun e sono una vera speranza per il paese. Qualcuno pensa di diventare medico, qualcun altro infermiere o insegnante.Grazie per aver camminato con me, mano nella mano, per tutti questi anni d’Africa. Grazie per averci aiutato a realizzare quello che è stato definito il “miracolo di Sembè”. Come ha detto il Ministro della Sanità: “Qui c’è di più di un miracolo!”».

L'aiuto economico

da solo non basta:

occorre il coraggio

di far passare in ogni azione il perdono e

la riconciliazione(Roberta Riccadonna)

L'Ospedale don Domenico Pincelli è un

"autentico gioiello", una vera

speranza per il popolo pigmeo

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«È bello vedere quanto sforzo e impegno siano stati spesi per la realizzazione di tutti questi progetti e come siano stati ben impiegati i

fondi pubblici messi a disposizione. Un ammalato in Africa non ha meno diritti di un ammalato in Italia! Spesso il termine “solidarietà” viene letto in maniera superficiale e nel sentire comune provoca anche un certo fastidio. Eppure la solidarietà ha una valenza vitale e ci aiuta a scegliere: o continuare a vivere ripiegati su noi stessi, o farci carico gli uni degli altri. La solidarietà è anzitutto scambio. Non abbiamo meriti se abbiamo di più di altri: semplicemente siamo vissuti in una parte del mondo dove c'è di più. Credo, invece, che ci dovremmo porre davanti agli altri come uno specchio per far vedere a chi ci sta davanti tutta la sua bellezza, quella bellezza che è dentro di lui.

La solidarietà è anche uno straordinario percorso di guarigione. Quando il povero è davanti a me, egli può guarirmi dall’orgoglio,

dalle ferite profonde, dal bisogno di sentirmi riconosciuto. Se lo lascio fare, il povero mi guarisce.

La solidarietà crea comunità. È una scelta di vita: non possiamo pensare ad una solidarietà internazionale o ad una solidarietà del Nord Italia o ad una solidarietà del vicinato... Non posso sostenere un progetto nel Sud del mondo e poi non interessarmi del mio vicino di casa Nella solidarietà c’è davvero spazio per tutto e per tutti.

Grazie di cuore, Via Pacis, per quello che fate! Non smettiamo mai di trasmettere la bellezza che sta dentro il cuore della solidarietà».

LIA GIOVANAZZI BELTRAMI, ASSESSORE ALLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE E ALLA CONVIVENZA DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

La nostra preoccupazione primaria è che le persone

non ricevano solo aiuti, ma siano aiutate a crescere

in consapevolezza e maturità

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«Sono tante le richieste di progetti che quotidianamente ci arrivano nella speranza di trovare un finanziamento; tante sono le sofferenze, le mancanze, cui

bisognerebbe far fronte. Ma dappertutto non si riesce ad arrivare e con l’esperienza, nel tempo, abbiamo capito che la nostra associazione deve puntare soprattutto su formazione e istruzione.La nostra preoccupazione primaria è quella di permettere che le persone non ricevano solo aiuti di prima necessità (cibo, acqua, medicine, pur importanti), ma che siano anzitutto formate, aiutate a crescere in consapevolezza e maturità, per poter a loro volta autogestirsi e migliorare la propria situazione e quella locale. Siamo consapevoli che il frutto della formazione non si coglie immediatamente, che ha bisogno di tempo. Noi abbiamo scommesso ed accettato questa sfida: seminare, fiduciosi che il chicco che trova il terreno buono darà frutto a suo tempo. E siamo sempre più convinti che l’aiuto economico da solo non basti: occorre il coraggio di far

passare in ogni azione il perdono e la riconciliazione.Noi siamo soltanto un tramite tra voi e i poveri, e abbiamo la grande responsabilità di utilizzare al meglio il denaro che raccogliamo in progetti di crescita e sviluppo.Non possiamo pensare che siano sempre gli altri a far fronte alle difficoltà e alle fatiche… tutti dobbiamo sentirci responsabili dell’andamento della storia».

ROBERTA RICCADONNA, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE VIA PACIS ONLUS

Il Direttivo dell'Associazione Via Pacis Onlus con l'assessore alla Solidarietà Internazionale della P.A.T., Lia Giovanazzi Beltrami

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C H E C K P O I N T

Il filosofo danese Sөren Kierkegaard descriveva con questa metafora il nostro mondo: “La nave non è più in mano al timoniere, ma al

cuoco di bordo, che trasmette dagli altoparlanti non la rotta e lo stato del mare, ma il menù della cena”.Il ‘900 era stato immaginato come il secolo che avrebbe finalmente

liberato gli uomini dalla fame e dal lavoro alienante, dove tutti avrebbero avuto il necessario e il tesoro dei tesori: la libertà. I risultati non sono stati soddisfacenti e ci si è accontentati di un surrogato: il tempo libero. È nato così il progetto planetario di una società fondata sul party perenne, sulla vacanza da sogno, sul mito dell’inesauribilità delle risorse e del futuro radioso per tutti (se non proprio per tutti, almeno per noi).Questo tipo di società però porta ad assuefazione e chiede sempre di più, spingendo verso sempre nuove tipologie di dipendenza. In fondo, il risultato è uno solo: la mancanza di misura.

Del resto, “senza il divertimento l’economia mondiale crollerebbe”, si legge in un articolo del Tagesspiel di Berlino, e così, anche in situazione di grave crisi economica, facciamo fatica (o ci sentiamo in

colpa) a rinunciare agli status-symbol del benessere globale.L’intrattenimento leggero tende così a riempire gli spazi lasciati liberi dai valori, e tutto diventa relativo, indistinto. Allora sì c’è il rischio che al timoniere possa sostituirsi il cuoco di bordo; non a caso, in politica, a livello mondiale, fanno

audience, come leader indiscussi, attori, cantanti, calciatori, soubrette e comici, mentre la cultura e l’istruzione versano in

Pronti aSALPARE?

di Tiziano Civettini

«Non si può vivere senza

verità, eppure ci siamo ormai

abituati alla menzogna pubblica»

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29PRONTI A SALPARE?

un’emergenza drammatica. Il risultato è che nelle questioni, anche vitali, che riguardano la vita delle persone e della nazione, non occorre più argomentare con delle ragioni, ma basta essere simpatici e saper screditare efficacemente gli avversari.In questa situazione la verità non trova facilmente ospitalità. Non parlo solo delle verità di fede, ma anche delle ‘verità’ scientifiche e di quelle relative ai fatti di cronaca e alla loro interpretazione. La cultura attuale sembra anzi fondarsi su uno strano dogma: “La verità è che non esiste alcuna verità”. Non è un controsenso? Non è qualcosa che, a lungo andare, si ritorce contro di noi?Certo, ci si può sempre consolare e nascondere dietro le tante piccole verità in commercio, che durano un giorno e si possono sempre smentire il giorno dopo.La menzogna sfrutta l’attuale debolezza della ragione; spesso ci

lasciamo convincere più dal modo di porsi di una persona, dal suo aspetto fisico, dal suo ammiccare, o dalle sue promesse,

che dai ragionamenti che porta.Non è detto però che la menzogna sia sempre diretta e spudorata, ma in ogni caso è sempre distruttiva. Un esempio: il capitano di una nave, preoccupato per la sicurezza dei passeggeri, fa quotidianamente rapporto contro il suo Secondo scrivendo sul giornale di bordo: “Oggi il mio vice è ubriaco”. Questi si vendica scrivendo: “Oggi il capitano non è ubriaco”, lasciando intendere che tutti gli altri giorni lo è. È una verità incompleta e tendenziosa: è un mentire-senza-mentire. Questa è la vera astuzia del serpente, che ci richiede il dono della sapienza.Senza verità non si può vivere, eppure ormai ci siamo abituati alla menzogna pubblica. Un politico può dire una cosa e il giorno dopo il contrario? Niccolò Machiavelli l’aveva teorizzato: “Il principe deve imparare a mentire”. Adesso anche i bambini sanno che il ‘principe’ mente, e non ne vediamo il problema. Vale anche per il papà e la mamma? E per l’insegnante? Se così fosse, sarebbe la fine della democrazia e della civiltà, la fine della convivenza pacifica e delle relazioni primarie. Ma la menzogna non è mai innocua: ci sono sempre

vittime innocenti della menzogna. Davvero occorre chiedere a Dio il dono della sapienza, per guardare in faccia la realtà senza raccontarci favole, per saper riflettere sugli eventi, evitando le nebbie della superficialità.Se decidiamo di prendere saldamente in mano il timone della nostra nave, secondo verità, occorrerà però mettere in conto alcune semplici cose:primo, se si cerca la verità non si possono evitare le tempeste;secondo, la navigazione comporta sempre errori e imprevisti. Bisognerà spesso modificare la rotta, senza mai perdere di vista la mèta;terzo, per navigare bisogna tenere un occhio sulla carta nautica e l’altro sul cielo. Un proverbio africano dice: “Per tracciare diritti i solchi della vita, devi legare il timone del tuo aratro ad una stella”. Non basta l’intelligenza della mente, ci vuole anche l’intelligenza della fede;quarto, la navigazione richiede leggerezza del bagaglio e del carico della nave. Non si può portare tutto, occorre imparare a distinguere tra necessario e superfluo; quinto, per distinguere tra necessario e superfluo occorre fare ordine e pulizia fra le proprie cose, i propri affetti e il proprio tempo.

La cultura attuale sembra

fondarsi su uno strano

dogma:"La verità è che non

esiste alcuna verità".

Non è un controsenso?

Non è qualcosa

che, a lungo andare,

si ritorce contro di

noi?

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Relazione con le FAMIGLIE di origine

di Maria Luisa Toller

Il rapporto equilibrato con le famiglie di origine è un nodo cruciale per la relazione di coppia.Quando due persone

cominciano una relazione affettiva, di solito non sono consapevoli del fatto che molti loro atteggiamenti, abitudini, valori, punti di vista sul mondo, provengono dalla propria famiglia di origine. È come una corrente sotterranea, che lega

ciascuno di noi con fili invisibili alla famiglia da cui proveniamo. Anche chi crede di aver tagliato i ponti, di aver fatto scelte diametralmente opposte a quelle dei propri genitori, porta dentro di sé modi di pensare e di agire particolari, sedimentati, su moltissimi aspetti del vivere. Rapporto col cibo, col denaro, paure, attaccamenti, ideali, pregiudizi…come si vive un lutto o una perdita, come si affronta la malattia, come si vive la sessualità, solo per fare qualche esempio. Sono due mondi che si incontrano, non semplicemente due persone. Attualmente poi, specialmente nella società italiana, il distacco dalla famiglia di origine è sempre più difficile, e spesso la permanenza in famiglia si prolunga ben oltre la terza decade di vita, età nella quale bisognerebbe chiamare la propria famiglia “famiglia di origine”.

F O R M A Z I O N E

In molte coppie che incontro le difficoltà relazionali, perfino sessuali, hanno come base le difficoltà di svincolo dalla famiglia d’origine. Che si tratti di invadenza dei genitori, o di dipendenza dei figli, il risultato è lo stesso: l’impossibilità che si formi quell’elemento nuovo, speciale, unico, che è una coppia. Tutte le volte che ci sarà un progetto da realizzare, un problema da risolvere, un passo avanti da tentare, i due saranno bloccati dalla potente “lealtà” che li lega alla famiglia di origine. Se il problema non fosse ancora venuto a galla, lo rivelerà, spesso in maniera esplosiva, la nascita del primo figlio.Lo dico alle giovani coppie, ma anche, e in particolare, alle coppie mature: una nuova famiglia ha bisogno di confini. Molti, data la precaria situazione economica, attualmente sono ben felici di poter

Una nuova famiglia

ha bisogno di confini.

Se i confini sono chiari,

non c'è bisogno di difendersi...

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1 Cfr M.t. zAttonI, A pranzo da mamma. La coppia e le famiglie di origine, Cinisello Balsamo (MI) 2005, cap. 5.

abitare nella casa di una o dell’altra famiglia d’origine, adattata per l’occasione. La mia domanda è: sulla porta d’ingresso del vostro appartamento, metterete una maniglia o un pomolo? Il messaggio del pomolo è chiaro: per entrare a casa vostra, chiunque dovrà bussare.I confini1 sono importanti. Quando a scuola ci raccontavano i miti della fondazione di Roma, ci dicevano che per prima cosa Romolo e Remo ne tracciarono i confini con l’aratro, segnando un solco che nessuno doveva osare valicare. Dentro ai confini della nuova città, il re ha il potere di dire: questo è il mio territorio, chiunque vi entra da amico o da invitato è atteso e benvenuto, e si comporterà da ospite. Chiunque vi entra non invitato è un aggressore, anche se non lo sa: si comporterà da invasore, magari pensando di

fare bene, come la suocera di una mia amica che, quando era assente, le metteva a posto gli armadi. La coppia deve fare buona guardia ai propri confini e scoprire che mamme e papà, di lui e di lei, quando entrano, devono chiedere il permesso. Chi non custodisce i propri confini, prima o poi scopre che il genitore (suocero/suocera) che non li rispetta corrode la coppia, anche se in maniera subdola.Attenzione: i confini, però, non devono essere barricate. Talora si alzano le barricate per paura o per rivalsa, ma proprio perché i confini non sono chiari. Dalla chiarezza dei rapporti con i rispettivi genitori, invece, i coniugi possono aiutarsi a vicenda nella riconoscenza, nel prendersi cura di loro quando ne avranno bisogno, addirittura nel favorire riconciliazioni. Se i confini sono chiari, non c’è bisogno di

RELAZIONE CON LE FAMIGLIE DI ORIGINE

difendersi, e ciascuno riuscirà a guardare la famiglia dell’altro con occhi non ostili, non puntati a cogliere solo difetti e limiti; occhi capaci di vedere la novità, il positivo, e di aiutare l’altro a ri-conoscere, cioè a “conoscere di nuovo”, i propri genitori. E se i problemi sono gravi, diventa possibile portare insieme i pesi, cercare insieme le soluzioni, usando sempre il pronome “noi”.

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Q U A N T O A M O L A T U A P A R O L A

Nel brano di Vangelo dal quale vogliamo lasciarci leggere è presentata un’umanità bisognosa

che ottiene, tramite Gesù, una straordinaria risposta da parte di Dio, al punto che tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». Eppure, ci si accorge che Gesù guarisce sì il paralitico, ma senza assecondare

meccanicamente i desideri delle quattro persone che glielo pongono dinnanzi. Anzi, Gesù punta ad altro. Gesù sembra preoccupato maggiormente di far vacillare le convinzioni degli specialisti delle Sacre Scritture, gli scribi, alcuni dei quali stranamente si trovano proprio lì, fuori dal loro ambiente ufficiale (il Sinedrio), dentro le mura di una casa privata e “mescolati” a così tanta gente comune (la folla).Si seppe che era in casa e si

Un PERDONOa 360°

Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». (Mc 2,1-12)

di Gregorio Vivaldelli

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radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. La fama di taumaturgo, cioè di guaritore, di operatore di miracoli, ormai precedeva Gesù ovunque andasse. Nel primo capitolo del suo Vangelo l’evangelista Marco annotava che «Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città» (Mc 1,45). Evidentemente, Gesù dovette giocare d’astuzia per riuscire ad infiltrarsi di nuovo a Cafarnao. È toccante vedere come Gesù, nonostante gli uomini lo cerchino per altri motivi, tenti di comunicare quella Parola di

pace, di perdono, di riconciliazione e di misericordia che sola è capace di rivelare agli uomini il vero volto del Padre.scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Si tratta di un incantevole gesto d’amore e di fede. Scoperchiando una parte del tetto, è come se queste quattro persone permettessero al “cielo” di entrare

in quella casa. La loro intercessione trasforma quella casa nel teatro di una delle più grandi manifestazioni della novità di Dio in Gesù. Sembra quasi che per poter aprire un varco “orizzontale” in quella casa (non potendo portarglielo innanzi), sia più urgente dischiuderne uno “verticale”. Ecco il valore dell’intercessione cristiana: ingegnarsi fattivamente per aprire un po’ di cielo sopra la sofferenza che opprime tante persone.Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Possiamo immaginarci la prima reazione dei quattro eroici amici del paralitico all’udir queste parole di Gesù: “Chi ti ha chiesto di sistemare i suoi rapporti con Dio? Ciò che ti chiediamo è di guarirlo fisicamente”. Prima, invece, Gesù vuole rigenerare il paralitico ad una nuova possibilità di esistenza (lo chiama infatti figlio) attraverso il condono dei suoi peccati. Con tali parole Gesù manifesta una pretesa enorme: disporre di un potere che soltanto Dio può avere.Tutto sommato, allora, la reazione interiore degli scribi non è poi così banale: Perché costui parla così? Chi pretende di essere questo Nazareno? E la domanda rimbalza nel nostro cuore: cosa pretende di fare Gesù nella mia vita con la sua Parola? Sembra che non si accontenti di qualche osservanza religiosa, ma che voglia al contrario estirpare la radice stessa del male, che mi impedisce di vivere in pienezza il mio discepolato. Questa degli scribi è un’obiezione

da prendere molto seriamente. Se Gesù, infatti, si rivela come colui che rimette i peccati, vuol dire che Egli è Dio, e pertanto non lo si può mai ridurre alla stregua di uno dei grandi personaggi della storia o a un’ideologia, e nemmeno ingessarlo dentro a stanchi pregiudizi religiosi. Se Gesù è Dio, vuol dire che la misura del mio rapporto con lui è la totalità della vita.Il Vangelo, inoltre, registra come Gesù riveli agli scribi la propria divinità in maniera ancora più chiara

intuendo i loro pensieri: Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé. Per la tradizione biblica, infatti, saper leggere nei cuori degli uomini è una prerogativa esclusiva di Dio: «Signore, tu mi scruti e mi conosci. Penetri da lontano i miei pensieri; la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta» (Sal 139,1-4).Resta la provocazione di questo brano del Vangelo. C’è come

un inconfessato grido con il quale chi ascolta questa Parola deve, prima o poi, fare i conti: Bestemmia! È un’accusa drammatica. È l’accusa che azzittirà la Parola crocifiggendola (cfr Mc 14,64), così come previsto dalla Legge: «Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte» (Lv 24,16). Sul cuore degli scribi il cielo sembra non essersi mai aperto; anzi, con la loro accusa si preoccupano di chiuderlo al più presto. Aiutiamoci allora a lasciarci “scuotere” da questa bella notizia: in Gesù il cielo si è aperto, l’uomo e Dio non sono più separati, il cielo e la terra si sono uniti in una casa privata.

«in Gesù il cielo si è

aperto, l’uomo e Dio non sono più separati, il cielo e la terra

si sono uniti in una casa

privata»

UN PERDONO A 360°

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È U S C I T O I L N U O V O C D V I A P A C I S

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Tu scrivi: “Quando sento parlare di vocazione, o di chiedere a Dio la sua volontà, mi viene l’orticaria… Non è

che dovrò farmi prete?”. Esprimi, con la tua consueta chiarezza, un pensiero che avete in molti. Una giovane e bella ragazza mi diceva recentemente: “Devo stare attenta a pregare, perché temo mi salti addosso la vocazione!”. Ci portiamo dentro una strana idea: devo nascondere a Dio ciò che mi piace, perché altrimenti certamente me lo toglierà, mi farà fare l’opposto di quanto desidero.

Forse abbiamo un’idea pagana di Dio, un dio da esorcizzare, da tenere buono, contrario alla felicità e alla gioia dell’uomo. Come ti scrivevo recentemente, dobbiamo ripulire l’immagine di Dio dalle tante maschere che vi abbiamo buttato sopra. Come dirti che Dio è esattamente l’opposto? Che parole efficaci usare per trasmetterti l’immagine di Dio che Gesù ci ha rivelato? Quello che Dio vuole per noi è che siamo contenti, che la vita ci faccia un buon servizio, che siamo sereni dentro e fuori di noi. Vuole-desidera che scopriamo e traffichiamo i tanti doni, talenti, qualità, attitudini che abbiamo, in modo da essere soddisfatti e grati di quello che siamo e facciamo. La felicità, in fondo, è tutta qui: essere in armonia con sé stessi, soddisfatti di sé, potendo vivere ed agire secondo la nostra attitudine profonda, il nostro desiderio autentico. Quando noi realizziamo appieno la nostra vita, il primo ad esserne felice e a fare il tifo per noi è proprio Dio! Lui che è sempre dalla nostra parte. Quindi non temere di doverti “fare prete”. A controprova

di quanto dico è la testimonianza di tante persone, non ultimi coloro che hanno fatto una scelta celibataria in Comunità scegliendo di donarsi totalmente a Dio, di “consacrarsi” a Lui. Lo hanno desiderato fortemente tanto da andare contro a veti familiari, a convenienze sociali ed economiche, a desideri naturali. Preferendo questa strada rispetto a tutte le altre e trovando in essa il senso pieno della loro vita. Certo non senza impegno, determinazione, fatica e volontà.Ognuno ha la propria chiamata-vocazione, e ciascuna è croce e delizia, ciascuna porta con sé gioia e dolore, riposo e fatica. Il segreto è imparare ad affrontare le difficoltà in modo che da inciampo possano diventare opportunità e da ostacoli trampolini di lancio.Un bacio in fronte con affetto.

Tua Eliana

di Eliana Aloisi Maino

Alla ricerca della FELICITÀ

ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ

C A R I S S I M O . . .

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Appuntamenti

9 GIUGNO · Melicucco (RC) · Giornata di spiritualità: "Radicarsi per vivere"

21 GIUGNO · Arco (TN) · Celebrazione Eucaristica in memoria del co-fondatore don Domenico Pincelli nel X° Anniversario della sua morte

1-5 LUGLIO · Riva del Garda (TN) · Compiti Camp

14 LUGLIO · Mammola (RC) – Eremo di san Nicodemo · "Pace, gioia e carità"

20 LUGLIO · Pordenone · "Via Pacis e il coraggio della novità"

21-27 LUGLIO | 28 LUGLIO - 3 AGOSTO · Lavarone (TN) · Settimana estiva per ragazzi e bambini

12-13 AGOSTO · Camposampiero (PD) · Meeting per leader: Il perdono cemento della comunità

13-17 AGOSTO · Camposampiero (PD) · Meeting Nazionale “Aperti alle sorprese dello Spirito”

21-26 AGOSTO · Bosnia-Erzegovina · “Oltre confine: direzione Balcani” · Viaggio di formazione per giovani a Mostar/Sarajevo

27 AGOSTO · Riva del Garda (TN) · Dalle Filippine a Via Pacis · Suor Rosanna Favero

Spettacoli musicali: segui le informazioni su www.viapacis.info

I t a l i a

C o l o m b i a29 GIUGNO · Armenia · Giornata di spiritualità

30 GIUGNO · Armenia · "Mirar con ojos Via Pacis: encuentro con los lideres"

30 GIUGNO - 1 LUGLIO | 6-7 LUGLIO · Armenia · 1° e 2° Seminario de pacificaciòn interior

2 LUGLIO · Armenia · "Jovenes de la paz por la paz"

5 LUGLIO · La Tebaida · Asamblea Via Pacis

A f r i c a13-17 AGOSTO · Karen (Kenya) · “Spiritual Camp” for children 9-13 years

24-26 AGOSTO · Nairobi (Kenya) · Meeting Via Pacis: "Every day life: way to Sanctity"

28 AGOSTO · Unyolo (Kenya) · "The forgiveness bond of the peace"

30 AGOSTO · Nairobi · Leaders meeting: “The Church calls us toward responsability”

7 LUGLIO · Kampala (Uganda) · Spirituality Day: "Ambassadors of Reconciliation"

APPUNTAMENTI

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