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Neuroetica: una finestra sul cervelloUna prospettiva provocatoria
Monza, 18 maggio 2013
Andrea Lavazza
Centro universitario internazionale, Arezzo
Neuroscienze, delitto e legge: esiste la “colpa”?
Il neurodiritto
L’incontro-scontro delle neuroscienze cognitive con le categorie del diritto e lo svolgimento del processo (penale e civile)
L’utilizzo di conoscenze e di strumenti di analisi delle neuroscienze nell’applicazione della legge
La revisione di istituti giuridici alla luce delle acquisizioni delle neuroscienze
Due ordini di questioni
• La questione “esterna”: siamo mai giustificati nel ritenere qualcuno moralmente e legalmente responsabile dei propri atti?
• La questione “interna”: quesiti interpretativi e fattuali (ad esempio, dove deve essere fissato il confine della maggiore età?)
Alcune tesi
Siamo diversi da come ci raffiguriamo
I confini della “normalità” vanno spostati in modo radicale
(Forse) non siamo liberi nel senso che solitamente attribuiamo a quest’idea
Le neuroscienze sembrano volere
dimostrare che il nostro
comportamento è determinato da
eventi fisici cerebrali e che quindi
non possiamo essere responsabili
Un’altra linea di ragionamento
sostiene che le scoperte
neuroscientifiche potrebbero
dimostrare che gli stati mentali
non sono causalmente all’origine
del nostro comportamento
Cadono i presupposti del diritto?
Neuropersona?
Nasce un modello di
neuropersona secondo il quale
biasimare le persone per il loro
comportamento non ha senso in
quanto la condotta è il prodotto
dei cervelli. Mente e cervello
sono la stessa cosa e il
comportamento è interamente
determinato da microeventi
cerebrali, che sono in gran parte
automatici e inconsci
Il consequenzialismo
Il consequenzialismo emerge dalla tradizione utilitaristica classica (Bentham), secondo la quale la punizione è giustificata dai suoi futuri effetti benefici: la prevenzione del crimine con l’effetto deterrente della pena e la messa in sicurezza della società con il contenimento degli individui pericolosi
Joshua Greene
“Il consequenzialismo non ha il problema che qualcuno sia davvero innocente o colpevole in qualche senso ultimo che dipende dalla libertà, ma si pone solo il problema dei probabili effetti della pena”
Il retributivismo
La concezione retributivistica sostiene che il principale scopo della condanna penale è infliggere a coloro che sono sotto giudizio ciò che meritano in base alle loro azioni passate
L’argomento per il consequenzialismo
La visualizzazione in vivo dell’attività cerebrale finirà con il fare crollare le fondamenta anti-materialistiche della posizione libertaria circa il libero arbitrio, togliendo le basi necessarie all’idea di “merito”
La giustizia penale retributiva sarebbe dunque inconciliabile con il nuovo determinismo riferito alle scelte umane: se tutte le azioni vengono prodotte da cause cerebrali che vanno oltre la possibilità di controllo degli individui, diventano inintelligibili i concetti di colpa e di punizioni meritate su cui poggia il sistema retributivo
Il contrasto tra prospettive
Il legislatore deve assumere una posizione “assiomatica” circa l’esistenza del libero arbitrio e l’agentività del comportamento umano.
Nella prospettiva giuridica l’ azione umana è basata sul continuum concettuale di libertà, agentività, responsabilità (dualismo) che riflette l’esperienza immediata e condivisa a livello di psicologia ingenua (non intesa in un’accezione svalutativa),
Una prospettiva che trova minor fondamento a livello di riflessione filosofica più raffinata. E, oggi, anche di psicologia empirica e neuroscienze. Il diritto, dunque, nei suoi istituti fondanti, configura un potenziale conflitto (e anche di incomprensione) tra pensiero scientifico ed esperienza vissuta.
Diritto e mente
I modelli di mente/cervello che implicitamente
reggono i sistemi penali moderni paiono quasi-
dualistici (presuppongo cioè un’idea di mente
capace di deliberazione volontaria in modo almeno
parzialmente indipendente dagli eventi che
riguardano il corpo) e si richiamano implicitamente
o esplicitamente alla teoria dell’agent causation,
ovvero la teoria che sostiene l’attribuzione
all’agente consapevole dell’origine causale
dell’azione.
Le neuroscienze sembrano volere
dimostrare che il nostro
comportamento è determinato da
eventi fisici cerebrali e che quindi
non possiamo essere responsabili
Un’altra linea di ragionamento
sostiene che le scoperte
neuroscientifiche potrebbero
dimostrare che gli stati mentali
non sono causalmente all’origine
del nostro comportamento
Cadono i presupposti del diritto?
Prospettive rifondative
Si cominciano allora ad avanzare proposte “rifondative” che cerchino di riconciliare le pratiche sociali con la “vera” descrizione degli stati del mondo.
In particolare, secondo la prospettiva più radicale, per ora minoritaria, dimostrata la validità del determinismo cerebrale (e confutata la legittimità della posizione compatibilista, si deve però aggiungere), una concezione consequenzialista del diritto deve andare a sostituire quella retributiva attuale, che alla luce della scienza non sarebbe più sostenibile
La scuola positiva Già nella seconda metà dell’Ottocento, nell’ambito della Scuola Positiva, si era cercato di dare una risposta al crimine che si considerava “totalmente determinato”
Cesare Lombroso sosteneva una lettura “scientifica” del crimine: se il comportamento è determinato dal cervello e da un cervello primitivo, non può che derivarne un comportamento primitivo (l’atavismo) e, in quanto tale, criminale
Se dunque il crimine non è libero, in quanto nient’altro che funzione di una certa architettura cerebrale (primitiva), la punizione non ha senso: l’unica reazione possibile è la messa in condizione di non nuocere
Dati empirici (a favore)
Le vaste ricerche condotte da A. Raine, indipendenti dalle considerazioni svolte finora, aggiungono un altro elemento. Un’ampia mole di dati empirici raccolti nei penitenziari suggeriscono infatti che esistono significative differenze strutturali e funzionali tra i cervelli di molti (non di tutti) “delinquenti, criminali violenti e psicopatici” e quelli di soggetti di controllo incensurati (Raine e Yang, 2006)
Il caso di Trieste
• Un algerino accoltella a morte un passante che l’ha insolentito
• L’imputato manifesta disturbi psicologici, con lunghi trattamentipoi interrotti
Il caso di Como
• Una giovane uccide la sorella e le dà fuoco
• Poi tenta di sopprimere i genitori che sospettano di lei
• In precedenza, aveva sperperato i beni di famiglia, inventandosi una vita parallela
Il “vizio di mente”Art. 88 c.p. - Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere.
L'infermità che dà luogo al vizio di mente può consistere in un'alterazione morbosa psichica o fisica, funzionale o organica, acuta o cronica, transitoria o permanente, continua o accessionale, congenita o acquisita.
Art. 89 c.p. - Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita.
Per i minori di 14 anni esiste una presunzione di assoluta incapacità di intendere e di volere (art. 97 c.p.).
Chi non è liberoIl vizio totale di mente ha per conseguenza il proscioglimento dell'imputato, al quale si applica la misura di sicurezza ricoverandolo in ospedale psichiatrico giudiziario (art. 222).
Nel caso di vizio parziale si applica il cumulo della pena ridotta e della misura di sicurezza (art. 219), prima scontando la pena, poi facendo luogo al ricovero in una casa di cura e di custodia
Il caso di Trieste / Sentenza
L’imputato ha una fragilità genetico-cerebrale, accentuata dall’ambiente e dalla sua storia personale
Pena ridotta in appello di un anno, nel massimo previsto
Il caso di Como/Perizia 1
G. Sartori, P. Pietrini et al.
Il caso di Como/Perizia 2
G. Sartori, P. Pietrini et al.
L’aggressività è nei geni?
Il caso del MAO-A e dei recettori della serotonina
Aggressivi soltanto se maltrattati da bambini (il problema della sorte morale nella lotteria genetica)
I finlandesi sono più aggressivi?
Il caso di Como/Sentenza
La giovane ritenuta parzialmente incapace di intendere e volere per dissociazione di personalità
Vent’anni invece dell’ergastolo (anche per il rito abbreviato). Ricovero in casa di custodia e cura per almeno tre anni
Breivik – La sentenza
Malato di menteo lucido criminale?
Prima dichiarato malato di mente, poi sano e condannato a 21 anni di carcere
In due attacchi meticolosamente pianificati ha ucciso 77 personeNon ha dato alcun segno di rimorso
Il caso Whitman
Charles Whitman, nel 1966,uccise la madre e la mogliepoi fece strage all’Universitàdel Texas, a Austin
L’autopsia, per la quale egli stesso aveva lasciato disposizioni, rivelò un tumore cerebrale
Il caso di Vicenza / 1
Uno stimato e insospettabile pediatra sessantenne comincia a manifestare comportamenti pedofilici (foto e molestie alle bambine dell’asilo in cui opera)
Non mette in atto precauzioni: viene scoperto e arrestato in flagranza di reato
Il caso di Vicenza / 2
Dopo alcuni test neuropsicologici che evidenziano deficit cognitivi, gli viene scoperto un tumore
Viene operato. La difesa attribuisce la pedofilia al tumore. La corte lo condanna
L’approccio delle capacità
Ciò che conta per essere dichiarato imputabile è un certo profilo comportamentale generale. Il fatto che vi siano cause organiche del comportamento non è una scusante
Ma se le cause del comportamento non sono “mentalistiche”, si ricade nella cosiddetta questione esterna del diritto
Sarà rivoluzione?
Quanto si allarga l’area dell’incapacità
di intendere e di volere?
Quali resistenze vi saranno
all’evoluzione del diritto
sotto la pressione della
scienza? (cfr. reazioni alla
sentenza di Trieste)
A. Lavazza, L. Sammicheli Il delitto del cervello. La mente tra scienza e dirittoCodice Edizioni, Torino, 2012
Grazie dell’attenzione