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Centro Missionario Diocesano - Trento - ADOZIONE A DISTANZA BAMBINI Numero 60 Estate 2017 supplemento n.1 a “Comunione e Missione” n. 7 luglio 2017 - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004) art. 1, comma 2 - DCB Trento - redazione: via S. G. Bosco 7/1, 38122 Trento - direttore: Giuseppe Caldera - responsabile: Agostino Valentini

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Centro Missionario Diocesano - Trento -

ADOZIONE A DISTANZA BAMBINI

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don Francescodon Beppinoe gli amici del CMD

Partiremo subito per vivere

e non morire, noi, tu e i no-

stri bambini.Gen 43, 8

In ogni parte del mondo ci sono culture, gruppi, tribù, cioè esseri umani considerati come i dannati della terra. Non c’è tregua né spa-zio per loro. Un’umanità dolente, disprezzata, rifiutata. Se guardiamo oltre il muro delle nostre piccole co-noscenze, riconosciamo che sono migliaia le minoranze perseguitate. In primo luogo, la Siria, con innu-merevoli vittime della guerra inter-na dal 2011. La seconda posizione, nella lista nera, è la Somalia, dove le mino-ranze etniche Bantu, Benadiri e Ga-boye, insieme ad altre minoranze religiose, sono vittime di margina-lizzazione sociale e di violazione dei diritti umani, messe in atto dai clan maggioritari. A seguire le regioni del Darfur nel Su-dan, l’Afghanistan, l’Iraq, la Repubbli-ca del Congo, il Pakistan, il Myanmar, il Sud Sudan e la repubblica Centra-ficana, con la violazione della libertà religiosa e l’aumento della violenza. Nell’estate del 2014, l’ISIS conqui-sta Mosul e la pianura di Ninive. Viene creato un califfato guidato dalla legge coranica, interpretata in modo violento e viene emesso un editto contro i non-musulmani, ai quali vengono offerte tre scelte: la conversione all’Islam, l’accettazione del dhimmi (protezione in cambio di una tassa mensile) o la morte a fil di spada. La quarta opzione (non ufficiale) dà la possibilità di lasciare tutto e partire: avere salva la vita, perdendo la propria terra e tutti gli averi. In questo modo lo stato islamico si è appropriato delle ric-chezze di migliaia di persone, e ha ripulito il territorio da minoranze che potevano diventare pericolo-se. Questa operazione ha causato danni enormi ai paesi vicini, cari-candoli di centinaia di migliaia di rifugiati. 485 mila fuggiti da Mosul

e 793 mila dalla Piana di Ninive. Tra loro circa 110 mila cristiani. Anche in America Latina, i seguaci di Cri-sto sono un bersaglio scelto dalle gang dei narcotrafficanti perché con il loro credo rovinano la piazza al mercato della droga. I cristiani sono perseguitati per-ché nel mondo sono la minoran-za maggiore, perché in molte parti del mondo sono minoranza etnica oltre che religiosa, per esempio i cristiani dei gruppi etnici Karen e Chin (Myanmar), condannati a lavo-ri forzati e ad uccisioni: in Corea del nord, circa 300.000 cristiani sono eliminati o esiliati, perché in molte parti dell’Asia cristianesimo equiva-le a occidente oppressore. I cristiani diventano così l’occidentale locale, il nemico a “kilometro zero”, senza bisogno di viaggiare lontano. Ogni qualvolta una minoranza è spazzata via, perseguitata fino allo sterminio, assimilata o in-ghiottita dalla modernità, invasa dal turismo di massa, è una per-dita per tutta la società.Così è avvenuto in passato, al nord dell’Europa, con i Sami (o Lapponi), il popolo delle renne, ultimi pri-mitivi dell’Europa. Dalla notte dei tempi, questa gente vive in quel profondo nord, in osmosi con la na-tura, convivono con i grandi erbivo-ri della tundra, le renne, ma ora sia gli uni che gli altri sono minacciati da sfruttamento ed estinzione.Così avviene oggi, col popolo dei Rohingya (Myanmar). Gruppo et-nico di religione musulmana, sono circa 800.000. Una delle minoranze più perseguitate del mondo. Sono i boat people dimenticati dell’Asia. Oggi non hanno libertà di mo-vimento, non possono andare a scuola o curarsi, sono obbligati a non avere più di due figli, non han-no diritto alla proprietà privata. Per questo, sono piovute critiche alla Nobel della Pace, ora ministra im-portante, Aung San Suu Kyi. Il mon-do tace, non vede, non sente, come l’Europa che ha ignorato lo stermi-nio della Siria e altrove.Così coi popoli ROM dell’Europa, con i Montagnard, cristiani per-

seguitati e espulsi da Hanoi (Viet-nam), e discriminati a Bangkok (Thailandia). Chi parla dello sfruttamento minori-le dei bambini e bambine, da 8 anni in su, che lavorano nelle piantagio-ni del tabacco dell’Indonesia? E che attenzione all‘inquieto mondo dei minori non accompagnati, catapul-tati dentro un’Europa indifferente e smemorata? Cerchiamo aiuto e voi ci cacciate: per favore fermate questo odio gridano le donne rifu-giate, ricacciate da Gorino, Italia. Fuori dagli schermi, il popolo Kuka-ma (Perù) e i suoi fratelli, passati da maggioranza a schiavi: l’inquina-mento causato dal petrolio ha stra-volto l’Amazzonia peruviana: anche i pesci (quelli vivi), sono dimagriti per il mercurio e altri veleni. Ricordiamo anche le donne, rapite dall'Isis e vendute online: donne e intere famiglie con bambini, all’asta su chat segrete dei militanti dell’Isis. Far memoria dei popoli tribali dell’A-sia, isolati, ai confini di vari stati. E portare nel cuore, i popoli aborigeni (minoranza si fa per dire) dimenticata e ignorata, della Papua occidentale. Ma, per nostra fortuna, in un’Olan-da (antico impero coloniale) dove la paura verso lo straniero stride an-cor di più, Silvana Symons, 44 anni, originaria del Suriname, uno dei personaggi più noti del paese, an-che tra i giovani, ex dj, conduttrice, vj per Mtv, attivista per i diritti civili, ha fondato un proprio movimento per difendere le minoranze del pa-ese. È l’ora: Minoranze = maggio-ranza del mondo, dunque: unite-vi! Questa è la grande occasione.

Nel mondo le minoranze

gridano

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Deve continuare da parte di tutti il cammino spirituale di preghiera intensa, di par-tecipazione concreta e di aiuto tangibile in difesa e protezione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Loro sono i nostri martiri di oggi, e sono tanti, possiamo dire che sono più numerosi che nei primi secoli. Auspico veramente che la Comunità Internazionale non volga lo sguar-do dall’altra parte. (Papa Francesco, Regina Coeli, 6 aprile 2015)

LISTA DEI PRIMI 50 PAESI DOVE C'È la PERSECUZIONE

La World Watch List 2017 di Porte Aperte è l’annuale rapporto sulla libertà religiosa dei cristiani nel mondo, coprendo il periodo che va dal 1 novembre 2015 al 31 ottobre 2016 e misura il grado di libertà dei cristiani nel vivere la loro fede in 5 sfere della vita quotidiana: nel privato, in famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella chiesa che

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cosa succede nel MONDO?

Asia - Yazidi una minoranza in pericolo

Gli Yazidi, popolazione di origine e di lingua curda, con religione pro-pria, hanno il loro nucleo principale nella regione di Mossul, a Shaikhān, dove è il santuario dedicato allo Shaikh ‛Adī (fondatore), e nel Gebel Singiār a 160 km circa a est di Mos-sul. Per secoli hanno goduto, sotto la mezzaluna, di una libertà (anche se con non poche difficoltà) che solo il colonialismo, l’emergere del nazio-nalismo e il conflitto arabo-israelia-no hanno purtroppo spezzato. L’iso-lamento e la protezione fornita da questo contesto geografico arduo e impervio hanno permesso agli Yazidi di mantenere una fede che, seppur influenzata dall’islam, si è sviluppata in seguito in modo irrimediabilmente «altro». Gli Yazidi lotta-no oggi per la loro sopravvivenza, sterminati, cacciati dai loro villaggi e ridotti in schia-vitù nei territori conquistati in Iraq dal Daesh. Ieri come oggi, l’indifferenza del mondo è grande e sul destino di questo piccolo popolo si consumano i grandi giochi della

frequentano e nella vita pubblica del paese in cui vivono; a queste si aggiunge una sesta voce di analisi che serve a misurare l’eventuale grado di violenze che subiscono. I 3 colori diversi nella mappa segnalano 3 gradi di persecuzione (in base al punteggio): Alta (41-60), Molto Alta (61-80), Estrema (81-100).

Se i cristiani sono le vittime più numerose, non va trascurato che le per-secuzioni colpiscono molte altre minoranze etniche e religiose in varie parti del mondo, popoli che senza alcuna colpa si trovano ad abitare un territorio dove non sono voluti dalla maggioranza.

Si tratta di difendere la dignità e la libertà di ogni essere umano, poiché ognuno ha diritto di vivere e di godere della protezione giuridica e so-ciale, nazionale e internazionale perché tutti gli esseri umani hanno pari dignità.

Riportaimo alcuni articoli di giornali per dare uno sguardo sul mondo e vedere la si-tuazione delle minoranze.

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Asia - A chi interessa il futuro dei Rohingya?

I Rohingya, popolo che vive nel Myanmar (ex Birmania), sono musulmani e considerati stranieri senza diritti. Eppure la loro presenza nelle terre dell’Akran risale al VII secolo: i Rohingya sono i discendenti dei mercanti arabi, turchi, bengale-si e mongoli che attraversavano oceani e steppe per scambia-re merci e, fino all’invasione da parte dei Birmani (1748-1826), hanno convissuto pacificamente con le altre etnie della zona. Le persecuzioni sono iniziate dopo la dichiarazione di indipenden-za della Birmania dall’impero britannico nel 1948; successiva-mente, nel 1982 la legge nega ai Rohingya la cittadinanza birmana e dopo 30 di esclusione da ogni diritto civile e sociale molti di loro, nel 2016, sono stati spinti a lasciare il Myanmar. Le violenze, gli stupri etnici, le uccisioni, e le razzie di beni, negli ultimi 4 anni hanno costretto famiglie poverissime a fuggire.

Nel 2012 sono scoppiate violenze tra i Bamar buddisti e i Rohingya musulmani, anche se venne spacciato come conflitto interreligioso le cause sono di natura economica. All’epoca Sittwe, porto sul golfo del Bengala, abitato prevalentemente da Rohingya era un centro commerciale strategico. La zona costiera era ed è al centro di interessi strategici tra India e Cina per la posizione geografica: da una parte di sbocco sul mare del gigante cinese e dall’altra di porto di collegamento per gli scambi navali con il sub continente indiano.

geopolitica e dell’economia. Una lotta, quella degli Yazidi, che si svolge in una solitudi-ne disperata e che ha luogo senza che nulla si voglia fare sia da parte di chi muove le leve del potere, che a livello locale e della società civile. Privi di una chiesa o uno stato che li protegga, anche la diaspora – a differenza di quanto avvenuto in passato in altri casi – è troppo frammentata e recente per essere in grado di incidere, o anche solo di fornire qualche conforto ai profughi che oggi si trovano, privi di una coordinazione, dispersi per il mondo. E così, anche per la mag-gioranza di coloro che riescono (spesso in circostanze rocambolesche) a fuggire dalla schiavitù e dalla guerra, il destino che li attende sono i campi profughi della Turchia o di altri paesi, dove mancano spesso i beni più basilari.Un patrimonio religioso e culturale, quello da noi qui tratteggiato con un breve schiz-zo, che rischia di venire annullato da qui a pochi anni, se non avverrà presto un’inver-sione di tendenza: una presa di coscienza del mondo nei confronti di questa tragedia. Dispersi per il pianeta, gli ultimi figli di questo antico popolo sopravvissuti alle perse-cuzioni di ieri e di oggi, rischiano l’assimilazione e la scomparsa definitiva dei loro usi, costumi e credenze.

(Missioni Consolata marzo 2017)

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Sudamerica - Noi Mapuche, in lotta per la terra in Patagonia

Vede quest’acqua? Noi la usiamo per tutto, dice un giovane Mapuche della piccola co-munità Lof nel dipartimento del Cushamen, indicando le rive ambrate del Chubut, il più grande fiume della Patagonia, ma da quando la compagnia di Benetton ha deviato il corso del rio per farne un canale di irrigazione, l’acqua è piena di sedimenti e forse an-che di sostanze chimiche. Per Benetton questa terra e quest’acqua sono solo delle risorse da sfruttare ma per noi Mapuche sono la vita. Il “casato” trevigiano dei Benetton, è accusato dai popoli originari di aver occupato i territori ancestrali, con la complicità dello Stato nazionale, infatti dal 1991 è padrona di 900mila ettari di Wallmapu, il territorio argentino-cileno abitato fin da prima della fondazione degli Stati nazionali dai fieri popoli nativi. Qui, Benetton, pratica l’alleva-mento intensivo di bovini e ovini, coltiva cereali, produce carne. Su quei campi, però – denuncia la gente della terra (questo significa la parola Mapuche) – loro non possono far pascolare le loro greggi. Inoltre, con la società Minera Sud Argentina, di cui detiene la maggioranza, trae profitto dalle ancestrali ricchezze nascoste. Secondo i Mapuche, Benetton sarebbe riuscita ad espropriare molti territori indigeni grazie alle leggi ad hoc promulgate dall’allora presidente Carlos Ménem. I Mapuche sono impegnati in una dura lotta contro le multinazionali straniere accusate di accaparramento della terra (land grabbing).Dal 13 marzo 2015, quando alcuni Mapuche hanno iniziato a presidiare l’estancia Le-leque, una delle asserite proprietà dei Benetton, per avviare il processo di ricostruzio-ne della nazione Mapuche, non hanno mai smesso di subire minacce, intimidazioni, denunce, diffamazioni sui media, attività di spionaggio e anche violenze fisiche che hanno coinvolto donne e bambini da parte della Gendarmeria nacional e della polizia privata della stessa Compañía. I Benetton hanno scelto di replicare con un breve comunicato redatto ormai sette anni fa, in cui accennano ad un’offerta fatta nel 2006 al governo della provincia del Chubut di 7.500 ettari di terra di buona qualità da destinare alla popolazione autoctona e al rifiuto espresso dal governatore per la presunta scarsa produttività dell’appezzamento.

Il Premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, ha preso carta e penna per di-fendere la gente della ter-ra, lanciando forti critiche al governo Macri e alla stessa dinasty veneta. Il governo difende la proprietà privata utilizzando la repressione e privilegia Benetton sul diritto dei popoli originari. Benetton deve spiegare al popolo ita-liano e al mondo come si sta

Ormai è chiaro al mondo che le persecuzioni nei confronti dei Rohingya sono arrivate al punto da non rientrare più nei dossier sulle violazioni dei diritti umani ma nel corpo-so e drammatico faldone dei genocidi. (Popoli e Missione maggio 2017)

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Africa - Sahrawi Popolo di-menticato

Il Sahara Occidentale è l’ul-timo paese africano iscritto nella lista ufficiale delle Na-zioni Unite dei paesi da de-colonizzare: quando la spa-gna se ne andò ne cedette l’amministrazione al Maroc-co che da allora ne occupa gran parte del territorio. La Repubblica Araba Sahrawi Democratica (Rasd) fu pro-clamata il 27 febbraio 1976

e riconosciuta da oltre ottanta paesi (tra questi nessun paese europeo): ma è l’unico Stato al mondo con presidente e istituzioni in esilio, che hanno sede in un campo pro-fughi in Algeria. Oltre 150mila persone vivono in esilio nei campi in Algeria e gli altri sono stranieri sulla propria terra, vittime di repressioni sistematiche e violenze: 4.500 sparizioni forzate e 500 persone di cui non si è saputo più nulla: molte anche le donne incarcerate e torturate.Per molti anni la colonizzazione spagnola si era limitata ad amministrare il territorio e a sfruttarne le ricchezze ittiche, ma nel ‘50 la scoperta di un giacimento di fosfati ha cam-biato tutto e proprio con l’intensificarsi dello sfruttamento si fece strada una moderna coscienza sahrawi. Nel 1974 il fronte Polisario (Fronte popolare di liberazione nato nel 1973) individuò come obiettivo fondamentale l’indipendenza. Nel 1975 la corte inter-nazionale di Giustizia (Aja) stabilisce che al momento della colonizzazione spagnola il Sahara Occidentale non era terra nullius, ma esisteva un’organizzazione sociale e politica. Come risposta, 15 giorni dopo, Hassan II (re del Marocco) organizza una vera e propria occupazione (e più tardi lascerà l'Organizzazione dell’Unità Africana). Nello stesso anno, in cambio di una sostanziosa buonuscita la spagna firma l’accordo di Madrid con Marocco e Mauritania, cedendo loro il territorio. L’anno successivo viene proclamata la Rasd. Ma la situazione potrebbe cambiare, infatti nel 2016 è stato eletto il nuovo Presidente del Fronte Polisario e soprattutto il Marocco ha chiesto e ottenuto di entrare nell’Ua (Unione Africana): Mohamed VI, chiedendo l’ammissione all'UA ha parlato di errore storico e ha domandato l’adozione di un atteggiamento di costruttiva neutralità sul Sa-hara Occidentale. L’Onu ha votato all’unanimità una risoluzione in cui chiede la ripresa dei negoziati e sia il governo marocchino che il fronte Polisario sono d’accordo. Forse le cose possono finalmente cambiare.

(Missione Oggi maggio-giugno 2017)

comportando negli altri Paesi, e vedere se così facendo trova la saggezza e l’umiltà per agire con giustizia, perché queste terre non appartengono a lui ma alla gente della ter-ra. Se li caccia dai loro territori uccide i loro valori, la loro cultura e la loro spiritualità, condannandoli a morte.

(Avvenire 3 giugno 2017)

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Africa - Burkina Faso p. Flavio Paoli

Carissmi, in Burkina Faso ci sono molte minoranze e l’etnia maggioritaria è quella dei Mossi. Le altre sono però ben accettate al punto che spesso c’è un rapporto scherzoso tra loro, che si chiama parenté à plaisanterie (rapporto scherzoso). I membri di due tribù scherzano fino quasi a sembrare un’offesa, ma solo per dire chi è superiore, se-condo le tradizioni o le usanze. E poi si accettano comunque.Io stesso ho potuto partecipare a un bellissimo dibattito in proposito all’entrata del primo vescovo camilliano a Tierkodogo, Abbé Prosper. Durante il pranzo si sono avvi-cendati diversi rappresentanti delle tribù dicendo addirittura che lui, essendo di un’al-tra tribù, doveva chiedere il permesso a loro prima di entrare in città. Tutto finì bene ovviamente tra gli applausi e le risate di tutti.Proprio quest’estate, con i nostri ragazzi faremo il campo estivo centrato sulle tribù del Burkina, che sono più di 93, anche se le principali sono una dozzina, così che possano conoscere, mantenere e tramandare il legame con le proprie origini.

E I NOSTRI MISSIONARI... COSA RACCONTANO?

Asia - Filippine sr. Annarita Zamboni

Cari amici, le Filippine sono un arcipelago composto di molti gruppi etnici. Conside-riamo minoranze etniche i gruppi indigeni che vivono ancora nella foresta, in varie isole del paese. Sono gruppi diversi per lingua e colori che usano nella tessitura, ma si assomigliano nello stile di vita (caccia, pesca, erbe-tuberi- frutti che trovano nella fo-resta tropicale). Rappresentano il 3% della popolazione, secondo l’ultimo censimento (3 milioni circa), ma con l’alfabetizzazione comincia l’integrazione nei gruppi etnici più importanti, per cui è difficile contarli. La minoranza religiosa più importante è quella musulmana, ma i dati non sono chiari, il censimento parla di 6%, altre fonti dell11% (6 o 11 milioni). Vivono per lo più in alcune zone dell’isola di Mindanao, al Sud del paese, ma ci sono gruppi sempre più numerosi a Manila, alcuni da tempo, altri arrivati in anni recenti, fuggendo in periodi di conflitto.Ci sono anche Chiese protestanti, attualmente in buona relazione con i cattolici che rappresentano l’80%. Due Chiese nazionali, una legata alla storia della colonizzazione (Aglipay) ed un’altra più recente (Iglesia ni Kristo) di tipo settario, molto proselitista come altre sette e piccole minoranze di Buddisti (soprattutto i gruppi cinesi -tsinoy-)

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e Indu.Per quanto riguarda i diritti, for-malmente hanno gli stessi, ma i gruppi indigeni sono svantag-giati quando non hanno im-parato a leggere e a scrivere, anche se c’è una commissione ministeriale ed anche un Cen-tro Pastorale nazionale che cer-ca di proteggerli e far valere i loro diritti, soprattutto riguardo

alle terre ancestrali, minacciate in particolare da compagnie minerarie multinazionali.Quanto ai musulmani, è solo da pochi anni che hanno una rappresentanza ufficiale al governo, così anche le feste religiose musulmane sono considerate feste nazionali.La relazione con i musulmani è conflittuale per ragioni storico-politiche. Nel passato si voleva sottometterli, senza rispettarne l’identità culturale e religiosa. Recentemente, ci sono stati episodi di rapimenti e attacchi ad opera di gruppi estremisti (sempre a Min-danao): i governi hanno spesso reagito con durezza. Responsabili religiosi delle due parti sono in buoni rapporti, si sono firmati degli accordi di pace fino ad ottenere una rappresentanza ufficiale al Governo. Ma il mese scorso è scoppiata una violenza più grave delle precedenti: il gruppo guidato dai fratelli MAUTE ha attaccato la cattedrale di Marawi (città al 95 musulmana), prendendo in ostaggio il vicario generale con una 20na di laici. Il governo risponde con la legge marziale. C’è anche il conflitto di lunga data con guerriglieri comunisti (NPA) che vivono e cre-scono nelle zone più povere. I vari governi hanno cercato di avviare processi di pace, ma finora non sembra possibile.

Asia - Thailandia fr. Gianni Dalla Rizza

La nostra zona è conosciuta come triangolo d’oro della droga ed è abitata da mino-ranze etniche, le quali, da pochi decenni, sono emigrate provenendo dal Tibet e dalla Cina, dopo avere attraversato Myanmar e Laos, dove molti di loro si sono stabiliti.Purtroppo la sete di denaro e un sistema, che potremo anche definire mafioso, fanno sì che i valori delle minoranze vengano annullati: a goderne sono in pochi. Un esempio sono le donne Giraffa (i Karen dal collo lungo) che vengono messe in villaggi isolati solo per il beneficio dei turisti.Le minoranze etniche vengono chiamate in inglese hill-tribes, e in thailndese Ciao Kao che letteralmente potremo tradurre I montanari.Ogni minoranza parla una lingua propria, hanno costumi, usi, religione differenti.Ci sono le tribù e le sotto-tribù. Elenchiamo solo le più importanti.LAHU, AKHA, HMONG, YAO. KARENLe minoranze hanno costruito i loro villaggi lontano dalle grandi vie di comunicazione. Erano raggiungibili solo da sentieri, in modo da coltivare la droga con meno difficoltà. C’era anche un altro motivo importante per cui venivano costruiti a circa 600-700 metri di altezza. Era ed è per prevenire la malaria. Infatti a questa altezza difficilmente vive la zanzara.Secondo l’ONU queste popolazioni dovrebbero essere interpellate quando si prendo-no decisioni che riguardano il loro vivere, ma non è certo il caso della Thailandia.C’è un controllo abbastanza forte circa i documenti di coloro che lasciano la zona delle

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minoranze. Molti di loro non hanno la cittadinanza e quindi non possono avventurarsi molto lontano dalla zona di provenienza. La provincia di Chiangrai, dove risiede anche il nostro Camillian Social Center, ha dei “privilegi” nel senso che i bambini privi di cit-tadinanza vengono accettati nelle scuole anche senza documenti, non godono però dell’assistenza sanitaria.Parlando di situazioni di conflitto, in Thailandia, si deve parlare soprattutto di conflitto tra stato retto dai militari e il popolo; possiamo parlare di sfruttamento e diritti negati. Negli ultimi quindici anni ci sono stati focolai di violenza tra cittadini e stato, tra partiti, elettori e rappresentanti del popolo. Queste tensioni hanno portato morti, confisca dei beni e violazione dei diritti umani. Conflitti che si sono diffusi nella società, nelle famiglie e persino tra le scuole. Le minoranze etniche non sono esenti da questi conflitti e soprattutto quelle che abi-

tano nelle foreste sono state oggetto di vio-lazione dei loro diritti di abitare quelle zone in cui vivano molti tempo prima che venisse emanata la riforma forestale. Non avendo poi nessun documento e diritto la loro proprietà viene a cadere nelle mani dei thai.Per fortuna ci sono anche degli aspetti po-sitivi, come la costruzione di strade e ponti che permette alle minoranze di raggiungere le grandi vie di comunicazione sia per porta-re i figli a scuola sia per commerciare ciò che producono. Pochi anni fa si poteva pensare che il gover-

no avesse lo scopo, non dichiarato, di scoraggiare le minoranze a vivere sulle monta-gne; ora invece ci sono chiari segni che chi vuole restare ha i mezzi e gli aiuti necessari per sviluppare delle attività.Ci sono dei giovani che hanno studiato e che cercano di svegliare nella gente la loro dignità di appartenenza ad una minoranza e coinvolgono altri volontari in progetti per portare l’acqua ai villaggi, costruire asili e nido, ecc.

America Latina - Messico sr. Antonina Turrina

Ancora una volta sono con voi, per salutarvi, per ringraziarvi e ammirare il vostro lavo-ro di collaborazione, aiutando chi ha tanto bisogno di qualcuno che gli dia una mano, speranza e un poco di allegria. Dire grazie, mi sembra poco, però la nostra preghiera sia il dono che facciamo al buon Dio, perche Lui faccia scendere una pioggia di bene-dizioni sopra ognuno di voi.La vostra offerta, per noi è un grande dono, per-ché possiamo aiutare i bambini, che altrimenti, non potrebbero prepararsi per un futuro con un lavoro dignitoso e sostenere la loro famiglia. Ol-tre alla formazione scolastica, con la pastorale, includiamo, anche i genitori, cerchiamo di dar loro una formazione umana e cristiana, che sap-piano nella vita essere testimoni dell'amore di Cristo.

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La situazione in Tijuana è ogni giorno più preoccupante, hanno ucciso vari sacerdoti, non c'é sicurezza, aumenta la violenza e i sequestri, nessuno dice niente, come se tutto fosse normale e questo ci preoccupa. Noi al momento non abbiamo avuto problemi, però tutti i giorni preghiamo il Signore che ci accompagni e ci protegga, perché per la scuola e la pastorale, tutto il giorno siamo fuori casa.I bambini sanno che sono molte le persone che con le loro rinunce garantiscono la loro educazione e che noi dobbiamo ringraziarli con la preghiera. Unita alla mia Comunità, vi mandiamo un sincero grazie unito alla nostra preghiera per tutto quello che fate per noi Missionari.

p. Gabriele Patil

barnabita, originario di Brez, 69 anni, partito per la missione nel 1974

Ringraziamo padre Gabriele Patil per il lavoro svolto a favore dei ragazzi dell'orfanotrofio a Bangalore in India. La sua opera ha cercato di far vivere a questi ragazzi un'infanzia e adolescenza gioiose, contribuendo con un pasto nutriente, la possibilità di frequentare la scuola e crescere con l'amore che solo Dio Padre sa donare. Padre Gabriele è rientrato in Italia pertanto il progetto si ritiene CONCLUSO.

INDIA

I progetti sono seguiti da 19 missionari divisi su tutto il territorio mondiale: sei in Africa, sette in Centro e Sud America, quattro in Asia e due in Europa.Durante quest’anno un missionario è dovuto rientrare e quindi il suo progetto è con-cluso.

Progetti

Page 12: Numero 60 Estate 2017 ADOZIONE A DISTANZA BAMBINI · 2017. 7. 14. · Centro Missionario Diocesano - Trento - ADOZIONE A DISTANZA BAMBINI Numero 60 Estate 2017 supplemento n.1 a “Comunione

AFRICAsr. Anna Rizzardi (Benin)

p. Flavio Paoli (Burkina Faso)

p. Sergio Janeselli (Camerun)

p. Giuseppe Larcher (Etiopia)

p. Mario Benedetti (Sud Sudan)

fr. Elio Croce (Uganda)

AMERICA LATINAp. Andrea Callegari (Brasile)

sr. Antonietta Defrancesco (Brasile)

sig.a Iolanda Demattè (Brasile)

sr. Augusta Fedel (Brasile)

p. Rino Dellaidotti (Colombia)

p. Giorgio Gelmini (Messico)

sr. Antonina Turrina (Messico)

Modalità di sostegno quota mensile Є 15,00 quota annuale Є 180,00

Le offerte si possono versare direttamente al Centro Missionario di Trentovia s. Giovanni Bosco 7/1

Per ottenere la DETRAZIONE IRPEFintestare a:

Opera diocesana pastorale missionaria sezione ONLUSvia s. Giovanni Bosco 7 - 38122 Trento

eseguito tramite:conto corrente postale n. 30663371

oppureCassa Rurale Alto Garda

IBAN: IT70 L080 1605 6030 0003 3311 172specificare sempre la causale:

ELARGIZIONE LIBERALE PER ADOZIONE A DISTANZA

Opera Diocesana per la Pastorale Missionaria

via S. Giovanni Bosco 7/1 38122 Trento

tel. 0461 891270 fax: 0461 891277 [email protected]

ASIAsr. Annarita Zamboni (Filippine)

sig. a Elsa Giovannini (Indonesia)

fr. Gabriele Garniga (Sri Lanka)

fr. Gianni Dalla Rizza (Thailandia)

EUROPAfr. Luciano Levri (Albania)

p. Fabio Volani (Romania)

Siamo su Internet!

www.diocesitn.it/missioni

Le offerte per le “Adozioni a Distanza” vanno a sostenere tanti bambini seguiti nei progetti dai missionari trentini: