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Anno XXXIII 8 Luglio-Agosto 2010 € 1,00 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 I l 30 e 31 agosto prossimi S.E. l’Arcivescovo ha convocato l’intera diocesi a San Giovanni Rotondo per il 10° Convegno ec- clesiale diocesano. Nel corso della due giorni, che avrà per tema “Lai- ci: dal cenacolo al mondo” , si riflet- terà ancora una volta sul ruolo e i compiti del laicato cattolico. Mons. Talucci ci spiega il perché di questa scelta. «Il nostro prossi- mo Convegno ha un doppia valen- za – afferma l’Arcivescovo, - chiude il triennio dedicato ai laici, comuni e associati, protagonisti nella vita di Chiesa, e introduce al Convegno ecclesiale regionale che vuole me- ditare sul significato missionario dei laici nella Chiesa e nella società pugliese oggi. Sarà, quest’ultimo, il 3° convegno ecclesiale delle Chie- se di Puglia. Come diocesi saremo veramente preparati a condividere a livello regionale una stagione – l’ora dei laici – che deve segnare il nuovo cammino, da noi studiato, meditato e, speriamo, tradotto nel- la storia». Eccellenza, il tema“Laici: dal cenacolo al mondo” è un invi- to esplicito al popolo di Dio ad uscire dalle sagrestie? «Il cenacolo non è la sagrestia. Il cenacolo è la Chiesa, il luogo dove sostiamo con Dio, il luogo da cui partiamo per incontrare il mondo. I laici devono amare Dio e l’uomo, la Chiesa e la società, la comunio- ne e la missione. Se si incontra Dio e la sua bella notizia, non si può non avvicinarsi agli uomini e an- nunciare la salvezza, con la paro- la e con la testimonianza. In altri termini, la luce portata da Gesù Cristo non può non illuminare il mondo». Al convegno di San Giovanni Rotondo non ci saranno “esper- ti” a relazionare. Si tratta di una scelta che tende a valorizzare l’esperienza del laicato cattoli- co della diocesi? «Nei tre precedenti convegni sul laicato abbiamo goduto della pre- senza di alcuni “esperti” . Quello di quest’anno è quasi un convegno di verifica che vede i nostri laici “re- duci” dal Sinodo diocesano. Saran- no loro, tramite la mediazione della Consulta del laicato, ad esprimersi nella ricerca e nella riflessione, per coinvolgere l’intera assemblea diocesana. Alla lunga capacità ed esperienza recettiva, deve seguire il protagonismo dei nostri laici che hanno tanta ricchezza interiore bi- sognosa di tradursi in dono». Qual è il legame tra il Sinodo diocesano ed il convegno di fine agosto? «I sinodali hanno attraversato i vari ambiti che sono stati proposti. Uno di questi ha riguardato proprio il laicato in quanto tale. Il laico di cui si parlerà nel convegno di fine agosto, porterà tutta la ricchezza sinodale interpretandola a livello trasversale, capace di animare la Parrocchia, popolo di Dio, con una sua precisa identità. Senza nulla togliere ai Pastori, i lai- ci sono i testimoni visibili del Van- gelo per le strade del mondo». Il Convegno diocesano, dun- que, rappresenterà anche una tappa in preparazione all’ap- puntamento regionale del 2011. «È tappa il nostro convegno dioce- sano, ma ci saranno altri momenti importanti segnati dai tre seminari regionali, al nord, al centro e al sud della Regione, dedicati all’opera educativa, al rapporto correspon- sabile clero-laici e al ruolo cultura- le-politico dei laici». Eccellenza, nella Conferenza episcopale regionale lei è il Ve- scovo delegato per i laici. Qual è lo stato di salute del laicato pu- gliese? «Ritengo che il laicato pugliese sia veramente adulto e maturo. Emer- gono belle testimonianze nelle sin- gole persone e nelle associazioni. Occorre una maggiore conoscenza reciproca, un cammino comune più avvertito, un protagonismo più visibile». Siamo in attesa del testo defi- nitivo degli Orientamenti dei Vescovi italiani per il decennio 2010-2020. Quale sarà, inve- ce, il cammino della Chiesa di Brindisi-Ostuni per i prossimi anni? «Gli Orientamenti pastorali per il decennio verteranno sull’emer- genza educativa. Il Sinodo vorrà essere una nuova opera educativa della diocesi, oltre a segnalare che uno degli ambiti sinodali era rife- rito proprio al mondo dell’educa- zione. Il prossimo triennio pastorale in diocesi sarà caratterizzato dalla conoscenza, dall’apprezzamento e dall’accoglienza degli Orientamen- ti sinodali. Segnerà lo sforzo di far diventare Sinodo di popolo l’espe- rienza dei membri sinodali. An- cora una volta sarà la Parrocchia il soggetto centrale per una nuova santificazione (cammino di comu- nione) e una nuova evangelizza- zione (cammino di missione)». Giovanni Morelli La stagione del bene comune Angelo Sconosciuto «U n Paese senza po- litica» era il titolo dell’articolo di fon- do, pubblicato qualche giorno addietro sul più diffuso quoti- diano nazionale, che ha affida- to ad Ernesto Galli della Loggia l’amara constatazione che l’Ita- lia non ha più «punti di riferi- mento sicuri», avvertendo come «stesse cambiando sotto i nostri occhi la moralità di fondo del Paese e al medesimo tempo il va- lore del nostro stare insieme», as- sistendo, ciascuno di noi, ad «un cambiamento che sa piuttosto di disgregazione», magari anche con l’amara constatazione che «nessuno è capace di indicargli una via e una speranza». Ma non dev’essere così: que- sto è il momento di essere pro- tagonisti, da cattolici, all’in- terno della società italiana. A ben leggere, forse anche a cau- sa della esiguità delle risorse e della riduzione dei margini di manovra, essa si va inter- rogando davvero su cosa sia “bene comune” e su questo proprio noi cattolici abbiamo qualcosa da dire, magari ri- scoprendolo assieme a quelli che ora ce lo propongono ex abrupto, depositari di una vi- sione della società che non ci appartiene. È un bene, dunque, che l’Azione cattolica si interro- ghi proprio in questi mesi sul tema; è un bene non per noi soli, ma per l’intera società ita- liana, che la Chiesa italiana (la Chiesa siamo noi!) si ritro- vi a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre prossimi, per la 46ª Settimana Sociale dei Cattolici italiani, e discuta sui «Cattolici nell’Italia di oggi, un’agenda di speranza per il futuro del Pae- se». La «moralità di fondo» di cui parla Galli della Loggia non è forse proprio un agire che appartiene alla nostra co- scienza di uomini e che porta al bene comune? Guardiamo cosa accade ogni giorno e ve- diamo quanti sono gli sforzi in tal senso e quanti di verso contrario. «L’amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato e non definitivo, ci dà il coraggio di operare e di pro- seguire nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realiz- za immediatamente, anche se quello che riusciamo ad attua- re, noi e le autorità politiche e gli operatori economici, è sem- pre meno di ciò a cui anelia- mo», dice Benedetto XVI nella Caritas in veritate. E aggiunge: «Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande». Non sarebbe male ripartire da qui. EDITORIALE Buona estate VERSO SAN GIOVANNI ROTONDO A colloquio con Padre Arcivescovo «Davvero questo è il tempo dei laici» C arissimi amici, turisti e villeggianti nel territorio brin- disino e salentino che vi accoglie con calore umano e fraternità cristiana. Sento di interpretare i sentimenti dei cittadini e dei fedeli nel porgervi il benvenuto. Sia italiani che stranieri siete nostri fratelli, desiderosi di riposarvi godendo del nostro mare e delle nostre colline, delle nostre bellezze e della nostra umanità. Sono certo che nessuno rimarrà deluso. Noi, intanto, vi accogliamo con simpatia e con fede. Vi auguro un riposo fisico e un riposo spirituale in Dio Padre che vi ama, in Gesù che vi guida, nello Spirito che vi santifica, nell’esperienza di una Chiesa-comunità che è sempre famiglia. I Sacerdoti, che hanno appena vissuto l’Anno Sacerdota- le, sono vicini a tutti per l’annuncio della Parola del Van- gelo, per la celebrazione della Messa domenicale, per il dono dei Sacramenti. È la vicinanza di Dio, è la speranza dell’uomo. Come diocesi siamo nell’anno del Volontariato. Vi ren- diamo partecipi di questo ideale di vita che forma gli uo- mini di buona volontà. Ognuno di voi può offrire e riceve- re un bene che rende più felice un uomo. Contemplando la bellezza della natura, potete scoprire la grandezza di Dio; guardando le opere belle delle perso- ne, scoprirete la grandezza dell’uomo. Nel bene ogni uomo è grande. In questo anno si avverte il peso della crisi economica a vari livelli. Ho motivo di esortarvi a tanta sobrietà e al senso della misura per coltivare il più umano stile di vita. Durante il soggiorno brindisino avrete modo di visitare i molti monumenti. Tra questi vi segnalo le tante belle chie- se, dove sarete accolti dai nostri “tutors” . Buone vacanze nella benedizione di Dio. Brindisi, 21 giugno 2010 + Rocco Talucci Arcivescovo

Numero 8 Estate 2010

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Page 1: Numero 8 Estate 2010

Anno XXXIII n° 8 Luglio-Agosto 2010 € 1,00Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi

E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

Il 30 e 31 agosto prossimi S.E. l’Arcivescovo ha convocato l’intera diocesi a San Giovanni

Rotondo per il 10° Convegno ec-clesiale diocesano. Nel corso della due giorni, che avrà per tema “Lai-ci: dal cenacolo al mondo”, si riflet-terà ancora una volta sul ruolo e i compiti del laicato cattolico.

Mons. Talucci ci spiega il perché di questa scelta. «Il nostro prossi-mo Convegno ha un doppia valen-za – afferma l’Arcivescovo, - chiude il triennio dedicato ai laici, comuni e associati, protagonisti nella vita di Chiesa, e introduce al Convegno ecclesiale regionale che vuole me-ditare sul significato missionario dei laici nella Chiesa e nella società pugliese oggi. Sarà, quest’ultimo, il 3° convegno ecclesiale delle Chie-se di Puglia. Come diocesi saremo veramente preparati a condividere a livello regionale una stagione – l’ora dei laici – che deve segnare il nuovo cammino, da noi studiato, meditato e, speriamo, tradotto nel-la storia».

Eccellenza, il tema“Laici: dal cenacolo al mondo” è un invi-to esplicito al popolo di Dio ad uscire dalle sagrestie?

«Il cenacolo non è la sagrestia. Il cenacolo è la Chiesa, il luogo dove sostiamo con Dio, il luogo da cui partiamo per incontrare il mondo. I laici devono amare Dio e l’uomo,

la Chiesa e la società, la comunio-ne e la missione. Se si incontra Dio e la sua bella notizia, non si può non avvicinarsi agli uomini e an-nunciare la salvezza, con la paro-la e con la testimonianza. In altri termini, la luce portata da Gesù Cristo non può non illuminare il mondo».

Al convegno di San Giovanni Rotondo non ci saranno “esper-ti” a relazionare. Si tratta di una scelta che tende a valorizzare l’esperienza del laicato cattoli-co della diocesi?

«Nei tre precedenti convegni sul laicato abbiamo goduto della pre-senza di alcuni “esperti”. Quello di quest’anno è quasi un convegno di verifica che vede i nostri laici “re-duci” dal Sinodo diocesano. Saran-no loro, tramite la mediazione della Consulta del laicato, ad esprimersi nella ricerca e nella riflessione, per coinvolgere l’intera assemblea diocesana. Alla lunga capacità ed esperienza recettiva, deve seguire il protagonismo dei nostri laici che hanno tanta ricchezza interiore bi-sognosa di tradursi in dono».

Qual è il legame tra il Sinodo diocesano ed il convegno di fine agosto?

«I sinodali hanno attraversato i vari ambiti che sono stati proposti. Uno di questi ha riguardato proprio il

laicato in quanto tale. Il laico di cui si parlerà nel convegno di fine agosto, porterà tutta la ricchezza sinodale interpretandola a livello trasversale, capace di animare la Parrocchia, popolo di Dio, con una sua precisa identità. Senza nulla togliere ai Pastori, i lai-ci sono i testimoni visibili del Van-gelo per le strade del mondo».

Il Convegno diocesano, dun-que, rappresenterà anche una tappa in preparazione all’ap-puntamento regionale del 2011.

«È tappa il nostro convegno dioce-sano, ma ci saranno altri momenti importanti segnati dai tre seminari regionali, al nord, al centro e al sud della Regione, dedicati all’opera educativa, al rapporto correspon-sabile clero-laici e al ruolo cultura-le-politico dei laici».

Eccellenza, nella Conferenza episcopale regionale lei è il Ve-scovo delegato per i laici. Qual è lo stato di salute del laicato pu-gliese?

«Ritengo che il laicato pugliese sia veramente adulto e maturo. Emer-gono belle testimonianze nelle sin-gole persone e nelle associazioni. Occorre una maggiore conoscenza reciproca, un cammino comune più avvertito, un protagonismo più visibile».

Siamo in attesa del testo defi-nitivo degli Orientamenti dei Vescovi italiani per il decennio 2010-2020. Quale sarà, inve-ce, il cammino della Chiesa di Brindisi-Ostuni per i prossimi anni?

«Gli Orientamenti pastorali per il decennio verteranno sull’emer-genza educativa. Il Sinodo vorrà essere una nuova opera educativa della diocesi, oltre a segnalare che uno degli ambiti sinodali era rife-rito proprio al mondo dell’educa-zione. Il prossimo triennio pastorale in diocesi sarà caratterizzato dalla conoscenza, dall’apprezzamento e dall’accoglienza degli Orientamen-ti sinodali. Segnerà lo sforzo di far diventare Sinodo di popolo l’espe-rienza dei membri sinodali. An-cora una volta sarà la Parrocchia il soggetto centrale per una nuova santificazione (cammino di comu-nione) e una nuova evangelizza-zione (cammino di missione)».

Giovanni Morelli

La stagione del bene comune

Angelo Sconosciuto

«U n Paese senza po-litica» era il titolo dell’articolo di fon-

do, pubblicato qualche giorno addietro sul più diffuso quoti-diano nazionale, che ha affida-to ad Ernesto Galli della Loggia l’amara constatazione che l’Ita-lia non ha più «punti di riferi-mento sicuri», avvertendo come «stesse cambiando sotto i nostri occhi la moralità di fondo del Paese e al medesimo tempo il va-lore del nostro stare insieme», as-sistendo, ciascuno di noi, ad «un cambiamento che sa piuttosto di disgregazione», magari anche con l’amara constatazione che «nessuno è capace di indicargli una via e una speranza».

Ma non dev’essere così: que-sto è il momento di essere pro-tagonisti, da cattolici, all’in-terno della società italiana. A ben leggere, forse anche a cau-sa della esiguità delle risorse e della riduzione dei margini di manovra, essa si va inter-rogando davvero su cosa sia “bene comune” e su questo proprio noi cattolici abbiamo qualcosa da dire, magari ri-scoprendolo assieme a quelli che ora ce lo propongono ex abrupto, depositari di una vi-sione della società che non ci appartiene.

È un bene, dunque, che l’Azione cattolica si interro-ghi proprio in questi mesi sul tema; è un bene non per noi soli, ma per l’intera società ita-liana, che la Chiesa italiana (la Chiesa siamo noi!) si ritro-vi a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre prossimi, per la 46ª Settimana Sociale dei Cattolici italiani, e discuta sui «Cattolici nell’Italia di oggi, un’agenda di speranza per il futuro del Pae-se». La «moralità di fondo» di cui parla Galli della Loggia non è forse proprio un agire che appartiene alla nostra co-scienza di uomini e che porta al bene comune? Guardiamo cosa accade ogni giorno e ve-diamo quanti sono gli sforzi in tal senso e quanti di verso contrario. «L’amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato e non definitivo, ci dà il coraggio di operare e di pro-seguire nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realiz-za immediatamente, anche se quello che riusciamo ad attua-re, noi e le autorità politiche e gli operatori economici, è sem-pre meno di ciò a cui anelia-mo», dice Benedetto XVI nella Caritas in veritate. E aggiunge: «Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande».

Non sarebbe male ripartire da qui.

editoriale

Buona estate

verso san giovanni rotondo A colloquio con Padre Arcivescovo

«Davvero questo è il tempo dei laici»

C arissimi amici, turisti e villeggianti nel territorio brin-disino e salentino che vi accoglie con calore umano e fraternità cristiana.

Sento di interpretare i sentimenti dei cittadini e dei fedeli nel porgervi il benvenuto.

Sia italiani che stranieri siete nostri fratelli, desiderosi di riposarvi godendo del nostro mare e delle nostre colline, delle nostre bellezze e della nostra umanità.

Sono certo che nessuno rimarrà deluso. Noi, intanto, vi accogliamo con simpatia e con fede.

Vi auguro un riposo fisico e un riposo spirituale in Dio Padre che vi ama, in Gesù che vi guida, nello Spirito che vi santifica, nell’esperienza di una Chiesa-comunità che è sempre famiglia.

I Sacerdoti, che hanno appena vissuto l’Anno Sacerdota-le, sono vicini a tutti per l’annuncio della Parola del Van-gelo, per la celebrazione della Messa domenicale, per il dono dei Sacramenti. È la vicinanza di Dio, è la speranza dell’uomo.

Come diocesi siamo nell’anno del Volontariato. Vi ren-diamo partecipi di questo ideale di vita che forma gli uo-mini di buona volontà. Ognuno di voi può offrire e riceve-re un bene che rende più felice un uomo.

Contemplando la bellezza della natura, potete scoprire la grandezza di Dio; guardando le opere belle delle perso-ne, scoprirete la grandezza dell’uomo.

Nel bene ogni uomo è grande.In questo anno si avverte il peso della crisi economica

a vari livelli. Ho motivo di esortarvi a tanta sobrietà e al senso della misura per coltivare il più umano stile di vita.

Durante il soggiorno brindisino avrete modo di visitare i molti monumenti. Tra questi vi segnalo le tante belle chie-se, dove sarete accolti dai nostri “tutors”.

Buone vacanze nella benedizione di Dio.

Brindisi, 21 giugno 2010 + Rocco Talucci

Arcivescovo

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Giornali in difficoltà senza agevolazioni postaliLA TRATTATIVAVA RIPRESA

N on si può far finta di niente. Non si può tacere. Da tre mesi e mezzo, ormai, è stato emanato il decreto

che, da un giorno all’altro, senza preavvi-so, ha eliminato le agevolazioni postali per i giornali, i periodici e i libri, comportando per Fermento costi di spedizione quadru-plicati.

Da quel 1° aprile in cui è entrato in vigore il decreto si sono svolti alcuni incontri a Roma tra Poste Italiane, Editori e Governo. Incontri che però non hanno prodotto il frutto sperato e nessun accordo è stato raggiunto.

Per la verità, il 27 aprile i rappresentanti delle Poste e di alcuni gruppi di periodici (tra cui i settimanali diocesani) avevano delinea-to i tratti di una possibile intesa che, rispetto alla situazione precedente, prevedeva un au-mento delle tariffe di circa il 60 per cento in tre anni, a partire dal 2011. Accordo che però non si è perfezionato perché le Poste hanno fatto presente di voler prima concludere la trattativa con la Fieg (la Federazione italiana editori e giornali) che rappresenta le testate

alle quali va l’80 per cento di tutte le agevo-lazioni postali. Inoltre è mancata anche la disponibilità del Governo a garantire almeno una parte dei fondi che finora hanno con-sentito di attivare le agevolazioni (rispetto ai quasi 300 milioni garantiti nel 2009, l’ipotesi di accordo prevedeva che lo Stato mettesse sul piatto 50 milioni per il 2011, 38 nel 2012 e 28 nel 2013). Ma il Governo ha fatto sapere di non voler stanziare neppure un euro e la trat-tativa è saltata.

Da allora il tavolo non è più stato convoca-to e, salvo il recupero di 30 milioni per le age-volazioni destinate a sostenere la spedizione di pubblicazioni degli enti non profit, nulla si è più mosso. Anzi, l’apertura del dibattito sul-la manovra correttiva dei conti pubblici ha portato l’attenzione generale a concentrarsi su altre questioni.

Di qui la necessità di riproporre con forza e chiarezza il problema, che certamente non può essere lenito o “digerito” col semplice tra-scorrere del tempo. Anzi!

Le tariffe che sono ora in vigore stanno cre-ando gravi difficoltà a molti giornali, met-tendo anche a rischio il loro futuro. La lievita-zione dei costi è di grande rilievo e il suo peso si è rivelato ancora più schiacciante perché giunto improvviso e inaspettato, quando le campagne abbonamenti erano già conclu-se, quando i bilanci di previsione erano già approntati, senza che ci fosse modo per le aziende editoriali di mettere in atto alcuna

strategia per assorbire il colpo. Un colpo che, se non interverrà un accordo, farà sentire la sua forza d’urto anche sulle tasche degli ab-bonati che così vedranno penalizzato il loro desiderio di essere informati e di accedere a un prezzo contenuto a un mezzo di comuni-cazione di cui hanno fiducia.

È necessario che la trattativa riparta subito, prima che l’aumento dei costi produca le sue gravi conseguenze, non solo sull’operatività dei giornali e sulla loro possibilità di giungere a destinazione, ma anche su tutto il mondo produttivo che a loro fa riferimento, dai gior-nalisti alle tipografie. Bisogna fare attenzione, infatti, che il risparmio sulle agevolazioni po-stali non si traduca poi in un costo sociale ed economico ben maggiore, oltre che nell’impo-verimento di un servizio fondamentale come è quello dell’informazione.

Ciò non significa che non ci si renda conto della necessità di collaborare al risanamento del bilancio pubblico anche tramite una ra-zionalizzazione del sostegno garantito al set-tore dell’editoria. Ma razionalizzazione, non un colpo di spugna indifferenziato, che grava su tutti allo stesso modo, senza riconoscere la diversità esistente tra tante aziende editrici e tra tanti giornali.

Non è lo stesso, infatti, che un giornale sia principalmente un veicolo pubblicitario o che invece sia voce di un territorio, specchio della sua realtà, occasione di dialogo e confronto.

Non è lo stesso che un giornale venga spedi-

to in modo anonimo e indifferenziato nelle case, magari occasionalmente per sostenere qualche campagna promozionale, o che in-vece raggiunga fedelmente i suoi abbonati, persone che lo apprezzano, che lo aspettano, che si fanno anche sentire in redazione se non arriva puntuale.

Tagli indifferenziati che non tengono con-to delle diversità delle varie realtà editoriali non hanno senso. Tanto meno se questi tagli sono totali, come è ora.

La trattativa deve riprendere e se ci sarà qualcuno che commenterà: “anche i settima-nali diocesani, come tutti, non cercano altro che difendere i loro interessi”, non sarà diffici-le rispondere che i settimanali diocesani non sono aziende a fini di lucro e che la loro vera natura, la ragione più autentica che li ha fatti nascere e continua ad animarli, è di sostene-re il loro territorio e i suoi abitanti e, perciò, penalizzare i settimanali è penalizzare tutti i loro lettori.

Anche per questo e soprattutto per questo la trattativa va ripresa subito e va portata avanti con la disponibilità di tutte le parti a fare qualche passo per raggiungere un punto d’equilibrio che possa essere davvero sosteni-bile. E’ anche una questione di rispetto della libertà di informazione e del suo pluralismo, valori irrinunciabili e fondamentali per la società.

I direttori dei periodici FISC

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Primo Piano 3luglio-agosto 2010

san vito in festa A 93 anni ogni mattina alle 7 sale sull’altare per celebrare l’Eucaristia

Don Antonio Termite, sacerdote da settant’anni

Don Giuseppe Massaro nasce nel 1926 a San Vito dei Normanni. All’età di 12 anni, nel 1938, entra

nel Seminario di Brindisi, proseguendo gli studi liceali a Molfetta. Consegue la Licenza in Teologia a Napoli, presso il Seminario dei Gesuiti “San Luigi” della Pontificia Facoltà Teologica. Viene ordinato sacerdote il 16 lu-glio 1950 da mons. Francesco De Filippis.

Nominato Cancelliere della Curia Arcive-scovile, insegna Religione presso alcuni Isti-tuti scolastici, diviene Assistente diocesano dell’Azione Cattolica per il Settore adulti, operando anche nell’ambito della Pastorale Familiare. Canonico del Capitolo Cattedra-le, da molti anni è Rettore della Chiesa San Domenico o del Cristo di Brindisi.

Sessant’anni di vita dedicati al sacerdozio: una tappa importante per don Giuseppe Massaro che, in questa intervista, ci rac-conta gli anni più belli vissuti al servizio di Dio in un arco di tempo che lo ha reso te-stimone, oltre che dei grandi cambiamenti sociali, anche del nuovo volto assunto dalla Chiesa in poco più di mezzo secolo.

Com’è nata la tua vocazione al sacer-dozio?

«La vocazione è nata, oserei dire, all’om-bra della parrocchia che frequentavo a San Vito dei Normanni, in particolare grazie ad un santo sacerdote, mons. Passante, che sa-peva coltivare bene le vocazioni sacerdotali ma anche religiose. In quegli anni, infatti, eravamo 20 seminaristi. Era facile scoprire la vocazione dei ragazzi e lui sapeva indivi-duare quelle giuste. Fu proprio mons. Pas-sante a inviarmi in Seminario. È stato uno di quei sacerdoti che non si ripetono più anche se, fortunatamente, fra tanti cambia-menti, la santità non passa mai di moda».

Alla luce di quali fondamenti hai vissu-to il tuo sacerdozio?

«Nella mia vita ho avuto la fortuna di co-noscere sei Vescovi e le loro figure, il loro stile, il loro zelo, tutto questo influiva mol-to su noi giovani sacerdoti. Ho vissuto la mia scelta sul modello del loro esempio, facendomi guidare dalla loro vita e dal loro esempio».

Qual è stato il momento più significati-vo, più bello, vissuto in questi 60 anni?

«Sicuramente il 25esimo anniversario di sacerdozio, come anche il 50esimo, ma il Concilio Vaticano II è stato uno dei momen-ti più significativi: ho vissuto il passaggio tra due epoche diverse, con tutte le difficoltà che ne scaturirono a causa della mentalità del tempo, piuttosto chiusa, ma con tante novità che segnarono una Chiesa nuova. Tutti noi sacerdoti, soprattutto i più giovani, dovremmo conoscere bene i documenti del Concilio».

Qual è il dono più importante che la vita sacerdotale ti ha regalato?

«Penso che il regalo più bello e importan-te sia stato l’aver conservato la fedeltà al mio impegno sacerdotale nonostante i tanti momenti difficili che ci sono stati. Oggi non è facile mantenere la fedeltà a Dio, pensia-mo, ad esempio, a quanti sacerdoti abban-donano questa strada. Aver mantenuto fede alla vita sacerdotale è un dono di Dio, il più bello che potesse farmi».

In 60 anni hai assistito ai cambiamenti sociali e culturali che hanno caratteriz-zato la società e sei stato tra i sacerdo-ti che hanno visto nascere una Chiesa “nuova” a partire dal Concilio Vaticano II. Che cosa è cambiato, secondo te, da

allora?«Ho vissuto prima della guerra, duran-

te e dopo la guerra. Si è verificato un tota-le capovolgimento e una grande perdita di valori che non sono stati più recuperati. Sessant’anni fa eravamo certamente poveri, ma era una povertà che si accettava, la gen-te era contenta a differenza di oggi dove si cerca il benessere in quantità sempre mag-giore e non si è mai soddisfatti. È cambiato anche il volto della Chiesa ed è maturato un modo di vederla completamento diverso. Il Concilio Vaticano II è stata una grande no-vità a livello pastorale, ma nulla è cambiato nel Vangelo, eppure si diffonde sempre più una secolarizzazione della Parola di Dio. Le piazze sono piene ma le chiese sempre più vuote, il mondo è lontano da Dio e questo non è sicuramente positivo per la Chiesa di oggi.

Il Papa, a questo proposito, sta incremen-tando molto l’evangelizzazione dei popoli perché proprio in Europa si sta abbando-nando la fede: pensiamo alla Spagna e alla Francia che vivono una piena autonomia della morale, ad esempio praticando l’abor-to, al di là di qualsiasi legge divina; e anche il nostro Paese non è lontano da questa re-altà. Guardiamo all’Africa, invece, che, pur segnata dalla povertà e da tanti problemi, è molto più ricca di noi nella fede. Ripeto, questo scenario non è positivo per la Chie-sa».

Se potessi rivolgerti ai sacerdoti del nostro tempo, in particolare ai giovani, cosa diresti loro?

«Direi a tutti di amare la Chiesa perché essa cammina anche con le nostre gambe, e soprattutto di non farla soffrire. Non do-vremmo mai farla soffrire a causa del nostro comportamento, è meglio piuttosto privarci

noi di qualcosa, mai che la sofferenza della Chiesa dipenda dall’agire di noi sacerdo-ti. Dovremmo guardare al bene di tutti e non vedere solo il nostro bisogno. Sento di consigliare questo: facciamo in modo che non sia mai nostra la colpa del dolore della Chiesa».

Don Giuseppe ti ringraziamo per que-sta intervista e ti rinnoviamo gli auguri per i tuoi 60 anni di sacerdozio!

«Ringrazio il Signore e naturalmente an-che “Fermento” per questa attenzione».

Daniela Negro

In tanti modi il Signore ha voluto benedire la nostra diocesi e particolarmente

la nostra comunità sanvitese nell’anno sacerdotale appe-na concluso. Uno di questi segni della sua benevolenza è stato certamente il 70° an-niversario dell’ordinazione sacerdotale del caro Don An-tonio Termite, a cui la nostra comunità benedettina è mol-to legata fin dagli inizi del suo sorgere. Alla veneranda età di 93 anni egli puntual-mente alle sette del mattino sale l’altare, il suo Golgota, come egli dice, per celebra-re il sacrificio dell’Eucari-stia. Questo altare è il punto di forza della sua vita, pietra solida di appoggio di tutto se stesso… E que-sto non solo dal punto di vista spirituale, ma anche “storico”. Infatti sull’altare della nostra chiesa il giorno seguente la sua ordinazione, per una settimana Don Antonio celebrò “in privato”, come era d’uso, prima di cantare Messa solenne “in pubblico” nella festa degli Apostoli Pietro e Paolo. E - grande novità – in questa celebrazione a porte chiuse fu assisti-to non da un confratello, come dovuto, ma da una donna: la vicentina Alba Orsola, una delle nostre prime sorelle, che di lì a qualche anno avrebbe preso il nome di Suor Maura.

È una vita proprio lunga e carica di storia quella di Don Antonio! Ad ogni compleanno gli piace sottolineare di essere nato durante la prima guerra mondiale nel giorno della disfatta di Caporetto (22 ottobre 1917). Gli anni della sua formazione – tra il Seminario diocesano di Ostuni e quello regionale di Molfetta - si compirono proprio tra le due guerre e conobbero l’impegno severo dello

studio e della preghiera tra tante difficoltà e privazioni. E quando l’arcivescovo Mons. Tommaso Valeri lo ordinò sacerdote in chie-sa madre il 23 giugno 1940, l’Italia da pochi giorni era entrata nella seconda guerra mon-diale. Tuttavia Don Antonio racconta i suoi anni giovanili come carichi di entusiasmo e passione, non privi di gustosi aneddoti.

Come tanti sacerdoti sanvitesi, anch’egli poté godere della vicinanza e del bell’esem-pio dell’arciprete mons. Francesco Passante, che aveva molto a cuore le vocazioni sacer-dotali e religiose.

Il ministero di Don Antonio, vissuto secon-do uno stile silenzioso ed efficace, lo ha visto impegnato in Ostuni come docente in Semi-nario e molto più a lungo come responsabile dell’Ufficio Amministrativo Diocesano. Un compito non facile e spesso poco gratifican-te, svolto con responsabilità e competenza, grande precisione e scrupolosità. Anche in San Vito Don Antonio si dedicò all’insegna-mento della religione nella scuola media sta-

tale e in modo disinteressato poté mettere le sue energie e la sua preparazione a disposi-zione di molti studenti con lezioni private di latino e matematica.

Legato da profonda stima e amicizia spiri-tuale a Padre Enrico Zoffoli, padre passioni-sta e grande maestro di filosofia e teologia, con la sua guida Don Antonio fondò nella nostra città il circolo filosofico “S. Tomma-so d’Aquino”: un gruppo di laici impegnati nell’approfondimento di temi legati alla vita di fede. E per molti anni il “cenacolo” si rac-colse nella sua casa per conoscere e appro-fondire la Parola di Dio.

I nostri ricordi più recenti vanno al 60° an-niversario della sua ordinazione, che volle celebrare in silenzio nella nostra chiesa con una “tre giorni” da lui stesso organizzata sul tema della vocazione sacerdotale: egli volle presenti i seminaristi con i loro superiori ed educatori. La presenza dei giovani sacerdo-ti e seminaristi diveniva un segno bello di continuità e manifestava l’amore vero e pro-

fondo dell’anziano sacerdote verso la vita del seminario. In quei giorni di dieci anni fa Don Antonio era convin-to che non sarebbe andato molto avanti nel cammino della vita… Invece il Signo-re ha voluto saziare di beni i suoi giorni ed ha voluto co-ronare i suoi settanta anni di sacerdozio con una gioiosa celebrazione presieduta dal nostro arcivescovo il 24 giu-gno scorso in Chiesa Madre nella solennità della Nati-vità di San Giovanni Batti-sta. Nella sua omelia Mons.Talucci ha voluto mettere in luce la vocazione del Battista come colui che ha indicato Gesù come il Cristo ai suoi

discepoli e alle folle. Anche Don Antonio nel suo ministero poco appariscente ha saputo essere in modo esigente educatore e indica-tore della via di Cristo Signore a tante gene-razioni.

Ma il ministero sacerdotale non si esauri-sce in un “curriculum”! Infatti il caro Don Antonio, pur nel ridimensionamento delle energie fisiche, coglie oggi insieme a noi, che godiamo del suo servizio, il frutto più bello e più maturo di tanta grazia: la celebrazione vissuta e pregata dell’Eucaristia, ogni giorno come se fosse la prima e l’ultima! E oltre il quotidiano … l’attesa del giorno del Signore, la domenica, con la cura dell’omelia, pre-parata e “sofferta” per comunicare la parola della fede a quelli che ogni volta immanca-bilmente egli saluta dicendo: “Cari fedeli cri-stiani…”!

Comunità Suore Oblate Benedettine di San Vito dei Normanni

anniversario Don Giuseppe Massaro, già cancelliere della Curia, sacerdote da sessant’anni

«Ho vissuto il passaggio tra due epoche»

Don Antonio Termite con Benedettine di San Vito dei Normanni

Don Giuseppe Massaro

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Speciale Anno Sacerdotale4 luglio-agosto 2010

“Cari fratelli nel Sacerdozio, nella prossima solennità del Sacratis-simo Cuore di Gesù, venerdì 19

giugno 2009 – giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazio-ne del clero –, ho pensato di indire ufficial-mente un “Anno Sacerdotale” in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo. Tale anno, che vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacer-doti per una loro più forte ed incisiva testi-monianza evangelica nel mondo di oggi, si concluderà nella stessa solennità del 2010”. Con queste parole, il Santo Padre Benedet-to XVI annunciava alla Chiesa universale l’indizione dell’Anno sacerdotale.

C’eravamo anche noi a Roma, un gruppo di 23 sacerdoti accompagnati dall’Arcivescovo mons. Rocco Talucci, per rinnovare la nostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa dinanzi al Successore di Pietro, il Santo Padre Benedetto XVI.

Il nostro Pellegrinaggio è iniziato mercoledì 9 giugno. Nell’aula Paolo VI abbiamo partecipato ad un pomeriggio di testimonianze e contributi artistici sul tema: “Sacerdo-ti oggi”. Un’occasione di incontro promossa dai preti del Movimento dei Focolari e del Movimento Schoenstatt in collaborazione con l’ICCRS (Rinnovamento Carismatico Cattolico Internazionale) e altre realtà aggregative eccle-siali. Abbiamo vissuto tre momenti: Uomini di Dio – icone di Cristo; Fratelli tra i fratelli: nell’unico Popolo; Profeti di un mondo nuovo. A conclusione la celebrazione dei Vespri presieduti dal card. Claudio Hummes, Prefetto della Con-gregazione per il Clero.

La giornata di giovedì 10 giugno ci ha visti la mattina nella Basilica di S. Paolo fuori la Mura per la meditazione tenuta dal Cardinale Marc Oullet, Arcivescovo di Québec in Cana-da e per la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Cardi-nale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato e per l’Adorazione

Eucaristica.Per sua scelta il nostro Arcivescovo non ha voluto sedersi

tra i vescovi concelebranti condividendo in mezzo ai suoi sacerdoti l’Eucaristia. Scelta che personalmente ho molto apprezzato e che mi ha anche arricchito. Ancora più inci-siva è stata la sua presenza quando durante l’Adorazione Eucaristica lo abbiamo visto intento a scrivere una lettera. Era la lettera che personalmente ha consegnato venerdì 18 giugno a tutti i sacerdoti della diocesi nella Giornata di San-tificazione del Clero.

La sera ci siamo radunati in Piazza San Pietro per la gran-de Veglia “Con Pietro in comunione ecclesiale”. Attraver-so testimonianze e canti abbiamo accolto il Santo Padre il quale ha risposto a braccio alle domande che gli venivano rivolte da cinque sacerdoti in rappresentanza dei cinque continenti: don José Eduardo Oliveira y Silva provenien-te dall’America, precisamente dal Brasile; Mathias Agnero dall’Africa precisamente dalla Costa d’Avorio; don Karol Miklosko dall’Europa, precisamente dalla Slovacchia, mis-sionario in Russia; don Atsushi Yamashita dall’Asia, preci-samente dal Giappone; don Anthony Denton, dall’Austra-lia. La Veglia si è conclusa con l’Adorazione Eucaristica e la

Benedizione impartita dal Santo Padre in una Piazza S. Pietro contemplativa e silenziosa.

Venerdì 11 giugno, abbiamo vissuto la so-lenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Santo Padre nella Solennità del Sacratissi-mo Cuore di Gesù. Si è trattato della celebra-

zione eucaristica con il maggior numero di concelebranti mai avvenuta a Roma, circa 15.000. Sono stati circa 400, tra diaconi e sacerdoti, i ministri che hanno provveduto alla distribuzione della santa Comunione.

Il rito prevedeva alcune particolarità, a motivo della stra-ordinarietà della circostanza:

- Il rito dell’aspersione con l’acqua benedetta come atto penitenziale. 4 Cardinali concelebranti si sono uniti al San-to Padre per aspergere l’assemblea. Si è pensato a questo rito considerando la solennità del Sacro Cuore e il riferi-mento al sangue e all’acqua sgorgati dal Cuore del Signore a salvezza del mondo e anche per riprendere il tema della purificazione, sul quale in diverse circostanze il Santo Pa-dre è ritornato ultimamente.

- Dopo l’omelia noi sacerdoti abbiamo rinnovato le pro-messe sacerdotali come nel giorno del Giovedì Santo alla Messa crismale.

- Al termine della celebrazione, prima della benedizione conclusiva, il Santo Padre ha rinnovato l’atto di affidamento e di consacrazione dei sacerdoti alla SS. Vergine, secondo la formula usata in occasione del suo recente pellegrinaggio a Fatima. Tale atto è avvenuto davanti all’immagine originale della Madonna “Salus populi romani”, a motivo del signifi-cato particolare di tale immagine a Roma.

- Un grande arazzo con l’immagine del Santo Curato d’Ars era collocato alla loggia centrale della Basilica.

- Il Santo Padre ha usato per la celebrazione il calice ap-partenuto a San Giovanni Maria Vianney e ad oggi conser-vato nella parrocchia di Ars.

La carica spirituale che abbiamo raccolto da questa espe-rienza ci aiuti a mantenere fedeltà al Signore e alle comu-nità a noi affidate. Di ritorno in pullman ci siamo scambiati pensieri e testimonianza da condividere tra confratelli.

Sento forte nel cuore il desiderio di condividere con i miei confratelli sacerdoti questo pensiero: c’è bisogno di più amicizia e meno comunione. La comunione è già presente in noi, in una maniera sacramentale; l’amicizia è una scelta umana e cristiana.

don Paolo Zofra

testimonianza Dall’incontro internazionale con il Papa a Roma

Con Pietro in comunione ecclesiale

Lo scorso 15 giugno ab-biamo vissuto come comunità del semina-

rio, amici dell’O.V.E. e rap-presentanti degli operatori pastorali e delle varie aggre-gazioni laicali della diocesi, un momento di confronto e riflessione sulla figura del sacerdote, ciò che egli rap-presenta per la comunità e il dono grande che Dio pensa per la Chiesa nella sua per-sona.

Il tema del convegno è stato appunto: “Sacerdote dono di Dio per la Chiesa - La comunità parrocchiale in ascolto della vocazio-ne”; relatrice del dibattito è stata Rosal-ba Manes, biblista, consacrata nell’Or-do Virginum e docente presso l’Istituto Teologico “S. Pietro” di Viterbo, la quale con grande semplicità e immediatezza ha saputo coinvolgere tutti noi e ci ha trasmesso quella delicatezza e quel-la cura delle vocazioni proprie di una donna di fede che mette il servizio della Parola, e quindi di Dio, al primo posto nella propria vita.

Non è stato affatto un convegno “for-male”; al contrario è stato molto vivace e interessante, preceduto da un breve momento di preghiera in cui abbia-mo ascoltato Rosalba cantare una sua canzone, scoprendo così che, oltre che essere una preparata biblista, è anche una brillante compositrice.

La relazione è stata divisa in più parti, ognuna delle quali spiegava i vari ambi-ti in cui la vocazione sacerdotale nasce, cresce, si matura e si esplica, prenden-do come modello le “vocazioni” di vari personaggi biblici (Giona e Paolo).

Si è fatto poi riferimento all’importan-za che assumono alcuni punti di rife-

rimento nel corso di una maturazione vocazionale, quali la famiglia, primo nucleo della fede, la comunità parroc-chiale, culla e sostegno delle vocazioni, le tante persone che il Signore pone al nostro fianco per aiutarci a compren-dere meglio il progetto che Egli ha pen-sato per ciascuno di noi e, partendo dal presupposto che nessuno può formarsi da solo, è chiaro il perché sia importan-te affidarsi e cercare tali figure educati-ve.

Elemento fondamentale, imprescin-dibile, senza il quale qualsiasi sforzo sarebbe vano o fine a sé stesso è la pre-ghiera che alimenta e fortifica le voca-zioni, le guida e le sorregge nel cam-mino di fede. Essa è affidamento del “misero e incompleto” progetto uma-no, troppo legato al guadagno o all’ef-ficienza oppure all’egoismo, al pieno e realizzante progetto di Dio, che rende l’uomo libero e consapevole di questa sua completa e vera libertà.

Al termine della relazione, dopo le parole conclusive affidate al padre Ar-civescovo, è stata consegnata ai pre-senti una scheda preparata da Rosalba, con delle domande di sintesi e verifica

sulla tematica affrontata nel convegno, nell’intenzione di lasciare una traccia per la riflessione e per la progettazione dell’attività vocazionale che siamo chia-mati a vivere nelle nostre parrocchie.

In fin dei conti è stata un’esperienza intensa di “comunione” intorno ad un unico centro: Cristo che si rivela nella vocazione. Ogni chiamata infatti è rive-lazione di Cristo e atto di fiducia reci-proco tra Dio e l’uomo: Dio si fida delle capacità dell’uomo, l’uomo si affida alla custodia di Dio.

Questa è stata la prima (speriamo di una lunga serie) esperienza di que-sto genere e bisogna ammettere che la diocesi ha risposto con molto slancio, interesse e passione e ciò non può che renderci fiduciosi per il futuro delle vocazioni nel nostro territorio; infatti il Signore non termina mai di chiamare… ciò che cambia nel corso dei tempi è la risposta dell’uomo a questa chiamata. Che il Signore ci aiuti ad investire con gioia, per questo fine, tutte le nostre energie!

Matteo Notarnicolaseminarista, 16 anni

A c o n c l u s i o n e dell’Anno Sacerdo-tale l’Opera Voca-

zioni Ecclesiastiche (O.V.E.) ha desiderato offrire un suo proprio contributo sul tema proposto dal Santo Padre, attraverso un convegno diocesano.Solitamente al termine di ogni anno pastorale l’OVE vive gli esercizi spirituali in due pomeriggi. Questo anno, considerata la vici-nanza del tema scelto dal Papa con la spiritualità pro-pria dell’Opera, ha pensato di organizzare un convegno rivolto a tutta la comunità diocesana e, in particolare, a tutti gli operatori pasto-rali, a tutte le aggregazioni laicali ed ai movimenti.Numerosa è stata la par-tecipazione – erano infatti presenti rappresentanti di quasi tutti i comuni della diocesi - e soprattutto mol-to sentita. Il momento centrale del convegno è stata la rifles-sione della biblista Rosalba Manes, originaria della dio-cesi di San Severo.La relazione è stata intro-dotta da Anna Maria De Matteis, Presidente dio-cesana dell’OVE, dopo un breve momento di preghie-ra guidato da don Alessan-dro Luperto, Rettore del Seminario Arcivescovile “Benedetto XVI”.L’intervento della relatri-

ce, brillante e ricco di con-tenuti, è stato preceduto dalla visione di un breve video del Centro nazionale vocazioni- su alcune figure sacerdotali attualmente im-pegnati nel loro Ministero.Al termine dell’intervento la relatrice ha dato parola all’assemblea per doman-de e riflessioni scaturite dall’ascolto. Gli interventi sono stati davvero numero-si ed interessanti.Ha concluso l’incontro il Padre Arcivescovo dando un suo personale contribu-to al tema affrontato e rin-graziando l’OVE per l’ini-ziativa proposta, la relatrice per la sua bella esposizione ed i convenuti così attenti e partecipi.

Anna Maria De MatteisPresidente O.V.E.

formazione Convegno promosso dall’Opera Vocazioni ecclesiastiche svoltosi a S. Maria del Casale

Il Sacerdote, un dono di Dio per la sua Chiesa

Nella foto (da sin.) la Presidente diocesana OVE, Rosalba Manes e l’ArcivescovoNella foto Rosalba Manes

Roma. L’Arcivescovo col gruppo di preti alla conclusione dell’Anno sacerdotale

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Speciale Anno Sacerdotale 5luglio-agosto 2010

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iniziative A San Michele S.no Se i preti determinano la toponomastica

Nell’anno sacerdotale, appena concluso, Fermento ha dato opportuno rilievo ad alcune figure di sa-cerdoti diocesani, la cui memoria è in benedizio-

ne nel popolo di Dio. Oltre agli altri sacerdoti, operatori nel sociale, ricordati nel mio libro «La Pastorale del cuore», non deve mancare il ricordo dei vescovi. Un nostro laico impegnato, l’avv. Stefano Cavallo, ha dato risalto al presule, S.E. mons. Orazio Semeraro, evidenziandone preclare vir-tù di mente e di cuore. Di lui, docente liceale di discipline umanistiche, Rettore del Seminario diocesano, Vicario Ge-nerale dell’Arcidiocesi e poi Vescovo, in Calabria e Brindi-si, ebbe grande stima l’Arcivescovo mons. Tommaso Valeri, che qui intendo ricordare nell’anno centenario dell’inizio del suo ministero episcopale di arcivescovo di Brindisi e Amministratore perpetuo di Ostuni. La data centenaria, infatti, ricorda l’elezione a guida dell’Arcidiocesi il 22 aprile 1910: inizio di un ministero lungo 32 anni, fino al 14 agosto 1942. Gli succederà l’amabile ed amatissimo Presule mons. Francesco De Filippis, mentre era amministratore aposto-lico l’arcivescovo di Taranto, mons. Ferdinando Bernardi.

Mons. Fra Tommaso Valeri, ofm, amava conservare, con il saio francescano, il distintivo dell’Ordine Minoritico nell’appellativo di “Fra Tommaso” e nel logo dello stemma episcopale, sormontato dalle braccia incrociate del Croci-fisso e di San Francesco d’Assisi, con il motto “Pax in vir-tute”. Indossava gli abiti prelatizi non paonazzi, ma color cenere come il grigio del saio francescano.

I miei ricordi dell’Arcivescovo Valeri risalgono al 1936, all’inizio del percorso seminariale. Lo ricordo mentre nella cappella mi rivestiva della prima talare, insieme ad altri 8 compagni, tra cui mons. Beniamino Elefante, con il quale giungemmo al sacerdozio. Mi sembra ieri, quando di buon mattino il suo fido cameriere Pasquino veniva a svegliar-mi per servire la messa nella cappellina dell’episcopio, alla presenza delle due suore Missionarie d’Egitto, che lo accu-divano; oppure quando nei pontificali in Cattedrale, regge-vo lo strascico da caudatario, anch’esso di colore grigio del francescano dei frati minori.

Mi scuso per questi riferimenti personali, legati alla co-noscenza del primo vescovo, rimasti impressi nella me-moria. Li rammento perché fu lui a riaprire il Seminario di Brindisi per le classi prima e seconda ginnasiale, mentre il triennio restava ad Ostuni, sotto la guida di mons. Orazio Semeraro.

Ricordi lontani nel tempo, ma indelebili – si sa – come tutti i ricordi d’infanzia. Fra Tommaso viveva lo spirito francescano dell’umiltà nel tenore di vita semplice e mo-desto. I brindisini lo incontravano nella breve passeggiata pomeridiana in città, accompagnato dal segretario Padre Domenico Bacci, ofm, oratore facondo, scrittore, docente nel Liceo “Marzolla”.

Per queste note non ho compiuto ricerche d’archivio, ma del vescovo che mi conferì il sacramento della Conferma-zione e mi rivestì della talare ho avuto nelle mani la sua Prima Lettera Pastorale, datata 15 agosto 1910.

Mi piace trarre un breve profilo della sua personalità di Pastore e di testimone fedele di comunione con il Vicario di Cristo, che lo elesse e che volle scongiurare di esimerlo

dalla grave responsabilità: «Con l’animo angustiato corsi alla città eterna per gittarmi ai piedi del Vicario di Cristo e pregarlo di allontanare da me, per amore di Dio, il calice doloroso. Il mio voto sincero non fu esaudito» (p. 4)

E quindi, disponendosi all’obbedienza, confida nella grazia del Signore e chiede alla comunità diocesana il so-stegno per il servizio apostolico con l’«aiuto prezioso e sapiente dei Rev.mi canonici. Io non ignoro – scrisse - le gloriose tradizioni di tanti uomini preclari per altezza d’in-gegno, per vastità di dottrina e per santità di vita». E cita, in proposito, i «Brindisini illustri», del can. Pasquale Camas-sa (p. 18). Ripensando con accenti nostalgici «l’amato mio Ordine, la diletta Provincia delle Sacre Stimmate, la Verna ove vestii questo abito santo» (p. 23), mons. Valeri doman-da preghiere e, «di cuore – scrive alla comunità brindisina – vi anticipo la benedizione coma la può dare un fratello, un Padre, un vescovo francescano» (p. 24).

Fra Tommaso aprì il cuore di padre ai sacerdoti ed ai can-didati al sacerdozio, riaprendo il seminario di Brindisi. «La storia si ripete», si potrebbe dire, pensando al nuovo semi-nario voluto da mons. Rocco Talucci nel cuore della dio-cesi. Mons. Valeri, del resto, predilesse il mistero eucaristi-co, celebrando due Congressi eucaristici interdiocesani, il primo nel 1931, il secondo nel 1937, 50° anniversario del-la sua ordinazione sacerdotale. A quest’ultimo partecipai da ministrante, accanto al Vescovo di Conversano. Mons. Gregorio Falconieri e ricordo – a conclusione – la solenne benedizione eucaristica in piazza Duomo, impartita dalla Loggia del Seminario dall’arcivescovo di Otranto, mons. Cornelio Sebastiano Cuccarollo, Cappuccino, allora Pri-mate-Metropolita del Salento.

Un tempo funestato dalla prima guerra europea, mentre già si addensavano i nembi del secondo conflitto mondia-le. Non fu un periodo facile per il suo episcopato, in una città che ospita strutture militari e che di fatto dette un alto tributo di vite sacrificate per la Patria come fanno memoria le sue vestigia ed i suoi monumenti. Nel suo ministero pre-valse lo spirito di pace e di riconciliazione, che il vescovo toscano aveva ereditato dal Serafico Padre, San Francesco, col saluto «Pace e Bene».

Angelo Catarozzolo

San Michele Salentino ha ricordato ed onorato i

sacerdoti che hanno fatto la storia cittadina con l’intito-lazione di nuove vie con tar-ghe artigianali in terracotta realizzate dal Maestro Cosi-mo Giuliano.

L’Amministrazione comuna-le, di concerto con il Parroco Don Tony Falcone, ha intito-lato - nel corso di una ceri-monia pubblica - la stradina che divide la Chiesa di San Michele Arcangelo dall’Ora-torio a Don Pietro Galetta; la strada denominata “Sacer-dote Galetta” a “Don Donato Spina” e “Via Don Luigi Gre-co” una nuova strada non ancora denominata nei pres-si del Palazzetto dello Sport. Durante la stessa cerimonia è stata anche intitolata la Piazzetta antistante la Chie-sa di San Michele Arcangelo a Papa Giovanni Paolo II.

Prima della scopertura del-le targhe nella Chiesa Par-rocchiale si è tenuto un in-contro al quale hanno preso parte: il Parroco Don Tony Falcone, l’Arciprete di San Vito dei Normanni Don An-tonio Rosato, Don Antonio Chionna, il Prof. Vincenzo Palmisano, il Sindaco Ales-sandro Torroni ed il vicesin-daco, Maria Stella Menga.

Il Sindaco Alessandro Tor-roni nel suo intervento ha ri-cordato le figure di Don Do-nato Spina e di Don Pietro Galetta che hanno, durante la loro vita e la loro presen-za a San Michele Salentino, abbracciato con tenacia, e determinatezza le istanze della comunità che si anda-va formando. «Contribuendo non solo a mantenere atti-va le due Chiese all’epoca esistenti (la Chiesa Madre e la Chiesa della Madonna di Pompei), ma adoperandosi, come nell’opera di Don Pie-tro Galetta, alla costruzione della nuova Chiesa, quella di San Michele Arcangelo, più idonea contenere la popola-

zione di San Michele che era notevolmente cresciuta».

Don Donato Spina ha rap-presentato come consigliere la frazione di San Michele nel Consiglio Comunale di San Vito, battendosi strenua-mente, prima per la crescita sociale, chiedendo insisten-temente la presenza di una farmacia, di un medico e di una ostetrica e lavorando all’alfabetizzazione dei cit-tadini.

Il ricordo di Don Luigi Gre-co e della sua figura è stato tracciato invece dal vicesin-daco Maria Stella Menga che ne ha ricordato l’impegno soprattutto sotto il profilo culturale. Don Luigi Greco arrivò a San Michele Salenti-no dopo il secondo conflitto mondiale, affrontando con pazienza, umiltà e amore le numerose difficoltà di una piccola comunità che usciva dal periodo bellico.

Vincenzo De Leonardis

il testimone Cento anni fa divenne Arcivecovo di Brindisi

Mons. Tommaso Valeripastore in anni difficili

Prestigioso premio per il Coro “San Leucio”

Il Coro Polifonico Arcivescovile “San Leucio” ha vinto la IX edizione del Premio Salentino tenutosi a Copertino (Le) il 4 luglio scorso.

Il Festival musicale nazionale cristiano per cori, tenutosi nella gremita Piazza del Popolo alla presenza di mons. Do-menico Caliandro, Vescovo della diocesi di Nardò-Galli-poli, ha segnato la riconferma del “San Leucio” al 1° posto del podio, in una magica serata dal tema: “nella pace…. la creazione canta l’Amore di Dio”.

Ben otto i cori provenienti da tutta la Puglia che si sono avvicendati eseguendo brani a carattere sacro-classico-liturgico; ma il “coro delle meraviglie”, il Polifonico “San Leucio” ha emozionato ed incantato la giuria, formata da docenti di conservatorio, giornalisti e musicisti, eseguen-do magistralmente il brano Jesus is my life, testo di Madre Teresa di Calcutta su musica di Mons. Marco Frisina.

Diretto dal brillante musicista M° Gianpaolo Argentieri ed accompagnato dalle voci soliste di Floriana Lanzillotti (soprano) e del M° Alessio Leo (tenore), il Polifonico si è così aggiudicato il dipinto della prof.ssa Irene Cipressa e la borsa di studio che costituivano il primo premio; l’Or-chestra Salentum, diretta dal M° Cotardo, ha animato l’in-tera manifestazione presentata da Francesca Fialdini, noto

volto di “A Sua immagine” (Rai Uno) e Enrico Selleri (TV 2000).

La serata si è conclusa con la partecipazione della can-tante Linda e del giornalista di Rai Uno Vincenzo Mollica.

Il Coro “San Leucio” si riconferma, quindi, una delle ec-cellenze di Brindisi, riportando alla città l’ambito ricono-scimento, che già aveva conquistato nel 2006 con il 1° po-sto di “Pacem in terris” e nel 2007 con il 2° posto di “And the glory of the lord”.

Anna Rita di Sansebastiano, Presidente dell’Associazi-ne musicale-culturale “San Leucio” ha evidenziato come «dal 1993 ad oggi il Coro ha contribuito ad accrescere la sensibilità musicale di quanti, numerosi, hanno affollato i concerti, affrontando con ineguagliabile professionalità repertori sempre più complessi, ma con grande attenzione ai temi della solidarietà e del sostegno ai più deboli».

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luglio-agosto 20106 Vita Diocesana

ministeri Conferiti da Padre Arcivescovo, il 13 giugno scorso, nel Santuario di Jaddico

Nuovi lettori e accoliti in diocesiIl 13 giugno scorso, presso il Santuario

diocesano di Santa Maria Madre della Chiesa a Jaddico, l’Arcivescovo ha isti-

tuito un Lettore e quattro Accoliti. Il neo lettore è Felice Prete della parrocchia di San Michele Arcangelo in San Michele Salenti-no. I nuovi accoliti, invece, sono: Gerardo Montinaro della parrocchia Ave Maris Stella in Brindisi, Giovanni Mele della parrocchia Santi Giovanni Battista e Irene in Veglie, Sal-vatore Antonucci e Vito Chimienti della par-rocchia SS. Rosario in Veglie.

Don Giovanni Apollinare, che in diocesi è il delegato arcivescovile per i diaconi per-manenti e i ministeri istituiti, ci spiega chi sono i ministri istituiti. «Per comprendere quali sono i loro compiti, occorre partire dal Concilio Vaticano II, quando la Chiesa, nel-la riflessione dei Padri conciliari, ha riscoperto il ruolo e il compito dei laici nella totalità del cammino ecclesiale. Per qualche tempo, infatti, la missione dei laici era racchiusa esclusivamente nell’esercizio delle cose temporali, lasciando al clero il compito della liturgia e del culto».

«Subito dopo il Concilio» – spiega ancora don Apollinare - «papa Paolo VI con il motu proprio “Ministeria quaedam”, del 15 agosto 1972, ha reintrodotto nella prassi ecclesiale i ministeri istituiti conferiti ai laici. I laici che nella vita delle comunità parrocchiali avvertano la chiamata alla condivi-sone con i ministri ordinati offrono il servizio nella liturgia come Lettori e come Accoliti. Questi servizi sono doni dello Spirito per il bene della Chiesa e sono esercitati con respon-sabilità dentro la comunità e in comunione con la Chiesa».

Quali caratteristiche deve avere chi si prepara a diven-tare Lettore o Accolito e quale percorso formativo deve seguire per divenirne idoneo?

«Il periodo storico che si attraversa è difficile e ai fedeli è chiesta una maggiore formazione. Con ciò non si afferma che nel passato la formazione era assente, ma solo che oggi l’accresciuta sensibilità chiede una maggiore sostanzialità di presentazione del dato di fede che non è solo culturale, ma ha dentro anche lo spessore spirituale che è l’amore al Signore e ai fratelli. Questa sottolineatura chiede la qualifi-cazione dei laici che s’incamminano per i ministeri istituiti. Coloro che sono resi idonei dalle comunità parrocchiali al cammino di preparazione, sono conosciuti dentro il loro ter-ritorio come uomini di provata fede e sensibilità ecclesiale, di profonda sensibilità umana e capacità di relazioni per sa-per condividere con i fratelli i doni del Signore. L’habitat na-turale dei ministeri è la comunità che si scopre chiamata alla ministerialità nella comunione attorno ad alcune attenzione: la preghiera comune, l’ascolto prolungato della Parola, la ce-lebrazione dei sacramenti Il percorso formativo chiesto ed auspicabile per i ministeri istituiti è la frequenza di alcuni corsi presso l’Istituto Supe-riore di Scienze Religiose in diocesi (per il diaconato perma-nente questo iter è obbligatorio), la condivisione diocesana insieme agli altri amici ed un cammino su alcune tematiche formative e spirituali insieme al delegato arcivescovile. Que-sti fratelli vivono anche il percorso formativo nella comunità parrocchiale di appartenenza e nel gruppo associativo o mo-vimento».

Quali sono i loro compiti nelle rispettive comunità par-rocchiali, e quale il loro ruolo in diocesi?

«Questi ministeri sono esercitati in particolare nelle loro par-rocchie e sul territorio cittadino per la corresponsabilità che

vivono con i pastori e i fratelli e sorelle nella fede. Non sono dei super laici, ma fratelli accanto. Per specificare il compito di questi amici è utile il richiamo al documento sui ministeri: “Il Lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di leggere la parola di Dio nell’assemblea liturgica. Pertanto, nella Messa e nelle altre azioni sacre spetta a lui proclamare le letture della Sacra Scrittura (ma non il Vangelo); in mancanza del salmi-sta, recitare il salmo interlezionale; quando non sono dispo-nibili né il diacono né il cantore, enunciare le intenzioni della preghiera universale dei fedeli; dirigere il canto e guidare la partecipazione del popolo fedele; istruire i fedeli a ricevere de-gnamente i Sacramenti. Egli potrà anche - se sarà necessario - curare la preparazione degli altri fedeli, quali, per incarico temporaneo, devono leggere la Sacra Scrittura nelle azioni li-turgiche. Affinché poi adempia con maggiore dignità e perfe-zione questi uffici, procuri di meditare assiduamente la Sacra Scrittura.Il lettore, sentendo la responsabilità dell’ufficio ricevuto, si adoperi in ogni modo e si valga dei mezzi opportuni per ac-quistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amore e la conoscenza della Sacra Scrittura, onde divenire un più per-fetto discepolo del Signore” (Ministeria quaedam, V). Come possiamo notare non è l’esercizio del privatizzare la procla-mazione della Parola di Dio nelle assemblee liturgiche, ma è soprattutto attenzione e sensibilità da curare a livello perso-nale e a far vivere negli altri la medesima attenzione e cura.L’Accolito deriva da una parola greca che significa “seguire”, “accompagnare”. Nel documento d’istituzione dei ministeri si afferma: “l’Accolito è istituito per aiutare il Diacono e per fare da ministro al Sacerdote. È dunque suo compito curare il servizio dell’altare, aiutare il Diacono e il Sacerdote nelle azioni liturgiche, specialmente nella celebrazione della San-ta Messa; inoltre, distribuire, come ministro straordinario, la Santa Comunione tutte le volte che i ministri non vi sono o non possono farlo per malattia, per l’età avanzata o perché impediti da altro ministero pastorale, oppure tutte le volte che il numero dei fedeli, i quali si accostano alla Sacra Mensa, è tanto elevato che la celebrazione della Santa Messa si protrar-rebbe troppo a lungo. Nelle medesime circostanze straordina-rie potrà essere incaricato di esporre pubblicamente all’ado-razione dei fedeli il Sacramento della Santissima Eucaristia e poi di riporlo; ma non di benedire il popolo. Potrà anche - in quanto sia necessario - curare l’istruzione degli altri fedeli, i quali, per incarico temporaneo, aiutano il Diacono e il sacer-dote nelle azioni liturgiche portando il messale, la croce, i ceri ecc., o compiendo altri simili uffici. Egli eserciterà tanto più degnamente questi compiti, se parteciperà alla Santissima Eucaristia con una pietà sempre più ardente, si nutrirà di essa e ne acquisterà una sempre più profonda conoscenza.

L’accolito, destinato in modo speciale al servi-zio dell’altare, apprenda tutte quelle nozioni che riguardano il culto pubblico divino e si sforzi di comprenderne l’intimo e spiritua-le significato: in tal modo potrà offrirsi, ogni giorno, completamente a Dio ed essere, nel tempio, di esempio a tutti per il suo compor-tamento serio e rispettoso, e avere inoltre un sincero amore per il corpo mistico di Cristo, o popolo di Dio, e specialmente per i deboli e i malati” (Ministeria quaedam, VI).Anche per l’Accolito il servizio non è solo esercizio liturgico, ma attenzione amorosa verso l’Eucaristia e i fratelli e sorelle che vi-vono nel dolore e nella sofferenza fisica. Inoltre deve aver cura dei deboli, dei poveri e degli infermi attraverso l’esercizio della cari-tà, dell’assistenza e dell’aiuto, nonché ovvia-

mente portando loro la Santa Comunione. Anche attraverso il loro impegno acquista concretezza il fat-to che non si può in una comunità condividere il pane cele-ste se non si condivide la fatica, il lavoro e la sofferenza di chi è in difficoltà per il pane terreno.Certo se questa loro sensibilità è concreta nel rapporto rav-vicinato con il proprio territorio parrocchiale ciò sarà vero anche nella esperienza della diocesi dove ogni ministero e servizio trova pienezza nella persona del Vescovo e nella co-munione si respira una Chiesa tutta ministeriale».

Qual è la differenza tra ministeri istituiti ed i servizi e mi-nisteri di fatto?

«La differenza è già nell’affermazione “ministero istituito”, cioè riconosciuto e reso ufficiale dalla Chiesa. Esso non è transitorio, ma stabile nella vita della persona, salvo diffi-coltà. I ministeri di fatto sono tanti nella comunità e sono esercitati per un periodo di tempo e in occasioni particolari. I ministeri di fatto sono: i ministri straordinari dell’Eucari-stia, il servizio nella catechesi, il cantore e l’organista, il ruolo di coordinamento da esercitare in un campo specifico della pastorale, il servizio di promozione per la carità negli ambi-ti della vita sociale e politica e ogni attenzione esercitata per amore di Cristo e dei fratelli. Tutto perché si manifesti in ogni spazio di vita la dimensione missionaria della Chiesa».

È corretto affermare che il ministro istituito rappresenta una forma di valorizzazione del Laicato?

«È giusto affermarlo, ma non è esclusivo. Tengo a precisare che i ministeri non vanno interpretati nell’orizzonte uma-no della promozione, della ricompensa per meriti acquisiti, né come qualcosa che potrebbe ulteriormente affaticare la struttura ecclesiale. Essi sono doni del Signore per la crescita della Chiesa a livello vocazionale e comunionale. Per questo i laici nei ministeri istituiti alimentano la spiritualità della gratuità. I laici non solo coloro che eseguono dei servizi den-tro la Chiesa e in nome di essa nella vita sociale. I laici sono protagonisti di evangelizzazione per il dono del battesimo in ogni ambito della vita esercitati nella comunione ecclesiale. Ai nostri tempi un ruolo efficace è quello educativo che non si può improvvisare. Alla maturità umana, spirituale ed ec-clesiale dei laici viene chiesta anche la sensibilità culturale per le accresciute scienze conoscitive dello sviluppo umano, come amore alla vita. Ancora una sensibilità è chiesta ai laici l’apertura alla mondialità e l’attenzione all’ambiente da vive-re e relazionarsi come custodi. Per questo non occorre avere qualifica ma attenzione a ciò che ci circonda».

Giovanni Morelli

I nuovi ministri istituiti

Tre giovani seminaristi della diocesi sono stati ammessi tra i candidati all’Ordine sacro dall’Arcivescovo,

S.E. mons. Rocco Talucci. Si tratta di Ales-sandro Donno della parrocchia San Nicola di Brindisi (ammesso nel corso della cele-brazione del 26 giugno u.s.); Giulio Nobile, della parrocchia santuario Santi Cosma e Damiano di Ostuni (ammesso nella cele-brazione del 27 giugno u.s.); Diego Zurlo, della parrocchia SS. Annunziata di Mesa-gne (ammesso durante la celebrazione del 28 giugno u.s.).

Il rito di Ammissione permette ai candi-dati di esprimere, in libertà, la volontà di continuare il cammino di formazione pre-sbiterale e di impegnarsi a fare propri i tratti

di Gesù Buon Pastore. Il rito di Ammissione rappresenta un vero e proprio “giro di boa” nel cammino del candidato; pur essendo estremamente sobrio e semplice nei segni esteriori, il rito ha in sé un significato inte-riore molto forte per chi lo compie. Durante la celebrazione, di fronte al Vescovo e alla comunità parrocchiale, il candidato viene chiamato per nome e risponde con il suo primo “eccomi”, ricevendo successivamente una particolare esortazione e benedizione da parte del Vescovo.

Quell’eccomi pronunciato dal candidato richiama quello di Maria: una semplice pa-rola che racchiude in sè tutti i sentimenti, le gioie, le aspettative e le trepidazioni di chi sceglie di seguire e affidarsi al Signore lungo

la strada della vocazione al sacerdozio. Tut-to parte da Dio, è Lui che chiama a seguir-lo e prepara per ognuno una strada. E con il Rito di Ammissione il candidato non solo sceglie di mettersi nelle mani del Signore, bensì anche in quelle della sua Chiesa, che attraverso il Vescovo e gli educatori ne rico-nosce la chiamata e l’idoneità, e si impegna ad accompagnarli lungo il cammino.

In questo modo la sua vocazione, da “fat-to privato” diventa qualcosa che interessa tutta la comunità credente, e il giovane che sceglie di dire il suo primo “sì” ufficiale al Signore si sente così accompagnato e soste-nuto non soltanto dal clero e dal seminario, ma da tutta la Chiesa.

riti di ammissione Tre giovani seminaristi ammessi all’Ordine sacro

Un “eccomi” pronunciato davanti a tutta la comunità

L’Ammissione di Giulio Nobile

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7luglio-agosto 2010 Vita Diocesana

Dal 26 al 29 giugno si è svolto presso il Seminario di Brindisi il campo vocazionale per ragazzi desiderosi di vivere tre giorni di intensa vita comunitaria, ma

soprattutto volenterosi di ascoltare la voce del Signore, che continuamente chiama. Il campo è stato pensato in base a quello proposto dal Centro Nazionale Vocazioni, ma il tema è stato adattato dai noi giovani seminaristi, insieme agli educatori.

Vi hanno partecipato venti ragazzi di età compresa tra gli undici e i sedici anni, provenienti da alcuni paesi della no-stra diocesi: Brindisi, Ostuni, Guagnano, Locorotondo, Le-verano, Mesagne, San Vito dei Normanni, Veglie. Ci siamo ritrovati nel pomeriggio del 26 giugno; subito dopo l’arrivo dei ragazzi vi è stato un breve incontro per presentarci e in-trodurre l’argomento principale del campo e poi ci siamo recati in chiesa per ringraziare il Signore, con la preghiera della sera. Dopo cena ci siamo conosciuti meglio attraverso dei giochi che oltre a farci divertire, ci hanno permesso di costruire uno spirito di squadra, per essere uniti come ci ha insegnato il Signore.

Il mattino dopo abbiamo iniziato la nuova giornata dal tema: “La bella notizia di chi segue il proprio sogno”, aven-do come brano evangelico di riferimento quello della guari-gione dei due ciechi. Dopo l’incontro ci sono state le attivi-tà divisi per gruppi di età e poi la S. Messa. Dopo pranzo la visione del film “La musica nel cuore” e poi ancora giochi. Dopo cena ci siamo avviati tutti insieme lungo le strade di Brindisi, per una passeggiata in centro conclusasi, a sorpre-sa, con la visita al nostro Arcivescovo, che nonostante l’ora tarda non ha voluto rinunciare ad affacciarsi alla finestra dell’Episcopio per salutarci!

E così siamo giunti al terzo giorno, dal tema: “La bella no-tizia di chi crede che l’impossibile è accaduto”, sul brano del-la Risurrezione. Nel pomeriggio abbiamo ricevuto la visita del nostro Arcivescovo, che ha voluto nuovamente salutarci

e donarci la sua benedizione. Poi abbiamo avuto un mo-mento di raccoglimento nella cappella per l’adorazione. In serata abbiamo assistito al concerto dei volontari del coro dell’AVIS di Brindisi, svoltosi nel nostro auditorium.

Il tempo è volato e siamo giunti presto all’ultimo giorno, che ha avuto per tema: “La bella notizia di chi ama e basta”, sull’Inno alla Carità di S. Paolo. Tante sono state le rifles-sioni fatte e condivise dai ragazzi, a conferma di come sia stata bella e coinvolgente l’esperienza. Molti ragazzi hanno espresso la volontà di voler approfondire la conoscenza del Seminario in modi diversi, ma la cosa più importante è sta-ta che ognuno ha espresso il desiderio di voler curare il rap-porto con il Signore, nostro “tutto” e nostro primo amico.

Accanto alla centralità della Parola di Dio è stato bello ac-compagnare le nostre giornate e i nostri incontri con delle canzoni tratte dal repertorio di alcuni cantautori italiani, che ci hanno aiutato ancora di più a riflettere. Come non ricordare, infine, l’esperienza di servizio fatta da ognuno di noi seminaristi accanto agli amici, a pranzo e a cena, nei canti, nella liturgia, nei giochi e in tante altre occasioni, segni semplici, ma efficaci di quella totale gratuità a cui è chiamato il sacerdote.

La celebrazione della S. Messa nella solennità dei san-ti apostoli Pietro e Paolo, alla presenza di tanti genitori ed amici, ha concluso nel modo migliore il nostro campo, esperienza formativa e divertente, perché ci ha aiutati a cre-scere nell’ambito della formazione spirituale ed umana.

Un’esperienza, amici, da rifare! A proposito, invito tutti i ragazzi che hanno voglia di mettersi in gioco, a fare questo tipo di esperienze che il Seminario propone: vi assicuro che impareremo a dire a tutti con il cuore: “Ho una bella notizia: io l’ho incontrato! ”.

Riccardo Rotaseminarista

seminario� Tre giorni intensamente vissuti alla ricerca della “bella notizia”

Un campo vocazionale per ragazzi

Il carcere, luogo di soffe-renza e, talvolta, anche di disperazione, in cui si

conosce la privazione di un bene tanto prezioso come quello della libertà. Luogo in cui le lacerazioni, le con-traddizioni di una vita, che spesso ha toccato il fondo, emergono in tutta la loro vi-rulenza. Luogo di deserto, dove sembra che l’aridità abbia il sopravvento persino sui sentimenti. Luogo dove lo spazio è insufficiente, la qualità della vita molto bas-sa, le condizioni di lavoro impossibili, la dignità della persona continuamente cal-pestata, la speranza per il fu-turo scomparsa.

Questo luogo, in cui sembra che la speranza sia sconfitta dalla sfiducia, può diventare “un luogo-tempo di grazia del Signore”, dove si proclama la libertà e vengono fasciati i cuori spezzati, attraverso l’annuncio della misericordia del nostro Dio, Pa-dre buono.

Dio che non volta le spalle al pecca-tore, che non vuole la sua morte, anzi desidera che il peccatore si converta e viva, ha dimostrato ancora una volta il suo amore, la sua bontà, la sua miseri-cordia verso i peccatori chiamando tre fratelli detenuti a ricevere i sacramenti dell’Eucaristia e della Cresima.

Sabato 26 giugno, infatti, per la Casa Circondariale di Brindisi è stato un giorno particolare, di grazia. Tre fratelli reclusi (C.M.,T.D. e A.G.) hanno ricevo-no il sacramento della Cresima e uno di loro (C.M.) anche quello dell’Euca-ristia.

Alle 9,15 Sua Ecc.za mons. Rocco Ta-lucci, accompagnato dalla Direttrice, dal Comandante e dal Cappellano si è recato nella Cappella dove ad attender-

lo ,oltre ai tre detenuti che dovevano ri-cevere i sacramenti, c’erano i volontari, il coro della Parrocchia di Bozzano e i familiari di uno dei detenuti.

Purtroppo, anche se volentieri avreb-bero fatto corona ai loro compagni, gli altri detenuti, per disposizione di un decreto ministeriale, non hanno potuto partecipare alla cerimonia.

Nell’omelia l’Arcivescovo, oltre ad af-fermare l’importanza dei sacramenti e della particolarità del luogo in cui stavano per essere amministrati, si è soffermato soprattutto sul senso della libertà e della vita nuova. Partendo dal discorso di Gesù nella sinagoga di Na-zareth “Lo Spirito del Signore è su di me..mi ha mandato a portare ai prigio-nieri la liberazione”, mons. Talucci ha parlato del senso della vera libertà e ha affermato che ciò che conta è la liber-tà interiore più che quella fisica perché si può essere liberi stando in catene, in carcere e si può essere schiavi stando fuori. Una libertà che porta al rinnova-

mento, al cambiamento della vita, ad un futuro sereno e pieno di luce.

Questo è stato l’augurio che l’Arcive-scovo ha affidato al Cappellano con preghiera di portarlo a tutti i detenuti che non erano presenti fisicamente, ma lo erano col cuore.

Un detenuto ha scelto come padrino il fratello, gli altri hanno scelto due vo-lontari.

Al termine della Messa, in ricordo di questo giorno, sono stati consegnati ai tre detenuti, una pergamena, alcuni li-bri e degli oggetti religiosi.

Col cuore pieno di gioia e di commo-zione il Vescovo, e dopo di lui tutti i presenti, hanno abbracciato i tre fratelli detenuti che con il cuore pieno di gio-ia, ma con un filo di tristezza sul volto, hanno ripreso la via della cella.

Per un giorno il carcere si è trasforma-to in cenacolo!

P. Giovanni Fabiano O.de.MCappellano casa circondariale

via appia Una Pentecoste tra quelle mura

Carcere, cenacolo per un giorno A

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Centro diocesano vocazioniESERCIZI SPIRITUALI VOCAZIONALI.� Dal 22 al 24 luglio si terranno gli Esercizi spirituali vocazionali sul tema “Tu mi scruti e mi conosci”. L’iniziativa è rivolta a ragazzi e ragazze in ricerca vocazionale, giovani, giovani-adulti e seminaristi. Gli esercizi si svolgeranno a Ostuni presso il Centro di Spiritualità “Madonna della Nova”. Adesioni entro il 18 luglio.

Azione Cattolica

CAMPO SERVIZIO GIOVANI (18-30 anni).� SI terrà a Brindisi dal 5 all’8 agosto priossimi. Si tratta di un’esperienza di spiritualità e di servizio in cui i giovani potranno mettersi in gioco in prima persona nel servizio ai più bisognosi.CAMPO ITINERANTE GIOVANI-ADULTI e ADULTI (dai 30 anni in su).� Si terrà in Toscana dal 16 al 19 agosto prossimi. Si tratta di un viaggio alla ricerca di sé, dell’altro e di Dio, nella suggestiva cornice dei luoghi che hanno ispirato alcune figure di santità.CAMPO DIOCESANO UNITARIO.� Si tratta di una inizia-tiva rivolta agli Educatori Acr e del Settore Giovani, agli Animatori dei gruppi Adulti e dei gruppi fami-glia, e ai Responsabili associativi. Si svolgerà dal 20 al 22 agosto (19-22 agosto per l’Acr) presso il Centro di Spiritualità “Madonna della Nova”, di Ostuni.Tutte le informazioni sul sito dell’Azione Cattolica: www.�acbrindisiostuni.�it

La Nostra Famiglia

E.�.�.�STATE AL PASSO.� Dall’1 al 5 agosto, l’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità propone, per i giovani dai 18 anni in su, un percorso culturale e spirituale alla scoperta del viaggio come metafora della vita.Informazioni: Luisa Minoli, [email protected], (telefono: 031 625111 - www.lanostrafamiglia.it)

Fraternità di Bose

PROPOSTE ESTATE 2010 ALLA FRATERNITA’ DI OSTUNI.� 26-31 luglio “Siate lieti nel Signore!” - La lettera ai Filippesi.9-14 agosto “Un uomo secondo il cuore di Dio” - Le storie di David. Entrambi gli incontri saranno guidati da Daniele Moretto, monaco di Bose.Per giovani (19-30 anni): 16-21 agosto Gli incontri di Gesù “L’uomo che ci insegna a vivere” con Ludwig Monti, monaco di Bose23-28 agosto “Beati i poveri nello spirito” Il discorso della montagna (Mt 5-7) con Davide Varasi, monaco di Bose. Maggiori informazioni su www.boseostuni.it

La cappella del carcere di Brindisi © Claudia Anna Corsa

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8 luglio-agosto 2010Vita Diocesana

Il 7 luglio scorso, all’età di 98 anni, è tornata alla casa del Padre la signorina Santina Colucci, da tutti conosciuta

come “zia Santina”. Originaria di Ostuni, era una laica consa-crata dell’Istituto secolare delle Piccole Apostole della Carità fondato da don Luigi Monza. Ad Ostuni, e a “La Nostra Fami-glia” in particolare, zia Santina era una vera e propria isti-tuzione. Si era stabilità lì fin dal 22 ottobre del 1957, prima ancora, cioè, che la struttura venisse inaugurata dall’allora Presidente della Repubblica Grochi (marzo 1958). Di seguito, pubblichiamo il testo dell’omelia pronuncia-ta da mons. Giuseppe Satriano, Vicario generale, nel corso della messa funebre celebrata nella parrocchia di San Luigi Gonzaga.

C ara Zia Santina,preferisco leggere una lettera intrisa del sapore della Parola ascoltata, più che parlare a braccio.

Rinunciare all’idea di poter ancora accarezzare con lo sguardo, su questa terra, il tuo volto e la tua vita, è qualcosa che tocca il cuore di tanti di noi che ti hanno conosciuta e amata, e che hanno goduto della gioia intima di sapersi ri-amati e ricordati dal tuo cuore di madre e sorella.

Del resto perché se le altre Piccole Apostole vengono quasi sempre chiamate con il proprio nome o l’appellativo di Si-gnorina a te è stato riservato questo attributo affettivo?

La risposta credo sia immediata per tutti: nella relazione con te, al di là dei tanti parenti di sangue, tu hai saputo di-segnare relazioni autentiche, forti, sincere, appassionate di Vangelo e sempre ricolme di intercessione orante.

Ora è giunto il momento di lasciarci, ma non per tua deci-sione, bensì in obbedienza alla volontà di Colui che, chia-mandoti alla vita ti ha invitata ad una sequela significati-va che sin dalla giovinezza ha segnato il tuo pellegrinaggio terreno, rendendoti per noi tutti punto indiscusso di riferi-mento, consigliera efficace, porto sicuro dove trovare ristoro, consolazione e speranza.

Pertanto non posso non continuare a chiamarti “Zia”. Gli anni per te sembravano non passare e nel nostro immagina-rio la tua vita, così segnata da un amore grande per il Signore e per quel santo sacerdote di don Luigi Monza, che mi hai educato a conoscere, era destinata a non tramontare.

Perdonami se ti faccio arrossire, tu non avresti amato sen-tir molto parlare di te e allora guardo al Vangelo e alla Parola ascoltata attraverso cui è il Signore a parlarci tra le righe di te.

Il brano evangelico che rischiara questa giornata di lutto e di gioia al tempo stesso, è chiaro ed inequivocabile nel sot-tolineare con forza che tutti noi, chiamati come credenti, al discepolato e alla sequela del Maestro, siamo mandati a narrare, con la vita, la nostra fiducia in Lui, Salvatore nostro, mediante un esistenza libera da orpelli e sovrastrutture, po-

vera da ogni ricchezza umana per essere segno di quella soli-darietà liberante che sana l’uomo dai suoi mali e lo guarisce dai disturbi del peccato.

È questo invito che tu hai seguito più di 50 anni fa, quando nell’entusiasmo hai voluto fare della tua esistenza un dono nelle mani di Dio mediante l’adesione generosa al carisma di quell’ umile pretino del nord, don Luigi, che in te aveva scor-to i semi di una primavera rigogliosa dello Spirito.

Perdonami, Zia Santina, ci sono ricascato nuovamente ed ho parlato di te.

Torno dunque al Vangelo, dove l’evangelista Matteo invita tutti noi a cogliere come il seguire il Maestro e l’annunciare il Regno nasce da una consapevolezza che mai ci deve abban-donare: tutto è grazia!

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date...Certo, una vita che riceve amore, che avverte come Osea

nella prima lettura, il fremere del cuore di Dio e dalla sua passione per l’uomo, si sente rigenerata e non può non ri-spondere che con un esistenza senza freni, interamente of-ferta alla causa del Regno.

È qui che casca l’asino!Questo fremere del Cuore di Dio a noi è quasi sempre sco-

nosciuto per la sordità del cuore, troppo spesso invischiato nei compromessi terreni dove più che scorgere un orizzon-te di luce, ci ritroviamo avviluppati dallo sterile faticare dei giorni e dal vuoto egoismo delle nostre scelte.

La scommessa è alta e bella, dare senso alla vita, regalando a tutti e a ciascuno la serena certezza di un Dio che ci accom-pagna e si fa carico del nostro andare.

Quanto è meraviglioso scorgere come nel cuore dei bam-bini tutto questo vien colto con maggiore immediatezza e verità.

Perdonami Zia Santina ma ho sbirciato tra le lettere dei tuoi piccoli nipotini ospitati proprio accanto alle tue stanze. In due letterine ho letto queste parole:

Cara zia Santina sono Luciana, vorrei dirti che mi è di-spiaciuto molto quando ci è stato detto che non c’eri più. Dopo un po’ ho capito però che anche Gesù voleva una persona come te. Io so solo una cosa che anche Gesù ti ha voluto vicino a Lui. Ma non solo Lui, anche don Luigi Monza voleva starti vicino. Ciao, con affetto LucianaCarissima Zia Santina sono Ilaria, non so se ti ricordi di me, perché tu hai conosciuto tanti bambini. Ti ringrazio di tutto ciò che mi hai dato. Mi dispiace per ciò che è ac-caduto ma so che stai bene nelle mani di Gesù. Mi ero tanto affezionata e non vedevo l’ora di tornare a casa quando uscivamo per salutarti e stare un po’ con te. Ora so che non ti posso vedere, ma credo che tu da lassù mi riesci a vedere. Ti ringrazio ancora molto, ti voglio tanto bene. . . e ti auguro buona fortuna lassù.

Quanto è meraviglioso cogliere, tra le righe di queste paro-le semplici, come la certezza di una amore grande, sereno e pacificatore ha toccato il cuore di questi fanciulli.E’ questo l’annuncio del Regno che anche noi siamo chia-

mati a testimoniare con la vita: Dio è vicino ad ogni uomo e non lo lascia solo, mai, anche dinanzi alla croce.Tu, Zia cara e amata, ci hai insegnato questo modo di esse-

re credenti e con la tua religiosità, scevra da ogni polveroso atteggiamento, ci additi un cammino di fede da fare fino in cima, sino alla fine, come Gesù, animati solo dalla Carità di Dio.È dall’alto di questa cima che guardando indietro, avvertia-

mo quanto grande sia stata la tua esistenza di donna, di cre-dente e di consacrata pur nei limiti della natura umana e nel discreto vivere dei tuoi giorni.Scusami, sono davvero imperdonabile e mi sembra quasi di

sentirlo ancora il rimprovero insieme alla carezza della tua mano, che immancabilmente sfiora il mio volto. Sì, hai ragio-ne . .tu non hai fatto niente, ha fatto tutto Gesù!È vero Zia Santina, fa tutto Lui se lo lasciamo fare.Grazie allora perché hai reso il tuo cuore realtà accogliente

al mistero di Dio e dell’uomo.Con te in ciclo ci sentiamo più sicuri. A te affidiamo le no-

stre preghiere e per te preghiamo perché il buon Gesù che hai sempre contemplato nell’icona della Croce stenda la sua mano e a Sè ti attragga, per sempre, nella sua pace infinita.Parti anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio

Padre che ti ha creata, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spiri-to che ti è stato dato in dono.Arrivederci Santina, il tuo nome scritto nei cieli, risplenda

nella luce e nella gloria dei santi. Amen.Mons. Giuseppe Satriano

il ricordo L’omelia pronunciata dal Vicario generale alle esequie celebrate giovedì 8 luglio ad Ostuni

Piccole apostole della Carità senza “zia Santina”

“zia Santina” Colucci

Nel quadro delle atti-vità di vicinanza mis-

sionaria che la nostra vita diocesana pone in essere quasi ogni anno, c’è da registrare la partenza di singoli o di gruppi di per-sone della nostra diocesi per il Brasile, il Kenya o altre zone dove sono pre-senti progetti di collabora-zione. Nello scorso giugno don Peppino Apruzzi ha raggiunto il Brasile e dal 20 luglio al 13 agosto, un gruppo composto da Sa-cerdoti e Laici si recherà in Kenya per una espe-rienza di condivisione con la Chiesa sorella di Marsabit.

Il gruppo, composto da don Giusep-pe Satriano e dai seminaristi del Se-minario di Molfetta, Stefano Bruno e Antonio De Marco, visiterà Laisamis, Marsabit, Nanyuki e lo slum di Koro-ghocho a Nairobi, nell’intento di me-glio accostare e comprendere le diver-se tipologie di presenza missionaria.

A loro, nei giorni successivi si ag-giungerà don Donato Panna, parroco a Materdomini insieme ad un gruppo di laici della Vicaria di Mesagne e del

Salento.Le ricchezze spirituali e pastorali

espresse dal cammino di fratelli nella fede in queste zone del Kenya può co-stituire un’autentica risorsa di rifles-sione per i percorsi ecclesiali delle no-stre comunità. La diocesi di Marsabit, com’è noto, è gemellata con la nostra Chiesa di Brindisi-Ostuni, alla quale è legata da un rapporto decennale di scambi e collaborazione, matu-rati grazie alla presenza, a Laisamis, di nostri sacerdoti fidei donum (don

Donato Panna, don Fernando Paladi-ni, don Giuseppe Satriano). Lo stesso Vescovo della diocesi africana, mons. Peter Kiara, più volte nel corso degli ultimi tempi ha fatto visita al nostro Pastore mons. Rocco Talucci.

La Redazione di Fermento, interpre-tando i sentimenti dell’intera comuni-tà diocesana, accompagna il viaggio di questi amici con la preghiera. Un ampio resoconto della loro visita in Africa sul prossimo numero del nostro giornale, in uscita a settembre.

Nomine dell’Arcivescovo BRINDISI

CALAMO don Piero, Parroco “S. Lorenzo da Brindisi” RANDINO don Antonio, Vicario parr.le “S. Vito martire” DE MITA don Piero, Co-Parroco “Cuore Immacolato di Maria” PRETE don Giovanni, Assistente-economo Seminario Arcivescovile

OSTUNI

PALMA Mons. Cosimo, Rettore “S. Francesco” APOLLINARE don Giovanni, Parroco “Maria Ss. Annunziata” GRECO don Francesco, Vicario parr.le “S. Luigi Gonzaga” LEGROTTAGLIE don Franco, Collaboratore “Madonna del Pozzo”

LOCOROTONDO

CONVERTINI don Giuseppe, Ammin.re parr.le “S. Marco” GIANNOCCARO don Giacomo, Rettore “Maria Ss.ma Addolorata” GALIZIA don Claudio, Vicario parr.le “S. Giorgio martire”

MESAGNE

SOLIBERTO don Cosimo, Parroco “Ss. Annunziata”

VEGLIE

SCHENA don Cosimo, Vicario parr.le “S. Antonio abate”

SAN DONACI

CAPUTO don Angelo, Rettore “S. Luigi” in San DonaciFINA don Marco, Cappellano “S. Antonio” in San Donaci

ALTRI INCARICHI

CENACCHI don Claudio, Direttore Apostolato della preghieraFALCONE don Emanuele, Anno sabbatico

missioni Un gruppo della diocesi sarà a Laisamis e nei villaggi vicini

Vicini alla Chiesa sorella di Marsabit

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9luglio-agosto 2010 Parrocchie & Associazioni

È stato portato in scena il 26 giugno, il musical “Forza Venite Gente!” che ha visto protagonisti i ragazzi del

gruppo giovani della parrocchia San Giu-stino de Jacobis di Brindisi.

Il musical aveva come trama la storia di un padre angosciato dalle scelte del pro-prio figlio , Francesco d’Assisi, che abban-dona tutte le sue ricchezze per abbracciare “sorella Povertà”. Un padre che non ap-prova queste scelte e pensa che il figlio sia uscito fuori di senno perché parla con gli uccelli, gli alberi, il lupo.

Sul palco si è quindi assistito a soliloqui, dialoghi, balletti con tanti personaggi: San Francesco, Santa Chiara, Frate Leone, la “Cenciosa”, gli uccelli, le suore, le vedove, l’Angelo Biondo, Cappuccetto Rosso, So-rella Povertà, il Diavolo, Sorella Morte, gli alberi animati, i frati e così via.

Personaggi tutti splendidamente inter-pretati da questi ragazzi, con una sceno-grafia ben studiata che riproduceva l’am-biente dell’epoca con suppellettili semplici ed essenziali, così come semplice ed es-senziale era la vita di San Francesco. Bel-lissimi i costumi, con colori e dettagli stu-

diati, frutto dell’impegno e del lavoro di alcune mamme dei ragazzi.

Momenti di recitazione intensa, a volte drammatica, spesso emozionante, si sono alternati a balletti e canti, strappando ap-plausi al pubblico che ne ha apprezzato l’originalità, la spontaneità e la bravura.

Allo spettacolo ha assistito anche l’Arcive-scovo. Introdotto dal discorso del parroco, Don Francesco Caramia, che ha spiegato quanto impegno ci fosse stato da parte di questi giovani e da chi li ha guidati ed istruiti, il musical ha avuto la durata di due ore. Alla fine, mons. Talucci è salito sul pal-co per ringraziare personalmente i ragazzi, affermando che la vita di San Francesco è un esempio per tutti, perché umiltà e bon-tà nobilitano l’animo di ognuno di noi!

L’ultima immagine di questa rappresen-tazione ha riproposto questi ragazzi tutti in fila con una rosa bianca in mano, dono delle loro catechiste e dei loro genitori, simbolo della loro genuinità e spontanei-tà, quasi un augurio che nella vita possano sempre conservare questa loro innocenza e purezza.

Federica Pignataro

brindisi In scena i giovani del gruppo di San Giustino

“Forza venite gente”, è musical

La Parrocchia SS. Pancrazio e Francesco d’Assisi (Chiesa Madre) di S. Pancra-zio Salentino da molti anni organizza

il Centro Estate ragazzi per togliere i minori dalla strada e soprattutto per offrire ad essi esperienze formative, socializzanti, solidali, sportive, musicali, teatrali, culturali e arti-stico-pratiche secondo un preciso progetto educativo.

L’iniziativa si è svolta dal 16 giugno al 9 lu-glio. Per il secondo anno consecutivo la Par-rocchia ha vissuto tale esperienza in collabo-razione con l’Assessorato ai Servizi Sociali e con l’Istituto Professionale per i Servizi so-ciali “Morvillo-Falcone” di Brindisi, median-te il coordinamento globale del Prof. Loren-zo Caiolo.

Il progetto di quest’anno è stato intitolato “La città dei ragazzi 2010. Viaggio nel mondo di Gianni Rodari: Avventure con Cipollino” ed è stato attuato con numerose attività edu-cative, pratiche, esperienziali, solidali; con escursioni nel Salento tra bellezze storico-culturali, naturali, agricole, pastorali e ma-rine. I ragazzi sono stati impegnati in viaggi alla riscoperta degli antichi mestieri, degli ambienti tradizionali contadini, dei centri storici urbani, dei giochi del passato, in ini-ziative multimediali e pratiche di educazione alla mondialità, alla solidarietà e alla pace, nonchè mirate a prevenire pensieri e com-

portamenti di razzismo e di qualsiasi forma di discriminazione e pregiudizio.

Si è trattato di un vero e proprio lavoro for-mativo integrale, perché con i multiformi in-terventi, capace di coinvolgere e sviluppare tutte le dimensioni e relazioni storiche della persona umana.

Tale progetto ha coinvolto oltre 180 ragazzi, spesso anche i loro genitori, e oltre 40 giova-ni animatori-educatori, oltre a vari collabo-ratori.

Sono stati 25 giorni intensi di lavoro edu-cativo con i ragazzi e molti di più con gli animatori-educatori presso i locali scolastici comunali e quelli parrocchiali di Via Mons. Lacarra e in tanti altri luoghi a seconda della specificità delle esperienze formative e degli obiettivi educativi previsti.

Il Parroco don Arcangelo si è reso spesso presente con la parola, il consiglio, la testi-monianza e l’invito alla lode e alla preghie-ra…

La mattina del 9 luglio in Chiesa Madre grande e sentita Liturgia e Preghiera di Rin-graziamento e la sera lunga manifestazione festosa pubblica a Piazza Unità d’Italia per offrire a tutta la cittadinanza, occasioni e stimoli di crescita e la sintesi del cammino compiuto dai protagonisti.

don Michele Arcangelo Martina

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione del dottor Pietro Lacorte, Vice presidente della Società Italiana di Bioetica e Comitati Etici (SIBCE).

Non era mai accaduto che una pubblica amministra-zione, in un atto deliberativo, avesse dichiarato quali

cittadini avessero diritto a partecipare ad un concorso sulla base di principi etici professati o meno.

È accaduto nella regione Puglia con la delibera n°735 del 15/03/2010.

Gli amministratori regionali hanno interpretato in modo singolare lo spirito della Legge 194 la quale, pur nel con-sentire l’aborto in istituti di cura, in determinate condizioni (art.4), e con il fine di combattere l’aborto clandestino per i rischi che esso comporta, si propone di restringerne il ri-corso attraverso l’attività di consultori, nei quali si possa, attraverso un dialogo sereno con diverse figure professio-nali, aiutare la donna a superare le ragioni che la induco-no ad un atto che sopprime una vita umana e che genera, quasi sempre, profonde lacerazioni interiori in chi lo com-pie.

Nei consultori quindi non si prevede di attuare l’aborto, per la esecuzione del quale occorre vi sia disponibilità di operatori sanitari non obbiettori di coscienza negli istituti di cura; si attuano bensì condizioni idonee per una pon-derata riflessione prima di una decisione gravida di gravi responsabilità morali per una vita che si sopprime (art.1 comma a).

Viene spontaneo allora domandarsi quali ragioni abbiano indotto i componenti la giunta regionale ad una delibera che discrimina i sanitari sulla base, non solo delle loro con-vinzioni morali, ma anche di loro doveri deontologici, con-siderato il fatto che ogni medico, nell’atto della iscrizione all’ordine, giura di difendere ogni vita umana dal concepi-mento fino alla sua conclusione naturale.

La legge 194 è una di quelle leggi che, volute dalla mag-gioranza del popolo italiano al solo fine di evitare rischi

per la salute della donna, quelli legati agli aborti clandesti-ni, è disposta a disattendere i principi etici legati alla dife-sa della vita, ove occorrano determinate condizioni, e dopo un colloquio con la donna al fine “di esaminare le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidan-za (comma a art.5)”.

Si può accettare allora che amministratori pubblici pos-sano discriminare quei medici che intendono osservare le loro convinzioni etiche e rispettare un giuramento conna-turato alla loro specifica professione, nell’attuazione di una legge che primariamente intende difendere il nascituro? (art.1 comma a).

L’assessore Fiore ha affermato che, “se una donna si rivol-ge ad un consultorio pubblico per una interruzione di gra-vidanza e trova un medico obiettore, finisce per rivolgersi ad un medico o ad una struttura privata, dove l’interruzio-ne viene fatta ma non si avvia ad un percorso che porta ad evitare che si ripeta l’aborto.. , un percorso di crescita verso l’uso della contraccezione”, che sarebbe meglio de-finire “procreazione cosciente e responsabile” come viene chiaramente espresso nel primo comma dell’articolo 1 del-la legge 194.

Per quali motivi l’assessore ritiene che tale percorso sia percorribile nei consultori solo con il contributo di medici abortisti e non anche invece di medici obiettori, i quali per altro, sono più motivati per un colloquio che miri a “con-tribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza” (comma d art. 2), in ragione delle loro convinzioni etiche, e ad offrire con-sigli idonei per una procreazione responsabile nel futuro? O ritiene comunque che la donna preferisca di evitare di incontrare in un consultorio medici obiettori, al fine di non essere dissuasa dalla propria decisione?

Se così è, per quale motivo la legge 194 ritiene necessario il colloquio in un consultorio prima della decisione defini-tiva di attuare un aborto dopo una settimana, “salvo che

non sussistano condizioni di urgenza” (art.5 comma c). Lo spieghi l’Assessore, prima di definire “sepolcri imbiancati” quanti ritengono doverosa l’osservanza integrale della leg-ge 194. Ma a parte ogni considerazione in merito, possono gli amministratori pubblici disattendere i principi della co-stituzione (art 2-3-19-31) nonché le norme sancite nell’arti-colo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e quelli sanciti nell’articolo 9 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali?

Quali giustificazioni possono addurre i componenti della Giunta regionale che hanno approvato la delibera in que-stione, in particolare quanti di loro si proclamano uomi-ni di fede, quella fede che non concede sconti nella difesa della vita? Nella loro giustificabile preoccupazione di am-ministratori, i quali devono assicurare l’attuazione delle leggi dello stato, non hanno forse esagerato nel preoccu-parsi più di assicurare un aborto, comunque deciso, anzi-ché di cercare di rimuoverne le cause?

E’ lecita o no una tale domanda da parte di un cittadino, e di un medico in particolare?

Pietro Lacorte

san pancrazio� Consolidata iniziativa

“La città dei ragazzi”Ottimo centro estivo

Il gruppo giovani che ha portato in scena il musical © G. Esposito

inTErVEnTi Una nota del vice presidente della Società italiana di Bioetica e Comitati Etici

Consultori, medici obiettori e delibere regionali

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10 luglio-agosto 2010Vita di Chiesa

Nel cuore della cit-tà di Brindisi, in via Conserva n.

39, dopo aver attraversato Porta Lecce e prima di im-mettersi su Corso Roma, sorge un grande caseggia-to con intonaco colorato, perfettamente inserito tra condomìni, negozi, bar e attività artigianali. Dal 1999, anno in cui fu ac-quistato dalla diocesi con i fondi dell’otto per mille, quel palazzo è sede della Caritas diocesana.

Brindisi, città di mare, è da sempre crocevia di per-sone e, nel recente passato, punto di approdo per tanti disperati della Terra. È cit-tà multiculturale e mul-tietnica, dove è normale vedere, lungo le strade del centro come in quelle di periferia, uomini e donne provenienti da Eritrea, Su-dan, Costa d’Avorio, Sene-gal, Gambia, Mali, Niger, Nigeria, Kenya, Somalia, Iraq, Iran, e Afghanistan.

Salvatore Licchello, se-gretario presso la Caritas diocesana, ci racconta la quotidianità vissuta in quel Palazzo della Cari-tà. «Ogni giorno vengono distribuiti oltre 150 pasti caldi, non solo a stranieri, ma anche ad anziani e fa-miglie della città». I pasti vengono serviti a turni di 30 per volta sia a pranzo che a cena. Tra questi sono compresi anche quelli per il servizio a domicilio, di-stribuiti attraverso i Servizi sociali o tramite le famiglie stesse che ritirano il pasto per consumarlo in casa.

Proprio grazie ai fondi ri-venienti dall’otto per mil-le, durante lo scorso anno la sede della Caritas è stata interessata da lavori di ri-strutturazione e adegua-mento normativo che ha permesso la realizzazione di una cucina e di una sala pranzo più rispondente alle esigenze degli opera-tori volontari e degli ospi-ti, la ristrutturazione dei servizi igienici, dei locali e degli ambienti comuni.

La mensa è stata riaperta il 22 settembre 2009 con una sobria ma significa-tiva cerimonia di bene-dizione e inaugurazione presieduta dall’Arcivesco-vo alla presenza di tutte le autorità civili e militari del territorio.

Tra i servizi attivi presso il Palazzo della Carità, oltre quello di mensa ge-stito dai volontari delle parrocchie brindisine, vi è il Centro di ascolto per tut-te quelle persone bisogno-se di aiuto o che, sempli-cemente, si sentono sole; vi sono a disposizione le docce per gli utenti; vi è un servizio di distribuzio-ne indumenti; uno spor-tello legale; un ambula-torio medico; aule per un corso di alfabetizzazione rivolto a stranieri e tenuto da alcune insegnanti delle scuole brindisine.

Le porte della sede Cari-tas sono aperte 365 giorni all’anno, dal lunedì al ve-nerdì dalle ore 8 alle ore 18 e il sabato e la domenica dalle ore 8 alle ore 14.

Entrando nella sede della Caritas tra le primissime persone che si incontrano c’è Adele Tundo, “mamma Adela” come la chiamano tutti i giovani immigrati. Adele, qui, è una vera e propria istituzione: «Ogni immigrato viene accom-pagnato dal momento in cui entra in Caritas e fino a quando va via» - ci raccon-ta. «Lo straniero ha dirit-to all’assistenza sanitaria, anche se clandestino, noi offriamo ciò di cui ha biso-gno; è importante seguirlo in tutto, anche aiutandolo nell’inserimento abitativo e lavorativo. La prima cosa che consiglio loro quando arrivano è la conoscenza della lingua italiana. Cer-chiamo di accompagnarli anche nelle pratiche bu-rocratiche e di aiutarli per far sì che non prendano altre strade».

Le risorse dell’otto per mille, unite alla passione dei volontari, rappresen-tano spesso l’unica pos-sibilità, per tanti fratelli, a sentirsi accolti e amati..

Tra le testimonianze più significative raccolte nel giardino della sede Cari-tas, c’è quella di Lamin Trawally, un bel ragazzo di 23 anni originario del Gambia. «Nel mio Paese c’è una dittatura militare, ci racconta Lamin - Appe-na giunto a Brindisi, sono venuto qui in Caritas, ma siccome non volevo tra-scorrere le mie giornate vagando senza far nulla, ho deciso di andare in Austria, anche se dopo pochissimo tempo sono ritornato a Brindisi. Qui mi sento a casa, anche se non è come proprio come il mio Paese dove per ora non posso tornare; sto bene e sono anche fortu-nato perché sono tra i più vicini a coloro che opera-no in Caritas. Lavoro alla giornata, seguo il corso di italiano e assisto anche un anziano accompagnan-dolo nelle passeggiate o passando qualche ora in casa a fargli compagnia». Lamin sogna di diventare un musicista, ma prima di ogni cosa vorrebbe pro-seguire con gli studi medi superiori.

Piccoli sogni, simili a quelli di tantissimi altri giovani immigrati come lui in cerca di un presen-te e di un futuro miglio-ri. Il mandato evangelico ad accogliere e aiutare lo straniero ha bisogno an-che delle opere e dei gesti concreti. La nostra firma per l’otto per mille alla Chiesa cattolica è un gesto che non costa nulla e che aiuta a tenere accesi sogni e speranze.

Giovanni Morelli

Circa 32 milioni di euro (31.713.990) uti-lizzati nel 2009 per

progetti e attività in Italia e nel mondo, per rispondere alle grandi emergenze eco-nomico-sociali e umanitarie e ad una quotidianità di vi-cinanza a chi soffre. Sono le cifre contenute nel Rapporto annuale 2009 di Caritas ita-liana. Di questi 32 milioni, 19.542.041 sono stati utiliz-zati in Italia, 8.725.797 nel mondo, 3.446.151 per le spe-se complessive di gestione. Caritas italiana ha cercato di concretizzare, nel corso del 2009, il tema dell'anno pa-storale: "Scegliere di animare. Percorsi di discernimento per parrocchie e ter-ritori". Un anno intenso di lavoro a ser-vizio dei poveri.

Tremila volontari in Abruzzo. Dai numeri contenuti nel Rapporto emerge che il 97% delle Caritas diocesane ha attivato un Centro d'ascolto, mentre il 71% ha attivato un Osservatorio delle povertà e il 69% il Laboratorio Caritas parrocchiali. Sono stati 3.089 i volonta-ri inviati dalle 16 Delegazioni regionali Caritas nelle tendopoli e tra le popola-zioni abruzzesi terremotate, da apri-le 2009 a marzo 2010. 23.032 persone hanno fatto offerte a Caritas italiana per il terremoto in Abruzzo, consenten-dole di raccogliere e impiegare (anche per gli anni futuri) 32.075.520 di euro. Tra le strutture realizzate o in fase di realizzazione, centri di comunità, edili-zia sociale abitativa, scuole, edifici per servizi sociali e caritativi, centri sociali parrocchiali. In Italia 1.273 giovani pre-stano servizio civile in 82 Caritas dioce-sane, a cui si aggiungono 56 all'estero, mentre in autunno sono stati immessi in servizio altri 987 giovani in Italia e 76 all'estero.

125 progetti anti-crisi. Sono stati invece 195 i progetti otto per mille pre-

sentati da 114 Caritas diocesane, per un valore di circa 12 milioni di euro richie-sti alla Cei e una compartecipazione delle diocesi di 9,5 milioni di euro. 125 progetti specifici sono stati monitorati da Caritas italiana e realizzati dalle Ca-ritas diocesane nel 2009, per far fronte alle conseguenze della crisi su persone e famiglie. Sono state, inoltre, organiz-zate 50 giornate di formazione. Sul fron-te "comunicazione" spicca l'aumento del 109,5% degli accessi al sito www.caritasitaliana.it rispetto al 2008 (pari a una media di 1.521 utenti unici quoti-diani) e le oltre 3 mila presenze Caritas su carta stampata, radio-tv e internet. Sul versante delle politiche sociali, è entrata nel vivo l'attività dei tavoli di la-voro su Aids; rom, sinti e camminanti; salute mentale e ospedali psichiatrici giudiziari. Nel 2009 sono state condotte due ricerche sul rapporto tra giovani e volontariato e tra famiglie e crisi. È sta-to anche promosso, insieme a Fonda-zione culturale Responsabilità etica e Centro culturale Ferrari, l'Osservatorio regionale e nazionale sul costo del cre-dito, promotore di una ricerca sull'ac-cesso al credito legato ai mutui per la casa. Riguardo al complesso fenomeno dell'immigrazione, un evento signifi-

cativo è stato, in maggio, l'incontro del Coordinamento nazionale immigrazio-ne a Lampedusa, proprio nel periodo delle discussioni più infuocate sull'ap-provazione del "pacchetto sicurezza".

"Zero poverty" in Europa e progetti in 80 Paesi. Il 2009 è stato anche l'anno della preparazione, nell'ambito della rete di Caritas Europa, della campa-gna "Zero Poverty", lanciata in vista del 2010, Anno europeo di lotta alla pover-tà e all'esclusione sociale. Sul versante internazionale, in 80 Paesi del mondo sono stati realizzati decine di progetti e 280 microprogetti. Caritas italiana ha anche aderito all'iniziativa "Stand Up!", della Campagna Onu del millennio, che ha portato 820.800 di italiani ad alzar-si alzandosi in piedi contro la povertà nell'ottobre 2009. Il lavoro di animazio-ne ha trovato espressione anche nella partecipazione alla campagna "Crea un clima di giustizia", dedicata alle relazio-ni tra crisi ambientali, povertà e conflit-ti e lanciata da Caritas internationalis e Cidse su scala globale. La campagna è culminata nelle azioni di sollecitazio-ne e pressione sui governi partecipanti alla Conferenza Onu sul clima, svoltasi in dicembre a Copenaghen.

CARITAS� Rapporto 2009 su progetti e attività in Italia e nel mondo

Da sempre a servizio dei poveri L’otto per mille alla ChiesaSEGNI CONCRETI ANCHE NELLA NOSTRA DIOCESI

«Le famiglie che bussano alla porta delle nostre Fondazioni

antiusura sono in aumento». Lo ha detto mons. Alberto D'Urso, segreta-rio della Consulta nazionale antiusura "Giovanni Paolo II", presentando il 22 giugno a Roma la relazione annuale all'assemblea generale della Consulta, sul tema "Crisi, solidarietà e speran-za".

Un quadro allarmante. Secondo un'indagine della Banca d'Italia del febbraio 2010, "la percentuale delle famiglie che risulta avere un prestito di qualsiasi natura è del 27,8%" (in crescita di quasi due punti percentua-li rispetto alla fine del 2006: 26,1%), e questo dato conferma "la tenden-za all'aumento in atto dal 2000" (in cui la quota delle famiglie indebitate risultava del 24%). E ciò, ha spiegato mons. D'Urso, «ha interessato tutte le tipologie di finanziamento, ad esclu-sione dei prestiti per ragioni profes-sionali». «Il valore medio del debito complessivo delle famiglie indebitate - ha ricordato - è di 41.266 euro». È una «fotografia significativa» dell'at-tuale situazione socio-economica del-le famiglie italiane, che si rivolgono alle 27 Fondazioni antiusura associate alla Consulta, presenti sul territorio nazionale.

L'attività della Consulta antiusu-ra. Nel 2009, ha riferito il segretario nazionale, la Consulta antiusura ha aperto «12 nuove pratiche (oltre un considerevole numero di richieste via internet di aiuti)». Sono state «assun-te 25 delibere (di cui 10 per abban-dono o rifiuto di assistenza)». Inoltre, sono state «completate erogazioni e trattative già in corso a fine eserci-zio 2008» e sono stati «garantiti altri 7 finanziamenti con fondi statali di 490.000 euro e 2 finanziamenti con fondi regionali di 106.000 euro». Infi-ne, «il monte finanziamenti garantiti dall'inizio dell'attività è salito com-plessivamente a 3.677.000 euro (di cui 3.571.000 con fondi statali)». Ma, ha precisato, «dietro ogni numero ci sono persone, famiglie, sofferenze, dolori, che solo con il nostro intervento han-no trovato soluzione e un'ancora di salvezza», strappando «gli interessati alle grinfie degli usurai». Non sfugge nemmeno «il valore sociale e morale che la nostra opera assume e della quale lo Stato dovrebbe tenere con-to». «Continueremo - ha proseguito mons. D'Urso - a vigilare e a chiedere la collaborazione di tutti» affinché «il Fondo prevenzione venga finanzia-to» adeguatamente per «una corretta programmazione degli interventi».

Promuovere la cultura preven-tiva. «Gravi preoccupazioni - ha ag-giunto padre Massimo Rastrelli, fon-datore e presidente nazionale della Consulta antiusura - ci vengono dal dilagante gioco d’azzardo e dal fat-to che a gestirlo, organizzarlo e pro-muoverlo sia anche lo Stato». Quindi, ha proseguito il segretario nazionale, «è altrettanto importante l’attività che tutte le Fondazioni e la Consulta andranno a svolgere per contrastare la dissennata moda di considerare il gioco» (“Gratta e vinci”, “Superenalot-to”…) «la soluzione ai problemi finan-ziari» anziché «ispirare la vita di cia-scuno alla sobrietà modulandola in base alle proprie risorse». In quest’ot-tica, ha spiegato, «le Fondazioni e la Consulta devono promuovere la cul-tura preventiva nelle scuole, nei cir-coli culturali, nei media», assicurando così «un servizio sempre più incisivo in favore delle famiglie e dei più de-boli». Infine, mons. D’Urso ha parlato del ruolo della Chiesa nel Sud Italia: «Quanto affermano i vescovi italiani, nel documento ‘Chiesa italiana e Mez-zogiorno: sviluppo nella solidarietà’, è importante», così come, ha concluso, «l’apporto che le Fondazioni danno per la lotta alla criminalità in genere e all’usura in particolare».

US�URA Povertà delle famiglie, disoccupazione giovanile e gioco d’azzardo

Ecco le nuove piaghe sociali

Ospiti alla mensa della Caritas diocesana © S. Licchello

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Vita di Chiesa 11luglio-agosto 2010

brindisi Un significativo incontro il 15 giugno

Ecumenismo, una verificaE’ morto il vaticanista

Giuseppe De Carli

È morto il 13 luglio al Policlinico Gemelli di

Roma, dove era ricoverato, Giuseppe De Carli, vaticani-sta della Rai e responsabile negli ultimi anni della strut-tura “Rai Vaticano”. De Car-li era nato a Lodi nel 1952 ed era stato corrispondente del Tg1 a partire dagli anni Novanta. È stato commentatore di fatti religiosi per il quotidiano romano “Il Tempo” e autore di diversi libri. La salma è rimasta esposta nella camera mortuaria del Poli-clinico Gemelli mentre i funerali hanno avuto luogo nella città natale di Lodi.

Nella celebrazione dei Primi Vespri del-la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e

Paolo, il Papa ha offerto alcune riflessioni sulla vocazione missionaria della Chiesa ed ha ricordato che il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, quando fu eletto Succes-sore di Pietro, nel pieno svolgimento del Concilio Vaticano II, «scelse di portare il nome dell’Apostolo delle genti» e nel 1974 «convocò l’Assemblea del Sinodo dei Vesco-vi sul tema dell’evangelizzazione nel mon-do contemporaneo, e circa un anno dopo pubblicò l’Esortazione apostolica “Evange-lii nuntiandi”».

Riferendosi successivamente al Venerabile Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha affer-mato che egli «ha rappresentato “al vivo” la natura missionaria della Chiesa, con i viaggi apostolici e con l’insistenza del suo Magistero sull’urgenza di una “nuova evan-gelizzazione”: (...) È a tutti evidente che il mio Predecessore ha dato un impulso stra-ordinario alla missione della Chiesa, so-prattutto per il genuino spirito missionario che lo animava e che ci ha lasciato in ere-dità all’alba del terzo millennio».

«Raccogliendo questa eredità» - ha detto il Papa - «ho potuto affermare, all’inizio del mio ministero petrino, che la Chiesa è gio-vane, aperta al futuro».

«Le sfide dell’epoca attuale» - ha sotto-lineato il Santo Padre - «sono certamente

al di sopra delle capacità umane (...). Ma non c’era - e non c’è - solo la fame di cibo materiale: c’è una fame più profonda, che solo Dio può saziare. Anche l’uomo del ter-zo millennio desidera una vita autentica e piena, ha bisogno di verità, di libertà pro-fonda, di amore gratuito».

«Vi sono regioni del mondo» - ha prose-guito il Pontefice - «che ancora attendo-no una prima evangelizzazione; altre che l’hanno ricevuta, ma necessitano di un la-voro più approfondito; altre ancora in cui il Vangelo ha messo da lungo tempo ra-dici, dando luogo ad una vera tradizione cristiana, ma dove negli ultimi secoli - con dinamiche complesse - il processo di seco-larizzazione ha prodotto una grave crisi del senso della fede cristiana e dell’apparte-nenza alla Chiesa».

«In questa prospettiva» - ha detto anco-ra il Papa - «ho deciso di creare un nuo-vo Organismo, nella forma di “Pontificio Consiglio”, con il compito precipuo di pro-muovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo an-nuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della so-cietà e una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo».

Il Papa crea dicastero per nuova evangelizzazione

Il cammino ecumenico, che ha vi-sto insieme in Brindisi i fratelli or-todossi, i valdesi e noi cattolici con

una riflessione settimanale sulla lettera ai Romani nei tempi forti di Avvento e di Quaresima, ha avuto una serata di verifica e programmazione per il nuovo anno pastorale il 15 giugno scorso pres-so la chiesa Valdese che è in Brindisi in via Congregazione.

Tutti abbiamo notato la fruttuosità della preghiera con la riflessione bibli-ca vissuta nel corso dell’anno e ci siamo dati tempi più opportuni e contenuti diversi per il prossimo anno pastorale 2010/11. L’appuntamento ecumenico

diventerà mensile, si protrarrà per tutto l’anno, la lectio divina sarà sui Salmi, i luoghi dell’incontro saranno le rispet-tive nostre chiese, che ospiteranno e ne cureranno l’animazione. Inoltre, pensando che non basta la sola pre-ghiera, che deve necessariamente tro-vare espressione nella carità, abbiamo deciso di preparare un depliant che possa descrivere brevemente la storia delle nostre Chiese e comunicare gli appuntamenti più importanti, per dare l’opportunità a quanti vogliono acco-starsi alla preghiera secondo la propria tradizione cristiana di poterlo fare (per esempio alle badanti, agli immigrati…).

Questi pochi passi sono il frutto di una neonata commissione ecumenica della Vicaria di Brindisi, voluta dall’ultimo Consiglio Pastorale Vicariale che ha come referente don Adriano Miglietta e come componenti Adele Tundo e un rappresentante di “Casa Betania”, Padre Arsenio, Padre Giovanni e un laico or-todosso, il pastore Winfrid Pfannkuke e un laico valdese.

Tutti abbiamo ringraziato il Signore per averci dato questa possibilità di cre-scita nella spiritualità e nella fraternità!

Don Adriano Miglietta

“L ibertà religiosa, via per la pace”: è questo il tema scelto da Benedetto

XVI per la celebrazione della 44ª Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2011). Ac-cento, dunque, sulla libertà religiosa, in un tempo in cui nel mondo questa viene limi-tata, marginalizzata e negata, per arrivare alla persecuzione e alla violenza contro le minoranze.

Radicata nella dignità dell’uomo. “La libertà religiosa – si legge nella nota diffu-sa il 13 luglio dalla Sala Stampa della Santa Sede in cui si spiegano i motivi di questa scelta – essendo radicata nella stessa di-gnità dell’uomo, ed orientata alla ricerca della ‘immutabile verità’, si presenta come la ‘libertà delle libertà’. È quindi autentica-mente tale quando è coerente alla ricerca della verità e alla verità dell’uomo. Essa consente infatti di escludere la ‘religiosità’ del fondamentalismo, della manipolazione e della strumentalizzazione della verità e della verità dell’uomo. Poiché tutto ciò che si oppone alla dignità dell’uomo si oppone alla ricerca della verità, e non può essere considerato come libertà religiosa. Essa ci offre inoltre una visione profonda della li-bertà religiosa, che amplia gli orizzonti di ‘umanità’ e di ‘libertà’ dell’uomo, e con-sente a questo di stabilire una relazione profonda con se stesso, con l’altro e con il mondo. La libertà religiosa è in questo sen-so una libertà per la dignità e per la vita dell’uomo… Come ha affermato lo stesso Benedetto XVI all’Assemblea Generale del-le Nazioni Unite (18 aprile 2008) ‘i diritti umani debbono includere il diritto di liber-tà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distin-guendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente’”.

“Un cammino della pace”. La nota ri-badisce l’attualità del tema della Giornata 2011 che si pone in continuità con quelli scelti dal Pontefice, dal 2006 ad oggi: “La verità (Nella verità, la pace, 2006), la di-gnità della persona umana (La persona umana, cuore della pace, 2007), l’unità

della famiglia umana (Famiglia umana, comunità di pace, 2008), la lotta contro la povertà (Combattere la povertà, costruire la pace, 2009) e infine la custodia del cre-ato (Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato, 2010). Un percorso che affonda le radici nella vocazione alla verità dell’uomo (capax Dei), e che, avendo come stella pola-re la dignità umana, giunge alla libertà di ricercare la verità stessa”. Un tema, questo del 2011, che rappresenta “il compimen-to di un ‘cammino della pace’ nel quale il Papa ha preso per mano l’umanità, condu-cendola passo dopo passo ad una riflessio-ne sempre più profonda”.

Diritti bisognosi di protezione. “Oggi – si legge nella nota – sono molte le aree del mondo in cui persistono forme di limita-zione alla libertà religiosa, e ciò sia dove le comunità di credenti sono una minoranza, sia dove le comunità di credenti non sono una minoranza, eppure subiscono forme più sofisticate di discriminazione e di mar-ginalizzazione, sul piano culturale e della partecipazione alla vita pubblica civile e politica”. “È inconcepibile – sono ancora parole di Benedetto XVI all’Onu – che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cit-tadini attivi; non dovrebbe mai essere ne-cessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di es-sere protetti se vengono considerati in con-flitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. L’uomo – conclude la nota vaticana – non può essere frammen-tato, diviso da ciò che crede, perché quello in cui crede ha un impatto sulla sua vita e sulla sua persona. Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’As-soluto – per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone – privilege-rebbe indubbiamente un approccio indivi-dualistico e frammenterebbe l’unità della persona. Per questo: Libertà religiosa, via per la pace”.

Reso noto il tema per la Giornata della Pace 2011

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12 luglio-agosto 2010

Dossier 13luglio-agosto 2010

DossierUn’estate con Maria, tra culto, iconografia e devozione popolare

La Madonna della Grata e le celebrazioni mariane

nella “Città bianca”

L’estate con le belle e lunghe giornate era la stagione più propizia per manifestazioni a carattere devozionale. I lavori della campa-

gna concedevano agli agricoltori una meritata pau-sa tra la falciatura del grano e la vendemmia au-tunnale e il clima favorevole assicurava la perfetta riuscita degli eventi.Non è un caso che in Ostuni tra giugno ed agosto si concentrasse un nutrito numero di processioni tra le quali, quelle in onore della Vergine, assumevano un ruolo di primo piano. Il mese di giugno si apriva con le due processioni del Corpus Domini, quella del rione antico denominato Terra a cui si contrap-poneva l’altra del rione Barco. A queste facevano seguito la processione della Madonna dei Fiori, ti-tolare della Confraternita omonima e una proces-sione per Sant’Antonio proposta dalla chiesa del Purgatorio. I solenni festeggiamenti in onore della Madonna della Stella segnavano l’inizio del mese di luglio, anch’esso ricco di appuntamenti: a metà mese si organizzava la processione della Madon-na del Carmine e si terminava con quella dedicata all’Immacolata. Il caratteristico rituale della Ma-donna della Grata calamitava l’interesse degli ostu-nesi la prima domenica di agosto, mentre la fine del mese si concludeva con la festa più importante de-dicata al santo protettore Sant’Oronzo seguita dalla modesta processione in onore di Sant’Agostino, in-vocato dagli ortolani, con partenza dalla chiesa di San Francesco.Tra preghiere, litanie, momenti di svago per la mu-sica delle bande, per le dolci tentazioni delle ban-carelle, per la meraviglia dei fuochi pirotecnici, a rinfrancarsi non era solo lo spirito ma anche il cor-po e la mente.Tra le celebrazioni che ancora oggi perpetuano questi sinceri atti di fede, quella riservata alla Ma-donna della Grata può considerarsi veramente uni-ca, trattandosi di un culto prettamente locale. La tradizione vuole che un uomo, costretto da lan-cinanti dolori alla schiena a camminare curvo, gua-rì dopo aver invocato la Madonna ritratta in una nicchia che si apriva nel muro di un orto situato vicino alla città. Intorno all’immagine, ritenuta mi-racolosa, si realizzò una cappella detta della Grata per le allusioni alla schiena (nell’idioma popolare grata) e per la grazia ricevuta. Questo accadde, pro-babilmente, agli inizi del XVIII secolo. Il continuo flusso di devoti invocanti la benevola protezione della Vergine, rese necessaria la costruzione di una

nuova sede, più ampia e spaziosa. Del progetto fu incaricato l’architetto Gaetano Iurleo che tra la fine del 1800 e il 1912 pose mano ad un tempietto che nella pianta quadrata con cupola centrale, ripropo-ne le proporzioni e le geometriche armonie dell’ar-chitettura rinascimentale. Il dipinto della Madonna con il Bambino fu trasferito dalla vecchia cappella nel nuovo edificio di culto, consacrato dall’arcive-scovo mons. Tommaso Valeri il 28 agosto del 1912.Una menzione particolare merita la processio-ne che ogni anno si svolge la prima domenica di agosto. È una delle più suggestive tra quante se ne svolgono in Ostuni e lascia davvero sorpresi per l’ imponente partecipazione femminile. Sono più di un migliaio le donne, che accoppiate su due file parallele, sostengono tra le mani un cero acceso procedendo lentamente per le vie della città. Sor-prende, soprattutto, perché la potente protettrice delle donne ostunesi raccoglie consensi anche tra le giovani generazioni, spesso portate a disertare i luoghi della spiritualità. Una testimonianza corale di un valore eterno che ogni anno ritorna rinnovato e potenziato.

Enza Aurisicchio

C’è un sepolcro vuoto che lega la Madre al Figlio. C’è quel sepol-cro vuoto, che spinge i cristiani

a recarsi in processione al cimitero il gior-no del Lunedì dell’Angelo per riaffermare la fede nella resurrezione dinanzi a quanti ci hanno preceduto nel passaggio, e sono gli stessi pellegri-ni che, all’alba del 15 agosto, anche in diversi luoghi della nostra diocesi, manifestano ancora questa certezza, quasi rendendo visibili le parole del Concilio Vaticano II, che al n. 68 della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gen-tium ha detto: «La madre di Gesù, come in cielo, glorifica-ta ormai nel corso e nell’anima, è immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e consolazione fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2 Pt 3,10)». Ma-ria, dunque, «icona escatologica della chiesa» (A. Serra); Maria che ci rimanda al mistero pasquale e che «partecipa alla risurrezione di Cristo in quanto fu a lui perfettamente unita ascoltandone la parola e mettendola in pratica» (Id.). Ha ben osservato Danilo Santor che «tra le feste in onore della madre di Dio, quella dell’Assunzione (…) può essere considerata senz’altro la più appariscente sia per coinvolgi-mento di partecipazione sia per varietà di usanze popola-ri». Partecipazione e usanze popolari, del resto, sono tappe di un cammino che, attraverso «le varie espressioni artisti-che e specialmente iconografiche ed il costante senso dei fedeli, è giunto, con l’intervento del magistero di Pio XII, ad una sua precisa e solenne formulazione finale».

È opinione diffusa, dunque, che la costituzione apostolica

Munificentissus Deus di Pio XII (1° novembre 1950), che defi-nisce solennemente il dogma dell’assunzione di Maria, fosse già nel cuore dei fedeli e che l’arte abbia dato il suo rilevante contributo. E sono proprio le espressioni iconografiche, che qui rilevano: non sono poche nei paesi della nostra diocesi. Ve n’è una, ad esempio, nella Chiesa matrice di Mesagne; ve n’è un’altra, nella chiesa di S. Benedetto in Brindisi. Il visita-tore la trova non appena entrato in chiesa, guardando alla sua sinistra, perché il dipinto è collocato sulla parete di fon-do dell’aula.

«Sembrerebbe di matrice tardo manieristica e di cultu-ra veneta» è stato scritto e nello studiare l’impaginazione dell’opera si è fatto notare che «la figura dell’apostolo in pri-mo piano che volge le spalle all’osservatore e leva il braccio verso la Vergine è motivo riecheggiante modelli tizianeschi; per esempio l’apostolo raffigurato di spalle nell’Assunzione del Duomo di Verona e nella più celebre Assunta dei Frari a Venezia». «Moduli sostanzialmente palmeschi traspaiono nella Vergine sorretta dai puttini in cerchio – si concludeva – e nell’apostolo che controlla all’interno della tomba (…); un certo venetismo è individuabile nel cromatismo».

Di certo c’è che questa tela di ignoto autore pugliese nel 1709 era già in quel luogo ed ad essa si rende pienamente giustizia solo se viene letta quale immagine capace di «co-municare i contenuti e la verità della fede in Cristo» (Ver-

don). E dunque l’opera di ignoto, innanzi tutto, si determina in un periodo particolare, perché solo dal Seicento appaio-no libri interamente dedicati al culto della Vergine, a partire dal «Mariale seu de devotione erga Virginem Dominam in quattuor opuscola digestum», che Placido Nigido pubblicò a Palermo nel 1623. Ed in questo clima, nel quale si offrono le motivazioni «della necessità e del modo di essere devoti di Maria» erano già presenti le parole di Jean Eudes e di Lou-is-Marie Grignion de Montfort. L’Assunzione conservata in San Benedetto, dunque, rendeva comprensibile un mistero, considerato tra quelli “gloriosi” del Rosario, pratica già con-solidata da oltre duecento anni, e consentiva di essere a suo volta terreno fertile per le parole che anche in questo lembo di Puglia sarebbero giunte, da lì a qualche anno, attraverso gli scritti e gli insegnamenti di Paolo della Croce o di Alfonso de’ Liguori. In tale quadro, in sintonia con le espressioni ar-tistiche similari dell’epoca, si nota la tristezza che emanano «i volti soltanto maschili…specie di contraltare della gioio-sa concitazione quasi unicamente femminile al momento della nascita della Vergine». Ma l’opera, quasi fotogramma di un film, compendia le diverse tradizioni tardo antiche e medievali giunte fino all’epoca di realizzazione del quadro e sembra unificare i diversi apocrifi e gli scritti dei Padri, che raccontano di come, dopo la morte della Vergine, sia appar-so Gesù con una moltitudine di angeli; di come l’arcangelo

Gabriele abbia scoperchia-to il sepolcro ed il corpo di Maria, ricongiunto all’ani-ma, sia stato portato in Pa-radiso, con gli apostoli che giungono quando il sepol-

cro è già vuoto, anzi lo aprano e lo trovano vuoto, fiorito di rose e di gigli».

Ci sono proprio quei fiori sul sarcofago delineato in pri-mo piano nel quadro conservato in San Benedetto; c’è un apostolo che considera le bende che un tempo tenevano un corpo. Richiama il versetto di Giovanni (20, 5): «Si chinò, vide i teli posati là,…». Un richiamo diretto alla Resurrezio-ne , ragione della nostra fede (1Corinti 15,14) che anche con quest’opera d’arte conferma che – come di recente ha scritto Timothy Verdon, proprio spiegando Maria nell’arte cristiana - «dopo Cristo, la persona in cui la salvezza del cosmo diven-ta evidente è Maria».

In tale ottica, dunque, va letta la tela dell’Assunta conser-vata in San Benedetto. Essa ha contribuito a spiegare ai fe-deli di quegli anni lontani di fine XVII-inizi XVIII secolo, e più significativamente a noi, che «l’assunzione al cielo in anima e corpo non è solo un fatto personale di Maria, che ne conclude in maniera armonica la vita, bensì un evento paradigmatico di salvezza: rappresenta la redenzione giunta a compimento totale di un membro della schiera di coloro che hanno bisogno di redenzione».

Angelo Sconosciuto

brindisi L’opera è custodita nella Chiesa di San Benedetto nel centro della città

Catechesi mariana in una tela di ignoto pugliese

Affermare la centralità di Cristo vero Dio e vero uomo, ci porta a ricono-scere anche il ruolo della sua Santis-

sima Madre. Maria è sempre stata una pre-senza viva nel cuore e nella vita della Chiesa sin dall’inizio e il popolo cristiano da sempre ha espresso la sua venerazione a lei, realiz-zando così le sue parole profetiche pronun-ciate nel Magnificat: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48).

Già nelle pagine della Sacra Scrittura, dove Dio parlò in maniera unica e definitiva, Ma-ria «ha un preciso posto nel piano della sal-vezza» (Redemptoris Mater, 1); lei, la crea-tura più umile è anche la più eccelsa perché interamente associata all’opera di Cristo. No-nostante il mutare dei tempi i fedeli hanno sempre visto in Maria, modello e figura della Chiesa, la prima e la più grande tra i credenti, la testimone privilegiata dell’economia della salvezza, al cui compimento ha contribui-to da vicino mediante la sua totale adesione alla volontà di Dio.

La figura della Vergine rappresenta uno dei simboli culturali e religiosi più sentiti dal po-polo, si pensi alla pietà popolare verso di lei, che permea profondamente ogni espressione e manifestazione religiosa dimostrata dagli innumerevoli titoli con i quali ci si rivolge a lei: titoli che esprimono le doti e i privilegi di cui Maria gode, per volontà di Dio; titoli che rappresentano Maria impegnata nell’opera della salvezza; titoli che indicano il ruolo che svolge nell’opera della Redenzione e titoli derivanti spesso dal sensus fidelium.

Il culto a Maria, la vera devozione a Ma-ria, non è un fatto esteriore, non è «sterile e passeggero sentimentalismo, né vana cre-dulità, ma procede dalla vera fede» (Lumen Gentium, 67) è amore e imitazione delle sue virtù, le quali hanno una radice comune nel-la sua docilità e nella adesione agli inviti di Dio.

Il culto e la pietà verso Maria, se ben illu-minati, non annullano o diminuiscono la dignità e l’efficacia di Cristo, unico Mediatore presso il Padre e unico Salvatore del mondo. Il vero cul-to mariano non distrae, anzi conduce alla fonte e pienezza di tutta la vita cristiana, Gesù Cristo. Maria, essendo vicina e assimilata a Cristo più di ogni creatura, in virtù della sua maternità, è modello del tutto singolare per noi uomini in cammino verso la salvezza. Non è, dunque, fuori posto o esagerato guardare a lei con particolare venerazione, e guardarla, soprattutto, nel ruolo che lei svolge nell’opera della salvezza. Il motivo dell’indifferenza e dell’ostilità che potrebbe in-contrare il culto mariano sarebbe la presunta ne-cessità di salvare la centralità di Cristo, quasi che,

amando e onorando la madre, si metta in ombra la gloria e il ruolo unico del Figlio.

Il Concilio Vaticano II risponde a questo mo-strando la legittimità del culto mariano, affer-mando che Maria deve essere onorata con un «culto speciale» (LG 66), distinto sia da quello reso a Dio, sia da quello reso ai santi. Tale cul-to ha la sua ragion d’essere nel fatto che lei è la Madre di Dio e, in quanto tale, è intimamente as-sociata alla vita e all’opera redentrice del Figlio. Dio avrebbe potuto inviare suo Figlio per altre vie; invece, ha voluto che venisse a noi per mezzo di Maria. Per questo è giusto che i fedeli onorino Maria con un «culto speciale», senza temere di sottrarre qualcosa al Figlio, perché, come chiari-

sce il Concilio, «le varie forme di devozione verso la Madre di Dio, che la chiesa ha approvato entro i limiti della sana e ortodossa dottrina …, fanno sì che, mentre è onorata la Madre, il Figlio … sia de-bitamente conosciuto, amato, glorificato e siano osservati i suoi comandamenti» (LG 66).

La Chiesa per volontà di Dio è anche comunità di culto e la vita spirituale «non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia» (Sacrosanctum Concilium, 12) perciò il Concilio se pur promuo-ve in modo particolare il culto mariano «special-mente liturgico» (LG 67), inserendo le «memorie della Madre» (Marialis Cultus, 2) nel ciclo liturgi-co dei misteri di Cristo, si pensi ai diversi periodi dell’anno liturgico (avvento, natale, quaresima,

pasqua, tempo ordinario) in cui si celebra la Madre del Signore, non esclude «le pratiche e gli esercizi di pietà verso di lei, raccoman-dati dal Magistero della Chiesa» (LG 67), le quali devono «conservare il loro stile, la loro semplicità e il proprio linguaggio» (Diretto-rio su pietà popolare e liturgia, 13).

La Chiesa sente come suo dovere quello di catechizzare la pietà popolare, lascian-dosi guidare dallo Spirito Santo nel leggere i segni dei tempi, rinnovando alcune forme tradizionali impregnandole di Parola di Dio e armonizzandole con la liturgia senza però confonderle con essa. L’azione pastorale se da una parte deve distinguere e sottolineare la priorità della liturgia, «culmine verso cui tende l’azione della Chiesa» (SC 10), dall’altra deve valorizzare le ricchezze della pietà po-polare senza tralasciarla o eliminarla perché anch’essa è sorretta dallo Spirito Santo e por-tatrice di frutti e di valori e se ben illuminata diviene mezzo di trasmissione del Vangelo e di conservazione e custodia della fede.

Quindi se da una parte, la pietà popolare, deve essere sicuramente rievangelizzata, rin-novata, attualizzata e talvolta anche purifica-ta in alcune forme ed espressioni, dall’altra parte, esprimendo «un senso quasi innato del sacro e del trascendente» (Direttorio, 61), deve essere consolidata in ciò che ha di positivo, «in modo da far trasparire insieme alla verità di fede, la grandezza dei misteri di Cristo» (Direttorio, 14) ed essere così mezzo efficace di evangelizzazione, attraverso cui si orientano i fedeli alla preghiera cristiana pro-ponendo loro i punti fondamentali del mes-saggio evangelico ed educandoli all’ascolto e alla lettura personale e comunitaria della Pa-rola. Anche gli esercizi di pietà devono esse-re intrisi di Parola di Dio e illuminati da essa così che non si corra il rischio di manifesta-zioni esagerate e ambigue, anche perché è la Sacra Scrittura la garanzia del culto mariano; in essa (dalla Genesi all’Apocalisse) troviamo

numerosi riferimenti a Colei che fu madre di Dio. Pertanto i pastori, senza trascurare o eliminare le “genuine” forme di pietà, devono, anche tenendo conto del tempo liturgico, «offrire ai fedeli una visione adeguata sul posto che Maria occupa nel mistero di Cristo e della Chiesa e sulla funzione che in esso svolge» (Direttorio, 189). Pertanto, le feste in onore di Maria e la pietà verso di lei de-vono essere per la Chiesa stimolo a percorrere nella docilità allo Spirito l’itinerario pasquale e mezzo per raggiungere Cristo e per lui il Padre, nello Spirito Santo.

Concetta Saponaro

Mesagne e la Madonna del Carmine un legame che si rinsalda ogni giorno

Parlare della Ma-donna del Carmine a Mesagne significa

considerare un intreccio di fede, devozione, storia, tradizione e di una co-scienza ecclesiale sempre dinamica. La Madonna del Carmine è talmente forte e presente nella vita di tutto il popolo dei cre-denti al punto da diven-tare una delle devozioni più forti e sentite, ma Mesagne la vive in modo ancora più profondo e particolare.

Se l’Ordine Carmelitano è sorto in Palestina nel XIII secolo, quando alcu-ni eremiti si sono ritrovati a vivere insieme ispiran-dosi al profeta Elia, difen-sore della purezza della fede in Israele, la Puglia fu tra i primi luoghi a vedere nascere la presenza Car-melitana. Nel 1521, poi, i Carmelitani edificarono a Mesagne il loro Convento e iniziarono la costruzione della Chiesa che sarebbe sorta sul già presente tempio dedicato a S. Michele Arcangelo. E qui inizia la storia ininterrotta di rapporti tra i frati, il tempio e la popolazione mesagnese; storia resa an-cora più salda dal “prodigio” del quadro realizzato da Francesco Pulvisino, pittore che rimase immobile come se una forza sconosciuta lo bloccasse e gli impedisse di camminare, quando decise di porta via il manufatto non essendosi accordato con i religiosi.

Possiamo immaginare con quanto affetto e devozione i fedeli mesagnesi incominciarono a venerare la Santa Immagine, dato che il 30 aprile 1651, con il consenso della Santa Congregazione dei Riti, la Beata Vergine fu eletta Patrona, Protettrice ed Avvocata di Mesagne. Nel 1657 i Mesagnesi constatarono, ancora una volta, la Protezione della Madonna. In tutte le città del Salento si diffuse il cholera morbus, e la pestilenza infierì notevol-mente su tutte le popolazioni; solo Mesagne rimase immune dal contagio per l’intervento della Vergine.

Il 20 febbraio 1743 il Salento fu di nuovo teatro di uno dei più terribili di-sastri dell’epoca. Un violento terremoto scosse la terra per più di un quar-to d’ora, radendo al suolo intere città e uccidendo migliaia di persone. An-che in quella occasione la nostra Mesagne, per intercessione della Vergine Santissima del Carmelo, sua Protettrice e Patrona, fu risparmiata e solo un bambino innocente perì in quel terremoto. Da allora, ogni anno, il 20 feb-braio, si commemora il Patrocinio della Madonna.

Nel 1854 un violento incendio devastò la Chiesa distruggendo comple-tamente il tetto in legno e buona parte degli affreschi che l’adornavano; rimasero in piedi solo le pareti laterali. Si pensò subito alla ricostruzione; l’impresa non fu facile, ma tutto fu fatto con il generoso contributo del po-polo Mesagnese, sempre fortemente legato alla Beata Vergine, che, come scrigno regale, si presenta ogni anno nei tre giorni di festeggiamenti in suo onore per essere ammirata e venerata da tutti i mesagnesi. Dal luglio 1974 al febbraio 1975 il quadro venne restaurato in Bari dalla Sovrintendenza alle Belle Arti e una folla osannante lo riaccolse in Mesagne il 19 febbraio 1975.

Se dal 1961 il Santuario è anche Parrocchia, dal 9 dicembre 1999 è stato elevato a Basilica Minore Pontificia, e l’11 febbraio 2002 Mesagne è stata dichiara “Città mariana”.

Come abbiamo visto, non sono mancati, durante i secoli, avvenimenti che hanno ulteriormente legato i mesagnesi alla loro Patrona e Protettrice, e anche se, spesso, la nostra fede ha bisogno di essere purificata e sempre più inserita in un maggiore contesto ecclesiale, l’esperienza e la capacità di una lettura “sapienziale” della storia accompagna la crescita e la coscien-za religiosa, sociale e civile di un popolo. Soltanto due episodi a testimo-nianza di ciò: nel periodo più critico per la legalità a Mesagne, venne giù un acquazzone durante la processione del 15 luglio, che porta la venerata immagine della Madonna dalla basilica del Carmine alla Chiesa Madre. Per proteggere i preziosi abiti con cui era rivestita la statua, si decise di aspettare la fine del temporale sotto l’arco della Porta Grande: i mesagnesi lessero questo fatto come la volontà di Maria di non stare in mezzo ai suoi figli finché questi non si fossero convertiti. Un altro triste episodio ha tur-bato gravemente la vita della città: a marzo 2010 un furto sacrilego nella Basilica ha ferito profondamente l’affetto di tanti mesagnesi e dei devoti della Madonna del Carmine: sono stati rubati tutti gli ori donati alla Ver-gine in segno di riconoscenza o di supplica. La fede ha risollevato il suo popolo e lo ha rimesso in cammino, quel cammino a volte penitenziale, a volte festoso, ma che sempre esprime desiderio di accoglienza e bisogno di protezione.

P. Riccardo BrandiAssunzione Dipinto esposto a San Benedetto © M. Gioia

Gruppi di fedeli a Fatima

Gruppi di fedeli all’Opera Nostra Signora di Fatima (Ostuni)

© A. Pacifico

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forum fisc-cisf Rispondono gli esponenti di quattro partiti politici (Pd, Udc, Pdl, Lega nord)

Quanto ci costano i nostri figli?Una riflessione sulle politiche familiari

e la natalità, avendo presenti i valori in campo, ma anche cercando di de-

lineare piste concrete d’impegno. Al forum “Il costo dei figli: quali sfide, quali azioni”, organizzato dalla Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) e dal Cisf (Centro inter-nazionale studi famiglia), si sono confron-tati, a Roma, esponenti politici dei diversi schieramenti: Anna Serafini (Pd), Luisa San-tolini (Udc), Massimo Polledri (Lega Nord), Beatrice Lorenzin (Pdl). Punto di partenza, l’indagine sul “costo dei figli” realizzata nei mesi scorsi dal Cisf e presentata dal sociolo-go Pierpaolo Donati. Aprendo il confronto, il presidente della Fisc, don Giorgio Zucchelli, ha rimarcato la volontà che sta dietro a que-sti appuntamenti, ossia affrontare «temati-che emergenti per documentarsi e proporre un arricchimento culturale».

Il silenzio della politica. «L’inverno demo-grafico è a livello europeo, e forse mondiale», ha riconosciuto Luisa Santolini, denuncian-do la «deriva preoccupante» rappresentata da quanti affermano che «la famiglia va su-perata perché non è economicamente van-taggiosa». «Questo tema – secondo l’espo-nente dell’Udc – dovrebbe essere in cima al dibattito in Italia», mentre così non è per la «miopia assoluta di ogni parte politica», che si traduce in «incapacità di cogliere i segni dei tempi». D’accordo con la Santoli-ni sull’insufficienza della politica è Beatrice Lorenzin: nonostante la famiglia sia «il pri-mo ammortizzatore sociale», è «molto più ‘moderno’ parlare d’altro». Mentre Massimo Polledri usa l’immagine di un «grande ospi-zio» per definire l’Italia di domani, erede di «una cultura in cui chi ha figli è ignorante e povero». «Sarebbe bello poter dire che l’uo-mo e la donna si completano mettendo al mondo i figli – ha sottolineato il deputato leghista -, ma non c’è più una cultura del diritto naturale e della persona che si deve sviluppare». Fare figli, ha rimarcato Polledri, è «l’unico vero motore dello sviluppo econo-mico e della ricchezza, però non viene per-cepito». Gli ha fatto eco Lorenzin, afferman-do l’importanza di «investire sulla famiglia come promotrice di un valore aggiunto» al di là dell’appartenenza, dell’essere “laici o cat-tolici”.

Una nuova cultura. Per Anna Serafini una delle cause principali delle denatalità «non è l’egoismo degli individui o la perdita di valo-re della famiglia, quanto piuttosto la difficol-tà di vedere un futuro chiaro«, e quindi «di progettare». In secondo luogo, sempre tra le cause, la difficoltà della relazione educativa, con una «percezione d’inadeguatezza». Ed è da tener presente che non è il lavoro fem-minile a compromettere la natalità, anzi, al contrario, «in questo periodo si fanno più fi-gli laddove le donne lavorano». Certo, «uno dei problemi della natalità è legato al lavo-ro femminile», ha rimarcato Lorenzin, ma questo perché «alla famiglia è rimasto tutto l’onere dei figli ed essa è stata depredata sul piano fiscale». L’indicazione dell’esponente Pdl per cambiare rotta passa attraverso l’atti-vazione di «misure di politica attiva, un’orga-nizzazione dei servizi e dei tempi». Riguardo alla responsabilità genitoriale, «dobbiamo aiutare i ragazzi a non aver paura di diven-tare genitori», ha aggiunto Lorenzin, rico-noscendo che «nessuno ha più educato alla responsabilità». Pertanto, accanto al welfare, è indispensabile «creare una nuova cultura della famiglia».

Come invertire la rotta. Dunque, quali “ri-cette” per invertire una rotta che, altrimenti, porta al declino? «Modificare la spesa so-ciale», redistribuendola «a favore delle fa-miglie con figli», è la risposta della Serafini, che chiede di rivedere, a tal fine, «gli assegni

familiari e l’imposizione fiscale», ma anche di scrivere «i livelli essenziali delle famiglie» per un welfare che agisca di conseguenza. E anche se le finanze sono limitate, «ciò non toglie che dinanzi al bilancio si possano fare scelte prioritarie», ha sottolineato Lorenzin, ricordando che su welfare e servizi sociali «già oggi la differenza si vede a livello di enti locali». Le iniziative a favore della famiglia per il Pdl passano dalla “riforma del lavoro femminile”, del “welfare” e degli “ammortiz-zatori sociali”. Proprio sull’autonomia degli enti locali fa leva la Lega, con Polledri che ha illustrato come il federalismo fiscale possa essere «indirettamente a sostegno della fa-miglia», poiché «si vedrà quanto un’ammi-nistrazione investe in sociale, in asili e così via», e, «nella terza parte dei decreti attua-tivi del federalismo fiscale, si dovrà parlare proprio di redistribuzione». Ma se sulla ne-cessità di una redistribuzione a favore delle famiglie tutti sono d’accordo, Santolini invita a chiarire quali siano le ricette. «Sì alle dedu-zioni per i figli a carico, no alle detrazioni, e personalmente sono contraria al quoziente familiare», ha dichiarato l’esponente Udc. Si può partire anche con poco, «dai redditi più bassi e con cifre ridotte», ma «un segna-le culturale va dato». Bisogna cominciare a pensare alla famiglia, e su questo sono tutti d’accordo.

Francesco Rossi

È facile vivere con degli ideali quando c’è la fede che accomuna. Non è altrettan-

to facile quando non c’é la fede nella cop-pia. Salvare la coppia e la famiglia è salvare la società: se abbiamo famiglie sane, abbia-mo una società sana, perché la famiglia è il cuore della società.

La famiglia entra in crisi quando manca il senso della tenerezza, ossia quando non ci si sente amati dall’altro. La tenerezza non è qualcosa di sdolcinato, come farsi le coccole; la parola tenerezza deriva dal verbo tendere (l’uno verso l’altra). Bisogna cercare l’altro non per dirgli, ma per dargli qualcosa. Prevale, a volte, la logica della solitudine o quella della competizione, ed è assente lo stupore della tenerezza. Molte coppie vivono il sentimentalismo della te-nerezza, cioè si amano solo quando tutto va bene. La tenerezza del sentimento è uno stato dell’anima, è sentirsi amati e amare. La coppia che si rinnova nella tenerezza è una coppia felice, quindi, occorre ritrovare lo stupore di essere, lo stupore di amare,

senza confondere il sentimentalismo con il sentimento di tenerezza verso l’altro.

La tenerezza, inoltre, diventa scelta di vita nella misura in cui la si sceglie come progetto dominante. Secondo una scuola di pensiero sono quattro i sentimenti domi-nanti, tre dei quali sono negativi: la collera, la paura e la tristezza; ed uno solo è positi-vo: la tenerezza.

La collera è il sentimento di chi pensa che lui è sempre a posto mentre gli altri sono nell’errore. A livello di coppia, se uno è col-lerico, la colpa è sempre dell’altro. La col-lera rende impossibile un dialogo tra pari; verso i figli, i genitori arrabbiati avranno un atteggiamento negativo; mentre sarebbe più opportuno condannare l’azione negati-va del figlio e non la persona che ha sba-gliato, rispettando la persona e mostrando autorità e non autoritarismo. La collera del-la coppia genera figli collerici.

La paura, intesa come ansia, è negativa, non si gioisce mai di niente, si vive sotto l’incubo che possa succedere qualcosa. La

gelosia patologica è la ge-losia che nasce dall’ansia e dall’insicurezza.

La tristezza, intesa come depressione, di chi vede sempre nero, fa male anche

alla salute e spesso viene somatizzata.Il 50% delle coppie sono dominate dalla

collera, il 20% dalla paura, il 20% dalla tri-stezza.

Chi sceglie la tenerezza si pone in modo opposto alla paura, alla tristezza ed alla collera, soprattutto se guidato dalla fede. L’arte della tenerezza è l’arte dello stupore e della bellezza. Il problema per i figli è se farsi dominare dai tre sentimenti negativi che ereditano dai genitori o piuttosto im-parare l’arte della tenerezza.

È da Dio che dobbiamo imparare l’arte della tenerezza. Imparare da Dio la tene-rezza vuol dire alimentarsi alle sorgenti della tenerezza. Se io ho un’immagine di Dio collerico, o triste, o ansioso, avrò di me e degli altri un’immagine distorta. Il Papa ci insegna che Dio è Amore “Deus Caritas est”. L’immagine della Trinità è data nella fami-glia da marito e moglie: spirito amante, spi-rito amato e spirito d’amore. La tenerezza diventa così il cuore della famiglia.

Se la coppia sceglie la tenerezza come

progetto di vita, essa deve lasciarsi plasma-re dallo Spirito Santo. che deve essere invo-cato ogni giorno dalla coppia dei coniugi. In questo modo si capirà meglio il sacramen-to nuziale che vive nella forza dello Spirito Santo.

“Amatevi di tenerezza, voi che vi amate” dice Salomone.

Nicola Distante e Mirella Carratta

(Dagli appunti raccolti durante un incontro con don Carlo Rocchetta, assistente spiritua-le presso il Centro familiare “Casa della tene-rezza” di Montemorcino [Perugia], nel corso del campo scuola estivo).

riflessioni Appunti da condividere con altre famiglie

Noi, nella «Casa della tenerezza»

© G. Di Campi

Il 53,4% delle famiglie in Italia (24 milioni circa) non ha figli: questo

uno dei primi dati che emergono dalla ricerca. «L’Italia – ha sottoline-ato al forum Pierpaolo Donati – da circa 30 anni ha rinunciato a investi-re sui figli», consumando le risorse che doveva invece lasciare loro: per questo «le nuove generazioni si tro-vano sempre più in difficoltà».

Contro «una visione occidentale che vede i figli solo come portatori di diritti individuali», senza il coin-volgimento della società, l’indagine ritiene i figli un “bene relazionale”. «Se una popolazione rinuncia a so-pravvivere, non solo non si avranno più risorse, ma si perde la reciproci-tà del dono della vita tra le genera-zioni», e il risultato sono «pochi figli molto isolati ed egocentrici». Il sociologo si è poi addentrato sui costi per l’allevamento e l’accresci-mento dei figli, giungendo ad af-fermare che «la mancanza di risor-se materiali incide sulla denatalità meno dei fattori culturali e psicolo-gici, quali la paura di generare, l’in-certezza nel futuro, la percezione di un’inadeguatezza educativa».

scHeDA

Forum FISC-Cisf

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Speciale Pellegrinaggio diocesano16 luglio-agosto 2010 Speciale Pellegrinaggio diocesano 17luglio-agosto 2010

Fatima, quell’invito costante alla conversione dei cuoriSulla tomba dell’illustre concittadino

Adele Tundo © S. Licchello

Una giornata densa di significato e di emozioni è stata quella trascorsa a Villafranca del Bierzo, piccolo comu-

ne spagnolo situato nella provincia di León, la cui origine è legata al camino del Santiago: dopo il rinvenimento del corpo di san Giaco-mo nell’813 iniziarono i primi pellegrinaggi e sorsero alcuni centri dove i pellegrini pote-vano riposare e curarsi in caso di malattia.

Uno dei primi villaggi fondato da pellegrini francesi fu appunto Villafranca, cioè “villag-gio dei francesi” a cui si aggiunse in seguito “del Bierzo” per distinguerla dalle molte al-tre località con nome Villafranca. Viene an-che detta la “piccola Compostela” in quanto, essendo una delle ultime tappe del camino Francés, la sua chiesa di Santiago con la Por-ta del Perdono godeva di un particolare pri-vilegio concesso dal papa spagnolo Callisto III (1455÷1458): i pellegrini che, giunti a Vil-lafranca del Bierzo, non erano più in grado, per essersi ammalati, di raggiungere la meta fruivano ugualmente dell’indulgenza visi-tando la chiesa.

A Villafranca del Bierzo c’è la chiesa della “Annunciata” dove sono conservate le spo-glie di San Lorenzo da Brindisi, al secolo Giulio Cesare Russo (nato a Brindisi, il 22 luglio 1959, morto a Belém, il 22 luglio 1619) presbitero dell’Ordine dei Frati Minori Cap-puccini, proclamato santo da papa Leone XIII nel 1881 e dottore della Chiesa, con il ti-tolo di “doctor apostolicus” da papa Giovan-ni XXIII nel 1959.

Qui, dopo che S.E. monsignor Rocco Taluc-ci ha celebrato la Santa Messa, è stato posto dinanzi al sepolcro del Santo un grande cero la cui fiamma rimarrà sempre accesa, offer-to dall’Associazione S. Lorenzo da Brindisi, a testimonianza dell’affetto dei brindisini verso l’illustre concittadino, uomo di fede e di virtù, eccezionale conoscitore della Bib-bia che citava a memoria anche in ebraico,

famoso predicatore in ogni parte della terra e soprattutto rispettato anche dai suoi av-versari per l’evidente coerenza tra le parole e la vita. Sette suore francescane scalze, gelo-se custodi delle spoglie di S. Lorenzo hanno assistito dalle grate a tutta la cerimonia e poi hanno dialogato con alcuni di noi.

Oggi molti consacrati vivono da rassegna-ti, affondando nella mediocrità spirituale, ma le clarisse di Villafranca, attratte da quel Signore che aveva conquistato il cuore di S. Francesco e Santa Chiara esprimevano so-larità, pace e gioia. Che cosa induce una giovane donna a fare una scelta estrema, a ritirarsi in luoghi appartati, avvolti nel si-lenzio, ad allontanarsi dal frastuono giorna-liero, a rinunciare persino alle libertà a noi tanto care? Dietro le grate le clarisse con la rinuncia, l’umiltà, la povertà e l’obbedienza esprimono un invito per i propri simili e per la stessa comunità ecclesiale a non perdere mai di vista la suprema vocazione che è di stare sempre con il Signore; con la preghiera intercedono per la salvezza del mondo, per-seguono l’obiettivo che è sempre più in alto e affrettano la crescita del Regno di Dio sulla terra. Noi, invece, in un mondo frastornato e caotico abbiamo perso il gusto e la respon-sabilità del prendere l’iniziativa, ci acconten-tiamo degli obiettivi raggiunti, rinunciando a divenire interpreti, inconsapevoli, a volte, che la rigenerazione della Chiesa e del mon-do intero passa attraverso una conversione che riguarda la sensibilità e la mentalità e che solo noi, con l’impegno, la partecipazio-ne, il dialogo, la sensibilità tipicamente fem-minile, potremo concorrere ad una rinascita della spiritualità e con il nostro “genio” di cui Giovanni Paolo II ha parlato nella “Mulieris dignitatem” , migliorare la società di oggi.

Tina Monaco

Le cronache di viaggi, oggi, sono ri-portate da poche parole e molte im-magini: testimonianze fotografiche,

filmiche, “telefonini che”, che registrano tutto e molto meglio di quanto possa uscire da una penna, seppure in mano a persone esperte. Ai marchingegni di oggi non può sfuggire nulla di ciò che colpisce la vista o l’udito, ma non possono nulla su quanto si muove dentro l’animo e il cuore di chi va alla ricerca di momenti di vita inconsueti, straordinari.

Ed ecco che si ricorre di nuovo alle paro-le, se si riesce a trovarle, quando dall’este-riorità appariscente, fenomenale, si deve passare al paesaggio intimo spirituale, anch’esso attratto, conquistato dalla extra-ordinarietà.

Parlo delle emozioni, degli stati d’animo, delle più intense sensazioni che prendo-no forma dentro di noi quando ci si trova immersi in situazioni inconsuete. Tutto ciò che attraverso i sensi passa all’anima e al cuore ha un suo percorso speciale che può scavare solchi profondi e lasciare impronte perenni o anche labili tracce.

Quando si parte come “pellegrino” e non come turista, si ha già la consapevolezza di doversi immergere in un’atmosfera di im-prevedibili suggestioni, nonostante quel minimo di informazioni che ci siamo pro-curato. Qui, a Santiago de Compostela, io personalmente ho subito un “sequestro” dei miei sentimenti, catturati totalmen-te dalla figura di San Giacomo che mi si è rivelato, da subito, come un amico fidato, suscitando in me simpatia, confidenza, benevolenza, familiarità, non riverenza ossequiente e timida sottomissione. Tanto che mi batteva forte il cuore quando l’ho abbracciato e mi è venuto spontaneo dar-

Gli due, tre “pacche” sulla spalla, proprio come si fa con parenti e amici veri, frater-ni, e mi è rimasto dentro un senso di gio-condità particolare, che non trovo parole ad esprimere.

È stato come se avessi accondisceso, con-sapevolmente, ad un richiamo, ad un invi-to ad incontrarmi con l’Apostolo Giacomo, che mi ha dato in cambio la certezza che mi avrebbe non solo raccomandato a Dio, ma mi avrebbe accompagnato per tutti i giorni che il Signore mi ha assegnato di vi-vere ancora su questa terra. Ho scoperto, oltre a quella vera, di averla dentro di me la famosissima “Collina della gioia”, tenuta ancora viva e vegeta dal continuo calpestio dei pellegrini che da ogni parte del mondo rispondono al richiamo del santo Giacomo de Compostela, amico e sicuro mallevado-re della misericordia divina.

Dal batticuore dell’incontro con Santia-go, dalla deferente riverenza al cospetto di San Lorenzo da Brindisi, dalla affezione filiale alla Madre Maria Immacolata di Fa-tima e dal sentimento di antica devozione a Sant’Antonio di Padova è scaturita dal fondo del cuore una immensa gratitudine al Signore che mi ha dato le forze neces-sarie a vivere questi eventi al seguito del pellegrino Rocco Talucci, nostro pastore diocesano, e dei sacerdoti accompagnatori e concelebranti col Vescovo. Ma è scaturi-to anche un pensiero di profonda ricono-scenza all’esperto don Alberto Diviggiano, guida e sostegno prezioso nel corso anche di questa esperienza significante carità, fede, solidarietà e premura per la oculata scelta culturale, degna cornice della pro-fonda pietà che ha pervaso tutti.

Carmelo Perrucci

Una bella opportunità si è prospettata ai fedeli laici della diocesi, che hanno colto come dono del Si-gnore l’esperienza, anche se breve, del Cammino

di Santiago, la visita devota a Villafranca del Bierzo, dove giacciono le spoglie mortali del nostro illustre concittadino S. Lorenzo da Brindisi, l’incontro con la Madonnina di Fati-ma, regina dei nostri cuori, il rispetto del luogo in cui venne alla luce e fu battezzato S. Antonio da Padova. Alla profon-dità espressa dai luoghi sacri, si è integrata la visita storico educativa dei più bei monumenti e chiese del Portogallo.Per grazia del Signore, abbiamo avuto la presenza amicale del nostro Padre Arcivescovo e di 8 sacerdoti che con umile pazienza hanno accolto tutti i limiti umani dei partecipanti, mettendosi al servizio di ognuno.

«È l’esperienza vissuta che diventa annuncio di esperien-za e ci trasforma in uomini e donne nuove, ora cambiati non solo esteriormente ma dal profondo»: questo è ciò che mons. Talucci ci ha comunicato al termine del viaggio, e noi faremo tesoro di queste parole che ci accompagneran-no nel quotidiano rapportarci con il prossimo.

Il pellegrino che entra nella Basilica di Santiago de Com-

postela, vi giunge per onorare le spoglie mortali di un Apo-stolo e trova, invece, la presenza predominante di Cristo che consola il cuore di chi lo cerca. Tutta la vita di Cristo riecheggia dai portali che istruiscono il pellegrino dall’in-terno dando una comprensione profonda del mistero trini-tario.

Il pellegrino di Santiago usava ricamarsi sul mantello una conchiglia simbolo della seconda nascita, dell’illuminazio-ne della resurrezione, essa rappresenta il tempo da dedica-re alla riflessione sulla natura dei sentimenti corporei, mo-rali, etici e spirituali. La conchiglia la ritroviamo anche sullo stemma di Papa Benedetto XVI, e sulla casula usata nella liturgia dell’inizio del pontificato di papa Giovanni Paolo II, il grande pellegrino in ogni parte del mondo.

Eravamo in 10 provenienti dalla parrocchia S. Lorenzo da Brindisi, 9 laici (Maria, Rita, Iolanda, Mino, Rita, Teresa, Maria, io e mio marito Antonio) ed il parroco don Giovanni, ma con noi, nei nostri cuori c’era tutta la comunità parroc-chiale, felici di recarci ad onorare i resti mortali del titolare della nostra parrocchia, desiderio che da tempo custodiva-mo nei nostri cuori e che finalmente abbiamo realizzato.

La sosta devota davanti alla Madonna di Fatima, il rosario, la processione, la fiacco-lata e la preghiera personale contempla-tiva, tempo in cui ognuno di noi ha posto tutte le debolezze ai suoi piedi e Lei come Madre misericordiosa, ha assorbito tutte le

nostre difficoltà, preoccupazioni e peccati, ridonandoci se-renità, pace interiore ed un amore profondo.

Oggi è il cuore che parla rivivendo tutte le emozioni, l’ani-mo inebriato, ora canta di gioia, tralasciando e separando le piccole difficoltà e i disagi incontrati dalla profondità dell’esperienza vissuta, per dare forza e incisività alle emo-zioni che si sono susseguite.

Le numerose tappe, non hanno fiaccato il corpo, se pur provato da ritmi intensi, ma hanno innalzato lo spirito a vette nuove, e da queste nuove vette ora gode di un panora-ma affascinante e dal quale non vuole staccarsi.

Salire sulla vetta non è un’impresa facile, ma è ancora più difficile ritornare nella valle dove ogni pellegrino è chiama-to ad operare dando testimonianza del vissuto, dell’incon-tro che traspare dallo sguardo che talvolta perso nei ricordi, cerca nuovamente quelle vibrazioni che ritornano amplifi-cate solo quando, toccando l’animo degli altri, lo fanno vi-brare alla stessa intensità.

Carmen Ingrosso

bilanci Ripensando al pellegrinaggio appena concluso

È l’esperienza vissuta che diventa annuncio

Il pellegrinaggio diocesano a Fatima e Santiago svoltosi dall’1 al 7 luglio 2010, è stato un’esperienza preziosa e positiva che ha lasciato sensazioni e ricordi incancellabi-

li.La sera del 4 luglio siamo giunti a Cova da Iria, in Portogal-

lo, dove nel 1917 è apparsa la Madonna a tre pastorelli del luogo.

Il nostro primo pensiero, appena giunti, è stato quello di andare al luogo delle apparizioni; varcando il grande co-lonnato, che racchiude la spianata dove si radunava la folla in attesa dell’evento miracoloso, si intravede una costruzio-ne molto piccola: la Cappellina delle Apparizioni. Accanto ad essa una statua della Madonna alta 1.10 metri, posta su di una colonna di marmo, esattamente nel luogo in cui era piantato il leccio su cui la Beata Vergine Maria appariva ai tre bambini.

Anche il pellegrino più distratto intuisce che è lì il cuore pulsante di Fatima; luogo privilegiato dove Maria ha scon-volto ancora una volta, i pensieri degli uomini del secolo appena trascorso, apparendo come Regina del Rosario a tre piccoli e poveri analfabeti che avevano come occupazione quella di pascolare un misero gregge.

Appena giunti davanti a quella Cappellina, le preoccupa-zioni, le ansie, le amarezze, le stanchezze si sono allontanate di colpo. Tutto è stato messo nel cuore della Madre che ri-mette nelle mani del Figlio. Non c’è bisogno di chiedere, Lei sa già quello di cui abbiamo bisogno; si contempla nel silen-zio il mistero della sua presenza accanto al tabernacolo: è lì che il cielo e la terra si toccano!

La domanda più scontata che ci si pone è perché nelle ap-parizioni mariane sono privilegiati i bambini, gli umili.

Forse non sono necessarie le risposte dei grandi teologi: è la stessa logica dell’Incarnazione. Gesù ha detto che se non diventeremo come bambini non entreremo nel Regno dei

Cieli. Il Magnificat è svelato e realizzato sotto i nostri occhi:

“Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”.Tutto ciò non è esente dal dolore!In una delle apparizioni è apparsa l’Addolorata accanto al

Figlio sofferente.Nel Vangelo di Giovanni ci viene detto che Maria stava lì

sotto la croce; non è scappata impazzita dal dolore, ha sor-retto e pregato per il Figlio.

Solo chi lo ha provato, sa che quello è il dolore più atroce del mondo, reggere il Figlio morto nelle proprie braccia. La bellezza, la giovinezza, la speranza annientate dall’odio sata-nico.

Quante madri si sono rivolte disperate a Lei per attingere forza, per ricevere aiuto e sostegno, per poter intravedere la vittoria finale della vit, sulla morte e il trionfo del Cuore Im-macolato di Gesù e Maria , sul nostro mondo bisognoso di amore e di pace.

Con una cerimonia semplicissima, dopo la fiaccolata della sera, (qualche minuto prima della mezzanotte), la Madonna viene tolta dalla colonna e riposta nella Cappellina per es-sere rimessa al suo posto di buon mattino, pronta ad acco-gliere pellegrini di tutto il mondo. Ella ci aspetta trepidante e paziente , a ognuno di noi, come ogni buona madre, dona qualcosa che si scoprirà nel corso del tempo.

Volgendo lo sguardo sulla sinistra, si intravede sulle gradi-nate della imponente Basilica, l’altare dove ha celebrato il Papa Benedetto XVI, durante il recentissimo viaggio aposto-lico del maggio scorso, in occasione del 10° anniversario del-la beatificazione dei due fratellini Giacinta e Francesco Mar-to. Essi riposano nella Basilica accanto all’altare maggiore e dal 2006 insieme a Lucia, morta a Coimbra nel 2005.

La mattina seguente, dopo la Santa Messa ci siamo recati ad Aljustrel e alle case dei pastorelli.

In queste località, nel 1916, prima delle apparizioni maria-ne, era apparso loro per tre volte l’Angelo della Pace. In uno di questi posti vi è una lapide in cui sono incise le parole: “Non temete”.

Questa frase è ricorrente nella Storia della Salvezza, l’abbia-mo sentita pronunciare più volte dagli Angeli, è rassicurante, c’è Dio di mezzo che regge saldamente le sorti del mondo.

A poche centinaia di metri sorgono le case dei pastorelli, anche quello luogo “frequentato” dagli Angeli. Un gruppo di statue di marmo bianco ricorda l’avvenimento accaduto nell’orto della casa di Lucia.

All’ingresso di questa casa, alcuni di noi, hanno incontrato una vecchietta novantenne, seduta sotto un leccio, di nome Maria degli Angeli. La nostra guida ci ha detto che è una ni-pote di Suor Lucia, ma al di là delle parentele, quello che col-pisce è stato vedere con quanta serenità sgranava il rosario con le sue mani consumate dall’artrite e dal lavoro nei cam-pi, con quel suo sguardo di cielo, dolce, che pazientemente si sottopone al rito delle foto senza lasciarsi distrarre dalla sua preghiera.

Il giorno dopo, terminata la Messa concelebrata dal nostro Padre Arcivescovo e dai sacerdoti presenti, abbiamo lascia-mo Fatima con gli occhi inumiditi e con la segreta promessa di ritornarci.

Ed i segreti di cui si è tanto parlato e ipotizzato?Non vi è nulla di segreto: è tutto chiaro: la Madonna ci in-

vita alla conversione, alla riparazione, alla penitenza e alla preghiera prediletta.

Il Rosario che ella aveva nelle sue mani, bianco e splenden-te di luce, ce lo ha indicato come arma e medicina per scon-figgere la guerra e l’odio.

Marilena Petruzzi

San Giacomo, un incontro emozionante

reportage 150 fedeli della diocesi, dal 1° al 7 luglio hanno preso parte al pellegrinaggio a Fatima, Villafranca del Bierzo e Santiago de Compostela

Pellegrini a Maria attraverso San Lorenzo da Brindisi e San Giacomo

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Attualità & Territorio18 luglio-agosto 2010

territorio Riflettori sempre accesi sulla vicenda del rigassificatore e dello sviluppo complessivo

Brindisi vuole costruire il proprio futuro

Dall’alto delle verdi pendici di Locoro-tondo scorgo quel trenino rosso che sfila silenzioso nel silenzio assolato

di una verde campagna, al triste rintocco del-le campane della Chiesa di San Giorgio. Uno scenario unico!

Luoghi incantati dove il bianco delle caset-te viene sormontato dalle cupole delle chie-se, mentre una comunità laboriosa continua a scrivere la sua storia. Una storia che mi ha coinvolto e che, certamente, in questi giorni, avrei voluto vivere diversamente.

Ma si sa: la Storia trascende la vita degli uo-mini e, a volte, ne diventiamo parte anche se non vorremmo.

Quante storie, quante vite, quante emozio-ni!

Tanti volti scorrevano davanti a quella bara: una comunità di uomini e donne che tributavano il proprio omaggio al loro primo cittadino. Ma forse di più: un popolo che si interrogava su un triste evento del quale non riusciva a darsi spiegazioni. Dalla frenetica vitalità amministrativa e commerciale al silenzio delle serrande chiuse per lutto cit-tadino!

Dalla “Serra” un mesto corteo si dirige verso il paese ac-compagnando il proprio Sindaco dinanzi al Comune e poi nella stupenda Chiesa Madre.

Un bagno di folla, tante Autorità, molti applausi, ma tanto popolo. Quel popolo che Giorgio Petrelli amava e che serviva da medico, da volontario e anche da Sindaco. Una storia vis-suta ed ascoltata nel racconto dei parenti,degli amici, delle autorità.

Una storia che riguarda tutti, che è storia dei singoli, che è Storia di una Comunità.

Giacomo Vito EpifaniSegretario Comunale

locorotondo La tragica scomparsa del sindaco Petrelli

L’addio al servitore della comunità

Il contributo della Chiesa diocesana

La Chiesa diocesana di Brindisi-Ostuni, in occasione della manife-stazione di domani, sabato 19 giugno che ha come tema “Brindisi vuole costruire il proprio futuro”, intende esprimere il suo apprez-

zamento per quanti, istituzioni, amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e singoli cittadini, sono impegnati per la costruzione di un futuro migliore del proprio territorio.

Ogni processo economico, sociale o politico deve mirare al rispetto per la dignità dell’uomo “creato a immagine e somiglianza di Dio”, alla salva-guardia del creato, alla difesa del lavoro e della salute, considerati diritti “inviolabili”.

La Chiesa diocesana sostiene la partecipazione democratica dei citta-dini ai processi decisionali che riguardano il futuro; auspica l’impegno a trasmettere alle giovani generazioni i principi del rispetto, della solidarie-tà e della fratellanza; conferma la fiducia e la vicinanza sia alle istituzio-ni, che alle imprese presenti sul territorio e rinnova l’invito a decisioni giuste, equilibrate e sagge che, attraverso il dialogo e il confronto, abbia-no come fine ultimo il perseguimento del bene comune, nella garanzia del lavoro e della sicurezza.

Appaiono quanto mai profetiche le parole scritte, oltre quarant’anni fa, da papa Paolo VI nell’enciclica Popolorum Progressio: “Eredi delle gene-razioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi ab-biamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi a ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale […] è un dovere”.

La Chiesa, «esperta in umanità», fedele alla sua Dottrina Sociale, sostie-ne lo sviluppo sostenibile e intende richiamare tutti a stili di vita impron-tati alla sobrietà. Se è legittimo protestare per i danni causati all’ambiente da uno sfruttamento non equilibrato delle risorse energetiche, è altresì auspicabile che ciascuno prenda consapevolezza che ogni suo piccolo gesto può contribuire al peggioramento o al miglioramento dell’ambiente naturale e della vita dell’uomo.

Le parole scritte dal Santo Padre Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, rappresentano per ciascuno un monito e un impegno immediato. Scrive il Pontefice: “Auspico, pertan-to, l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’es-sere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani”.

Riflettori accesi come non mai sulla vicenda del rigassificatore. In diciotto giorni appena si sono consumati «passaggi» destinati a non

restare lettera morta. Il 7 luglio è stato pubblicato sul sito del ministero per l’ambiente il decreto che for-malizza il parere positivo espresso dalla Commis-sione Tecnica di valutazione d’impatto ambientale (Via) nello scorso dicembre 2009 per il rigassificatore che la Brindisi Lng intende costruire nel capoluogo. Il decreto prevede la necessità di adeguamenti pro-gettuali da parte della Brindisi Lng, dopo approfon-dimenti di carattere tecnico, ambientale e compen-sativo. Il decreto “Via”, in ogni caso, consente alla Brindisi Lng di avviare al più presto la procedura di convalida dell’autorizzazione unica, in precedenza sospesa dal ministero dello sviluppo economico in attesa del completamento della procedura di valu-tazione di impatto ambientale. Giova ricordare che contro la realizzazione del rigassificatore a Brindisi – al quale era stato dato il via libera negli anni scorsi sia dal governo di centrodestra sia da quello di cen-trosinistra – si sono schierati la Regione Puglia e gli enti locali, chiamati dal presidente di Confindustria Marinò a dialogare ora con Brindisi Lng perché, a suo dire, quello descritto nel decreto ministeriale sa-rebbe “un nuovo impianto”. Il presidente di Confin-dustria Brindisi ha invitato ad una «fase di dialogo fra Istituzioni locali e Brindisi LNG, al fine di ottimizzare in una logica costruttiva le ricadute sull’economia provinciale», mentre Comune e Regione avevano an-

nunziato altre reazioni nella manifestazione del 19 giugno precedente.

«Brindisi vuole costruire il proprio futuro. Verso un’economia rinnovata. Lavoro e salute: due diritti “inviolabili” e due emergenze» è stato il filo condut-tore del corteo svoltosi in quel sabato di giugno, otta-va manifestazione dalla fine del 2005.

La manifestazione intendeva rivendicare «il diritto di decidere l’assetto e l’utilizzazione del territorio», l’«innovazione dell’economia locale», la «bonifica delle aree industriali» e «la compatibilità ambienta-le degli insediamenti industriali esistenti». Inoltre, si intende ribadire «la ferma opposizione al rigassifica-tore progettato a Capobianco», nonchè «la richiesta di una consistente riduzione del carbone», il «forte potenziamento dei controlli pubblici ambientali» ed il «rispetto del territorio di Brindisi».

«La manifestazione si tiene per sottolineare l’esi-genza di un sempre più incisivo rinnovamento dell’economia locale che favorisca l’occupazione - spiegarono le associazioni promotrici -, per chiedere una consistente riduzione del carbone e per confer-mare la più ferma e corale opposizione al progettato rigassificatore». Dalla diocesi, in quelle ore, fu diffu-sa anche una nota di riflessione che pubblichiamo accanto.

(a. scon.)

I n un comunicato stampa diramato appena ricevuta la notizia del tragico even-

to, S.E. mons. Rocco Talucci ha espresso il suo cordoglio alla famiglia del dottor Giorgio Pe-trelli, sindaco di Locorotondo, improvvisamente scomparso a seguito di un incidente stradale avvenuto sulla S.S. 16 all’altezza dello svincolo per Monopoli.

Mons. Rocco Talucci, assicu-rando preghiere di suffragio per l’anima del dottor Petrelli, si è dichiarato vicino all’intera comunità cittadina di Loco-rotondo, l’unico comune della provincia di Bari che ricade sotto la giurisdizione dell’Arci-

diocesi di Brindisi-Ostuni.Appresa la notizia della

morte, S.E. l'Arcivescovo ha in-formato il Consiglio Pastorale diocesano che si trovava riu-nito a Brindisi, congiutamen-te alla Commissione Sinodale e al Consiglio presbiterale, in-vitando tutti alla preghiera.

Mons. Talucci, nel comu-nicato, ha ricordato il con-tributo e la collaborazione forniti dal sindaco nel corso dei recenti lavori di restauro della Chiesa matrice di Lo-corotondo, riaperta al culto il 22 maggio scorso con una celebrazione presieduta dallo stesso Arcivescovo e alla qua-le aveva partecipato anche il dottor Giorgio Petrelli.

Il rito delle esequie è stato celebrato il 26 giugno u.s. dal parroco della Chiesa madre, don Franco Pellegrino, e con-celebrato dai parroci delle altre parrocchie (don Luigi Convertini e don Emanuele Falcone) e dai sacerdoti ope-ranti sul territorio di Locoro-tondo.

Così come previsto dalla leg-ge, in casi di questo tipo, a reg-gere le sorti del comune, fino alla prossima consultazione elettorale, sarà il vicesindaco Tommaso Scatigna.

Difendersi dal caldo estivo Istruzioni per l’uso

La stagione estiva, per la maggior parte delle perso-ne, soprattutto più piccoli, è il periodo più amato

dell’anno più amato. Le alte temperature, però, e le on-date di caldo rappresentano un grave rischio per i sog-getti più anziani. A tal proposito, l’IS.P.E.DI.S. (Istituzio-ne per la Prevenzione dell’Emarginazione e del Disagio sociale) della città di Brindisi ha promosso il Progetto Emergenza Caldo 2010 - Come difendersi, in collabo-razione con l’Assessorato Politiche Sociali, i Servizi Far-maceutici S.r.l. (Farmacia Comunale) e le associazioni di volontariato.

Si tratta di un opuscolo contenente utili consigli per fronteggiare il caldo ed è rivolto particolarmente alle persone oltre i 65 anni, anche affetti da specifiche pato-logie, ai disabili e a coloro che soffrono disturbi mentali. Oltre a delineare quali sono i maggiori rischi provocati dal caldo (i colpi di calore o i collassi da calore), vengono suggerite le modalità di primo soccorso, alcuni accor-gimenti necessari da considerare nelle fasce orarie più calde nonché le principali regole riguardanti la giusta alimentazione da condurre nei mesi estivi.

Non mancano, inoltre, alcune indicazioni per rivolger-si, in caso di emergenza, all’assistenza sanitaria garanti-ta dal Servizio di Continuità Assistenziale svolto dai Me-dici di Medicina Generale.

Per coloro che vivono soli in casa o che restano nelle città, è garantito il Servizio di Teleassistenza (24 ore su 24 attivo tutto l’anno) che prevede l’installazione di un apparecchio nell’abitazione collegato alla Centrale Ope-rativa, tramite la linea telefonica, per riceve eventuali segnalazioni di allarme che l’anziano può inviare.

L’opuscolo, realizzato per offrire una guida pratica ai soggetti anziani del nostro territorio maggiormente esposti alle conseguenze della stagione estiva, è disponi-bile presso le parrocchie della città di Brindisi.

Daniela Negro

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Attualità & Territorio 19luglio-agosto 2010

Dalla cultura alla musica, dal cine-ma alla tradizione

e allo sport: saranno questi i temi che faranno da cor-nice alla stagione estiva già iniziata, con una serie di eventi organizzati dai co-muni del nostro territorio, per un’estate all’insegna di un ricco e variegato pro-gramma. Vi segnaliamo, di seguito, alcune delle ini-ziative proposte dal Cartel-lone Estate 2010.

Salento Finibus Terrae: il festival internazionale del corto-metraggio, di scena ogni anno, si svolgerà dal 17 luglio all’1 agosto nelle cittadine dell’Altosalento, in particolare a San Vito dei Norman-ni presso la Villa Comunale (17-18 luglio), ad Ostuni in Piazza della Libertà (25-26 luglio), a Carovigno nel Castello Dentice di Frasso (27-28 luglio), nuovamente a San Vito dei Normanni nel Chiostro dei Do-menicani e nella Villa Comunale (29-31 luglio), concludendosi nella serata dell’1 agosto a Riva Marina Resort di Specchiolla.

Brindisi proporrà, fino al 26 set-tembre, presso Palazzo Granafei-Nervegna, la mostra fotografica “I Mari dell’uomo” a cura di Folco Quilici; il 23 luglio andrà in scena il musical “Miracolo” presso il Par-co Maniglio al rione Bozzano e, il

24-25 luglio si svolgerà la XII edi-zione del Festival Blues in piazza Santa Teresa. Per gli appassionati di cinema, invece, il 30 luglio, a Piaz-za Duomo, sarà proiettato il film muto “City Lights”- Le luci della città con esecuzione delle musiche di Chaplin ad opera dell’Orchestra Sinfonica Tito Schipa di Lecce. In ambito culturale, il 24 agosto, sarà presentato il libro di Luciano De Crescenzo “Ulisse era un fico” in un incontro con l’autore presso l’ex Convento di Santa Chiara. Dal 29 agosto al 6 settembre la città vivrà i festeggiamenti in onore dei san-ti patroni San Teodoro d’Amasea e San Lorenzo da Brindisi con la tra-dizionale Processione nelle acque del porto e spettacolo pirotecnico (4 settembre). Infine, fino al 13 set-tembre, sarà esposta, nel Castello

Alfonsino, la mostra d’arte “Intra-moenia Extrart” in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Atti-vità Culturali.

Ad Ostuni, sul fronte cultura-le, si rinnova l’edizione 2010 del-la kermesse letteraria “Un’emo-zione chiamata libro”, che anche quest’anno vedrà la partecipazione dei big della letteratura italiana: dal 19 luglio all’11 agosto, nel chiostro di Palazzo San Francesco, la cu-ratrice della manifestazione Anna Maria Mori e il sindaco Domenico Tanzarella ospiteranno, in otto se-rate, alcuni noti scrittori quali Wal-ter Veltroni, Ilvo Diamanti, Gustavo Charmet, Marida Lombardo Pijola, Barbara Schiavulli, Michela Marza-no e Teresa De Sio.

Il 22 agosto si svolgerà la XII edi-zione del Trofeo Sant’Oronzo me-

morial Don Elio Antelmi, campionato di staffetta su strada e, come di consueto, tra culto religioso e folklore si celebreranno, dal 24 al 27 agosto, i festeggiamenti in onore di Sant’Oronzo con la tradizionale Cavalcata per le vie della città bianca. Infine, dall’11 al 18 settem-bre, Ostuni sarà teatro di scena del XV festival azzur-ro “Marinando” organiz-zato in collaborazione con il Ministero per le Politiche agricole e forestali.

Spettacolo, sport e musica...uniti all’arte e alla cultura faranno parte anche del programma organizzato dalla città di Mesagne che propo-ne, tra le iniziative, alcune mostre di opere pittoriche nella splendida cornice del Castello: dal 7 al 22 ago-sto nelle Sale Nobili l’esposizione sarà curata dall’Associazione cultu-rale “Le ali di Mirna” e dal 22 al 29 agosto in mostra le opere di Giu-liano Radaelli nella Sala Torrione. Per la serie di eventi “Incontro con l’autore”, il 22 agosto, presso il Con-vento dei Cappuccini, Rodia pre-senterà “Ulivi in terra di Brindisi”, e, il 28 agosto, si svolgerà l’evento “La palma d’oro”, premio città di Mesa-gne, organizzato dalla Pro Loco.

Daniela Negro

ESTATE IN ZONA Piccola guida per chi resta nel brindisino in queste settimane

Tante iniziative per diverse sensibilitàA scuola

La Giunta Regionale della Puglia, con Deli-

berazione n . 1198 del 25 maggio 2010, pubblicata nel Bollettino Ufficiale n. 98 del 3 giugno 2010, ha approvato il Calendario Scolastico regionale per l’anno 2010/2011.

Per gli studenti pugliesi il prossimo anno scola-stico comincerà il 20 set-tembre 2010 e terminerà l'8 giugno 2011. Le attivi-tà educative nelle scuole dell’infanzia si conclude-ranno invece il 30 giugno 2011.

Le lezioni saranno so-spese, oltre che in con-comitanza delle festivi-tà nazionali canoniche, per le vacanze natalizie dal 23 dicembre 2010 al 6 gennaio 2011, per le vacanze pasquali dal 21 al 26 aprile 2011, il 2 novembre 2010 e per la ricorrenza del Santo Pa-trono. Le istituzioni sco-lastiche, nell’ambito della loro autonomia organiz-zativa, possono disporre adattamenti al calendario scolastico stabilito dalla Regione in relazione alle esigenze derivanti dall’at-tuazione del proprio pia-no dell’offerta formativa, fermo restando il limite inderogabile dello svol-gimento di almeno 200 giorni di lezione.

Una bella immagine di Ostuni, la “città bianca”

Il turismo “non può sottrarsi alla sua re-sponsabilità nella difesa della biodiver-sità, ma, al contrario, deve assumervi

un ruolo attivo”. È il richiamo contenuto nel Messaggio del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti in occasione della Giornata mondiale del tu-rismo che si celebrerà il prossimo 27 set-tembre.

Tema della Giornata, nel 2010 proclamato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Uni-te "Anno Internazionale della biodiversità”, è appunto su “Turismo e biodiversità”. Nel Messaggio, firmato dal presidente e dal se-gretario del dicastero, gli arcivescovi Antonio Maria Vegliò e Agostino Marchetto, si affer-ma che lo sviluppo del turismo “deve essere inevitabilmente accompagnato dai principi di sostenibilità e rispetto della diversità bio-logica”. Rammentando i “tre gravi pericoli” che incombono sugli ecosistemi ed “esigo-no una soluzione urgente: il cambiamento climatico, la desertificazione e la perdita di biodiversità”, il testo sottolinea che “di tutto questo si è seriamente preoccupata la comu-nità internazionale”. Anche la Chiesa “vuole unirvi la sua voce, nel ruolo che le è proprio, partendo dalla convinzione” che essa stessa “ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche nella sfera pubblica”.

La Chiesa, precisa il Messaggio, “deve di-fendere non solo la terra, l’acqua e l’aria”, ma “deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso”. Pertanto, “senza entrare nella questione di soluzioni tecni-che concrete”, essa ribadisce “la responsa-bilità dell’essere umano nella preservazione di un ambiente integro e sano per tutti”. “Il contatto con la natura è importante” prose-gue il testo, e il turismo “si deve sforzare di rispettare e valorizzare la bellezza del creato”, avvicinandosi al quale “può essere occasio-ne per promuovere o accrescere l’esperienza religiosa”. Diventa allora “urgente e necessa-ria” la ricerca di “un equilibrio tra turismo e biodiversità”. Di qui la necessità di “strategie partecipative e condivise, in cui siano coin-

volti” governi, istituzioni internazionali, as-sociazioni professionali del settore e Ong per un “turismo sostenibile” che “protegga le risorse naturali e culturali, e sia aiuto re-ale nella lotta contro la povertà”. Un ruolo si-gnificativo spetta anche ai turisti, che devo-no essere “informati sui benefici reali” della “conservazione della biodiversità ed educati al turismo sostenibile”.

“Uno sforzo importante, che in modo par-ticolare deve realizzare la pastorale del turi-smo - conclude il Messaggio, è “l’educazione alla contemplazione, che aiuti i turisti a sco-prire la traccia di Dio nella grande ricchezza della biodiversità”.

gIOrNATA mONdIAlE dEl TurISmO Il Messaggio

Turismo e biodiversità

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Libri20 luglio-agosto 2010

Nel maggio 2008 durante l’ordinazione di 29 diaconi Benedetto XVI ha detto che

i sacerdoti sono “collaboratori del-la gioia degli altri e testimoni e di-spensatori della speranza”. Innanzi-tutto quindi la missione della gioia. Quando un vescovo consacra i nuo-vi ordinandi pone le mani sul loro capo, esprimendo così l’invocazione a Dio perché effonda il suo Spirito su di loro e li trasformi, rendendoli par-tecipi del Sacerdozio di Cristo, testi-moni e dispensatori saggi e generosi, dolci e forti, rispettosi e convinti. La loro vita diventa modello dell’amore di Dio, amore primo e più grande, unico e totalizzante, dentro il quale vivere, purificare, illuminare e santi-ficare tutte le altre relazioni.

Così don Daniele Cavaliere ha spe-so la sua vita. La sua vocazione nasce in una comunità e la sua missione è consistita nell’annunciare e testimo-niare Cristo a tutti in modo aperto e semplice. Da qui il desiderio e la necessità della Scuola “G. F. Maia Materdona”, una scuola che forma e consente la crescita, di ricordare un modello riconosciuto per una comu-nità attraverso un libro, Sulle tracce del passato. Don Daniele Cavaliere. Testi-mone di Fede, promotore di cultura (Loco-press, Mesagne 2010). Un modello che ha vissuto come protagonista il proprio tempo ed il proprio territorio e la scuola che ha un’esigenza educativa primaria si assume, si deve assumere, il compito di far crescere i giovani nelle proprie radici storico-cultu-rali per poter guardare con spirito critico ma costruttivo la società in cui si vive.

Don Daniele Cavaliere ha attraversato e segnato vicende storiche, strutture politi-che, aggregazioni sociali e religiose in mo-menti di grande significato storico come bene viene ricordato nel primo capitolo del libro. Quindi il profilo biografico dettagliato dal quale risulta che nato a Mesagne il 20 giugno 1909, dove muore il 5 agosto 1990, diviene sacerdote il 23 settembre 1933.

Arruolatosi nel 1941 come volontario nel servizio di cappellano militare viene desti-nato in Cirenaica e poi in Inghilterra dove è fatto prigioniero. Proprio l’esperienza della guerra e poi di cappellano della Casa Circondariale di Brindisi lo segnano mol-tissimo. Il 12 febbraio 1955 riceve l’incarico di arciprete curato della Collegiata di “Tut-ti i Santi” in Mesagne, dove rimane fino al 1984, anno in cui va in pensione sempre operando nella convinzione di un sacer-dozio come servizio e ministero illumina-to soprattutto verso i giovani siano pure seminaristi o studenti o ancora i giovani dell’Azione Cattolica.

Nel 1935 infatti viene nominato vice assi-stente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica poi Segretario della Giun-ta Diocesana e Commissario Arcivescovile della Federazione Diocesana di Azione Cat-tolica, Assistente Diocesano della G.C.A.C. e vice assistente della G.F.A.C.

E’ stato un sacerdote molto dedito al dia-logo e molto presente nella CISL, attento a comprendere la complessità del mondo del lavoro. Per molti aspetti la sua presenza nel sindacato può essere considerata anomala. Nel 1985 partecipa come delegato al Con-gresso Confederale della CISL sottolinean-

do il valore della solidarietà come impegno sindacale tanto che la “Unità” titola in pri-ma pagina Clima conciliare al Congresso della CISL. Un prete meridionale riscalda l’assemblea prima dell’intervento di Craxi. Secondo don Daniele il dirigente sindacale ha l’obbligo di essere un pastore tra i lavo-ratori attraverso il Vangelo del “signor lavo-ro”, come afferma nei suoi ricchi e nume-rosi scritti donati dal nipote alla Biblioteca Comunale di Mesagne “U. Granafei”.

Il libro passa poi all’esame dei ricordi di chi ha conosciuto e si è formato con don Daniele Cavaliere il tutto intessuto su pre-ziosi documenti storici ritrovati nell’ar-chivio di Stato di Brindisi, in quello della Curia arcivescovile e della Chiesa Matrice di Mesagne ed in archivi privati, ma anco-ra una volta il valore delle carte travalica la storia del singolo individuo per indicare importanti aspetti storici, artistici e cultu-rali di una terra e di un’epoca attraverso un uomo, don Daniele, che è stato forte ramo di una Chiesa solida, generosa e amorevole soprattutto attraverso la parola, la divulga-zione, la scrittura. Da qui le sue numerose e fertili pubblicazioni: Prima, da istituzio-ne di procreazione a concezione personali-stica …, Il senso dell’amore …, La società è unione di persone …, Epiclesi, vita, parola, azione …, Essere perfetti …, Perfezione, spi-rito di fede …, Azione Cattolica …, Il lievito …, Martirio …, Sulla solidarietà, Il coraggio di uscire …, L’Anno Mariano, Ecco tua ma-dre …, La Beata Vergine abbracciando …, Pellegrina di fede …, La Beata Vergine, ar-monia …, Il mistero di Maria è un mistero unico …, Il metodo teologico post-conciliare …, Non solo un adempimento formale…, De Gasperi alla domanda se la DC andasse …, Dall’autunno caldo a oggi…, Reducismo, Due correnti di umanità…, Far crescere la nostra libertà…, La morte è la fine della con-flittualità, Equitazione: l’arte del cavalcare”, Cavalleria, Equitazione, Maestra di vita.

Katiuscia Di Rocco

DON DANIELE CAVALIERE TESTIMONE DI FEDE,

PROMOTORE DI CULTURA

L’A rc i v e -s c o v o R o c c o

Talucci, che ha conosciuto don Saverio Martuc-ci quando già aveva lasciato la guida pastorale della parroc-chia di S. Maria in Mesagne lo ha considerato come «figura classica di sa-cerdote aperto alla “salvezza delle anime” nella fedeltà al buon Pastore e alla sua Chie-sa». Del resto, poche righe oltre, è sempre il presule diocesano, che scrive: «La stima dei fedeli tutti, l’af-fetto dei giovani che si ri-tengono ancora suoi allievi, l’amicizia dei sacerdoti che lo vedevano saggio consi-gliere, il compiacimento pastorale dell’Arcivescovo, il riconoscimento delle au-torità civili, la gratitudine delle suore che serviva con paternità, formano l’eredità che io ho ricevuto dal gior-no del mio ingresso in dio-cesi».

Era giusto dunque, che quanti gli sono stati vicino per più tempo ed hanno goduto della sua amicizia e della sua ricchezza interio-re dessero maggiore testi-monianza e che tutte que-ste righe fossero raccolte in «Don Saverio Martucci. Sacerdote di Dio, prete di tutti» (Tau editrice, pp. 95, €. 5,00) libro ancora fresco di inchiostro, al quale han-no contribuito in maniera determinante la Vicaria di Mesagne e la Famiglia Mar-tucci, don Claudio Macchi-tella ed Ivano Rolli.

Nell’introduzione, è pro-prio don Claudio Macchi-tella a scrivere che «a buon ragione don Saverio è sta-to davvero segno di quel “buon pastore che dona la vita per le sue pecorelle”. Egli l’ha donata quotidia-namente per ben 52 anni come pastore e guida della comunità parrocchiale di Santa Maria in Bethlem in Mesagne». E se la scarna cronologia può non offrire l’esatta dimensione del mi-nistero di don Saverio sono proprio «Ricordi e Grati-tudini», che ne descrivono appieno, come i fili di un arazzo, la personalità e le ragioni del suo essere prete ed educatore a tutto tondo.

Si susseguono dunque, con differenti sensibilità di let-tura, i contributi di mons. Settimio Todisco e di mons. Angelo Catarozzolo, di don Pietro De Punzio e di P. Angelo Muri (che pubblica anche un componimento), di don Alberto Diviggiano e P. Carmelo Vetrugno. E dopo i presbiteri, ecco le te-stimonianze dei laici Aldo Vangi e Tonino Carparelli, con una poesia in vernaco-lo; ecco quelle di Maria De Guido e di una religiosa, Sr Irene Valsecchi, ecco quin-di Mina Carrozzo Di Bello ed Elena Calò, nonchè i versi di Irene Carluccio e le lunghe lettere di Cosimo e Patrizia e di Giancarlo Distante; ecco, di seguito, i versi di Giulia Ciaccioli e le riflessioni di Pompeo Molfetta, Germano Ran-dino, Sandrino Distante, Mina Facecchia, Ida Di Dio e di un gruppo di Amici. A chiudere, prima di una ben curata storia per immagini, lo scritto degli ex ragazzi di Santa Maria, «i bambini (ormai grandi e maturi), degli anni cinquanta, degli anni sessanta, degli anni settanta e una buona parte dei ragazzi degli anni ottan-ta»: è lo scritto, forse, meno elegante stilisticamente, ma è quello che più auten-ticamente lascia intendere cosa fosse la vita quotidia-na nella Parrocchia di San-ta Maria, tra Tempi forti e Tempo Ordinario, con un parroco lì, per mezzo seco-lo, pronto a far vedere alla parte di popolo di Dio che gli era stata affidata, giova-ni e giovanissimi in primis, il Cristo di sempre, che era la sua prima ragion d’esse-re «prete per tutti».

(a. scon.)

DON SAVERIO MARTUCCI SACERDOTE DI DIO,

PRETE PER TUTTI

“Parlare di etica dell’ informa-zione è una sfi-

da inedita. Ci sono degli studi in proposito, poco utili però di fronte alla concretezza del lavoro che si svolge ogni gior-no nelle redazioni e poco utili a fronte del cambia-mento in atto.

Non ha più senso e nep-pure serve discettare di obiettività dei giornalisti, di regole, di principi che, se presentano un grande fascino, hanno allo stesso tempo lo svantaggio di re-stare slegati dalla realtà”. Con queste parole Fabri-zio Mastrofini, giornali-sta ed esperto d’informa-zione religiosa, presenta il suo ultimo libro “Info-etica. L’informazione e le sue logiche” pubblicato da Edizioni Dehoniane Bologna (Edb). Nell’in-troduzione al testo, l’au-tore ricorda che “parlare di etica nell’informazione vuol dire riuscire a coniu-gare problemi concreti e una visione di fondo sull’importanza della co-municazione nella vita quotidiana”. L’informazio-ne, infatti, è “un sistema che non ci offre scelta” perché “siamo inseriti in un contesto comunicati-vo e informativo dietro il quale si nascondono rile-vanti interessi economici e finanziari che influen-zano profondamente i meccanismi di lavoro e i rapporti di lavoro a tutti i livelli”.

Decifrare i contenuti. La prefazione al volume è stata affidata a padre Fe-derico Lombardi, diretto-re della Sala stampa vati-cana, il quale spiega come “spesso si tende sempli-cisticamente a ridurre la questione dell’etica nell’informazione a quel-la delle notizie vere o false o più o meno rispettose della dignità della perso-na”.

Nuova frontiera. L’at-tenzione dell’autore si sofferma con insistenza sul rapporto tra media e pubblico.

Secondo Mastrofini, in-fatti, la tecnologia con-sente “un rapporto nuovo tra produzione d’informa-zione e di comunicazione e fruizione, attivando un circuito nuovo di dialogo, interazione, interscambio, produzione comune e in-novativa dei contenuti”.

ETICA E COMUNICAZIONE

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21luglio-agosto 2010 Cultura

“Il cuore dell’uomo desidera cose grandi, ed è proprio questa in-

quietudine, questa sete di infinito” che “lo spinge al compimento di sé” contraddicendo “la concezione pura-mente materialistica della vita” che oggi rischia di cancellarne “l’umani-tà”. Emilia Guarnieri, da 18 anni pre-sidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, ha spiegato così il tema della XXXI edizione dell’evento “Quella natura che ci spinge a desi-derare cose grandi è il cuore”, in pro-gramma a Rimini dal 22 al 28 agosto. Oltre cento gli incontri in calendario: dibattiti, conferenze, mostre, spet-tacoli e manifestazioni sportive. Il dialogo cattolici-ortodossi, la libertà religiosa e la responsabilità “politica” degli Stati, la presenza religiosa nello spazio pubblico, la tutela della vita, l’educazione, l’informazione, la ri-forma della giustizia e il rapporto tra economia e società saranno alcuni dei

temi affrontati. Il programma completo è su www.me-etingrimini.org.

Tra Ulisse e Caligola. Presentando l’evento, Guarnieri ha affermato, ri-prendendo il titolo della conversazio-ne in programma il primo giorno del Meeting con la presidente d’Irlanda Mary McAleese: «Le forze che cambia-no la storia sono le stesse che cambia-no il cuore dell’uomo». La stessa gior-nata si concluderà con lo spettacolo “Caligola e la luna”, tratto dal celebre dramma di Albert Camus, nella ricor-renza dei cinquant’anni dalla morte, perché, ha precisato la presidente della Fondazione, «il desiderio della luna di Caligola, così come la volontà dell’Ulisse dantesco di oltrepassare le colonne d’Ercole», dicono «l’ardente anelito di ricerca che per i cristiani è sostenuto dalla speranza di una rispo-sta intravista, quella della fede», ma che «è presente in tutti gli uomini e

può aiutarli ad incontrarsi».I sei “segreti. Sei, secondo Joseph

H.H.Weiler, University Professor – New York University, da anni affezionato frequentatore del Meeting, i “segreti” del successo dell’appuntamento, «stra-ordinaria combinazione di vitalità e gravitas». Anzitutto «la sua unicità», ossia l’essere «una festa per la mente e per l’anima allestita nello spazio e con i numeri di una fiera commercia-le». Quindi «la sua apertura intellet-tuale» che testimonia «fiducia e impe-gno nella ricerca della verità», e il suo spirito “pro-life” nel quale “«si incon-trano e incrociano tutte le generazio-ni». «Una sorta di gravitas, di sottesa serietà», e la sua «gratuità, espressa in una civiltà dominata prepotentemente dall’io dalla presenza di migliaia di vo-lontari,» sono ulteriori “ingredienti” di successo. Infine «lo spirito di don Gius-sani che continua ad aleggiare anche grazie al suo successore, don Carrón».

DESIDERIO DI COSE GRANDIDal 22 al 28 agosto la XXXI edizione del Meeting di Rimini

Il tempo, la nostra quarta dimensione, è ciò che più ci manca nella vita quotidia-

na. In questo tempo di vacanze, che diven-ta frenetico come quello del lavoro, e che non ci libera dall’altro nemico, lo stress, permettetemi due riflessioni sul tempo. Contro il tempo che passa non possiamo far nulla: possiamo solo tentare di passarlo nel migliore dei modi. E se “il perder tempo a chi più sa più spia-ce”, come diceva Dante, una persona che ha speso tutto il suo tempo per gli Ultimi fu la Beata Madre Teresa di Calcutta, della quale il 26 agosto ricorre il centenario della nascita; ecco cosa diceva sul tempo: “Trova il tempo di pregare; trova il tempo per ri-dere: è la fonte del potere; è il più grande potere sulla Terra: è la musica dell’anima.

Trova il tempo per giocare, per amare e es-sere amato; trova il tempo di dare: è il se-greto dell’eterna giovinezza; è il privilegio dato da Dio. La giornata è troppo corta per essere egoisti. Trova il tempo per leggere. Trova il tempo per essere amico. Trova il tempo per lavorare: è la fonte della sag-gezza; è la strada della felicità; è il prezzo del successo. Trova il tempo per essere ca-ritatevole: è la chiave del Paradiso “

Ed ecco cosa scriveva, invece, Kalhil Gi-bran nel suo “Il profeta”: “E un astronomo disse: ’Parlaci del Tempo’. E lui rispose: “Vorreste misurare il tempo, l’incommen-surabile e l’immenso; vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le sta-gioni. Del tempo vorreste fare un fiume

per sostare presso la sua riva e guardarlo fluire. Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo e sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri e il domani il sogno di oggi, e ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio. Chi di voi non sente che la sua forza d’amore è sconfinata? E chi non sente che questo autentico amore, benché scon-finato, è racchiuso nel centro del proprio essere, e non passa da pensiero d’amore a pensiero d’amore, né da atto d’amore ad atto d’amore? E non è forse il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto? Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre e che il presente abbracci il

passato con il ricordo e il futuro con l’at-tesa”.

Concludiamo con un altro pensiero in onore di Madre Teresa, che scriveva: “L’uo-mo è irragionevole, illogico, egoista. Non importa, amalo. Se fai il bene, ti attribui-ranno secondi fini egoistici: non importa, fa’ il bene. Se realizzi i tuoi obiettivi, trove-rai falsi amici e veri nemici: non importa, realizzali. Il bene che fai verrà domani di-menticato: non importa, fa’ il bene. L’one-stà e la sincerità ti rendono vulnerabile: non importa, sii franco e onesto. Da’ al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci: non importa, da’ il meglio di te”.

Buona estate.

Ferdinando Sallustio

almanacco Estate, un tempo per gli altri

Il 25 giugno, nella chiesa Santissima Annunziata di Mesa-gne, ha avuto svolgimento il XIX Colloquio sui Beni Cul-turali avente a tema Il compiuto restauro della chiesa del-

la Santissima Annunziata in Mesagne. I lavori, coordinati dal prof. Antonio Mario Caputo, sono

stati aperti dagli interventi introduttivi del dr. Franco Scoditti, sindaco di Mesagne e del rev. don Cosimo Soliberto, parroco della Santissima Annunziata. Ilaria Demitri, tutor diocesana per i beni culturali, ha illustrato con ampiezza storia e per-sistenze proprie della chiesa della Santissima Annunziata. La relatrice si è soffermata sull’arrivo dei frati domenicani a Mesagne, sicuramente provenienti da Brindisi, tra il 1517 e il 1520. L’arciprete Centurione Sangiorgio diede loro in uso la chiesetta extra moenia della Santissima Annunziata e loca-li annessi. Il primo locus di frati fu spazzato via dalla guer-ra, dalla fame e dalla peste che seguirono i due saccheggi di Mesagne, l’uno ad opera degli spagnoli, l’altro dei francesi, il 1529. Il 23 settembre del 1530 si ha la ratifica della secon-da donazione a beneficio dei domenicani: per molto tempo vissero di elemosine non avendo rendite ma furono così co-spicue da poter permettere di costruire una nuova chiesa e il convento. Nel 1548 fu demolita l’antica chiesetta dell’Annun-ziata e ne fu costruita altra, sull’area dell’attuale vico A. Cor-si, a tre navate, affrescata da Gianserio Straffella di Coperti-no, con tre cappelloni principali e altri minori. Uno dei pochi elementi ancora presenti della suddetta chiesa, inserito nella parete esterna delle mura del coro a metà del XIX secolo, è l’elegante portale con rosone dello scultore Francesco Bel-lotto di Nardò che lo firmò e datò 1555. Accanto alla chiesa fu eretto il convento che occupava un area di 3.500mq. in una zona di nuova espansione detta –ancora oggi- Borgo Nuo-vo – per differenziarla dal vecchio borgo situato a sud-ovest della Porta Piccola. Lu “Buriu Nuevu”si estendeva dalla Porta Grande alla via che portava a Brindisi, passando dinnanzi al convento e alla chiesa: un nuovo borgo quindi al di fuori del-le mura. Dimorare nei pressi di un convento domenicano era

vantaggioso poiché i padri non rifuggendo il mondo ma anzi accostandosi ad esso sia con il culto ma anche con la scuo-la, la cultura, la pratica delle arti e dei mestieri, l’agricoltura, fornivano occasioni di benessere sociale ed economico. L’au-mento demografico rese necessario ampliare la preesistente chiesa su progetto del leccese Giuseppe Cino che a Mesagne aveva già lavorato per la chiesa di Sant’Anna e per la Matrice; la posa della prima pietra è documentata il 16 ottobre 1701. Il completamento della volta a lamia si ebbe nel 1720 ma non resse i danni del terremoto del 20 febbraio 1743 che interes-sò tutto il Salento. All’ingegnere Pasquale Margoleo nel 1745 fu assegnata la direzione dei lavori di risanamento. Nel 1750 i cittadini mesagnesi poterono ammirare la chiesa comple-tata: afferma Antonio Profilo “la chiesa di forma ottagonale e ad una nave ha la lunghezza di trenta metri e l’ampiezza di circa undici ed è forse la più vasta delle chiese di Mesagne”. Al sopraggiungere del XIX secolo con le soppressioni degli ordini religiosi per le leggi napoleoniche e murattiane i do-menicani dovettero abbandonare il convento di Mesagne. La confraternita di San Leonardo nel 1848 determinò nuova funzionalità alla chiesa che divenne parrocchia il 1930 su vo-lere dell’arcivescovo Tommaso Valeri.

L’ing. Luigi D’Amato ha illustrato il complesso intervento di restauro a vantaggio della chiesa della Santissima Annun-ziata evidenziando la professionalità delle maestranze impe-gnate in un’intrapresa non facile e non semplice.

Ha concluso i lavori S. E. Mons. Rocco Talucci, arcivescovo di Brindisi – Ostuni, rilevando come il complesso, caro alla memoria del beato Bartolo Longo, sia punto di riferimento per la devozione rosariana.

L’intervento di restauro, reso possibile dall’intervento della Conferenza Episcopale Italiana, restituisce un punto di riferi-mento importante, a un tempo, sia per le peculiarità storico-artistiche che quale patrimonio di fede e religiosità.

Giacomo Carito

mesagne I risultati illustrati nel corso del XIX Colloquio sui Beni culturali ecclesiastici

Completato il restauro della Santissima Annunziata

Presentata la rassegna Chiese aperte

Si è svolta l’8 luglio scorso, nell’audito-rium “mons. Elio

Antelmi” del palazzo Arci-vescovile di Brindisi, una conferenza stampa duran-te la quale mons. Rocco Talucci ed il Commissario dell’Azienda di Promo-zione Turistica Francesco Nacci, hanno presentato il programma “Chiese aper-te” che va ad inserirsi nel più ampio progetto di “Cit-tà aperte 2010”.

Le Chiese della nostra diocesi resteranno aperte dal 17 luglio al 12 settem-bre tutti i fine settimana dalle ore 17 alle ore 23 (fat-ta eccezione per il Santua-rio di Santa Maria del Casa-le che sarà aperto dalle ore 17 alle ore 21).

Il servizio (comprese le guide in più lingue) sarà svolto dall’Associazione culturale “Ar.Tur – Luoghi d’arte e d’accoglienza” in esclusiva per l’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni.

A Brindisi le Chiese che resteranno aperte sono la Cattedrale, la Chiesa delle Scuole Pie e Santa Maria del Casale.

Ad Ostuni, invece, la Con-cattedrale, la Chiesa di San Francesco d’Assisi, la Chiesa di San Giacomo in Compostela, la Chiesa di Santa Maria della Stella e la Mostra dei tesori della Cattedrale.

Infine, a Carovigno re-sterà aperta la Chiesa del Carmine.

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Chiesa & Arte - Locorotondo22 luglio-agosto 2010

LLa chiesa di San Giorgio martire fu edificata tra il 1578 e il 1579 sui resti di un preesistente edificio di culto an-tecedente il 1195; la cinquecentesca costruzione era a

pianta basilicale con tre navate e senza transetto. Nel 1775 si diede avvio a un radicale ripensamento del

complesso; si demolì l’antico, ormai insufficiente data la cre-scita demografica di Locorotondo, dando inizio ai lavori per la nuova chiesa, eretta tra il 1790 e il 1825 e consacrata nel 1829.

La facciata neocinquecentesca si articola su due ordi-ni, divisi verticalmente da due serie di colonne. Al culmine del secondo ordine è un timpano triangolare decorato da un bassorilievo avente a soggetto “San Giorgio e il drago” e, all’estremità, le statue dei santi Pietro e Paolo.

Ai quattro angoli del campanile sono le statue della Veroni-ca e delle Tre Marie, provenienti dalla chiesa pre-esistente.

La cupola, dal profilo ribassato, era originariamente rico-perta da policrome maioliche smaltate distrutte, il 1841, da un fulmine. L’interno si articola su di un impianto a croce greca con presbiterio allungato e rialzato sul sottostante suc-corpo; l’insieme è caratterizzato da sobrietà e chiarezza neo-classica pur con precedenze ancora barocche.

Sulla sinistra della navata è il cappellone del Santissimo Sa-cramento; di grande interesse appaiono le quarantadue for-melle in pietra viva, raffiguranti scene del Vecchio e Nuovo Testamento, scolpite tra il 1591 e il 1613.

Il ricchissimo altare presenta, nelle sue forme barocche, l’alternarsi di marmi, pietre dure e argento lavorato a sbalzo; su di esso è l’Ultima Cena dipinta il 1841 dal pittore napole-tano Gennaro Maldarelli (1796-1858).

Il patrimonio figurativo e scultoreo della chiesa, molto ric-co, comprende il secentesco affresco, staccato, raffigurante San Donato Vescovo.

Nell’altare dedicato all’Assunta è il dipinto raffigurante la Madonna Assunta in Cielo del 1838, sempre del Maldarelli, autore il 1840 del San Giorgio che uccide il drago e il 1839 del

San Michele arcangelo e la caduta degli angeli ribelli. Altro dipinto rilevante, attribuibile a Barnaba Zizzi (1762-1828), è La morte di San Giuseppe.

Fastoso è l’altare marmoreo della Madonna del Rosario, realizzato il 1764, con una tela e quindici ovali del pittore martinese Francesco de Mauro. Prossimi agli ingressi sono

sia il battistero a marmi policromi dello scultore napoletano Fedele Caggiano, autore dell’altare maggiore il 1861, che il cenotafio di Vitantonio Montanaro (1694-1779), promotore della ricostruzione della chiesa, opera del napoletano Pa-squale Ricca, realizzato il 1847.

Alla bottega di Francesco De Mauro sembrano attribuibili Il martirio di san Bartolomeo e Gesù dopo la flagellazione alla colonna. A maestranze pugliesi del XIX secolo sono assimi-labili sia La resurrezione di Gesù sia la rappresentazione di Gesù al tempio. Ottocentesche sono le tele con rappresenta-zione di San Vito, San Luigi Gonzaga, San Biagio vescovo.

In Locorotondo è molto vivo il culto per san Giorgio mar-tire di cui nella Cattedrale di Brindisi si conserva la reliquia del braccio; la diffusione della devozione verso questo santo militare pare di non dubbia provenienza orientale. Giorgio sconfiggendo il drago si propone come allegoria della ragio-ne che vince sull’istinto; la ragione, rafforzata dalla fede, si personificava nelle armate di Bisanzio a lungo unico argine al dilagare dell’Islam e, in seguito, nel duro lavoro che il con-tadino pone in essere per strappare alla macchia e al bosco terre coltivabili. I terrazzamenti della Valle d’Itria rimanda-no a questo incessante operare dell’uomo; la terra fornisce così supporto alimentare alla crescita demografica e, al con-tempo, la materia prima per l’abitare diffuso nelle campagne qui punteggiate dai trulli. Nel segno di san Giorgio la natura selvaggia è a un tempo sacralizzata e posta sotto il controllo della ragione.

Il 22 maggio 2010, la chiesa è stata restituita alla comuni-tà dopo attenti lavori di restauro, diretti dall’arch. Domenico Sasso, in concomitanza con l’antica celebrazione del “dono” a san Giorgio, memoria e rendimento di grazie con riferi-mento agli eventi del 1647-9 ossia ai tumulti popolari in Lo-corotondo, alla repressione che ne seguì, allo scampo che si volle ottenuto dal santo patrono.

Antonella Golia

Nel centro storico di Locorotondo sorge, nell’omonima piazzetta, la piccola cappella di Santa Maria

del Soccorso, armoniosamente inserita nell’intreccio delle candide stradine della città antica. L’edificio fu costruito, indica-tivamente fra il 1627 e il 1632 per volontà del barone del tempo, Giovanni Giacomo Borrassa il quale, per l’edificazione, im-piegò i fondi donati da un certo Borgerio per restaurare una più antica cappella, or-mai diroccata, sita nei pressi dell’attuale. L’edificio risalta per il contrasto del lumi-noso bianco della calce con cui sono di-pinte le pareti e il caldo grigio bruno della pietra locale utilizzata per alcuni dettagli architettonici.

La facciata, dall’aspetto pulito e lineare, presenta al centro il portale d’ingresso,

con architrave in pietra, sormontato da una lunetta con cornice; al di sopra è po-sto lo stemma del barone Borrassa circon-dato da un cartiglio decorato ai lati da due mascheroni e sovrastato da una piccola apertura circolare. In alto vi è un campa-nile a vela culminante in una croce di fer-ro.

L’interno, ad aula unica, presenta un altare in pietra sul quale campeggia, in-castonata in una cornice lapidea, la tela seicentesca della Madonna del Soccorso raffigurata secondo l’iconografia tradizio-nale. Sullo sfondo di un suggestivo pae-saggio, avvolto in una luce crepuscolare, è rappresentata la Vergine che, se con la mano sinistra sorregge teneramente il Bambino, con il braccio destro è nell’atto di scagliare il bastone sul maligno, dal-

le sembianze mostruose, accovacciato ai suoi piedi. Sulla sinistra è un bambino che con lo sguardo invoca la protezione di Maria, porgendo la manina destra a Gesù che dolcemente ricambia il suo sguardo.

Dalle fonti si deduce che Giulio Cesare, figlio del barone Borrassa, pretese il pa-tronato della cappella. Ne conseguì una controversia con il clero risolta nel 1639 quando il barone rinunciò a tutti i suoi diritti sulla cappella. Da quel momento si decise che la festa in onore della Madonna sarebbe stata celebrata il 5 agosto, giorno in cui si ricorda Santa Maria della Neve. Nella chiesetta era collocata una tela, raf-figurante San Vito martire, oggi conserva-ta nella chiesa madre di San Giorgio.

Erika Andriola

Una chiesa intitolata all’Addolorata, sita in prossimità dell’oratorio dell’Annun-

ziata, esisteva a Locorotondo almeno dai primi dell’Ottocento; già allora era sede del-la confraternita dei Sette Dolori o dell’Ad-dolorata, la cui attività è documentata dal 1764.

Fu nel 1855 che il sacerdote Don Leonar-dantonio Curri promosse l’abbattimento dell’antico castello e l’edificazione in quel luogo della nuova chiesa dell’Addolorata. Tale scelta voleva cancellare dalla memo-ria popolare le atrocità commesse in quel-le prigioni dai duchi Caracciolo di Martina Franca, governanti di Locorotondo fra XVII e XIX secolo.

I lavori, realizzati da Fabio Pentassuglia, furono ultimati il 1858.

La facciata è divisa in due ordini da una cornice marcapiano, con la parte corrispon-dente alla navata centrale leggermente avanzata. Nell’ordine inferiore, tra due cop-pie di lesene decorate con capitelli dorici, si apre il portale con architrave, su cui è l’iscri-

zione “REAL COLLEGIO DEI SETTE DOLORI 1855”, decorato da una cornice. L’ordine superiore è alleg-gerito da una finestra che si apre tra due coppie di lesene con capitello ioni-co.

La facciata è conclusa da un timpano, dalle for-me classicheggianti e cro-ce apicale; al centro cam-peggia l’effige del cuore trafitto, inserito in un’ arme sormontata da una corona aggettante.

La decorazione ester-na è impreziosita da due antiche statue in pietra, collocate agli angoli dell’edificio, raf-figuranti le sibille Delfica ed Eritrea, proba-bilmente provenienti dall’ecclesia mater.

All’interno la chiesa è divisa in tre navate con transetto e una piccola abside in corri-spondenza della navata centrale. Di notevo-

le interesse è la copertura con volte a stella della zona presbiterale al cui centro è l’altare maggio-re in marmo dalle forme contemporanee. Il picco-lo transetto, rivestito da un coro ligneo, presenta una cantoria nella zona absidale.

Ai lati dell’ingresso, la controfacciata presenta due nicchie i cui sono le statue lignee di Sant’An-tonio Abate e del Cristo Risorto, datate 1888 e fir-mate dal locorotondese

Antonio Semeraro. Un pilastro cruciforme, con alto basamen-

to, separa le navate laterali da quella cen-trale; la decorazione interna si articola sia su due altari laterali, caratterizzati da mor-bide forme barocche, che a statuaria inseri-ta in nicchie ed edicole.

L’altare sinistro è dedicato al Santissimo Sacramento, soggetto dell’immagine al diso-pra della mensa. L’altare destro, dedicato al Cristo Morto, presenta, al posto del paliotto, il simulacro del Cristo deposto e, al di sopra della mensa, una nicchia con la statua li-gnea del Cristo Crocifisso.

Particolare interesse riveste il corredo di statue; al XVII secolo paiono riconducibili sia la piccola statua in pietra di Sant’Anto-nio Abate che i manichini vestiti aventi a soggetto San Gaetano con il Bambino Gesù, l’Addolorata e la Madonna della Croce.

Malgrado gli accurati studi condotti dall’ar-chitetto Pasquale Montanaro, in occasione del centocinquantesimo anniversario del-la confraternita e dei restauri da lui stesso curati, al momento non esiste un’esauriente pubblicazione su questa piccola ma inte-ressante chiesa confraternale. È auspicabile che questo luogo sia al più presto oggetto di nuove e più approfondite analisi storico-artistiche.

Maria Concetta Velardi

La chiesa dell’Addolorata

chiesa madre Il 22 maggio scorso è stata restituita alla comunità civica

San Giorgio, la storia di un popolo fedele

santa maria del soccorso È opera risalente al XVII secolo

Cappella mariana nel cuore della cittadina

L’interno della Chiesa madre © Silvio Simeone

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Sport 23luglio-agosto 2010

Un bel calcio, una bella squadra, ma sopra-tutto la valorizzazio-

ne dei propri giovani. Que-sto secondo Bruno Pizzul il segreto della vittoria della Spagna ai mondiali in Suda-frica. Non solo calcio giocato dunque, ma anche un’idea di sport che possa essere anche un’occasione di formazione e crescita.

«La finale come capita spesso e volentieri quando il risultato è così importante – spiega il telecronista - non è stata altamente spettacolare, però indubbiamente è stata una gara molto molto com-battuta, con gli olandesi che per la terza volta hanno per-so una finale mondiale e che hanno impostato la partita così come dove-vano, forse con qualche eccesso di rudezza, qualche intervento davvero molto pesante. Ma per il resto la par-tita ha seguito il copione atteso, con la Spagna a mantenere il controllo della situazione, con la solita grande difficoltà di tradurre in gol il gran vo-lume di gioco sviluppato». Eppure un guizzo ha risolto la partita: «alla fine, quando stavano scadendo i supple-mentari Iniesta che è uno degli ele-menti più rappresentativi del cen-trocampo spagnolo ha sbloccato la situazione. Non è stata dunque una partita di grande spettacolarità però ha regalato emozioni fino all’ultimo fregiandosi del primo titolo mondia-le. Era tra le favorite e ha tenuto fede al pronostico».

Sintesi tra campioni e gruppo, que-sta è la Spagna secondo il celebre giornalista sportivo «ma soprattutto espressione credibile di un calcio che in questi anni ha sempre privi-legiato la tecnica individuale, il pal-leggio, la valorizzazione dei giova-ni, il brogliaccio tattico è quello del Barcellona, quindi gran possesso di palla, e, certo, non sempre si può vincere, ma la qualità dei giocatori

e l’efficacia del gioco della Spagna è testimoniato da questa vittoria e dal fatto che le formazioni di club spa-gnole continuino ad essere ai vertici del calcio internazionale».

Indubbiamente la Spagna è stata molto brava e continua ad esser-lo nella valorizzazione dei propri giovani, un tratto che la distingue decisamente dall’Italia: «Sì è vero e non è facile trovare quelle che sono le cause per rimediare, ma di certo l’organizzazione del settore giovanile dalle nostre parti in qualche maniera deve essere rivisto. Occorre che ci sia una maggiore attenzione nella valo-rizzazione della tecnica individuale, mentre da noi i ragazzini fin quando sono più che bambini vengono trat-tati quasi come se fossero dei profes-sionisti, si dà grande valore all’aspet-to fisico, atletico, i giri di campo e via dicendo e poco forse alla presa di confidenza con il pallone che è lo strumento di gioco fondamentale».

Questi mondiali si sono tenuti in Sudafrica, un paese non casua-le verrebbe da dire. Si è riusciti a trasmettere dei messaggi simbo-lici al di là di quello che è stato il calcio giocato?

«La speranza è che una volta finita la ribalta dei mondiali tutto non cada nel dimenticatoio. E’ chiaro che ab-biamo parlato e continuiamo a par-lare di problemi del Sudafrica, ma credo di poter dire che possa essere estesa all’intera Africa questa neces-sità di attenzione da parte del mon-do verso quelli che sono i problemi che angosciano questo straordinario e incredibile continente che però è ancora alle prese con molti proble-mi di carattere economico, sociale e sanitario e via dicendo. Sicuramente l’impatto è stato molto molto forte a livello di emozione personale per le cose che abbiamo visto, quegli occhi dei bambini resteranno incisi nella memoria di tutti noi ed è chiaro che vanno aiutati e vanno portati avanti anche i tentativi di miglioramento e superamento di quelli che sono ata-vici problemi che angosciano quella terra e quel continente. Indubbia-mente sotto questo profilo il mon-diale ci ha dato delle opportunità, ha suscitato delle attenzioni nelle no-stre coscienze».

Proprio in quest’ottica come si può investire allora in calcio ed educazione a livello mondiale?

«È di fondamentale importanza, ora può sembrare una fase fatta e con un pizzico di retorica che anche il cal-cio che è lo sport più diffuso e di più facile apprendimento può diventare una formidabile agenzia educativa per la formazione dei singoli indivi-dui ed anche perché metta in moto dei meccanismi di solidarietà ed at-tenzione reciproca che sono naturali nel mondo dello sport. Questo è un problema che ovviamente deve esse-re coltivato portato avanti laggiù, ma serve molto anche dalle nostre parti, lo sport come agenzia educativa. Va recuperato il momento fondamen-talmente positivo dell’aggregazione gioiosa nel nome proprio del calcio per abituare i ragazzi fin da quando sono tali a stare assieme, a conosce-re i propri problemi a sopportarsi, alla fine per sentirsi migliori anche sotto il profilo umano. E’ chiaro che poi anche lo sport può subire delle contaminazioni per il troppo denaro, gli interessi esasperati ma è chiaro che in un momento in cui siamo alla ricerca disperata di agenzie educa-tive credibili anche lo sport deve re-cuperare questo suo fondamentale valore».

Francesca Lozito

intervista� A colloquio con il noto telecronista della Rai Bruno Pizzul

«Lo sport torni agenzia educativa»

Dopo che le mani meravigliose di Iker Casillas han-no tolto la Coppa del Mondo dai piedi degli undici scarponi in arancione domenica notte a Joburg, ci

si chiede quanto rimarrà di questo campionato nelle menti e nei cuori dei milioni di spettatori che nel mondo l’han-no seguito. Naturalmente non ci riferiamo ai gesti atletici, come le prodezze di Ramon o la grinta dei giovani talenti come Mueller, né alle brutte e belle figure, come l’arbitro Webb che all’essere uomo ha preferito mostrarsi ominic-chio o i giocatori spagnoli che si scambiavano le bandiere catalane, basche o asturiane a segnare che la vittoria era davvero di tutti. Stiamo pensando piuttosto a che cosa ri-marrà dell’idea di Africa a chi per una volta ha rincorso il pallone, almeno con gli occhi, verso Sud.

Oggi in Sudafrica molti si chiedono se le spese effettuate per ospitare i mondiali siano state proporzionate, se stadi così grandi saranno davvero riempiti nei prossimi anni al-meno col rugby. Alcune voci si chiedono se l’investimento pubblicitario per far conoscere il Paese e la sua economia non sia stato eccessivo e se non si dovesse destinare il de-naro verso il sistema scolastico, tuttora in difficoltà in alcu-ne zone del Paese, o verso altri scopi sociali.

In realtà il rischio che spenti i riflettori, l’idea di Africa si dissolva nel buio è forte. Il calcio e la macchina della pub-blicità macinano tutto e finito un carosello ne propongono un altro. Nel 1978 il mondiale servì ai colonnelli argentini per irridere le loro vittime e il mondo, oggi la presenza di Mandela offre un segnale esplicito in tutt’altra direzione, né manca chi come Casillas – sì, ancora lui – ha versato, imita-to dai compagni di squadra, buona parte del premio per la

vittoria, ad una iniziativa per i bambini in Sierra Leone. Ma il timore che waka waka rimanga solo un ballo e non una presa di coscienza rimane.

È compito di chi può scrivere, allora, raccontare i fiori che sbocciano nell’Africa del 2010. Il più bello e tormentato, sbocciato durante i mondiali è quello della Guinea Conak-ry che è tornata a votare in modo libero dopo cinquant’an-ni. Dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1958, il Paese ha visto la dittatura sanguinaria di Sekou Touré. Gli è successo il generale Lansana Conté, che ha guidato il Paese prima da dittatore e poi da presidente, con elezioni formalmente libere, ma viziate dai militari e dal partito di governo. Alla morte di Conté, un gruppo di militari ha preso il potere cre-ando la Cndd, la Commissione nazionale per lo sviluppo e la democrazia, promettendo elezioni libere in due anni. Il suo leader, il capitano Dadis Camara ha avviato un’azione efficace e probabilmente sincera contro alcuni privilegi e gruppi di potere. Ha dichiarato guerra ai trafficanti di dro-ga, mettendo in carcere personaggi eccellenti come il figlio dell’ex dittatore Conté, ma ha inanellato gravi errori, pro-ponendosi come unico difensore del popolo. Prese di posi-zione goffe contro governi e ambasciatori stranieri e la ‘mi-naccia’ di candidarsi alle presidenziali per evitare l’arrivo di avventurieri disonesti, gli hanno fatto perdere il consenso dentro e fuori il Paese. Delle difficoltà hanno approfittato coloro che nella Cndd contavano solo sostituirsi al vecchio gruppo di potere. La tensione crebbe, sino ad arrivare al 28 settembre scorso, quando un gruppo di militari spara e commette un eccidio durante la manifestazione delle ‘for-ze vive’ del Paese nello stadio della capitale che chiedeva-

no elezioni presto e senza la candidatura di Dadis. Questi nega di avere ordinato di sparare, va a visitare i malati, ma non punisce nessuno dei responsabili. Da molti viene con-siderato connivente, ma in realtà è probabile che la strage sia stato un atto di ribellione di un gruppo di militari con-tro di lui. Dadis tenta una mediazione personale per evitare una degenerazione ancora più sanguinosa. Il malcontento, infatti, sta alimentando la tensione etnica. Un mese dopo la strage, i responsabili sparano a Dadis e ai suoi. Alcu-ni muoiono, Dadis viene gravemente ferito e trasferito in Marocco per essere curato. Ma la prova di forza fallisce. Il potere passa nelle mani del numero due della giunta che convoca elezioni sotto una supervisione internazionale. Il sacrificio di Dadis in qualche modo ha creato le condizioni perché più nessuno possa pensare di poter trattenere im-punemente il potere.

Due settimane fa si è finalmente votato. I risultati saran-no dichiarati ufficialmente il 18 luglio e comporteranno lo svolgimento di un secondo turno. Molto rimane incerto, sia sull’esito del ballottaggio, sia sulla reale ‘liberazione’ dai gruppi di potere, ma è un fatto che il quadro politico appare irreversibilmente cambiato e più aperto, dopo un percorso in cui chi ha lavorato per la democrazia ha agito senza vio-lenza, smentendo le previsioni di chi vedeva in Guinea la prossima guerra africana.

Raccontare l’Africa dei mondiali è raccontare anche que-sto. Lo faremo ancora. Con trepidazione e fierezza.

Riccardo Moro

Spagna, squadra

di grande talento

S pagna, come tanti pronosticavano. Spa-

gna campione, come non era mai accaduto. Vince il Mondiale la squadra di maggior talento, con un gioco maturo e com-piuto, un organico pieno di campioni bene assor-titi e mai primedonne. Onore all’Olanda, che esce sconfitta anche alla sua terza finale. Eppure, come quattro anni pri-ma, quando erano stati gli azzurri protagonisti, anche questa finale non è stata bella, ma tirata ed emozionante sì, finita in crescendo, con clamoro-se occasioni sprecate nei secondi 45 regolamenta-ri. Non sono bastati i 90 minuti per una Spagna padrona del campo, con Xavi a dominare la scena, con Pujol e Pique che da-vano garanzie in retrovia, ma come in tutto il Mon-diale avara sottoporta (anche prima dell’ultimo atto, tutte le partite era-no state vinte solo 1-0). Di fronte aveva un’Olanda che, dietro il duo dei fe-nomeni Robben-Snejder, evidenziava un nervosi-smo inconsueto, che an-cor prima dell’espulsione di Heitinga, poteva costar-gli l’inferiorità numerica. Alla fine il giocatore più universale di tutti, An-dreas Iniesta, erede degli Orange del calcio totale, fenomeno del Barcellona, ha deciso meritatamente la sfida, orientando an-che il Pallone d’Oro verso la Catalogna, nonostante l’annata magica nell’Inter di Snejder e la strapoten-za tecnico-atletica di Rob-ben nel Bayern.

San Leucio

riflessioni Mondiali alla Spagna nel continente delle grandi contraddizioni

Spenti i riflettori, cosa rimane dei mondiali di calcio?

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