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www.LaRecherche.it Indovina chi viene a cena? da Frammenti d’inverno di Gianluca Colittta PERSONA Persona è forse il capolavoro assoluto di Bergman. Gioco di parole attraverso i volti, sovrimpressioni di volti. Non di occhi, la sovrimpressione degli occhi dà un unico occhio, la sovrimpressione dei volti produce due volti: accostati, una nuova figura. Sovrimpressioni mentali. Storia scritta da volti. Soggetto che guarda e che nel mentre guarda si accorge di essere guardato e nel mentre è guardato non si rende conto da chi e da cosa è guardato e alla fine capisce che rendersene conto non è che una piccolissima cosa. (Enrico Ghezzi) Maria Musik presenta Gianluca Colitta

Persona · 2015. 7. 8. · Nel settembre 2007 l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino e l’International Digital Video Festival di Pechino (Cina) hanno programmato un suo lavoro

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Indovina chi viene a cena?

da Frammenti d’inverno di Gianluca Colittta

PERSONA

Persona è forse il capolavoro assoluto di Bergman. Gioco di parole attraverso i

volti, sovrimpressioni di volti. Non di occhi, la sovrimpressione degli occhi dà un

unico occhio, la sovrimpressione dei volti produce due volti: accostati, una nuova

figura. Sovrimpressioni mentali. Storia scritta da volti. Soggetto che guarda e che

nel mentre guarda si accorge di essere guardato e nel mentre è guardato non si

rende conto da chi e da cosa è guardato e alla fine capisce che rendersene conto non

è che una piccolissima cosa. (Enrico Ghezzi)

Maria Musik presenta

Gianluca Colitta

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eBook n. 3 Pubblicato da LaRecherche.it

Collana di arti varie

Indovina chi viene a cena

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SOMMARIO

INTRODUZIONE

CHI VIENE A CENA

L’INTERVISTA

SILENZIO IN SALA

FILMOGRAFIA E BIBLIOGRAFIA

CONCLUSIONI

COLLANA INDOVINA CHI VIENE A CENA?

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INTRODUZIONE di Maria Musik

La “settima arte”: il cinema. Per definirla - ammesso che ci sia bisogno bisogno di farlo dato che le definizioni, a ben vedere, sono quasi sempre riduttive - mi affiderei alla citazione attribuita a Woody Allen, uno dei contemporanei che prediligo: “È assolutamente evidente che l’arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla televisione.”

Amo il cinema che, per alcuni anni, mi ha dato la possibilità di trasformare una mia passione in lavoro. Poi, arrivò la crisi delle sale, in particolare le d’essai e quelle dedicate ai cineforum, e finì una bella stagione sia esistenziale sia sociale.

La televisione ha fagocitato tutto ma il cinema, malato o quasi moribondo, continua a vivere a stento e di stenti mentre, noi suoi adepti, invochiamo il miracolo.

Per questo, mi è particolarmente cara e gradita, questa nostra cena. Il mio convitato, di certo non une statue de pierre, è un regista.

Questa volta, gusterete il pasto serale con Gianluca Colitta.

Bon appétit!

M. M.

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CHI VIENE A CENA

Gianluca Colitta è autore e regista. Dal 2004 a oggi ha realizzato vari corti, che si distinguono per una narrazione particolarmente inquieta e rarefatta, diverse performance e video-installazioni e un libro. I suoi lavori sono stati proiettati e rappresentati a Cosenza, Roma, Lecce, Bruxelles, Pechino. Vive a Roma, non sempre stabilmente. Nel settembre 2007 l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino e l’International Digital Video Festival di Pechino (Cina) hanno programmato un suo lavoro del 2004, “Parole d’Amare”. Nell’aprile 2010 la Cineteca Nazionale e il cinema Trevi di Roma gli hanno dedicato la rassegna “Il cinema sospeso di Gianluca Colitta”.

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Fra 2013 e 2014 ha curato la regia di due video-installazioni ("Tirreno invernale", esposta all'Unical di Rende, Cosenza, ed “Erika Danst Rosas Danst Rosas”, proiettata al Kaaitheater di Bruxelles) e di una performance teatrale di danza contemporanea (“Si sta come...”, andata in scena nello spazio delle Manifatture Knos di Lecce). Ha pubblicato il libro-conversazione su (e con) Citto Maselli, “Francesco Maselli – Uno sguardo non indifferente” (Besa editrice, 2013). Considera il cortometraggio come un’autonoma modalità di racconto alla stregua del lungometraggio. Esattamente come esiste la letteratura breve così dovrebbe esistere il cinema breve. E vorrebbe che i corti tornassero al cinema in abbinamento con i lunghi. Nel 2014 ha realizzato “Frammenti d’inverno” (Media Land, Sharoncinema production, Azteca produzioni cinematografiche, 2014), un’opera che si muove fra film, video-installazione e interattività. Nel 2015 ha curato la regia filmica e la messinscena di una serie di letture drammatizzate tratte da “Cari mostri” di Stefano Benni (Feltrinelli).

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L’INTERVISTA

Questa cena è per onorare gli ospiti ma, anche e soprattutto, per “piacer mio”. Ho scelto accuratamente la location… e come potevo non farlo visto che ho invitato un regista e anche particolarmente meticoloso? Volevo stupirlo con effetti speciali? No, non è tipo. Lo voglio onorare con affetti speciali. Quindi, appuntamento alle 20:00 “Al Biondo Tevere”. Ho scelto il giorno di chiusura e riservato la terrazza sul fiume. È primavera quindi, complice l’arancia che rosseggia sui sette colli e l’ora legale, avremo modo di vedere (forse, per l’ultima volta dato che l’odiosa opera di “decoro urbano” si mangerà questo monumento post moderno per sostituirlo con chissà quale diavoleria urbanistico correct) lo scheletro del vecchio Gasometro scintillare d’ambra prima di trasformarsi in un fantasmagorico baluginio notturno.

Ecco il mio ospite d’onore.

Buonasera Gianluca. Accomodati e parliamo un po’ mentre aspettiamo il nostro commensale. Ci siamo scritti ma è tanto che non ci si vede. A cosa stai lavorando?

Dovrei avviare quei soliti, tediosi discorsi che in queste occasioni si fanno, riempiendosi d’ego e di tristezza. La verità è che concretamente, in questo periodo, sto costruendo delle scatole. Sì, scatole di legno che compro e che decoro con dei giornali di arte e di cinema, hehe!

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Arriva la signora Giuseppina che porta acqua, un litro di vino e del pane. Impossibile non pensare all’Ultima Cena.

No, non sto parlando del cenacolo leonardesco ma di Pier Paolo Pasolini che consumò in questo locale il suo ultimo pasto: era con Pelosi e il resto è storia. Mentre penso se Pelosi sia stato un Giuda o fosse un Giovanni suburbano, il preferito che non riuscì, però, a poggiare il suo capo sulla spalla dell’amante, ecco che ad uno dei tavoli scorgo una sagoma scura: volto scavato, chioma e occhiali neri, una birra da guardare più che da gustare.

Nel frattempo, la voce di Gianluca mi risveglia.

Fuor di scherzo (ma neppure troppo), ho appena chiuso una cosa per e con Stefano Benni. Tre letture filmata di tre suoi racconti in uscita a metà maggio per Feltrinelli. Si tratta di un esperimento interessante, un incrocio fra televisione, cinema e teatro di parola che mi è stato proposto e a cui ho aderito subito. Una cosa che spero possa avere un suo seguito, ammesso che qualche tv se ne interessi davvero.

Non ti dico dei progetti, tanti, troppi... Certamente uno andrà in porto fra questo e il prossimo anno. Vediamo... Il cinema vive in una precarietà massacrante. Anzi, uno te lo racconto, sì, un film che è una storia d’amore fra vita e morte, fra due anziani, che sul punto di morte scoprono come sia valso davvero vivere fino a quel punto; scoprono e accettano la morte come sacra condizione della vita; scoprono insomma di essere vissuti fino a quel punto della loro vita solo per avere l’abbraccio l’una dell’altro.

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Intanto, mentre i platani fremono infreddoliti sferzati dalla brezza che viene dal mare e di cui percepiamo l’odore, ecco tornare la storica chef di quello che, sessant’anni fa, era un punto di ristoro per operai.

Lavoravano nelle piccole fabbriche (negli anni ‘50 ce n’erano ancora: concerie, vetrerie… erano tempi di ricostruzione, d’economia… niente globalizzazione e finanza), dove agli edili che si portavano il pasto, avvolto nel canovaccio a quadri rossi e bianchi, vendevano solo il vino per mandar giù il pane. Ci serve un sauté di cozze e vongole. Dal porto fluviale e dal piatto salgono umori salmastri.

Gianluca. Il mare è presente, per il poco che ho potuto vedere, in almeno due dei tuoi lavori. Sono incuriosita: il mare è un “must” di tutte le arti. Come evocarlo o rappresentarlo senza scadere nel banale?

Non c’è un modo, secondo me. Voglio dire, non esiste una regola che ti metta al riparo dalla banalità né dal suo opposto altrettanto pericoloso, la ricercata originalità a tutti i costi. Il mare non è una cosa così frequente come credi nei miei lavori. Direi l’acqua. Forse è più presente l’acqua. Anzi, ora che mi ci fai pensare... Direi proprio di sì. Non so il motivo. L’acqua ha connotazioni positive e negative. È apertura verso il tutto ed è anche chiusura. Può scorrere o può ristagnare... Pensa all’uso che ne ha fatto Tarkovskij...

Irrompe una risata nera. Come poteva mancare la Maddalena ad un’ultima cena del cinema d’autore? La Magnani di “Bellissima” è tornata qui dove si compì il miracolo di un grande e meritato successo. Con lei Visconti.

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Ad un giovane regista come te che effetto fa ripensare ad un film come “Bellissima”. A parte essere uno dei “100 film da salvare”, seppur con l’evidente connotazione temporale …

Visconti scuote la testa e borbotta: Non è neo-realismo e neanche neo-romanticismo. Cosa c’è in questa storia che ancora non possiate trovare nel vostro oggi?

…ehm, mi scusi Maestro… dicevo, Gianluca, c’è qualcosa del mondo del cinema, di quel cinema, che è rimasto? Cos’è oggi il cinema?

È rimasto moltissimo. In me è rimasto moltissimo. Anche del Neorealismo, con cui pure non credo di avere moltissimo a che fare. Credo mi sia rimasto Rossellini, quello di Paisà. E credo, molto, il Visconti della Terra trema. Ma secondo me siamo già oltre. Mi è rimasto soprattutto il grande cinema degli anni Sessanta. E io credo che quella sia stata un’epoca irripetibile. Irripetibile. Dalla quale dobbiamo provare ormai a staccarci per non restare inchiodati come a una zavorra, tale da irretirci, da non consentirci più di sperimentare nuove cose.

Che cos’è il cinema? Dovrei pensare per bene. È una domanda che continuo a farmi ogni giorno. E a cui difficilmente trovo delle risposte. La verità è che non lo so più. Non è più quello che mi ha formato. Non è nemmeno del tutto quello che vedo oggi. Credo sia normale questa incertezza: siamo nel bel mezzo di un cambiamento epocale. Artisticamente e tecnologicamente. E non dobbiamo dimenticare quanto il cinema dipenda dalla tecnica e dalla tecnologia. Hai voglia a dirci che ce ne dobbiamo liberare.

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Sono d’accordo. Ma non possiamo prescindere. Ma ammesso pure che si riesca, c’è che il cinema non ha più quella centralità artistica, e di intrattenimento, che ha avuto nel Novecento e che aveva all’epoca in cui Bazin articolava i suoi illuminanti, imprescindibili saggi.

Ho l’impressione che il cinema, oggi, sia un cadavere che stiamo spingendo a tutti i costi. È evidente a tutti che è finita un’era.

Mi spiego: non è finito il linguaggio, quello c’è e rimarrà a lungo, se non per sempre. Le serie tv americane e inglesi sono lì a dircelo. Possiamo discutere di come sia imperante la drammaturgia. Possiamo discutere di come sia difficile fare una cosa prescindendo dai dati di ascolto, dal lato commerciale, di marketing. Questo sì ed è la cosa che io soffro di più. Ma non si può dire che il linguaggio sia finito. Anzi, si è rinnovato. Temo in un’unica direzione ma non importa questo per rispondere alla tua domanda. Quello che mi allarma sono i cambiamenti repentini sul piano tecnologico che hanno influenzato l’estetica e la fruizione; hanno cambiato autore e spettatore; e hanno cambiato il rapporto di questi con loro stessi e fra di loro. Chi continua a infarcire le sale di ristorantini, librerie, baretti... allontana dal film. È di una ipocrisia... Il film è una presenza che aleggia ma la centralità sembra essere altro. La sala deve ritrovare la sua centralità sì ma sul piano della fruizione filmica. Come?

La sala è indebolita, ferita. La gente non va al cinema perché vede a casa, vede sul pc ogni cosa. E i più esigenti si

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attrezzano con l’home theatre. La sala deve tornare ad essere luogo di esperienza. Perché non pensare allora a una moltiplicazione degli schermi, al superamento della visione canonizzata, a una dialettica dei quadri all’interno della sala? Non sono certo che possa sistemar le cose ma è un tentativo serio per far tornare il film e la visione centrali, rivoluzionando l’architettura della sala.

Visto che ti ho invitato io e che pubblicherò su LaRecherche.it, non posso fare a meno di chiederti della scrittura che, credo, sia parte integrante di ogni tua opera

Come scrittura immagino tu intenda la parola e il testo. Sì, è stato un veicolo molto importante per me, soprattutto nei primi corti. Erano tre livelli di lavoro: l’immagine, il suono (suono espressivo e lavorato e in tal senso molta importanza ha avuto la mia collaborazione con il musicista e sound designer Luigi Porto) e la parola, appunto. Tuttavia all’inizio - ti parlo soprattutto dei monologhi, molto influenzati da un certo cinema di Alain Resnais, fra l’altro -, si trattava anche di un modo per veicolare l’attenzione dello spettatore. Avevo timore che perdesse il filo della storia (esile quanto vuoi ma pur sempre storia). E allora ecco che la parola lo accompagnava nel mio viaggio fra immagini e suoni. Ed era quasi sempre una parola lirica, poetica, anche nei dialoghi.

Questo nei primi corti. Poi il discorso cambia.

E ora alcune domande di rito. Mi dispiace ma, anche a malincuore, dovrai fare lo sforzo di rispondere.

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Moravia, comparso ad occupare un tavolo (ma non avevo riservato la terrazza? Ah, Questi Fantasmi!) bofonchia: “Attento, ragazzo: sai cosa si fa quando non se ne può più? Si cambia (cit.).”

La Morante (oddio, quanto ti ho amata), che s’è accomodata in disparte, alza lo sguardo dal calepin dove scrive fitto fitto e, rivolgendo uno sguardo tristissimo ad Alberto, sussurra: Chi fugge per amore non può trovare quiete nella solitudine.

Per carità, sto lavorando. Zitti, per favore: godetevi la notte! (nell’intento di non far scappare il mio ospite d’onore, ho appena pronunciate la gaffe più lugubre della mia vita…)

Elsa mi guarda per storto (e io, come una scolaretta presa in fallo, arrossisco): Vivere senza nessun mestiere è la miglior cosa: magari accontentarsi di mangiare pane solo, purché non sia guadagnato.

Perfetto, di soldi guadagnati con l’arte ne vediamo ben pochi sia io che Gianluca. Procedo.

Quali sono gli autori e le opere che hanno connotato e connotano la tua formazione? Quali, se ce ne sono, hanno suggestionato il tuo percorso e tutt’ora influiscono sulle tue opere?

Immagino tu intenda cinematograficamente che però per me non prescinde dalla pittura. Tanti, da riassumere è difficile. Influisce tutto e niente. Non si può mai dire quanto.

Diciamo che ho avuto grandi passioni. Moltissimo all’inizio per me sono stati Fellini e Lynch. Con questi due ho avuto l’imprinting. Poi Kubrick, per la precisione e la distanza che

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aveva, una freddezza che mi affascinava. Poi Resnais, per un grandissimo senso estetico. Quindi, Bergman (Persona è il film più perfetto che esista), per lo scandaglio psicologico e per la profondità, per l’uso di quel meraviglioso paesaggio che è il volto nel primo piano. Rossellini per il senso etico di Paisà e di Germania anno zero. Visconti per la grandiosità della messinscena e per il senso di disfatta, di decadimento che si porta appresso. Antonioni per l’astrazione (gli ultimi sette minuti dell’Eclisse sono tra i finali degni di essere ricordati. Ce n’è di più belli?).

Piero della Francesca per l’organizzazione dello spazio, Hopper per i ritratti delle solitudini malinconiche della provincia (a cui peraltro è stato dedicato un bellissimo film di Gustav Deutsch), L’allegoria sacra di Giovanni Bellini per il senso di mistero che si porta appresso, come qualcosa di ieratico e di indicibile. Ovviamente Caravaggio, del quale non si può escludere la passione anche solo per un uso della luce pienamente cinematografico (ma da questo punto di vista anche il vedutismo del Settecento dice assai, Bellotto, Canaletto, alcuni fiamminghi). Posso non citarti Rembrandt, più o meno per lo stesso motivo ma applicato ai volti? I suoi chiaroscuri chi li dimentica? Poi Burri, Rothko, Fontana, Agostino Bonalumi, Castellani... E vogliamo dimenticare del maestro Luigi Ghirri? Di Francesca Woodman...

Di recente mi hanno interessato alcune cose di Lech Majewski, di Nuri Bilge Ceylan, Frammartino, Béla Tarr... Da giovanissimo, adolescente, ero un appassionato di Tsai Ming-liang (il suo The Hole, soprattutto) e di Tran Anh

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Hung. Mi è davvero impossibile fare un elenco completo. Mizoguchi, Murnau, l’ultimo Godard...

Come hai iniziato e perché? Mi riassumi la tua storia di regista? Gli incontri importanti, i prodotti che ritieni più riusciti o ai quali porti maggiore affezione?

Io davvero non ricordo di altro: ho sempre voluto fare questo e questo ho sempre fatto. Prima erano gli spettacolini di varietà, poi è venuta la prima telecamerina. Una JVC che registrava su VHS-C che costava 1 milione e settecentomila lire e che i miei mi regalarono a 16 anni. Da lì ho fatto i miei primi corti con gli amici fino a 20, 22 anni. Anche delle ottiche mi regalarono, un grandangolo e un tele. Ho letteralmente giocato a fare i corti e lì ho imparato un sacco di cose. Montavo poi con due videoregistratori e più tardi mi comprai un mixer. Tu non sai quanti nastri rovinati a furia di andare avanti e indietro alla ricerca del taglio giusto! Non c’erano ancora i programmi di montaggio o almeno io non avevo nessuno che li usasse. Considera che tutto avveniva in modo assai solitario. Al massimo eravamo io e due, tre amici.

Come avviene per te il processo creativo?

Un bel giorno hai un’idea. Quello è un bel giorno, penso si possa definir così. Poi cominciano i problemi, hehe! Non saprei, non l’ho mai teorizzato. Diciamo che, come spesso accade a molti, è un’immagine che ti prende, un’immagine forte, un dettaglio, un suono, un rumore, un volto, uno sguardo. Qualcosa che mi accompagna e di cui mi innamoro a tal punto da costruirvi intorno una serie di cose. Questo è

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il motore. Il resto è lavoro. Una volta individuato il nucleo, che forse è quello che potremmo definire ispirazione (che comunque è un soffio, ammesso che esista), il resto è duro lavoro. Scrivo moltissimo. Appunto moltissimo e faccio un sacco di sopralluoghi. Da solo, poi con fotografia, con scenografia... Il film da questo punto di vista non finisce che all’ultimo giorno di mix.

Quale ruolo, se ne ravvisi uno, ricopre il regista nella società? Ravvisi in ciò che fai una qualche “utilità sociale”? Altrimenti, quali sono gli obiettivi che ti prefiggi e la finalità ultima del tuo agire artistico?

Non lo so, non credo. Siamo ormai in un’epoca post-ideologica. Difficile dire che il regista o l’artista abbiano un ruolo. Forse chi fa cose più politiche o sociali, sì, ecco. Ma io personalmente, almeno fino ad oggi... Nessuno. Dico davvero. L’unico mio scopo è raccontare qualcosa in un modo che sia interessante e bello. È quello che io vorrei vedere come spettatore e leggere come lettore. Già questo mi cambierebbe. Siamo sempre per me alla “forma che è contenuto”. Poi se un’opera, questo su un piano più generale, riesce a illuminare una coscienza questo certo non mi stupisce. Voglio dire: lo può fare un docente, un amico... Quindi anche un’opera. E spesso all’insaputa del suo autore. C’eravamo tanto amati di Ettore Scola per me è un film importante, ad esempio. Proprio nel senso che intendi tu.

Che cosa ti differenzia dai tuoi contemporanei? Insomma, qual è la tua “unicità”?

Non lo so!

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È opinione comune che ogni artista abbia le proprie “ossessioni”, leitmotiv che ricorrono nelle sue opere. Tu ne hai? Se sì, quali?

Probabilmente un certo modo di raccontare le cose, una certa “sospensione”, una certa attesa... Non è tanto, io credo, sul piano tematico, quanto sul piano stilistico. Forse sul piano tematico direi la perdita, l’assenza. Vai a capire perché... Oppure piccole cose che ricorrono sempre sono i volti imbrattati. Forse giusto in Pelle e ossa non l’ho fatto ma in generale c’è sempre qualcuno che si trucca o si strucca. Mi piacciono poi i tagli di un certo tipo, i passi piuttosto alti, accentuare volutamente delle cose, utilizzare lo zoom...

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Vivi la tua arte in un non luogo che nasce dall’intersezione fra i due mondi o uno tra i due è elettivo? Perché hai scelto location archeologico/mitiche?

No, il piano prettamente realistico non mi interessa. Ad oggi, poi chissà come potrà evolvere il percorso. Penso di trovarmi più a mio agio in quello che si potrebbe definire un non-luogo, rubando questa definizione ad Augé e indegnamente decontestualizzargliela. Parto sempre da un dato di realtà, da un’esile storia per poi lavorare, creare la mia realtà. Del resto è sempre questo: rappresentazione. Magari non sarà reale ma dice una verità.

Mi interessa sempre la verticalità in luogo dell’orizzontalità.

Quanto alla seconda parte della tua domanda... mm... Non sempre ho scelto location archeologiche. Ti riferisci probabilmente a Nelle pietre e all’Abito da sposa pelle e

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ossa. In quel caso, sì. In generale posso dirti che la location è per me di fondamentale importanza, al pari della luce e degli attori. Quindi, in quegli specifici casi, mi parevano le più giuste per raccontare i sentimenti di perdita e di abbandono (Nelle pietre), di solitudine e disperazione (Pelle e ossa).

Quali difficoltà hai incontrato nel rendere pubbliche le tue opere?

Difficoltà nessuna. Oggi, on line, si rende pubblico di tutto. Semmai il problema è in cosa questo essere immateriali eppure presentissimi si traduca.

Qual è il tuo pubblico? Che rapporto avete?

Il mio pubblico potrebbe essere chiunque. Chiunque potrebbe guardare i miei lavori, purché abbia la pazienza e il cuore e la mente aperti, senza preconcetti. Certo, una cosa che raccomando è una visione quanto più possibile cinematografica. A volte ho pensato di non mettere delle cose on line perché convinto che non potessero essere viste al meglio. Il meglio per me è su uno schermo abbastanza grande (non necessariamente piatto, anzi!), con delle buone casse, al buio e senza altre cose prima e dopo. Lo so, appare di una presunzione... Sono d’accordo. Ma penso questo e io cerco di vedere tutte le cose così nei limiti delle mie possibilità.

Non ho comunque rapporti particolari. Va detto che è una cosa che non cerco e probabilmente faccio male. Molto dipende dal periodo, da come sto io. Oggi la promozione è importantissima. Io, a volte, la vivo come un dovere cui

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vorrei avere il privilegio di sottrarmi. Tuttavia quelle volte che è accaduto e si è sviluppato un dibattito serio, che non vuol dire necessariamente a favore, un confronto ragionato, è stato bello, proficuo. Siccome però il più delle volte si riduce a una mera presentazione dove trionfano le banalità, a costo di sembrar snob, dico che preferirei che ci sia solo il film o il libro.

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”? Può esserci una connessione con la tua esperienza? Tradotto: ogni spettatore di un film o di un corto vede se stesso?

Intanto non distinguerei fra film e corto. Da anni ne faccio una battaglia e i pochi che mi conoscono lo sanno. Il corto è un film. Il film è corto o lungo. Esattamente come esistono il racconto e il romanzo. Solo che purtroppo non ha mercato, il corto, ed è il nulla. Per rispondere alla tua domanda: io credo di sì, sai. Alla fine, credo che sia un modo per fare luce dentro se stessi. Dentro alcune dinamiche di sé. Che poi questo possa portare al cambiamento non lo so. Ecco perché insisto: non credo (più) ci sia una diretta utilità. Ma resta un dato incontrovertibile: che qualsiasi opera, al pari di qualsiasi evento doloroso o gioioso o di qualsiasi persona, possa operare sulla coscienza di qualcuno in termini di rivelazione, di scoperta, di consapevolezza. Su di me agiscono profondamente degli autori e delle opere.

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Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri registi? Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare un film? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura/regia?

Certo. Ho pubblicato addirittura un libro su Maselli e sul Maselli meno politico, peraltro. Autore sempre troppo poco considerato. Non saprei indicarti una sorta di vademecum. Non esiste forse. Qualsiasi storia ben raccontata, se utilizza un punto di vista interessante e bello, mi può colpire.

Mi rendo conto che questa risposta ti possa risultare generica ed evasiva, per certo versi, ma non vuol esserlo.

In relazione alla tua attività, qual è la critica più gradita che hai ricevuto?... e la più desolante?

Tralascio i giudizi positivi ché mi pare poco elegante che sia io a riportarli e ti cito due critiche, una costruttiva e una abbastanza stupida. La più gradita è stata quella per cui avrei dovuto abbandonare i monologhi in favore delle sole immagini. Per alcuni estimatori del mio cinema queste ultime sono talmente aperte e comunicative da non necessitare di alcun commento. La più desolante è stata quella che ogni tanto mi capita di sentire, non solo per le mie cose, per cui il mio è un cinema “lento”. Ma che vuol dire?

Esistono cose lente e veloci, sono d’accordo. Ma certo non si può montare un film di Tsai Ming-liang al ritmo di Mtv. Non è importante che un film sia lento o veloce ma che abbia il suo ritmo, che sia coerente con il suo ritmo interno.

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Persino i miei neri sono calcolati sulla base di questo ritmo interno. È chiaro che è una scelta, è chiaro che è un gusto. Ricordo proprio Tsai che ritirando il Premio Speciale della Giuria a Venezia per Stray Dogs, due anni fa, mi sa, disse: “Ringrazio la giuria per essersi fermata a guardare il mio film”. In quella occasione annunciò il suo ritiro. Come Béla Tarr. Spero che entrambi ci ripensino.

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

Non tante. Ogni tanto, segretamente, dipingo. Un tempo costruivo cose, piccoli plastici. Ho del tutto perso la manualità ormai. Leggo molto. Mai quanto vorrei ma è una buona media. E vedo film. Sono rimasto uno spettatore assiduo di cinema (e teatro).

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti è mai stata posta e alla quale vorresti dare risposta?

No, credo tu mi abbia chiesto moltissimo. Anzi, spero io di aver risposto a tutto e in modo esaustivo, chiaro...

Nel frattempo, la calura del giorno, complici il freddo notturno e il pigro Tevere, hanno fatto salire la nebbia.

È uno schermo perfetto sul quale proiettare alcuni tuoi corti. Ho trovato in rete questa tua affermazione: «Credo che La nebbia, per quel che può valere, chiuda un periodo di totale ricerca sull’immagine e sul tempo, oltreché sul tema dell’assenza e della perdita». (G. Colitta) 30.04.2010

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Che bellissima immagine. Mi piacerebbe farne una installazione. Sarebbe complicata ma credo verrebbe molto suggestiva.

Sì, mi chiesero di presentare quel corto e io dissi questa cosa. Subito dopo mi è parsa presuntuosa ma ormai... Corrispondeva a verità. I miei primi tre corti più consapevoli, più importanti, per quanto grezzi, sono Parole d’Amare, Nelle pietre e La nebbia. E sono importanti perché hanno davvero costituito una base. Mi hanno dato la possibilità di sperimentare a tutto campo. Espressivamente La nebbia è certamente dei tre il più compiuto, una specie di sinfonia di musica e immagini. Ricordo con particolare difficoltà ed entusiasmo il lavoro con Luigi Porto per La nebbia. Proprio per una sorta di mistica, assoluta ricerca fra suono e immagine, senza vincoli, senza scadenze. Puntavamo solo a provare tutte le soluzioni possibili fino ad accreditare quella giusta. Quando ho chiuso quel corto, ho come sentito, lo dico senza posa alcuna, una specie di chiusura di un periodo. Un lungo periodo durato sei, sette anni, dove apparentemente ho prodotto molto poco. In corrispondenza di questa fine ho sentito come l’inizio di una nuova fase che è questa che sto vivendo. Una fase diversa, come di maggiore consapevolezza delle mie possibilità di autore. Del resto, è sempre un percorso in divenire.

È giunto il momento di lasciare spazio alle opere di Gianluca.

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Siamo veramente fortunati: abbiamo una fra le più suggestive arene “naturali” che potevamo desiderare.

Lo schermo è ampio quanto l’orizzonte, c’è quel tanto di fumoso, da riportarci indietro a quando nelle sale il miasma perlaceo e cenerino delle sigarette si avviluppava al fascio di luce del proiettore, e il cielo primaverile sfavilla di astri come quelli che ci stupivano quando, sulle nostre teste, a notte fatta, il soffitto della sala si apriva e lasciava che tornassimo a riveder le stelle… del cinema.

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SILENZIO IN SALA FRAMMENTI D’INVERNO (FRAGMENTS OF WINTER) by Gianluca Colitta col. SHD 4K – IT 2014 - produzione: Azteca produzioni cinematografiche, Media Land, Sharoncinema production;

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https://vimeo.com/101628715

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L’ABITO DA SPOSA PELLE E OSSA by Gianluca Colitta (col., IT., 2014) - produzione: Media Land

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L’abito da sposa pelle e ossa

www.larecherche.it/public/L_abito_da_sposa_pelle_e_ossa_by_Gianluca_Co

litta_IT_2014-SD.mp4

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LA NEBBIA clip 03 by Gianluca Colitta col. HDV – IT 2010 - produzione: G. Colitta, con Pi.Sa.Film, Omega Tech, Movie Sound Editor – XI Festival del cinema Europeo di Lecce (concorso)

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La nebbia

www.larecherche.it/public/La_nebbia_by_Gianluca_Colitta_clip_03-SD.mp4

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FILMOGRAFIA e BIBLIOGRAFIA

CORTOMETRAGGI

2014

• L’abito da sposa pelle e ossa – col. HD – IT 2014 - produzione: Media Land;

Film: https://vimeo.com/88070261

• Frammenti d’inverno – col. SHD 4K – IT 2014 - produzione: Azteca produzioni cinematografiche, Media Land, Sharoncinema production;

www.fragmentsofwinter.gianlucacolitta.com

2010

• La nebbia – col. HDV – IT 2010 - produzione: G. Colitta, con Pi.Sa.Film, Omega Tech, Movie Sound Editor

Clip: https://vimeo.com/115155078

Clip: https://vimeo.com/115155076

Clip: https://vimeo.com/115155075

Clip: https://vimeo.com/115155074

2008

• Nelle pietre - col. HDV – IT. 2008 – produzione: Filmmaker25fps, G. Colitta, PartenoPulp, Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio

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Film: https://vimeo.com/114562562

2004

• Parole d’Amare – b/n MiniDv – IT. 2004 – produzione: G. Colitta -

Clip: https://vimeo.com/116157961

Clip: https://vimeo.com/115156322

Clip: https://vimeo.com/115156303

TV, VIDEO-INSTALLAZIONI E PERFORMANCE TEATRALI

2015

• Hotel del lago | [email protected] | L'uomo dei quadri – una serie di tre letture filmate tratta da tre racconti di Stefano Benni, ideazione scenica e regia di Gianluca Colitta, produzione Stefano Benni (Italia, 2015).

2014

• Si sta come... – performance di danza contemporanea di Erika Schipa, coreografia di Erika Schipa, regia di Gianluca Colitta (Italia, 2014). 27 Settembre 2014, Bitume Photofest, Manifatture Knos, Lecce, Italia.

Trailer: https://vimeo.com/111127828

2013

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• Erika danst Rosas danst Rosas – video-performance di Erika Schipa per i 30 anni di Rosas danst Rosas, regia di Gianluca Colitta (Belgio/Italia, 2013). 7/10 Ottobre 2013, Kaaitheater, Bruxelles, Belgio.

Video: https://www.youtube.com/watch?v=xBVUNzMGSBA

• Quattro tempi – Parte Prima: Tirreno invernale – video-installazione di Luigi Porto, regia di Gianluca Colitta (Usa/Italia, 2013), prima assoluta Unical di Rende, Cosenza, Italia, marzo 2013.

Trailer: https://vimeo.com/66282016

SCRITTI

2015

• Bodini, un poeta e un film dimenticati – Bookciakmagazine.it

http://www.bookciakmagazine.it/bodini-un-poeta-e-un-film-dimenticati/

2013

• Francesco Maselli, uno sguardo non indifferente - Editore: Besa Editrice

http://besaeditrice.it/component/virtuemart/?page=shop.product_details&category_id=33&flypage=flypage_new.tpl&product_id=735

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RETROSPETTIVE E RASSEGNE

2014

• Piola Libri, Bruxelles, Belgio, L'abito da sposa pelle e ossa;

https://www.facebook.com/Piolalibri/photos/pb.45619328001.-2207520000.1421939692./10152712828623002/?type=1&theater

2010

• Cineteca nazionale e cinema Trevi, Roma, Italia - Il cinema sospeso di Gianluca Colitta;

http://www.fondazionecsc.it/events_detail.jsp?IDAREA=16&ID_EVENT=325&GTEMPLATE=ct_home.jsp

2007

• Pingyao International Digital Video Festival e Istituto Italiano di cultura, Pechino (Cina), Parole d’Amare.

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CONCLUSIONI

Eccoci ai titoli di coda.

Solo una dedica: “Al cinema e a quanti lo amano”.

Ringrazio Gianluca Colitta per aver condiviso con noi la sua

esperienza e la sua arte e gli auguro di rimanere sempre saldo

nel flusso del divenire.

A voi lettori il consueto invito a lasciare un vostro

commento, un pensiero, un auspicio per il nostro ospite.

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COLLANA Indovina chi viene a cena? 1) Disegnare è la mia vita, Lisa Merletti 2) Il bestiario dorato, Camilla Schettino Montesano

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Questo libro elettronico (eBook) è un Libro libero proposto in formato pdf da LaRecherche.it ed è scaricabile e consultabile gratuitamente. Pubblicato nel mese di giugno 2015 sui siti: www.ebook-larecherche.it www.larecherche.it eBook n. 3 Collana a cura di Maria Musik Revisione e pubblicazione di Roberto Maggiani Per contatti: [email protected] [Senza l’autorizzazione degli autori, è consentita soltanto la diffusione gratuita dei testi e delle immagini in versione elettronica (non a stampa), purché se ne citino correttamente autore, titolo e sito web di provenienza: www.ebook-larecherche.it]

* Il curatore e l’artista, con la pubblicazione del presente eBook, dichiarano

implicitamente che tutto il materiale da loro proposto e qui pubblicato, è di loro creazione e/o proprietà, non violano in nessun modo le leggi sul diritto d’autore, e danno esplicito consenso alla pubblicazione del materiale, edito e/o inedito che sia, in esso contenuto, sollevando LaRecherche.it e i suoi redattori da ogni responsabilità riguardo diritti d’autore ed editoriali. Qualora la proprietà intellettuale del materiale fosse già stata ceduta a terzi, dichiarano, sotto la propria responsabilità, che il materiale fornito e qui pubblicato, per scadenza avvenuta dei relativi contratti, è esente da diritti, o, nel caso di contratti ancora in corso, dichiarano che il detentore dei diritti consente la libera e gratuita pubblicazione del materiale qui pubblicato.