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PIANI DI ZONA in Lombardia L’esperienza della prima triennalità e l’avvio della seconda stagione dei Piani

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PIANI DI ZONA in Lombardia

L’esperienza della prima triennalità e l’avvio della seconda stagione dei Piani

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PIANI DI ZONA in Lombardia

L’esperienza della prima triennalità e l’avvio della seconda stagione dei Piani

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P I A N I D I Z O N A

LA RIFORMA DEL WELFARE LOMBARDO

Risposta ai bisognidella comunità

Con questa pubblicazione l’Assessorato alla Famiglia e Solida­rietà Sociale presenta gli esiti del pro­cesso di attuazione della prima trien­nalità dei 98 Piani di Zona, realizzato in coerenza con il principio di sussi­diarietà che, per Regione Lombardia, costituisce il fulcro di ogni azione po­litica e amministrativa.

Il modello di welfare lombardo nasce e si sviluppa a partire da una precisa visione della vita sociale che afferma e persegue il primato della persona e delle formazioni sociali sullo Stato.

In particolare, nell’ultimo decen­nio, la prospettiva della Regione ve­de nella libertà di scelta dei cittadini il metodo e il valore che permette di avere un sistema più equo, più sod­disfacente, più sostenibile e nella li­bertà d’azione lo strumento perché la

famiglia, il Terzo Settore, il privato siano elementi attivi del sistema lom­bardo.

Soprattutto nella realizzazione dei servizi alla persona sono state pri­vilegiate le iniziative dei cittadini e dei corpi intermedi che ne sono espressione; i bisogni evolvono con­tinuamente e le risposte, di conse­guenza, non sono immaginabili e de­finibili a priori. Occorre perciò co­struire un sistema flessibile, capace di cogliere il nuovo e di adattarsi ai ra­pidi cambiamenti che caratterizzano la nostra società.

È questa l’impostazione ideale, prima che politica, che è stata messa in primissimo piano nei nostri pro­grammi favorendo, il più largamente possibile, come criterio guida di tutto il sistema dei servizi, la libertà di scel­ta della persona e delle famiglie.

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In questo quadro, è prioritario dare prospettiva al sistema del welfa­re come condizione di sviluppo e so-no stati definiti processi di partecipa­zione allargata in cui gli interventi progettati dovranno realizzarsi secon­do una politica di costante condivi­sione con gli attori locali.

I Piani di Zona certamente rap­presentano lo strumento strategico del governo del sistema locale dei Servizi Sociali e riconoscono il ruolo del privato sociale come elemento portante, sancendo il principio della democrazia partecipata come chiave di volta delle politiche sociali della comunità locale.

Il processo di attuazione della L. 328/00 ha dunque sviluppato oppor­tunità di crescita e spazi di libertà, at­traverso cui anche le organizzazioni del Terzo Settore hanno espresso la propria capacità di operare per con­tribuire allo sviluppo delle comunità di riferimento.

La rete utilizza strumenti innova­tivi, come i Buoni e i Voucher socia­li, adatti a produrre risposte persona­lizzate e flessibili alle esigenze delle persone e delle famiglie.

Un sistema rivolto alla persona, e quindi al contesto di legami e rela­zioni (familiari, di vicinato, comunita­rie) che ne caratterizzano l’identità, non può prescindere dallo sviluppa­re strategie e strumenti volti a valo­rizzare le capacità di organizzazione e di autosoddisfacimento che tale contesto è in grado d’esprimere; oc­corre partire dal riconoscimento, dal-la valorizzazione e dal sostegno delle capacità della comunità di “prendesi cura” delle fragilità.

L’Assessorato è oggi impegnato nel dare attuazione alla seconda sta­gione dei Piani di zona; le priorità programmatiche riguardano il rilan­cio del ruolo della famiglia, lo svilup­po della coesione sociale nei quartie­ri e nelle comunità locali, l’ulteriore riconoscimento del ruolo del Terzo Settore.

Colgo l’occasione per ringraziare gli Uffici di Piano e le Direzioni so­ciali delle Asl per il prezioso contri­buto a questa pubblicazione, segno di una proficua collaborazione e di un cammino condiviso.

Gian Carlo Abelli Assessore alle Famiglia

e Solidarietà Sociale

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PIANI DI ZONA IN LOMBARDIA

Come, dovee quando

La L. 328/00 in Lombardia si innesta su uno scenario normativo e di espe­rienze maturare nell’ambito dei servizi sociali e socio-sanitari forte e consolida­to. La Regione Lombardia ha infatti av­viato fin dall’inizio degli Anni ‘80 la co­struzione di un proprio sistema sociale e sociosanitario, che trova le sue radici nella legge 1/1986 “Riorganizzazione e programmazione di servizi socio-assi­stenziali della Regione Lombardia” e nel Piano Regionale Socio Assistenziale per il triennio 1988-1990.

In tali atti la Regione già individua­va le funzioni da svolgere obbligatoria­mente a livello di Comuni associati, at­traverso l’Ente Responsabile dei Servizi di Zona (l’allora USSL) e contempora­neamente stabiliva che ai comuni singo­li venisse lasciata la gestione dei servizi privi di complessità tecnico-gestionale: un modello di governance quindi già orientato alla “programmazione associa­ta” e all’integrazione tra politiche sociali e politiche sanitarie, attraverso processi di “delega” dei Comuni alle allora USSL. Il legislatore regionale esprimeva già al­

lora una particolare attenzione al pro­blema dei piccoli comuni lombardi, le cui limitate dimensioni non avrebbero agevolato la gestione dei servizi secon­do criteri di economicità ed efficienza.

Un quadro, questo, destinato co­munque a modificarsi nel corso degli Anni ‘90 sotto la spinta della normativa nazionale: da un lato la legge 142/90 sull’Ordinamento delle Autonomie Locali, la legge 241/90 e le varie leggi Bassanini degli anni 96-97, con le quali veniva riconosciuta al Comune la cen­tralità assoluta e la piena autonomia nel­la gestione amministrativa del proprio territorio; dall’altro lato, sul fronte sanità, un nuovo assetto del Servizio Sanitario attraverso i Decreti Legislativi 502/92 e 517/93, che hanno caratterizzato la tra­sformazione delle Usl in ASL, concepite come enti strumentali della Regione.

In questo contesto nazionale, la Regione Lombardia ha emanato la Legge Regionale 31/97 «Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua in­tegrazione con le attività dei servizi so­ciali» con cui ha inizio il percorso di ri­

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definizione del ruolo delle ASL: un ruolo di sempre maggiore impatto sul piano organizzativo e una presenza sempre più significativa a livello di governance. Ed è sempre in questo scenario che si inseri­sce anche l’altro tassello del quadro nor­mativo regionale ante L. 328/00: la l.r. 1/2000 “ Riordino del sistema delle auto­nomie locali in Lombardia”.

È dunque in questo ricco e articola­to quadro che si introduce la L. 328/00, la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”: la prima legge nazionale di ri­forma del welfare che ha l’obiettivo di garantire alle persone e alle famiglie un sistema integrato di servizi sociali, quali­tà della vita e pari opportunità, al fine di prevenire, eliminare o ridurre le condi­zioni di disabilità, bisogno, disagio, diffi­coltà sociali, mancanza di autonomia.

Lo strumento che la legge prevede per definire, progettare e realizzare gli interventi che compongono l’offerta complessiva dei servizi socioassistenziali, forniti da soggetti pubblici, privati e del privato sociale è il Piano di Zona: un in­novativo e potente strumento in grado di coinvolgere e meglio coordinare tutte le realtà locali presenti sul territorio.

In grado anche, e soprattutto, di qualificare la spesa con un impiego co­erente delle risorse, promuovere solida­rietà e aiuto, oltre che responsabilizzare i cittadini e le stesse strutture nella pro­grammazione e nella verifica dei servizi. Si è quindi introdotta una vera e propria

rivoluzione culturale che ha cambiato completamente le regole del gioco.

Al concetto di “delega” si è sosti­tuito quello di definizione degli ambiti di responsabilità e di ottimizzazione delle risorse a disposizione: più potere agli enti locali, dunque, ma anche mag­giore responsabilità.

Un progetto di completa ridefini­zione dei ruoli, quello richiesto dalla L. 328/00, che la Regione ha voluto guida­re attraverso l’applicazione della cosid­detta “soft law” (una normativa sempli­ce e flessibile, costituita principalmente da linee guida e circolari) e che ha ri­chiesto un nuovo metodo di approccio, più moderno e gestionale.

L’unico, in grado di fornire risposte sempre più dinamiche non solo in ter­mini di progettazione ma anche e so­prattutto in termini di interventi. E per la cui realizzazione si è reso indispensabi­le un notevole investimento di risorse umane. I rappresentanti delle parti in gioco necessitano infatti, data la parti­colare struttura della governance - com­posta da un organismo politico (Assemblea dei Sindaci dei comuni di distretto) e da un organismo tecnico (l’Ufficio del Piano) di una preparazio­ne all’altezza di un “piano” caratterizza­to da obiettivi così ambiziosi.

Le origini e gli attori L’introduzione dei Piani di Zona ha

trovato in Lombardia piena espressione nella DGR. VII/7069 del 23/11/01, nel

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Piano Socio Sanitario 2002-2004 del 13 marzo 2002 e, in termini operativi, nella circolare numero 7 del 29 aprile 2002 della DG Famiglia e Solidarietà Sociale Regione Lombardia che ne ha descritto le principali linee attuative. In primis l’individuazione dell’ambito distrettuale, quale territorio di riferimento del Piano di Zona: la L. 328/00 prevede infatti che sia la Regione a identificare l’ambito ter­ritoriale di riferimento per la redazione e attuazione dei Piani di Zona.

La Regione Lombardia ha scelto di configurare il distretto sociosanitario co­me “area sistema”, grazie alla compre­senza di interventi sanitari, socio-sanita­ri e sociali e alla complementarietà delle reti di offerta, pertanto ha definito la co­incidenza tra ambiti dei PdZ e distretti socio-sanitari, lasciando tuttavia aperta la facoltà di due o più distretti di una stessa ASL di associarsi per dare vita a un unico Piano di Zona.

Tale facoltà può essere esercitata so­lo in presenza di particolari condizioni, una delle quali riguarda il sottodimen­sionamento del territorio.

Ciò in coerenza con il Piano Socio Sanitario 2002-2004, che stabilisce che la dimensione di un distretto debba considerarsi ottimale nel caso in cui questo comprenda circa 100mila abi­tanti. Pertanto, distretti sottodimensio­nati rispetto a tale volume di popola­zione hanno la facoltà di aggregarsi per l’attuazione del Piano di Zona in un unico ambito comprendentetutti i co­

muni appartenenti ai distretti associati. In Lombardia ciò ha dato origine,

nella prima stagione dei Piani di Zona, alla nascita di 98 ambiti distrettuali. Di questi solo due hanno avuto origine dal-la fusione di più distretti, gli altri hanno ricalcato la localizzazione dei distretti so­ciosanitari. Inoltre 4 distretti sono risul­tati di tipo mono-comunale.

Nella programmazione del triennio 2006-2008 questa dimensione territoriale ha subito modifiche solo in due ambiti, per cui a oggi la situazione è quella ri­portata nello schema visibile a pagina 9.

La definizione dell’ambito distret­tuale è particolarmente importante in quanto costituisce il primo passo verso l’elaborazione di un Piano di Zona. Rappresenta, cioè, il livello territoriale ritenuto adeguato, per una programma­zione e, in seguito, una gestione dei servizi il più funzionale possibile.

Gli obiettivi Il Piano di Zona altro non è che lo

strumento attraverso cui vengono defi­niti, progettati e realizzati gli interventi che compongono l’offerta complessiva dei servizi socio-assistenziali forniti dai soggetti pubblici, privati e del privato sociale.

Due i principali obiettivi cui è fina­lizzata l’attività dei Piani di Zona.

Il primo riguarda lo sviluppo di in­terventi volti al mantenimento a domici­lio dei soggetti fragili attraverso l’utiliz­zo dei titoli sociali. In particolare i “buo­

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TIPOLOGIE DEI PIANI DEFINITI per il triennio 2006-2008

TIPOLOGIE N.PdZ INDIVIDUAZIONE DIMENSIONE

DISTRETTUALE (2) SUB SOGLIA

<100.000 abitanti SOPRA SOGLIA

=>100.000 abitanti

Piani pluridistrettuali (1) 1 1 PdZ di 2 distretti (Vimercate e Trezzo D’Adda

1

Piani monodistrettuali

Mono comunali 3

Milano Busto Arsizio Campione D’Italia

1

1

1

Pluri comunali 94 Tutti gli altri 65 29

Totale PdZ definiti nei 101 distretti sociosanitari

98 67 31

101 76 25

(1) Indicazione Circ. 7/2002 e circ.34/2005 (2) Indicazione PSSR 2002-2004: distretto almeno 100. ab.

ni sociali”, intesi come erogazione di un contributo economico atto a sostenere l’impegno diretto dei familiari o le spe­se sostenute per l’assistenza resa da per­sonale non professionale o, ancora, dal-le reti di solidarietà per l’accudimento di un proprio congiunto in condizione di fragilità. E i “Voucher sociali”, il mezzo, cioè, attraverso cui è possibile acquista­re prestazioni sociali erogate da parte di operatori professionali.

Entrambi i titoli devono essere in­seriti in un progetto “personalizzato”, definito congiuntamente tra il servizio sociale e il richiedente o i familiari. È bene ricordare che tali strumenti devo­no essere gestiti, in forma associata, tra

tutti i comuni delllo stesso ambito. Il secondo obiettivo del Piano di

Zona riguarda la razionalizzazione dei servizi già esistenti e, nello stesso tem­po, lo sviluppo di quelli definiti dalla stessa L. 328/00 come “configurazione minima della rete dei servizi”, ossia quei servizi che devono essere assicurati a li­vello di ciascun ambito distrettuale.

Nella programmazione del 2° trien­nio, avviata nel 2006 e attualmente in atto, tali obiettivi sono stati confermati quali punti di forza rispetto al sistema di risposta ai bisogni dei cittadini, integra-ti da tre obiettivi che potremmo defini­re “di sistema”: l’attivazione di forme di gestione associata, la costituzione di un

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tavolo di rappresentanza del Terzo Settore; la costituzione di un fondo di solidarietà tra comuni associati.

Alla base, un accordo Le diverse amministrazioni coinvol­

te nell’attuazione del Piano coordinano i rispettivi interventi per il raggiungi­mento degli obiettivi comuni attraverso quello che viene definito “Accordo di Programma”. Le parti determinano, in questo modo, il ruolo e gli impegni di ogni soggetto, i sistemi di regolazione interna delle relazioni reciproche, i tem­pi, il finanziamento e gli adempimenti necessari alla realizzazione degli obiet­tivi. Attraverso l’Accordo di Programma, dunque, i Comuni dell’ambito distret­tuale si dotano della configurazione ne­cessaria e sufficiente per la gestione del­le funzioni di loro competenza nell’at­tuazione del Piano di Zona.

Nell’accordo di programma viene inoltre indicato l’Ente capofila del Piano di Zona, espressamente individuato e designato da parte dell’assemblea dei sindaci del Piano di Zona e che assume l’iniziativa per la conclusione e attuazio­ne dell’accordo di programma ai sensi dell’art. 34 L. 262/00. All’ente Capofila dell’accordo di programma per l’attua­zione del Piano di Zona vengono con­ferite le risorse necessarie alla realizza­zione delle attività previste dal piano di zona e al funzionamento delle struttura tecnico organizzativa (Ufficio di Piano).

L’Ente Capofila ha il dovere di ren­

dere conto agli enti sottoscrittori dello stato di avanzamento dell’attuazione del Piano e dell’utilizzo delle risorse. Perché sia garantita la costruzione di una rete dei servizi e degli interventi sociali che sia integrata, l’accordo di programma deve essere acquisito con consenso unanime da tutti i comuni dell’ambito distrettuale e sottoscritto da tutti i loro rappresentanti (soggetti isti­tuzionali del territorio ai sensi del­l’art.34 del DLgs. 267 del 2000).

Il Terzo Settore Un discorso a parte va invece fatto

per i soggetti non istituzionali, quelli cioè appartenenti al cosiddetto “Terzo Settore”. A riguardo, è la stessa L. 328/00 a esprimere la necessità di favo­rire e coinvolgere, anche nella fase di progettazione, tutti i soggetti attivi in grado di dare apporti in tal senso.

In particolare l’articolo 19, comma 3, stabilisce che i soggetti del Terzo Settore partecipino all’Accordo di Programma in qualità di aderenti o sot­toscrittori, attraverso il concorso di ri­sorse proprie per la realizzazione del si­stema integrato di interventi e servizi sociali previsto nel Piano.

Perché sia poi assicurato un adegua­to coordinamento delle risorse umane e finanziarie, sono state messe in atto al­cune strategie per favorire la partecipa­zione dei destinatari, l’approfondimento degli aspetti gestionali, i rapporti con il Terzo Settore, l’associazionismo e l’inte­

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grazione all’interno delle varie istituzioni. È in quest’ottica che sono stati isti­

tuiti i Tavoli tecnici, principali strumen­ti della programmazione locale, ma non solo. Data la particolare importanza at­tribuita al Terzo Settore, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza dei biso­gni locali e delle risorse, potenzialmen­te attivabili per integrare l’offerta dei servizi, è stato inoltre previsto, quale obiettivo del 2° triennio, la costituzione di un Tavolo di Rappresentanza.

Il Terzo Settore è un soggetto parti­colarmente prezioso all’interno del pro­cesso di programmazione, non solo per un contributo di tipo gestionale in qua­lità di produttore ed erogatore di servi­zi, ma anche in quanto soggetto attivo «di partecipazione al governo del siste­ma», nelle sue fasi di progettazione, rea­lizzazione e valutazione.

L’ASL Se i Comuni sono i protagonisti dei

Piani di Zona, l’ASL ne è un altro im­portante attore, con un ruolo che nel tempo si è andato sempre più affer­mando, rispetto ai Piani di Zona, nella direzione di “presidio” del territorio lo­cale, in un delicato, quanto significati­vo, equilibrio giocato nel rispetto delle autonomie dei Comuni.

L’ASL ha il compito di verificare che sia garantita la coerenza con le indicazioni regionali, assegna le ri­sorse attribuite dalla Regione agli am­biti distrettuali e può, inoltre, sotto­

scrivere gli accordi di programma. L’ASL deve altresì assicurare l’inte­

grazione sociale con il socio sanitario e il sanitario ed è pertanto fondamentale che curi la coerenza degli atti di pro­grammazione di sua competenza con quelli che rientrano nei Piani di Zona.

All’ASL è richiesta la capacità di an-dare oltre i confini aziendali per interagi­re con il territorio individuandone esi­genze e risorse; questa è un’altra caratte­ristica che l’ASL deve saper sviluppare per poter effettivamente esercitare il ruo­lo di antenna del mutamento sociale, co­struendo, attraverso meccanismi parteci­pativi, un modello di sviluppo “sosteni­bile” rispetto ai bisogni della persona.

Le Province La L. 328/00, all’art. 7 indica che le

Province concorrono alla programma­zione del sistema integrato di interventi e servizi sociali “per i compiti previsti dall’art. 15 della legge n. 142/90, non­ché dall’art. 132 del decreto legislativo n. 112/98, secondo le modalità definite dalle regioni”.

In via generale, all’interno di questi limiti e alla luce di alcune esperienze condotte in fase di definizione dei Piani, la Regione, richiamato anche l’art. 4 comma 20 l.r. 1/2000, ha individuato al­cune funzioni che gli ambiti distrettuali, in base a proprie scelte, possono con­ferire alle Province: collaborazione per la costruzione e l’organizzazione di un sistema informativo dei servizi sociali fi­

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nalizzato a migliorare la conoscenza dei fenomeni che necessitano di protezione sociale e a monitorare gli impatti del nuovo sistema di welfare; partecipazio­ne, con un ruolo di “facilitatore” a in­contri interdistrettuali sul tema dei criteri di accreditamento ai soggetti erogatori di prestazioni; supporto, relativamente agli interventi formativi, agli operatori coin­volti nel processo di gestione dei PdZ.

In generale, le indicazioni regionali hanno espresso la volontà di lasciare a li­vello locale la decisione rispetto a quale ruolo richiedere alle province, nel rispet­to sia della valorizzazione delle risorse che tale Ente può mettere a disposizione, sia dei limiti comunque imposti dalla le­gislazione che attribuisce la titolarità del-la governance del sistema ai Comuni.

Welfare oggi L’enorme salto di qualità del siste­

ma lombardo è costituito essenzialmen­te dal principio di libera scelta del citta­dino nell’individuazione del soggetto erogatore dei servizi, un principio che si fonda sul principio di accreditamento e che si basa sull’affiancamento dello strumento dei titoli sociali a quello dei servizi consolidati. È un sistema che ri­chiede capacità professionali nuove e nuova capacità di mettersi in gioco da parte dei soggetti erogatori nell’ambito della voucherizzazione.

Alla fine della prima triennalità, al­l’interno del sistema “titoli sociali”, a es-sere stati maggiormente sviluppati sono

stati i buoni sociali, che risultavano atti­vati in pressoché tutti i gli ambiti di­strettuali ed erogati alle fasce più debo­li, in particolare anziani, disabili e mi­nori. Sia pure con maggior lentezza, de­terminata anche dalla maggior comples­sità organizzativa, anche la distribuzio­ne di Voucher sociali ha registrato risul­tati positivi.

Attivati a fine 2005 in 40 ambiti di­strettuali, passati a 50 già nel 2006, i Voucher sono stati erogati per lo più per l’acquisto di prestazioni di assistenza do­miciliare, con una tendenza all’amplia­mento anche rispetto al fronte educativo.

Ciò in coerenza con la circolare re­gionale n. 6 del 2004 “Indicazioni per l’attivazione e l’erogazione dei Buoni Sociali e dei Voucher Sociali”, che pre­vedeva la possibilità di utilizzare i Voucher Sociali per interventi sia di tipo assistenziale, sia di tipo educativo, non escludendo la possibilità, previa valuta­zione da parte servizi competenti, di erogare il Voucher anche in presenza di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, con l’implicito messaggio di un rinforzo delle capacità genitoriali.

Per quanto riguarda invece lo svi­luppo di servizi, grande impulso ha avuto nel primo triennio la diffusione del segretariato sociale e del servizio so­ciale professionale: aspetto fondamen­tale se si considera tale servizio come luogo privilegiato per l’espressione del-la domanda e per la formulazione di un progetto di intervento.

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P I A N I D I Z O N A

IL SISTEMA DI GOVERNO DELLA RETE LOCALE

La governance dei Piani di Zona

Riportiamo, quale esempio di prassi attuativa dei contenuti maggiormente innovativi presenti nella riforma dei servizi sociali delineata dalla L 328/00,

un’analisi degli elementi costitutivi il processo di governo (governance) della rete locale “dei servizi e interventi sociali” (Piani di Zona).

La trattazione si riferisce in gran parte alle esperienze sviluppate sul territoriodella Regione Lombardia. Si ritiene che tale esperienza possa proporsi

come paradigmatica in quanto ha visto il coinvolgimento di 1.546 comuni (il 20% circa dei comuni italiani), associati in ambiti territoriali coincidenti con

distretti sociosanitari definiti dalla l. r 31/97, dando vita a 98 Piani di Zona.

Significato di “Governance” ha assunto due ulteriori accezioni, La parola inglese governance è entrambe distinte da “guida” o “con­

stata per lungo tempo equiparata a duzione politica”. governing, l’elemento processuale La specificazione di questi diver-del governare, rappresentando così si significati non solo è importante la prospettiva complementare rispet- per evitare incomprensioni e frain­to a quella istituzionale negli studi tendimenti; ma anche perché un mu­dedicati al governo. tamento semantico riflette spesso un

In altre parole, governance viene mutamento di percezione, sia che utilizzato approssimativamente quale quest’ultimo a sua volta rifletta o me­sinonimo del concetto tedesco di no cambiamenti nella realtà. politischeSteuerung, ovvero “direzio- Attualmente si ricorre al termine ne politica” (R. Mayntz, 1999). governance soprattutto per indicare

Il termine governance di recente uno stile di governo, distinto dal mo­

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dello del controllo gerarchico e ca­ratterizzato da un maggiore grado di cooperazione e dall’interazione tra l’ente pubblico (Stato, Regione, ente locale) e altri attori all’interno di reti decisionali miste pubblico privato.

Il secondo «nuovo» significato at­tribuito al concetto di governance è invece molto più generale e vanta una diversa genealogia. Governance indica in questo secondo caso mo­dalità distinte di coordinamento del­le azioni individuali, intese come for­me primarie di costruzione dell’ordi­ne sociale. Questo uso del termine deriva da studi di teoria economica dei costi di transazione, in particola­re dell’analisi del mercato e della ge­rarchia quali forme alternative di or­ganizzazione economica. Vari studio-si hanno “allargato” tali categorie in­cludendo altre forme di ordine so­ciale: i clan, le associazioni e so­prattutto le reti (Hollingsworth e Tindberg 1985; Powell 1990).

La «scoperta» di forme di coordi­namento diverse non solo dalla ge­rarchia, ma anche dal mercato stret­tamente inteso ha indotto l’uso gene­ralizzato del termine governance per indicare qualsiasi forma di coordina­mento sociale non solo nell’econo­mia ma anche in altri ambiti.

In entrambe tali accezioni il ter­mine anglosassone appare partico­larmente utile e appropriato per rap­presentare i “processi” attraverso cui

viene governata la definizione e l’at­tuazione dei Piani di Zona.

Alla luce delle diverse esperien­ze realizzate in attuazione della L. 328/00 possiamo affermare che il si­stema di governance dei Piani di Zona possa in sostanza essere iden­tificato dai seguenti elementi:

● un organo politico di gover­no del settore;

● un territorio di riferimento; ● un organizzazione di sup­

porto tecnico ed esecutivo; ● la definizione delle modalità

di gestione dei servizi; ● la definizione dei percorsi e

dei metodi collaborativi con i vari enti pubblici e privati al fine della definizione e della gestione del Piano di Zona o di parti di esso.

Il governo politico del PdZ In Lombardia l’organo di gover­

no politico del Pdz è stato identifica­to nell’Assemblea di rappresentanza dei sindaci di distretto (in altre re­gioni denominata “comitato” o Conferenza di Zona). Tale organo di rappresentanza politica è composto dai sindaci (o dagli assessori da essi delegati) dei Comuni dell’ambito ter­ritoriale preventivamente identificato per la realizzazione e la gestione del Piano sociale di Zona.

In alcune esperienze ai sindaci si aggiunge anche il direttore del di­stretto sanitario o il direttore genera­

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le dell’ASL, i rappresentanti delle or­ganizzazioni sindacali e dei soggetti del Terzo Settore.

Le funzioni delle Assemblee dei Sindaci sono sostanzialmente simili in tutte le regioni; a esse spetta l’e­sercizio della funzione di governo territoriale nel settore sociale e so­ciosanitario con l’approvazione dei Piani sociali di Zona e dei program-mi delle attività territoriali di distret­to sociosanitario (PAT).

In genere, l’Assemblea dei sinda­ci è il soggetto politico di riferimen­to ed è l’organo deputato a:

● Svolgere un attività di indi­rizzo relativamente alla programma­zione, verifica e controllo in ordine all’impostazione e alla gestione del sistema di servizi sociali;

● elaborare le linee guida del­le politiche sociali che saranno rea­lizzate all’interno dell’ambito territo­riale di riferimento attraverso l’indivi­duazione degli obiettivi di piano;

● emanare indirizzi circa l’isti­tuzione di nuove unità di offerta, ser­vizi o forme di intervento da gestire in forma associata;

● dibattere e recepire indica­zioni e orientamenti sugli indirizzi delle politiche sociali locali attraver­so il confronto con le rappresentan­ze organizzate delle forze sociali e del Terzo Settore;

● definire le modalità istituzio­nali e le forme di organizzazione ge­

stionali più adatte all’organizzazione dell’ambito territoriale e della rete dei servizi e degli interventi sociali;

● nominare il suo presidente e individuare l’ente locale capofila;

● nominare gli organismi tec­nico amministrativi per la gestione dell’attuazione del Piano (Ufficio di Piano, tavoli tecnici);

● definire le forme di collabo­razione fra i comuni, soggetti del Terzo Settore e l’ASL di riferimento;

● approvare il Piano di Zona. Le assemblee dei sindaci, data la

coincidenza geografica con i distretti sanitari, esercitano anche la funzione prevista dalla rappresentanza politica di distretto sanitario, ai sensi della l.r. 31/97, integrando così le previste funzioni di indirizzo sociale, sociosa­nitario e sanitario.

Il ruolo della Provincia L’art. 7 della L. 328/00 assegna

alla Provincia compiti sussidiari o strumentali all’esercizio di funzioni attribuite dalla legge ad altri soggetti. Le competenze delle Province previ­ste dall’art. 7 appaiono abbastanza marginali rispetto alla definizione e alla gestione del nuovo sistema di welfare locale.

Le indicazioni espresse in merito dalla Regione Lombardia hanno as­segnato alle Province funzioni di concorso alla programmazione re­gionale o di zona e di coordinamen­

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to degli interventi territoriali, oltre che di formazione professionale e di raccolta dati per l’elaborazione del sistema informativo. In qualche caso, come in Liguria e in Emilia Romagna, le Province forniscono anche assi­stenza tecnica ai Comuni.

In via generale, all’interno di questi limiti e alla luce di alcune esperienze condotte in fase di defini­zione dei Piani, si possono indivi­duare, richiamato anche l’art. 4 com­ma 20 l.r. 1/2000, alcune funzioni che potrebbero essere conferite dagli ambiti distrettuali alle Province:

● collaborazione per la costru­zione e l’organizzazione di un siste­ma informativo dei servizi sociali fi­nalizzato a migliorare la conoscenza dei fenomeni che necessitano di pro­tezione sociale e a monitorare gli im­patti del nuovo sistema di welfare;

● partecipazione, con un ruolo di “facilitatore” a incontri interdistret­tuali sul tema dei criteri di accredita­mento ai soggetti erogatori di presta­zioni;

● supporto, relativamente agli interventi formativi, all’Ufficio per la gestione di Piano e gli operatori coin­volti nel processo di gestione dei PdZ.

Gli ambiti territoriali In applicazione della L. 328/00,

le Regioni che hanno avviato il pro­cesso definizione dei Piani di Zona hanno provveduto a ripartire il terri­

torio regionale in ambiti ter­ritoriali/zone per la gestione dei ser­vizi sociali. Tali ambiti, presentano, nella maggior parte delle esperienze, una dimensione sovracomunale, con l’eccezione di alcune città medio­grandi dove gli ambiti del Piano di Zona e del distretto sociosanitario coincidono con il territorio comuna­le o, più raramente, più ambiti per una sola grande città.

Per favorire la programmazione e l’integrazione socio sanitaria e per evitare il proliferare di organismi, la maggior parte delle Regioni ha pre­visto ambiti territoriali che coincido­no con i distretti sanitari o loro mul­tipli. Sulla scorta delle esperienze realizzate è stato possibile individua­re alcuni “criteri generali” che posso­no contribuire a identificare ambiti territoriali dalle caratteristiche il piu possibile omogenee; se ne citano al­cuni a titolo di esempio: a) l’assetto geo-oro-morfologico del territorio; b) l’affinità di bisogni; c) possibilità di utilizzo di risorse e servizi territo­riali comuni; d) efficienza del sistema dei trasporti; e) accesso facilitato ai servizi; f) pregresse esperienze pro­gettuali integrate. Una variabile non secondaria nella determinazione de­gli ambiti riguarda le dimensioni del-la popolazione

A livello nazionale è possibile ri­scontrare che le medie degli ambiti sono molto diverse da una Regione

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all’altra. Agli estremi troviamo il Lazio, con oltre 130mila abitanti e la Valle d’Aosta, con circa 30mila.

Tra le Regioni in cui è stato in­trodotto il processo di definizione dei Piani di Zona la media delle di­mensioni per abitante dell’ambito territoriale/zona è di circa 80mila abitanti.

Ovviamente sulla determinazio­ne di tali dimensioni influiscono ele­menti quali: la coincidenza con il ter­ritorio del distretto sociosanitario, la collocazione geografica (rurale o ur­bana), ecc.

Va ricordato che autorevoli studi tendono a identificare una dimensio­ne ottimale per realizzare economie di scala e ottimizzare l’efficienza dei processi gestionali in ambito sociosa­nitario e sociale in ambiti che copro­no una popolazione di circa 100mila abitanti, anche se è chiaro che la di­mensione di popolazione non può costituire l’unico criterio per la deter­minazione dell’ambito.

L’Ufficio di Piano La maggioranza delle Regioni ha

previsto, nell’ambito delle indicazio­ni fornite agli enti locali per la co­struzione e l’attuazione dei Piani di Zona, l’opportunità di sostenere l’a­zione programmatorio-gestionale connessa al Piano di Zona attraverso la costituzione e l’organizzazione di un organismo tecnico rappresentati­

vo di tutti i comuni dell’ambito terri­toriale che funzionasse da supporto tecnico all’organismo di rappresen­tanza politica e svolgesse un ruolo di collegamento/coordinamento con quest’ultimo e con altri organismi a carattere tecnico o di rappresentanza (es. tavoli del Terzo settore).

Molte Regioni (Marche, Umbria, Abruzzo, Campania, Lombardia, Basilicata, Sicilia e Lazio) hanno chiamato tale organismo “Ufficio di Piano” o “Gruppo di Piano” o “Struttura del piano”.

Per quel che riguarda le compe­tenze, all’Ufficio di Piano sono in ge­nere assegnate le funzioni relative:

● alla cura della stesura e del­l’aggiornamento del Piano di Zona;

● alla diffusione delle informa­zioni sulle iniziative e sulle modalità di partecipazione e realizzazione dei progetti;

● al supporto tecnico e meto­dologico per la realizzazione degli obiettivi e delle azioni definite nel PdZ;

● alla predisposizione di stru­menti di monitoraggio, verifica e va­lutazione delle singole azioni proget­tuali, dei servizi e degli interventi.

Accanto a tali funzioni di natura piu propriamente tecnica è possibile individuare l’attribuzione a tale orga­nismo di competenze di tipo ammini­strativo-burocratico quali, ad esempio:

● la predisposizione di atti per

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l’organizzazione/gestione dei servizi previsti dal PdZ;

● la predisposizione di atti fi­nanziari (impegno, liquidazione, ren­diconto) e la gestione economi­co/contabile dell’attuazione del pia­no;

● la predisposizione degli arti­colati dei protocolli di intesa/con­venzioni/bandi, ecc.;

● la raccolta delle informazio­ni e dei dati, predisposizione rendi­contazione, ecc.

In molti casi l’Ufficio di Piano è affiancato e supportato da uno o più tavoli tecnici con funzione di analisi e progettazione tecnica delle soluzioni alle problematiche sociali identificate nel territorio.

Particolarmente significativa ri­sulta la partecipazione di rappresen­tanze dei soggetti del Terzo Settore alle strutture tecniche.

Le funzioni individuate sono le seguenti:

● raccordo tra le singole am­ministrazioni comunali e l’Ufficio del Piano per la definizione, elaborazio­ne e attuazione degli obiettivi e del­le azioni di sistema contenute nel PdZ;

● consulenza tecnico profes­sionale nelle aree di interventi indi­viduate dal Piano (famiglia minori, disabili, anziani, emarginazione-di­pendenza);

● monitoraggio e riprogram­

mazione delle attività volte all’attua­zione degli obiettivi indicati nel Piano di Zona, in collaborazione con l’Ufficio di Piano e con i rappresen­tanti del Terzo Settore;

● partecipazione alla realizza­zione associata degli obiettivi e delle azioni di sistema individuate dal Piano, in collaborazione con l’Ufficio di Piano e con i rappresentanti del Terzo Settore.

Organismi di rappresentanza del Terzo Settore Non è possibile parlare di gover­

nance secondo le definizioni date, senza tenere conto del ruolo del Terzo Settore e delle forme della sua partecipazione a tutto il processo di governo del nuovo sistema dei servi­zi e degli interventi sociali.

La partecipazione del Terzo Settore nello spirito della L. 328 su­pera la tradizionale forma dell’affida­mento o convenzionamento per la gestione di servizi e assume un vero e proprio significato di partnership con l’ente pubblico per la definizio­ne del disegno complessivo del si­stema di welfare locale.

Nel corso dei processi di defini­zione dei Piani di Zona i soggetti del Terzo Settore hanno in molteplici ca­si sviluppato proprie forme di rap­presentanza (“Tavoli del Terzo Settore” e simili) che hanno trovato, con diverse modalità, collocazione

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stabile sia sui tavoli di confronto po­litico sia sui tavoli tecnici.

L’individuazione di modalità di coinvolgimento del Terzo Settore nella programmazione zonale, ri­sponde sia alla domanda crescente di partecipazione da parte dei sog­getti del territorio, sia alla volontà politica di dare corso a quanto pre­visto nella L. 328 e nelle diverse li­nee guida regionali in termini di co­involgimento e partecipazione. Di fronte all’esigenza e alla volontà di avviare un percorso di partecipazio­ne, si delineano però alcune criticità:

● l’innovatività del tema: non c’è una tradizione consolidata in tal senso. Non esistono cioè metodi e strumenti, per favorire la partecipa­zione, validi a prescindere dal conte­sto nel quale vanno a operare;

● l’esperienza insegna che nel mondo variegato del Terzo Settore è difficile individuare rappresentanze;

● ciascun soggetto è portatore di percezioni cognitive differenti ri­spetto al perché partecipare e questo crea inizialmente aspettative che se non chiarite fin da subito ostacolano il percorso di partecipazione;

● il timore che prevalgano so­lo i soggetti più forti e abituati al gio­co istituzionale e con un rapporto con gli Enti locali;

● un percorso di coinvolgi­mento necessita di competenze che non “si trovano sui libri”, di continue

ridefinizioni del percorso, di atten­zioni specifiche, di un “saper fare” che è patrimonio dell’esperienza.

Che tipo di partecipazione? Posto che sul territorio si regi­

strano intenzioni da parte sia dei re­ferenti politici che dei soggetti del Terzo Settore a “partecipare”, che ti­po di percorso partecipativo è possi­bile strutturare? Con quali finalità? Che valore dare al confronto con soggetti terzi? Secondo quanto ripor­tato in letteratura si possono indivi­duare tre modelli di partecipazione, a seconda del momento in cui si apre il processo a soggetti terzi e a chi coinvolgere:

● relazioni pubbliche: il coin­volgimento avviene dopo che la de­cisione è stata presa. L’obiettivo è di informare l’opinione pubblica e gli altri attori delle scelte fatte;

● consultazione: avviene nel momento in cui si definiscono le so­luzioni per cercare adeguamenti che tengano conto dell’opinione di altri soggetti. In questo caso gli attori co­involti sono i soggetti che esprimono un interesse rispetto alla soluzione proposta;

● partecipazione: che avviene fin dalla fase iniziale del processo decisionale, quando si deve definire il problema prima ancora che ricer-care soluzioni. L’obiettivo in questo caso è di definire le regole del gioco,

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Obiettivo Modalità N. incontri Funzione di coordinam.

Competenze necessarie

Tempi

Relazioni pubbliche

Informare Comuni­cazione

Unico Bassa Capacità di parlare in pubblico

Brevi

Consulta­zione

Co-definire le soluzioni

Metodi di consultazione (interviste, questionari, incontri,...)

Definito a priori

Media Capacità negoziali, competenze tecniche di uso degli strumenti

Medi

Parteci­pazione

Co-definire le regole e i problemi da affrontare

Gruppi di lavoro

Si definisce in corso d’opera

Alta Conduzione di gruppi di lavoro, capacità negoziali, competenze tecniche di uso degli strumenti

Lunghi

Le implicazioni operative dei modelli di partecipazione

di co-definire i problemi e quindi le soluzioni più efficaci per affrontarlo. In questo caso gli attori coinvolti so-no i soggetti che esprimono un inte­resse rispetto al problema sollevato.

Ciascuno di questi tre modi ha implicazioni sul piano operativo, in termini di competenze, impegno e modalità (come sintetizzato nella ta­bella qui sopra riprodotta).

Le esperienze trascorse insegna­no che la scelta del modello di co­involgimento dipende in primo luo­

go dal contesto e dai contenuti del processo decisionale. Il campo del­le politiche sociali, caratterizzato dalla presenza di un numero eleva­to di potenziali attori interessati, dalla percezione differente che cia­scuno ha del tema in discussione, suggerisce un processo di lungo pe­riodo, in grado di aprire momenti di confronto sul metodo (come con­frontarsi fra soggetti portatori di istanze, responsabilità, esperienze diverse) e sul merito (che cosa fare

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sul tema degli anziani, dei minori, dei portatori di handicap, per mi­gliorare il territorio,...).

Ma allora, quale percorso? Per le ragioni sopra riportate

(presenza di un numero elevato di potenziali attori con un interesse specifico, necessità di trovare un ac­cordo sulla definizione dei problemi del territorio prima ancora della ri­cerca di soluzioni) è quindi opportu­no che a livello locale si avvii un percorso di partecipazione non tanto (e non solo) mirato alla definizione del Piano di Zona, quanto alla co­struzione del sistema integrato dei servizi sociali. In questa accezione, l’attività di coinvolgimento e parteci­pazione:

● comincia con il percorso già avviato di definizione del Piano di Zona;

● non si conclude con la pre­sentazione del Piano all’ASL;

● prosegue secondo modalità e metodi che dovranno essere stabi­liti nel periodo di vigenza del Piano;

● su temi e priorità individuati nel Piano di Zona.

La formalizzazione della partecipazione al PdZ Assunto che l’accordo di pro­

gramma è lo strumento giuridico che dà attuazione al Piano, la scelta ope­rata dalla Regione Lombardia di di­

stinguere tra “soggetti sottoscrittori”, identificandoli tra i soggetti istituzio­nali ai sensi dell’art. 34 del Dlgs 267/00, e “soggetti aderenti”, identifi­cati soprattutto tra i soggetti del Terzo Settore, rispecchia nei fatti l’e­voluzione della dottrina relativa a questo strumento giuridico, previsto inizialmente per favorire l’azione in­tegrata e coordinata di soggetti pub­blici.

La legislazione di settore, sia a li­vello nazionale sia regionale, ha spesso richiamato gli accordi di pro­gramma derogando alla disciplina originaria consentendo la partecipa­zione di privati.

La partecipazione per i soggetti privati del Terzo Settore all’accordo di programma mediante adesione trova riscontro nella recente normati­va regionale sulla programmazione negoziata (Lombardia l.r. 2/2003) che prevede la possibilità per i pri­vati di presentare istanza di adesione all’Accordo di Programma corredan­dola con una proposta che specifichi gli impegni da essa derivanti.

Sulla scorta di tale orientamento “l’adesione” al PdZ per i soggetti di Terzo Settore non rimane una mera e formale espressione di condivisione di finalità, obiettivi e processi ma di­viene occasione di una reale part­nership (in termini di parità e reci­procità) con l’ente pubblico.

In estensione al meccanismo di

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adesione, la circolare n. 34/2005 ha previsto anche la possibilità per i soggetti del Terzo Settore di sotto­scrivere l’accordo di programma a fronte del concorso con proprie ri­sorse alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi socia­li previsto nel Piano. Ovviamente il ruolo del Terzo Settore nella veste di gestore/erogatore di servizi e presta­zioni resta regolato dalle consuete procedure di affidamento/accredita­mento.

Le forme di gestione Attraverso l’accordo di program­

ma i Comuni dell’ambito territoriale dotano della configurazione necessa­ria e sufficiente per la gestione delle funzioni di loro competenza nell’at­tuazione del Pdz ed eventualmente possono scegliere una delle diverse forme di gestione associata previste dalla legislazione vigente per la ge­stione del Pdz.

Infatti, superata la fase della pia­nificazione dei servizi si pone con forza il problema di chi può gestire una rete di servizi sociali intercomu­nali. Una difficoltà in tal senso deri­va dal fatto che l’Assemblea dei Sindaci, non avendo uno status giu­ridico riconosciuto ma solo politico, non ha alcuna competenza gestiona­le e quindi non può gestire diretta­mente il Piano sociale di Zona.

Per questo occorre pensare alla

struttura che può affrontare la fase gestionale del Piano sociale di Zona.

La maggior parte delle Regioni prevede genericamente una gestio-ne associata intercomunale dei ser­vizi sociali secondo le modalità del Testo unico degli enti locali (Dlgs. 267/00) lasciando ai Comuni la pos­sibilità di scegliere quella più adatta alle proprie caratteristiche e al pro­prio contesto.

Citiamo ad esempio le forme di gestione associata tra le più praticate:

● la convenzione (fra enti lo­cali, al fine di svolgere in modo co­ordinato funzioni e servizi determi­nati);

● il consorzio (fra enti locali, per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di fun­zioni);

● l’unione di Comuni (sono enti locali costituiti da due o più Comuni, di norma contermini allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro com­petenza);

● l’accordo di programma (per la definizione di interventi che ri­chiedono per la loro completa realiz­zazione dell’azione integrata e coor­dinata di comuni e altri enti pubbli­ci) strumento privilegiato dalle indi­cazioni della L. 328/00;

● l’esercizio associato di fun­zioni e servizi negli ambiti e nei set-tori stabiliti dalla Regione soprattutto

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nei Comuni di piccole dimensioni. Una volta stabilita la modalità di

gestione associata dei servizi sociali, gli enti locali devono stabilire le for­me di gestione da utilizzare e cioè a quale ente o strumento affidare la ge­stione.

Anche in questo caso le varie Regioni hanno stabilito che spetta agli enti locali dell’ambito territoriale individuare “le modalità organizzati­ve dei servizi” esprimendo in qualche caso delle semplici preferenze.

Dal punto di vista giuridico i ser­vizi pubblici locali vengono distinti in servizi a valenza imprenditoriale (servizi per i quali i costi di produ­zione sono coperti dai ricavi deri­vanti dalla cessione dei servizi) e ser­vizi senza valenza imprenditoriale.

I servizi sociali risultano inclusi in questa seconda categoria e per es-si è esplicitamente prevista, almeno in linea teorica solo la forma dell’Istituzione ai sensi dell’art. 114 D.lgs. 267/00.

È prassi consolidata, però, che per la gestione dei servizi sociali possono essere adottate anche altre forme, come quella del consorzio e della società (Srl e Spa) a prevalente capitale pubblico. Non a caso si so-no già sviluppate in Italia numerose esperienze di consorzi intercomunali per la gestione dei servizi sociali e, in qualche più raro caso, anche altre forme come le aziende speciali, le

società di capitale e le fondazioni di partecipazione.

La situazione è tale che perman­gono ampie possibilità di scelta per gli enti locali ma quali sono le caratteri­stiche delle varie modalità gestionali? Per quale motivo scegliere l’una o l’al­tra? È possibile affermare che la forma gestionale più adatta deve gestire ser­vizi sociali per conto di più Comuni, mantenendo però in capo agli stessi un potere di indirizzo politico e di controllo diretto e importante.

Attualmente, la forma gestionale più diffusa per la gestione interco­munale del servizi sociali, dopo gli accordi e le convenzioni, appare es-sere il consorzio intercomunale. La forma gestionale del consorzio ga­rantisce l’omogeneità di intervento sul territorio di riferimento, mantiene in capo ai Comuni il potere di indi­rizzo politico dell’ente (strumentale) ed è caratterizzata dall’ampliamento del bacino di utenza che consente di ottenere delle economie di scala non conseguibili a livello comunale.

Naturalmente la forma di gestio-ne ottimale e valida per ogni realtà non esiste. Esistono necessità, storie, caratteristiche particolari di cui oc­corre, localmente, tener conto. Ogni territorio con i tempi e le modalità che riterrà più opportuni saprà tro­vare la strada condivisa che saprà meglio interpretare la storia e le esi­genze di quella comunità.

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I TITOLI SOCIALI

L’esperienzadella Lombardia

Di seguito viene riportato il modello definito per l’erogazione dei titoli sociali, quale nuovo strumento di intervento del welfare lombardo.

In Lombardia, sin dalla fine degli Anni ‘90, sono stati sperimentati local-mente (a livello di territorio di ASL) titoli per l’erogazione di prestazioni di assisten­za domiciliare integrata (ADI) di tipo sociosanitario.

Tra il 2001 e il 2002 la sperimentazio­ne ha interessato l’intero territorio regio­nale, per un totale di circa 63 miliardi di lire e per più di 9000 beneficiari.

Nel quadro della riforma sociosanita­ria e sociale avviata dalla Regione Lom­bardia, i titoli sociali si fondano su princi­pi e orientamenti che esprimono una visione del sistema di welfare che colloca al centro della propria azione la persona e i suoi diritti di cittadinanza.

Rappresentano quindi gli strumenti fondamentali allo sviluppo di un welfare locale, attento alla cura della persona in relazione alla comunità di appartenenza.

È proprio a partire dal riconoscimen­to, dalla valorizzazione e dal sostegno della capacità della comunità (sia singolo, famiglia, reti di vicinato, ecc…) di pren­dersi cura dei soggetti fragili, che ciascun sistema locale (Piano di Zona) può svi­luppare soluzioni di “quasi mercato rego­lato” attraverso la progressiva introduzio­ne dello strumento rappresentato dal Voucher.

Tutto ciò deve avvenire, ovviamente, in considerazione delle esigenze e degli assetti organizzativi ed economici di cui dispone.

Per finanziare la prima applicazione e sperimentazione dei titoli sociali, la DGR 11 novembre 2001, n. VII/7069 individua­va le risorse aggiuntive del FNPS, dando indicazione affinché fosse destinato nel triennio di attuazione del Piano di Zona il 70% delle risorse assegnate all’erogazione

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di titoli sociali, lasciando facoltà al pro­grammatore locale di raggiungere tale percentuale in maniera progressiva nel corso del triennio.

I criteri di accesso Per sviluppare le regole di accesso ai

titoli sociali per le diverse aree di bisogno, la Regione ha fissato alcuni criteri base indicando “macro parametri” quali l’età, il reddito, il livello di fragilità demandando, poi, a un processo “bottom up” l’elabora­zione di tali regole all’interno delle sedi tecnico gestionali (Tavoli tecnici, Ufficio di Piano) con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali e di Terzo Settore.

Va sottolineato che per entrambi le tipologie di titoli sociali, le indicazioni regionali individuano come fondamentale il ruolo del servizio sociale professionale, sia attraverso forme di “consulenza/orien­tamento” al cittadino riguardo alle agen­zie erogatrici di prestazione tramite servi­zi acquistabili tramite Voucher, sia attra­verso la predisposizione di programmi personalizzati, concordati con i familiari da persona interessata, sia per quanto riguarda i Voucher sia per quanto riguar­da i Buoni sociali.

Un altro elemento sottolineato rispet­to all’erogazione dei titoli riguarda la necessità di tener presente l’integrazione con altri interventi, nella logica di costru­zione dei progetti di presa in carico “glo-bale” della persona.

A tal fine, è stata sollecitata l’attiva­zione di modalità di comunicazione tra

ASL (titolare dell’erogazione dei Voucher socio-sanitari) e Uffici di Piano, che con­senta di verificare se su una situazione insistono più interventi.

Attraverso, per esempio, la trasmis­sione periodica di un elenco con i dati anagrafici e il numero di tessera sanitaria dei fruitori del Voucher socio-sanitario (dall’ASL all’UdP) e dei fruitori dei Vou­cher sociale (da UdP all’ASL).

Il processo di attivazione e di “regia” nell’erogazione dei titoli sociali è indivi­duato in capo all’Ufficio di Piano che può articolarsi operativamente secondo le caratteristiche del territorio e secondo gli assetti organizzativi previsti dal Piano di Zona.

Definizione e applicabilità ● Buono Sociale Come già ricordato, il Buono mira al

sostegno dei familiari, direttamente o attraverso assistenti familiari (le cosiddet­te “badanti”), o di appartenenti alle reti di solidarietà, nell’accudire, in maniera con­tinuativa, un proprio congiunto in condi­zione di fragilità.

Ma non solo. Il buono può anche essere orientato a soddisfare i bisogni di soggetti in condizioni di fragilità sociale nell’ambito di progetti individualizzati, definiti con il servizio sociale professiona­le dei Comuni.

Sulla base di tali considerazioni è dunque da ritenersi improprio ogni uti­lizzo al di fuori di un progetto persona­lizzato.

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È altrettanto improprio utilizzarlo come contributo per l’acquisto di generi alimentari, farmaci o presidi sanitari o addirittura usufruirne per il pagamento di canoni di noleggio o l’acquisto di stru­menti e attrezzature per la mobilità dei disabili se non per certi patti di un piano d’intervento che consenta di differenziare il Buono da un generico intervento di integrazione del reddito, considerato che generici contributi economici sono già sostenuti o sostenibili attraverso altri cana­li di finanziamento.

Quello cui si sta assistendo è un orientamento ai cosiddetti “Buoni mirati” che rinforzano il contenuto progettuale dello strumento.

● Voucher sociale Il Voucher sociale è uno “strumento

economico” a sostegno della libera scelta del cittadino, per mezzo del quale è pos­sibile acquistare prestazioni sociali eroga­te da parte di operatori (caregiver) pro­fessionali. Tale strumento è finalizzato a sostenere il mantenimento al domicilio di soggetti fragili individuati dagli artt. 15 e 16, comma 3, lettera d) ed e) della Legge 328/00.

La configurazione attuale del sistema di servizi e interventi sociali facente capo ai Comuni (singoli e associati) della Regione Lombardia identifica il momento di organizzazione, produzione ed eroga­zione delle prestazioni sociali di tipo domiciliare, principalmente all’interno dei servizi: “SAD” (Servizio Assistenza Domi­

ciliare - anziani) “SADH” (Servizio Assi­stenza Domiciliare Disabili) “ADM” (Assi­stenza Domiciliare Minori).

Queste attività di tipo assistenzia­le/educativo, devono intendersi come rivolte direttamente alla persona e realiz­zate, professionalmente, da operatori dell’area sociale (prevalentemente ASA e Educatori Professionali).

Per quanto attiene l’ADM, non si esclude la possibilità di erogare il Voucher sociale anche in presenza di provvedi­menti da parte dell’Autorità Giudiziaria (Tribunale per i Minorenni).

Tuttavia in questi casi, stante la parti­colarità dell’applicazione degli interventi in un contesto prescrittivo, si ritiene di dover lasciare alla valutazione di ogni sin­golo caso l’opportunità di proporre alla famiglia il Voucher sociale.

Segnalando un elemento di riflessio­ne: che, in talune situazioni, tale proposta potrebbe assumere, per la famiglia, il significato di rinforzo alle funzioni genito­riali e di partecipazione attiva al processo di recupero delle capacità educative.

In ogni caso non si può però pre­scindere dai soggetti accreditati presenti sul territorio, che devono essere in grado di saper gestire correttamente sia le rela­zioni con la famiglia, sia le relazioni con i servizi sociali titolari del progetto e del rapporto con il Tribunale.

A integrazione dei servizi di assisten­za alla persona è possibile identificare altre prestazioni “complementari”, ma ugualmente finalizzate a mantenere al

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domicilio il soggetto fragile quali, ad esempio, la preparazione e somministra­zione di pasti, il servizio lavanderia, i tra­sporti anche finalizzati ad agevolare l’ac­cesso a strutture sanitarie e/o sociosanita­rie operanti in regime semiresidenziale (es. accompagnamento ai servizi di riabi­litazione).

Sempre salvaguardando il principio della valorizzazione della dimensione domiciliare (più o meno integrata nel contesto di relazioni familiari) e delle attività di tipo assistenziale/educativo rivolte direttamente alla persona, posso­no inoltre essere sperimentate forme di servizio rivolte a bisogni non codificati nei servizi citati.

Un esempio può essere costituito da Voucher finalizzati alla frequenza di mino­ri nella fascia 0-3 anni ad attività di nido famiglia/nido condominiale o a servizi di “babysitting”.

Le condizioni per l’erogazione Le disposizioni regionali prevedono

che i titoli sociali vengano sospesi al momento del ricovero definitivo del beneficiario in strutture residenziali e per il periodo di ricovero ospedaliero. Può invece essere sostenuto con il titolo sociale un ricovero di sollievo, che si pone come intervento a sostegno della finalità più generale di favorire la domi­ciliarità.

La “non sovrapponibilità” tra titoli e “ricoveri” va intesa, dunque, come non appropriatezza dell’utilizzo di Voucher

sociali per la copertura parziale o totale delle rette per servizi residenziali. È inve­ce possibile che il servizio sociale profes­sionale valuti positivamente l’opportunità di affiancare le prestazioni sociali domici­liari da acquistare attraverso il Voucher all’attivazione di percorsi in regime semi­residenziale.

Definizione dei Voucher I principali elementi per la definizio­

ne dei Voucher Sociali sono: ● criteri per la determinazione dei

diversi livelli di Voucher; ● predisposizione e approvazione

del regolamento di ambito (Piano di Zona) per i Voucher sociali;

● patto di accreditamento con i soggetti produttori di prestazioni e servizi.

Ciascun livello di Voucher sociale vie-ne determinato attraverso la descrizione e articolazione di alcune categorie minime, quali:

● destinatari (es. tipologia di uten­ti: minori, anziani, ecc…);

● contenuto (es. tipo prestazioni, copertura, ecc.);

● operatori richiesti (ASA, educa­tore…);

● valorizzazione del Voucher; ● organizzazione necessaria.

Regolamento di ambito Le indicazioni regionali per i regola­

menti di ambito per i Voucher sociali, pre­disposti da parte degli organismi tecnici e approvati dall’organismo politico, preve­

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dono che i medesimi contengano in par­ticolare i seguenti elementi:

● modalità di accesso da parte dei cittadini;

● descrizione dell’iter di erogazio­ne del Voucher, della formulazione del Piano Personalizzato di Assistenza, delle forme e degli strumenti di controllo;

● recepimento dei requisiti di accreditamento;

● strumenti di controllo; ● modalità di dimissione o

sospensione; ● modalità di remunerazione del­

l’erogatore. Il regolamento viene approvato dal-

l’Assemblea dei Sindaci secondo le pro­prie modalità.

Patto di accreditamento Il patto di accreditamento costituisce,

di fatto, il contratto tra l’ente pubblico di governo del sistema di welfare locale e i soggetti pubblici o privati produttori di prestazioni o servizi remunerate attraver­so il Voucher.

I soggetti pubblici e privati, profit e non profit, candidati all’erogazione di prestazioni di assistenza domiciliare sociale (SAD anziani, SAD disabili, ADM…) e di prestazioni domiciliari complementari (preparazione e sommi­nistrazione pasti, servizio lavanderia, tra­sporti…), ferme restando le responsabi­lità in materia di normativa del lavoro, devono essere in possesso dei seguenti requisiti minimi:

● il rappresentate legale non deve aver subito condanne penali, non deve avere procedimenti penali in corso e deve godere della pienezza dei diritti civili;

● lo scopo sociale (mission azien­dale) deve essere in linea con la specifici­tà del settore presenza della carta dei ser­vizi;

● operatività nel settore specifico da almeno due anni;

● le prestazioni professionali devono essere svolte da personale quali­ficato in relazione alla specificità delle prestazioni sociali da erogare;

● il possesso dell’idoneità profes­sionale nonché organizzativo/gestionale deve essere accertato dall’Ufficio di Piano territorialmente competente.

Questi requisiti possono essere poi ampliati nella definizione di criteri locali che ogni ambito può in autonomia appli­care per garantire livelli di qualità ade­guati delle prestazioni.

Finalità del Patto Il Patto di accreditamento lega tra

loro, in un contesto di relazione fiducia­ria, i soggetti pubblici e privati, profit e non profit che lo sottoscrivono, in quan­to attori delle prestazioni connesse al Voucher sociale. La finalità del Patto è quella principale di concorrere alla rea­lizzazione del contenuto che la relazio­ne d’aiuto con l’assistito e i suoi familia­ri comporta e garantire le prestazioni per le quali il patto è sottoscritto, rispet­tandone le condizioni.

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P I A N I D I Z O N A

Soggetti sottoscrittori Sottoscrivono il Patto: ● il responsabile - o altra figura

apicale individuata - dell’Ufficio di Piano territorialmente competente nel cui terri­torio il soggetto intende accreditarsi per lo svolgimento di prestazioni di assistenza domiciliare sociale;

● il legale rappresentante del sog­getto da accreditare.

Prima di avviare il servizio, il sogget­to accreditato porta a conoscenza della persona da assistere o, in caso d’incapaci­tà, di qualcuno dei suoi familiari, il conte­nuto del Patto affinché venga sottoscritto.

Assistenza domiciliare Il soggetto accreditato, all’atto della

presa in carico dell’assistito, si impegna a concordare con lui e con la sua famiglia le modalità di attuazione del Piano Perso­nalizzato di Assistenza formulato dal ser­vizio sociale comunale e approvato dal-l’UdP, individuando le prestazioni sociali da svolgere a domicilio mediante opera-tori dotati di effettiva competenza tecnico professionale.

La relazione d’aiuto La relazione d’aiuto fra caregiver pro­

fessionale e assistito è definita dall’affer­mazione della centralità della persona fra­gile da assistere, da considerare tanto nel­la sua dimensione personale che in quel­la derivante dal contesto familiare e socia­le di riferimento.

Tale centralità orienta sia i comporta­

menti del caregiver professionale che quelli del soggetto accreditato.

Caregiver professionale Ha i seguenti compiti: ● esercizio di effettiva competenza

e diligenza professionale nello svolgi­mento delle prestazioni;

● innalzamento e/o manteni­mento della qualità di vita individual-mente percepibile da parte della perso­na assistita;

● rispetto del credo religioso della persona assistita;

● rispetto della riservatezza rispet­to a fatti e/o circostanze di rilievo perso­nale relative alla persona assistita o ai suoi familiari;

● uno stile di lavoro funzionale alla valorizzazione di tutte le risorse rela­zionali familiari e sociali attivabili in favo­re della persona assistita;

● la disponibilità ad agevolare la persona assistita e/o i suoi familiari nell’e­sprimere la mutevolezza degli stati di bisogno.

Soggetto accreditato Caratteristiche: ● assenza di scelte gestionali e/o

di comunicazione incoerenti con la natu­ra delle prestazioni di assistenza domici­liare sociale accreditate;

● tempestiva e corretta informa­zione della persona assistita e/o dei suoi familiari sulle funzioni e sui livelli di responsabilità interni all’organizzazione

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P I A N I D I Z O N A

stessa rispetto all’attuazione dei conte­nuti del Patto.

Il soggetto accreditato è responsabi­le della qualità delle prestazioni sociali e della relazione d’aiuto poste in essere dai propri operatori incaricati.

In corrispondenza dell’avvio del ser­vizio devono pertanto essere attivati protocolli operativi, attraverso i quali consentire la periodica verifica dei livel­li di qualità di prestazioni e relazione d’aiuto resi e/o percepiti dalla persona assistita e/o dai suoi familiari.

Libertà di scelta dell’assistito La persona assistita (o uno dei suoi

familiari, se non in grado), in relazione al grado di soddisfazione nei confronti delle prestazioni ricevute, ha la facoltà di scegliere un’altra organizzazione qualora subentrino motivi di insoddi­sfazione durante l’erogazione delle pre­stazioni medesime.

È bene sottolineare che tale cam­biamento è praticabile solo a partire dal mese immediatamente successivo a quello in cui la persona assistita (o uno dei suoi familiari se non in grado) abbia revocato per iscritto la propria adesione al relativo Patto (a suo tempo sottoscritto).

Gli strumenti di verifica I soggetti accreditati devono impe­

gnarsi a compilare per ogni utente una scheda di rilevazione (es. diario giorna­liero) riferita alla tipologia degli interven­

ti, al numero degli stessi, ai tempi di ero­gazione. È compito degli UdP acquisire, quale strumento di verifica:

● i dati e le informazioni finaliz­zate alla rilevazione delle prestazioni effettuate;

● i dati relativi alla scheda di valu­tazione dei bisogni dell’utente definendo tempi e modalità di acquisizione secon­do il proprio modello organizzativo.

È bene ricordare che il Patto di accre­ditamento deve contenere la clausola cir­ca l’impegno da parte del soggetto accre­ditato ad assolvere il compito annesso alla verifica degli interventi, fornendo le infor­mazioni che saranno richieste dall’UdP.

Ma non solo, il patto deve contenere anche la procedura atta alla distribuzione, compilazione e raccolta del questionario di gradimento da parte dell’assistito e/o dei suoi familiari, in conformità con la modalità di controllo della customer sati­sfaction.

È quindi opportuno che vengano predisposti idonei strumenti di rilevazio­ne, in grado di fornire informazioni ela­borabili e utilizzabili ai fini dell’attività di verifica sia dell’intervento che delle modalità di erogazione.

I compiti dell’Ufficio di Piano L’Ufficio di Piano ha il diritto/dovere

di effettuare verifiche periodiche sulla compiuta attuazione, da parte delle orga­nizzazioni accreditate, dei contenuti del Patto di accreditamento e del Piano assi­stenziale.

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P I A N I D I Z O N A

STUDI E RICERCHE

Analisi dei processidi attuazione

In questa sezione sono riassunti i dati più significativi di due ricerche attivate nel periodo 2002-2005: una a inizio triennalità

e finalizzata a un’analisi comparata della programmazione espressa nei Piani di Zona, e una a fine triennio per verificare la diffusione

e le pratiche esercitate in tema di Titoli Sociali.

Analisi comparata dei processi di avvio dei Piani - Anno 2002 La ricerca, svolta da IRER in colla­

borazione con Sda Bocconi nel corso del 2003, ha avuto l’obiettivo di estra­polare alcuni aspetti relativi ai progetti di programmazione avviati con la L. 328/00. Uno dei primi campi di inda­gine presi in esame riguarda la dimen­sione dei vari aspetti del fenomeno.

I dettagli del fenomeno I soggetti coinvolti. Nella maggior parte dei casi (30%),

la stesura del Piano di Zona è stata ori­ginata da un’azione congiunta di tutti gli attori del territorio, in 16 casi su 100 i Piani hanno coinvolto solo Comuni,

ASL e Terzo Settore. Più raramente (13%), il Comune ha operato senza il coinvolgimento di alcun attore.

Un aspetto interessante riguarda la modalità attraverso cui i soggetti sono arrivati all’intesa. I più hanno raggiun­to un primo accordo confrontandosi a tavoli strategici o tematici. Il coinvolgi­mento è diventato poi più formale (ratifica o confronto con gli interlocu­tori del Comune) a mano a mano che si avvicinava la fase finale del proces­so di programmazione.

Mappatura dei bisogni. La mappatura dei bisogni verso

cui indirizzare le attività ha rappresen­tato un passaggio fondamentale nella

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stesura di molti Piani di Zona. Ciò ha dato origine a una ricomposizione da parte degli ambiti di tutti i servizi pre-senti sul territorio. Quindi: servizi comunali, ASL e quelli offerti dal Ter­zo Settore.

Accanto alla mappatura della domanda e dell’offerta, i Piani sono stati completati con la mappatura del­le risorse economiche, identificate attraverso schede di rilevazione regio­nale. Tutto questo lavoro ha dato ori­gine, nella quasi totalità dei casi, all’e­laborazione di Piani con una definizio­ne degli obiettivi molto puntuale. Che si è tradotta anche, per il 70% delle situazioni, nell’elaborazione di una scala temporale di realizzazione e di un piano di responsabilità.

Fonti di finanziamento. Nel 90% dei casi la definizione del

programma è stata compiuta sulla base di risorse indistinte (FNPS). In alcuni casi invece (30%), sono stati mobilitati anche altri fondi, nello specifico una quota di risorse proprie dei Comuni. Ciò fa pensare che i Piani abbiano rap­presentato più un momento di pro­grammazione delle risorse del Fondo Sociale Nazionale che non una reale programmazione complessiva d’ambi­to.

Livello di associazionismo Nel 77% dei casi è stato previsto

un percorso di omogeneizzazione del­

le regole di accesso ai servizi o di fun­zionamento degli stessi. Quello che si nota è una tendenziale convergenza, se non degli orientamenti di politica sociale in senso stretto, almeno dei processi di erogazione dei servizi. Nel 75% dei casi è stata immaginata una gestione intercomunale. Nel 29% è sta­to ipotizzato anche un percorso di tipo istituzionale.

L’utilizzo dei titoli sociali In 90 casi su cento, sono stati

distinti i Buoni dai Voucher. Nel 57% definiti i tempi e la ripartizione tra le aree di intervento. In 25 casi su cento esiste un regolamento di applicazione.

Criteri di accreditamento Se nel 50% dei territori è previsto

un percorso di accreditamento dei for­nitori dei servizi, in 9 casi su cento sono stati definiti i soggetti coinvolti nel processo di accreditamento.

Contesto territoriale Al fine di approfondire le modali­

tà con cui il Piano di Zona si sia inse­rito nelle logiche di governance distrettuali, il gruppo di lavoro SDA Bocconi ha provveduto a selezionare alcuni ambiti significativi (Bergamo, Cremona, Gallarate, Lecco, Lodi, Mila­no, Orzonuovi, Valcamonica, Vigeva­no e Vimercate) rispetto ai quali con­durre un’indagine qualitativa sui pro­cessi di realizzazione e gestione dei

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Piani. Lo strumento operativo utilizza­to per condurre l’analisi è stato quello dell’“intervista incrociata”: per ogni ambito sono state condotte due inter­viste rivolte a un referente dei Comuni (prevalentemente Responsabile Ufficio di Piano) e un referente espressione dell’ASL di riferimento.

Il numero di Comuni che com­pongono gli ambiti del campione oscilla da un minimo di 1 (Milano) a un massimo di 62 (Lodi).

La variabilità riscontrata dipende dalle caratteristiche geo-morfologiche e storiche del territorio o dalle speci­fiche scelte operate a livello di ambi­to. Si è preso atto di come la capaci­tà d’influenza del sistema da parte del Comune di maggiori dimensioni non sia sempre correlata all’ampiezza della popolazione residente. Questa capacità è infatti mediata da alcuni elementi, quali:

● il “peso” dei rimanenti Comuni, se si tratta di ambiti molto frammentati (tanti Comuni di piccole dimensioni) o se sono presenti uno o più enti le cui dimensioni hanno favorito lo sviluppo e il consolida­mento delle attività sociali, renden­doli di conseguenza interlocutori maggiormente attivi.

● la volontà del Comune più grande di delineare modelli partecipati;

● la capacità dei rimanenti Comuni di organizzare forme di rap­presentanza dei propri interessi.

È chiaro, quindi, come l’attivazio­ne di questo meccanismo sia più sem­plice dove il numero dei Comuni del­l’ambito risulti contenuto o, in alterna­tiva, dove le municipalità sappiano individuare una serie di aggregati gestionali intermedi. Prendendo in considerazione, più nel dettaglio, il contesto territoriale, si è potuto proce­dere all’individuazione di quattro macro-tipologie di contesti, modelli di sistemi locali di welfare, che rappre­sentano in modo semplificato le diver­se situazioni preesistenti alla elabora­zione del Piano:

● modello di “centralità del­l’ASL” ovvero in cui l’ASL risulta essere il soggetto principale del sistema in quanto erogatore dei servizi in funzio­ne di un’ampia delega riconosciuta da tutti gli attori locali;

● modello in cui il ruolo centra-le è ricoperto dal Comune capofila: i Comuni di piccole dimensioni si appoggiano al Comune di maggiore dimensione per la gestione dei servizi sociali;

● modello bipolare Comune-ASL per cui il Comune di maggiori dimensioni gestisce autonomamente i propri servizi, mentre i Comuni più piccoli si appoggiano prevalentemente all’ASL;

● modello bipolare-comunale, in cui il Comune di maggiori dimen­sioni gestisce autonomamente i pro­pri servizi mentre i Comuni più pic­

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coli ricercano forme di aggregazione. È importante sottolineare la corre­

lazione diretta riscontrata tra le dimen­sioni degli ambiti e il modello adottato.

Comportamento degli attori Per ogni attore si è proceduto a

identificare alcuni modelli di ruolo, espressione delle alternative di com­portamento riscontrate (alcune delle quali non autoescludentesi) e delle cri­ticità a queste connesse.

Tale semplificazione non è da rite­nersi esaustiva in quanto non rispec­chia pienamente le peculiarità dei sin­goli contesti.

Comune Generalmente speculare rispetto

al ruolo dell’ASL è quello del Comu­ne di maggiori dimensioni (quasi sempre identificato come Comune Capofila) e, più in generale, dei Comuni facenti parte del distretto. I modelli di comportamento individua­ti sono i seguenti:

● protagonista: un Comune (tipicamente il capofila) ha promosso e redatto il Piano fornendo il necessa­rio contributo tecnico e di supporto delineando così un medio-basso coin­volgimento dei restanti Comuni del­l’ambito;

● partecipato: il Piano di Zona è stato realizzato in modo partecipato da tutti i Comuni su iniziativa degli stessi;

● partner: i Comuni hanno par­

tecipato alla programmazione pren­dendo parte ai tavoli tematici nella veste di soggetto istituzionale.

Per quanto riguarda l’attore in questione si sono evidenziate le seguenti criticità:

● difficoltà a individuare, mec­canismi di raccordo tra gli enti locali. Non tanto a livello tecnico, quanto a livello politico;

● diversi livelli di efficienza dei tavoli politici e tecnici;

● appesantimento, spesso senza conseguente riconoscimento, del cari­co di lavoro del Comune capofila.

L’Azienda Sanitaria Locale In riferimento a tale soggetto sono

state individuate le seguenti tendenze: ● protagonista: ha guidato il

processo procedendo alla redazione del Piano;

● propulsore: ha creato il tessu­to connettivo e/o tecnico sul quale si è innestato il Piano; in forza dei rappor­ti con i Comuni, dovuti all’attribuzione delle deleghe, ha agevolato la creazio­ne delle relazioni tra gli stessi;

● partner: ha partecipato alla programmazione prendendo parte ai tavoli tematici nella veste di soggetto istituzionale.

Indipendentemente dai modelli di comportamento rivestiti, sono emerse alcune criticità qualificanti questa pri­ma fase di stesura in termini di:

● tensioni rispetto all’incertezza

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del ritiro delle deleghe; ● correlata ambiguità nella

ripartizione delle spese per i servizi tra ambito sociale e ambito sanitario;

● difficoltà a integrare le pro­grammazioni sociale e sanitaria.

La Provincia Di seguito gli orientamenti riscon­

trati: ● facilitatore: ha sostenuto atti­

vamente l’elaborazione dei Piani di Zona attraverso lo svolgimento di un ruolo di tenuta complessiva del siste­ma, promuovendo la collaborazione tra i Comuni e favorendo l’adozione di orientamenti omogenei tra ambiti dif­ferenti;

● sostenitore: ha fornito assi­stenza tecnica in termini di formazione e/o progetti su specifiche tematiche e necessità evidenziate dai vari contesti;

● partner: ha partecipato alla programmazione prendendo parte ai tavoli tematici nella veste di soggetto istituzionale.

Dalle interviste sono emerse le seguenti difficoltà:

● di svolgere una funzione di cerniera tra la Regione e gli ambiti per quanto riguarda la necessità di alimen­tare solide basi informative che agevo­lino la futura programmazione sociale regionale;

● di ritagliarsi un ruolo dai con­fini ben definiti in rapporto agli altri attori del sistema.

Il Terzo Settore Riguardo a tale attore si è eviden­

ziata una sostanziale propensione al ruolo di Partner così come descritto per i precedenti attori. Tuttavia è pos­sibile specificare come in alcuni casi (per la verità non molti), il privato sociale non sia stato solo convocato e sentito ma abbia sottoscritto l’accordo di programma.

Tra le criticità emerse sono da segnalare:

● difficoltà a individuare mecca­nismi di rappresentanza della coopera­zione sociale, dell’associazionismo e del volontariato;

● difficoltà a delineare i confini entro cui il privato sociale possa avere voce in capitolo in termini di pro­grammazione e indirizzo (ad es.: scel­ta dei criteri di accreditamento);

● limitati tempi a disposizione nella redazione del Piano, per orga­nizzare tavoli costruttivi ed efficaci in termini di contributi esperienziali da fornire.

Gestione del Piano Le interviste hanno fatto emergere

come il contesto sociale che caratteriz­za la fase di stesura, in particolare riguardo al rapporto tra i vari attori del sistema e i loro precedenti equilibri, si sia modificato o sia in corso di ridefi­nizione. Il ritiro delle deleghe dall’ASL, infatti, parallelamente all’adozione del-la logica PAC (Programmazione-Acqui­

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sto-Controllo), rappresenta senza dub­bio l’elemento che, più di tutti, ha determinato tale riassestamento dei rapporti.

Solo pochi ambiti o, meglio, pochi Comuni non sono stati interessati da questa evoluzione.

In particolare si è visto come, dove il modello di sistema di welfare locale fosse a centralità ASL o bipolare Comune-ASL (molti dei casi presi in esame), l’attività di stesura e gestione dei Piani sia stata più complessa a cau­sa dei limitati strumenti a supporto dell’esercizio della titolarità e dell’atti­vità di programmazione fino ad allora costruiti a livello di enti locali.

Dove il cambiamento è avvenuto, il Piano di Zona si è rivelato uno stru­mento doppiamente utile:

● per l’ASL, in quanto ha crea­to un terreno favorevole al processo di ritiro delle deleghe, accrescendo la consapevolezza sociale degli enti locali;

● per gli ambiti poiché ha con­sentito di trattare in anticipo il proble­ma della gestione dei servizi “delega­ti”, che a breve avrebbe investito il sistema locale dei servizi.

Una realtà in movimento Sostanzialmente si è creato un alli­

neamento tra lo strumento del Piano di Zona e la logica PAC: il Piano di Zona ha accresciuto la capacità di con­fronto e di collaborazione dei Comuni

creando presupposti più solidi su cui basare il ritiro delle deleghe. È eviden­te quindi come anche alcuni modelli di ruolo, precedentemente delineati per alcuni attori, non siano più con­cretamente rivestibili.

L’ASL, ad esempio, è stata indotta a lasciare il ruolo di protagonista e in alcuni casi a ridimensionare quello di propulsore, ri-baricentrando tali fun­zioni su uno o più Comuni (a seconda dei nuovi equilibri che si stanno via via definendo: centralità comunale o bipolare comunale) e ad assumere un ruolo sostanzialmente omogeneo alle funzioni di partner istituzionale.

Il cambiamento che ha coinvolto l’Azienda Sanitaria Locale ha poi solle­vato delle riflessioni in merito anche alla costituzione di terzi enti (Fonda­zione, Azienda speciale, Consorzio), per la gestione associata dei servizi tra i Comuni.

È chiaro dunque che si stanno deli­neando nuove tendenze che a loro vol­ta creeranno nuovi assesti istituzionali da integrare con quelli specifici del­l’ambito. Si pensi ad esempio all’even­tualità di costituzione di un’azienda sociale d’ambito e al raccordo dei mec­canismi di funzionamento della stessa con l’Ufficio di Piano o addirittura alla costruzione di più aziende sociali tra soggetti diversi dello stesso ambito.

Alcuni riordinamenti stanno poi riguardando anche il Terzo Settore. Dati i meno pressanti vincoli tempora­

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li, infatti, il privato sociale e gli attori istituzionali di secondo livello sono stati coinvolti in modo sempre più sta­bile e costruttivo. Ciò è avvenuto, tut­tavia, senza che siano stati individuati adeguati strumenti di rappresentanza.

Spese per i servizi Riguardo al versante finanziario, la

ricerca ha puntato a un lavoro sui numeri, capitalizzando da un lato le preziose informazioni raccolte attra­verso l’attività ordinaria di monitorag­gio messa a punto dalla DG Famiglia e Solidarietà Sociale e proponendosi, dall’altro, di creare schemi di raccordo tra queste informazioni e i dati della contabilità comunale. Sono stati utiliz­zati:

● per il biennio 1998/99: dati dei bilanci comunali riferiti ai Certifica­ti di Conto Consuntivo di tutti i Comu­ni della Regione Lombardia (fonte: Ministero degli Interni);

● per il biennio 2000/01: dati consuntivi su entrate e spese per Distretto ASL su ripartizione per aree tematiche (fonte: schede DG Famiglia, Regione Lombardia).

L’analisi è stata strutturata sulla quantificazione di quattro diverse dimensioni:

● spesa totale; ● distribuzione per interventi

della spesa totale; ● distribuzione per servizi della

spesa totale;

● fonti di finanziamento dei ser­vizi sociali.

Dalla ricomposizione e dall’analisi delle risorse spese, sulla funzione 10 del Titolo I dei bilanci comunali riferi­ti ai Certificati di Conto Consuntivo, si nota che:

● l’ammontare delle risorse spe­se nel 1998 per la parte corrente della spesa sociale è stato di 1.267 mld. di lire, equivalenti a circa 654 milioni di euro. Rispetto al totale della spesa cor-rente, questa cifra rappresenta il 13,3%. Nel 1999, a fronte di un incre­mento pari al 5%, il totale della spesa è stato di 685 milioni di euro;

● la spesa sociale dei Comuni si caratterizza per essere spesa per servizi.

La spesa per l’assistenza (più di un terzo del totale), prevale rispetto a quella per asili nido (più di un quarto del totale) e a quella per le strutture residenziali per anziani (più di un quinto del totale).

Questi tre servizi, insieme, rappre­sentano l’86% del totale della spesa dei Comuni.

Se queste tre aree sono indubbia­mente riconducibili a situazioni di bisogno importanti, è comunque opportuno osservare come da questa impostazione risulti sacrificata l’attività di prevenzione.

La partecipazione degli utenti al finanziamento della spesa sociale ammonta a 154 milioni di euro che, nel 1999, sono diventati 161 milioni.

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Si tratta di importi ben diversi rispetto a quelli rilevati come totale della spe­sa sociale: dal confronto emerge una incidenza dei primi sui secondi, pari al 26% in entrambi gli anni.

Leggendo le fonti da cui i Comuni hanno ottenuto questi incassi emerge una prevalenza, a livello regionale, di quelli per strutture residenziali e di ricovero per anziani, seguiti da quelli per asili nido e per servizio necrosco­pico e cimiteriale. Sul versante dei dati rilevati attraverso le schede della Dire­zione Generale Famiglia si osserva:

● un totale di spesa sociale di 495 milioni di euro per il 1999 che diventano 549 milioni nel 2000, con un incremento dell’11%;

● la spesa è polarizzata su minori e famiglia, servizi socio sanita­ri integrati e anziani;

● la spesa sociale dei Comuni è una spesa sostanzialmente per servizi;

● la quota di finanziamento del Comune ha un’incidenza di due terzi del totale. Il dato si presenta nella stessa dimensione sia per il 2000 sia per il 2001. A partire dalla singola ASL si evidenziano l’esistenza di situazioni anche distanti tra loro. Infatti, pur in presenza di un dato strutturale che riconosce ai Comuni il ruolo di finan­ziatore di riferimento del sistema, si trovano realtà come le ASL di MI2 e MI3 che esasperano questa situazione con un’incidenza della quota comuna­le tra il 70 e il 75%.

In contrapposizione a queste situazioni si rilevano i dati delle ASL di Varese e della Valcamonica, con incidenza tra il 31 e il 34%.

Buoni e Voucher sociali in Lombardia (IRER, Istituto Regiona­le di Ricerca della Lombardia - IRS, Istituto per la Ricerca Sociale)

Per meglio capire le potenzialità e i limiti espressi da questi strumenti di “welfare leggero”, è bene fare riferi­mento alla ricerca Irer (Istituto Regio­nale delle Ricerche), condotta alla fine del primo triennio di applicazione dei Piani di Zona. Lo studio offre infatti un quadro descrittivo e valutativo degli ultimi tre anni. Attingendo a fon­ti, tra loro diverse e complementari, permette infatti di comprendere gli effettivi cambiamenti prodotti dai tito­li sociali e valutare tra gli elementi emersi, quelli che possano favorirne un utilizzo maggiormente virtuoso.

Due i percorsi di indagine appli­cati: l’uno di tipo estensivo che ha riguardato quindi i 98 ambiti distret­tuali della Lombardia, attraverso l’ana­lisi approfondita dei dati e della docu­mentazione raccolti dalla Regione Lombardia e l’altro, di tipo “valutati­vo” che ha invece riguardato sette casi distrettuali (quattro di applicazione di Buoni: Varese, Casalmaggiore, San Donato Milanese e la Valcamonica e tre di Voucher: Vigevano, Garbagnate Milanese e la Valcamonica).

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Principali risultati Lo studio ha evidenziato, in primo

luogo, come i Buoni rappresentino una realtà, nella totalità dei distretti. Nel 2005 ne hanno infatti usufruito 20 mila persone, di cui il 59% anziani. Una cifra rilevante, quindi, che si avvicina al volume di utenza coperta dai Servizi di assistenza domiciliare comunali.

Viceversa i Voucher sono presenti in 4 distretti su dieci, con un’utenza molto più limitata quantitativamente, circa 3.500 persone nel 2005 (56% anziani). Anche se, in vista della loro introduzione, nel 2008, in tutti i 98 distretti, la previsione é di forte cresci­ta. Ma il vero campo d’indagine riguar­da l’effettivo valore aggiunto prodotto da entrambi i titoli sociali.

Ebbene, come prima considerazio­ne, é possibile affermare che dopo un periodo in cui molti distretti hanno, oggettivamente, fatto fatica ad assimila­re il cambiamento (soprattutto per quanto riguarda i Voucher), la fase attuale vede un processo di sviluppo in cui si sta ponendo grande attenzione alle dimensioni organizzative e profes­sionali.

Pregi e difetti La ricerca evidenzia alcuni

importanti effetti positivi. Si può dire che i titoli siano generalmente apprezzati, ancor di più, se ad essi vengono affiancati anche azioni di sostegno e accompagnamento da

parte dei Servizi Sociali professionali. Soprattutto nel caso dei Buoni. È

importante notare come la libertà di scelta introdotta dai titoli risulti virtuo­sa nel momento in cui, ad essa, non venga fatto coincidere un principio di totale autonomia.

Che provocherebbe tra gli utenti, non solo disorientamento ma anche una percezione di abbandono.

Voucher e Buoni Relativamente ai Voucher si può

dire che abbiano provocato due effetti: il primo é stato quello di estendere la copertura dei bisogni, il secondo, di rendere più flessibile l’offerta, sia in ter­mini temporali che di differenziazione delle prestazioni.

Eppure per coloro che utilizzavano gli stessi servizi prima della voucheriz­zazione, la percezione di una differen­za di qualità non é così netta. Maggio­re é invece la sensazione di poter chie­dere di più.

I Voucher sollevano poi alcuni ele­menti critici quale: una diversa ma mediamente scarsa propensione alla concorrenza da parte dei soggetti ero­gatori; limitate possibilità di scelta da parte del cittadino e costi gestionali e amministrativi che possono incidere in maniera rilevante sulla spesa totale.

Nel caso dei Buoni, invece, la mag­gior parte delle criticità sono legate al fatto di essere talvolta concepiti come semplici trasferimenti economici.

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P I A N I D I Z O N A

L’EVOLUZIONE

Secondo triennio: che cosa cambia

La programmazione e gestione associata dei servizi sociali dei Comuni avviata attraverso i Piani di Zona, ha rappresentato l’inizio

di un processo di evoluzione di welfare che la Regione Lombardia intende continuare e sviluppare in una logica di crescita

e consolidamento. Fermo restando, quindi, i principi base definiti e applicati nel corso dei primi tre anni, per il nuovo

triennio vengono introdotti alcuni nuovi elementi, meglio in grado di rispondere alle priorità emerse

nel corso della sperimentazione. Di seguito, le linee di indirizzo che costituiscono tali elementi di innovazione, contenute nelle circolari n. 34 del 29/07/2005 e n. 48 del 27/10/2005.

Sistema di finanziamento proprio territorio; La prima grande novità della ● le risorse del fondo sociale

nuova programmazione riguarda regionale (ex circolare n. 4) erogate quello che è stato definito il “sistema ai Comuni e agli enti gestori situati di budget unico”. Ciò significa che i nell’ambito distrettuale e destinate al comuni attivano i Piani di Zona cofinanziamento dei servizi e inter­attraverso i seguenti finanziamenti: venti di cui al punto precedente;

● le risorse autonome che cia- ● le risorse, a carattere ag­scun Comune dell’ambito destina ai giuntivo, del Fondo Nazionale per le servizi e interventi di cui ha la tito- Politiche Sociali destinate, sulla base larità istituzionale e/o gestionale sul degli indirizzi regionali, allo svilup­

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po dei titoli sociali, degli ulteriori interventi e servizi previsti ai sensi della configurazione prevista dal-l’art. 22 L. 328/00 e delle attività pro­gettuali in capo agli enti locali secondo le finalità previste dalle leg­gi di settore nazionali declinati dalla programmazione regionale;

● eventuali altre risorse (fondi comunitari, compartecipazione citta­dini, finanziamenti privati ecc.).

All’interno del budget unico, costituito con i canali di finanzia­mento sopra elencati, dovrà essere istituito, a favore dei Comuni con non più di 5mila abitanti, il Fondo Sociale di Solidarietà, come già pre­visto dalla L.R. 34/2004, art. 4 com­ma 4. Per il sostegno degli interven­ti obbligatori, derivanti, dall’affido familiare. O dall’ospitalità, all’inter­no di strutture residenziali, di mino­ri, sottoposti a provvedimenti giudi­ziari.

È previsto che il fondo possa essere costituito con le seguenti risorse:

● residui FNPS annualità 2001­2003 da destinarsi al pagamento del­le rette dei minori in comunità a seguito di decreto del Tribunale per i Minorenni. Non è consentito altro utilizzo al di fuori di questo, pena la restituzione delle quote alla Regione;

● quota percentuale del FNPS dell’annata corrente ed eventual-

mente una quota di quanto già asse­gnato con riferimento al FNPS delle annualità precedenti non costituenti residui;

● risorse comunali. Il fondo dovrà essere gestito

secondo criteri di trasparenza dal-l’Ente Capofila del Piano di Zona.

PdZ e sistema dei servizi Il Piano di Zona costituisce lo

strumento per la programmazione sociale dei Comuni dell’Ambito distrettuale. Perché si realizzi una corretta riorganizzazione delle azio­ni sociali e dei servizi sulla base del­le risorse disponibili, i Comuni devono individuare delle priorità di intervento. Che si possono riassume­re nelle seguenti aree di program­mazione:

● anziani: favorire la perma­nenza a domicilio o comunque svi­luppare una rete integrata di servizi idonea a permettere alla persona in condizione di fragilità di scegliere la risposta più adeguata alle sue esi­genze;

● disabili: sostenere e svilup­pare tutta l’autonomia e capacità possibili, rimuovendo gli ostacoli che aggravano la condizione di dis­abilità e sostenendo le famiglie;

● minori: tutelare i diritti e costruire opportunità sia nelle situa­zioni di disagio conclamato e dis­

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adattamento, sia in quelle, di cosid­detto “disagio evolutivo”, ricono­scendo e valorizzando il ruolo cen­trale della famiglia quale risorsa fon­damentale nella logica della rete dei servizi. Particolare attenzione andrà dedicata, in fase di programmazio­ne, anche ai minori sottoposti a pro­cedimento penale, prevedendo misure di integrazione fra i Servizi della Giustizia Minorile e dell’Ente Locale atte a fornire al minore e alla sua famiglia gli strumenti più idonei per far fronte alle fasi di cambia­mento e di crisi emerse in occasione del reato;

● immigrazione: favorire l’in­clusione sociale degli immigrati, con specifico riferimento agli interventi diretti ad affrontare i problemi lega­ti alla tutela dei minori immigrati, la condizione abitativa e l’accesso ai servizi alla persona;

● adulti in difficoltà: emargi­nazione sociale, povertà, dipenden­ze, salute mentale, attivazione di interventi di contrasto alla povertà e di reinserimento delle persone con problematiche di dipendenza con un insieme di prestazioni integrate di tipo socioeducativo. In tale aree andranno ricompresi i problemi del­le persone in esecuzione penale interna ed esterna, rispetto ai quali già nel precedente triennio si sono avviati processi di coinvolgimento e consultazione con i servizi dell’Am­

ministrazione Penitenziaria. Si individua nei tavoli tecnici

l’ambito per il coinvolgimento di soggetti del Terzo Settore e di sog­getti istituzionali che possono contri­buire al processo di costruzione, ma anche di valutazione, dei Piani di Zona.

Oltre ai tavoli tecnici, un altro strumento di raccordo tra enti locali e Terzo Settore è individuato nel Tavolo di rappresentanza la cui costituzione rappresenta un altro obiettivo per i Piani.

Titoli sociali Sulla base delle considerazioni

già descritte nei precedenti capitoli, per il nuovo triennio, l’obiettivo è quello di consolidare il sistema dei titoli sociali. Con particolare riguar­do allo sviluppo dei Voucher. L’in­tento è quello di garantire che i Vou­cher siano erogati in tutti gli ambiti distrettuali. Almeno entro l’ultimo anno di attuazione del nuovo Piano di Zona. Sinora il finanziamento dei titoli sociali è avvenuto quasi esclu­sivamente attraverso le risorse del FNPS. Per il nuovo triennio si racco­manda ai Comuni di considerare l’opportunità di sviluppare e incre­mentare tali strumenti anche attra­verso una compartecipazione con risorse autonome.

Da un punto di vista organizzati­vo e gestionale, riconfermando la

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gestione a livello associato dei titoli sociali, andrà definito localmente il modello più “idoneo al soddisfaci­mento della domanda”, sia per quanto riguarda i Buoni sociali (ad esempio, potrà essere valutato se privilegiare l’erogazione attraverso bandi periodici o attraverso l’acco­glienza delle domande in tutto l’arco dell’anno - il cosiddetto “Buono a sportello” - prevedendo in tal caso un adeguato sistema di analisi della domanda potenziale e dei tetti di soddisfacimento; potrà inoltre esse-re valutata l’opportunità di sottoscri­zione di un “patto di assistenza”, nonché azioni di verifica e valuta­zione sull’utilizzo dello stesso Buo­no), sia per quanto riguarda i Vou­cher sociali. Relativamente all’attiva­zione di questi ultimi risultano fon­damentali:

● l’accreditamento dei sogget­ti erogatori;

● la definizione del tipo di voucher che si intende erogare (“a profilo”, corrispondente alle diverse intensità di bisogno; “a fascia uni­ca”, che definisce un importo unico del titolo in base ad alcuni valori medi di costo del servizio; “a fascia oraria”, corrispondente al controva­lore di un’ora di assistenza o presta­zione);

● l’individuazione degli ope­ratori, scelti all’interno degli staff di Ufficio di Piano o a livello di singo­

lo Comune ma sempre in coordina­mento con l’Ufficio di Piano, che abbiano le competenze professiona­li necessarie a sovrintendere e gesti­re le seguenti funzioni: identificazio­ne di un percorso di analisi della domanda, predisposizione di pro­getti individualizzati, orientamento del cittadino, nel rispetto della dimensione della libera scelta, verso gli erogatori accreditati più idonei al tipo di intervento individuato nel Piano di intervento personalizzato.

Sviluppo e potenziamento Con una quota del FNPS non

superiore a quella utilizzata per i titoli sociali, potranno anche essere finanziati azioni di sviluppo dei ser­vizi che rientrano nella classificazio­ne della “configurazione rete mini­ma dei servizi” ex art. 22 L.328/2000 e nelle tipologie messe a rete dalla Regione (es. servizi per la prima infanzia). Perché, infine, all’interno di ciascun territorio, sia garantito il riconoscimento del bisogno e l’ac­cesso, ai servizi utili alla sua risolu­zione, risulta indispensabile che vi sia un’appropriata rete di servizi sociali professionali e di segretariato sociale.

Forme di gestione associata Il secondo triennio vede, tra le

priorità in capo ai comuni, quella dell’individuazione di forme di

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gestione associata. I Comuni, fra tut­te le modalità previste dalla norma­tiva nazionale e regionale, potranno quindi adottare quelle che riterran­no essere più adeguate alle loro esi­genze, portando tuttavia sempre la massima attenzione agli impatti eco­nomici.

Per individuare le possibili for­me di gestione applicabili ai servizi sociali occorre far riferimento al Decreto Legislativo n. 267 del 18.08.2005, art. 113 secondo il quale i Comuni possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme:

a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratte­ristiche del servizio non sia opportu­no costituire un’istituzione o una azienda;

b) in concessione a terzi, quan­do sussistano ragioni tecniche, eco­nomiche e di opportunità sociale;

c) a mezzo azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprendi­toriale (servizi per i quali i costi di produzione sono coperti dai ricavi derivanti dalla cessione dei servizi);

d) a mezzo di istituzione, per l’e­sercizio di servizi sociali senza rile­vanza imprenditoriale;

e) a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a preva­lente capitale pubblico locale costi­tuite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia

opportuna in relazione all’ambito territoriale del servizio la partecipa­zione di più soggetti pubblici o pri­vati.

A queste forme di gestione van-no aggiunti i consorzi; lo stesso Decreto legislativo all’art. 31 stabili­sce infatti che i Comuni per la gestione associata di uno più servizi possano costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali.

Il monitoraggio condotto al momento della chiusura della prima triennalità sui Piani di Zona in Lom­bardia, ha evidenziato che 37 distret­ti su 98 hanno attivato forme di gestione associata ricorrendo allo strumento dell’accordo di program­ma o alle convenzioni; la costituzio­ne di vere e proprie forme giuridi­che di gestione ha riguardato princi­palmente consorzi (6 distretti su 98); aziende speciali (5 distretti su 98); in misura residua fondazioni e srl (2 distretti su 98) e istituzioni (1 distret­to su 98).

Si assiste inoltre al fenomeno della nascita di forme associative che non coinvolgono tutti i Comuni di uno stesso ambito, ma parte dei Comuni, a seconda delle affinità del­le dimensioni demografiche, delle caratteristiche della popolazione e delle aree di bisogno.

Poiché la realizzazione di forme di gestione associata è individuato

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tra gli obiettivi dei PdZ, può essere utile riportare - con valore esclusi­vamente esemplificativo - un’analisi comparata delle varie caratteristiche strutturali delle forme a oggi riscon­trate.

A mero titolo esemplificativo, si richiamano alcuni vantaggi e alcuni limiti delle diverse forme di gestione:

● il consorzio è caratterizzato dall’ampliamento del bacino di uten­za, che consente di ottenere delle economie di scala non conseguibili a livello locale. Inoltre, sempre in virtù dell’ampiezza del bacino di utenza, nel consorzio possono esse-re presenti figure professionali non previste nei singoli enti e possono essere superati problemi connessi a carenze qualitative o quantitative di personale. Un altro elemento è dato dalla maggiore disponibilità di risor­se finanziarie a fronte di prevedibili economie di scala. Il consorzio, inol­tre, presenta un maggior potere con­trattuale nei confronti dei fornitori esterni rispetto ai singoli enti. Infine, con la forma consortile, è possibile garantire omogeneità di intervento sul territorio di riferimento, ovvian­do al problema della disparità di trattamento per bisogni simili. Tra i punti di debolezza vanno annovera­ti quelli legati alla lentezza di fun­zionamento dell’assemblea consorti­le composta da rappresentanti di tut­ti gli enti proprietari e le difficoltà

relative alla composizione dei diver-si interessi di cui ciascun ente é por­tatore;

● l’azienda speciale può garantire livelli di flessibilità organiz­zativa e gestionale, se tale opportu­nità è concretamente sfruttata nel momento della stesura dello statuto, evitando che in tale atto vengano inseriti elementi di rigidità tipici del settore pubblico. L’azienda speciale offre, ad esempio, la possibilità di adottare per i dipendenti un contrat­to di tipo privatistico, che nella mag­gior parte dei casi rappresenta un’opportunità rispetto ai livelli retributivi previsti per i contratti di tipo pubblico;

● l’istituzione è sottoposta ai vincoli tipici dell’ente locale, essen­do priva di un proprio statuto;

● la costituzione di una socie­tà (Srl o SpA) consente di ottenere una serie di vantaggi, quali la mag­gior flessibilità gestionale, cioé l’ef­fettiva possibilità di superare i vin­coli formali che caratterizzano gli enti pubblici, e la partecipazione del pubblico risparmio nel caso delle SpA. Tale forma, però, essendo di diritto privato, consente la sola tito­larità alla produzione di servizi.

La scelta della forma associata più idonea agli obiettivi gestionali, dovrà quindi essere valutata sia secondo una prospettiva di tipo “isti­tuzionale” per salvaguardare, in

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capo a un ente tra quelli classificati di diritto pubblico la funzione di indirizzo e “governo” delle funzioni individuate dal nostro ordinamento, sia secondo un approccio economi­co-aziendale che pone l’accento sui reali meccanismi di funzionamento delle “aziende sociali” e sulla loro capacità di consentire un’efficace ed efficiente organizzazione delle risor­se a disposizione per il raggiungi­mento delle finalità istituzionali.

Autorizzazione e accreditamento Nel corso del 2005 sono state

emanate delibere della Giunta Regionale con le quali si è dato avvio al processo di definizione dei criteri di accreditamento della rete d’offerta dei servizi e interventi del sistema sociale per minori e disabi­li: Delibera n. 20588 del 11/02/2005 e la Delibera n. 20942 del 16/02/2005.

A seguito della l.r. 1/2005 sono state attribuite ai Comuni le funzio­ni di autorizzazione al funziona­mento e di accreditamento delle strutture socio assistenziali e ciò determina a livello locale l’assun­zione delle competenze e delle fun­zioni amministrative in tale materia.

Pertanto, il momento program­matorio dei Piani di Zona diventa anche l’ambito nel quale individua­re la forma più consona alla propria

realtà locale per l’esercizio di tali funzioni, valutando sia gli aspetti gestionali sia l’importanza di adotta­re, relativamente all’accreditamento, criteri omogenei quanto meno a livello di ambito distrettuale.

Sintesi degli obiettivi per il 2006-2008

Di seguito la sintesi degli obiettivi di piano definiti nella due circolari di indirizzo:

● titoli sociali: consolidamen­to del sistema dei titoli sociali con l’attivazione del Voucher sociale entro il triennio in tutti gli ambiti;

● attivazione di forme di gestione associata dei servizi sociali;

● costituzione del fondo di solidarietà tra comuni associati;

● costituzione di un tavolo di rappresentanza del Terzo Settore: può trattarsi dello stesso tavolo costituito a livello di ASL, purché tutti gli ambiti distrettuali siano rap­presentati e purché sia chiara la distinzione delle tematiche in dis­cussione. In relazione ai propri specifici bisogni territoriali, gli ambiti dovranno definire ed elabo­rare un modello organizzativo inte­grato relativamente agli interventi in materia penale minori e adulti, secondo quanto indicato dalla leg­ge regionale n. 8 del 14 febbraio 2005, art. 2 “Sistema Integrato di Intervento”.

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SOSTEGNO ALLA DOMICILIARITÀ

I titoli sociali e il sistema dei servizi

Dopo il primo triennio di attuazione, in Lombardia, della legge 328/200 e, in particolare, dell’adozione dei Piani di Zona e a più di un anno

dall’avvio della seconda triennalità, presentiamo una sintesi dei risultati degli interventi attivati a sostegno della domiciliarità.

Risponde la dottoressa Cristina Colombo, dell’Unità Organizzativa Programmazione, Regione Lombardia.

Dottoressa Colombo, che cosa si intende per domiciliarità?

«Quando si parla di domiciliarità si fa riferimento all’insieme degli interven­ti finalizzati a consentire la permanenza a domicilio di persone fragili che, per vari motivi, non possono svolgere auto­nomamente le normali attività di vita quotidiana. Il sostegno alla domiciliari­tà può essere realizzato attraverso una pluralità di servizi e interventi, preva­lentemente di carattere socioassisten­ziale e sociosanitario».

In che modo si attivano gli inter­venti socioassistenziali?

«Attraverso il servizio di assistenza

domiciliare (SAD), attraverso il Voucher Sociale e altri interventi, di tipo econo­mico, erogati con il Buono sociale».

Può fornire alcuni dati? «Per quanto riguarda il sostegno

domiciliare, le ultime rilevazioni elabora­te parlano di 1.181 servizi di assistenza domiciliare. In tema di titoli sociali, i pri­mi a partire e ad avere maggiore diffu­sione sono stati i Buoni sociali, anche per la loro minor complessità organizza­tiva.

I Buoni, infine, sono presenti in pressoché tutte le realtà territoriali (95 distretti in 15 ASL) e hanno raggiunto più di 20mila fruitori, il 54% dei quali, anzia­

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ni. La spesa complessiva, per il 2005, è stata di circa 36 milioni di euro. Coperta per il 97% dalle risorse del Fondo Nazio­nale Politiche Sociali.

Il SAD è sostenuto dai finanziamen­ti del Fondo Sociale Regionale.

Più lento il processo di voucherizza­zione che è stato attivato a fine 2005 in 40 ambiti distrettuali. Sempre nel 2005 sono stati raggiunti 3.580 soggetti/fami­glie, di cui il 56% anziani, il 23% disabili e il 14% minori (i Voucher sono stati ero­gati inoltre, anche se in misura minore alle seguenti aree di utenza: immigrazio­ne, emarginazione e salute mentale). La spesa complessiva, nel corso del 2005, è stata pari a 7,4 milioni di euro. Sostenu­ta per l’86% dalle risorse del Fondo Nazionale Politiche Sociali.

Un dato comunque rilevante, se si considera che nel 2003 l’attivazione è avvenuta in 12 distretti e nel 2004 in 27 distretti. E che il Voucher sociale, come detto, oggi è un’esperienza dif­fusa in ben 12 ASL su 15 (non è attivo nell’ASL di Cremona, 3 distretti, di Lodi, 1 distretto, e Città di Milano, 1 distretto)».

A che cosa si deve il diverso per­corso di attuazione?

«Si deve, principalmente, a due ragioni. La prima riguarda il differente processo di definizione richiesto per l’attivazione dell’uno e dell’altro. Men­tre per l’erogazione dei Buoni sociali basta un sistema in cui siano indivi­

duati criteri definiti tra tutti i comuni dell’ambito e un regolamento comune, per i Voucher occorre, invece, definire anche il sistema degli accreditamenti per i soggetti erogatori, attraverso la predisposizione e approvazione dell’o­monimo patto.

In più, l’attivazione dei Voucher richiede la presenza sul territorio di soggetti disponibili a entrare in un sistema governato da regole diverse rispetto alla formula tradizionalmente usata dall’ente pubblico per affidare i servizi a terzi (appalto/concessione). Ciò implica, quindi, una disponibilità a mettersi in gioco in un sistema di con­correnzialità basato sulla libera scelta del cittadino nell’accesso a un’agenzia piuttosto che a un’altra.

Va, infine, osservato che in alcune ASL il processo di diffusione non è ancora iniziato o si è affermato in modo limitato perché a livello interdi­strettuale si è scelto di intraprendere la via della omogeneità dei criteri e delle modalità organizzative .

Il secondo motivo all’origine del­le differenze di percorso dei due tito­li è ricollegabile alla già attiva presen­za di servizi domiciliari, storicamente erogati dai Comuni, nei diversi ambiti distrettuali. I Voucher, infatti, rappre­sentano una possibilità di accesso a prestazioni domiciliari accessibili attraverso il servizio di assistenza ero­gato dai comuni e già diffuso, in qua­si 1.200 realtà comunali. Tanto è vero

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che, la realtà dei Voucher si è mag­giormente affermata proprio nei terri­tori in cui il Sad comunale non era attivo, dove erano scaduti i tradiziona­li contratti di appalto o dove, al tradi­zionale Sad, si è scelto di affiancare il Voucher. Per situazioni, per esempio, che richiedevano una diversa flessibi­lità di orari (es. interventi nei giorni festivi o in orari serali)».

A quale richiesta risponde il Vou­cher sociale?

«Il Voucher sociale rappresenta una forma di erogazione delle prestazioni sociali di tipo domiciliare, che a oggi sono individuabili principalmente all’in­terno dei servizi: SAD (Servizio Domici­liare Anziani), SADH (Servizio Domicilia­re Disabili) e ADM (Assistenza Domici­liare Minori).

Il Servizio Domiciliare Anziani si caratterizza per le prestazioni, non sani­tarie, di sostegno alla quotidianità e alla cura della persona rese da assistenti socio assistenziali. Il servizio per disabili e per minori si caratterizza per l’inter­vento di tipo educativo. A integrazione dei servizi di assistenza alla persona ci sono altre prestazioni, cosiddette com­plementari, ma ugualmente finalizzate a mantenere al domicilio il soggetto fragi­le, quali ad esempio: la preparazione dei pasti, il servizio lavanderia, il servizio tra­sporti, ma anche di cura della persona, come il servizio “beauty”, il parrucchiere, il pedicure.

Coerentemente con le finalità assegnate dalle indicazioni regionali, che vedono una equivalenza, in ter­mini di tipologia di prestazioni, tra il Voucher sociale e il servizio di assi­stenza domiciliare, risulta che nel 2005 con i Voucher sociali sono state acquistate complessivamente 26.226 prestazioni e che di queste il 55% è stato assorbito da prestazioni Sad, il 16% da interventi di sostegno educa­tivo minori e una quota residua (7%), per le prestazioni cosiddette “comple­mentari” (quindi: trasporto, pasti e lavanderia). Dati confermati, in termi­ni percentuali, anche per il 2006».

Chi eroga i Voucher? «L’erogazione è effettuata da sogget­

ti accreditati che rispondono ai requisiti definiti dagli ambiti, partendo dai criteri individuati dalla Regione. Il sistema dei “pattanti” è costituito prevalentemente da soggetti privati, con un grado di diffusio­ne diversificato a livello territoriale.

Ritengo interessante considerare il ruolo assegnato al Terzo Settore, come soggetto chiamato a essere presente nei momenti di programmazione, anche attraverso lo specifico tavolo di rappre­sentanza previsto con le più recenti indi­cazioni regionali, e come erogatore dei servizi in un sistema nuovo e profonda­mente diverso da quello tradizionale del­l’appalto/concessione.

Queste nuove modalità di “esserci” nell’erogare servizi, implicano la capaci­

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tà, per il Terzo Settore, di sapersi porre in un sistema sempre più caratterizzato dal-l’accento sulla libertà di scelta del cittadi­no, dove molto si gioca sulla qualità del servizio reso, sulla soddisfazione da par­te del cittadino, ma anche sul “prezzo” richiesto per le prestazioni, che deve essere tale da essere allo stesso tempo sostenibile e competitivo».

E sul futuro del Voucher? «L’esperienza ha dimostrato che il

Voucher rappresenta un utile strumento per sostenere le persone fragili nel per­corso di vita autonoma presso il proprio domicilio. È importante, però, che alla base vi sia, da parte degli operatori, una corretta valutazione della domanda. Valutazione che deve tener conto del tipo di intensità assistenziale richiesta, dei tempi di erogazione del servizio e di quale possa essere la relazione più appropriata con gli altri servizi di assi­stenza domiciliare già esistenti. In questo modo, il Voucher consente di ampliare la gamma dei servizi e prestazioni già esi­stenti, realizzando pienamente la sua funzione.

Ed è proprio a partire da queste con­siderazioni che, nella circ. 48/2005, il consolidamento del sistema dei titoli sociali e lo sviluppo dei Voucher viene indicato come obiettivo del nuovo trien­nio dei Piani di Zona. Ma non solo. È prevista inoltre la possibilità di sperimen­tare forme di voucherizzazione di altri servizi sociali a carattere diurno o resi­

denziale (a esclusione delle comunità di accoglienza per minori) attraverso per­corsi progettuali che dovranno essere concordati dagli ambiti distrettuali con la Regione.

I dati raccolti a fine 2006, e quindi nel primo anno di questa seconda sta­gione dei Piani, danno atto che anche i territori stanno valorizzando il voucher come “servizio tra i servizi”. Si è regi­strata infatti una diffusione del voucher nei distretti, passando dai 40 del 2005 a 50 nel 2006, con ampliamento della pla­tea dei beneficiari e un livello di inte­grazione che appare positivo tra servizi domiciliari “tradizionali” e servizi per domiciliarità voucherizzati. Sono in cor-so peraltro incontri con tutti gli Uffici di Piano proprio per verificare in modo congiunto anche quali sono gli effetti sul sistema di questa nuova modalità di rispondere ai bisogni dei cittadini.

Ma il punto più importante da evi­denziare, in termini di futuro, è l’evolu­zione del Voucher che, nato come stru­mento che possiamo definire “equiva­lente” al servizio di assistenza domicilia­re, si va sempre più configurando, nel­le volontà regionali, come strumento di sostegno alle famiglie anche per bisogni di tipo sociale ed educativo, come decli­nato nella circolare 31/06, che prevede l’utilizzo dei Voucher a sostegno delle famiglie numerose.

Una nuova strada, che sta traccian­do un nuovo percorso per gli interven­ti a sostegno della famiglia».

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LE POLITICHE PER LA FAMIGLIA

Uno sguardo al futuroL’esperienza sin qui condotta ha dimo­

strato che la programmazione associata eser­citata attraverso i PdZ rappresenta l’occasio­ne per dare risposte strategiche all’esigenza di passare da una cultura assistenziale di ero­gazione delle prestazioni alla persona “biso­gnosa” a una politica positiva di servizi fra loro integrati, a favore della comunità locale. Le politiche legislative che orientano lo svi­luppo dei servizi sociali devono essere viste, secondo questa logica, come una grande opportunità per modernizzare il sistema di risposta alle grandi questioni e ai problemi che coinvolgono gli individui e le famiglie nei diversi momenti del loro ciclo di vita. Proprio la famiglia è stata in questi anni il paradigma attraverso cui la Regione ha rein­terpretato la propria azione di governo nel settore delle politiche del welfare.

Già con la l.r. 23/1999 è stato realizzato un modello di azione pubblica su vasta sca­la attraverso la promozione, valorizzazione e responsabilizzazione diretta delle famiglie, chiamate attivamente ad associarsi, a pensa­re, proporre e realizzare i progetti in risposta alle proprie esigenze.

Regione Lombardia ha scelto di investi­re sulla famiglia, in particolare quella con figli piccoli e quella numerosa. Per tale ragione, la nostra Direzione è impegnata su una serie di fronti che hanno come tema centrale la

famiglia numerosa e di nuova formazione. Queste, nel dettaglio, le azioni che verranno messe in campo: politiche a sostegno della fiscalità; politiche abitative; politiche a soste­gno dell’educazione; sostegno alla famiglia attraverso il sistema dei titoli sociali; informa­zione, orientamento e messa in rete dei ser­vizi a disposizione della famiglia.

Tali interventi si inseriscono nel contesto dei servizi alla persona e della programma­zione locale dei PdZ e introducono nuove misure di protezione sociale per soddisfare i crescenti bisogni di assistenza con il coinvol­gimento di tutti gli attori del territorio ai vari livelli di responsabilità, perseguendo una logica di forte integrazione a tutti i livelli pro­grammatori. Per garantire risposte efficaci e interventi mirati è infatti necessario mettere a sistema risorse per creare sinergie con quan­to prodotto e sperimentato a livello locale.

Visti in questo quadro, i PdZ assumono un ruolo decisivo per la costruzione di un sistema che potrà sempre più evolvere ed affermarsi quanto più sarà forte la responsa­bilità dell’organismo politico di perseguire e proseguire una logica di programmazione fortemente partecipata tra Comuni e a livello tecnico la competenza degli uffici Piano.

Umberto Fazzone Direttore Generale

Famiglia e Solidarietà Sociale

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ASPETTI POSITIVI E CRITICITÀ

Le voci dai Distretti«Che cosa è cambiato nel sistema di risposta ai bisogni dei cittadini:

luci e ombre dei Piani di Zona»: questa la domanda posta ai referenti di 98 distretti e sintetizzato dai referenti delle ASL. Ne pubblichiamo qui le risposte

che, messe una a seguito dell’altra, mostrano un quadro fedele dell’esperienza fin qui vissuta e indicano la direzione verso cui andare nel futuro prossimo.

BERGAMO L’introduzione dei Piani di Zona ha per­

messo di raggiungere un buon livello di equità nell’erogazione dei servizi. Alcuni ambiti fatica­no più di altri, ma l’impianto generale è servito a far crescere gli ambiti equilibrando i servizi sul territorio. Tra gli aspetti positivi: il potenziamen­to del personale e il miglioramento delle presta­zioni. Accanto ai risultati positivi, vanno comun­que evidenziate alcune zone d’ombra: la presen­za nei Comuni di forme di ritrosia, di rogine sto­rica o culturale, nei confronti della programma­zione condivisa; le indicazioni regionali hanno trovato alcune difficoltà a calarsi nelle specifiche peculiarità del territorio bergamasco.

L’incertezza, poi, sull’entità dei finanzia­menti (solo annuali) e la frammentazione dei canali di finanziamento ha determinato una dif­ficoltà nella programmazione unitaria e plurien­nale. Risulta inoltre opportuno migliorare il rac­cordo fra il ruolo dell’Assemblea dei Sindaci e il ruolo dell’Ufficio di Piano.

BRESCIA Punti positivi: il Piano di Zona ha permesso

di definire sul territorio equità e omogeneità degli interventi a favore della popolazione e ha portato a una maggiore informazione e cono­scenza dei servizi, facilitando l’accesso dei citta­dini agli stessi. L’Ufficio di Piano è divenuto un luogo di confronto, dibattito, pensiero rispetto alle risposte ai bisogni dei cittadini. Con i tavoli tecnici è stato possibile incontrare i vari interlo­cutori territoriali e evidenziare i diversi bisogni.

Punti critici. Difficoltà di rendere omogenea la programmazione dei servizi/interventi sociali in un territorio quanto mai eterogeneo; mancan­za di un adeguato incremento delle risorse uma­ne ed economiche; difficoltà a realizzare il rac­cordo tra le politiche sociali, sanitarie, educative, formative, culturali, urbanistiche e abitative.

COMO Il processo di assunzione di sviluppo delle

politiche sociali da parte dei Comuni – iniziato

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nel 2002 – è ormai concluso, con limitate ecce­zioni in materia di adozioni, anche in virtù del­le peculiarità della materia. Il pieno esercizio da parte dei Comuni delle attività socio-assistenzia­li “ex delegate” costituisce un positivo presup­posto per la completa espressione della pro­grammazione zonale. I titoli sociali sono stati introdotti presso tutti i territori consolidando il loro utilizzo; è stato costituito, nel 2004, un Tavolo tecnico coordinato dall’ASL per l’indivi­duazione di criteri comuni. I Tavoli di confron­to con il Terzo Settore, in particolare, costitui­scono spesso l’evoluzione di Tavoli tecnici o tematici già presenti presso tutti gli ambiti per la predisposizione dei PdZ; si rilevano a volte cri­ticità nell’utilizzo di tali strumenti e nei rapporti con i soggetti del Terzo Settore.

CREMONA L’introduzione dei Piani di Zona ha per­

messo di prendersi un tempo per migliorare il funzionamento dei Servizi socio-assistenziali ed evitare inutili sprechi. Ma la visione d’insieme è un obiettivo ancora in parte percepito come in contrapposizione o distante dalle politiche dei singoli Comuni. Il rischio della programmazio­ne e gestione unitaria è, però, la distanza che può crearsi rispetto al cittadino. Una distanza che può essere colmata con l’attenzione alla comunicazione e alla trasparenza dei processi di aiuto, attraverso la preparazione degli opera-tori sociali e la partecipazione delle associazio­ni che rappresentano le istanze dei cittadini.

In questo senso, la sensazione degli ope­ratori è di lavorare in costante affanno rispetto agli impegni. La richiesta primaria è quella di qualificare maggiormente lo scambio e la

comunicazione con i Comuni, favorendo una maggiore visibilità dell’operato del Piano di Zona, potenziando una gestione centralizzata a livello distrettuale.

LECCO Le positività rilevate sono: la valorizzazio­

ne delle risorse del territorio, per un buon lavo­ro di rete; l’associazionismo tra Comuni di alcu­ne subaree che ha permesso la realizzazione del SAD e del Servizio Sociale di base in tutti i Comuni; la costituzione dei Tavoli Tematici che ha permesso a una pluralità di esperienze di incontrarsi, confrontarsi, discutere e condivide­re problematiche sociali; la valorizzazione delle professionalità; la creazione di una cultura con­solidata in materia di servizi sociali.

Tra i punti critici si sono invece evidenzia­ti: alcuni contrasti politici; le differenze tra Comuni di dimensioni diverse e il problema della rappresentatività di quelli più piccoli; il non completamento di un programma di inte­grazione socio-sanitaria; la scarsità di risorse economiche che si ripercuote sulla programma­zione e sull’offerta dei servizi sociali; il poco tempo, le scarse risorse a disposizione dell’Uffi­cio di Piano. Le strategie di miglioramento dovrebbero essere orientate alla necessità di creare maggiore condivisione politica nelle scel­te programmatorie e di potenziare la compe­tenza tecnica e gestionale.

LODI Nei distretti di Lodi e Casalpusterlengo si è

in piena fase attuativa e si sta cercando di inter­pretare il mandato del Piano di Zona come: opportunità per affrontare problemi di rilevan­

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za sociale con modalità integrate; invito a un’in­novazione organizzativa del sistema dei servizi, rendendo la spesa più congruente alle necessi­tà del territorio e migliorando l’offerta in termi­ni di maggior accessibilità e omogeneità dei livelli di servizio.

Un primo esito, su cui continuare a inve­stire, è la crescita della consapevolezza rispetto alle problematiche sociali da parte degli ammi­nistratori, chiamati a orientare le scelte in termi­ni di politiche sociali. Esempi concreti della modalità di progettazione partecipata e condivi­sa sono i gruppi di lavoro sui problemi, l’equi­pe territoriale dei Servizi sociali coordinata dal-l’Udp, il Tavolo Tecnico, il Tavolo Istituzionale Sovradistrettuale che insieme alle Assemblee Distrettuali rappresentano gli organismi di Governance attivi e funzionanti nel territorio.

MANTOVA Nell’esperienza maturata fino a oggi, si è

riscontrata una maggiore omogeneità nelle risposte ai seguenti bisogni diversificati per aree: anziani, disabili e salute mentale, minori e famiglia, immigrazione ed emarginazione.

Per quanto riguarda i punti di debolezza, i vincoli imposti dalla Regione per l’utilizzo delle risorse economiche ci sembrano a volte in con­traddizione con la richiesta di programmazione autonoma dei PdZ. La distribuzione dei fondi regionali ci sembra poi tenga conto solo di un parametro di tipo quantitativo (N. abitanti), mentre una ripartizione con approccio di tipo qualitativo consentirebbe di tenere presente anche la composizione del tessuto sociale.

In seguito a un trend di invecchiamento della popolazione, inoltre, ai Comuni e ai

Distretti vengono sempre più richieste presta­zioni che si collocano in una zona border line tra il sociale e il sanitario. A queste richieste non sempre si riesce a dare risposta integrata tra i vari servizi.

MILANO CITTÀ Il modello di governance del Piano di

Zona 2006-2008 del Comune di Milano si attua tenendo conto dell’evoluzione della domanda sociale, del Piano Generale di Sviluppo e della necessaria flessibilità e implementazione dei servizi e delle relative risorse. Uno dei principi ispiratori della costruzione e gestione del PdZ è quello di una maggiore “prossimità” e “condivi­sione”. Per questa ragione è stata avviata una collaborazione interassessorile in termini di definizione, di costruzione, di programmazione, di monitoraggio e di intervento di sistema, inte­grando le politiche sociali con quelle sanitarie, urbanistiche, della casa, culturali, della sicurez­za, del lavoro. Ispirandosi al modello di gover­nance europea, sono stati assunti come fonda­menti della governance milanese i cinque prin­cipi seguenti: apertura, partecipazione, respon­sabilità, efficacia e coerenza.

MILANO 1 La programmazione sociale di zona ha

favorito un sistema di servizi e interventi sociali integrato e partecipato. Un’occasione per inno­vare i servizi, innescare processi di integrazione, di connessione e relazione sia tra i Comuni, sia con il Terzo Settore attraverso i tavoli d’area. Il tutto supportato da una raccolta dati che ha per­messo un’analisi dei bisogni. Accanto agli esiti positivi, alcuni ambiti hanno evidenziato criticità

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non ancora superate. Tra di esse, alcune diffi­coltà: nel prendere decisioni programmatorie che vadano oltre gli interventi finanziati con il fondo aggiuntivo del F.N.P.S.; nel costruire un’in­tegrazione degli interventi e servizi già esistenti all’interno dei singoli Comuni; nell’armonizzare i criteri e i regolamenti di accesso ai servizi.

MILANO 2 Tra i punti di forza sono da annoverare: la

riqualificazione dei servizi in essere e l’avvio di nuovi interventi; il rafforzamento della rete dei servizi e del ruolo di regia degli Enti Locali; la condivisione di linguaggio, approccio, modalità di intervento tra i Comuni; l’aumento di profes­sionalità e competenze tecniche all’interno dei Comuni; l’avvio di un processo di crescita delle realtà del Terzo Settore; le integrazioni con altri strumenti di pianificazione; l’introduzione di una logica di valutazione degli interventi, alla quale concorrono gli “utenti” dei servizi.

Tra le criticità: non è stata raggiunta una razionalizzazione dei costi; serve un’evoluzione dell’Ufficio di Piano; la gestione di risorse defi­lata rispetto ai bilanci non consente una pro­grammazione economica degli interventi socia­li; i meccanismi decisionali riguardo alla pianifi­cazione dei servizi non sempre si sono mostra­ti efficienti. In un’ottica sovradistrettuale, infine, il territorio di ASL Milano 2 presenta ancora disomogeneità tra i livelli organizzativi e qua­li/quantitativi della gestione associata e dell’of­ferta di servizi tra i diversi ambiti.

MILANO 3 Sul territorio dell’Asl Provincia di Milano 3,

il processo di integrazione istituzionale, gestio­

nale e professionale degli Ambiti Territoriali si è sviluppato secondo linee coerenti con gli indi­rizzi regionali. In esito a uno specifico percorso di formazione, dove sono emerse criticità e sono stati suggeriti specifici strumenti di sem­plificazione, si è giunti a gennaio 2007 alla fir­ma dell’Accordo di Programma per la Gover­nance in ambito socio sanitario. Una tappa fon­damentale, che ha portato a individuare nella dimensione distrettuale il luogo di elaborazione partecipata della programmazione Socio Sanita­ria e sociale. Giova sottolineare lo sforzo che gli ambiti stanno compiendo nell’alimentazione del Sistema informativo sociale regionale, costituito da Report che, declinando per target di fragilità la scelta nella destinazione delle risorse, con­sentono anche di disporre di indicatori utili ai fini della programmazione sociale successiva.

PAVIA I Piani di Zona nel primo Triennio, si era-

no posti come obiettivi primari l’introduzione del Segretariato Sociale nei Comuni che ne era-no privi e l’istituzione dei titoli sociali, interven­ti che si sono rivelati utili per il mantenimento al domicilio dei soggetti fragili. Inoltre, la pro­gettazione condivisa ha dato luogo a un mag­gior coinvolgimento degli amministratori locali e dei referenti sociali dipendenti dai Comuni. La maggiore vicinanza ai bisogni dei cittadini ha aumentato le capacità di risposta.

Sull’altro fronte, per alcuni Distretti si rileva una certa difficoltà nell’utilizzare le norme che regolamentano il PdZ come strumento per l’or­ganizzazione ed erogazione di servizi e inter­venti sociali a livello integrato. Alcuni Distretti, inoltre, segnalano la perplessità a individuare la

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tipologia della forma di gestione associata per la gestione del Piano di Zona, dovute ai costi di gestione che qualsiasi forma comporterebbe; tali oneri si rifletterebbero negativamente sulla quantità dei servizi erogati ai cittadini.

SONDRIO Punti di forza: l’istituzione del Servizio

Sociale di Base ha permesso maggior capillari­tà e uniformità nel sistema di rilevazione dei bisogni sul territorio e di risposta agli stessi; maggior coinvolgimento degli Enti Locali e del Terzo Settore nelle fasi di lettura del bisogno e della programmazione; passaggio dalla gestio-ne delegata a una gestione associata dei servi­zi secondo principi di solidarietà; utilizzo dei titoli sociali (per alcuni Uffici di Piano).

Criticità: l’Ufficio di Piano, essendo titola­re sia della programmazione degli interventi sia della gestione ed erogazione dei servizi, rischia di spostare la propria attenzione più sugli aspetti gestionali che quelli di programmazio­ne; eccessivi vincoli da parte della Regione (per alcuni uffici di Piano); poca certezza nell’entità delle risorse e ritardi nella loro assegnazione (per alcuni Uffici di Piano); ruolo non definito del Terzo Settore rispetto alla progettazione.

VALLECAMONICA Il Piano di Zona è servito ai Comuni per

iniziare a pianificare: pianificazione come moti­vo di riflessione, momento di rielaborazione dell’esperienza fatta, integrazione delle diverse soggettività, mappatura dei servizi esistenti. Il secondo elemento di positività è che le politi­che sociali, da quando ci sono i PdZ, hanno ottenuto la giusta visibilità nell’agenda degli

amministratori. Terzo elemento: si è cercato di uniformare i criteri di accesso dei cittadini ai servizi, non facile per un territorio complesso come il Distretto di Valle Camonica formato da comuni montani di piccole dimensioni.

L’UdP rileva la mancata integrazione tra i servizi sociali e le altre politiche: quelle della casa, quelle formative, quelle del lavoro. Infine, ci si interroga sul futuro della 328/2000 e dei Piani di Zona, sul mantenimento dei fondi di cui alla ex circolare 4 e sulle future fonti di finanziamento.

VARESE Per quanto riguarda gli aspetti positivi,

emerge la condivisione a livello sovracomuna­le di scelte e modalità di intervento quali lo svi­luppo del servizio sociale nei Comuni che ne erano privi; la definizione zonale di criteri di accesso ai titoli sociali; l’avvio di relazioni con enti e organizzazioni del privato sociale con la conseguente messa in rete degli Enti che han­no partecipato alla programmazione zonale.

Sul versante delle criticità si segnala anco­ra qualche difficoltà sul versante di un più approfondito coinvolgimento con le organizza­zioni del Terzo Settore e della totale copertura del territorio con l’istituzione del servizio socia­le professionale. Qualche criticità viene altresì segnalata relativamente all’auspicata integrazio­ne con la programmazione dei servizi sanitari territoriali, valutata non sempre soddisfacente, alle scelte a livello zonale di utilizzo del fondo unico e, talvolta, i vincoli posti dalle delibera­zioni regionali sulla destinazione delle risorse, ritenute non sempre e completamente rispon­denti ai bisogni rilevati a livello territoriale.

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Gli indirizzi dei referenti

Ecco tutti i DistrettiIn questa sezione sono riportati i distretti suddivisi per ASL,

con l’indicazione - tra parentesi - del numero di Comuni che appartengono al distretto. Per ogni distretto, inoltre, è indicato l’ente capofila

con i riferimenti (indirizzo,numero di telefono, indirizzo e-mail).

BERGAMO ● Alto Sebino (10) Comunità Montana Alto Sebino Via del Cantiere 4 - Tel.: 035 4349823 [email protected] ● Albino (Valle Seriana) (18) Comune di Albino - Piazza Libertà Tel.: 035 759621 - [email protected] ● Bergamo (6) Comune di Bergamo P.za Matteotti 27 (24100) - Tel.: 035 399893 [email protected] ● Dalmine (17) Comune di Dalmine P.za Libertà 1 (24044) - Tel.: 035 6224797 [email protected] ● Grumello (8) Comune di Bolgare - Via Dante 24 Tel.: 035 4493930 - [email protected] ● Romano di Lombardia (17) Comune di Romano di Lombardia P.za Giuseppe Longhi Sindaco 5 Tel.: 0363 919255 - [email protected] ● Seriate (11) Comune di Seriate - Piazza Alebardi 1 Tel.: 035 304293 [email protected] ● Treviglio (18) Comune di Caravaggio P.za Garibaldi 9 (24043) - Tel.: 0363 351190 [email protected] ● Isola Bergamasca (24) Azienda Consortile Ambito Isola Bergamasca e

Bassa - Via Garibaldi 15 - Bonate Sotto Tel.: 335 7903855 - [email protected] ● Monte Bronzone-Basso Sebino (12) Comunità Montana Monte Bronzone e Basso Sebi­no - Via Roma 35 - 24060 Villongo Tel.: 035 927031 - [email protected] ● Valle Brembana (38) Comunità Montana Valle Brembana Via don A.Tondini 16 - 24014 Piazza Brembana Tel.: 0345 81177 [email protected] ● Valle Cavallina (20) Comunità Montana Val Cavallina Via Don Zinetti 2/d - Tel.: 035 824457 [email protected] ● Valle Imagna e Villa D’Almè (21) Comunità Montana Valle Imagna Via V. Veneto - S. Omobono Terme Tel.: 035 85.13.82 [email protected] ● Valle Seriana Superiore e Valle di Scalve (24) Com. Montana Valle Seriana Superiore Via Angelo Maj 6 - Clusone Tel.: 0346 25841 - [email protected]

BRESCIA ● Bassa Bresciana Centrale

(Leno distretto 9) (20) Comune di Ghedi - Piazza Roma 45 Tel.: 030 9058255 [email protected] ● Bassa Bresciana Occidentale

(Orzinuovi distretto 8) (15)

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Comune di Orzinuovi - Via A. da Brescia 2 Tel.: 030 9942347 [email protected] ● Bassa Bresciana Orientale

(Montichiari distretto 10) (7) Comune di Montichiari P.za Municipio 1 - Tel.: 030 9656306 [email protected] ● Brescia Est (Rezzato distretto 3) (13) Comune di Rezzato - Piazza Vantini 21 (25086) Tel.: 030 249747 [email protected] ● Brescia (distretto 1) (2) Comune di Brescia - Piazza Loggia 1 Tel.: 030 2977666 - [email protected] ● Brescia Ovest (Gussago distretto 2) (11) Comune di Gussago - Via Perracchia 3 Tel.: 030 2526867 [email protected] ● Salò (distretto 11) (22) Comunità Montana Parco Alto Garda Bresciano Via Oliva 32 - 25084 Gargnano - Tel.: 036 5521087 ufficio.assistentisociali@cm_parcoaltogarda.bs.it ● Monte Orfano (distretto 6) (6) Comune di Palazzolo sull’Oglio Via Torre del Popolo 2 - Tel.: 030 7405542 [email protected] ● Oglio Ovest (Chiari distretto 7) (11) Comune di Chiari P.za Martiri della Libertà - Tel.: 030 7008238 [email protected] ● Sebino (Iseo distretto 5) (12) Comune di Iseo- Piazza Garibaldi 10 Tel.: 030 9868770 - [email protected] ● Valle Sabbia (distretto 12) (27) Comunità Montana di Valle Sabbia Via G. Reverberi 2 - 25070 Nozza di Vestone Tel.: 0365 81138 - [email protected]; [email protected] ● Valle Trompia (distretto 4) (18) Comunità Montana di Valle Trompia Via Matteot­ti 327 - 25063 Gardone - Tel.: 030 8337426 [email protected]

COMO ● Campione d’Italia (1) Comune Campione d’Italia Piazzale Maestri Campionesi - Tel.: 41916419134 [email protected]

● Cantù (8) Comune di Cantù - Via Cavour 19 Tel.: 031 717716 - [email protected] ● Como (25) Comune di Como - Via Italia Libera 18/A (22100) Tel.: 031 252635 - pianodi [email protected] ● Dongo (18) Comune di Gravedona P.za San Rocco 1 (22015) - Tel.: 0344 916031 [email protected] ● Erba (26) Consorzio Erbese Servizi alla Persona P.zza Prepositurale 1 (22036) - Tel.: 031 647450 [email protected] ● Mariano Comense (6) Città di Mariano Comense P.za C.T. Manlio 6/8 (22066) - Tel.: 031 749378 [email protected] ● Menaggio (36) Azienda Sociale Centro Lario e Valli Via Lusardi 26 (22017) - Tel.: 034 430274 [email protected] ● Olgiate Comasco (23) Consorzio Servizi Sociali dell’Olgiatese P.za Volta 1 (22077) Tel.: 031 994657 - [email protected] ● Lomazzo - Fino Mornasco (19) Azienda Sociale Comuni Insieme P.za IV Novembre 4 - 22074 Lomazzo Tel.: 029 6941221 [email protected]

CREMONA ● Casalmaggiore (20) Comune di Casalmaggiore Piazza Garibaldi 26 - Tel.: 0375 284486 [email protected] ● Crema (48) Comunità Sociale Cremasca asc Piazza Duomo 25 - Tel.: 0373 876625 [email protected] ● Cremona (47) Comune di Cremona Piazza del Comune 8 (26100) - Tel.: 0372 407330 [email protected]

LECCO ● Bellano (32) Comunità Montana Valsassina Valvarrone

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Val d’Esino e Riviera Via Roma 40 - 23816 Barzio - Tel.: 0341 821124 [email protected] ● Lecco (32) Comune di Lecco Via Sassi - Tel.: 0341 2414251 [email protected] ● Merate (26) Azienda speciale Consortile retesalute Via per Robbiate 8 - 23807 Merate Tel.: 039 9285167 - [email protected]

LODI ● Casalpusterlengo-Lodi (49) Comune di Lodi - Piazza Broletto 1 Tel.: 0371 409332 - [email protected] ● S. Angelo Lodigiano (13) Comune di Sant’Angelo Lodigiano Viale Partigiani 14 - 26866 Tel.: 02 48015098 - [email protected]

MANTOVA ● Asola (12) Comune di Asola P.za XX Settembre - Tel.: 0376 733054 [email protected] ● Guidizzolo (9) Comune di Castiglione delle Stiviere Via C. Battisti 4 - Tel.: 0376 679279 [email protected] ● Mantova (16) Consorzio Progetto Solidarietà Via Conciliazione 128 - Tel.: 0376 376878 [email protected] ● Ostiglia (Destra Secchia) (17) Comune di Ostiglia Via Gnocchi Viani 16 (46035) - Tel.: 3204314788 [email protected] ● Suzzara (6) Comune di Suzzara P.za Castello 1- 46029 Suzzara Tel.: 0376 513261 - [email protected] ● Viadana (10) Consorzio Pubblico Servizio alla Persona P.za Matteotti 2 (46019) - Tel.: 0375 786230 [email protected]

MILANO ● Milano Città (1)

Comune di Milano - P.zza Scala 2 Tel.: 02 88463015 - [email protected]

MILANO 1 ● Abbiategrasso (15) Comune di Abbiategrasso Via San Carlo 23/c - Tel.: 02 94692518 [email protected] ● Castano Primo (11) Azienda Sociale C.so Roma (20022) - Tel.: 0331 888032 [email protected] ● Corsico (6) Comune di Corsico Via Monti 16 - Tel.: 02 4480445 [email protected] ● Garbagnate Milanese (13) Comune di Garbagnate Milanese P.zza De Gasperi 1 - Tel.: 02 9954577 [email protected] ● Legnano (11) Comune di Legnano P.za San Magno 6 - Tel.: 0331 472522 [email protected] ● Magenta (13) Comune di Magenta P.za Formenti 3 (20013) - Tel.: 02 9784503 [email protected] ● Rho (9) Comune di Rho P.za Visconti 24 - Tel.: 0293 332266 [email protected]

MILANO 2 ● Binasco (Area 6) (7) Comune di Pieve Emanuele Via Viquarterio 1 (20090) - Tel.: 02 907788351 [email protected] ● Cernusco sul Naviglio (Area 4) (9) Comune di Gorgonzola Via Italia 62 - Tel.: 02 95109120 [email protected] ● S.Giuliano Milanese (Area 2) (9) Comune di San Donato Milanese Via C. Battisti 2 (San Donato) - Tel.: 02 52772517 [email protected] ● Melzo (Area 5) (8) Comune di Melzo Piazza Vittorio Emanuele 1 - Tel.: 02 95120262

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P I A N I D I Z O N A

● Paullo (Area 1) (5) Via Castello 24 - Tel.: 0383 804941 Comune di Paullo [email protected] Via Mazzini 28 - Tel.: 02 90632454 ● Certosa (24) [email protected] Comune di Landriano ● Pioltello (Area 3) (4) P.za Garibaldi 14 - Tel.: 0382 64001 Vimodrone [email protected] Via Cesare Battisti 56 - Tel.: 02 25077236 ● Corte Olona (25) [email protected] Comune di Albuzzano ● Rozzano (Area 7) (4) P.za Venco, 1 (27010) - Tel.: 0382 584001 Comune di Rozzano [email protected] P.zza G.Foglia 1 (20089) - Tel.: 02 8226351 ● Garlasco (27) [email protected] Comune di Sannazzaro de’ Burgondi

Via Cavour 18 - Tel.: 0382 995608 MILANO 3 [email protected] ● Carate Brianza (13) ● Mortara (20) Comune di Lissone Comune di Mortara Via Gramsci 21 - Tel.: 039 7397257 P.za Martiri della Libertà 21 - Tel.: 0384 2564226 [email protected] [email protected] ● Cinisello Balsamo (4) ● Pavia (12) Comune di Cinisello Balsamo Comune di Pavia P.za Confalonieri 5 (20092) Tel.: 02 66023348 P.za Municipio 3 - Tel.: 0382 399504 [email protected] [email protected] ● Desio (6) ● Vigevano (4) Comune di Desio Comune di Vigevano Via Gramsci 3 - Tel.: 0362 392339 C.so Vittorio Emanuele II 25 (27029) [email protected] Tel.: 0381 299847 ● Monza (3) ● Voghera (24) Comune di Monza Comune di Voghera - P.za Duomo 1 Piazza Trento e Trieste - Tel.: 039 2372719 Tel.: 0383 336402 [email protected] [email protected] ● Seregno (6)Comune di Seregno SONDRIOVia Umberto I 76/78 - Tel.: 0362 263409 ● Bormio (6)[email protected] Comunità Montana Alta Valtellina● Sesto S. Giovanni - Cologno Monzese (2) Via Roma 1 - 23032 BormioComune di Sesto S. Giovanni Tel.: 0342 909415 - [email protected] della Resistenza 5(20099) ● Chiavenna (13)Tel.: 02 24885258-51-52 Comunità Montana della Valchiavenna● Vimercate-Trezzo sull’Adda (29) Via della Marmirola 3 (23022) - Tel.: 0343 67300Offertasociale ASC [email protected] Marconi 7/d - Vimercate - Tel.: 039 6358071 ● Morbegno (25)[email protected] Comunità Montana Valtellina di Morbegno

Viale Stelvio 23/A (23017) - Tel.: 0342 619030 PAVIA [email protected] ● Broni (26) ● Sondrio (22) Comune di Broni Comune di Sondrio P.za Garibaldi 12 (27043) - Tel.: 0385 250642 Via Perego 1 - Tel.: 0342 526428 - [email protected] [email protected] ● Casteggio (28) ● Tirano (12) Comune di Casteggio Comunità Montana Valtellina di Tirano

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P I A N I D I Z O N A

Via Maurizio Quadrio 11 - 23037 Tirano [email protected] Tel.: 0342 708535 - [email protected] ● Laveno (26)

Comunità Montana della Valcuvia VALLECAMONICA Piazza Marconi 1 - 21030 Cuveglio ● Vallecamonica (42) Tel.: 0332 658516 Comunità Montana di Vallecamonica [email protected] P.za Tassara 3 - 25043 Breno ● Luino (26) Tel.: 0364 324058 Comune di Luino [email protected] Piazza Crivelli Serbelloni - Tel.: 0332 536727

[email protected] VARESE ● Saronno (6) ● Arcisate (11) Comune di Saronno Comunità Montana Valceresio Piazza Repubblica 7 (21047) - Tel.: 02 96710241 Via Matteotti 18 - Tel.: 0332 850276 [email protected] [email protected] ● Sesto Calende (13) ● Azzate (13) Comune di Sesto Calende Comune di Azzate P.za Cesare da Sesto 1 (21018) - Tel.: 0331 923210 Via Castellani 1 - Tel.: 0332 456311 [email protected] [email protected] ● Somma Lombardo (9) ● Busto Arsizio (1) Comune Somma Lombardo Comune Busto Arsizio P.za V. Veneto 2 - Tel.: 0331 989049 Via Frat. d’Italia 12 - Tel.: 0331 357822 [email protected] [email protected] ● Tradate (8) ● Castellanza (8) Comune di Tradate Comune Castellanza P.za Mazzini 6 - Tel.: 0331 826835 Viale Rimembranze 4 - Tel.: 0331 502118 [email protected] [email protected] ● Varese (12) ● Gallarate (8) Comune di Varese Comune di Gallarate Via Sacco n. 5 - Tel.: 0332 241111 Via Verdi 2 - Tel.: 0331 718315 [email protected]

Bibliografia e ricerche● R.Mayntz. La teoria della governance. Sfide e prospettive – in Rivista Italiana di Scienza Politica n. 1/99 Il Mulino. ● Battistella, De Ambrogio, Ranci Ortigosa. Il Piano di zona: costruzione, gestione, valutazione - Carocci Faber 2004. ● Balboni, Baroni, Mattioni, Pastori. Il sistema integrato dei servizi sociali - Giuffrè Editore 2002.

RICERCHE REALIZZATE IN COLLABORAZIONE CON IRER(ISTITUTO REGIONALE DI RICERCA DELLA LOMBARDIA):2003/04 - Analisi comparata di alcuni Piani diZona per gli interventi sociali (IRER-SDA Bocconi).2005/06 - Buoni e Voucher sociali in Lombardia(IRER-IRS).2006 - La costruzione degli indicatori di sussidia­rietà orizzontale (IRER-SDA Bocconi).

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P I A N I D I Z O N A

Gli atti della Regione Lombardiain attuazione della Legge 328/00

● Piano Socio Sanitario Regionale 2002-2004 del 13.03.2002 - “Libertà e innovazione al servizio della salute”.

CIRCOLARI

● Circolare 7/2002 del 29.04.2002 - Linee guida esplicative della d.g.r. 11 novembre 2001, n. VII/7069. ● Circolare 18/2003 del 6.06.2003 - Indicazioni ai Comuni e alle A.S.L. per l’attuazione e il monitoraggio dei Piani di Zona – Anno 2003. ● Circolare 6/2004 del 2.02.2004 - Indicazioni per l’attivazione e l’erogazione dei Buoni sociali e dei Vou­cher sociali. ● Circolare 7/2004 del 15.06.2004 - Indicazioni ai Comuni e alle A.S.L. per l’attuazione e il monitoraggio dei Piani di Zona - Anno 2004. ● Circolare 37/2004 del 18.10.2004 - Piani di Zona: indicazioni per il completamento della prima triennali­tà di programmazione nel corso dell’anno 2005. ● Circolare 14 del 22.03.2005 - Fondo nazionale politiche sociali 2004 - Indicazioni attuative della D.G.R. n. 19977 del 23 dicembre 2004 “Ripartizione delle risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali in applicazione della Legge 8 novembre 2000, n. 328 e dell’art. 4 commi 4 e 5 della LR 6 dicem­bre1999 n. 23. Anno 2004”. ● Circolare 34/2005 del 29.7.2005 Indirizzi per la programmazione del nuovo triennio dei Piani di Zona. ● Circolare 48/2005 del 27.10.2005 «Linee guida per la definizione dei Piani di Zona - 2 triennio».

DELIBERE RIPARTO DEL FONDO NAZIONALE

● DGR VII/7.069 del 23.11.2001. Ripartizione delle

risorse indistinte del Fondo nazionale per le politiche sociali in applicazione della legge 8 novembre 2000, n. 328 ed Assegnazione alle Aziende Sanitarie Locali e, per la parte di competenza, al Comune di Milano, dei finanziamenti destinati agli ambiti distrettuali. Anno 2001 ● DGR 10803 del 24.10.2002 – Riparto 2002 Ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali in applicazione della legge 8 novem­bre 2000, n. 328 e dell´art. 4, commi 4 e 5, della l.r. 6 dicembre 1999, n. 23. Assegnazione alle Aziende Sani­tarie Locali e, per la parte di competenza, al Comune di Milano, dei finanziamenti per l’anno 2002 relativi alle risorse indistinte, destinate agli ambiti distrettuali, ed alle risorse finalizzate all’attuazione delle leggi di setto­re. ● DGR 15452 del 5.12.2003 – Riparto 2003 Ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali in applicazione della legge 8 novem­bre 2000, n. 328 e dell’art. 4, commi 4 e 5, della l.r. 6 dicembre 1999, n. 23. Anno 2003. ● DGR 19977 del 23.12.2004 – Riparto 2004 Ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali in applicazione della legge 8 novem­bre 200, n. 328 e dell’art. 4, commi 4 e 5, della l.r. 6 dicembre 1999, n. 23. Anno 2004. ● DGR VIII/1642 del 29.12.2005 – Riparto 2005. Ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali in applicazione della legge 8 novem­bre 2000, n. 328 e dell’art. 4, commi 4 e 5, della l.r. 6 dicembre 1999, n. 23. Anno 2005. ● DGR 8/3921 del 27.12.2006 – Riparto 2006 Ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali in applicazione della legge 8 novem­bre 2000, n. 328/2000. Anno 2006.

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P I A N I D I Z O N A

Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale Regione Lombardia (in ordine alfabetico):Cesarina ColombiniCristina ColomboUmberto FazzoneTonino Franzoso

Ornella FusèMarco Grassi

Barbara RosenbergDavide Sironi

Si ringraziano per la collaborazione: I Responsabili degli UDP

I Direttori sociali delle ASLI Referenti ASL per gli UDP

Realizzazione: Servizi Editoriali srl - Via Pagliano 37 - 20149 Milano

In redazione: Luca Palestra (coordinamento)Grafica: Carlo Bertatini

Giugno 2007

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Direzione Generale Famiglia e Solidarietà SocialeVia Pola 9/11 - 20124 Milano

www.famiglia.regione.lombardia.it