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POLITECNICO DI BARI DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA ELETTRICA E DELL’INFORMAZIONE Corso di Laurea Triennale in Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni TESI DI LAUREA in FONDAMENTI DI OPTOELETTRONICA INVESTIGAZIONE TEORICO-SPERIMENTALE DI UN SISTEMA OPTOELETTRONICO DI DISTRIBUZIONE DI CLOCK PER L’ESPERIMENTO TOTEM ALL’LHC DEL CERN Relatore: Chiar.mo Prof. Ing. Vittorio PASSARO Correlatori: Dott. Francesco S. CAFAGNA Dott. Emilio RADICIONI Laureando: Andrea GIANNINI ANNO ACCADEMICO 2014 - 2015

POLITECNICO DI BARI - Istituto Nazionale di … DI BARI DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA ELETTRICA E DELL’INFORMAZIONE Corso di Laurea Triennale in Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni

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POLITECNICO DI BARI

DIPARTIMENTO DI

INGEGNERIA ELETTRICA E DELL’INFORMAZIONE

Corso di Laurea Triennale in Ingegneria Elettronica e delle

Telecomunicazioni

TESI DI LAUREA

in

FONDAMENTI DI OPTOELETTRONICA

INVESTIGAZIONE TEORICO-SPERIMENTALE DI UN

SISTEMA OPTOELETTRONICO DI DISTRIBUZIONE DI

CLOCK PER L’ESPERIMENTO TOTEM ALL’LHC DEL

CERN

Relatore:

Chiar.mo Prof. Ing. Vittorio PASSARO

Correlatori:

Dott. Francesco S. CAFAGNA

Dott. Emilio RADICIONI

Laureando:

Andrea GIANNINI

ANNO ACCADEMICO 2014 - 2015

1

Sommario Introduzione ................................................................................................................................................ 2

Capitolo 1 ...................................................................................................................................................... 4

Large Hadron Collider ......................................................................................................................... 4

L’esperimento TOTEM ........................................................................................................................ 6

Sistema optoelettronico di distribuzione di clock ................................................................. 10

Capitolo 2 ................................................................................................................................................... 15

Sistemi di comunicazione ottici .................................................................................................... 15

Lightwave Systems ............................................................................................................................ 15

Limitazioni dovute all’attenuazione delle fibre ottiche ...................................................... 21

Dispersione in fibra ottica .............................................................................................................. 26

Capitolo 3 ................................................................................................................................................... 34

Sistemi Wavelength Division Multiplexing .............................................................................. 34

Analisi e caratterizzazione di alcuni componenti di un sistema DWDM ...................... 37

Sorgente laser ................................................................................................................................. 37

Isolatore ottico ............................................................................................................................... 42

Circolatore ........................................................................................................................................ 45

Multiplexer a Demultiplexer ..................................................................................................... 49

Add-drop multiplexer .................................................................................................................. 52

Fiber Bragg Gratings .................................................................................................................... 55

Capitolo 4 ................................................................................................................................................... 57

Mach Zehnder modulator ............................................................................................................... 57

Analisi di alcune caratteristiche del Mach Zehnder modulator ....................................... 60

Conclusioni ................................................................................................................................................ 66

2

Introduzione

Il continuo aumento dell’energia sprigionata dalle collisioni di protoni dell’LHC, la

riduzione della distanza temporale tra i pacchetti di protoni che compongono i fasci

che viaggiano nella beam pipe, insieme all’aumento nella popolazione di protoni per

gruppo, pone nuovi quesiti sul futuro della ricerca nei vari campi della fisica, ma

richiede anche nuovi apparati tecnologici all’avanguardia.

Tra gli esperimenti di maggior importanza si inserisce il TOTEM Experiment,

che ha come obiettivo la misura la sezione d’urto totale protone-protone alle energie

dell’LHC, lo studio dello scattering elastico p-p e gli eventi diffrattivi.

La Collaborazione ha approvato un aggiornamento dell’esperimento TOTEM,

finalizzato ad una maggiore precisione nello studio dei processi così detti diffrattivi.

Per ottenere gli obiettivi richiesti, è necessario conoscere il momento di arrivo di ogni

traccia passante attraverso le Roman Pot. Per fare questo è necessario installare dei

rivelatori in grado di fornire l’istante esatto del passaggio della particella, in modo da

associarla ad un vertice di interazione ricostruito dall’esperimento CMS. Per far questo

è necessario che il rivelatore abbia una risoluzione temporale di ∼50 𝑝𝑠. Naturalmente,

una tale precisione, da realizzarsi in rivelatori distanti oltre 200 𝑚 dalla sorgente,

richiede una distribuzione del segnale di sincronizzazione (clock) in grado di garantire

alti livelli di precisione e bassissimi valori di jitter temporale.

Il presente lavoro di tesi è volto all’analisi teorico-sperimentale dei principali

elementi del sistema optoelettronico di distribuzione di clock.

Nel primo capitolo viene data una breve descrizione dell’LHC del CERN,

introducendo i principali esperimenti previsti in ogni punto di interazione, tra cui si

inserisce l’esperimento TOTEM. In seguito vengono descritti gli obiettivi

dell’esperimento, insieme alla descrizione dei rivelatori necessari al conseguimento

degli obiettivi proposti. Nella terza parte del capitolo, viene descritto il sistema di

distribuzione di clock, con particolare riferimento alle unità che compongono il

sistema.

Il secondo capitolo tratta dei sistemi di comunicazione ottici, introducendo i

principali tipi di architetture di sistema. In seguito vengono descritti i principali fattori

di perdita di un sistema di trasmissione in fibra ottica.

3

Nel terzo capitolo vengono spiegate le principali caratteristiche di un sistema

WDM. Vengono poi descritti e caratterizzati i principali componenti del sistema di

distribuzione di clock per l’esperimento TOTEM.

Il quarto capitolo riguarda l’analisi di alcune caratteristiche del modulatore

ottico scelto per il sistema di clock, analizzando i problemi principali legati alla

polarizzazione di tale dispositivo. In seguito viene proposta una possibile soluzione,

sostenuta da prove sperimentali.

4

Capitolo 1

Large Hadron Collider

Il Large Hadron Collider (LHC), è il più grande e il più potente acceleratore di particelle

mai costruito. Si trova presso l’ European Organization for Nuclear Research (CERN),

fondata nel 1954 al confine tra Francia e Svizzera, vicino alla città di Ginevra.

I principali campi di ricerca, intrapresi al CERN, hanno come obiettivo principale

la ricerca sperimentale nell’ambito della fisica delle particelle elementari, nonché lo

studio delle forze fondamentali che compongono la materia e delle interazioni ad esse

legate.

L’LHC è situato in un tunnel di circa 26,3 𝑘𝑚 di circonferenza, posto a circa

100 𝑚 di profondità. È nato nel 1994 per sostituire il precedente Large Electron

Positron (LEP) Collider, spento nel 2000. Il nuovo acceleratore è stato messo in funzione

per la prima volta nel settembre del 2008.

L’LHC è un acceleratore di particelle formato da due anelli, in cui viaggiano protoni o

ioni pesanti. Per trasferire loro l’energia necessaria, le particelle passano attraverso

una serie di acceleratori, che, ad ogni passaggio, aumentano la loro energia fino a

raggiungere quella necessaria per essere iniettate nell’LHC per l’accelerazione finale.

In particolare, le particelle passano prima attraverso il Linear Paricle Accelerator

(LINAC), a cui segue il BOOSTER, il Proton Synchroton (PS) e il Super Proton Synchroton

(SPS). In questo modo le particelle riescono ad essere accelerate fino ad energie di 450

GeV.

Dal SPS quest’ultimo, due fasci di particelle vengono estratti ed iniettati negli

anelli dell’LHC, per l’accelerazione finale che può portare le particelle ad una energia

massima di 7 𝑇𝑒𝑉. I fasci di particelle, così accelerati, vengono compressi in pacchetti

e portati a collidere in quattro punti di interazione (interaction points, IP), in modo da

sfruttare l’urto della interazione per raggiungere un massimo di 14 𝑇𝑒𝑉 di energia

disponibile per collisione. All’energia massima di accelerazione, le particelle

5

raggiungono una velocità di circa 0,999999991𝑐, ovvero circa tre metri al secondo più

lenti della velocità della luce.

In ogni punto di interazione, sono stati previsti degli esperimenti, tra questi i

principali sono: ALICE ,ATLAS, CMS, LHCb, TOTEM ed LHCf.

FIGURA 1

L’obiettivo principale dell’esperimento ATLAS (A Toroidal LHC Apparatus) e

dell’esperimento CMS (Compact Muon Solenoid) è la ricerca del bosone di Higgs,

particella teorizzata nel così detto Modello Standard. Questa particella è stata rivelata

nel 2012, dai due esperimenti suddetti, , confermando le previsioni del modello.

L’esperimento ALICE (A Large Ion Collider Experiment) è stato progettato per

studiare lo stato della materia detto quark-gluon plasma, uno stato in cui si sarebbe

dovuta trovare la materia nei primi istanti della nascita dell‘Universo.

Con LHCb (Large Hadron Collider beauty) si vuole studiare nel dettaglio il

decadimento di particelle contenenti quark bottom, alla ricerca di eventi rari che

6

spieghino il perché della asimmetria cosmologica tra materia e antimateria

nell’Universo.

Large Hadron Collider forward (LHCf) e TOTal cross section, Elastic scattering

and diffraction dissociation Measurement (TOTEM) sono esperimenti dedicati

specificatamente allo studio dei processi che si verificano nelle interazioni associate

alla produzione della maggior parte delle particelle secondarie, nella ragione in avanti,

la cosiddetta regione Forward.

L’esperimento TOTEM

L’obiettivo principale dell’esperimento TOTEM, è quello di rivelare le particelle che

emergono, dall’interaction point, con piccoli angoli rispetto all’asse del fascio, al fine di

misurare la sezione d’urto totale protone-protone alle energie dell’LHC, e di studiare lo

scattering elastico p-p e gli eventi diffrattivi.

Grazie all’utilizzo di tre tipi di rivelatori disposti simmetricamente rispetto

all’interaction point, è possibile coprire intervalli di pseudo-rapidity ,non coperti da

altri rivelatori, un fattore che dà informazioni sull’angolo che si forma tra la particella

diffratta e il fascio di particelle principale. A seconda della posizione e delle accettanza

geometrica dei tre tipi di rivelatori, ciascun detector è in grado di ricoprire un diverso

intervallo di pseudo-rapidity.

Inoltre sono previste delle campagne di prese dati assieme a CMS, in modo da

ottenere la copertura di una regione di pesudo-rapidità, mai raggiunta in precedenza.

TOTEM è stato progettato per sfruttare al meglio il focheggiamento dei magneti di LHC.

In particolari condizioni dell’ottica magnetica e della intensità del fascio, l’accettanza

dei rivelatori di TOTEM diventa massima, per determinate topologie di evento. Queste

condizioni di fascio, vengono realizzate appositamente per TOTEM, in brevi periodi

dell’anno, dedicando completamente la presa dati a questo esperimento. Si rende

quindi necessario sfruttare al massimo i brevi periodi di presa dati concessi, rendendo

il più efficiente e veloce possibile la presa dati dell’esperimento.

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Come detto in precedenza, l’esperimento TOTEM utilizza tre tipi di rivelatori: due

telescopi 𝑇1 e 𝑇2 posizionati rispettivamente a 9 𝑚 e a 13 𝑚 dal punto di interazione,

e delle Roman Pots (RP). Queste sono state posizionate in un primo tempo a 147 𝑚 e

220 𝑚 dall’IP, ed in seguito ricollocate a 210m e 200m dall’IP. I telescopi sono rivelatori

a gas utilizzati per rivelare particelle che subiscono fenomeni di interazione inelastica

ad alti valori di pseudo-rapidity. Al contrario le Roman Pots, permettono di rivelare

particelle che emergono con angoli molto piccoli rispetto alla direzione di

propagazione del fascio principale, grazie all’utilizzo di rivelatori particolari, formati

da piani di silicio disegnati in modo tale da presentare la massima superficie sensibile

possibile, all’ avvicinarsi verso il fascio.

FIGURA 2

Il telescopio 𝑇1 è formato da due bracci a forma conica; posizionati all’interno

dell’esperimento CMS, a distanza di 9 𝑚 dall’IP. Ha un ruolo importante nel

determinare il vertice del punto di interazione e nel produrre segnali di trigger

utilizzati per discriminare le interazioni che hanno un vertice nel IP. Il detector è

formato da Cathode Strip Chambers (CSC) di forma trapezoidale e di grandezza diversa.

Gruppi di sei camere, formano una struttura ad anello intorno al fascio in un piano

perpendicolare ad esso. Ciascun ramo del telescopio è formato da cinque di questi piani

disposti in modo da mantenere la stessa distanza fra di loro, dove il più piccolo è quello

più vicino all’interaction point.

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FIGURA 3

Anche il tescopio 𝑇2è formato da due bracci posizionati a distanza di 13,5 𝑚 dal punto

di interazione. Questi detector permettono lo studio di eventi diffrattivi, e sono

rivelatori basati sulla tecnologia Triple-Gas Electron Multiplier (GEM).

Le camere GEMs sono formate da fogli di polimeri spessi 50 µ𝑚 ricoperti di uno

strato di 5 µ𝑚 di rame da entrambi i lati. È possibile praticare buchi di 70 µ𝑚 di

diametro, distanziati tra loro di 140 µ𝑚 , in modo tale da ottenere elevati valori di

campo elettrico in questi buchi e in modo da accelerare, al loro interno, gli elettroni

rilasciati nel gas da radiazioni ionizzanti. Grazie a questo meccanismo di accelerazione,

si riescono ad ottenere elevati valori di guadagno utilizzando tre fogli GEM a distanza

di 2 𝑚𝑚 l’uno dall’altro.

Le camere di 𝑇2 hanno forma semicircolare, con raggio interno posto verso il

beam pipe. Un quarto del telescopio è formato da 10 camere GEM; un braccio di T2 è

formato da 20 camere disposte in modo simmetrico rispetto al fascio, in modo da

ottenere una completa copertura nell’angolo azimutale nella rivelazione delle

particelle.

9

FIGURA 4

I Roman Pot sono dispositivi che permettono l’inserimento di rivelatori, nel tubo del

fascio di LHC. I rivelatori sono disposti in una camera inserita nel vuoto secondario del

fascio, un meccanismo motorizzato, permette di portare lentamente i rivelatori

all’interno della camera, al fine di avvicinarli il più possibile al tubo di vuoto primaio in

cui circola il fascio. Questo permette di rivelare particelle diffratte con angoli molto

piccoli rispetto alla direzione del fascio.

Grazie a questo meccanismo, è possibile riuscire ad avvicinare i rivelatori fino a 1 𝑚𝑚

di distanza dal fascio con una precisione di 10 µ𝑚.

Ciascun detector è formato da un piano di silicio spesso 300 µ𝑚. Dieci piani di

silicio formano un package, che viene inserito nella camera suddetta. La lettura della

carica rilasciata dalle particelle ionizzanti, viene effettuata attraverso strisce

depositate sul silicio; la geometria delle strisce e tale da minimizzare gli spazi morti

nella zone più vicina al fascio.

I 10 piani sono suddivisi in due gruppi da 5 orientati a ±45° rispetto al bordo più vicino

al fascio. Questo permette di ricostruire la direzione della particella, sfruttando le

informazioni delle due proiezioni spaziali..

Il movimento del package nelle Pot, avviene grazie ad un motore passo-passo che lo

avvicina al fondo della Pot. Tre Roman Pot formano una unit. in cui, due Pot sono

montate verticalmente rispetto al piano dell’acceleratore, mentre la terza è disposta

orizzontalmente. Due unit a distanza di 5 𝑚 formano una station. Durante la prima fase

di attività di LHC, un totale di 4 station sono state installate rispettivamente a ±147m e

±220m dal IP. In seguito le stazioni a ±147m sono state ricollocate ad una distanza di

10

±210m e quattro nuove pot orizzontali, due per ogni lato, sono state installate tra la

stazioni a ±220m.

Sistema optoelettronico di distribuzione di clock

Il sistema di distribuzione di clock scelto al fine di garantire alti livelli di precisione e

bassissimi valori di jitter temporale, è un sistema di tipo Dense Wavelength Division

Multiplexer (DWDM), forma di multiplazione a divisione di frequenza che verrà

approfondita nel terzo capitolo di questa tesi.

Il sistema richiede la distribuzione di due segnali di clock di riferimento inviati dalla

counting room a dei ricevitori disposti simmetricamente rispetto all’interaction point,

lungo l’LHC; a questi si aggiunge un terzo segnale che viaggia sulla stessa fibra ottica,

necessario per correggere i ritardi introdotti dal sistema di trasmissione ottico. Si può

suddividere il sistema in quattro unità principali: Transmission Unit, Distribution Unit,

Measurement Unit e Receiving Unit.

FIGURA 5

Nell’unità di trasmissione vengono generate due portanti ottiche da sorgenti laser

DWDM alle lunghezze d’onda centrali del canale 𝐼𝑇𝑈32 e 𝐼𝑇𝑈34 , rispettivamente

𝜆𝐶𝐻32 = 1551,72 𝑛𝑚 e 𝜆𝐶𝐻34 = 1550,12 𝑛𝑚 . I segnali passano attraverso degli

isolatori ottici, che proteggono la sorgente da eventuali riflessioni provenienti dai

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dispositivi successivi. I segnali di riferimento modulano le portanti ottiche mediante

un modulatore Mach Zehnder, che effettua una modulazione indiretta dei segnali in

uscita dalle sorgenti DWDM. A seguire, i segnali ottici vengono multiplati in un’unica

fibra ottica. Il segnale multiplato viene poi inviato all’unità di distribuzione.

FIGURA 6

Dall’unità di trasmissione, per compensare l’attenuazione introdotta dal multiplexer

ottico e dal seguente splitter dell’unità di distribuzione, è necessario un amplificatore

ottico Erbium-Doped Fiber Amplifier (EDFA). In seguito il segnale viene splittato in

quattro segnali multiplati da uno splitter ottico, che verranno trasmessi alle quattro

unità riceventi. Al segnale multiplato, va però aggiunto il terzo segnale di controllo

inviato dall’unità di misura.

FIGURA 7

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In questa unità, viene generato un segnale di riferimento che permette di quantificare

e correggere i ritardi introdotti dal sistema in fibra ottica. Una sorgente laser DWDM

genera il terzo segnale di lunghezza d’onda corrispondente a quella centrale del canale

𝐼𝑇𝑈36, 𝜆𝐶𝐻36 = 1548,51 𝑛𝑚. Anche in questo caso, la portante ottica generata passa

attraverso un isolatore ottico, e in seguito va in ingresso ad un modulatore ottico Mach

Zehnder. Il segnale di controllo viene generato da un Network Analyzer e mandato a

modulare la portante ottica. Quest’ultima viene inviata attraverso uno switch ottico, a

ciascuna unità di ricezione e ad un riflettore, utilizzato per la calibrazione. Il segnale

della portante di riferimento viene aggiunto ad ognuno dei quattro segnali multiplati

in uscita dallo splitter ottico grazie all’utilizzo di Add-Drop multiplexer. Il segnale

multiplato che ora trasporta l’informazione spettrale relativa alle tre portanti ottiche

modulate, viene trasmesso alle unità di ricezione poste nel tunnel a 220 𝑚 e 210 𝑚. Il

segnale di ritorno dalle unità di ricezione passa attraverso lo switch ottico e poi va in

ingresso alla porta 2 di un circolatore ottico che trasmette il segnale riflesso verso uno

strumento di misura. Un network analizer confronta la fase del segnale riflesso

ricevuto con il segnale di riferimento, in modo da ottenere informazioni sul ritardo che

risente il segnale passando attraverso ciascun canale di distribuzione.

FIGURA 8

Ciascun uscita degli add-drop multiplexer della measurement unit va in ingresso al

Fiber Bragg Grating (FBG) in ognuna unità di ricezione. Il FBG non fa altro che riflettere

la portante modulata dall’unità di misura. In ingresso al demultiplexer posto in cascata

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al reticolo di Bragg, arriverà un segnale multiplato formato dalle portanti modulate

corrispondenti alle lunghezze d’onda 𝜆𝐶𝐻32 e 𝜆𝐶𝐻34 . Il demultiplexer separa le

lunghezze d’onda del segnale multiplato su due fibre distinte poste in uscita dal

dispositivo. Infine i due segnali vengono demodulati da due fotorivelatori in ciascuna

unità di ricezione.

14

15

Capitolo 2

Sistemi di comunicazione ottici

Grazie alle caratteristiche di funzionamento delle fibre ottiche come mezzo di

propagazione guidata di campi elettromagnetici, si riesce ad ottenere una condizione

di trasferimento di potenza quasi perfetta tra ingresso e uscita di un sistema di

comunicazione ottico. Si noti che grazie alla condizione di Total Internal Reflection

(TIR) la potenza ottica incidente all’interfaccia core-cladding viene completamente

riflessa lungo la linea, facendo in modo che i raggi incidenti con angolo maggiore

dell’angolo critico rimangano intrappolati nel nucleo. Perciò le fibre ottiche si

comportano da mezzo di trasmissione praticamente perfetto. Vedremo che a causa di

meccanismi di perdita caratteristici di tali sistemi, si perde questa condizione ideale.

Inoltre, un sistema di trasmissione in fibra è immune a interferenza elettromagnetica,

è caratterizzato da bassissimi valori di Bit Error Rate (BER) e permette di ottenere

velocità di trasmissione dell’informazione non ottenibili con un sistema in cavo

coassiale. Questi ed altri vantaggi hanno portato alla nascita di sistemi di

comunicazione ottici, di cui si parlerà nel seguente capitolo.

Lightwave Systems

Un Lightwave System è un sistema di comunicazione in fibra ottica, composto da un

trasmettitore ottico, un canale di trasmissione in fibra ottica e un ricevitore ottico. È

possibile suddividere questi sistemi di trasmissione in tre grandi categorie, a seconda

del tipo di architettura: point-to-point links, distribution networks e local-area networks.

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FIGURA 9

Il compito di un collegamento point-to-point è quello di trasportare informazioni, in

forma di sequenza di bit, tra due sistemi in comunicazione, garantendo la massima

accuratezza possibile. A seconda delle applicazioni, la lunghezza dei collegamenti può

variare da meno di un chilometro a migliaia di chilometri. Ad esempio, spesso si sfrutta

l’immunità da interferenze elettromagnetiche dei collegamenti per mettere in

comunicazione più terminali non a grande distanza reciproca. In questi casi non sono

di primaria importanza i bassi valori di perdita e la larga banda delle fibre ottiche. Al

contrario, queste ultime due caratteristiche sono da tenere in conto in un sistema ottico

per collegamenti transoceanici, dove un collegamento in fibra permette di ridurre i

costi operativi. Se la lunghezza del collegamento supera di circa 20-100 𝑘𝑚 una certa

distanza prefissata di progetto, che varia a seconda della lunghezza d’onda utilizzata, è

necessario compensare le perdite in fibra affinché il segnale ricevuto sia rilevabile. Fino

al 1990 si sono utilizzati dei rigeneratori optoelettronici che rivelano il segnale ottico

ricevuto e lo convertono in una sequenza di bit che modula una sorgente ottica. Oggi

si utilizzano maggiormente gli amplificatori ottici, che permettono di amplificare

direttamente il segnale ottico evitando la conversione in segnale elettrico. Bisogna

considerare che questi ultimi aggiungono rumore, peggiorando gli effetti di

dispersione in fibra, perciò in alcuni casi è necessario ricorrere ad alcune tecniche di

compensazione degli effetti dispersivi. I ripetitori optoelettronici, siccome rigenerano

la sequenza di bit originaria, non causano complicazioni di questo tipo.

Un parametro di merito di questi sistemi è il bit rate-distance product BL, dove

L è la distanza tra i rigeneratori optoelettronici o tra gli amplificatori ottici. BL dipende

dalla lunghezza d’onda operativa, siccome sia il fenomeno della dispersione in fibra

ottica che il fenomeno dell’attenuazione introdotta dalle fibre dipendono da essa.

17

I sistemi point-to-point moderni che funzionano a grandi distanze, utilizzano

entrambi i tipi di dispositivi considerando un rigeneratore optoelettronico dopo una

serie di amplificatori ottici, in modo da compensare il rumore introdotto da questi

ultimi. Quello che si vorrebbe ottenere è un sistema di trasmissione dotato di

rigeneratori di segnale che funzionino nel dominio delle frequenze ottiche senza

convertire il segnale ricevuto in un segnale elettrico di frequenza molto più bassa.

Spesso si richiede ad un sistema di trasmissione in fibra ottica, che il segnale che

trasporta informazione non venga trasmesso tra due sistemi in comunicazione, ma che

venga distribuito verso più utenti; ad esempio questo accade nei sistemi di

distribuzione di servizi telefonici e nella trasmissione multicanale della TV via cavo. In

questo caso si parla di distribution networks, e le distanze sono in media minori di 50

𝑘𝑚.

FIGURA 10

Si parla di hub topology quando ciascun utente è connesso ad un nodo principale (hub)

posto al centro del sistema di trasmissione. Come nel i sistemi point-to-point, bisogna

tenere in conto sia dei fenomeni di dispersione, sia dei fenomeni di attenuazione, anche

se in minor misura grazie alle distanze ridotte dei network di distribuzione. Il

principale problema di un sistema di quest’ultima tipologia, è che il fuori servizio di

una singola fibra può compromettere gran parte del sistema di trasmissione, perciò

spesso si utilizzano dei sistemi point-to-point aggiuntivi per connettere insieme gli hub

più importanti.

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FIGURA 11

Si parla di bus topology, quando è una singola fibra ottica a trasportare il segnale

multicanale attraverso l’area di servizio. Ciascun utente preleva una frazione del

segnale trasmesso utilizzando degli accoppiatori. Grazie alla larga banda delle fibre

rispetto alla banda di un cavo coassiale, si riescono a trasmettere

contemporaneamente più di 100 canali su una stessa fibra ottica. Un inconveniente di

questa tipologia è l’alto contributo di perdite di segnale che cresce esponenzialmente

con il numero di collegamenti accoppiati. Infatti, se indichiamo con 𝑃𝑇 la totale potenza

trasmessa, 𝐶 il fattore di accoppiamento dell’accoppiatore, e δ un fattore che tiene

conto delle perdite di inserzione, si ha:

𝑃𝑅,1 = 𝑃𝑇𝐶

𝑃𝑇,1 = 𝑃𝑇(1 − 𝐶)(1 − 𝛿)

𝑃𝑅,2 = 𝑃𝑇𝐶(1 − 𝐶)(1 − 𝛿),

dove 𝑃𝑇,1 è la quantità di potenza trasmessa in fibra dopo la porta 1 e 𝑃𝑅,2 è la potenza

disponibile alla porta 2 (Figura 11). Di conseguenza la potenza disponibile alla porta 𝑁

sarà:

𝑃𝑅,𝑁 = 𝑃𝑇𝐶[(1 − 𝛿)(1 − 𝐶)]𝑁−1

19

Trascurando gli effetti di dispersione, si potrebbero porre lungo la tratta degli

amplificatori ottici al fine di incrementare la potenza del segnale che viaggia lungo la

fibra in modo da rendere disponibile l’informazione ad un numero elevato di utenti.

Spesso nasce la necessità di avere più utenti connessi contemporaneamente in un’area

limitata, in modo da permettere a ciascuno di accedere alla rete in modo casuale e di

trasmettere informazioni ad un qualsiasi altro utente connesso. In questo caso si parla

di local-area networks (LANs). Siccome le distanze tra sistema in trasmissione e sistema

in ricezione sono minori di 10 𝑘𝑚, il fenomeno di perdita delle fibre ottiche non causa

grossi problemi in questi sistemi di trasmissione, permettendo di sfruttare al meglio la

larga banda caratteristica di un sistema di comunicazione in fibra. La sostanziale

differenza tra una local-area network e una distribution network di topologia hub sta

nel fatto che quest’ultimo tipo di architettura di sistema non permette un accesso

casuale alla rete. Si utilizzano diverse topologie di sistema a seconda delle connessioni

tra i diversi elementi che compongono la rete.

È possibile anche con questo tipo di architettura di sistema, implementare una

bus topology, un esempio sono le reti Ethernet. In quest’ultimo caso si preferisce far uso

ancora di collegamenti in cavo coassiale, a causa degli eccessivi valori di perdita che

nascono in corrispondenza di ogni collegamento e che limitano il numero di utenti

connessi, come accade nella tipologia bus delle reti di distribuzione in fibra ottica.

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FIGURA 12

Invece, nella ring topology ciascun nodo è connesso al nodo adiacente tramite un

collegamento di tipo point-to-point fino a formare un anello. Ciascun nodo utilizza un

trasmettitore e un ricevitore per comunicare in rete, e può funzionare da ripetitore. Lo

scambio di informazioni avviene all’interno di un sistema di tipo token ring, nel quale

un particolare tipo di messaggio all’interno dell’anello stabilisce quale dei nodi della

rete può trasmettere informazioni e quale nodo può ricevere dati. Un esempio in fibra

ottica è il Fiber Distributed Data Interface (FDDI) che permette di ottenere una velocità

di trasmissione di 100 𝑀𝑏/𝑠 , utilizzando fibre multimodali con sorgenti di

trasmissione di tipo light-emitting diodes (LEDs) per connessioni all’interno di uno

stesso edificio e fibre monomodali che utilizzano sorgenti laser per trasmettere

informazioni tra edifici diversi; questo è dovuto al fatto che l’utilizzo di fibre

multimodali permette la contemporanea presenza di più modi propagativi all’interno

della fibra, sebbene limiti la distanza dei collegamenti e la banda utile, a causa del

fenomeno della dispersione modale delle fibre ottiche.

Per quanto riguarda la star topology, tutti i nodi della rete sono connessi ad un

nodo centrale, chiamato star o hub, tramite collegamenti di tipo point-to-point. Se il

nodo centrale è un dispositivo attivo, allora si parla di active-star network. In questo

21

caso i segnali ottici ricevuti vengono convertiti in segnali elettrici attraverso dei

ricevitori ottici, e la distribuzione dei segnali avviene nel dominio elettrico. Al

contrario, se il nodo centrale è un dispositivo passivo, la distribuzione avviene nel

dominio ottico, utilizzando accoppiatori direzionali. In questo caso si parla di passive-

star networks. Allo stesso modo della bus topology distribution network, anche in

quest’ultimo caso il numero di utenti connessi limita la totale potenza trasmessa alla

generica porta di uscita.

Limitazioni dovute all’attenuazione delle fibre ottiche

Le proprietà delle fibre ottiche dipendono dalla lunghezza d’onda dei modi propagativi

che viaggiano all’interno della fibra stessa, perciò la lunghezza d’onda è un parametro

di dimensionamento molto importante per un sistema di trasmissione ottico.

Si consideri un trasmettitore ottico in grado di trasmettere in fibra una potenza

media 𝑃𝑇 . Dopo 𝐿, lunghezza del mezzo trasmissivo posto lungo l’asse 𝑧, si misura una

potenza ricevuta 𝑃𝑅 < 𝑃𝑇 . Si può allora introdurre un parametro α di significato

generale, che quantifica le perdite di potenza in fibra ottica, tale che:

𝑑𝑃

𝑑𝑧= −αP

Considerando una sistema guidante lungo 𝐿, si ottiene:

𝑃𝑅 = 𝑃𝑇exp (−αL)

Si può esprimere il coefficiente di attenuazione in 𝑑𝑏/𝑘𝑚 :

α(dB/km) = −10

Llog10 (

𝑃𝑅

𝑃𝑇)

Come si osserva dalla figura seguente, l’attenuazione in fibra dipende dalla lunghezza

d’onda e presenta dei minimi locali che identificano le finestre di trasmissione

22

caratteristiche di un sistema di trasmissione ottico. I tre minimi locali in

corrispondenza di 0,8 µ𝑚 , 1,33 µ𝑚 e 1,55 µ𝑚 individuano la prima, seconda e terza

finestra.

Al diminuire di 𝜆 , le perdite aumentano molto, perciò non si utilizzano modi

propagativi di lunghezza d’onda inferiore a 0,8 µ𝑚.

FIGURA 13

La prima finestra di attenuazione è stata quella usata per prima; l’energia dei fotoni

corrispondenti a 𝜆 = 0,8 µ𝑚 è sufficiente a ionizzare atomi di silicio, quindi rendono

possibile il funzionamento di fotodiodi led al silicio. Per lunghezze d’onda maggiori non

si possono più utilizzare dispositivi al silicio, per questo motivo si sono sviluppati

semiconduttori di tipo ternario come l’arseniuro di gallio fosfato GaAsP che permette

di creare LED nella seconda di finestra di attenuazione, a 1,33 µ𝑚 .

I fattori di perdita in fibra si possono distinguere in due gruppi: perdite per

assorbimento e perdite radiative.

Per quanto riguarda le perdite per assorbimento, a loro volta si dividono in intrinseche

e estrinseche.

Le perdite intrinseche sono causate dall’interazione dell’onda che si propaga nel mezzo

trasmissivo, con i componenti del vetro che costituiscono i materiali della fibra stessa.

23

Un esempio è lo spettro di assorbimento infrarosso della silice SiO2. Ciononostante, il

contributo di quest’ultimo è trascurabile nelle finestre di lunghezze d’onda di interesse

per un sistema di trasmissione ottico.

Invece, le perdite estrinseche sono causate da impurezze presenti nel materiale

come ioni dei metalli di transizione (ad esempio 𝐹𝑒2+, 𝐶𝑢2+, 𝐶𝑟3+, etc.) che causano

perdite di assorbimento nell’intervallo di lunghezza d’onda comprese tra 0,6 µ𝑚 e

1,6 µ𝑚. Un fattore di perdita notevole è dovuto allo ione ossidrile 𝑂𝐻−. Si raggiungono

fattori di perdita di 50 𝑑𝐵/𝑘𝑚 con una concentrazione di 1 𝑝𝑝𝑚 , perciò nasce la

necessità di ottenere delle fibre ultra-pure al fine di ridurre la concentrazione di

impurezze. Oggi si riescono ad ottenere fibre ottiche che presentano una

concentrazione di 𝑂𝐻− minore di 1 𝑝𝑝𝑏 (una parte per miliardo). In Figura 13 si

osservano i caratteristici picchi di assorbimento dovuti allo ione ossidrile, in

corrispondenza di 1,24 µ𝑚 e 1,38 µ𝑚.

FIGURA 14

Come si osserva dalla figura precedente, si riesce a ridurre l’effetto delle perdite per

assorbimento rendendo possibile la trasmissione ottica in una finestra più larga delle

tre finestre di trasmissione caratteristiche di un sistema in fibra ottica. Questo rende

possibile l’utilizzo di un sistema di trasmissione di tipo Wavelength Division

Multiplexing (WDM), che verrà trattato in seguito.

24

Si parla di perdite radiative quando un segnale ottico in guida si accoppia con la

radiazione presente nel cladding. Lo scattering di Rayleigh è il fenomeno di perdita

radiativa predominante, ed è dovuto a inomogeneità di piccole dimensioni rispetto alla

lunghezza d’onda trasmessa, presenti all’interno della fibra. Queste imperfezioni si

formano in fase di fabbricazione e risultano in piccole fluttuazioni di densità. Ad alte

temperature le molecole di silice si orientano in modo casuale e nel momento della

realizzazione della fibra possono rimanere “congelate” causando inomogeneità nel

mezzo trasmissivo. Le perdite dovute allo scattering di Rayleigh sono proporzionali a

𝜆−4 , quindi si riducono fortemente all’aumentare della lunghezza d’onda. Più

precisamente si considera un parametro 𝛼𝑅 che quantifica le perdite dovute a questo

fenomeno, tale che:

𝛼𝑅 =𝐶

𝜆4

con 𝐶 costante che dipende dal materiale utilizzato per la fabbricazione del core. Per

una fibra ottica in silice si ha:

𝛼(𝜆) = 𝛼0 (𝜆0

𝜆)

4

dove

𝛼0 = 1,7 𝑑𝐵/𝑘𝑚

e

𝜆0 = 0,85 µ𝑚

Spesso si utilizzano particolari molecole droganti come il 𝐺𝑒𝑂2, 𝑃2𝑂5 per ottenere un

preciso indice di rifrazione. Questo porta ad un aumento delle perdite di scattering,

perciò fibre ottiche particolarmente drogate hanno solitamente alti livelli di perdite

per scattering di Rayleigh.

Si potrebbe pensare di utilizzare fibre che permettono la propagazione di modi

di lunghezza d’onda 𝜆 ≥ 2 µ𝑚, ovvero di fibre che permettono la trasmissione nello

25

spettro infrarosso. Queste avrebbero delle perdite di scattering bassissime, inoltre

particolari tipi di vetro (fluoride glasses) permetterebbero di ottenere bassi valori di

assorbimento proprio nello spettro infrarosso. Questo permetterebbe di implementare

sistemi di trasmissione in fibra ottica con un repeater spacings ≥ 1000 𝑘𝑚 .

Ciononostante, a causa di problemi di fabbricazione di questo tipo di fibre a basso

assorbimento, e a causa della difficile realizzazione di sorgenti e detectors adeguati,

questi sistemi sono ancora di difficile implementazione.

In realtà, oltre alle precedenti cause di perdita nelle fibre, ce ne sono altre dovute alle

particolari imperfezioni delle guide. Ciò che accade è che le fibre ottiche non sono mai

geometricamente perfette. Variazioni nel diametro e deformazioni locali possono

introdurre altri fattori di perdita in fibra. Si parla in questo caso di scattering di Mie, e

di solito, se il diametro della fibra non varia più del 1 %, le perdite sono inferiori a

0,03 𝑑𝐵/𝑘𝑚.

Un altro fattore di perdita è sicuramente il raggio di curvature delle fibre ottiche.

Più piccolo è il raggio di curvatura della fibra, più alte sono le perdite. In generale, a

differenza di una guida d’onda metallica, dove si ha un campo confinato da pareti

metalliche, nella guida d’onda dielettrica in fibra il campo non è confinato e si hanno

perdita di potenza per irradiazione in corrispondenza di ogni discontinuità della guida.

A causa della eccessiva curvatura, il segnale ottico tende a lasciare l’interno della fibra.

Si parla di macro-curvature se le curvature sono visibile anche dall’occhio umano, e di

micro-curvature se non lo sono. Le perdite dovute a curvature sono direttamente

proporzionali a 𝑒−𝑅/𝑅𝑐 dove 𝑅 è il raggio di curvatura della fibra e 𝑅𝑐 = 𝑎/(𝑛12 − 𝑛2

2),

con 𝑎 raggio del core, 𝑛1 indice di rifrazione del core e 𝑛2 indice di rifrazione del

cladding. Generalmente se in una fibra monomodale si ha 𝑅 > 5 𝑚𝑚 , allora questo

contributo di perdita risulta trascurabile. Una microcurvatura può causare fattori di

perdita anche di 100 𝑑𝐵/𝑘𝑚 . Oltre alle fibre, anche connettori e altri dispositivi

possono introdurre perdite nel sistema.

26

Dispersione in fibra ottica

Un altro fenomeno limitante per un sistema di trasmissione in fibra ottica è il fenomeno

della dispersione.

Applicando le equazioni di Maxwell, si ottiene che solo determinate soluzioni di queste

permettono la propagazione di onde elettromagnetiche all’interno di un sistema in

fibra ottica. È possibile considerare più modi propagativi che viaggiano

contemporaneamente nel mezzo trasmissivo. A pari distanza percorsa in fibra, i modi

si propagano con velocità diverse l’uno dall’altro. Il ritardo differenziale con cui i modi

emergono dalla fibra dà luogo al fenomeno di dispersione modale. Questo comporta un

allargamento nello spettro di trasmissione di un sistema in fibra ottica. Pur avendo un

mezzo con bassissima attenuazione, la dispersione limita fortemente la trasmissione

di segnale a velocità molto elevate.

Si può minimizzare l’effetto della dispersione modale utilizzando delle fibre

graded-index piuttosto che step-index.

FIGURA 15

Come si osserva dalla figura precedente, si utilizzano fibre con drogaggio variabile in

modo tale il raggio subisca un incurvamento meno brusco all’interfaccia core-cladding.

I raggi che seguono i percorsi più lunghi sono quelli che passano per le regioni più

estreme del nucleo, al contrario i raggi che seguono percorsi più corti sono quelli che

si mantengono molto vicino all’asse della fibra. Siccome la velocità di propagazione dei

raggi è inversamente proporzionale alla radice quadrata dell’indice di rifrazione in

guida, grazie al profilo caratteristico di una fibra graded-index (immagine a destra in

27

Figura 15) i raggi che percorrono più strada viaggiano a velocità più alta rispetto ai

raggi che viaggiano a velocità mediamente più basse.

Una possibile soluzione è quella di considerare una fibra monomodale, in modo

da eliminare completamente gli effetti della dispersione cromatica. Per fare questo

bisogna ridurre il diametro del nucleo fino a meno di 10 µ𝑚. Un problema che nasce

in questo particolare tipo di fibre è legato all’efficienza di iniezione, ovvero al fatto che

una quota parte della radiazione incidente verrà persa nel mantello. Un altro problema

è legato alle giunture tra più fibre, in quanto è necessario allineare i nuclei delle fibre

stesse.

Un altro fenomeno dispersivo caratteristico di un sistema in fibra ottica, è la dispersione

cromatica, dovuta al fatto che l’indice di rifrazione della radiazione in fibra varia con la

lunghezza d’onda. Questo fa sì che le componenti in frequenza di un determinato

segnale trasmesso si ricompongano in uscita dando luogo ad un segnale ricevuto

diverso dal segnale trasmesso.

FIGURA 16

28

Si consideri un sistema di riferimento cartesiano formato da una terna di assi destrorsa

(𝑥, 𝑦, 𝑧) , due onde piane di ampiezza 𝐸0 che viaggiano entrambe in direzione di

propagazione 𝑧, tali che:

𝐸1(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) = 𝐸𝑜cos [(𝜔 − ∆𝜔)𝑡 − (𝑘 − ∆𝑘)𝑧]

𝐸2(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) = 𝐸𝑜cos [(𝜔 + ∆𝜔)𝑡 − (𝑘 + ∆𝑘)𝑧]

L’onda risultante dalla somma delle due onde piane è:

𝐸𝑇𝑂𝑇 = 2𝐸0 cos(𝜔𝑡 − 𝑘𝑧) cos(∆𝜔𝑡 − ∆𝑘𝑧)

In caso di interferenza costruttiva, si avrebbe:

∆𝜔 = ∆𝑘 = 0

e quindi

𝐸𝑇𝑂𝑇 = 2𝐸0cos (𝜔𝑡 − 𝑘𝑧)

In questo caso le due onde si sommano in fase dando luogo ad un’onda di ampiezza

doppia e velocità di fase:

𝑣𝑓 =𝜔

𝑘

Nel caso più generico invece, il termine cos(∆𝜔𝑡 − ∆𝑘𝑧) modula l’onda che si avrebbe

nel caso di interferenza costruttiva. Si definisce velocità di gruppo, la velocità

dell’inviluppo della forma d’onda.

La velocità dell’onda risultante si ottiene differenziando la seguente relazione:

∆𝜔𝑡 − ∆𝑘𝑧 = 𝑐𝑜𝑠𝑡

𝑣𝑔 =𝑑𝑧

𝑑𝑡=

∆𝜔

∆𝑘

Il concetto di velocità di gruppo nasce dal fatto che la velocità con cui si propaga un

segnale elettromagnetico nella realtà, è diversa dalla velocità di fase. Ciò è dovuto al

29

fatto che la velocità di fase è definita per campi periodici formati da treni d’onda di

lunghezza infinita e di durata infinita. Invece nella realtà si ha sempre a che fare con

“pacchetti d’onda”, ovvero di treni d’onda di durata e lunghezza finite, che possono

essere visti come sovrapposizione di infinite onde monocromatiche di durata infinita

aventi ampiezze e fasi opportune. Ciascuna componente monocromatica si propagherà

con una velocità di fase diversa dalle altre. La forma d’onda risultante non sarà più

un’onda puramente sinusoidale. La velocità di gruppo determina la velocità

dell’informazione trasportata dal segnale trasmesso.

Nei mezzi dispersivi la velocità di gruppo è minore della velocità di fase. Alcuni

mezzi che non sono soggetti al fenomeno classico della dispersione possono avere una

velocità di gruppo maggiore della velocità di fase. Nel vuoto le due velocità coincidono.

Si consideri un mezzo trasmissivo che risenta dell’effetto della dispersione cromatica,

in cui si propaga un’onda elettromagnetica a cui è associato un vettore d’onda di

modulo:

𝑘 = 𝑛𝑘0 =2𝜋

𝜆𝑛(𝜆)

Considerando il differenziale totale di 𝑘 si ottiene:

𝑑𝑘 =2𝜋

𝜆𝑑𝑛 −

2𝜋

𝜆2𝑛𝑑𝜆 =

2𝜋𝑓

𝑐𝑑𝑛 −

2𝜋𝑓𝑛

𝑐

𝑑𝜆

𝜆

Dalla definizione di velocità di fase risulta:

𝑣𝑓 =𝑓𝜆

𝑛

da cui:

𝑑𝑓 = −𝑣𝑓

𝜆2𝑛

𝑑𝑓

𝑓= −

𝑑𝜆

𝜆

30

L’ultima relazione fa vedere come per un ‘onda elettromagnetica, le variazioni relative

in termini di frequenza sono uguali ed opposte alle variazioni relative della lunghezza

d’onda.

Sostituendo quest’ultima equazione nell’espressione del differenziale totale di 𝑘 , si

ottiene:

𝑑𝑘 =𝜔

𝑐𝑑𝑛 +

𝑑𝜔

𝑐𝑛

da cui:

𝑑𝜔

𝑑𝑘=

𝑐

𝑛−

𝜔

𝑛

𝑑𝑛

𝑑𝑘

Se l’indice di rifrazione fosse indipendente dalla lunghezza d’onda operativa, si

otterrebbe:

𝑣𝑔 =𝑑𝜔

𝑑𝑘=

𝑐

𝑛= 𝑣𝑓

Nel caso più generico invece:

𝑣𝑔 =𝑑𝜔

𝑑𝑘=

𝑐

𝑛−

𝜔

𝑛

𝑑𝑛

𝑑𝑘

Dalla prima equazione sul differenziale totale di 𝑘 si ottiene:

𝑑𝑘

𝑑𝑛=

2𝜋

𝜆−

2𝜋𝑛

𝜆2

𝑑𝜆

𝑑𝑛

si ha:

𝑣𝑔 =𝑐

𝑛 − 𝜆𝑑𝑛𝑑𝜆

=𝑐

𝑁𝐺

Dove:

𝑁𝐺 = 𝑛 − 𝜆𝑑𝑛

𝑑𝜆

𝑁𝐺 ha il significato di un indice di rifrazione detto indice di gruppo, che racchiude il

significato della dispersione cromatica. L’indice di gruppo quantifica l’indice

equivalente visto dall’onda elettromagnetica quando passa attraverso un materiale

dispersivo. Nei materiali a dispersione normale si ha un indice di gruppo che decresce

31

all’aumentare della lunghezza d’onda. In questi casi per 𝜆 crescenti l’onda si

propagherà con una velocità sempre maggiore all’interno del mezzo dispersivo. 𝑁𝐺

racchiude in sé il rallentamento della luce dovuto alla dispersione cromatica.

Si consideri una sorgente policromatica caratterizzata da una larghezza

spettrale ∆𝜆 , supponiamo di inviare un impulso di luce temporale nel mezzo

trasmissivo. Ciascuna componente spettrale risentirà di un indice di gruppo diverso, e

quindi attraverserà la guida con velocità diverse in funzione della lunghezza d’onda.

Questo causa un allargamento temporale dell’impulso, tale che:

∆𝜏

𝑑𝜏=

∆𝜆

𝑑𝜆

dove 𝜏 è il tempo che impiega l’impulso di luce di larghezza spettrale 𝜆 per attraversare

la fibra. Considerando un mezzo trasmissivo lungo 𝐿, si ha:

𝜏 = 𝜏(𝜆) =𝐿

𝑣𝑔=

𝐿

𝑐𝑁𝐺 =

𝐿

𝑐[𝑛 − 𝜆

𝑑𝑛

𝑑𝜆]

Sostituendo nell’equazione precedente si ottiene:

∆𝜏 = −𝐿

𝑐(𝜆2

𝑑2𝑛

𝑑𝜆2 )

∆𝜆

𝜆

∆𝜏 rappresenta l’allargamento temporale dello spettro del segnale trasmesso

attraverso un mezzo dispersivo.

Si definisce un fattore

𝐷 =∆𝜏

𝐿∆𝜆= −

1

𝜆𝑐(𝜆2

𝑑2𝑛

𝑑𝜆2)

che quantifica l’effetto della dispersione cromatica, anche detta Group Velocity

Dispersion (GVD). 𝐷 si misura in 𝑝𝑠/(𝑘𝑚 ∙ 𝑛𝑚) e indica l’aumento della durata di un

impulso caratterizzato da una larghezza spettrale ∆𝜆 che ha percorso 1 𝑘𝑚 di fibra.

32

FIGURA 17

È interessante osservare che se si considerasse un mezzo lineare come il vetro siliceo,

poiché le componenti del segnale si propagano nel mezzo con velocità di gruppo

diverse, all’uscita della fibra esse si ricombineranno con ritardi diversi dando luogo ad

una distorsione lineare di fase.

Si osserva dalla figura precedente che in corrispondenza di 𝜆 ≈ 1,3 µ𝑚 il

coefficiente di dispersione 𝐷 è circa nullo. In realtà anche un segnale che ha uno spettro

centrato alla lunghezza d’onda della portante 𝜆0 = 𝜆𝑍𝐷 = 1,3 µ𝑚 , è soggetto a

dispersione cromatica. Infatti, siccome lo spettro del segnale ha un’estensione non

nulla intorno a 𝜆0, sarà presente anche in questo caso un piccolo grado di dispersione.

Il coefficiente di dispersione può essere scomposto in due termini:

𝐷 = 𝐷𝑀 + 𝐷𝑊

𝐷𝑀 dipende dall’indice di rifrazione del core della fibra, mentre 𝐷𝑊 dipende dalla

geometria della fibra e da entrambi gli indici di rifrazione del core e del cladding.

Variando la geometria della fibra, è possibile spostare 𝜆𝑍𝐷 da 1,33 µ𝑚 a 1,55 µ𝑚

riducendo il fattore 𝐷𝑊. Queste fibre sono dette fibre a dispersione traslata.

In Figura 17 è possibile individuare due regioni a seconda che 𝐷 sia positivo o negativo.

Si definiscono mezzi a dispersione normale, quei mezzi che hanno un coefficiente di

dispersione 𝐷 < 0; in questo caso al crescere di 𝜆 la velocità di propagazione dell’onda

33

aumenta. Al contrario, i mezzi caratterizzati da 𝐷 > 0, sono detti mezzi a dispersione

anomala e al crescere di 𝜆 la velocità di propagazione dell’onda diminuisce.

Per ridurre gli effetti della dispersione cromatica è possibile ridurre il diametro

del core della fibra e drogando la fibra con diossido di germanio o diossido di silicio in

modo da spostare verso destra la curva di dispersione di materia e in modo da ridurre

il diametro del core. Si potrebbe realizzare così una fibra che presenti bassi valori di

dispersione cromatica in corrispondenza sia di 𝜆 = 1300 𝑛𝑚, che di 1550 𝑛𝑚 ( fibre

dispersion flattened). Una fibra di questo tipo ha come svantaggi: l’elevato costo di

fabbricazione, l’aumento dell’attenuazione causato dal drogaggio e la difficoltà nella

giunzione tra più fibre causata dalla riduzione del core.

Un altro termine dispersivo importante in un sistema in fibra ottica, è la dispersione di

polarizzazione (PMD) che introduce un allargamento dell’impulso temporale di luce

trasmesso. L’utilizzo di una fibra di tipo monomodale permette di trascurare l’effetto

della dispersione modale, questo però non vieta la propagazione di due modi tra loro

ortogonali, polarizzati linearmente. Questi modi, per una fibra a sezione circolare, sono

degeneri, quindi hanno velocità di gruppo uguali fra loro. A causa di variazioni nel

diametro del core della fibra e nella forma stessa della guida d’onda, c’è il rischio di

perdere questa simmetria causando un differente valore nell’indice di rifrazione “visto”

da ciascun modo, e quindi una differente velocità di propagazione tra i modi. Questo

fenomeno rende la fibra un mezzo birifrangente. Si definisce un ritardo di gruppo

differenziale (DGD) che quantifica gli effetti della dispersione di polarizzazione. La

polarizzazione del campo elettrico associato ai due modi eccitati da un impulso di luce

temporale, cambia durante la propagazione in fibra ottica. A differenza della

dispersione cromatica, in questo caso il ritardo di propagazione non aumenta

linearmente con la distanza percorsa nel mezzo, e si può dimensionare come una

variabile aleatoria.

L’allargamento dell’impulso causato dalla dispersione di polarizzazione è dato da:

∆𝑇 = |𝐿

𝑣𝑔𝑥−

𝐿

𝑣𝑔𝑦| = 𝐿|𝛽1𝑥 − 𝛽1𝑥| = 𝐿(∆𝛽)

34

Capitolo 3

Sistemi Wavelength Division Multiplexing

Dalla teoria sui sistemi di trasmissione ottici, risulta che un sistema di comunicazione

in fibra può sostenere una frequenza di cifra di oltre 10 𝑇𝑏/𝑠. In realtà questo non

succede, poiché un tale sistema è limitato dagli effetti di dispersione, da effetti non

lineari di perdita, e inoltre è soggetto alle limitazioni introdotte dagli elementi

elettronici comunque presenti. Una possibile soluzione per sfruttare al meglio la

capacità di un sistema in fibra, è quella di utilizzare un sistema multicanale. Si

realizzano sistemi di multiplazione in fibra nel dominio del tempo e nel dominio della

frequenza, per mezzo di Optical Time Division Multiplexing (OTDM) e di Wavelength

Division Multiplexing (WDM).

Un sistema di tipo WDM utilizza più di una portante ottica, modulata da un segnale

elettrico che trasporta informazione. Tutte le portanti modulate vengono poi

trasmesse sulla stessa fibra ottica. In ricezione il segnale ottico viene separato nei

diversi canali, ciascuno dei quali può essere demodulato utilizzando un ricevitore

ottico.

Grazie al WDM si riesce a sfruttare al meglio la banda di un sistema di trasmissione in

fibra ottica. L’idea alla base di tale sistema, è quella di trasmettere più canali separati

da una certa distanza spettrale, nelle finestre di trasmissione corrispondenti ad un

minimo di attenuazione in fibra. Ad esempio, riducendo il picco di assorbimento

causato dalla presenza di ioni ossidrili 𝑂𝐻− intrappolati nel reticolo vetroso si riescono

ad ottenere capacità di oltre 30 𝑇𝑏/𝑠. Un semplice sistema WDM, ad esempio, è formato

da due portanti ottiche rispettivamente di lunghezza d’onda 1550 𝑛𝑚 e 1300 𝑛𝑚.

Esistono due modi per modulare una sorgente ottica. Si parla di modulazione

diretta se il segnale modulante è la corrente di iniezione del laser, di modulazione

indiretta se la portante generata dalla sorgente laser viene modulata direttamente da

un modulatore esterno. La modulazione diretta pone un limite massimo di 10 𝐺𝑏𝑖𝑡/𝑠

sul bit rate di trasmissione, poiché una variazione nella corrente di modulazione del

laser causa una variazione nella frequenza del segnale in uscita dalla sorgente ottica, e

quindi causa un allargamento nello spettro del segnale. In caso di modulazione

35

indiretta invece, si modula il segnale generato dalla sorgente ottica per mezzo di un

modulatore esterno. A differenza del caso precedente, ora la sorgente lavora a corrente

costante, dando luogo ad una potenza di uscita stabile e ad una riga spettrale più

stretta. La modulazione indiretta permette quindi l’utilizzo di bit rate molto più alti in

trasmissione fino a 40 𝐺𝑏𝑖𝑡/𝑠 . Ciononostante, a causa dei fenomeni di dispersione,

anche in caso di modulazione esterna si utilizzano bit rate di 10 𝐺𝑏𝑖𝑡/𝑠.

Sfruttando quest’ultimo tipo di modulazione, è possibile implementare un sistema

WDM, in modo da rendere la capacità del sistema circa pari ad 𝑁 -volte quella del

singolo canale, a pari bit rate di modulazione. Grazie alla modulazione indiretta si

riescono ad ottenere distanze spettrali minori tra i canali multiplati, rispetto al caso di

modulazione diretta.

Nonostante i grossi vantaggi di un sistema WDM, solo recentemente hanno

preso luogo sistemi di questo genere, a causa dell’elevato costo dovuto all’utilizzo di

ripetitori optoelettronici nel caso di trasmissioni a grande distanza. Ad ogni stazione di

ripetizione c’è bisogno di demultiplare il segnale ricevuto nei diversi canali, e far

seguire a ciascuna sequenza di bit un altro trasmettitore ottico in ingresso allo stadio

di multiplazione. Oggi si utilizzano amplificatori Erbium Doped Fiber Amplifier (EDFA),

che permettono di amplificare contemporaneamente più lunghezze d’onda di segnale,

evitando la demultiplazione del segnale ricevuto ad ogni stazione di ripetizione. Questo

rende possibile l’implementazione di un sistema WDM per sistemi che richiedono

grandi capacità di trasmissione di dati.

FIGURA 18

La figura precedente rappresenta un esempio di sistema WDM. A ciascuna sorgente

laser è associato un segnale ottico portante che può essere modulato fino a 10 𝐺𝑏𝑖𝑡/𝑠.

La minima distanza spettrale tra i canali è limitata dall’ interchannel crosstalk, ovvero

36

quel fenomeno di interferenza elettromagnetica che nasce nelle trasmissioni di più

canali multiplati a causa del non perfetto isolamento tra i canali stessi. Quello che si

vorrebbe ottenere da un sistema del genere, è un channel spacing più piccolo possibile,

in modo da permettere la trasmissione di più canali simultaneamente. Si definisce un

parametro caratteristico di un sistema WDM, detto spectral efficiency:

𝜂𝑆 =𝐵

∆𝜈𝑐ℎ

con 𝐵 bit rate e ∆𝜈𝑐ℎ distanza spettrale tra i segnali portanti, dove entrambi si sono

considerati uguali per tutti i canali. 𝜂𝑆 quantifica le prestazioni di un tale sistema di

comunicazione.

Le frequenze dei canali di un sistema WDM sono state standardizzate

dall’International Telecomunication Union (ITU) considerando una distanza spettrale

di 100 𝐺𝐻𝑧 tra i canali, nel range di frequenze comprese tra 186 𝑇𝐻𝑧 e 196 𝑇𝐻𝑧. Oggi

si utilizzano distanze spettrali anche di 50 𝐺𝐻𝑧, con bit rate di 40 𝐺𝑏𝑖𝑡/𝑠.

A seconda della distanza tra le lunghezze d’onda dei segnali portanti, si distinguono

sistemi Dense WDM e Coarse WDM.

In un sistema DWDM le distanze spettrali tra le frequenze dei segnali portanti sono

molto basse, in modo da riuscire ad ottenere il maggior numero di portanti possibile in

un ristretto intervallo di lunghezze d’onda. Questo tipo di sistema rende possibile la

trasmissione di 40 canali nella terza finestra di trasmissione, centrata a 1550 𝑛𝑚 .

Riducendo la distanza tra le righe spettrali, si riesce a trasmettere fino a 160 canali

contemporaneamente su una stessa fibra ottica. Ovviamente una tale densità di canali

richiede dispositivi come filtri, multiplexer, add-drop multiplexer etc. in grado di

separare al meglio le diverse lunghezze d’onda; inoltre c’è bisogno di un sistema di

controllo in temperatura, dato che la lunghezza d’onda del segnale emesso da una

sorgente laser varia di circa 0,08 𝑛𝑚 per grado centigrado. La selettività in frequenza

dei componenti ottici che vengono utilizzati comporta un aumento del costo di un

sistema DWDM, a causa della maggior difficoltà nei processi di fabbricazione di tali

dispositivi.

37

Non sempre è richiesto un sistema di trasmissione per tratte a lunga distanza. In questo

caso, un sistema DWDM potrebbe essere troppo costoso e non necessario. Ad esempio

nel caso di Metropolitan Area Networks non sono richieste tali prestazioni, non

necessitano di tratte di amplificazione del segnale multiplato, è quindi possibile

implementare un sistema di tipo CWDM. L’idea alla base di un tale sistema, è quella di

rendere la frequenza del segnale portante indipendente dalla frequenza delle portanti

dei canali adiacenti. In questo caso non sono necessari sistemi di controllo della

temperatura della sorgente laser, e neanche dispositivi ottici passivi a banda molto

selettiva intorno alla frequenza centrale di canale. La distanza in termini di lunghezza

d’onda tra i canali è di 20 𝑛𝑚, nel range tra 1290 𝑛𝑚 e 1610 𝑛𝑚. Si osservi che tale

range comprende il picco di assorbimento dovuto allo ione 𝑂𝐻− . Perciò in tali

applicazioni, è preferibile utilizzare fibre a basso contenuto di ioni ossidrili.

Analisi e caratterizzazione di alcuni componenti di un sistema DWDM

In seguito verranno riportati alcuni cenni teorici sui dispositivi principali di un sistema

DWDM, insieme alle caratterizzazioni effettuate per un sistema di distribuzione di

clock per l’esperimento TOTEM all’LHC del CERN.

Sorgente laser

I segnali portanti in un sistema di tipo DWDM, sono generati da un particolare tipo di

diodo laser: il Distributed Feedback laser (DFB).

Un diodo laser non è altro che un semiconduttore a giunzione p-n alimentato da una

corrente, in cui è possibile sostenere un meccanismo di emissione stimolata sopra una

certa condizione di soglia.

Affinché il diodo funzioni da laser, c’è bisogno della contemporanea presenza di un

meccanismo di retroazione ottica e di inversione di popolazione. Per ottenere

quest’ultima condizione, in una certa regione della giunzione, devono essere presenti

38

contemporaneamente elettroni in stato eccitato e lacune. Questo si ha nelle giunzioni

fortemente drogate.

FIGURA 19

Come si osserva dalle figure precedenti, in una giunzione fortemente drogata, con

elevate concentrazioni di drogaggio di tipo 𝑛+ e 𝑝+, il livello di Fermi cade sia in banda

di conduzione, che in banda di valenza. Considerando 𝑝+ < 𝑛+, si può supporre che il

fenomeno dell’emissione stimolata sia prevalentemente dovuto agli elettroni.

Condizionati dal campo elettrico esterno, si possono concentrare più elettroni in banda

di conduzione di quelli che ci sarebbero all’equilibrio termodinamico. In questo modo

si ottiene il fenomeno di inversione di popolazione, e quindi si ottiene un aumento della

probabilità che avvengano ricombinazioni radiative. I fotoni prodotti possono essere

assorbiti dagli elettroni in banda di valenza, oppure possono stimolare gli elettroni in

banda di conduzione per produrre fotoni coerenti per emissione stimolata. La sorgente

di un diodo laser è una sorgente elettronica, generalmente fornita da una corrente.

39

Per ottenere un laser si sottopongono a lucidatura due facce parallele del

materiale della giunzione, in modo da ottenere una cavità Fabry-Perot, che permette

l’accumulo della radiazione introducendo un meccanismo di risonanza nella struttura

del diodo. Con un laser a semiconduttore si riescono a raggiungere valori di efficienza

più elevati di un laser a gas. I diodi laser sono caratterizzati dall’avere una purezza

spettrale maggiore di quella di un diodo LED e minore di quella di un laser a livelli

discreti.

La caratteristica potenza ottica in uscita del laser in funzione della corrente di

pompaggio, dipende fortemente dalla temperatura. Infatti, un aumento della

temperatura di lavoro causa uno spostamento della caratteristica del laser verso valori

di soglia di corrente più elevati e pendenze più basse sopra soglia. Questo succede

perché all’aumentare della temperatura, il moto di agitazione termica si oppone al

flusso di elettroni che causa emissione stimolata, riducendo l’efficienza del laser.

Per avere una sorgente robusta alle variazioni di temperatura, servirebbe un

sistema di stabilizzazione in temperatura. Una variazione di quest’ultima potrebbe

portare il laser ad emettere alla frequenza di un altro modo longitudinale, rispetto a

quello desiderato.

Sostituendo gli specchi che costituiscono gli estremi della cavità Fabry-Perot,

con una corrugazione periodica di indice di rifrazione, si riescono ad ottenere sorgenti

molto selettive in termini di frequenza di emissione. Laser a semiconduttore di questo

genere sono detti laser a feedback distribuito DFB.

FIGURA 20

40

La corrugazione periodica di periodo 𝛬 , divide due regioni ad indice di rifrazione

diverso. Se il reticolo è disposto in direzione di propagazione dei fotoni, può fungere da

specchio. Più precisamente, affinché due raggi riflessi dal reticolo a distanza 𝛬 si

sommino in fase generando interferenza costruttiva, la differenza tra i cammini ottici

percorsi deve essere un multiplo intero di lunghezza d’onda. Si ottiene, considerando i

due raggi incidenti paralleli fra di loro:

2𝑛𝛬 = 𝑚𝜆

con 𝑚 = 0,1,2, … Per 𝑚 = 1, si ha la condizione di Bragg:

2𝑛𝛬 = 𝜆

Se vale la precedente relazione, allora il reticolo funge da specchio, e gli specchi

caratteristici di una cavità Fabry-Perot non risultano essere necessari in tali tipi di

sorgenti ottiche. Grazie alla condizione di Bragg, anche in presenza di più lunghezze

d’onda, la scelta del reticolo selezione la 𝜆 che sopravvive all’interno del materiale. Per

quanto riguarda le condizioni di interferenza costruttiva per 𝑚 > 1, queste comportano

un efficienza minore rispetto alla condizione di Bragg. Più il reticolo è lungo, più la radiazione

viene immagazzinata all’interno del materiale. Nel complesso il laser risulta più stabile in

termini di lunghezza d’onda di emissione, potendo selezionare il modo longitudinale di

emissione sfruttando la capacità filtrante a banda stretta di una sorgente DFB .

In un laser di questo tipo, un cambiamento nella temperatura del dispositivo, causa una

variazione nell’indice di rifrazione, dovuta ad espansione termica e alle variazioni del gap di

banda proibita con la temperatura. Il cambiamento di indice di rifrazione genera una

variazione nel periodo della corrugazione, e quindi fa cambiare la lunghezza d’onda di

emissione del laser, che porta alla definizione di un Tunable Diode Laser (TDL).

Laser a feedback distribuito sono molto utilizzati nei sistemi di comunicazione DWDM,

dove c’è bisogno di una sorgente stabile in termini di lunghezza d’onda di emissione, e tunabile

intorno alla frequenza del segnale a centro canale.

41

Potenza ottica in funzione della corrente di alimentazione di un laser DFB

Di seguito viene riportata la caratteristica misurata al variare della corrente di

pompaggio, di un laser DFB con 𝜆 = 1550 𝑛𝑚 per diversi valori di temperatura:

FIGURA 21

La Figura 21 conferma quanto detto in precedenza: un aumento della temperatura della

sorgente laser comporta un aumento della corrente di soglia e una riduzione della pendenza

della caratteristica sopra soglia, ovvero una riduzione dell’efficienza della sorgente.

42

Isolatore ottico

Un isolatore ottico non è altro che l’equivalente ottico di un diodo. Permette la

trasmissione di segnali ottici solo in una direzione e non nella direzione opposta. Un

dispositivo del genere permette di proteggere le sorgenti WDM dalle riflessioni

provenienti da altri dispositivi ottici o connettori, che possono interferire con

l’oscillazione portante del laser.

FIGURA 22

Dalla figura precedente si può dedurre facilmente il funzionamento di un tale

dispositivo. La luce proveniente dalla guida ottica passa attraverso un polarizzatore,

un rotatore di Faraday e infine un altro polarizzatore. Lo stesso vale per l’onda che si

propaga in direzione opposta.

Consideriamo prima il percorso in avanti dell’onda. Consideriamo in ingresso al

primo polarizzatore, un’onda non polarizzata. Questa può essere scomposta in due

onde polarizzate linearmente lungo due direzioni ortogonali, una delle due parallela

all’asse ottico del polarizzatore. Quest’ultimo assorbe l’onda polarizzata in direzione

ortogonale al suo asse ottico, mentre non modifica l’onda polarizzata linearmente

lungo la direzione parallela a questo, proprietà nota come dicroismo. L’onda viene fatta

passare attraverso un rotatore di Faraday che ruota la polarizzazione dell’onda in

ingresso di 45°. In uscita dal rotatore di Faraday l’onda incontra un altro polarizzatore

che ha asse ottico parallelo alla propria polarizzazione, e quindi passa inalterata.

Al contrario, consideriamo il percorso dell’onda che si propaga in verso opposto.

Si supponga ancora in ingresso al primo polarizzatore (quello a destra in Figura 22),

43

un’onda non polarizzata. In uscita da questo avremo un’onda polarizzata linearmente

in direzione parallela all’asse ottico del polarizzatore. Il rotatore di Faraday è un

dispositivo che ruota la polarizzazione dell’onda di un certo angolo, sempre nella stessa

direzione, indipendentemente dal verso di propagazione dell’onda. All’uscita di

quest’ultimo, si ottiene un’onda polarizzata linearmente in direzione ortogonale

all’asse ottico del secondo polarizzatore. Questo fa sì che l’onda che torna indietro

venga completamente assorbita dal polarizzatore di sinistra.

Caratterizzazione di un isolatore ottico

FIGURA 23

Per la caratterizzazione dell’isolatore ottico si è proceduto connettendo la sorgente

WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Dalla

potenza ottica misurata dal power meter sul ramo di monitor dell’accoppiatore si è

ricavata la potenza ottica in ingresso all’isolatore sfruttando il coupling ratio

dell’accoppiatore direzionale.

Per il calcolo dell’insertion loss 𝐼𝐿 si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore

alla porta 1 dell’isolatore ottico. Dalla potenza in uscita alla porta 2 si è ricavato il

fattore di insertion loss del dispositivo.

FIGURA 24

44

Allo stesso modo si è connessa la sorgente WDM all’accoppiatore direzionale, poi si è

collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 2 dell’isolatore. Dalla potenza in

uscita dalla porta 1 si è misurato il fattore di isolation 𝐼 del dispositivo.

Per la misura del return loss 𝑅𝐿 del dispositivo, dalla prima configurazione, si è

misurata la potenza in uscita dal ramo isolato dell’accoppiatore (𝑃6 in Figura 24), e

tramite il fattore di accoppiamennto di quest’ultimo si è calcolata la potenza di

backreflection del dispositivo.

Di seguito vengono riportati i valori dei parametri dell’isolatore, caratterizzato alla

lunghezza d’onda centrale dei canali 𝐼𝑇𝑈 32, 𝐼𝑇𝑈 34, 𝐼𝑇𝑈 36:

Parametro Misura ITU32

𝟏𝟓𝟓𝟏, 𝟕𝟐 𝒏𝒎 ITU34

𝟏𝟓𝟓𝟎, 𝟏𝟐 𝒏𝒎 ITU36

𝟏𝟓𝟒𝟖, 𝟕𝟏 𝒏𝒎

𝐼𝐿 −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃2

𝑃1 0,63 𝑑𝐵 0,66 𝑑𝐵 0,6 𝑑𝐵

𝐼 −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃4

𝑃3 50,51 𝑑𝐵 50,94 𝑑𝐵 48,15 𝑑𝐵

𝑅𝐿 −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃5

𝑃1 46,31 𝑑𝐵 40,48 𝑑𝐵 40,32 𝑑𝐵

TABELLA 1

45

Circolatore

FIGURA 25

Il principio di funzionamento di un circolatore è alquanto semplice. Facendo

riferimento alla Figura 25, la potenza in ingresso alla porta 1 viene trasmessa alla porta

2, la potenza in ingresso alla porta 2 viene trasmessa alla porta 3 e la potenza in

ingresso alla porta 3 non viene trasmessa né alla porta 1, né alla porta 2. La terza porta

è isolata dalle altre 2.

FIGURA 26

Consideriamo un’onda non polarizzata in ingresso al primo walk-off block, che è un

blocco di materiale birifrangente. L’onda che si propaga all’interno del materiale, si può

scomporre in due onde polarizzate linearmente lungo direzioni ortogonali fra di loro.

L’onda che non cambia direzione di propagazione all’interno del mezzo birifrangente,

rispetto all’onda incidente all’interfaccia tra aria e cristallo, è detta onda ordinaria.

Questa vede il mezzo come se fosse isotropo. Al contrario, l’altra componente, detta

onda straordinaria, viene deviata dal mezzo materiale a causa delle proprietà

46

anisotrope di quest’ultimo. In uscita dal primo wolk-off block si ottengono due onde

polarizzate linearmente che viaggiano nella stessa direzione, con polarizzazioni fra

loro ortogonali. Sia l’onda straordinaria che l’onda ordinaria passano attraverso un

rotatore di Faraday, che ruota di 45° la polarizzazione di entrambe. Subito dopo

attraversano un half-wave plate, anche questo un dispositivo ottico di materiale

birifrangente, che ruota di ulteriori 45° lo stato di polarizzazione di entrambe. L’ultimo

walk-off block ha effetto opposto al primo, e permette di ricombinare le due

componenti in uscita verso la porta 2. In tutto gli stati di polarizzazione di entrambe le

onde sono stati ruotati di 90°.

FIGURA 27

Si consideri ora il percorso di un’onda non polarizzata in ingresso alla porta 2. Questa

viene scomposta in due onde polarizzate linearmente lungo direzioni fra loro

perpendicolari dal wolk-off block di destra (Figura 27). L’half-wave plate ruota la

polarizzazione delle due onde in senso opposto rispetto al caso precedente, in quanto

non fa altro che ritardare l’onda polarizzata linearmente in direzione parallela al

proprio asse ottico rispetto all’onda polarizzata in direzione ortogonale, in modo da

ottenere uno sfasamento in uscita corrispondente a mezza lunghezza d’onda. Questo

corrisponde ad una rotazione dello stato di polarizzazione di un certo angolo, sempre

nello stesso senso di rotazione rispetto alla direzione di propagazione dell’onda. Il

rotatore di Faraday, invece, ruota di 45° la polarizzazione di entrambe in modo da farle

tornare nelle stesse condizioni di polarizzazione delle onde in ingresso all’half-wave

plate. L’ultimo walk-off block, separa ulteriormente le due onde che vengono

ricombinate insieme per mezzo di un beam splitter.

47

Caratterizzazione di un circolatore ottico

Per la caratterizzazione del circolatore ottico (Figura 25) si è proceduto connettendo

la sorgente WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura.

Dalla potenza ottica misurata dal power meter sul ramo di monitor dell’accoppiatore

si è ricavata la potenza ottica in ingresso al circolatore, come è stato fatto in precedenza

per l’isolatore ottico.

Si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 1 del circolatore ottico.

Dalla potenza in uscita alla porta 2 e alla porta 3 si sono ricavati il fattore di insertion

loss 𝐼𝐿(1 > 2) e il fattore di directivity 𝐷(1 > 3) del dispositivo. In seguito si è

collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 2 del circolatore ottico. Dalla

potenza in uscita alla porta 2 e alla porta 3 si sono ricavati i fattori di isolation 𝐼(2 > 1)

e il fattore di insertion loss 𝐼𝐿(2 > 3) del dispositivo. Allo stesso modo si è collegato il

ramo di test dell’accoppiatore alla porta 3 del circolatore ottico. Dalla potenza in uscita

alla porta 1 e alla porta 2 si sono ricavati i fattori di directivity 𝐷(3 > 1) e il fattore di

isolation 𝐼(3 > 2) del dispositivo.

FIGURA 28

Per la misura del return loss 𝑅𝐿(1), 𝑅𝐿(2), 𝑅𝐿(3) del dispositivo sulle tre porte, si è

proceduto come nella caratterizzazione dell’isolatore ottico considerando come

ingresso al ramo di test dell’accoppiatore rispettivamente la prima, la seconda e la terza

porta del circolatore.

48

Di seguito vengono riportati i valori dei parametri del circolatore, caratterizzato alla

lunghezza d’onda centrale dei canali 𝐼𝑇𝑈 32, 𝐼𝑇𝑈 34, 𝐼𝑇𝑈 36:

Parametro Misura ITU32

𝟏𝟓𝟓𝟏, 𝟕𝟐 𝒏𝒎 ITU34

𝟏𝟓𝟓𝟎, 𝟏𝟐 𝒏𝒎 ITU36

𝟏𝟓𝟒𝟖, 𝟕𝟏 𝒏𝒎

𝐼𝐿(1 > 2) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃1>2

𝑃1 0,71 𝑑𝐵 0,76 𝑑𝐵 0,77 𝑑𝐵

𝐼𝐿(2 > 3) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃2>3

𝑃2 1,05 𝑑𝐵 0,95 𝑑𝐵 1,14 𝑑𝐵

𝐼(2 > 1) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃2>1

𝑃2 58,08 𝑑𝐵 ≥ 59,44 𝑑𝐵 ≥ 59,59 𝑑𝐵

𝐼(3 > 2) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃3>2

𝑃3 54,23 𝑑𝐵 58,71 𝑑𝐵 54,49 𝑑𝐵

𝐷(1 > 3) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃1>3

𝑃1 55,23 𝑑𝐵 54,44 𝑑𝐵 58,59 𝑑𝐵

𝐷(3 > 1) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃3>1

𝑃3 ≥ 59,23 𝑑𝐵 ≥ 59,44 𝑑𝐵 ≥ 59,59 𝑑𝐵

𝑅𝐿(1) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃1>1

𝑃1 41,44 𝑑𝐵 ≥ 55,61 𝑑𝐵 53,91 𝑑𝐵

𝑅𝐿(2) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃2>2

𝑃2 ≥ 55,4 𝑑𝐵 ≥ 55,61 𝑑𝐵 54,66 𝑑𝐵

𝑅𝐿(3) −10𝑙𝑜𝑔10

𝑃3>3

𝑃3 53,44 𝑑𝐵 ≥ 55,61 𝑑𝐵 ≥ 55,91 𝑑𝐵

49

Multiplexer a Demultiplexer

Multiplexer e demultiplexer sono elementi fondamentali in un sistema di trasmissione

WDM. A seconda della struttura di tali elementi, i demultiplexer si possono suddividere

in due grandi categorie: i Diffraction-based demultiplexer e gli interference-based

deumultiplexer. In entrambe le tipologie, uno stesso dispositivo può essere utilizzato

da multiplexer o da demultiplexer, a seconda della direzione di propagazione dell’onda

incidente, per principio di invertibilità del cammino ottico.

I diffraction-based demultiplexer sfruttano il fenomeno di diffrazione della luce

da un reticolo di Bragg.

FIGURA 29

Il segnale di ingresso multiplato viene focalizzato da una lente verso il reticolo, posto

nel fuoco della lente stessa. Il compito del reticolo di diffrazione è quello di separare le

diverse lunghezze d’onda del segnale multiplato, e focalizzare ciascuna portante in una

fibra ottica. Per ottenere un dispositivo facilmente integrabile, conviene utilizzare delle

lenti a gradiente di indice (Graded-index lens, GRIN), ovvero un particolare tipo di lenti

fabbricate in modo da ottenere una variazione graduale dell’indice di rifrazione del

materiale. Sostanzialmente la luce viene continuamente incurvata dal materiale finché

50

non viene focalizzata in un punto, come una lente convenzionale. Grazie alla condizione

di Bragg è possibile ottenere un fenomeno di interferenza costruttiva tale che:

𝜆0 = 2𝑛𝑒𝑓𝑓𝛬

con 𝑛𝑒𝑓𝑓 indice di rifrazione effettivo del modo guidato in fibra. Il reticolo rifletterà

maggiormente la portante di lunghezza d’onda 𝜆0, che verrà focalizzata nella fibra in

uscita. È ovvio che per ottenere un demultiplexer c’è bisogno di creare più reticoli di

Bragg all’interno del materiale, perché ciascun reticolo da solo è in grado di riflettere

una sola lunghezza d’onda. Data l’elevata complessità nella fabbricazione di un tale

dispositivo, si preferisce utilizzare dei reticoli di Bragg concavi inseriti direttamente

nella fibra. Questi ultimi dispositivi permettono di multiplare e demultiplare fino a 120

canali contemporaneamente.

Per quanto riguarda gli Interference-based demultiplexer, questi sfruttano

dispositivi come filtri ottici e accoppiatori direzionali, selezionando la lunghezza

d’onda riflessa mediante il fenomeno dell’interferenza ottica. L’analisi di questi ultimi

esula dai fini di questa tesi.

Caratterizzazione di un mutliplexer ottico

Per la caratterizzazione del multiplexer ottico si è proceduto connettendo la sorgente

WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Anche in

questo caso, dalla potenza ottica misurata dal power meter sul ramo di monitor

dell’accoppiatore si è ricavata la potenza ottica in ingresso al multiplexer mediante il

coupling ratio dell’accoppiatore.

Si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 𝐶𝐻32 del multiplexer. È

stato valutato il coefficiente di trasmissione in potenza del multiplexer misurando la

potenza in uscita dalla porta comune e variando la lunghezza d’onda del segnale

generato dal laser di ∆𝜆 = 0,1 𝑛𝑚 in un intervallo prefissato di lunghezze d’onda:

51

FIGURA 30

Si è ripetuto lo stesso procedimento connettendo il ramo di test dell’accoppiatore alla

porta 𝐶𝐻34 del multiplexer:

FIGURA 31

Di seguito vengono riportati i grafici di trasmissione del multiplexer:

FIGURA 32

Come si osserva dalla figura precedente, considerando la porta 𝐶𝐻32 del multiplexer,

si ottiene un massimo di trasmissione in corrispondenza della lunghezza d’onda

52

centrale del canale 𝐼𝑇𝑈32. Per quanto riguarda la porta 𝐶𝐻34, si ottiene un massimo

di trasmissione in corrispondenza della lunghezza d’onda centrale del canale 𝐼𝑇𝑈34.

Add-drop multiplexer

FIGURA 33

Un optical add-drop multiplexer (OADM), è un dispositivo ottico che permette di

aggiungere o rimuovere uno o più canali di un sistema multiplato senza interferire con

i canali restanti. Tale dispositivo utilizza contemporaneamente un multiplexer, un

demultiplexer e uno o più switch ottici. Il segnale multiplato in ingresso al

demultiplexer viene separato nei diversi canali. Uno o più switch ottici sono utilizzati

per rimuovere, aggiungere o lasciar passare inalterati i canali demultiplati in ingresso

al multiplexer, che ha il compito di ricombinarli insieme in un unico segnale multiplato.

Il grosso vantaggio offerto da un OADM è la possibilità di amplificare ed equalizzare un

singolo canale di un sistema WDM, grazie alla possibilità di controllare singolarmente

ciascuno di essi.

Se non è necessario controllare singolarmente tutti i canali di un segnale

multiplato, ma si ha la necessità di demultiplare un singolo canale, si possono utilizzare

53

sistemi meno complessi che utilizzano add-drop filters in grado di estrarre un singolo

canale senza alterare il segnale del sistema WDM.

Caratterizzazione di un add-drop multiplexer

Per l’analisi delle caratteristiche dell’ add-drop, si è connessa la sorgente WDM ad un

accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Dalla potenza ottica

misurata dal power meter sul ramo di monitor dell’accoppiatore si è ricavata la potenza

ottica in ingresso al OADM.

Si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta di ingresso dell’add-drop. È

stato valutato il coefficiente di trasmissione in potenza dalla porta di ingresso alla porta

d’uscita misurando potenza della porta di uscita e variando la lunghezza d’onda del

segnale generato dal laser ogni ∆𝜆 = 0,1 𝑛𝑚 in un intervallo prefissato di lunghezze

d’onda:

FIGURA 34

Si è poi misurato il coefficiente di trasmissione in potenza dalla porta di uscita alla

porta di 𝐴𝐷𝐷 allo stesso modo del caso precedente, mandando segnale alla porta di

uscita e misurando potenza alla porta di 𝐴𝐷𝐷:

FIGURA 35

54

Di seguito vengono riportati i grafici di trasmissione dell’add-drop multiplexer:

FIGURA 36

Come si osserva dalla figura precedente, in corrispondenza della lunghezza d’onda

centrale del canale 𝐼𝑇𝑈36 si ha un minimo di trasmissione dalla porta di ingresso alla

porta di uscita. Inoltre, per lo stesso valore di lunghezza d’onda, si ha un massimo di

trasmissione dalla porta di uscita alla porta di 𝐴𝐷𝐷 . Infatti, essendo l’add-drop

multiplexer un dispositivo reciproco, la porta di 𝐴𝐷𝐷 si comporta da 𝐷𝑅𝑂𝑃 se il

segnale di ingresso è posto sulla porta di uscita.

55

Fiber Bragg Gratings

FIGURA 37

Un reticolo di Bragg in fibra è una variazione periodica dell’indice di rifrazione del

materiale di cui è composto il core. Questa si forma grazie all’utilizzo di radiazioni

ultraviolette in grado di “scrivere” il reticolo all’interno di fibre fortemente drogate con

particelle di alluminio. Grazie alla struttura periodica, le onde riflesse che incidono a

distanza di una lunghezza d’onda di reticolo 𝛬 sul FBG, interferiscono

costruttivamente. La lunghezza d’onda corrispondente è detta lunghezza d’onda di

Bragg:

𝜆𝐵 = 2𝑛𝛬

con 𝑛 indice di rifrazione del core della fibra ottica. In Figura 37 si può osservare la

potenza incidente sul reticolo, la potenza riflessa dal reticolo e la potenza trasmessa

dal reticolo in funzione della lunghezza d’onda del segnale che viaggia nella guida

d’onda.

Il periodo del reticolo varia con la temperatura. Ovviamente questo comporta

una variazione della lunghezza d’onda riflessa dal reticolo stesso. Questa caratteristica

rende possibile l’utilizzo di tali dispositivi come sensori di temperatura.

È inoltre possibile utilizzare contemporaneamente un circolatore e un FBG,

come add-drop multiplexer. Il segnale multiplato va in ingresso alla porta 1 del

circolatore, in uscita dalla porta 2 viene posto il reticolo di Bragg in fibra che lascia

56

passare inalterate le componenti spettrali del segnale multiplato, tranne quella

corrispondente alla lunghezza d’onda di Bragg. Quest’ultima viene demultiplata dal

reticolo che la riflette verso la porta 3.

Caratterizzazione di un FBG

Per la caratterizzazione del reticolo di Bragg in fibra, si è connessa la sorgente WDM ad

un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Il ramo di test

dell’accoppiatore direzionale è stato collegato in ingresso alla porta 1 del circolatore.

La porta 2 di quest’ultimo è stata collegata all’FBG, in modo da permettere la misura

del coefficiente di trasmissione e di riflessione del dispositivo, e in modo da limitare le

backreflections verso la sorgente DFB:

FIGURA 38

È stato valutato il coefficiente di trasmissione in potenza del reticolo in funzione della

lunghezza d’onda della sorgente laser, misurando la potenza ottica in uscita dall’FBG

ogni ∆𝜆 = 0,02 𝑛𝑚 in un intervallo prefissato di lunghezze d’onda e considerando il

fattore di insertion loss 𝐼𝐿(1 > 2) introdotto dal circolatore. In seguito si è valutato il

coefficiente di riflessione in potenza del reticolo valutando la potenza in uscita dalla

porta 3 del circolatore, sempre tenendo in conto delle perdite introdotte dal

circolatore, 𝐼𝐿(2 > 3).

Di seguito vengono riportati i grafici corrispondenti al coefficiente di trasmissione e di

riflessione in potenza:

57

FIGURA 39

In corrispondenza della lunghezza d’onda centrale del canale di trasmissione 𝐼𝑇𝑈36, si

ottiene un minimo valore del coefficiente di trasmissione e un massimo valore del

coefficiente di riflessione in potenza. Si osserva inoltre che per lunghezze d’onda

corrispondenti ai canali adiacenti 𝜆𝐶𝐻35 = 1549,32 𝑛𝑚 e 𝜆𝐶𝐻37 = 1547,72 𝑛𝑚 il

reticolo lascia passare la radiazione senza causare eccessive riflessioni, avendo un

coefficiente di trasmissione in potenza maggiore di −0,7 𝑑𝐵 e un coefficiente di

riflessione minore di −20 𝑑𝐵.

Capitolo 4

Mach Zehnder modulator

Per ottenere sistemi di comunicazione di tipo DWDM, si sono rese necessarie nuove

tecniche di modulazione delle portanti ottiche, al fine di garantire una maggior purezza

spettrale e una minor distanza in frequenza tra i canali di un sistema multiplato. Questo

comporta l’utilizzo di tecniche di modulazione che non influenzino la sorgente, che non

causino shift nella frequenza del segnale ottico. Il Mach Zehnder modulator è un

modulatore ottico che permette di utilizzare tecniche di modulazione indiretta della

sorgente laser in modo da ottenere tali prestazioni.

58

FIGURA 40

Il modulatore è formato da una guida d’onda seguita da una serie di due accoppiatori.

La potenza trasmessa dalla radiazione in guida, viene divisa in parti uguali nei due rami

del modulatore. In uscita il secondo accoppiatore ricombina i segnali dopo che hanno

percorso lo stesso cammino geometrico.

Grazie agli elettrodi disposti lungo uno dei due rami, è possibile creare una

modulazione di fase nel segnale ottico che attraversa il braccio su cui sono applicati.

Più precisamente, applicando una tensione agli elettrodi, si genera uno sfasamento

direttamente proporzionale alla tensione applicata. Questo è dovuto all’effetto

elettroottico di particolari materiali birifrangenti come il niobato di lito 𝐿𝑖𝑁𝑏𝑂3, per il

quale si ha una variazione in forma e dimensioni dell’indicatrice ottica del mezzo in

funzione del campo elettrico applicato al materiale stesso. L’effetto Pockels rappresenta

la componente lineare dell’effetto elettroottico, l’effetto Kerr è la componente

direttamente proporzionale al quadrato del campo elettrico applicato, spesso

trascurabile rispetto all’effetto lineare.

Considerando una tensione nulla ai capi degli elettrodi, il segnale viene diviso in due

onde che non subiscono variazioni di fase nel passaggio attraverso il modulatore. In

uscita si ottiene la somma di due segnali in fase fra di loro, e quindi si ha esattamente

il segnale in ingresso al modulatore. Se invece si applica una tensione 𝑉 ≠ 0 ai capi

degli elettrodi, tale da ottenere uno sfasamento di 𝜋 del segnale che passa attraverso il

ramo superiore (Figura 40), si osserva un fenomeno di interferenza distruttiva tra i

segnali in uscita dai due rami; tale valore di tensione è detto tensione di semionda 𝑉𝜋.

Per valori di tensione 𝑉, tali che 0 < 𝑉 < 𝑉𝜋 si ottiene una modulazione di ampiezza del

segnale portante.

59

FIGURA 41

Dalla figura precedente si osserva come l’uscita del dispositivo presenta una

dipendenza sinusoidale dal campo applicato agli elettrodi, quindi, se il dispositivo

viene polarizzato esattamente nel punto di massimo guadagno, considerando un

piccolo segnale in ingresso al modulatore, si ottiene, in prima approssimazione, una

variazione lineare dell’irradianza in uscita in funzione di 𝑉𝑏𝑖𝑎𝑠. I punti di massimo e di

minimo della precedente caratteristica corrispondono a punti di funzionamento non

lineare del modulatore.

60

Analisi di alcune caratteristiche del Mach Zehnder modulator

In teoria la caratteristica potenza ottica in uscita del modulatore, in funzione della

tensione applicata al Mach Zehnder dovrebbe essere una funzione cosinusoidale, in

quanto la potenza ottica del segnale in uscita è pari al modulo quadro della somma di

due segnali sinusoidali sfasati fra di loro di un angolo direttamente proporzionale alla

tensione applicata. Ovviamente tale caratteristica è fortemente non lineare. Nelle

applicazioni lineari come nel caso della modulazione d’ampiezza di portanti ottiche,

quello che si cerca di ottenere è un punto di lavoro stabile in corrispondenza del punto

di massima linearità della caratteristica, ovvero nel punto di massima derivata (Figura

41). Una variazione nella posizione del punto di lavoro di tale dispositivo, può causare

un funzionamento fortemente non lineare, con la comparsa di armoniche spurie nello

spettro del segnale in uscita. Risulta sperimentalmente che la caratteristica 𝑃𝑜𝑢𝑡 − 𝑉𝑏𝑖𝑎𝑠

si sposta nel tempo, causando variazioni nella posizione del punto operativo. Questo

può portare il dispositivo ad un funzionamento non lineare, nonostante inizialmente

sia stato polarizzato esattamente nel punto di massima linearità. Questo fenomeno è

dovuto ad alcune caratteristiche dei materiali di cui è composto il modulatore, come ad

esempio il niobato di litio 𝐿𝑖𝑁𝑏𝑂3; può essere causato da effetto piroelettrico, effetto

fotorifrattivo e fenomeni fotoconduttivi che avvengono contemporaneamente nel

𝐿𝑖𝑁𝑏𝑂3. Sorge perciò la necessità di un circuito di controllo automatico del punto di

lavoro in grado di garantire sempre un funzionamento lineare del dispositivo. Alcuni

costruttori, infatti, permettono di rivelare la portante ottica con un fotodiodo installato

nel case del dispositivo. In questo modo è possibile monitorare il segnale in uscita dal

modulatore evitando l’utilizzo di un accoppiatore in uscita.

Di seguito vengono riportate alcune caratteristiche misurate su un Mach Zehnder

modulator.

61

FIGURA 42

Per la caratterizzazione del modulatore ottico, si è proceduto collegando la sorgente

WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Per

valutare la caratteristica, si è variata la tensione continua 𝑉𝑏𝑖𝑎𝑠 del dispositivo e si è

misurata la potenza ottica in uscita dal modulatore.

FIGURA 43

La figura precedente mostra la caratteristica 𝑃𝑜𝑢𝑡 − 𝑉𝑏𝑖𝑎𝑠 misurata a distanza di tempo,

e conferma quanto detto in precedenza.

In seguito si è valutata la corrente in uscita dal fotodiodo installato nel

modulatore in funzione della tensione di polarizzazione. Inoltre si è mandato in

ingresso alla porta 𝑅𝐹 del modulatore, un piccolo segnale, tale da rientrare intervallo

di dinamica lineare del Mach Zehnder.

62

FIGURA 44

Il grafico precedente mostra la caratteristica 𝑃𝑜𝑢𝑡 − 𝑉𝑏𝑖𝑎𝑠 , insieme alla corrente

fotorivelata e al guadagno di piccolo segnale in funzione della tensione di

polarizzazione. Si nota che la corrente del fotodiodo è in quadratura rispetto alla

potenza ottica in uscita dal modulatore, aumenta al diminuire della potenza ottica in

uscita dal Mach Zehnder. Si osservi che il grafico del guadagno di piccolo segnale

rappresenta il modulo della derivata della caratteristica della potenza ottica in uscita

dal modulatore, in quanto la tensione picco-picco di piccolo segnale misurata è sempre

positiva. Inoltre, in corrispondenza dei massimi e dei minimi della potenza in uscita dal

modulatore e della corrente in uscita dal fotodiodo, si ha un minimo valore di guadagno

di piccolo segnale. In questi punti di lavoro si ha un funzionamento fortemente non

lineare del modulatore.

63

FIGURA 45

Dalla Figura 45 è possibile osservare l’andamento della corrente fotorivelata in

funzione della tensione di polarizzazione, per diversi valori di potenza ottica in

ingresso. All’aumentare della potenza ottica, si ottengono valori di corrente in uscita

dal fotodiodo, mediamente più elevati.

FIGURA 46

In Figura 46, è riportato un grafico che confronta l’andamento del guadagno di piccolo

segnale e il rapporto tra la potenza della seconda armonica e la potenza della prima

armonica. Si osservi che in corrispondenza del massimo valore del guadagno di piccolo

64

segnale si ha una minima distorsione di non linearità introdotta dalla seconda

armonica di segnale.

FIGURA 47

La curva blu in Figura 47 mostra la caratteristica della corrente in uscita dal fotodiodo

in funzione della tensione di polarizzazione, in seguito ad una leggera pressione

esterna sul modulatore. Si osserva anche in questo caso, un evidente spostamento

della caratteristica.

Di seguito viene spiegato il funzionamento di un algoritmo che permette di ottenere un

controllo automatico della tensione di polarizzazione del modulatore. L’obiettivo è

rendere la tensione di polarizzazione stabile, in modo da avere un punto di lavoro fisso

in corrispondenza del punto di massima linearità di funzionamento del Mach-Zehnder.

L’idea alla base è stata quella di misurare l’uscita in corrente del fotodiodo del

modulatore al variare della tensione di polarizzazione e di modificare la tensione di

polarizzazione in modo da fissare il punto di lavoro in corrispondenza del massimo

valore della derivata prima della caratteristica 𝐼𝑃𝐷 − 𝑉𝑏𝑖𝑎𝑠 . Per implementare tale

sistema si è fatto uso di un kit di sviluppo 𝑃𝑆𝑜𝐶 (𝑃𝑟𝑜𝑔𝑟𝑎𝑚𝑚𝑎𝑏𝑙𝑒 𝑆𝑦𝑠𝑡𝑒𝑚 − 𝑜𝑛 −

𝐶ℎ𝑖𝑝) 5𝐿𝑃 di 𝐶𝑦𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠; in generale lo schema di riferimento è il seguente.

Si è impostata una tensione di polarizzazione iniziale. Successivamente si è misurata

una stima della pendenza della caratteristica intorno al valore di tensione impostato

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inizialmente, valutando l’incremento in corrente tra la corrente misurata nel punto di

lavoro iniziale e la corrente misurata per valori di tensione di riferimento vicini,

equidistanti intorno al valore di tensione di riferimento impostato in precedenza. In

questo modo si ottiene il valore della derivata discreta destra e sinistra rispetto al

punto di lavoro. Da un confronto tra i valori assoluti degli incrementi in corrente, è

possibile scegliere come spostare il punto di lavoro verso il punto di massima derivata.

Iterando i passaggi precedenti, scegliendo come tensione di polarizzazione iniziale

l’ultimo valore della tensione di riferimento assunto in seguito allo spostamento verso

il punto di derivata massima, l’algoritmo converge ad un preciso valore di tensione.

FIGURA 48

La Figura 48 mostra l’andamento nel tempo della tensione di polarizzazione ottenuta

con il metodo descritto in precedenza, su un intervallo di tempo di due ore. Raggiunto

un valore di saturazione, il punto di lavoro subisce scostamenti non trascurabili, che

potrebbero essere dovuti ad errori nel calcolo delle derivate discrete a destra e a

sinistra del valore di tensione di riferimento.

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Conclusioni

Si sono analizzati i principali componenti di un sistema optoelettronico di

distribuzione di clock per l’esperimento TOTEM all’LHC del CERN, confrontando i dati

sperimentali con le caratteristiche teoriche di ciascun dispositivo. In particolare, si è

posta l’attenzione sulle proprietà fondamentali del modulatore ottico utilizzato nel

sistema di distribuzione. Si è reso evidente il problema della polarizzazione di tale

dispositivo, mostrando la necessità di un sistema in grado di stabilizzare il punto di

lavoro del modulatore, e implementando un possibile algoritmo di controllo

automatico della tensione di polarizzazione. Ciononostante, servirebbe un sistema in

grado di stabilizzare la tensione di riferimento senza perturbare eccessivamente il

modulatore stesso.

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Bibliografia

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2002

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Adriatica Editrice, 2003

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Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, 2014