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Politecnico di Torino – Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica Contratto tra Regione Piemonte – Direzione Opere Pubbliche, Difesa del Suolo, Economia Montana e Foreste – Settore Protezione Civile e Sistema Anti Incendi Boschivi e Politecnico di Torino - Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica per l’esecuzione di un programma di ricerca denominato: “Definizione di criteri per la valutazione della pericolosità di fenomeni franosi a scala regionaleRelazione finale delle attività Maggio 2011 1. Premessa Si riporta nel seguito la relazione finale delle attività che il Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica (nel seguito DISTR) del Politecnico di Torino ha svolto nell’ambito del contratto di ricerca con Regione Piemonte - Direzione Opere Pubbliche, Difesa del Suolo, Economia Montana e Foreste – Settore Protezione Civile e Sistema Anti Incendi Boschivi (A.I.B.), nel seguito Protezione Civile, dal titolo “Definizione di criteri per la valutazione della pericolosità di fenomeni franosi a scala regionale”. Il contratto prevedeva una serie di valutazioni analitiche e statistiche per l’individuazione di criteri semplificativi delle metodologie esistenti, al fine di valutare la pericolosità dei fenomeni franosi in Piemonte a partire dalle sole informazioni contenute nelle banche dati esistenti e dai livelli cartografici ordinari. La ricerca, finalizzata alla successiva elaborazione di scenari multi-rischio a scala regionale secondo la metodologia adottata da Protezione Civile nell’ambito del progetto RiskNat, si è articolata in 5 fasi, come dettagliato in seguito. Nel corso del progetto sono state condotte riunioni periodiche tra il personale del DISTR coinvolto nel progetto e i tecnici di Protezione Civile per la discussione dell’avanzamento dei lavori e dei risultati. Il personale DISTR ha inoltre partecipato ad un evento di presentazione dei risultati preliminari ottenuti nell’ambito del progetto RiskNat, organizzato da Protezione Civile il giorno 4 aprile 2011. 2. Attività previste dal contratto 1) Analisi delle caratteristiche e delle cause d’innesco delle diverse tipologie di frane presenti sul territorio piemontese ed individuazione di macro-categorie, con riferimento ai processi evolutivi, e schematizzazione dei comportamenti ricorrenti

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Politecnico di Torino – Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica

Contratto tra Regione Piemonte – Direzione Opere Pubbliche, Difesa del Suolo, Economia Montana e Foreste – Settore Protezione Civile e Sistema Anti Incendi

Boschivi e Politecnico di Torino - Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica per l’esecuzione di un programma di ricerca denominato: “Definizione di criteri per la valutazione della pericolosità di fenomeni franosi a scala regionale”

Relazione finale delle attività

Maggio 2011 1. Premessa Si riporta nel seguito la relazione finale delle attività che il Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica (nel seguito DISTR) del Politecnico di Torino ha svolto nell’ambito del contratto di ricerca con Regione Piemonte - Direzione Opere Pubbliche, Difesa del Suolo, Economia Montana e Foreste – Settore Protezione Civile e Sistema Anti Incendi Boschivi (A.I.B.), nel seguito Protezione Civile, dal titolo “Definizione di criteri per la valutazione della pericolosità di fenomeni franosi a scala regionale”.

Il contratto prevedeva una serie di valutazioni analitiche e statistiche per l’individuazione di criteri semplificativi delle metodologie esistenti, al fine di valutare la pericolosità dei fenomeni franosi in Piemonte a partire dalle sole informazioni contenute nelle banche dati esistenti e dai livelli cartografici ordinari. La ricerca, finalizzata alla successiva elaborazione di scenari multi-rischio a scala regionale secondo la metodologia adottata da Protezione Civile nell’ambito del progetto RiskNat, si è articolata in 5 fasi, come dettagliato in seguito.

Nel corso del progetto sono state condotte riunioni periodiche tra il personale del DISTR coinvolto nel progetto e i tecnici di Protezione Civile per la discussione dell’avanzamento dei lavori e dei risultati. Il personale DISTR ha inoltre partecipato ad un evento di presentazione dei risultati preliminari ottenuti nell’ambito del progetto RiskNat, organizzato da Protezione Civile il giorno 4 aprile 2011. 2. Attività previste dal contratto

1) Analisi delle caratteristiche e delle cause d’innesco delle diverse tipologie di frane

presenti sul territorio piemontese ed individuazione di macro-categorie, con riferimento ai processi evolutivi, e schematizzazione dei comportamenti ricorrenti

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Definizione di criteri per la valutazione della pericolosità di fenomeni franosi a scala regionale

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Questa attività è stata condotta analizzando le informazioni disponibili nelle banche dati: • SIFRAP (Sistema Informativo dei fenomeni FRAnosi in Piemonte), evoluzione della

banca dati IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia) costantemente aggiornata da ARPA Piemonte (http://webgis.arpa.piemonte.it/elenco_servizi/index.html);

• RERCOMF (REte Regionale Controllo Movimenti Franosi), che raccoglie i dati di monitoraggio dei fenomeni franosi in Piemonte gestiti da ARPA Piemonte. Gli strumenti facenti parte della rete ARPA sono per lo più di proprietà dei Comuni e vengono gestiti dall’Agenzia per conto di questi ultimi (ARPA Piemonte, 2009°; http://webgis.arpa.piemonte.it/elenco_servizi/index.html);

• NEWGEO (http://webgis.arpa.piemonte.it/bdge/index.php), che rende disponibili on-line informazioni sugli eventi e sui danni indotti da fenomeni di instabilità naturale verificatisi nei comuni piemontesi tra il XVII e il XX secolo, derivanti dall’analisi di fonti bibliografiche di varia natura e/o da sopralluoghi.

Le informazioni raccolte nelle banche dati riguardano essenzialmente: la tipologia del fenomeno, la geometria dell’area instabile, lo stato di attività, la collocazione geografica e temporale. La descrizione delle attività condotte in questa fase è riportata al paragrafo 3.

2) Analisi delle frequenze degli eventi storici relativi alle diverse tipologie di frane sul territorio piemontese attraverso indagine bibliografica

I dati ricavati nel corso dell’attività 1 sono stati oggetto di analisi statistiche al fine di definire valori caratteristici in termini di frequenza temporale, stato di attività ed eventuali riattivazioni in funzione della tipologia di fenomeno, utili per la definizione di valori convenzionali da adottare per ciascuna categoria. A causa della disomogeneità e dell’incompletezza delle informazioni contenute nelle banche dati, tale analisi non ha però dato risultati affidabili, come descritto al paragrafo 4 e non è perciò stata presa in considerazione per le fasi successive del presente lavoro.

3) Analisi delle massime distanze di elongazione relative alle diverse tipologie di frana e

definizione dei valori convenzionali da impiegare per le successive analisi di rischio;

A tal fine ci si è basati sul lavoro preliminare condotto dal DISTR in collaborazione con Protezione Civile, che ha fornito alcuni criteri molto speditivi per valutare l’area di invasione di diverse tipologie di frana, sulla base della classificazione utilizzata dalla banca dati SIFRAP. Tale lavoro è stato integrato ed affinato, sulla base della ricerca bibliografica e della raccolta dei dati esistenti, condotte nel corso delle attività 1 e 2. In particolare, dalla banca dati SIFRAP è possibile ricavare parametri geometrici quali le aree di invasione e le massime distanze raggiunte di alcune tipologie di fenomeno. Per i fenomeni che si ritiene possano interessare aree più vaste di quelle indicate nella banca dati SIFRAP in caso di evoluzione catastrofica, è stato messo a punto un metodo energetico molto semplificato, come dettagliato al paragrafo 5.

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4) Criteri per la valutazione quantitativa ed approssimata, per ciascuna tipologia di frana, delle probabili aree di propagazione, espansione e/o arretramento, sulla base dei livelli vettoriali della cartografia tecnica e/o di modelli digitali del terreno, mediante l’impiego degli strumenti di analisi spaziale normalmente disponibili in ambiente GIS

Tale attività, basata sui risultati delle precedenti e sugli strumenti di analisi spaziale disponibili, è stata condotta in stretta collaborazione con i tecnici di Protezione Civile ed il coinvolgimento del CSI Piemonte, come descritto al paragrafo 5.

5) Stima della probabilità di occorrenza temporale dei fenomeni franosi in funzione della

tipologia e dello stato di attività, differenziando diversi tempi di ritorno convenzionali associabili alle aree instabili e alle eventuali aree di propagazione, espansione e/o arretramento

Dal momento che l’analisi statistica delle informazioni contenute nelle banche dati esistenti non ha dato risultati affidabili, è stata condotta una ricerca bibliografica per valutare i metodi esistenti per la definizione della probabilità di occorrenza temporale di diverse tipologie di fenomeno franoso. Tale ricerca ha permesso di selezionare alcuni metodi da applicare a diverse macro-categorie di frana, come dettagliato al paragrafo 6.

3. ATTIVITÀ 1: Analisi delle caratteristiche e delle cause d’innesco delle diverse

tipologie di frane presenti sul territorio piemontese ed individuazione di macro-categorie, con riferimento ai processi evolutivi, e schematizzazione dei comportamenti ricorrenti

La prima attività condotta nel presente lavoro è stata l’analisi delle tipologie di fenomeno franoso presenti nella banca dati SIFRAP. Il SIFRAP nasce come estensione del Progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia), nonché come sviluppo del patrimonio di conoscenze del Centro Regionale per le Ricerche Territoriali e Geologiche di ARPA Piemonte nel campo dei fenomeni franosi. Il progetto IFFI (http://www.mais.sinanet.apat.it/cartanetiffi/documenti.asp) fu promosso dall'ex Servizio Geologico Nazionale, poi confluito in APAT ed oggi in ISPRA e fu sviluppato, per il Piemonte, da ARPA, fornendo come risultato la realizzazione di un sistema informativo comprendente circa 35000 frane cartografate alla scala 1:10000. Il SIFRAP ha l'obiettivo di integrare, sviluppare ed aggiornare costantemente questa base dati. Le modalità di aggiornamento dei dati sono descritte nella Procedura tecnica U.RP.T087 (ARPA Piemonte, 2008), e vengono applicate dai tecnici di Arpa Piemonte, benché in modo piuttosto discontinuo e puntuale. Le informazioni contenute nella banca dati sono strutturate in tre diversi livelli di approfondimento; per tutti i fenomeni è presente il primo livello, che prevede informazioni di base, quali la definizione della geometria, della tipologia e dello stato di attività dei fenomeni franosi. Solo per alcuni fenomeni (attualmente circa 60) vengono fornite informazioni di maggior dettaglio (livelli successivi) mediante schede in formato pdf collegate con la componente geografica.

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3.1 Descrizione delle tipologie di fenomeno franoso

Le tipologie di frana presenti nella banca dati SIFRAP, e definiti nell’ambito del progetto IFFI riprendono la classificazione di Varnes (1978), con alcuni accorpamenti dovuti alla difficoltà di distinguere alcune categorie nel corso dell’inventario (ARPA Piemonte, 2009b): Crollo/ribaltamento - La massa si muove per caduta libera, salti, rimbalzi e roto-scivolamento, frantumandosi in diversi elementi di pezzatura variabile ed è generalmente caratterizzata da movimento estremamente rapido. Non viene fatta alcuna distinzione tipologica tra i crollo e ribaltamento in quanto talvolta il ribaltamento evolve in un crollo in modo non riconoscibile in un sopralluogo successivo all'evento. Non viene introdotta neppure alcuna distinzione volumetrica, ponendo solo un limite superiore oltre il quale grandi volumi rocciosi inducono interazioni tra i singoli elementi lapidei che portano alla formazione di fenomeni tipo “valanga di roccia”. Queste ultime sono classificate come frane complesse. Le cause di innesco dei crolli sono molteplici e non solo legate a fattori climatologici ma anche sismici, antropici ecc. Nella banca dati SIFRAP sono attualmente presenti 2194 record appartenenti a questa categoria. Scivolamento rotazionale/traslativo - Anche in questo caso non viene fatta alcuna distinzione tra le due tipologie. Per entrambi il movimento comporta uno spostamento lungo una o più superfici di rottura per taglio, che possono essere piane (scivolamenti traslativi) o curve (scivolamenti rotazionali), oppure entro una zona relativamente sottile caratterizzata da intensa deformazione di taglio. Queste frane sono facilmente riconoscibili e ben distinguibili quando la massa dislocata non ha dimensioni rilevanti. Nel caso di frane di grandi dimensioni, ove sia difficile distinguere la tipologia prevalente di movimento, è preferibile una classificazione tra le frane complesse. L’innesco o la riattivazione di questi fenomeni sono in genere legati all’infiltrazione di acqua nell’ammasso ma, a causa della profondità non trascurabile della superficie di rottura, risulta piuttosto incerta la loro correlazione con l’intensità delle precipitazioni piovose nel corso di un evento meteorologico. Nella banca dati SIFRAP sono attualmente presenti 10610 record appartenenti a questa categoria. Colamento “lento/rapido” - Il colamento è un movimento spazialmente continuo che può essere paragonato a quello dei fluidi viscosi. Esistono notevoli differenze nella velocità del movimento in funzione delle variazioni dei parametri coinvolti oltre che delle pendenze del versante. Nella banca dati SIFRAP viene introdotta una distinzione basata sulla velocità del movimento:

colamento lento (3417 record): i movimenti sono generalmente caratterizzati da bassa velocità e coinvolgono terreni ad elevato contenuto argilloso e perlopiù basso contenuto d’acqua. Si tratta di fenomeni, anche di grandi dimensioni, che interessano prevalentemente versanti non molto ripidi costituiti da rocce argillose o da rocce alterate con matrice argillosa che evidenziano un comportamento viscoso. Per tale motivo la definizione delle cause di innesco dei movimenti è piuttosto incerta.

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colamento rapido (3623 record): i movimenti sono generalmente caratterizzati da velocità elevata e interessano perlopiù terreni sciolti in presenza di un significativo contenuto d’acqua. Si tratta di tutti quei fenomeni, generalmente di dimensioni non rilevanti, che si innescano in conseguenza di precipitazioni intense e coinvolgono normalmente i terreni sciolti di copertura, in tutta la loro gamma granulometrica, di versanti caratterizzati da pendenze piuttosto elevate.

Complesso - Il movimento risulta dalla combinazione di due o più dei movimenti precedentemente descritti. Gran parte delle frane possono dirsi caratterizzate da movimenti complesso, ma in molte di queste è anche possibile distinguere un movimento prevalente che, inquadrato in un preciso contesto geologico e morfo-strutturale dell’area, è quello che le caratterizza tipologicamente. In questo caso è opportuno classificare tali frane sulla base del movimento prevalente. In generale, a causa della complessità della geometria del problema e dei meccanismi coinvolti nei movimenti, non è possibile definire con certezza una causa di innesco. Nella banca dati SIFRAP sono attualmente presenti 2452 record appartenenti a questa categoria. DGPV - Movimento di massa molto complesso che si attua attraverso una deformazione progressiva della massa rocciosa, senza che siano apprezzabili superfici di rottura continue. Il processo deformativo avviene per spostamenti differenziali estremamente lenti che determinano un mutamento delle condizioni di stabilità generale di ampi settori di versante per profondità che superano il centinaio di metri, causando spostamenti di volumi rocciosi di parecchie decine di milioni di m3 verso il basso e verso l’asse della valle. Nell’evoluzione di questi grandi fenomeni gravitativi si instaura, in settori localizzati, una rottura progressiva all’interno dell’ammasso roccioso che può portare al collasso di alcune sue parti. Nella banca dati SIFRAP sono attualmente presenti 561 record appartenenti a questa categoria. Espansione - Movimento di estensione di terreno coesivo o di roccia, combinato con una generale subsidenza della massa stessa, che si frattura e disarticola in più parti, sopra a materiale tenero e non coesivo. L’espansione è quindi determinata da fenomeni di liquefazione, fluimento ed estrusione di questo materiale. Questi movimenti sono generalmente molto complessi ed estremamente lenti. Nella banca dati SIFRAP è attualmente presente un solo record appartenente a questa categoria. Sprofondamento - Peculiare tipo di dissesto che si verifica qualora avvenga il crollo della volta di una cavità sotterranea, antropica o naturale, che abbia risentimento a piano campagna. Si producono in superficie strutture tipiche chiamate camini di collasso. Nella banca dati SIFRAP sono attualmente presenti 39 record appartenenti a questa categoria.

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Nell’ambito del progetto IFFI è stata inoltre introdotta nella classificazione dei movimenti il nuovo termine “aree soggette a …”, per poter classificare, con una certa facilità, tutti quei settori di versante su cui sono in atto o che sono stati sottoposti in passato a fenomeni di instabilità diffuse sul territorio e contraddistinte dall’associazione o dalla ripetizione nel tempo di singoli processi generalmente caratterizzati da movimenti piuttosto rapidi. In particolare, sono presenti nella banca dati SIFRAP le categorie: Aree soggette a crolli/ribaltamenti diffusi (4682 record) – settori che, soprattutto in aree montuose, caratterizzano le pareti rocciose dove si ripetono fenomeni di caduta di singoli elementi lapidei, generalmente conseguenti ad uno stato di significativa fratturazione dell’ammasso roccioso e al susseguirsi di cicli stagionali caratterizzati da forte escursione termica. Quando possibile, nell’area sono circoscritte sia la zona sorgente che quella di passaggio e di invasione dei massi. Aree soggette a sprofondamenti diffusi (6 record) –porzioni di territorio dove sono noti e/o particolarmente frequenti fenomeni di sprofondamento, anche di piccole dimensioni. Aree soggette a frane superficiali diffuse (5579 record) - settori di versante che in passato sono stati interessati da frane di vario tipo a carico dei terreni sciolti di copertura, innescate contestualmente ad eventi idrometeorologici di forte intensità. Quando possibile, nell’area sono circoscritte sia la zona sorgente che quella di invasione dei materiali franati. Infine, quando non è stato possibile definire la tipologia di fenomeno franoso, nella banca dati SIFRAP è stata utilizzata la dicitura “non determinabile” (N.D.). Attualmente sono presenti 1901 record con tale indicazione, per i quali non è possibile fare alcuna considerazione. Dal punto di vista geometrico, ciascuna delle tipologie elencate può presentarsi sottoforma di: - Frana poligonale: fenomeno cartografabile alla scala di rilevamento; - Frana lineare: fenomeno di forma molto allungata, la cui larghezza (<25 m) non è

rappresentabile alla scala di rilevamento ma la cui lunghezza è significativa e cartografabile: viene rappresentato da un arco orientato che parte dal punto sommitale del fenomeno e termina nell'unghia;

- Frana puntuale: fenomeno di limitata estensione non cartografabile alla scala di rilevamento.

3.2 Stato di attività

La terminologia adottata nella descrizione dello stato di attività è basata sulle raccomandazioni del WP/WLI (1993a) e del Glossario Internazionale delle Frane (WP/WLI, 1993b), tradotto in italiano da Canuti & Esu (1995), da Canuti & Casagli (1994) e riproposto da Cruden & Varnes (1996):

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Attiva: frana attualmente in movimento. Nel caso di aree soggette a crolli, ribaltamenti e sprofondamenti diffusi, il termine attivo potrà essere utilizzato qualora sia alta la frequenza temporale dei singoli fenomeni su tutta l’area; Riattivata: frana di nuovo attiva dopo essere stata inattiva; le frane senza una discernibile storia di precedenti movimenti potranno più semplicemente essere descritte come “attive”; Sospesa: frana che ha manifestato movimenti entro l’ultimo ciclo stagionale ma non è attiva attualmente; Inattiva: frana per cui l’ultima fase di attività risale a prima dell’ultimo ciclo stagionale. Le frane inattive sono suddivise ulteriormente nelle seguenti sottoclassi:

• Quiescente: se si ritiene possibile una sua riattivazione; • Naturalmente stabilizzata: se non si ritiene possibile una sua riattivazione; • Artificialmente stabilizzata: se non si ritiene possibile una sua riattivazione in

quanto protetta con misure di stabilizzazione; • Relitta: frana originatasi in condizioni geomorfologiche o climatiche

considerevolmente diverse dalle attuali, di cui si ritiene impossibile una sua riattivazione.

Per quanto riguarda la banca dati SIFRAP, a causa dell’impossibilità di valutare la storia dei movimenti nel corso dell’inventario delle frane, le categorie prese in considerazione per lo stato di attività sono: 1. Attiva/riattivata/sospesa: 11054 record attualmente presenti 2. Quiescente: 12023 record attualmente presenti 3. Stabilizzata: 796 record attualmente presenti 4. Relitta: 56 record attualmente presenti Per i casi in cui non sia stato possibile dare alcuna indicazione sullo stato di attività del fenomeno censito è stata infine creata l’ulteriore categoria “non determinabile” (N.D.), che attualmente è attribuita a 11895 record. 3.3 Suddivisione in macro categorie

In seguito all’analisi delle informazioni contenute nella banca dati SIFRAP, le tipologie di frana sopra elencate sono state raggruppate in categorie diverse sulla base della finalità del raggruppamento stesso, come dettagliato ai paragrafi 5.1 e 6.1 rispettivamente: • Definizione delle aree di propagazione: 2 categorie

• Definizione del tempo di ritorno: 6 categorie

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4. ATTIVITÀ 2: analisi delle frequenze degli eventi storici relativi alle diverse tipologie di frane sul territorio piemontese attraverso indagine bibliografica

Obiettivo di questa attività è ricavare un tempo di ritorno da attribuire alle tipologie di frana indicate nella banca dati SIFRAP, tramite l’analisi delle frequenze storiche degli eventi registrati. A tal fine è stata condotta un’analisi dei contenuti della banca dati SIFRAP insieme a quelli della banca dati NEWGEO (Sistema Informativo Geologico SIGeo, Sottosistema Processi Effetti), che raccoglie informazioni sugli effetti (danni) registrati in seguito ad un evento franoso, con indicazione della tipologia di movimento e della data dell’evento. Non è stata presa in considerazione la banca dati RERCOMF, come inizialmente previsto, poiché l’analisi di dati di monitoraggio costituisce un livello di dettaglio troppo avanzato per il presente lavoro e non può essere condotta in modo automatico, ma richiederebbe lo studio dei singoli fenomeni monitorati. I dati contenuti nella banca dati NEWGEO sono tratti da fonti piuttosto eterogenee, sia specialistiche e non (pubblicazioni, perizie tecniche in senso lato, articoli di giornale ecc.), sia da rilevamento ed osservazioni dirette dei processi di modellamento naturale in atto. Viene posta particolare attenzione alla contestualizzazione dell'evento, in termini temporali e spaziali, distinguendo il processo dagli effetti che lo stesso ha recato all'ambiente, come ad esempio i danni. Il confronto incrociato delle fonti consente la valutazione della qualità del dato e permette di cogliere i molteplici aspetti della conoscenza dei processi, come incidenza, ricorrenza, distribuzione e caratterizzazione. D’altra parte, però, l’eterogeneità delle fonti stesse in molti casi crea notevoli ambiguità soprattutto nell’ubicazione geografica, che spesso è piuttosto incerta (molti fenomeni sono ubicati genericamente nei centri abitati) e nella classificazione del fenomeno, che spesso riporta diciture diverse per lo stesso record (per esempio: crolli diffusi/frana complessa oppure DGPV/scivolamento traslativo, ecc.). Inoltre, sono completamente assenti i dati necessari per definire i volumi potenzialmente coinvolti dalle varie tipologie di fenomeni, per cui non è possibile definire in alcun modo l’intensità dei fenomeni stessi. Nella banca dati NEWGEO sono presenti 7063 record relativi ad attività lungo i versanti (cioè fenomeni franosi). Di questi solo 1635 sono stati direttamente intersecati con i fenomeni classificati nella banca dati SIFRAP, cioè è stata trovata una corrispondenza univoca. Per gli altri record è possibile solo un’intersezione di tipo geografico ma, a causa della scarsa precisione nell’ubicazione geografica dei dati NEWGEO, questa operazione non può essere fatta in modo automatico e presenta notevoli incertezze. Per questo motivo l’analisi statistica ha fatto riferimento unicamente ai dati NEWGEO, riclassificati in macrocategorie con riferimento alle tipologie SIFRAP. Nella tabella 1 si riportano tali categorie. Nel caso di dicitura multipla per lo stesso record NEWGEO si è fatto riferimento all’indicazione che compare per prima oppure, qualora questa fosse “frana non classificata”, alla seconda. Come si nota dalla tabella 1, non è stato possibile trovare alcuna corrispondenza per le tipologie: Frana non classificata, Piena, Trasporto in massa torrentizio, Fenomeno di subsidenza, Avvallamento di sponda, Ruscellamento, che non sono riconducibili a fenomeni franosi in senso stretto. Tali categorie sono state perciò escluse dall’analisi.

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Una volta effettuato il raggruppamento, sono stati analizzati tutti i record NEWGEO appartenenti a ciascuna categoria, andando a selezionare quelli per i quali era disponibile l’informazione sulla data dell’evento. In questa fase, non essendo in genere disponibili informazioni dettagliate sullo stato di attività dei fenomeni, cioè non essendo possibile distinguere tra nuove attivazioni o riattivazioni di fenomeni attivi o quiescenti, non si è tenuto conto di questo aspetto e tutti i fenomeni sono stati considerati come attivi. Dei 7063 record presenti nella banca dati NEWGEO, 586 non hanno alcuna indicazione della data e sono perciò stati esclusi dall’analisi. Dei rimanenti, 2111 non hanno indicazione della tipologia di fenomeno e sono stati anch’essi esclusi, insieme a quelli appartenenti alle tipologie per le quali non è stato possibile trovare corrispondenza nel SIFRAP (578). L’analisi delle frequenze è stata perciò condotta su un totale di 3788 casi, ripartiti tra le macrocategorie individuate come indicato in tabella 1. Per quanto riguarda le date riportate si fa notare che, pur essendo coperto un periodo molto ampio, compreso indicativamente tra il XVII e il XX secolo, la grande maggioranza dei dati sono relativi al XX secolo (i dati precedenti al 1900 sono solo 178 e non ci sono dati successivi all’evento alluvionale di ottobre 2000). Inoltre, molti record sono ripetuti (anche per lo stesso fenomeno) nel corso di eventi meteorologici intensi (per esempio 1298 record sono relativi all’evento del 4-6 novembre 1994). Questo fa pensare ad una copertura temporale dei fenomeni piuttosto incompleta e non omogenea, relativa ad eventi di grandi dimensione (di cui si è mantenuta memoria nel tempo) negli anni più remoti e al contrario di dimensioni anche molto piccole (che hanno provocato danni di lieve entità) negli anni più recenti.

Tabella 1. Corrispondenza tra le categorie di fenomeno franoso nelle banche dati NEWGEO e SIFRAP e indicazione del numero di record NEWGEO per ciascuna

TIPOLOGIE Record NEWGEONEWGEO SIFRAP

Crollo in massa Crollo diffuso Crollo incanalato Crollo di limitate porzioni lapidee Crollo in roccia/detrito

Crollo/Ribaltamento; Aree soggette a crolli/ribaltamenti diffusi 782

Frana complessa Valanga di roccia Complesso 352

Deformazione gravitativa profonda (DGPV) DGPV 13 Scivolamento traslativo Scivolamento rotazionale Scivolamento rotazionale/traslativo 801

Colata di detrito/terra Colata veloce in detrito/terra Frana superficiale

Colamento rapido; Aree soggette a frane superficiali diffuse 1756

Colamento molto lento Colamento lento in terra/detrito Colamento lento 84

Frana non classificata Piena Trasporto in massa torrentizio Fenomeno di subsidenza Avvallamento di sponda Ruscellamento

- 578

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Sulla base dei dati descritti in precedenza è stata comunque determinata una ricorrenza per ogni tipologia di evento, considerando il rapporto tra il periodo complessivo considerato e il numero totale di eventi di cui si conosce la data, calcolando quindi una frequenza di attivazione annuale come:

n

AAF minmax −= (1)

Dove: Amax = anno dell’evento più recente Amin = anno dell’evento più datato n = anni totali appartenenti al periodo considerato Nel caso in cui, per un fenomeno che si verifica con una certa frequenza, sia segnalata una data che risulta essere troppo distaccata dal resto delle informazioni, quest’ultima non è stata tenuta in conto nel calcolo. Ad esempio per il calcolo della frequenza dei crolli non si è tenuto conto di un evento accaduto nel 1300, in quanto tra quest’ultimo e l’evento successivo (1549) si suppone che siano avvenuti altri crolli ma che non siano stati rilevati. Inoltre la differenza di 149 anni tra questi due fenomeni è molto maggiore degli altri periodi di ricorrenza ed avrebbe quindi aumentano sostanzialmente e poco realisticamente il periodo di ritorno della categoria. Nella tabella 2 si riportano i valori calcolati del tempo di ritorno T espresso in anni, calcolato come inverso della frequenza F. Per le DGPV, a causa del ridottissimo numero di dati disponibili, non è stato condotto alcun calcolo. Come si nota dalla tabella 2, i risultati di questa analisi statistica indicano tempi di ritorno piuttosto ridotti, che non possono essere considerati realistici se associati ad un’evoluzione catastrofica di ogni fenomeno.

Tabella 2. Tempi di ritorno calcolati per ogni categoria di fenomeno Tipologia T [anni]

Crollo/Ribaltamento; Area soggetta a crolli/ribaltamenti diffusi 0,91

Complesso 2,65 DGPV - Scivolamento rotazionale/traslativo 0,25 Colamento rapido; Area soggetta a frane superficiali diffuse 0,33

Colamento lento 3,26 L’analisi statistica non ha perciò dato risultati soddisfacenti in questo senso, a causa di numerosi problemi evidenziati nel corso dell’attività, che sono stati descritti in precedenza e possono essere riassunti in: • disomogeneità delle informazioni contenute nelle due banche dati analizzate • impossibilità di associare univocamente i dati contenuti nella banca dati NEWGEO

con i poligoni, linee o punti contenuti nella banca dati SIFRAP

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• eterogeneità e scarso dettaglio delle informazioni contenute in NEWGEO (ubicazione della frana, tipologia di movimento, date ecc.)

• mancanza di segnalazione di un fenomeno nel caso questo non produca danni • segnalazioni di danni puntuali, anche per fenomeni di estensione ed intensità limitata

(negli anni più recenti) • impossibilità di valutare i volumi coinvolti (e quindi l’intensità del fenomeno) La definizione del tempo di ritorno per un’evoluzione catastrofica di ogni tipologia di frana è stata ottenuta, nell’ambito del progetto, con metodi diversi, come descritto al paragrafo 6.2. Unicamente per le tipologie “complesso” e “colamento lento”, al fine di assegnare un valore di tempo di ritorno ad uno scenario “di attivazione locale”, da affiancare allo scenario “standard” di evoluzione catastrofica per tenere conto dei danni provocati da movimenti localizzati all’interno dell’area instabile, è stata condotta un’intersezione geografica delle banche dati NEWGEO e SIFRAP su alcuni casi campione (Calvi, 2011). In sintesi, i 3788 record NEWGEO (che, dal punto di vista geometrico, sono identificati con punti) che presentano informazioni sulla tipologia di movimento e sul tipo di frana sono stati inizialmente intersecati geograficamente con i poligoni SIFRAP, al fine di valutare le informazioni disponibili in relazione a riattivazioni dello stesso fenomeno. Successivamente sono stati selezionati alcuni dei poligoni associati ad un certo numero di punti NEWGEO (ricadenti all’interno del poligono o in prossimità dello stesso) e si è passati ad un’analisi di dettaglio delle intersezioni ottenute. Tale analisi di dettaglio si è resa necessaria al fine di: • verificare che la tipologia dei fenomeni coincidesse; • verificare l’effettiva corrispondenza geografica; • Verificare in dettaglio i punti che presentavano maggiore incertezza (come ad

esempio quelli posti nelle vicinanze di due poligoni e con ubicazione e tipologia incerta), sulla base delle schede di dettaglio dei fenomeni associate alla banca dati SIFRAP (se disponibili) e delle descrizioni dei danni e della dinamica del fenomeno associate alla banca dati NEWGEO (se disponibili).

Infine, è stata calcolata la frequenza F di riattivazione di ogni fenomeno tramite l’equazione (1) ed il relativo tempo di ritorno T come inverso della frequenza (T=1/F). Nel caso delle tipologie “complesso” e colamento lento”, l’analisi di dettaglio è stata condotta su 4 poligoni SIFRAP, e ha dato i risultati riportati in tabella 3. Sulla base di tali risultati è possibile stimare un tempo di ritorno medio di attivazione locale, da attribuire all’intera categoria pari a circa 5 anni.

Tabella 3. Calcolo della frequenza di attivazione locale e del relativo tempo di ritorno per alcuni fenomeni appartenenti alle categorie “colamento lento” e “complesso”

Località ID frana F (eventi/anno) T (anni)Garbagna (AL) 65047000 0.27 3.7 Chialamberto (TO) 10362100 0.29 3.4 Locana (TO) 10073305 0.11 9.1 Cesana Torinese (TO) 17505200 0.14 7.1

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In conclusione si suggerisce di adottare uno scenario di attivazione locale unicamente per le tipologie “complesso” e “colamento lento” in quanto si ritiene che:

• non sia significativo nel caso dei fenomeni ad evoluzione rapida ed improvvisa quali i crolli o i colamenti rapidi e le frane superficiali;

• sia rappresentato dai fenomeni secondari associati alle deformazioni lente dell’ammasso nel caso delle DGPV;

• possa essere trascurato nel caso dei fenomeni di scivolamento traslativo/rotazionale, generalmente di dimensioni inferiori e con tempi di ritorno per lo scenario standard di evoluzione catastrofica già piuttosto limitati (paragrafo 6.2.4).

Nel caso di quest’ultima tipologia, comunque, è stata effettuata un’analisi simile a quella descritta in questo paragrafo (sebbene in questo caso i dati disponibili fossero piuttosto scarsi), la quale ha portato ad un risultato analogo, con tempi di ritorno di riattivazioni locali quantificabili in 5 anni su tutto il territorio piemontese. 5. ATTIVITÀ 3: analisi delle massime distanze di elongazione relative alle diverse

tipologie di frana e definizione dei valori convenzionali da impiegare per le successive analisi di rischio

ATTIVITÀ 4: criteri per la valutazione quantitativa ed approssimata, per ciascuna tipologia di frana, delle probabili aree di propagazione, espansione e/o arretramento, sulla base dei livelli vettoriali della cartografia tecnica e/o di modelli digitali del terreno, mediante l’impiego degli strumenti di analisi spaziale normalmente disponibili in ambiente GIS

Queste due attività sono state raggruppate poiché lo scopo ultimo di entrambe è la definizione di criteri per valutare le aree di invasione di ogni tipologia di frana, finalizzate alla successiva valutazione degli elementi a rischio. 5.1 Definizione di macro-categorie

La prima operazione condotta per raggiungere tale scopo è stata la classificazione dei fenomeni in due macrocategorie (tabella 4), sulla base di un’analisi delle geometrie con cui vengono rappresentati i fenomeni appartenenti a tipologie diverse nell’ambito della banca dati SIFRAP: Categoria 1: frane poligonali, lineari e puntuali appartenenti alle tipologie: Colamento

rapido, Crollo/Ribaltamento, Espansione e Sprofondamento, nonché alle tipologie: Aree soggette a crolli/ribaltamenti diffusi, Aree soggette a frane superficiali diffuse, Aree soggette a sprofondamenti diffusi. Si propone di mantenere la geometria indicata nella banca dati SIFRAP, in quanto si ritiene che essa comprenda sia le zone di distacco sia quelle di invasione.

Categoria 2: frane poligonali, lineari e puntuali appartenenti alle tipologie: Colamento

lento, Complesso, DGPV e Scivolamento rotazionale/traslativo.

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Sulla base dell’ipotesi che i tali fenomeni possano avere un’evoluzione al di fuori delle geometrie indicate nella banca dati SIFRAP, si propone un metodo energetico da applicare al modello digitale del terreno in ambiente GIS. Tale modello è basato sul confronto tra la pendenza media delle celle di un percorso (flow direction) e un angolo “di attrito” ϕ, che tenga conto delle dispersioni energetiche della massa in movimento.

Tabella 4. Macro categorie utilizzate per la valutazione dell’area di invasione di ciascuna tipologia di frana SIFRAP

Tipologia Macro categoria Aree soggette a crolli/ribaltamenti diffusi

Categoria 1 La zona di propagazione coincide con l’area di instabilità indicata nel

Data Base SIFRAP

Aree soggette a frane superficiali diffuse Aree soggette a sprofondamenti diffusi Espansione Sprofondamento Colamento rapido Crollo/Ribaltamento Colamento lento Categoria 2

La zona di propagazione viene calcolata in ambiente GIS tramite un

metodo energetico

Complesso DGPV Scivolamento rotazionale/traslativo

5.2 Categoria 2: descrizione del metodo energetico proposto

I fenomeni appartenenti alla categoria 2 possono evolvere lungo i versanti interessando settori non originariamente compresi nelle geometrie indicate nella banca dati SIFRAP. I settori di versante interessati da tale evoluzione possono essere definiti sulla base di alcune considerazioni energetiche condotte sul modello digitale del terreno (DEM).

Figura 1. Schema esemplificativo della metodologia proposta per la valutazione delle aree

di invasione dei fenomeni appartenenti alla categoria 2

α1

α2

α3

∆h1

∆h2

∆h3

W

A

B

s1

s2

y = 0 yB

yA

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Con riferimento alla figura 1 e relativamente ad un solido di peso W che, partendo da un punto A, scende lungo il pendio fino ad un punto B, si può infatti scrivere, per il principio di conservazione dell’energia:

ϕ⋅α⋅⋅+⋅⋅+⋅=⋅

=

∑=

tancossWvgW

21yWyW

EEN

1iii

2BBA

BA (2)

dove: EA, EB = energia totale del solido nel punto A e nel punto B rispettivamente yA, yB = quota dei punti A e B rispettivamente rispetto ad un sistema di riferimento prefissato αi = angolo di inclinazione della cella i-esima del DEM, misurato lungo la linea di massima pendenza si = lunghezza della cella i-esima del DEM, misurata lungo la linea di massima pendenza N = numero di celle del DEM attraversate dal punto A al punto B vB = velocità del solido nel punto B Il punto di arresto si ottiene imponendo vB = 0:

( ) ϕ⋅α⋅⋅=− ∑=

tancossyyN

1iiiBA (3)

Osservando che (figura 1):

i

ii sen

hsα

∆= (4)

e che:

BN

1iAi yyh∑

=−=∆ (5)

si ottiene:

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( ) ( )

α=ϕ⇒

α=ϕ

α⋅ϕ⋅=

α⋅ϕ⋅⋅−=−

=

=

=

N

tantan

tantanN1

tantanNyyyy

N

1ii

N

1ii

N

1iiBABA

(6)

Il blocco si arresta quindi quando l’angolo di attrito eguaglia la media degli angoli di inclinazione dei tratti della linea di scivolamento a monte del punto di arresto. Il valore medio α può essere ottenuto automaticamente per ogni cella del DEM attraversata, permettendo di definire in modo molto rapido la cella di arresto. La procedura viene ripetuta per una serie di punti collocati sul perimetro del poligono SIFRAP di partenza. L’area di invasione viene quindi ottenuta mediante chiusura del poligono minimo convesso costituito dai punti del perimetro della frana e dai punti di arresto. Qualora i poligoni delle frane presenti nel data base SIFRAP risultino a scavalco tra spartiacque di diversi bacini, le linee di propagazione potrebbero però avere direzioni molto diverse e le aree di invasione ottenute mediante chiusura del poligono risulterebbero irrealisticamente estese. Non essendo possibile valutare caso per caso la correttezza dei dati, è necessario delimitare tali aree distinguendole per bacino ed eventualmente considerare solo quella appartenente ad un unico bacino. Per quanto riguarda l’estensione dei bacini da considerare nella procedura automatica, una fase di verifica e validazione del metodo condotta in collaborazione con il CSI Piemonte ha consentito di definire una superficie di riferimento per la generazione del bacino a partire dal dato DEM (10x10 m2), utilizzando un valore pari all'1% della superficie totale. Sono stati così generati 11.000 bacini, con dimensione media di 1,7 km2 e massima di 14 km2 . Per applicare la metodologia proposta a tutte le geometrie appartenenti alla categoria 2, per ciascuna tipologia di fenomeno viene suggerito un valore dell’angolo ϕ che tenga conto delle caratteristiche meccaniche del fenomeno stesso (roccia/terreno, presenza di acqua, ecc.). In tabella 5 sono riportati tali valori. In particolare, per la categoria Scivolamento rotazionale/traslativo, cautelativamente si suggerisce di utilizzare un valore piuttosto ridotto del parametro ϕ, con riferimento ai fenomeni di scivolamento planare che avvengono nella zona delle Langhe, caratterizzati da pendii con inclinazione compresa nell’intervallo 8°-15°. Per gli scivolamenti planari delle Langhe si pone inoltre il problema della massima elongazione raggiunta perché i pendii hanno generalmente pendenza uniforme. Tale problema può essere affrontato sulla base di una statistica sugli eventi del novembre 1994 (Regione Piemonte, 1998a), che indica una media dell’elongazione massima dei fenomeni planari in circa 150 m. Si suggerisce perciò in questo caso di fissare in 150 m la massima distanza raggiunta da ogni punto considerato nel suo percorso.

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Inoltre, un caso particolare di frane poligonali sono le DGPV, spesso caratterizzate da un comportamento duttile e generalmente accompagnate da fenomeni secondari associati all’area instabile (crolli, colamenti rapidi, ecc…). In questo caso, su richiesta di Protezione Civile e al fine di non trascurare la pericolosità di fenomeni di grandi dimensioni, si propone di effettuare l’analisi su ogni tipologia in maniera indipendente, comprendendo anche la possibilità di una rottura fragile (catastrofica) dell’intero versante, associando a ciascuno un adeguato tempo di ritorno, come descritto al paragrafo 6.2. Si noti che l’applicazione del metodo energetico presuppone che i poligoni indicati da SIFRAP comprendano unicamente le zone di potenziale distacco. In caso contrario il metodo potrebbe risultare decisamente conservativo. Infine, su suggerimento di Protezione Civile, per tutte le categorie di frana considerate, si propone di impiegare un buffer (a titolo cautelativo) nell’intorno delle aree di propagazione per la successiva valutazione dell’indice di rischio, previa individuazione di un valore ridotto di suscettibilità associato.

Tabella 5. Valori del parametro energetico ϕ per le diverse tipologie di fenomeno appartenenti alla categoria 2

Tipologia ϕ Colamento lento 30° Complesso 25° DGPV 25° Scivolamento rotazionale/traslativo 10°

6. ATTIVITÀ 5: stima della probabilità di occorrenza temporale dei fenomeni

franosi in funzione della tipologia e dello stato di attività, differenziando diversi tempi di ritorno convenzionali associabili alle aree instabili e alle eventuali aree di propagazione, espansione e/o arretramento

Abbandonata l’analisi statistica delle informazioni contenute nelle banche dati SIFRAP e NEWGEO, al fine di valutare tempi di ritorno convenzionali per ogni tipologia di frana, è stata condotta una ricerca bibliografica sui metodi esistenti in letteratura. Tale ricerca ha permesso di selezionare diversi metodi da applicare a diverse macro-categorie di frana, come dettagliato in seguito.

6.1 Macro categorie considerate

Le macro-categorie considerate per la definizione della probabilità di occorrenza delle diverse tipologie di fenomeno franoso, definite in funzione delle caratteristiche fisiche e meccaniche di ciascuna, sono riportate in tabella 6, insieme al riferimento bibliografico relativo ai metodi utilizzati per ciascuna categoria. In questa attività non sono state considerate i fenomeni di espansione e sprofondamento (categoria 6) in quanto non propriamente considerabili fenomeni franosi e per i quali non è stato possibile ricavare alcuna informazione. Si fa notare che, comunque, l’incidenza di tali fenomeni sul territorio piemontese è estremamente ridotta (46 casi totali su oltre 35000 fenomeni censiti).

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Tabella 6. Macro categorie di frana considerate per la definizione della probabilità di occorrenza di ciascun fenomeno e indicazione del riferimento al metodo utilizzato per

ciascuna Categoria Tipologia Riferimento

1 Crollo/Ribaltamento Area soggetta a crolli/ribaltamenti diffusi Hantz et al. (2003)

2 DGPV Hantz et al. (2003), Couture (1998)

3 Colamento rapido Area soggetta a frane superficiali diffuse Tiranti & Rabuffetti (2010)

4 Scivolamento rotazionale/traslativo Govi & Sorzana (1982)

5 Complesso Colamento lento Hantz et al. (2003)

6 Espansione Sprofondamento -

6.2 metodi utilizzati per ciascuna categoria

Si riporta nei paragrafi che seguono una descrizione dettagliata dei metodi utilizzati e dei risultati ottenuti in termini di tempo di ritorno convenzionale da associare alle categorie di frana indicate in tabella 6.

6.2.1 Crollo/Ribaltamento - Area soggetta a crolli/ribaltamenti diffusi

I fenomeni di crollo di massi isolati da pareti rocciose hanno carattere ripetitivo ma non direttamente correlabile ad un’unica causa, essendo annoverabili tra i fattori scatenanti la presenza di acqua in pressione o di ghiaccio all’interno delle discontinuità, sismi, vibrazioni indotte da attività umane, deformazioni lente e continue all’interno dell’ammasso, ecc.. Al fine di determinare una ricorrenza per tali fenomeni è perciò necessario far riferimento a studi statistici che siano basati su un numero sufficientemente rappresentativo di eventi censiti. Non avendo a disposizione sufficienti dati relativi al territorio piemontese (come indicato al paragrafo 4) si è fatto riferimento nel presente lavoro agli studi statistici di Hantz et al. (2003), che propongono di calcolare la frequenza delle frane da crollo in funzione del volume coinvolto sulla base dell’espressione: N=A⋅V-b (7) dove: N = numero di eventi di volume superiore o uguale a V nell’arco di un secolo b = 0.4-0.6 A = parametro definito in funzione del contesto geomorfologico Con riferimento alle falesie che circondano la città di Grenoble, per le quali esiste la disponibilità di numerosi dati relativi ad eventi coinvolgenti volumi diversi, gli autori dello studio propongono di calcolare una frequenza secolare degli eventi come:

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Fc=1122⋅V-0.55 (8) Estendendo tale espressione al contesto piemontese (cioè assumendo che esista omogeneità di natura geomorfologia tra i due contesti) è possibile utilizzare l’equazione (8) per definire la frequenza annuale F di crolli di varie dimensioni e di conseguenza il loro tempo di ritorno T, calcolato come inverso della frequenza (T=1/F). In tabella 7 sono riportati i valori di frequenza annuale e tempo di ritorno ottenuti per volumi che superano soglie variabili da 1 a 1000 m3. Tabella 7. Frequenza F e tempo di Ritorno T di crolli con volumi superiori a diverse soglie.

In giallo è indicata la soglia suggerita per l’analisi di pericolosità a scala regionale volume (m3) F (eventi/anno) T (anni)

> 1 11.22 0.09 (circa 1 mese) > 10 3.16 0.32 (circa 4 mesi) > 100 0.9 1.11 (circa 1 anno) > 1000 0.25 4

Si noti che tale metodo comporta l’adozione di una soglia di volume al di sotto della quale l’evento non è considerato potenzialmente pericoloso, oppure l’adozione di diversi scenari di evento, al quale potrà essere associata diversa vulnerabilità degli elementi esposti. Nell’analisi di pericolosità a scala regionale, per evitare di considerare eventi di piccole dimensioni, in analogia con le soglie utilizzate per altri fenomeni naturali (frane di grandi dimensioni, inondazioni, ecc.), si suggerisce di considerare un volume rappresentativo di 100 m3 (celle in giallo in tabella 7), trascurando quindi i volumi inferiori. Affinché il risultato ottenuto possa essere considerato significativo è necessario però normalizzarlo in rapporto all’estensione della zona sorgente dei crolli. A tal fine si è considerata l’estensione totale della zona di Grenoble, sulla quale è stata eseguita la taratura dell’equazione (8) da Hantz et al. (2003). In tal caso le falesie sorgenti di crolli hanno elongazione totale di circa 120 km, con altezza media pari a circa 200 m, per un’estensione complessiva di 24 km2. Eseguendo la normalizzazione ed estendendo i risultati al contesto piemontese si ottengono i valori di tempo di ritorno per km2 riportati in tabella 8. Facendo riferimento alla soglia di volume rappresentativo di 100 m3 (celle in giallo in tabella 8) si ha un tempo di ritorno di circa 25 anni/km2.

Tabella 8. Normalizzazione dei dati di tabella 6 rispetto all’estensione dell’area sorgente volume (m3) F (eventi/anno/km2) T (anni/km2) > 1 0.47 2.14 (circa 2) > 10 0.13 7.7 (circa 8) > 100 0.04 26.7 (circa 25) > 1000 0.01 95.54 (circa 100)

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Per applicare la metodologia proposta alle geometrie SIFRAP è ancora necessario distinguere le aree sorgenti dal resto dei poligoni, che si assume comprendano anche le aree di invasione e di accumulo dei massi. A tal fine è stata condotta dal CSI un’analisi della distribuzione delle pendenze delle celle del DEM (10x10 m2) all’interno dei 1695 poligoni classificati come “crolli/ribaltamenti” o “ aree soggette a crollo/ribaltamento diffuso”. L’ipotesi alla base di tale analisi è che le aree sorgenti, costituite essenzialmente da pareti rocciose esposte, abbiano pendenza generalmente più elevata delle zone di accumulo. In tabella 9 sono riportate le classi di pendenza (e di inclinazione) considerate nell’analisi, con indicazione del numero di celle appartenenti a ciascuna e della percentuale sul totale. In figura 2 gli stessi dati sono riportati in forma di istogramma di frequenza.

Tabella 9. Distribuzione della pendenza e dell’inclinazione delle celle DEM all'interno dei poligoni SIFRAP che fanno riferimento a fenomeni di crollo

Classi pendenza (%) Classi inclinazione (°) N° celle % celle 0-50 0 - 27 209945 29.67

50-100 27 - 45 403328 57 100-150 45 - 56 67408 9.53 150-200 56 - 63 16470 2.33

> 200 > 63 10428 1.47

Figura 2. Distribuzione dell’inclinazione delle celle DEM all'interno dei poligoni SIFRAP che

fanno riferimento a fenomeni di crollo In figura 3 vengono riportati alcuni esempi di poligoni all’interno dei quali sono state evidenziate le classi di pendenza definite in tabella 9. Nelle figure 3b e 3c si riportano anche alcuni profili, ottenuti nella direzione di massima pendenza delle celle, dai quali risulta evidente la generale maggiore inclinazione delle celle a quota maggiore.

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(a)

(b)

(c) Figura 3. Esempio di distribuzione delle classi di pendenza all’interno dei poligoni SIFRAP

che fanno riferimento a fenomeni di crollo

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Questa analisi consente di definire una soglia di pendenza superata la quale si può assumere che la cella appartenga alla zona sorgente di crolli. Tale soglia può essere assunta cautelativamente pari al 100% (45°), che corrisponde ad un totale del 13% delle celle considerate. Ricordando che le celle del DEM rappresentano una proiezione sul piano orizzontale della superficie del versante, al fine di determinare l’estensione delle aree sorgenti di crolli all’interno dei poligoni SIFRAP è ancora necessario calcolare l’area reale delle celle con pendenza superiore alla soglia fissata. A tal fine è possibile applicare la relazione:

α

=cosSS cella

reale (9)

Dove: Sreale = superficie reale della cella Scella = superficie proiettata sul piano orizzontale (costante e pari a 100 m2 nel caso in esame) α = inclinazione della cella

6.2.2 Deformazioni Gravitative Profonde di Versante (DGPV)

Questi fenomeni si manifestano attraverso lenti e continui meccanismi deformativi dell’ammasso roccioso a carico di estese e profonde porzioni di versante, generalmente non influenzabili in modo significativo dalle naturali cicliche variazioni climatiche. Sotto l’ipotesi di una rottura di tipo fragile dell’ammasso, che porti ad un’evoluzione catastrofica del fenomeno come valanga di roccia, al fine di valutare la ricorrenza di questi fenomeni si è fatto nuovamente riferimento agli studi di Hantz et al. (2003) considerando volumi superiori a 50*106 m3. Inserendo tale volume nell’equazione (8) si ottiene una frequenza Fc = 0,065 eventi/secolo e di conseguenza è possibile stimare un tempo di ritorno T pari a circa 15 secoli (1500 anni). Se invece, in modo più conservativo, si considerano volumi superiori a 100*106 m3 si ottiene una frequenza Fc = 0,045 eventi/secolo e di conseguenza è possibile stimare un tempo di ritorno T pari a circa 22 secoli (2200 anni). Tale determinazione è piuttosto cautelativa e concorde con lo studio effettuato da Couture (1998) sugli eventi post-glaciali nell’arco alpino coinvolgenti ammassi di grandi dimensioni. Si sottolinea che alla base dell’adozione della relazione di Hantz et al. per la definizione della ricorrenza delle DGPV c’è l’assunzione che il comportamento dell’ammasso sia di tipo fragile. Ciò significa che è possibile raggiungere una resistenza limite al variare delle condizioni di sforzo e deformazione dell’ammasso (quest’ultime localizzate su una superficie o in una sottile fascia di taglio), superata la quale avviene una rottura di tipo catastrofico. Tale metodo non è applicabile in caso di comportamento duttile dell’ammasso stesso, per il quale non avviene la localizzazione delle deformazioni su una superficie di rottura vera e propria. A giudizio di chi scrive, in quest’ultimo caso non è realistico pensare ad una rottura catastrofica con evoluzione in valanga di roccia ed è possibile limitare

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l’analisi ai fenomeni secondari, indotti da eventuali accelerazioni del lento movimento del versante.

6.2.3 Colamenti rapidi, Aree soggette a frane superficiali diffuse

Questi fenomeni coinvolgono gli strati di copertura (profondità massima di circa 2 m), costituiti da materiali eluvio-colluviali o detritico-colluviali, su versanti con inclinazione compresa tra 18° e 45°. L’evoluzione è istantanea (non esistono generalmente segni premonitori evidenti) e l’innesco può essere direttamente correlato con l’intensità delle precipitazioni piovose nel corso di un evento meteorologico intenso. Al fine di determinare la ricorrenza temporale dei fenomeni è perciò possibile stabilire una soglia pluviometrica di innesco per poi ricavare il tempo di ritorno di eventi di pioggia superiori a tale soglia. Per determinare la soglia pluviometrica di innesco delle frane superficiali si è fatto riferimento nel presente lavoro al modello SMART - Shallow landslides Movements Announced through Rainfall Thresholds, messo a punto dal Centro Funzionale Regionale di ARPA Piemonte nell’ambito del Sistema di Allertamento Regionale ai fini di Protezione Civile (Tiranti & Rabuffetti, 2010). Il modello SMART distingue sul territorio regionale due macrozone, denominate “Zone omogenee” (figura 4), caratterizzate da due differenti set di soglie.

Figura 4. Modello SMART: macrozone omogenee

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Zona omogenea 1: include aree caratterizzate da substrati rocciosi costituiti da rocce cristalline metamorfiche o ignee, calcari dolomitici o dolomie, calcescisti, flysh e paraderivati di basso grado in ambiente alpino ed appenninico. Le Zone 1 mostrano valori elevati di pioggia critica per l’innesco di frane superficiali. Zona omogenea 2: include aree caratterizzate da substrati rocciosi costituiti da rocce sedimentarie in ambiente collinare ed appenninico. Le Zone 2 mostrano valori più bassi di pioggia critica per l’innesco di frane superficiali rispetto alle Zone 1. Per la determinazione delle soglie pluviometriche a scala regionale, il modello SMART fa riferimento alla relazione: 1ndaI −⋅= (10) dove: I = intensità di pioggia oraria (mm/ora) d = durata della precipitazione (ore) a = parametro di natura sperimentale, ricavato dai valori di pioggia critica osservati negli eventi passati nella zona in esame. n = valore del Coefficiente Montana (Boni et al., 2001) caratteristico della piogge intense in Piemonte. Le soglie pluviometriche sono sperimentalmente definite per durate comprese tra le 12 e le 60 ore. 60 ore rappresenta la durata massima convenzionale di un evento pluviometrico mentre al di sotto delle 12 ore un superamento di soglia può identificare il verificarsi di altri fenomeni quali, ad esempio, l'erosione accelerata del suolo per fenomeni di ruscellamento superficiale diffuso. Intersecando la distribuzione spaziale del Coefficiente Montana con le zone omogenee definite dal modello SMART (figura 5) e assegnando valori caratteristici al parametro a, gli Autori del modello arriva a definire le seguenti soglie orarie: zona 1: 45.0d25I −⋅= (11) zona 2: 65.0d40I −⋅= (12)

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Figura 5. Intersezione tra la distribuzione del Coefficiente Montana n (Boni et al., 2001) e

le zone omogenee definite dal modello SMART

Al fine di definire una cumulata di pioggia critica per evento, da utilizzare come soglia per l’innesco di frane superficiali, è ancora necessario assumere una durata caratteristica dell’evento. Considerando una durata di 24 ore si ottiene:

zona 1: ore24/mm140246I

ora/mm62425I

cumulata

45.0oraria

≅⋅=

=⋅= − (13)

zona 2: ore24/mm120245I

ora/mm52440I

cumulata

65.0oraria

=⋅=

=⋅= − (14)

Una volta definite le soglie di pioggia critica per l’innesco dei fenomeni nelle due macrozone omogenee, è necessario valutare la ricorrenza di tali piogge. A tal fine si è fatto riferimento nel presente lavoro all’Atlante delle piogge intense sulle Alpi occidentali Italo-Svizzere, realizzato da Roth et al. (2002) nell’ambito del progetto INTERREG II Italia-Svizzera. La metodologia, ampiamente validata nell’ambito del progetto VAPI (VAlutazione delle Piene in Italia) del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) del CNR (http://avi.gndci.cnr.it/), permette di ricavare il tempo di ritorno T di una pioggia misurata a 1, 3, 6, 12 e 24 ore in un punto della griglia in cui è suddiviso il Piemonte (1X1 km2), in funzione di parametri associati alla zona di appartenenza del punto considerato.

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Il metodo è basato su una valutazione statistica regionale, che necessita della scelta a priori del modello probabilistico (distribuzione di probabilità genitrice - DPG) e del modello di variabilità spaziale dei parametri utilizzati. La DPG utilizzata nell’ambito del progetto Interreg II è la distribuzione del valore estremo a doppia componente (TCEV), elaborata da Rossi et al. (1984) e appropriata per la descrizione statistica dei dati idrologici in Italia. La modellazione della variabilità spaziale dei parametri che la compongono è stata effettuata con un criterio di tipo geografico-meteorologico, che prende in considerazione le caratteristiche e l’evoluzione della sollecitazione meteorologica che produce eventi estremi nelle Alpi occidentali. Si sono così individuate quattro regioni omogenee (Figura 6): Regione Padana: comprende l’insieme delle stazioni ricadenti in Piemonte e in Canton

Ticino; Regione Alpi settentrionali: comprende l’insieme delle stazioni francesi poste a nord del

Massiccio del Pelvoux e le stazioni italiane situate nella zona delle Alpi Graie;

Regione Alpi meridionali: comprende le stazioni francesi poste nella zona delle Alpi dell’Alta Provenza e le stazioni italiane situate nella zona delle Alpi Cozie;

Regione Tirrenica: comprende le stazioni francesi situate nella zona della Provenza e le stazioni italiane poste in Liguria, Toscana e Lazio.

Figura 6. Suddivisione del territorio oggetto di studio (Alpi occidentale) in regioni

omogenee dal punto di vista pluviometrico La definizione della variabilità dei parametri della DPG è un passo preliminare alla definizione delle curve di possibilità pluviometrica (LSPP), che definiscono una relazione tra altezza di precipitazione, periodo di ritorno e durata. Le elaborazioni condotte nell’ambito del progetto interreg II Italia-Svizzera hanno mostrato come, nell’ambito di ciascuna regione omogenea, non sia possibile assumere un’unica curva di crescita come rappresentativa, in particolare nelle regioni Alpi settentrionali e Alpi meridionali. È perciò necessario esprimere il quantile adimensionale di pioggia in funzione tanto del tempo di

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ritorno quanto della durata dell’evento secondo l’espressione KT,d = K(T,d). L’equazione delle LSPP risulta quindi: ( ) ( ) ndd,TKT,dh ⋅⋅µ= (15) dove: h(d,T) = altezza di precipitazione massima annuale per durata d e periodo di ritorno T; µ = valore della pioggia indice, da dedurre in funzione della localizzazione geografica del sito considerato (figura 7); n = esponente della relazione di scala (Coefficiente Montana), anch’esso funzione della localizzazione geografica del sito considerato (figura 8); K(T,d) = quantile adimensionale di pioggia, da dedurre dalla curva di crescita della corrispondente regione omogenea. Al fine di stimare il valore del quantile adimensionale K(T,d) per il tempo di ritorno T e la durata d di interesse è necessario fare riferimento direttamente all’espressione che fornisce la probabilità cumulata di un assegnato quantile adimensionale di pioggia in funzione dei parametri della distribuzione TCEV. Tale relazione è la seguente:

( ) ( ) ( ) ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛Θ⋅η−⋅ΛΛ−⋅η−⋅Λ−=

∗Θ∗ ∗

KexpKexpexpK,dF1

11K (16)

i cui parametri Θ*, Λ*, Λ1 e η dipendono dalla durata dell’evento e dalla regione omogenea considerata, come risulta dalle tabelle 10 - 13. Nel caso sia necessario far riferimento a durate diverse da quelle tabellate è possibile calcolare i parametri della distribuzione TCEV mediante interpolazione tra i valori ricavati per le durate immediatamente precedente e successiva.

Figura 7. Carta delle isolinee del parametro µ (pioggia indice) nella regione oggetto di

studio

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Figura 8. Carta delle isolinee del coefficiente di scala n (Coefficiente Montana) nella

regione oggetto di studio Tabella 10. Valori dei parametri della distribuzione TCEV per assegnata durata, Regione

Padana Θ* Λ* Λ1 η

1 1.778 0.1934 19.554 3.840 3 1.966 0.2611 26.848 4.291 6 2.219 0.1480 29.852 4.254

12 1.915 0.160 31.632 4.291 24 1.638 0.168 27.666 3.897

Tabella 11. Valori dei parametri della distribuzione TCEV per assegnata durata, Regione

Alpi settentrionali Θ* Λ* Λ1 η

1 2.384 0.2442 39.021 4.725 3 1 0 58.768 4.650 6 1.009 0.0070 70.728 4.843

12 0.833 0.0451 49.981 4.530 24 2.344 0.0520 45.293 4.496

Tabella 12. Valori dei parametri della distribuzione TCEV per assegnata durata, Regione

Alpi Meridionali Θ* Λ* Λ1 η

1 2.537 0.2309 31.660 4.521 3 1.960 0.0527 35.502 4.237 6 0.982 0.0259 37.283 4.221

12 0.995 0.0180 37.087 4.208 24 1.313 0.0106 30.707 4.014

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Tabella 13. Valori dei parametri della distribuzione TCEV per assegnata durata, Regione

Tirrenica Θ* Λ* Λ1 η

1 1.486 0.5018 15.092 3.874 3 2.148 0.5118 26.979 4.726 6 2.393 0.2539 29.817 4.476

12 2.525 0.1703 32.311 4.417 24 2.662 0.1169 32.393 4.323

Al fine di determinare il periodo di ritorno di una pioggia di cui siano note la durata d e l’altezza della cumulata h è possibile quindi: 1) stimare dalle mappe di figura 7 e di figura 8 i valori del parametro pioggia indice µ e

dell’esponente di scala n in funzione della zona in esame; 2) calcolare il quantile adimensionale K(d,T) tramite l’espressione (15); 3) calcolare, tramite l’espressione (16) ed i valori dei parametri Θ*, Λ*, Λ1 e η per la zona

omogenea in esame (tabelle 10-13), la probabilità cumulata FK(d,K) associata al valore del quantile K(d,T)

4) ricavare il valore del tempo di ritorno T sulla base della relazione:

( )T

1TK,dFK−

= (17)

Tale procedura è stata applicata nel presente lavoro all’intero territorio piemontese,cioè alle zone omogenee 1 e 2 di figura 4, utilizzando la griglia 1 x 1 km2 ed i valori di pioggia critica definiti dal modello SMART (140 mm/24h nella zona omogenea 1 e 120 mm/24h nella zona omogenea 2). Il risultato ottenuto è riportato in figura 9, che rappresenta la distribuzione dei tempi di ritorno (anni) per l’innesco di frane superficiali sul territorio regionale. Tale risultato evidenzia tempi di ritorno molto limitati (inferiori a 10 anni) nelle zone settentrionali e sud-orientali della regione (in particolare nel Verbano/Ossola) storicamente molto piovose e soggette a ricorrenti fenomeni diffusi. Al contrario, nelle zone occidentali della regione (in particolare nella Valle di Susa) i valori di tempo di ritorno di frane superficiali sono piuttosto elevati (maggiori di 200 anni), ma coerenti con la sostanziale assenza di questo tipo di fenomeni nella zona.

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Figura 9. Distribuzione del tempo di ritorno di frane superficiali sul territorio piemontese

6.2.4 Scivolamenti rotazionali/traslativi

Questi fenomeni coinvolgono il substrato roccioso anche a profondità significativa e avvengono su superfici di rottura per taglio planare o curva. A causa della profondità delle superfici di rottura e della complessità dei meccanismi che possono innescare attivazioni o riattivazioni dei fenomeni, essi non possono in generale essere direttamente correlati con l’intensità delle precipitazioni piovose nel corso di un evento e non può quindi essere applicata la metodologia descritta al paragrafo 6.2.3 per le frane superficiali al fine di stimarne il tempo di ritorno. Sebbene nell’ambito della banca dati SIFRAP non venga fatta alcuna distinzione tra scivolamenti planari (traslativi) e rotazionali, le due tipologie di fenomeno presentano differenze sia nella geometria, sia nei meccanismi di instabilità, sia anche nella distribuzione geografica sul territorio regionale. Le frane per scivolamento planare, infatti, sono molto frequenti nelle zone collinari (Langhe, Monferrato e Collina di Torino), mentre

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quelle per scivolamento rotazionale sono più frequenti nelle zone montane e comunque più distribuiti sul territorio regionale. Tali differenze rendono molto incerta la stima della ricorrenza dei fenomeni poiché risulta estremamente difficile trovare correlazioni che abbiano validità generale. Nel presente lavoro ci si è perciò concentrati su una tipologia particolare di frane per scivolamento planare, costituita dai fenomeni ricorrenti nel territorio delle Langhe, che hanno luogo su superfici pressoché piane aventi inclinazione molto limitata (8° -15°) e presentano peculiarità geotecniche molto particolari, a causa dei materiali marnosi coinvolti. Molti studi compiuti in passato su tali fenomeni dimostrano come essi abbiano distribuzione stagionale e possano essere correlate con la quantità di acqua infiltrata nell’ammasso. In particolare, gli studi di Govi e Sorzana (1982) hanno permesso, sulla base di un’analisi storica, di correlare l’innesco delle frane per scivolamento planare del Bacino Terziario Piemontese con la cumulata di pioggia nei 60 giorni precedenti un evento meteorologico intenso, sommata alla pioggia di evento (figura 10). Tale correlazione dipende dal mese dell’anno considerato e può essere interpretata come una soglia di pioggia critica, variabile nel corso dell’anno. I mesi a cui si fa riferimento sono unicamente quelli invernali/primaverili (da novembre a maggio), poiché storicamente non si sono avuti fenomeni di scivolamento planare nei mesi estivi. Si fa notare che la correlazione riguarda unicamente la pioggia caduta e non l’acqua effettivamente infiltrata nel pendio, nella quale dovrebbe per esempio essere incluso anche lo scioglimento della neve nel periodo primaverile. Tramite le soglie variabili nel tempo si può comunque considerare che la correlazione stessa tenga conto anche di fattori diversi, si notino per esempio le basse soglie del periodo primaverile che implicitamente tengono conto dello scioglimento della neve. La correlazione proposta da Govi e Sorzana è stata testata sulla base di eventi successivi al 1982, in particolare sull’evento del 1994 (Chiappone, 1999), durante il quale sono state registrate circa 800 attivazioni o riattivazioni di scivolamenti planari nel solo territorio delle Langhe. Tali verifiche hanno dimostrato la validità delle soglie globali definite.

0

100

200

300

400

500

600

700

nove

mbr

e

dice

mbr

e

genn

aio

febb

raio

mar

zo

april

e

mag

gio

Piog

gia

(mm

)

Valori soglia globali(piogge 60 giorniantecedenti+pioggeevento)Valori soglia piogge 60giorni antecedenti

Piogge cumulate chehanno prodottoscivolamenti

Piogge cumulate che nonhanno prodottoscivolamenti

Figura 10. Correlazione tra pioggia e scivolamenti planari in diversi periodi dell’anno nel

territorio delle Langhe (modificato da Govi e Sorzana, 1982)

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Grazie a questo risultato, al fine di valutare una ricorrenza dei fenomeni di scivolamento planare, nel presente lavoro è stato condotto uno studio di tipo storico/statistico basato sulle serie storiche di pioggia disponibili. Considerate la peculiarità e l’ampia diffusione dei fenomeni di scivolamenti planari delle Langhe, nonché la possibilità di correlare l’innesco di tali fenomeni con dati di piovosità e la sostanziale assenza di altri studi e di dati corrispondenti ad altre zone del territorio regionale, si propone di estendere i risultati dello studio a tutti i fenomeni appartenenti alla categoria SIFRAP “scivolamenti rotazionali/traslativi”. Per individuare la ricorrenza delle soglie definite da Govi e Sorzana sono state considerate le serie storiche di pioggia tratte dagli Annali Idrologici del Servizio Idrografico Nazionale (Regione Piemonte, 1998b), in corrispondenza di alcune stazioni situate le territorio delle Langhe (Alba, Roddino, Belvedere Langhe, Mango, Bossolasco). In tutte le stazioni considerate e per ciascun mese all’interno del periodo di osservazione delle precipitazioni, sono state calcolate le cumulate di pioggia dei 60 giorni precedenti. Tali cumulate sono state confrontate con le soglie di pioggia critica definite da Govi e Sorzana (linea continua in figura 10), assumendo che esse includano anche eventuali eventi piovosi intensi. Si è così ricavata la frequenza di superamento delle soglie riferita al mese in esame, da cui è possibile stimare il tempo di ritorno del fenomeno. In tabella 14 sono riportati i risultati dei calcoli eseguiti sulle 5 stazioni di riferimento, con indicazione per ciascuna e per ogni mese considerato, del numero di superamenti della soglia di Govi e Sorzana, della frequenza di superamento espressa in eventi/anno (calcolata sul periodo di osservazione di ciascuna stazione) e del tempo di ritorno espresso in anni (calcolato come inverso della frequenza). Per ogni stazione è quindi possibile calcolare un tempo di ritorno medio Tmed (tabella 15), assumendo, in assenza di superamenti, un tempo di ritorno pari al periodo di osservazione. I risultati ottenuti sulle 5 stazioni considerate possono essere ulteriormente mediati per ottenere un tempo di ritorno “rappresentativo” Tr , che nel caso in esame è risultato pari a 35 anni.

Tabella 14. Numero di superamenti delle soglie di Govi e Sorzana, Frequenza di superamento F (in eventi/anno) e relativo tempo di ritorno T (in anni) per alcune stazioni

pluviometriche situate nelle Langhe

mese

ALBA (periodo: 72 anni)

MANGO (periodo: 47 anni)

RODDINO (periodo: 60 anni)

BELVEDERE (periodo: 55 anni)

BOSSOLASCO (periodo: 47 anni)

N° F T N° F T N° F T N° F T N° F T- ev/anno anni - ev/anno anni - ev/anno anni - ev/anno anni - ev/anno anni

Nov 0 - >72 1 0.02 47 1 0.02 60 2 0.04 27.5 0 - >47 Dic 3 0.04 24 5 0.11 9.4 4 0.07 15 8 0.15 6.88 2 0.04 23.5Gen 6 0.08 12 2 0.04 23.5 2 0.03 30 10 0.18 5.5 3 0.06 15.67Feb 0 - >72 0 - >47 0 - >60 1 0.02 55 0 - >47 Mar 1 0.01 72 1 0.02 47 0 - >60 1 0.02 55 0 - >47 Apr 3 0.04 24 5 0.11 9.40 5 0.08 12 8 0.15 6.88 2 0.04 23.5Mag 2 0.03 36 2 0.04 23.5 1 0.02 60 6 0.11 9.17 2 0.04 23.5

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Tabella 15. Tempo di ritorno medio Tm calcolato per ciascuna stazione sulla base dei dati di tabella 14.

Stazione Periodo di osservazione (anni) Tmed (anni) RODDINO 60 42 MANGO 47 30 BOSSOLASCO 47 32 BELVEDERE 55 24 ALBA 72 45

Eseguendo lo stesso calcolo con riferimento alla stazione di Superga (Collina di Torino) si è ottenuto Tmed pari a circa 45 anni. Questo sembra confermare la possibilità di estendere conservativamente il risultato all’intero territorio regionale. In alternativa al calcolo esposto in precedenza ed in modo ancora più conservativo, è possibile anche considerare per ogni stazione il mese che ha fatto registrare il maggior numero di superamenti della soglia, calcolando la media delle frequenze con riferimento solo a tale mese. In tal modo si arriva ai risultati mostrati in tabella 16, in cui sono riportati per ogni stazione la frequenza media Fmed (calcolata su tutti i mesi considerati), la frequenza massima Fmax (relativa al mese con il maggior numero di superamenti), i rispettivi tempi di ritorno Tmed e Tmax (medio e minimo), calcolati come reciproco delle frequenze ed il mese che ha fatto registrare il maggior numero di superamenti. La media dei tempi di ritorno minimi calcolata su tutte le stazioni risulta in questo modo pari a circa 11 anni. Uno studio statistico, svolto in seguito agli eventi alluvionali del 1994 e del 1996 (Regione Piemonte, 1998a), ha messo in evidenza come, nel periodo di 25 anni precedente tali eventi, la zona delle Langhe cuneesi compresa tra Alba e Ceva ed avente come baricentro Bossolasco sia stata colpita per ben tre volte da fenomeni diffusi di scivolamento planare: febbraio 1972 (circa 140 casi), marzo 1974 (circa 50 casi) e novembre 1994 (circa 600 casi). Da questa statistica risulta perciò un tempo di ritorno medio del fenomeno di circa 8 anni (25/3), che sale a circa 12 anni se si trascura l’evento del 1974, meno intenso in termini di estensione dell’area colpita.

Tabella 16. Frequenze medie e massime e tempi di ritorno medi e minimi calcolati in 5 stazioni nel territorio delle Langhe, con indicazione del mese che ha registrato più

superamenti della soglia di Govi e Sorzana

Stazione Fmed Fmax Tmed Tmin mese ev./anno ev./anno anni anni -

RODDINO 0.043 0.083 42.43 12 aprile MANGO 0.057 0.106 29.54 9.4 aprile/dicembre BELVEDERE 0.094 0.182 23.7 5.5 gennaio BOSSOLASCO 0.048 0.064 32.45 15.67 gennaio ALBA 0.042 0.083 44.57 12 gennaio

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Sulla base delle considerazioni svolte in questo paragrafo, si suggerisce di considerare per la tipologia “scivolamenti rotazionali/traslativi” un tempo di ritorno compreso tra 10 e 35 anni, con la raccomandazione di utilizzare cautelativamente il valore minimo nella zona delle Langhe cuneesi. Come anticipato al paragrafo 4, per questa tipologia di fenomeno si ritengono trascurabili, ai fini del calcolo del rischio, eventuali attivazioni locali non catastrofiche. Nel caso però sia necessario tenerne conto, è possibile assumere, per questo scenario, un tempo di ritorno ridotto a 5 anni in tutto il territorio piemontese.

6.2.5 Frane Complesse, Colamenti lenti

Queste due categorie di fenomeno franoso sono caratterizzate da meccanismi complessi e variabili, anche all’interno della stessa area in frana, in funzione del tipo di materiale coinvolto, delle sollecitazioni applicate, dei cinematismi di evoluzione, ecc. Nonostante le differenze di natura meccanica ed evolutiva esse sono state unite nel presente lavoro in un’unica macrocategoria poiché per entrambe, allo stato attuale della conoscenza, la previsione dell’evoluzione in termini temporali è ancora molto incerta. Sulla base dell’assunzione di un’evoluzione in valanga di roccia dei fenomeni (rottura di tipo fragile) ed in mancanza di informazioni più dettagliate, in prima approssimazione si può ricorrere nuovamente all’espressione di Hantz et al. (2003), considerando che diversi volumi possono essere coinvolti con tempi di ritorno diversi. In tabella 17 sono riportate le frequenze secolari Fc ed i relativi tempi di ritorno T calcolati sulla base dell’equazione (8) per volumi variabili da 103 a 106 m3. Per la valutazione della pericolosità di questi fenomeni è naturalmente necessario assumere una soglia di volume rappresentativo. Considerando per esempio un volume medio di 106 m3 si ottiene un tempo di ritorno di circa 50 anni (celle in giallo in tabella 17).

Tabella 17. Frequenze e tempi di ritorno calcolati tramite l’equazione di Hantz et al. (2003) per diversi valori del volume coinvolto.

Volume (m3) Fc (eventi/secolo) T (anni) > 103 25 4 > 104 7 14 > 105 2 50 > 106 0.56 180

In alternativa, per tenere conto dell’estensione reale delle zone in frana secondo la banca dati SIFRAP, è possibile assumere una profondità media rappresentativa di questa tipologia di fenomeno (si suggerisce 20 m) e stimare di conseguenza il volume da associare a ciascun poligono, sulla base del quale può essere definito il tempo di ritorno tramite l’equazione 8. Si ricorda a questo proposito che le celle del DEM rappresentano una proiezione sul piano orizzontale della superficie del versante per cui è consigliabile ricorrere all’equazione (9) per calcolare la reale estensione dei poligoni in frana. In questo caso, per evitare di sovrastimare la ricorrenza di fenomeni associati a poligoni di area molto piccola, si suggerisce di fissare un limite minimo al tempo di ritorno di 5 anni.

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In ogni caso, dato il carattere duttile di molti fenomeni inclusi in questa categoria (in particolare per quanto riguarda i colamenti lenti), e per tenere conto dei danni legati ad un’evoluzione non catastrofica, si suggerisce di considerare due scenari: • scenario standard (catastrofico): comprende le area in frana e quelle di

propagazione della valanga di roccia. Il tempo di ritorno è quello definito in questo paragrafo;

• scenario di attivazione locale: considera la sola area in frana. Il tempo di ritorno da assegnare può essere definito, sulla base dell’analisi descritta al paragrafo 4, in 5 anni.

6.3 Stato di attività dei fenomeni franosi

Come già specificato al paragrafo 3.2, dal punto di vista dello stato di attività, nella banca dati SIFRAP si distingue tra fenomeni: Attivi/riattivati/sospesi; Quiescenti; Relitti; Stabilizzati; n.d. (non determinabile). Le considerazioni svolte finora sono valide per i fenomeni attivi/riattivati/sospesi e per quelli per i quali non esistono informazioni (n.d.) che, a favore di sicurezza, vengono considerati attivi. I fenomeni stabilizzati e relitti non vengono considerati nell’analisi di pericolosità. Per i fenomeni quiescenti, infine, è possibile considerare un tempo di ritorno maggiorato secondo l’espressione: AQ TnT ⋅= (19) Dove: TA = tempo di ritorno di una frana attiva TQ = tempo di ritorno di una frana quiescente appartenente alla stessa categoria n = coefficiente maggiorativo Si fa però notare che la determinazione del coefficiente n, sulla base delle informazioni disponibili, risulta estremamente incerta e richiederebbe una conoscenza dettagliata del singolo fenomeno e della storia dei suoi movimenti. Per tale motivo si suggerisce in questa sede di adottare cautelativamente un coefficiente n=1, cioè di considerare le frane quiescenti come attive. 6.4 Tabella riassuntiva

In tabella 18 si riporta per maggiore chiarezza un riassunto schematico dei tempi di ritorno da associare alle diverse categorie di fenomeno franoso, dei parametri a cui viene messo in relazione e delle soglie suggerite per tali parametri. Nel caso delle tipologie “complesso” e “colamento lento”, che mostrano spesso un comportamento di tipo duttile, viene indicato anche il tempo di ritorno di uno scenario di attivazione locale. Tale scenario non viene considerato nel caso di altre tipologie di fenomeno. Si ricorda che sono state escluse dal presente lavoro le tipologie: espansione, sprofondamento e aree soggette a sprofondamenti diffusi.

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Tabella 18. Schema riassuntivo dei tempi di ritorno per lo scenario standard (evoluzione catastrofica) e per lo scenario di attivazione locale da associare alle tipologie di fenomeno

franoso contenute nella banca dati SIFRAP Tipologia parametro soglia T (standard) T (locale)

Crollo/Ribaltamento Area soggetta a crolli/ribaltamenti diffusi

Volume 100 m3 25 anni/km2 -

DGPV Volume 50⋅106 m3 1500 anni - Colamento rapido Area soggetta a frane superficiali diffuse

Pioggia evento Variabile in funzione della zona geografica

Mappato sul territorio regionale (figura 9) -

Scivolamento rotazionale/traslativo

Pioggia cumulata 60gg

Variabile in funzione del periodo (figura 10) 10-35 anni 5 anni

(trascurabile)Complesso Colamento lento Volume - Calcolato sulla base del

volume (equazione 8) 5 anni

7. Ringraziamenti Questo lavoro, che riunisce diverse competenze nel campo delle frane, è stato possibile grazie alla collaborazione dei tecnici di ARPA Piemonte, Regione Piemonte e CSI Piemonte. Si ringraziano per il tempo speso ed i preziosi consigli l’ing. Stefano Campus, l’ing. Secondo Barbero, il dott. Davide Tiranti ed il dott. Giuseppe Menetto. 8. Riferimenti bibliografici ARPA Piemonte (2008). Procedura tecnica U.RP.T087 - Sistema informativo dei fenomeni franosi

in Piemonte (SIFRAP). http://webgis.arpa.piemonte.it/elenco_servizi/index.html ARPA Piemonte (2009a). Procedura tecnica U.RP.T040 - Gestione rete regionale di controllo

movimenti franosi. http://webgis.arpa.piemonte.it/elenco_servizi/index.html ARPA Piemonte (2009b). Guida alla lettura della scheda frane SIFRAP. Servizio WebGIS Sistema

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