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P P R R O O G G E E T T T T O O C C O O M M U U N N I I S S T T A A

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PPRROOGGEETTTTOO CCOOMMUUNNIISSTTAAPeriodico delPartito di Alternativa Comunista sezione dellaLega Internazionale dei Lavoratori (Quarta Internazionale)ALTERNATIVACOMUNISTA.org GGeennnnaaiioo :: FFeebbbbrraaiioo 220011 33 :: NN°°3388 :: 22€€ :: AAnnnnoo VVII II :: NNuuoovvaa sseerriiee

Ancora pesanti attacchi per i lavoratoriLLeeggggee ddii ssttaabbiilliittàà ee AAccccoorrddoo ssuullllaa pprroodduuttttiivviittààPrc e Pdci e la lista IngroiaLLaa ddeerriivvaa ddeellllaa ssiinniissttrraa rriiffoorrmmiissttaa

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2­3

Quattro pagine gestite e prodotte dai giovani del PdacIInn rriiccoorrddoo ddii PPiieettrroo TTrreessssoo10­11Cronaca dell'assemblea e intervista ai promotoriNNaassccee NNoo AAuusstteerriittyy ­­ CCoooorrddiinnaammeennttoo ddeellllee lloottttee5­6 ll''iinnsseerrttoo ddeeii

GGIIOOVVAANNII ddii AALLTTEERRNNAATTIIVVAA CCOOMMUUNNIISSTTAAnelle

pagineinterne

SPED.ABB.POST.ART.1COMMA2D.L.353/03DEL24/12/2003(CONV.IN

L.46/04DEL27/02/2004)DCBBARI

Adriano Lotito

“Il mondo si divide in un piccolo gruppo di Statiusurai e in una immensa massa di Stati debitori”

Vladimir Lenin,L'imperialismo fase suprema del capitalismo

Laffermazione leniniana qui riportata èindubbiamente lungimirante (si pensi cherisale al 1916) se la confrontiamo conl'attuale fase che attraversa il capitalismo

mondiale in generale, e quello europeo in particola­re. Abbiamo il dominio incontrastato di un'oli­garchia finanziaria (individuabile nelle banchetedesche e francesi); abbiamo i Pigs (Portogallo, Ita­lia, Grecia, Spagna), Stati indebitati che sono co­stretti a pagare il pizzo alle suddette lobby in cambiodi poter prorogare la permanenza nell'élite dei Pae­siforti (cioènelclubimperialista);abbiamolaformafenomenica dell'essenza oligarchica di cui scrivevaLenin, che oggi assume le sembianze della co­siddetta Troika (il Fondo Monetario Internazionale,la Banca Centrale Europea, la Commissione euro­pea), il cui carattere elitario e classista è sottolineatoanche dalla totale indipendenza di cui tali istituzio­ni godono rispetto ai parlamenti e ai governi nazio­nali. Ma in tutto questo c'è un elemento che Leninnon poteva ancora conoscere (sebbene il periodo incui scriveva fosse egualmente instabile): ovvero unacrisi mondiale strutturale del sistema capitalista,che nel continente europeo si è andata intrecciando

con una crisi dei debiti sovrani di dimensioni inau­dite (sia in termini relativi alle singole economie na­zionali, sia in termini assoluti) prodotta dallecontinue iniezioni statali volte a risanare i bilanciprivati in perdita (di banche e grandi aziende).

Le politiche di austerità

Di fronte a questo colossale fallimento del suo siste­ma, il capitale finanziario ha optato unanimementeper una sola strada: l'imposizione senza possibilitàdi appello di politiche draconiane sotto l'ormai sdo­ganato nomignolo di“austerity”. Il termine anglofo­no sembrerebbe voler esorcizzare le implicazionireali che tali politiche producono nella vita anch'es­sa reale, al di fuori della dotta matematica dei pro­fessori, intenzionati a imbrigliare il sostratoconcreto della società in equazioni astratteincomprensibili ai più. Il succo della questione èquesto: la Troika elargisce finanziamenti ai già citatiPigs,acquistandoneititolidistatoeimpiegandoli ingiochi speculativi che vanno solo ad aumentare i giàenormi debiti (con la mediazione delle affini societàdi rating); in cambio si chiede ai governi di questiPaesi di procedere alla distruzione di quel che restadello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, rinvigo­rendo le politiche di privatizzazione del settorepubblico.A coronamento di questa guerra sociale troviamoun'altra delle“parole d'oro” tanto abusate dai mezzidi informazione in questi mesi: il Fiscal Compact, oPatto di bilancio europeo, firmato nel marzo 2012dai Paesi membri della zona euro, che stabilisce la

costituzionalizzazione del pareggio di bilancio edunque un tetto rigido alla spesa pubblica (conconseguenze devastanti per tutto ciò che non è“produttivo”, ovverosia che non produce profitto).In Italia, ad esempio, il Fiscal Compact obblighe­rebbe a raccogliere (cioè rapinare) una sommaequivalente a 1000 miliardi di euro, il che significhe­rebbe tagli annui di 50 miliardi per i prossimi ventianni. Oltre a questo, l'Unione fiscale voluta dallaMerkel impone ai Paesi della periferia europea unvasto pacchetto di misure palesemente antidemo­cratiche: ci saranno sanzioni automatiche per tutti iPaesi che oltrepassano il limite di deficit pubblicofissato; il tribunale di giustizia potrà multare gli Statiche non approvino le leggi che garantiscono il pattodi bilancio; l'Eurogruppo (consiglio composto daiministri economici) avrà l'ultima parola sui bilancidegli Stati, che prima di passare per le aule parla­mentari saranno vagliati dalla Germania; laCommissione europea detterà le linee di politicaeconomica ai governi. Il senso di queste manovre èchiaramente politico: chi continua a delirare, di­cendoci che dietro tali provvedimenti c'è l'ingegno“tecnico” di alcuni professori e che lo scopo è quellodi farci uscire dalla crisi, o ha interessi altri da na­scondere, o gli consigliamo di seguire valide curemediche.Quello che abbiamo descritto sopra, infatti, è il clas­sico cane che si morde la coda e l'austerità in questocontesto rappresenta solo un'occasione, per lelobby finanziarie europee, di provocare uno storicoarretramento dei diritti e delle condizioni di vita e di

lavoro della classe operaia, nonché un tentativo diinstaurare nuovi rapporti di colonialismoall'interno del continente stesso (traguardo chenemmeno il colonialismo otto­novecentesco erariuscitoaraggiungere).Il“salvataggio”dellaGreciaegli “aiuti” a Spagna e Portogallo sono atti di guerrache confermano quella polarizzazione su scalainternazionale prospettata nelle parole di Leninposte all'inizio di questo articolo.

La situazione in Italia

Nel nostro Paese, dopo la congiura di palazzo orditada Napolitano (chiamarla “colpo di stato” sembraeccessivo e soprattutto darebbe l'idea che quello diBerlusconi fosse un governo “democratico”), è arri­vato l'esperto team dei “bocconiani”. Il governoMonti ha messo subito le cose in chiaro:Marchionneèuneroe,lasuaimpresaunmodellodaseguire e da generalizzare, l'Italia, affetta da culturamarxista (ebbene si, ha detto proprio così), saràraddrizzata! E così è stato: cancellazione dell'arti­colo 18, riforma delle pensioni (con innalzamentodell'età pensionabile e metodo contributivo),spending review e legge di stabilità (con stangatealla Scuola e alla Sanità pubbliche, tagli dei precari ecinquecento milioni destinati alle scuole private),mannaia sui lavoratori del pubblico impiego, libe­ralizzazioni a danno del piccolo commercio equant'altro.Non ci addentriamo nelle sue politiche, avendovi

NOALLEMISURED'AUSTERIT¤!

continua a pagina 2

Vita di un rivoluzionario

LABORGHESIA ITALIANAALCREPUSCOLODELGOVERNOMONTI

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RRiipprreennddiiaammooccii iill ffuuttuurroo!!

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2 Gennaio ­ Febbraio 2013 PROGETTO COMUNISTAPOLITICA

già dedicato ampi articoli e analisi reperibili sul no­stro sito e nei numeri precedenti del giornale. Cisoffermeremo invece sulle prospettive che si apro­no all'indomani delle dimissioni del governo. Laborghesia italiana sembra divisa in due tronconi emezzo. Il mezzo è rappresentato da Berlusconi,eccezione tutta italiana che risulta essereincomprensibile agli occhi degli stessi oligarchi(imponente la levata di scudi da parte di tutti i go­verni dell'imperialismo contro la sua candidatura,considerata autoreferenziale e poco valida ai fini deiben più sostanziosi interessi rappresentati dallalobby montiana). I due tronconi sono invecerappresentati dalla “società civile” di Monti eMontezemolo da un lato, e la borghesia illuminatadel centrosinistra dall'altro. Infatti, a destare inte­resseeconfusioneèildibattitotrailcentrosinistradiBersani e l'area centrista a cui ha aderito Monti,avanzando una lista personale che si presenteràinsieme a Udc e Fli al Senato e in solitaria alla Came­ra. La salita in politica di Monti, che dismette i pannidel “tecnico” (era ora!) e aderisce al progetto diMontezemolo (forse troppo timoroso di sporcarsidirettamente le mani) ha rappresentato una sorpre­sa per quanti credevano in un suo possibile (e nonancora escluso) Ministero dell'Economia nel pro­babile governo di centrosinistra che si formerebbesotto la guida bersaniana. L'ipotesi è stata scartatain un dibattito televisivo da Monti stesso (ma dopo­tutto si tratta solo di parole) e questo rifiuto ha la­sciato a bocca amara Scalfari, che, nell'editoriale suRepubblica del 6 gennaio, ha espresso tutto il suodisappunto in merito alla svolta montiana, riba­

dendo la pressoché totale identità tra l'agendaBersani e l'agenda Monti (qualora non ce ne fossi­mo accorti). La svolta di Monti potrebbe essersi ba­sata sulla spinta ricevuta da Merkel e Obama esoprattutto dal sostegno della lobby vaticana (attra­verso le parole dei cardinali Bertone e Bagnasco edell'Osservatore Romano), finanziata lautamenteda spending review e legge di stabilità e fortementeavvantaggiata per quanto riguarda l'Imu. Oltre aivari endorsement (per utilizzare in chiave ironica unaltro vocabolo di moda nella vulgata del giornali­smo di regime), a spingere Monti verso questa dire­zione è anche un relativo timore nei confronti dellasinistra dello schieramento di Bersani, che po­trebbe apparire un ostacolo (moderato) alle politi­che compiutamente neoliberiste richieste da alcunisettori della borghesia europea. L'ultimo attaccodel Professore è stato rivolto, infatti, aVendola e Fas­sina, definiti “conservatori” da silenziare. È benequindi dedicare l'ultima parte di questo editoriale auna breve riflessione in merito a questa accusa, chenon è solo una mera trovata per attirare attenzione,ma rivela ad occhi attenti un conflitto tra due di­verse versioni storiche del modello capitalistico.

L'utopia del welfare statee il ritorno a Keynes

Quale è il programma della sinistra borghese cheMonti attacca come “conservatrice”? Semplifi­cando la questione, è un programma che si basasulla difesa dello stato sociale, massacrato da tagli eda privatizzazioni, sulla difesa dei diritti dei lavo­ratori, su di una “pacata” riaffermazione della so­vranità nazionale nei confronti della Troika esull'attribuzione allo Stato del potere regolativo ri­

spetto ai mercati e agli interessi privati in campoeconomico. Va da sé che tutto questo è previsto nelquadro di un modello ugualmente capitalistico,ovvero ugualmente basato sulla inviolabilità dellaproprietà privata dei mezzi di produzione esull'economia di mercato. È un programma soste­nuto, con varie differenze, da molti economisti epremi nobel, tra cui Paul Krugman e Joseph Stiglitz(per citarne solo alcuni) che si rifanno in modo più omeno esplicito alle teorie economiche di John May­nard Keynes, il massimo teorizzatoredell'interventismo statale in campo economico.Perché Monti ritiene (anche se non è entrato nellospecifico pensiamo di non aver torto affermandoquesto) che tutto questo è conservatore? Perché mi­ra a conservare una versione del capitalismo che ilcapitalismo di oggi non è più in grado di sostenerené ha necessità di farlo: le varie versioni ammo­dernate delle teorie economiche in questionehanno potuto essere applicate nel ventennio dopola seconda guerra mondiale, in una fase di ascesaeconomica dell'imperialismo (ricordiamo il Mira­colo economico italiano e la relativa prosperità delsecondo dopoguerra in quasi tutta l'Europa occi­dentale) e soprattutto quando la presenza del capi­talismo stesso era minacciata internamente da unproletariato che aveva come concreto riferimentodi un'alternativa possibile (seppur deformata) lapresenza dell'Urss, la quale in questo modo costituìun incentivo alla costruzione di un più o meno soli­do stato sociale in Occidente. Oggi tutte questecondizioni non sussistono più.Il capitalismo non è un'entità metafisica, uno spa­zio matematico a cui si possono applicare tutti icalcoli che vogliamo (come vuol fare quell'econo­

mia politica che Marx criticò in quanto feticizzatanel Capitale), ma, in quanto è storicamente de­terminato, ha bisogno di un continuo rivoluziona­mento da parte della borghesia stessa, per poterprolungare la sua pur storicamente determinata vi­ta. In questo senso Monti si definisce “rivoluziona­rio” (dal suo punto di vista, relativamente agliinteressi attuali dell'imperialismo attuale) ed eti­chetta come conservatrice una posizione volta adaffermare un capitalismo non più sostenibile dallaborghesia di oggi. Per concludere, citiamo unostralcio del Manifesto europeo della Lit, in modo daporre il sigillo finale su ogni possibile divagazione“welfariana”:“Nonsipuòtornareindietroalvecchioscenario prima della crisi. Indipendentementedallosviluppodelprocessoincorso,ilwelfarestateèfinito, così come è finita l'Ue precedente alla crisi.Ora una parte importante della ricchezza nazionaledella periferia non potrà essere ripartita e dovrà es­sere espatriata a vantaggio degli imperialismicentrali. Non sarà più possibile mantenere la pacesociale fra le classi grazie a bilanci pubblici chedistribuiscano salario indiretto (istruzione, sanità,pensioni) alla maggioranza della popolazione. Inquesto contesto, le vittorie parziali dei lavoratorinon daranno più luogo a conquiste stabili e po­tranno essere solo l'anticamera di battaglie più fe­roci. Lo sviluppo ultimo sarà o un arretramentostorico della classe operaia europea nel quadro diun'Ue egemonizzata dall'imperialismo tedesco o larottura con l'Ue e con l'euro e l'apertura di una viainternazionalista rivoluzionaria”. Questa via èl'unica realmente rivoluzionaria (stavolta non piùin termini relativi, ma in assoluto) per uscire dallacrisi, uscendo dal capitalismo. (8/1/2013)

segue dalla prima

PROGETTO COMUNISTAPeriodico del PARTITO DI ALTERNATIVA COMUNISTAsezione della Lega Internazionale dei Lavoratori : Quarta Internazionale

Gennaio - Febbraio 2013 – n.38 – Anno VII – Nuova serieTestata: Progetto Comunista – Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori.Registrazione: n. 10 del 23/3/2006 presso il Tribunale di Salerno.Direttore Responsabile: Riccardo Bocchese.

Direttore Politico: Fabiana Stefanoni.Redazione e Comitato Editoriale:Giovanni “Ivan” Alberotanza, Patrizia Cammarata,Maria Pia Gigli, Adriano Lotito, Claudio Mastrogiulio,Fabiana Stefanoni,Valerio Torre.

Vignette: AlessioSpataro.blogspot.com

Grafica e Impaginazione: Giovanni “Ivan” Alberotanza[Scribus+LibreOffice su Debian GNU/Linux]Stampa: Litografica '92 – San Ferdinando di PugliaEditore:Valerio Torre, C.soV.Emanuele, 14 – 84123 Salerno.

Per scrivere alla redazione mandare una e–mail a:[email protected]

Recapito telefonico: 328 17 87 809

Francesco Ricci

Èimpressionante quanto sta succe­dendo. La rapidità della deriva adestra di quanto resta della sinistrariformista fa impressione anche a

chi, come noi, ha analizzato da anni la cri­si della socialdemocrazia, cioè della sini­stra orientata verso la collaborazione diclasse (in altre parole Rifondazione, Pdci edintorni).

Un progetto burocraticoperseguito con metodo

L'ostinazione con cui il gruppo dirigentedella sinistra riformista ha perseguito ilsuo progetto meriterebbe ammirazione:se quel progetto non fosse stato in questianni e non fosse nei prossimi mesi ilprincipale ostacolo che i lavoratori e i gio­vani incontrano nel tentativo di sviluppa­re le lotte contro gli attacchi dei governipadronali.Con corsa a scatti e arresti, salti in alto e inlungo, strisciando e a zig zag, persino colpasso del giaguaro, il gruppo dirigente diRifondazione ha avanzato in ogni modo inquesti anni verso il proprio traguardo.Non si trattava (e non si tratta) di “usciredalla marginalità” cui quel partito sarebbecostretto dopo l'esclusione dal parla­mento. No, questa è la versione che vieneammannita agli attivisti che ancora con

notevoli sacrifici mandano avanti il parti­to. La realtà è un'altra: lo strato burocrati­co, composto da centinaia di eletti nelleistituzioni borghesi ai vari livelli (dallegiunte locali in su) e da un apparato difunzionari abnorme, questo strato buro­cratico ingigantitosi negli anni di vacchegrasse, durante la partecipazione del Prcai due governi Prodi (1996­1998, 2006­2008), quel settore di grandi e piccoli pri­vilegiati, ha cercato e cerca in ogni mododi preservare o riguadagnare quei piccolio grandi privilegi d'apparato.Come ricordava Trotsky, e come ha spie­gato più di cento anni fa molto bene ancheRosa Luxemburg, le teorizzazioni riformi­ste non nascono nella testa dei teorici ri­formisti ma nella pancia delle burocrazie.Il sostenere – come i dirigenti di Rifonda­zione hanno fatto per anni – la possibilitàdi pungolare, ancorare a sinistra, rio­rientare, influenzare, contaminare un go­verno borghese al servizio di industriali ebanchieri (come furono i due governi Pro­di, come sarà il prossimo possibile go­verno Bersani) è prima ancora che unateoria stravagante una esigenza materialeper la burocrazia dirigente. Non è un fattonuovo: l'essenza stessa della socialdemo­crazia di ogni epoca consiste nella svendi­ta degli interessi e delle lotte dei lavoratoriin cambio di concessioni marginali per ilavoratori e di un posto per i burocrati alla

tavola della borghesia.Ma questo scambio (a perdere per i lavo­ratori) ha funzionato in epoche in cui laborghesia aveva ancora qualcosa daconcedere e i rapporti di forza internazio­nali erano differenti per l'esistenza degliStati operai degenerati o deformati. In unasituazione totalmente diversa e tanto piùnegli anni della più brutale crisi del capi­talismo, la musica è cambiata. Il compitodei governi borghesi (di centrodestra,centro o centrosinistra) non è quello di fa­re concessioni (fossero pure marginali)ma piuttosto quello di riprendersi indie­tro tutto, smantellando quello Stato so­ciale concesso in epoca diversa per evitarerivoluzioni.Di qui la crisi irreversibile di ogni progettosocialdemocratico. E di qui la inevitabilecrisi di Rifondazione che ha portato allasua esplosione, alle varie scissioni fino allarottura in due di quel partito con la uscitadiVendola che andava a costituire Sel.Anche se in due schieramenti elettorali di­versi, anche se con forme parzialmentediverse, con un linguaggio e parole inparte diversi, l'obiettivo tanto del gruppodirigente di Sel come di quello di Rifonda­zione è comune: rientrare dalla portaprincipale o da quella di servizio nel go­verno o nella sua maggioranza e riguada­gnare eletti nel prossimo parlamento.Non per usare (come farebbero dei rivolu­zionari) anche quella tribuna secondaria(rispetto alla lotta di piazza e di fabbrica)per sviluppare le lotte dei lavoratori, la lo­ro indipendenza dalla borghesia, dai suoigoverni, dai suoi interessi contrapposti:no, solo per potersi avvicinare di nuovoalla mangiatoia.

Mille tentativi e infine devono...ingroiare

Come segnalammo già al momento dellascissione di Vendola da Rifondazione(2009), quella che da molti fu accreditatacome una “svolta a sinistra” della “nuova”Rifondazione di Ferrero era solo una riti­rata necessaria per riprendere il primapossibile l'avanzata (verso il governoborghese, s'intende). Negli ultimi anni,pur fuori dal parlamento e poi costretta auna “opposizione” (di cui nessuno si èaccorto) al governo Monti, Rifondazionenon ha mai cessato di preservare ilrapporto col Pd, in vista di un terzo girocon un futuro governo di centrosinistra.La lealtà con cui Rifondazione ha go­vernato a livello locale, in regioni provincee comuni, insieme al Pd, significava alcontempo la conservazione di un po' dipoltrone di secondo livello ma anche cu­rare il terreno su cui far rifiorire una piùinteressante e proficua relazione nazio­nale.Il “patto democratico” proposto da Ferre­ro (come sempre“per battere le destre”), le

patetiche “videolettere a Nichi”, ecceteraeccetera, dovevano riaprire quella portache si era chiusa sulle dita dei dirigenti diRifondazione. Ma il crollo di Rifondazionenei sondaggi e la contemporanea crescitadi Sel come una sorta di sinistra esterna alPd hanno favorito un patto Bersani­Vendola che non lasciava nessun ruolo,neppure secondario, ai dirigenti di Ri­

fondazione.Aquelpuntoènatoilsognodiuna “Syriza italiana” (per usare l'espres­sione di Ferrero), la speranza che Ri­fondazione, nel quadro del marasmapolitico e della crisi economica crescente,potesse porsi al centro di una riaggrega­zione di forze, attorno a un programma ri­formista (come è quello di Syriza). Maanche questo progetto è sfumato: a cre­

Rivoluzionecivileorivoluzionesocialista?Cosadevono“ingroiare”perrientrarenelgiocoborghese

L'impressionante deriva della sinistra riformista

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PROGETTO COMUNISTA Gennaio ­ Febbraio 2013 3POLITICA

scere nella sinistra riformista, togliendoogni altro spazio, erano solo Sel di Vendo­la, l'Idv di Di Pietro (sempre più attenta airapporti con la Fiom, curati dall'ex ri­fondarolo Zipponi).A quel punto (siamo a qualche mese fa)Ferrero doveva prendere atto che non solonon si davano ipotesi di rientrare dallaporta principale (rapporto col Pd) o daquella secondaria (relazione con Sel o conuna sua area disponibile al confronto) marisultavano sbarrate anche tutte le finestre(riaggregazione di spezzoni secondari,vedi Movimento No Debito su cui tornia­mo tra poco). Erano i giorni in cui Ferreroinviava disperati messaggi financo al co­mico reazionario Grillo: “non abbiamodifferenze programmatiche di fondo”.Gli imprevisti scandali sul finanziamentoe la conseguente crisi dell'Idv di Di Pietro(anch'essa emarginata dal Pd) hanno ria­perto la possibilità di mettere insiemetutto quanto veniva escluso dall'asseBersani­Vendola. In poche settimane sisono moltiplicate le sigle di aggregazionipiù o meno consistenti. Non è qui il caso difare la storia di Alba, Cambiare si può, Io cisto e delle relative assemblee nazionali.Basti dire che – a differenza di quanto pareaver compreso con un certo ritardo Sini­stra Critica – mai in nessun momento da

questo crogiolo poteva uscire uno schie­ramento di classe, effettivamente indi­pendente dal Pd e dal prossimo governoborghese orientato dal Pd. L'unica cosache poteva uscire è poi uscita: Ingroia.

Natura e fini della listaIngroia­Rifondazione­Idv

Parafrasando una vecchia pubblicità, perdescrivere questa “novità” basta la parola.E non ci riferiamo tanto al nome di Ingroiache campeggia a caratteri cubitali nelsimbolo della coalizione ma al mestiere diIngroia fino all'altro ieri. Solo la derivaanche culturale provocata dalla sinistrariformista ha consentito che in ampisettori di lavoratori si dimenticasse il ruo­lo che da sempre svolgono i magistratinello Stato borghese. L'esaltazione per ivari Falcone e Borsellino, e poi per Di Pie­tro, De Magistris, ora Ingroia ecc., è ilfrutto della sistematica cancellazione diogni analisi classista dello Stato e dei suoiapparati repressivi. Negli anni Settanta imagistrati venivano definiti nel movi­mento “ermellini da guardia”. Oggi, grazieai disastri ideologici prodotti dai riformi­sti, vengono visti anche da tanti lavoratorie giovani come un baluardo contro il dila­gare della corruzione politica: come senon fossero i tutori, in primo luogo, della

proprietà privata e dunque del furto erettoa sistema (il furto della forza lavoro). Unatutela, quella del capitale e dei suoi inte­ressi, che i magistrati esercitano, insiemealle varie polizie, quotidianamente, neiprocessi ai manifestanti, nell'insabbia­mento delle responsabilità dei poliziotti(poliziotti con cui Ingroia ha solidarizzatoin occasione del processo per i fatti di Ge­nova del 2001), nella copertura degli inte­ressi del padrone contro l'operaio:utilizzando e applicando la legislazioneche non è certo neutrale e che, persino neisuoi testi apparentemente più avanzati,come la Costituzione (prodotto di altrirapporti di forza, concessa dalla borghe­sia al Pci stalinista in cambio del disarmodella Resistenza e della rivoluzione italia­na), pongono sempre al centro la sacralitàdella proprietà privata e della sua tutela, edunque la schiavitù del lavoro salariato.Anche volendo ignorare che Ingroia è unuomo degli apparati repressivi borghesi,Rivoluzione civile ha un programma cheparla da solo. Un programma di classe: nelsenso che prende posizione nella lotta diclasse per uno dei due schieramenti:quello borghese.I “dieci punti” enunciati da Ingroia di ri­torno dal Guatemala quando, con note­vole arroganza e parlando di sé in terzapersona, ha presentato la sua lista, sonoinequivocabili. Al centro di tutto, fin dalprimo punto, è il concetto di “legalità”(temperato con quello di “solidarietà”). Sicavalca l'idea che il problema vero non siala corruzione del sistema borghese in sé, ilsuo essere fondato sullo sfruttamentodell'uomo sull'uomo, ma piuttosto il suofunzionamento deteriore, la corruzioneche costantemente sgorga (e non po­trebbe essere diversamente) dalla sua ge­stione politica. Come chiarisce il punto 8,l'obiettivo sono “i partiti” (“vogliamo cheescano da tutti i consigli di amministra­zione”) non la borghesia che sta dietro ipartiti borghesi. Nel programma di Ingro­ia le classi e la loro lotta a morte sparisco­no, sostituiti dai “cittadini”, tutti uguali,padroni e operai, tutti interessati solo a li­berarsi dai politici corrotti e dalla crimi­nalità organizzata. Per essere precisi, inrealtà, una classe compare in questo pro­gramma: non sono i lavoratori ma gli“imprenditori” (che noi chiamiamo pa­droni). Al punto 6 è detto: “ Vogliamo chegli imprenditori possano sviluppare pro­getti, ricerca e prodotti senza essere soffo­cati dalla finanza, dalla burocrazia e dalletasse.” Un obiettivo che non sfigurerebbeneppure in una lista di liberisti dichiarati!Ma quali sono i fini di questa lista che si ri­chiama a una “Rivoluzione civile”, questacoalizione che unisce Rifondazione, Pdci,Idv, Verdi, Arancioni del sindaco di NapoliDe Magistris?L'obiettivo strategico dichiarato fin dalsimbolo è quello di una “rivoluzione civi­le”: cioè una rivoluzione non sociale (noninsomma come quelle che stanno co­raggiosamente conducendo le masse deiPaesi africani e del Medio Oriente) mamera espressione della cosiddetta “socie­tà civile” che si ribella contro politicicorrotti e criminali invocando una societàcapitalista onesta. Una società cioè, tra­duciamo noi, in cui i padroni possanosfruttare gli operai, ricattare precari edisoccupati, fare le loro guerre di rapinacoloniale, distruggere l'ambiente, senzadover pagare i troppo cari costi di gestionedi un sistema politico corrotto. Come sefosse possibile separare il capitalismodalla sua gestione, i profitti “puliti” daquelli sporchi.L'obiettivo tattico (diciamo meglio: l'uni­co obiettivo), coperto dal nome altiso­nante e dal povero Quarto statoschiacciato nel simbolo dal nome del ma­gistrato borghese, è più prosaicamentesuperare la soglia di sbarramento e otte­nere quella manciata di parlamentari checonsentiranno non solo di ripianare il de­ficit di burocrazie in forte difficoltà (Ri­fondazione è alla vendita delle sedi) maanche di rientrare in qualche modo nellaipotetica maggioranza di governo a guidaBersani.Il più esplicito a annunciare da subito ladisponibilità nei confronti del Pd è statoOliviero Diliberto (che, come i cani di Pa­vlov, inizia a sbavare anche soltanto alsuono della campanella che annuncia ilriempimento della mangiatoia). Peraltro,come ricorda col consueto cinismo Dili­berto, tutta l'allegra brigata che sostienel'ermellino da guardia è già stata al go­verno persino con Mastella, quando PaoloFerrero faceva il ministro “alla solidarietàsociale” in quel governo imperialista:perché dovrebbero sottrarsi adesso?Ingroia è stato non meno esplicito: alCapranica, il 22 dicembre: “Non ho pre­clusioni ideologiche (...) Spero cheneppure il Pd ne abbia (...) non facciamotestimonianza, vogliamo governare”

(corsivo nostro). E lo stesso Ferrero, purimpegnato a far digerire l'operazione aimilitanti, evidenziando le “correzioni”fatte al programma iniziale (un paio diaggettivi e due virgole), ci tiene a precisarein ogni intervista alla stampa che il nemi­co da battere sono come sempre “le de­stre” e che dopo le elezioni (dovenecessariamente questi rivoluzionari “ci­vili” corrono da soli) si ridiscuterà sul tutto(chiaramente in nome di politiche “antili­beriste”... da contrattare con banchieri eindustriali).

Gli orfani delComitato No Debito

Prima di concludere, vale la pena dare unarapida occhiata agli effetti provocati dallanovità Ingroia a sinistra.Meritano una citazione perlomeno gliarticoli intrisi di irritazione di Giorgio Cre­maschi, ex presidente del ComitatoCentrale della Fiom nonché portavoce(autonominatosi) del cosiddetto Comi­tato No Debito.Fin dalla nascita di questo raggruppa­mento, sorto sulla base di “discriminanti”imposte da Cremaschi e accettate dalle si­gle aderenti (Usb, Rifondazione, SinistraCritica, Pcl, eccetera), in sostanza un pro­gramma riformista neokeynesiano (cheabbiamo analizzato in altri articoli a cui ri­mandiamo), mettemmo in guardia i tantiche giustamente parteciparono (comeanche noi) alle manifestazioni indette daquesto “Comitato”. Mettemmo in guardiasia sulle enormi limitazioni della piatta­forma (che per questo non abbiamo maisottoscritto) sia sull'assenza di unastruttura democratica, ma segnalammoanche quello che a noi pareva evidente:non vi era da parte di Cremaschi e deglialtri autonominatisi dirigenti del Comi­tato nessuna intenzione di costruire unComitato nazionale contro il pagamentodel debito articolato localmente.L'intenzione che identificammo e de­nunciammo a più riprese era quella di co­struire un raggruppamento chesoddisfacesse esigenze diverse ma tutteestranee alla crescita di un movimento:Rifondazione cercava di raggruppare unamassa di manovra per contrattare da po­sizioni migliori il rapporto col Pd­Sel, te­nendosi al contempo aperta la possibilitàdi una aggregazione elettorale attorno alPrc; Sinistra Critica sperava di arrivare aun accordo con Rifondazione; il Pcl diFerrando era in cerca (come sempre) solodi un palco da cui far parlare l'anziano lea­der­guru; altri (Usb ecc.) coltivavano il lo­ro personale orticello e GiorgioCremaschi, ponendosi come federatoredei vari pezzi, generale senza esercito,sperava di poter diventare il candidato diquesto arlecchinesco schieramento.Ma nel giro di pochi giorni Ingroia (soste­nuto anche da Arancioni e Di Pietro) hafatto sfumare questo progetto. Rifonda­zione (che poi era la forza che portava ilgrosso dei manifestanti in piazza) non haesitato a buttare a mare tutto, preferendouno schieramento più largo che offremaggiori opportunità di superare la sogliadi sbarramento. Così a Cremaschi non re­sta che lamentarsi: “Affermo questo con larabbia di chi insieme a tanti altri ha pro­vato per un anno a costruire sul campouna forza ed una risposta alternativa. Eche ha visto il 31 marzo a Milano e so­prattutto il 27 ottobre a Roma delinearsiuna possibilità reale di successo. Ma non èandata così (...).”Mentre scriviamo, Cremaschi insisteperché“si corregga in fretta” il programmadella nuova lista e, per parte sua, si dà

disponibile a dare suggerimenti... Checonsistono nel relativizzare le idee ingro­iane sulla crisi come derivato della crimi­nalità e nel prospettare piuttosto “ungigantesco intervento pubblico nell'eco­nomia”, “un forte controllo democraticosull'economia”, una “nuova politica eco­nomica e sociale”. In altre parole: il solitominestrone neokeynesiano riscaldato.Per quanto riguarda Cremaschi, resta soloda capire se la lista di Ingroia è interessataai suoi dotti suggerimenti e gli vuoleaccordare una candidatura. Ma questoevidentemente poco ci interessa. Perquanto riguarda invece il Comitato NoDebito, con ogni evidenza ha esaurito lasua funzione nel momento stesso in cui èspuntatalacandidaturadiIngroiaalpostodi quella di Cremaschi...(1)

Lo sviluppo delle lotte nonc'entra nulla con Ingroia e

Ferrero

Da quanto abbiamo detto fin qui emergecon chiarezza un punto: la Rivoluzione ci­vile di Ingroia, Ferrero, Diliberto, Bonelli,Di Pietro e De Magistris non c'entra nullacon le necessità di sviluppare anche inItalia, sull'esempio di quanto sta acca­dendo in altre parti d'Europa, una grandemobilitazione unitaria di lavoratori e gio­vani contro le politiche dei banchieri. Ècosì. Le burocrazie della sinistra riformi­sta, governista, non sono interessate allalotta di classe ma piuttosto ai possibilifrutti della collaborazione di classe. Per lo­role lottesonoutili solonellamisuraincuipossono fungere da trampolino di lancioverso qualche poltrona. In questaconstatazione sta racchiusa la storia dellasocialdemocrazia di decenni.La riflessione e la lotta di chi vuole co­struire una mobilitazione in grado diconfrontarsi col prossimo governoborghese che inevitabilmente uscirà dalleurne (chiunque sia il vincitore) è ispiratada un altro orizzonte. Non un orizzonte dicollaborazione di classe ma di indi­pendenza e di lotta di classe, nonl'alternarsi ciclico di governi dei diversipoliborghesimal'alternativadipoteredeilavoratori. È un progetto che deve trovarealimento e ispirazione non dalle squallidemanovre elettorali dei vari Ferrero madalle lotte rivoluzionarie in Egitto e Siria,dall'ascesa del movimento operaio spa­gnolo e greco.Nonavendolapresunzionedicostruiredasoli questa alternativa di classe chemanca, essendo convinti che il Pdac (e lealtre sezioni della Lit nel mondo) sono so­lo uno strumento per costruire quel parti­to di lotta, comunista e rivoluzionario,internazionalista e internazionale di cuic'è bisogno, di questi temi stiamo discu­tendo nei congressi locali del Pdac, nelledecine di assemblee che stiamo facendoin giro per l'Italia, nel confronto congruppi e singoli compagni che sono comenoi impegnati quotidianamente nellelotte operaie e studentesche.Questi temi saranno il centro del dibattitodel nostro III Congresso nazionale, che sisvolgerà nell'ultimo fine settimana digennaio a Rimini.

Nota

(1) Sul fallimento del progetto di Crema­schi e del cosiddetto Comitato No Debitosi vedano i suoi più recenti articoli, reperi­bili su vari siti internet:“Io ci sto,ma per fa­re che?” (19/12/12), “Capitalismo ecorruzione” (pubblicato a fine anno suContropiano).

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4 Gennaio ­ Febbraio 2013 PROGETTO COMUNISTAPOLITICA — LAVORO E SINDACATO

Nuovi attacchi padronali al mondo del lavoroAlberto Madoglio

Regali di Natale non ri­chiesti. Polpette avvele­nate. Li si chiami comesi vuole, ma gli ultimi

atti del governo Monti proseguo­no la lunga serie di attacchi almondo del lavoro e alle classisubalterne: questo in sintesirappresentano la Legge di stabili­tà e l'Accordo sulla produttività(siglato da governo, Confindu­stria e sindacati confederali, aesclusione della Cgil).Rispetto alle devastanti manovredi aggiustamento dei contipubblici varate nel 2010 e nel2011, la Legge di stabilità del 2012(nuova denominazione dellevecchie Finanziarie) è passatasenza grande clamore o attenzio­ne, quasi come si trattasse diqualcosa di poco importante. Inrealtà, anche con questa norma sicontinua l'opera di smantella­mento dello stato sociale e dipeggioramento delle condizionidi vita dei lavoratori: tagli alla sa­nità pubblica, alla scuola,mancata soluzione deldrammatico problema dei co­siddetti “esodati”, finanziamentiallagrandiopere(Tavsututte)ealsettore della sicurezza (in pocheparole, nuovi fondi a polizia e ca­rabinieri, non certo percombattere il crimine, ma perprepararsi a una nuova stagionedi conflitti sociali, in cui il ruolodelle cosiddette forze dell'ordinedovrà essere quello di garantire aogni costo l'ordine borghese), ta­gli agli enti locali e così via.Tutto ciò causerà con il nuovoanno, se si sommano gli effetti delDecreto Salva Italia dell'autunno2011, l'aumento di tasse e tariffedei servizi pubblici e una riduzio­ne di oltre 1000 euro nei prossimidue anni per le pensioni a partiredai 1200 euro al mese. Ma il vero“capolavoro”, chiamiamolo così,del governo dei Tecnici, è statol'Accordo sulla produttività.

La stangata dell'Accordosulla produttività

Come abbiamo scritto in un arti­colo specifico su questo tema,apparso sul nostro sito web(www.alternativacomuni­sta.org), al di là della propagandae della retorica dei mass mediaborghesi, l'accordo distrugge de­finitivamente ciò che ancora ri­maneva del contratto nazionaledi lavoro e dello Statuto dei lavo­ratori, e crea le condizioni peruna ulteriore e generalizzata ri­duzione dei salari. In concreto, sipotrà derogare, a livello azienda­le o territoriale, a quanto previstodal contratto nazionale. Leimprese potranno, unilate­ralmente, abbassare l'inquadra­mento dei propri dipendenti, conrelativa riduzione di salario.L'orario di lavoro, giornaliero esettimanale, potrà essere au­mentato senza prevedere nessunaumento della retribuzione.Vengono nei fatti reintrodotte,attraverso i contratti aziendali eterritoriali, le gabbie salarialiabolite dopo le grandi mobilita­zioni dell'Autunno caldo del1969. E, dulcis in fundo, saràpermesso l'uso di telecamere ealtri strumenti, per controllare illavoro di operai e impiegati.Si tratta di una vera e propriasvolta epocale, che azzera neifatti oltre quarant'anni diconquiste sindacali senza colpoferire. Non ci soffermiamo quisull'inutilità, anche dal punto divista borghese, di una riforma diquesto genere. Se è vero che inItalia c'è un tasso di produttivitàdel lavoro inferiore rispetto aquello di altre nazioni indu­strialmente sviluppate (pensia­mo a Germania, Francia, Usa oGran Bretagna, per citarne alcu­ne), è altrettanto vero che ciò di­pende poco dal costo del lavoro,come lo stesso Marchionne,quando era ancora un'icona

della sinistra riformista (Berti­notti in testa), ammise. Per au­mentarla servirebbero ingentiinvestimenti in innovazione,tecnologia, macchinari indu­striali, ricerca, ecc. Tutto ciò di­pende però più dal livello diconcorrenza internazionale, daisettori produttivi, finanziari ospeculativi (che garantiscono li­velli di profitto per le imprese tri­colori) più che dalla possibilità dicontrollare con una telecamera ofar lavorare operai e impiegati inItalia (che da statistiche Ocse ri­sultano avere orari di lavoroannui tra i più alti al mondo). Ciònon toglie, come ricordavamopiù sopra, che le condizioni di la­voro e di vita dei proletari in Italiaverranno pesantemente peggio­rate. E anche in questo caso, co­me già avvenuto più volte nelrecente passato, il livello di oppo­sizione politica e sociale è statopressoché nullo.

Il ruolo delle burocraziesindacali

La Cgil si è limitata a proclamareper lo scorso 14 novembrel'ennesimo sciopero generale dipoche ore (quattro, ben un'ora inpiù di quello indetto nel 2011contro la riforma Fornero dellepensioni...), senza alcuna vo­lontà di proseguire e generalizza­re nel tempo la mobilitazione.Che il ruolo dell'organizzazioneguidata da Susanna Camusso siaquellodievitareinognimodocheanche in Italia possano essercidelle esplosioni sociali simili aquelle che abbiamo visto in que­sti mesi in Grecia, Spagna oPortogallo, non è un'illazione diqualche comunista in serviziopermanente effettivo. Lo ha rico­nosciuto lo stesso capogruppodel Pd alla Camera quando, du­rante un dibattito parlamentare,ha sostenuto che era “merito”della Cgil se il Governo ha potutoportare avanti il suo programmadi controriforme sociali, senzaessere troppo disturbato da scio­peri, manifestazioni o scontri dipiazza come nei Paesi sopra ci­tati.Purtroppo, nessuna tra le variecomponenti sindacali interne oesterne alla Cgil, ha voluto, se nona parole, fornire una propostapolitica differente. La Fiom diLandini è nei fatti tornata a farparte della maggioranza delgruppo dirigente della Cgil, eli­minando ogni differenziazionerispetto alla segreteria confede­rale. Significativa a tal proposito èstata la richiesta di Landini di ve­der applicato l'accordo del 28giugno 2011, accordo che haaperto la strada ai successiviattacchi al mondo del lavoro, e inun primo tempo osteggiato dalgruppo dirigente dei me­talmeccanici.La Rete 28 Aprile, dopo esserestata cacciata dalla segreteriadella Fiom, nonostante ne avesseappoggiato ogni decisione, si è li­mitata a costruire un progettofunzionale non alla creazione diuna vera opposizione su di unprogramma classista in Cgil, maal progetto politico del suo porta­voce nazionale, Cremaschi. Que­

sto progetto che al momentosembra naufragato, non potràche avere ulteriori pesanti e ne­gative ripercussioni sul prose­guimento di una battaglia diopposizione sindacale.

Il sindacalismo di base

Il sindacalismo di base, che inquesta situazione avrebbeconcrete possibilità per pre­sentarsi come una realealternativa alle fallimentari poli­tiche seguite dai sindacatiConfederali, preferisce alcontrario preservare il ruolo deipropri piccoli apparati. La dire­zione della Cub, con una sceltasettaria, non ha partecipato allosciopero del 14 novembre, ma hapreferito indirne uno per la finedi quel mese, con risultati vera­mente disastrosi. La direzione diUsb, invece, non solo non hascioperato il 14, ma non ha soste­nuto nemmeno quello della Cub,col risultato di non avere indettonessuno sciopero generale in unautunno, quello del 2012, che,con l'esplosione della disoccu­pazione e del ricorso alla cassaintegrazione, verrà ricordato co­me uno dei peggiori per il mondodel lavoro.

La sinistra governista

I partiti della sinistra socialde­mocratica, Sel e Rifondazione,non hanno proposto nulla didifferente. Il primo, parteci­pando alle primarie del centrosi­nistra, ha dovuto firmarne ilprogramma che nei fatti rivendi­cava l'azione del governo Monti el'applicazione del FiscalCompact dal 2013. I secondi sisono preoccupati di trovare ilmodo di aderire a uno dei variprogetti politici oggi in campo asinistra del Pd, con il fine di averequalche eletto in Parlamento e diproseguire la lenta agonia di unpartito che arrivò ad avere oltretre milioni di voti in un passatonon troppo lontano.Nessuna delle forze politiche osindacali sopra citate è in gradoquindi di rappresentare le neces­sità dei lavoratori, dei giovani,delle donne, dei disoccupati edegli immigrati. I loro pro­grammi si sono dimostrati falli­mentari, sia quelli che si sonodimostrati subalterni all'ideolo­gia liberale (Sel e Cgil) sia quelliche hanno avanzato una illusoriaalternativa di stampo neo keyne­siano (Fiom, Rete 28 aprile e Ri­fondazione).Nessuna di queste due opzionisarà in grado di opporsi a nuoveaggressioni antioperaie e anti­popolari che qualsiasi forza poli­tica vinca le elezioni dovrà varare.Recessione economica, pareggiodi bilancio dal 2013 e manovre daoltre 40 miliardi dal 2014 perubbidire ai diktat della Troika edel Fiscal Compact, necessitanodi una vera alternativa, di una ri­voluzione. Non di quella civile diIngroia e degli Arancioni, ma diquella dei lavoratori, degli operai,in una parola dei proletari chedevono farla finita una volta pertutte con questo sistema sociale,con il capitalismo. (8/1/2013)

Claudio Mastrogiulio

La partecipazione di Ni­chi Vendola alle pri­marie del PartitoDemocratico, tenutesi

lo scorso 25 novembre, el'endorsement nei confronti diBersani da parte dello stessogovernatore pugliese nelballottaggio del 2 dicembre,hanno segnato il definitivopassaggio di campo del vendo­lismo nello scenario della poli­tica italiana. Finora, cometestimoniano molti nostri arti­coli pubblicati in passato,Vendola ha lavorato da“apprendista” alla bottega delgoverno regionale della Puglia,mostrandosi un affidabilissi­mo tutore e servitore degliinteressi padronali e dell'esta­blishment italiano ed interna­zionale. A titoloesemplificativo, riteniamo uti­le citare alcuni episodi a soste­gno di queste nostrevalutazioni di merito. Nella re­gione di cui è presidente,Vendola ha massacrato quelpoco che restava dello stato so­ciale, tagliando posti letto adospedali pubblici ed alcontempo finanziando clini­che private, come il San Raffae­le del suo sodale don Verzé. Haforaggiato per anni colossi delcapitalismo nazionale, come laNatuzzi, che hanno appro­fittato del governo “amico” perincassare e scappare con ilbottino dall'altro versantedell'Adriatico. Paradigmaticoè, nell'ambito di questa brevequanto sconcertante rassegnadelle regalie vendoliane, il casoIlva. Addirittura da inchiestedella magistratura borghese èemersa una fitta rete dirapporti tra lo stesso Vendolaed i suoi più fidati collaboratoried i vertici dell'Ilva. Vale a dire,con quella banda di malfattoriche da anni sta avvelenando lacittà di Taranto, macinandomiliardi di profitti senza tenerein minimo conto le condizionidi lavoro e di vita dei lavoratorie degli abitanti dei quartiericircostanti.

Il senso dell'accordo colPd

Il partito di Vendola, che nellarealtà si riduce ad un suoenorme e permanente comi­tato elettorale, nasce conl'obiettivo di riempire lo spazioesistente tra il più grande parti­to neo­liberale, il Pd, e ciò cheresta della sinistra sedicenteradicale, dai cui rottami stainerpicandosi il “quarto polo”di Ingroia. Un'organizzazione,Sel, con importanti aggancipolitici e sindacali, se si pensa

al fatto che i più influenti buro­crati della Fiom, Landini ed Ai­raudo, ne sono componentiorganici. Al di là della fluttua­zione del consenso elettoraleintorno alla personalità delleader, il progetto di Sel èandato perdendo progressiva­mente forza ed incisività in se­guito all'insediarsi del governoMonti.La mossa di Berlusconi, di farcadere anticipatamente il go­verno tecnico, ha avuto dueconseguenze. La prima èconsistita nel fatto che Montiabbia rotto gli indugi, deci­dendo di candidarsi a presi­dente del Consiglio, conl'appoggio dei partiti centristi edi Montezemolo, e dunqueperdendo l'aurea di tecno­crate. La seconda, riguardaappunto Sel, che ha così potutolegittimare la propria decisio­ne di allearsi con il Pd, propo­nendo una presuntadiscontinuità dall'agendaMonti, con la solita falsa pro­spettiva, con cui imbrigliare ipropri militanti, di “spostare asinistra” il Pd. Un progetto,questo, del tutto improponibi­le, se si pensa al fatto che Bersa­ni abbia imposto a chiunquevolesse partecipare alle prima­rie di votare la cosiddetta“cartad'intenti” del Partito demo­cratico. Dunque, potremmodire che chi voleva lanciareun'Opa sul Pd, cercando di sbi­lanciarlo verso “sinistra”, èstato a sua volta riportato con ipiedi per terra. La “cartad'intenti”, infatti, è una sorta diassicurazione che il Pd ha pre­teso nei confronti di Vendola inparticolar modo, e che lo stessogovernatore non ha esitato unistante a firmare e avallare.

Il contenuto della“carta d'intenti”

Per capire ciò di cui stiamotrattando basta analizzare,neanche troppo dettagliata­mente, il contenuto di questopatto elettorale siglato tra il Pde Sel. Un programma che nonlascia spazio a dubbi né tanto­meno a trattative e chechiunque avesse vinto le pri­marie, anche Vendola, avrebbedovuto rispettare. Altro che“spostare a sinistra” il Pd!. Ri­portiamo direttamente dal do­cumento: “… la nostra visioneassume il lavoro come para­metro di tutte le politiche. Cuo­re del nostro progetto è ladignità del lavoratore da ri­mettere al centro della demo­crazia, in Italia e in Europa.Questa è anche la premessa perriconoscere la nuova naturadel conflitto sociale. Fulcro diquel conflitto non è più solo

l'antagonismo classico traimpresa e operai, ma il mondocomplesso dei produttori, cioèdelle persone che pensano, la­vorano e fanno impresa…” chetradotto significa la totaleaffermazione di un interclassi­smo liberale, in cui padroni edoperai non vengono conside­rati come portatori di interessicontrapposti, ma come dueentità diverse che compongo­no l'unione complessiva dellasocietà. Chissà come si tra­durranno queste parole,quando si tratterà di affrontarela questione dell'Ilva, delSulcis, della repressionesindacale in Fiat e delle delo­calizzazioni che Marchionneha in mente. La risposta a que­sti interrogativi noi, così comechiunque abbia spirito di os­servazione, la conosciamo già;ed è la medesima che tutti i go­verni dal dopoguerra ad oggi,con venature più o meno rea­zionarie, stanno elargendo.Vale a dire manovre finanziariepesantissime per far pagare lacrisi del capitalismo alle massepopolari, ai lavoratori, ai pre­cari, ai pensionati ed agliimmigrati; contornate da tagliallo stato sociale ed uncontemporaneo aumento deifinanziamenti alle missioniimperialiste, alle multinazio­nali, alle banche, alle assicura­zioni ed ai potentati privati inogni campo della società, dallasanità all'istruzione, passandoper lo sviluppo economico.Un altro stralcio significativodella “carta d'intenti” siglatadal “radicale” Vendola è quelloin cui si specifica che i sotto­scrittori si impegnano a“vincolare la risoluzione dicontroversie relative a singoliatti o provvedimenti rilevanti auna votazione a maggioranzaqualificata dei gruppi parla­mentari convocati in sedutacongiunta”; ed ancora “adappoggiare l'esecutivo in tuttele misure di ordine economicoe istituzionale che nei prossimianni si renderanno necessarieper difendere la moneta unicae procedere verso un governopolitico­economico federaledell'eurozona”. Tutto questosignifica continuare nel solcodella cosiddetta agenda Monti,rivendicando come legittimi idiktat della Troika (Ue, Bce eFmi) che impongono misuredraconiane per la stragrandemaggioranza della popolazio­ne, con l'obiettivo di preserva­re il saggio di profitto dei pochisquali dell'economia nazio­nale ed internazionale nel cuinome e nei cui interessi go­vernano il mondo. (8/1/2013)

Pd­Sel: intrecci elettorali perun altro governo dei padroniLa parabola del vendolismo e i preparativi per unnuovo governo di centrosinistra

LeggedistabilitàePattoperlaproduttività

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PROGETTO COMUNISTA Gennaio ­ Febbraio 2013 5NO AUSTERITY!

ÈnatoNoAusterity,coordinamentodellelotteUn tentativo di unire le vertenze più radicaliDancelli Massimiliano

Il 15 dicembre 2012 po­trebbe diventare una datamolto importante nellastoria recente della lotta di

classe in Italia. Un gruppo di la­voratori (nativi e immigrati),studenti e attivisti sindacali, inrappresentanza di alcune dellepiù importanti realtà produtti­ve ed esperienze di lotta delNord Italia – a cui si sonoaggiunti i lavoratori della Iri­sbus di Avellino – si sono riunitia Cassina De' Pecchi nel mila­nese (luogo noto perché lì si tro­va la Jabil­Nokia, fabbricaoccupata da diversi mesi).Hanno dato vita a un coordina­mento che si pone come princi­pale obiettivo quello di uniretutte le lotte in corso nel Paese e,di conseguenza, unire i lavo­ratori contro il nemico comune,cioè la borghesia.Tra i promotori e i presenti, percitarne solo alcuni, è utile ri­cordare: i lavoratori dell'Esse­lunga di Pioltello, cherappresentavano, oltre alla lorolotta, quella di molte altre coo­perative soprattutto del settoredella logistica; gli operai dellaFerrari di Maranello; gli operaidella Marcegaglia di Milano eCasalmaggiore; gli operai dellavicina Jabil­Nokia occupata; gliimmigrati del Coordinamentomigranti; i lavoratori della Reteoperaia Val Seriana; gli operaidella Same di Treviglio; varie rsudel milanese e del varesotto.Presenti anche i militanti delPdac, che fin da subito ha soste­nuto l'iniziativa, ben sapendocome sia fondamentale l'unio­ne dei lavoratori, a livello nazio­nale ed internazionale, al fine direndere incisive le lotte.

Gli interventi:una breve sintesi

Davanti ad una sala gremita sisono aperti i lavori con una bre­ve introduzione e i saluti daparte di Stefano Bonomi(rappresentante della Rete ope­raia Val Seriana). Ha poi preso laparola la prima relatrice dellagiornata, Patrizia Cammarata,lavoratrice e delegata Rsu­Cubdel comune di Vicenza, che haillustrato il senso della convo­cazione di questa assemblea equindi presentato i puntiprincipali in discussione, apartire da una piattaforma ri­vendicativa promossa dai lavo­ratori stessi. Subito dopo hapreso la parola Ramona Bartoli­ni della Jabil­Nokia occupata,che ha raccontato un po' la sto­ria del presidio permanente edell'occupazione della suafabbrica, rimarcandol'importanza della lotta e delruolo fondamentale delledonne in questa battaglia: unalotta per difendere il posto di la­voro e per poter garantire un fu­

turo ai propri figli. Haproseguito il discorso PaoloVentrella, delegato Fiom allaFerrari di Maranello (Mo), cheha parlato dell'applicazione delmodello Pomigliano nella suafabbrica, ora di fatto esteso atutti i metalmeccanici: Ventrellaha sottolineato anche gli erroridella direzione della Fiom inquesta vicenda, a partire dallarinuncia alla lotta per affidarsisolo ai tribunali. Nel suointervento, ha rimarcato la ne­cessità da parte dei lavoratori disuperare le direzioni burocrati­che dei sindacati, sottoli­neando, in questo senso,l'importanza della nascita diquesto coordinamento dellelotte. Ha proposto Maranellocome prossima sede di discus­sione al fine di coinvolgere altrerealtà di lotta di quel territorio.Molto vivace l'intervento di LuisSeclen, lavoratore licenziatodell'Esselunga di Pioltello e de­legato del S.I. Cobas, che haesortato i lavoratori a non fi­darsi mai delle promesse fattedai padroni ma, al contrario, aprendere in mano loro stessi leloro sorti attraverso la lotta du­ra, senza temere lo scontro congli apparati repressivi delloStato. Ha sottolineatol'importanza della nascita diquesto coordinamento:“i nostrinemici e i loro servi sindacali epolitici sono uniti e solo seanche la classe operaia sarà uni­ta porterà al successo le propriebattaglie e potrà assolvere alruolo storico che le è stato asse­gnato, cioè quello di liberare lamaggioranza degli uomini dallecatene degli sfruttatori capitali­sti”. La quarta relazione è statadi Moustapha Wagne, delCoordinamento migranti di Ve­rona e responsabile nazionaleCub­immigrazione, che hasottolineato la responsabilitàdei sindacati concertativi neldividere i lavoratori, ri­marcando invece la necessitàche i lavoratori nativi si unisca­no ai lavoratori immigraticontro il nemico comune chevuole far pagare loro la crisi inegual misura. Non a caso, i lavo­ratori nativi subiscono ormaicondizioni molto simili a quelleche, fino a poco tempo fa, sologli immigrati erano costretti asubire. In conclusione halanciato un appello a lavorareall'unione del sindacalismo dibase, oggi a suo avviso troppoframmentato. L'ultimointervento introduttivo, primadel dibattito, è stato quello diFabiana Stefanoni, insegnanteprecaria e attivista della Cub diModena. La Stefanoni haparlato del debito pubblico, chenon è di tutti ma è il debito deipadroni e ha ribadito come intempo di crisi i padroni si ri­prendano in fretta quello che ilavoratori in passato sono riu­

sciti a strappare con la lotta. Haposto l'accento su comel'attacco del governo alla scuolapubblica sia, oltre che unattacco al futuro di tutti i giova­ni, anche un attacco alle donne,considerato che fra gli inse­gnanti le donne sono inmaggioranza. Se molte dellelotte degli ultimi anni non sonoriuscite a vincere è perché èmancato proprio un coordina­mento tra le varie lotte. Inconclusione si è soffermatasulle esigenze pratiche per dareun seguito all'Assemblea:l'approvazione di una piatta­forma rivendicativa, la creazio­ne di un coordinamentonazionale, la necessità di stru­menti per informare sulle lotte,a partire da un sito(www.coordinamentonoauste­rity.org) e da un volantino dadistribuire nei luoghi di lavoro;soprattutto, l'organizzazione dialtre assemblee per ampliare lapartecipazione di nuove realtàal fine di unire e dare sostegnoalle varie lotte che si sviluppe­ranno.

Nasce il coordinamento

Al termine degli interventiintroduttivi si è aperto un riccoe vivace dibattito al qualehanno dato il loro contributovari lavoratori e studenti chehanno tutti rimarcato la neces­sità di cominciare ad unire lelotte, per fare in modo che nonci siano più solo tagli e licenzia­menti ma anche vittorie econquiste per gli sfruttati. Tra itanti ricordiamo: SalvatoreD'Amato, lavoratore della Iri­sbus d'Avellino, che ha parlatodella loro importante e notaesperienza di lotta; esponentidella Rete 28 aprile; CosimoScarinzi (coordinatore nazio­nale della Cub Scuola); Massi­miliano Murgo, del Coord.Lavoratori autoconvocati;rappresentanti dell'associazio­ne “Voci della memoria­NoEternit” di Casale Monferrato.Particolarmente importante èstato l'intervento di Dirceu Tra­vesso, brasiliano, responsabileinternazionale della Csp­Conlutas (il più grande sinda­cato di base dell'America Lati­na), che ha portatoall'Assemblea il saluto della suaorganizzazione e ha invitato ilcoordinamento a parteciparealla prossima conferenzainternazionale dei sindacaticonflittuali che si terrà a Parigi ilprossimo marzo: un incontrointernazionale promosso dallastessa Csp­Conlutas, Solidairesdi Francia, la Cgt spagnola ealtre organizzazioni dei diversiPaesi. Travesso ha rimarcatol'indispensabilità di un coordi­namento anche e soprattutto alivello internazionale dellelotte. Si è proceduto quindi convoto unanime alla creazione del

coordinamento (composto daun rappresentante per leprincipali realtà di lotta pre­senti a questa prima assemblea)e della sua piattaforma moltoradicale, basata, tra gli altri, suiseguenti punti rivendicativi: re­golarizzazione di tutti i precari ereddito minimo garantito pertutti i disoccupati, unione tralavoratori e studenti, unione deisindacati non concertativi, na­zionalizzazione senzaindennizzo e sotto controllooperaio di tutte le fabbriche incrisi, riduzione dell'orario di la­voro a parità di salario, convo­cazione di un vero scioperogenerale unitario. Infine, si èdeciso di proseguire con altreassemblee (a partire dall'ini­ziativa di Maranello), per darecontinuità e attuazione alle de­cisioni prese, essere presenti nelvivo delle lotte. Anche la parte­cipazione all'importanteconferenza di Parigi è stata vo­tata all'unanimità.

Un primoimportante passo

Noi del Pdac siamo moltosoddisfatti della nascita di que­sto coordinamento, perchérappresenta, anche se ancora infase embrionale, un primotentativo in Italia, da parte deilavoratori di volersi unire perlottare assieme, avendo essistessi intuito che ormai il capi­talismo non ha più nulla daoffrire se non licenziamenti esfruttamento. I lavoratori(almeno la loro avanguardia)cominciano a rendersi contoche le politiche sindacaliattendiste e collaborazionistedelle burocrazie concertativenon sono più efficaci nemmenoper ottenere le briciole e co­minciano a capire che vannoaggirate e combattute. Si co­mincia a intuire la necessità diqualcosa di diverso per portarealla vittoria le varie lotte che sistanno sviluppando veloce­mente in tutto il Paese e che lavolontà dei burocrati servi deipadroni era di tenere divise leune dalle altre. Si è capito che civuole l'unità degli sfruttati sullabase di rivendicazioni di classeper fare davvero l'interesse deilavoratori, si comincia anche arecepire che la lotta di classe de­ve svilupparsi e coordinarsi so­prattutto a livellointernazionale: di qui moltopositiva la decisione di parteci­pare alla conferenza parigina,primo tentativo di coordina­mento delle lotte a livellointernazionale. Noi del partitocontinueremo a impegnare lenostre energie militanti per aiu­tare la crescita e lo sviluppo diquesto coordinamento, percercare di mettere a disposizio­ne dei lavoratori un preziosostrumento per poter vincere laloro battaglia. (8/1/2013)

MMoonnooppoollii ((BBaa))Il Comitato cittadino contro ilicenziamenti della Ecoleatherprosegue la vertenza perevitare che cento lavoratori diun reparto siano messi sullastrico con le loro famiglie per lachiusura dello stesso. Tral'altro, a quanto pare, l'aziendanon è certamente in crisi, mavuole delocalizzare partedell'attività nei Paesi dell'Est,dopo aver usufruito diabbondanti finanziamentipubblici, tra cui 130 milioni dieuro statali. Il comitato dilavoratori ha aderitorecentemente alCoordinamento puglieselavoratori in lotta con tante altrerealtà pugliesi unite dallanecessità di dare un'unicadirezione di marcia e di lotta alletante vertenze del nostroterritorio.

RRoommaaProsegue la vertenza deilavoratori della società Wdfg(Word duty free group)dell'aeroporto di Fiumicino diRoma, tra addetti alla vendita eall'amministrazione, contro ladecisione padronale diprocedere con i licenziamentientro la fine di gennaio. Decinedi lavoratori hanno intrapresoanche lo sciopero della fameper alzare il livello di attenzionesu questa procedura dilicenziamento che sarebbemotivata dal passaggio dicommessa dall'attuale aziendaalla società franceseLagardere, che ha vintol'appalto dei duty free dellaSocietà Aeroporti di RomaRetail. I lavoratori sono inpresidio permanente davantialla direzione della società digestione Aeroporti di Roma.

RRoommaaAltri scioperi stanno animandola vertenza dei lavoratori dellecooperative alle quali Posteitaliane e Sda hanno affidato lalavorazione e lo smistamentodei pacchi: i lavoratori lottanoper ottenere il rispetto delcontratto nazionale e ilpagamento effettivo delle orelavorate. Parallelamente,prosegue la lotta nel settorelogistica in Emilia Romagna e inLombardia. Questecooperative, che lavorano inappalto, nel processo diprivatizzazione delle Posteitaliane (avviato ormai da anni)sono diventate ormai un regnodi sfruttamento e diprecarizzazione del lavoro constipendi da 900 euro al mese per12­13 ore di lavoro al giorno. Lalotta contro queste nuove formedi schiavismo prosegue conl'appoggio deciso del Pdac.

AAvveezzzzaannooLa Micron, multinazionale

americana da anni presente nelterritorio marsicano, haannunciato 700 licenziamenti escatenato la reazioneimmediata dei lavoratori chehanno dato vita a un presidiocon camper al di fuori allostabilimento. Successivamenteè stata convocata unamanifestazione davanti alMinistero dello sviluppoeconomico in occasionedell'incontro istituzionale tragoverno, società e sindacati.Dopo aver sfruttato soldipubblici e lavoratori, la Micronsta preparando un'ulterioredelocalizzazione per trasferirela produzione dove il costo dellamanodopera è ancora piùbasso, nell'ottica di aumentare iprofitti.

PPoonntteeddeerraaIl lavoratori della Piaggio diPontedera sono sul piede diguerra contro la sospensione dialcuni lavoratori collaudatoriche si sono fermati per qualcheminuto per bere una bibita caldaad una temperatura di 4 gradisotto zero. L'arroganzapadronale arriva fino a decisionidi questo genere pur di ricattarei lavoratori e imporre loro unregime aziendale che prevedeaddirittura l'impossibilità difermarsi per pochi minuti.

RRoommaaProsegue il braccio di ferro tra ilavoratori della Unicoop Tirrenodi Guidonia, superstore delcentro commerciale tiburtino,per il mancato rispettodell'accordo sindacale cheprevedeva il passaggio da 20ore settimanali a full time permolti lavoratori. Evidentementeil mancato rispetto dell'accordoè dovuto alla volontà padronaledi tenere sotto scacco ilavoratori precari per renderliancora più precari e ricattabili.Tutto questo nella logica dellavoratore “usa e getta”.

CCoosseennzzaaPartecipare a corsi diformazione regionali per o.s.s.per poi rimanere disoccupati. Èquesta la parabola amara dimolti lavoratori dei serviziesternalizzati operantinell'azienda ospedaliera diCosenza in lotta ormai da 4 anniperché l'Asl bandisca unconcorso per le loro qualifiche.La mobilitazione prosegueanche a fronte di oggettiveesigenze di personalenell'ospedale di Cosenza.Chiaramente queste mancateassunzioni s'inquadrano in uncomplessivo piano dismantellamento della sanitàpubblica, con taglio di posti lettoe del personale, portato avantidal governo Monti così come daigoverni precedenti con lacomplicità dei governi regionali.

LLoottttee ee MMoobbiilliittaazziioonniiRubrica a cura di MMiicchheellee RRiizzzzii

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6 Gennaio ­ Febbraio 2013 PROGETTO COMUNISTANO AUSTERITY!

a cura di Michele Adorni

Dalla collaborazioneche è nata in fabbricatra i delegati FiomFerrari e la Cub (come,

ad esempio, negli scioperi dellostraordinario comandato) è ve­nuta l'esigenza di collaborare conaltre realtà di lotta. Per questo, idelegati Fiom Ferrari, insieme agliattivisti della neonata Cub Ferrari,sono stati tra i principali promo­tori dell'assemblea autoconvo­cata del 15 dicembre che ha datovita a No Austerity ­ Coordina­mento delle lotte.Come è nata in Ferrari l'esigenzadi questa assemblea?Innanzi tutto, è risaputo che inFerrari c'è sempre stata da unaparte della delegazione Fiom unapropensione verso le iniziative diautoconvocazione. Da questopunto di vista, l'esigenza demo­cratica di confronto con altrerealtàsindacali edi lottaèin conti­nuità con il passato. Forse, questavolta la novità reale sta nella pro­mozione di uno spazio più ampioe permanente di discussione, disolidarietà e di lotta. Facciamouna veloce sintesi delle motiva­zioni: 1) La svolta autoritaria dellaFiat che vede come prima conse­guenza il mancato riconosci­mento della Fiom in azienda haspiazzato l'organizzazione terri­toriale. Da parte nostra, ridi­mensionare l'attività sindacale, inattesa della sentenza della cortecostituzionale, è un lusso che nonvogliamo concederci. Innanzitutto perché la Fiom rischia diperdere i compagni più attivi co­me te, passato alla Cub, e d'altrocanto, il nostro silenzio in fabbricaprodurrebbe scoraggiamento tra ilavoratori meno sindacalizzati emeno combattivi. L'arretramentoavverrebbe mentre con ilcontratto aziendale la Ferrari au­menta gli orari di lavoro e discri­mina economicamente ilavoratori che sono in malattia e ledonne in maternità obbligatoria.2) La posizione dell'ultimo annodella Cgil nazionale in merito apensioni, mercato del lavoro, pro­duttività e spending reviewrappresenta un arretramentospaventoso del movimento dei la­voratori dal Dopoguerra ad oggi.Rispondere, ad esempio, alla ma­celleria sociale della controri­forma delle pensioni con solo treore di sciopero ha rappresentatoun atto di resa (senza lotta) allepolitiche di austerità del governodei tecnici. Per questo, oltre aduna battaglia politica all'internodella Cgil è necessario aprire unconfronto e trovare soluzioni dicoordinamento per pensareattraverso la pratica della lotta edella solidarietà quotidiana, aduna base organizzata che facciapressione sugli apparati sindacali.Oggi è necessario che il sindacatosia di classe. 3) E' necessario recu­perare uno spazio di discussione

regolata dalla democrazia dei la­voratori. Andare avanti senzacoinvolgere i lavoratori o toglierela parola alle minoranze più radi­cali e combattive è sintomatico diun sindacato debole e in balia de­gli eventi. L'attacco frontale daparte del liberismo va capitoattraverso il confronto più ampiopossibile. Sono necessarie prati­che inedite e il superamento didifferenze capziose per elaborareuna risposta ai padroni.Le ultime assemblee in fabbrica,a cui abbiamo partecipato,hanno dimostrato che gli operaihanno molte critiche verso ilnuovo contratto Fiat, anche sesubiscono il ricatto padronale,spesso passivamente. Cosa nepensate?Dopo quasi un anno senza la pos­sibilità di confrontarci con i lavo­ratori, nell'ultima assemblea, ilavoratori della Ferrari hanno di­mostrato di aver conservataintatta la fiducia nella delegazionedella Fiom. La coerenza e la tra­sparenza delle nostre posizioni siscontrano e hanno la meglio sullavisione sindacale di Fim, Uilm eFismic che di fatto si limita a ratifi­care le scelte della direzioneaziendale. Tuttavia, avere il rico­noscimento che stiamo con i lavo­ratori non basta per alimentareuna lotta convinta contro l'impo­sizione del contratto Fiat.L'impossibilità di spazi diconfronto continuativo, la repres­sione continua e capillaredell'azienda, l'assenza di un pro­getto complessivo che si oppongaallo strapotere Fiat (che sguazzaliberamente nelle paure dei lavo­ratori della crisi internazionale) cirendono, con alcune inco­raggianti eccezioni, lo scenario dilavoratori passivi ma insoddisfattie incazzati. Per chiudere il cerchio,l'assenza di una proposta politicachiaramente anti­liberista in gra­do di sostenere i lavoratori, i gio­vani e i movimenti rende il quadroancora più sconfortante.Nel vostro intervento a Milanoavete sottolineato l'importanzadi coordinarsi per respingerel'attacco che stiamo subendo,anzi, il massacro che stiamosubendo. Qual è l'importanza dicoordinarsi con altre realtà ope­raie o di lotta?Bisogna passare dal singolo allasolidarietà. Come dicevamo so­pra è necessario che i lavoratori siconfrontino e scelgano cosa farenel momento in cui vengonoattaccati in modo violento. Attra­verso la pratica della solidarietà edella lotta si posano le basi perreinventarsi dalla base un Paese didiritto al lavoro, dignità e demo­crazia.A Milano, il 15 dicembre, sietestati anche invitati a un'as­semblea internazionale a Parigi.Pensate che sia importanteconfrontarsi con le esperienzesindacali e politiche di altri Pae­si?

Non c'è dubbio che il confrontocon lavoratori ed esponenti dilotte più avanzate possa farci ri­flettere sulla collocazione attualedel nostro Paese in termini di lottaper l' emancipazione dei lavo­ratori e delle fasce di popolazionepiù in difficoltà. Il confrontointernazionale è indispensabileper recuperare il ritardo accumu­lato dalle direzioni sindacali eu­ropee in termini di unità dellelotte. Non è pensabile affrontarela globalizzazione finanziaria deipadroni senza un'idea alternativaai padroni, una griglia di propostecomplessive a livello europeo emondiale di classe e anti­liberista.Come pensate debba sviluppareil proprio intervento No Austeri­ty, per diventare un punto di rife­rimento per le lotte nel nostroPaese? Avete proposto una ma­nifestazione a Maranello comeprimo momento pubblico. Puòessere l'inizio di un percorso dilotte?Discutere ancora del modello Po­migliano e del contesto economi­co politico e sociale in cui vieneapplicato resta un aspetto de­terminante sia per capire leconseguenze dell'applicazionedel contratto Fiat tra i lavoratorisia per discutere modalità di lottaal modello Marchionne e lealternative concrete dacontrapporre ad un modello che,attraverso la sottomissione e il ri­catto, punta alla guerra tra poveriin nome della competitività. LaFerrari oggi è l'esempiodell'applicazione di un contrattoautoritario. Un modello chegiorno per giorno viene esteso inogni suo aspetto. Straordinari co­mandati, orari di lavoro gestiti inmodo unilaterale, discriminazio­ne salariale per le donne inmaternità obbligatoria, per i lavo­ratori malati, per gli infortunati initinere, ecc. Vogliamo lasciarcorrere e farci abolire i dirittiperché l'azienda assume e ha unpiano industriale? Ecco perchéproponiamo Maranello. Lottareper lavoro, diritti e democrazia te­nendo conto che è indispensabileun confronto con altre realtà dilotta non solo del territorio. Se­condo noi il coordinamentofunziona se pratica la solidarietàdei lavoratori e ragiona per l'unitàdelle lotte; funziona se c'è laconsapevolezza che il Paese va ri­costruito attraverso la rivendica­zione dal basso svuotando lostrapotere delle burocrazie sinda­cali che hanno frenato la resi­stenza al modello Monti isolandole lotte e rendendo “corporative”le vertenze; il coordinamentofunziona se alla resistenza e allasolidarietà viene innestato il mo­mento assembleare dove si pro­pone, si discute e si decide con laconsapevolezza che non stiamocostruendo un contenitore“corporativo” ma una proposta dilotta e democrazia. (8/1/2013)

Intervista a Elvis Fischetti e PaoloVentrella,delegati Fiom Ferrari (non riconosciuti da Fiat),membri del coordinamento nazionale di No Austerity ­ Coordinamento delle lotte

NoAusterity:unospaziodidemocrazia,disolidarietà,dilotta

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PROGETTO COMUNISTA Gennaio ­ Febbraio 2013 7LOTTE OPERAIE

Intervista a Ramona Bartoloni,una delle protagoniste di questa importante lotta operaia

Intervista a cura diNicola De Prisco

Divieto di Futuro: così recitava,tra i tanti, un eloquente striscioneesposto durante il derby di baskettra Avellino e Caserta nella freddasera del 30 dicembre scorso al Pa­laDelMauro di Avellino. In questaoccasione si è tenuta infatti laquarta tappa di“La vita non la tie­ni chiù”: un percorso condiviso,promosso da associazioni citta­dine ed ex lavoratori dell'Irisbusdi Flumeri, per rilanciare lavertenza irpina. Ed è in questaoccasione, che abbiamo avuto lapossibilità di intervistare Dome­nico Petrillo e Rossella Iacobucci,due attivisti del comitato “Resi­stenza Operaia”, nato proprio inrelazione a questa vertenza.Quando sono iniziati i proble­mi?Domenico:«Quando nel luglio2011 apprendemmo dalle paginede Il Mattino che la società Iri­sbus era stata venduta ad uncerto Di Risio(1). C'era già una so­cietà di comodo, l'ITALA SpA, conil minimo capitale sociale,120.000euro.NeipianidiDiRisio,le linee ex Irisbus avrebbero do­vuto produrre il Domino GT, cioèpullman turistici. Conoscendoquel tipo di produzione, leaspettative più rosee erano di 80addetti. Una chiusura masche­rata»Cosa significava l'Irisbus per voie per il vostro territorio?D.:«Innanzitutto rappresentaval'economia del territorio, perchéimpiegava 1.400 persone. Poi ne­gli anni, con le varie ristruttura­zioni, si è arrivati all'ultimoperiodo a 700 lavoratori. Eintorno a questa fabbrica c'eraanche l'indotto, che occupavacirca 1.500 famiglie. Ma la produ­

zione di autobus significa tantoanche per l'Italia, perché il 75% diquelli in circolazione sono statidichiarati dall'Unione Europeainquinanti, obsoleti e pericolosi.Per cui il Paese ha bisogno diriammodernare il suo parco au­tobus. Intanto la Fiat chiude, de­localizza e continua a venderepullman altrove. Cornuti emazziati.Marchionne sostiene che lo sta­bilimento non è produttivo. Co­sa rispondete?D.:«Per quanto riguarda l'as­senteismo, i dati che fornisce laFiat stessa si attestano prossimi aquelli giapponesi, ovvero viciniallo zero! Non è questa la vera ra­gione della chiusura. La vera ra­gione è che il governo non haspeso una lira per il Piano nazio­nale trasporti, mentre ha tagliatola spesa sociale, i trasporti, la sa­nità, ecc. A noi oltre che la Fiat ciha licenziati il governo! Cheancora oggi non affronta un Pia­no nazionale autobus»Ti riferisci al governo Monti?D.:«Mi riferisco al governo Montie, prima ancora, al governoBerlusconi e a tutti gli altri go­verni di centrodestra e centrosi­nistra che lo hanno preceduto. E atutti gli altri governi borghesi chesi succederanno»E l'agenda Monti?D.:«Praticamente è una bolla disapone mediatica. Un paroloneusato da una certa stampa per fa­re i titoli di giornale, che a livellofattivo non significa niente: inquesta famosa agenda di Monti,vengono solo citate alcune dellenumerose realtà produttive incrisi, si dice solamente quello chegià sappiamo. Ma non si fa mini­mamente riferimento al Pianonazionale trasporti e alle altre co­se realmente indispensabili per

risolvere i problemi. Monti nonpoteva non essere a conoscenzadel nostro dramma. Perché nonha preso assolutamente in consi­derazione l'idea di mettere manoal Piano nazionale trasporti?»Rossella:«L'unico interlocutoredi Monti è stata finora la diri­genza della Fiat, la proprietà, glistessi soggetti che hanno li­cenziato centinaia di lavoratoridalla sera alla mattina, dalle pagi­ne di un giornale. Per cui Montipuò dire tutto quello che vuole.Ma purtroppo per lui, gli operaihanno imparato a leggere e a scri­vere.D.:«Ora vorrebbero farci credereche Monti è interessato alle sortidegli operai Irisbus? Dopo avervisitato con Marchionne lo stabi­limento di Melfi, dopo che conl'altra M (Montezemolo) preparaun cartello elettorale… La verità èche se c'è un interesse che sta acuore a Monti, è quello diMarchionne! Non certo dei lavo­ratori, ne tantomeno degliutenti!»Come si stanno muovendo i la­voratori?D.:«C'è un gruppo di operai che siè stancato di subire passiva­mente il massacro sociale incorso. Che sta iniziando ad alzarela testa e a scavalcare anche le bu­rocrazie sindacali … Nell'ultimoanno sono state diverse le ini­ziative di lotta»Che ruolo hanno avuto i sinda­cati in questa vicenda?D.:«Assolutamente passivi esudditi dei padroni. Si sono limi­tati a ratificare la“FiatVoluntas”!»R.:«Nel dicembre 2011 i sindacatihanno firmato la chiusura dellostabilimento, senza nessuna ga­ranzia per i lavoratori. Questiquindi si sono organizzati, indi­pendentemente dai sindacati,

con gli utenti del territorio,intorno al comitato di “Resi­stenza Operaia”, per iniziare ariappropriarsi del proprio desti­no»La situazione del comparto tra­sporti in Campania apparedrammatica. Recentemente èstata la vertenza Eavbus a gua­dagnare gli onori della cronaca:l'azienda è giuridicamente falli­ta, all'ultimo tavolo di trattativeprevisto nella sede regionale il21/12 Caldoro e Vetrella non sisono nemmeno presentati e i la­voratori, che devono percepireancora tre mensilità più la tredi­cesima, hanno messo in attouna serie di decise azioni di pro­testa, bloccando per diversigiorni il trasporto cittadino. Co­sa pensate della loro vicenda e ingenerale della situazione deitrasporti nella nostra regione?R.:«Noi non solo esprimiamomassima solidarietà ai lavoratoriin lotta dell'Eavbus, e di tutto il

comparto trasporti campanoormai moribondo, ma proponia­mo di coordinarci e di orga­nizzarci sul territorio, per uniretutte queste realtà in unicagrande vertenza con la quale di­fendere veramente gli interessidegli studenti che viaggiano suipullman come le sardine inscatola, degli autisti che nonhanno nessuna garanzia, degliutenti in genere e dei lavoratoritutti!»Il 15 dicembre scorso, a CassinaDe' Pecchi, avete partecipato aun'assemblea operaia auto­convocata che ha dato vita a unapiattaforma chiamata “No Au­sterity – Coordinamento dellelotte”…D.:«A questa assemblea ne fare­mo seguire un'altra, il 12 gennaio.Perché i lavoratori in lotta, ancheiscritti a determinati sindacati,non si sentono rappresentatidalle varie burocrazie. Dobbia­mo perciò prendere in mano il

nostro destino e organizzarci,organizzarci, organizzarci!»R.:«C'è bisogno però di unire lelotte di utenti, lavoratori e stu­denti: solo così è possibile vince­re»D.:«Noi diciamo che bisognaespropriare le aziende che chiu­dono e porle sotto il controllooperaio! Bisogna rispolverare unvecchio concetto che qualcunoaveva un po' frettolosamentemesso in soffitta: quello dellalotta di classe. Che è sempre viva!A cominciare da quella cheattuano spietatamente i padroninei confronti degli operai. Biso­gnasvuotareigranai!Riprendercile ricchezze che hanno accumu­lato in questi anni. E ri­prendercele con gli interessi».

Nota

(1) Lo stesso di Termini Imerese(Ndr).

a cura diPatrizia Cammarata

Intervistiamo RamonaBartoloni, una delle pro­tagoniste diun'importante espe­

rienza di lotta: la lotta delleoperaie e degli operai della Ja­bil­Nokia di Cassina De' Pecchi(Milano), che da mesi occupa­no e presidiano la fabbrica perrespingere i licenziamenti.Un'occupazione che ha messoin luce il ruolo fondamentaledelle donne, che nella fabbricasono in maggioranza, sia nellalotta contro la chiusuradell'attività, e quindi nell'occu­pazione, sia nell'organizzazio­ne del presidio permanentefuori dell'azienda.Il 15 dicembre 2012 Ramona èintervenuta all'assemblea au­toconvocata di lavoratori e atti­visti sindacali, tenutasi proprioa Cassina De' Pecchi, nata perunire alcune delle lotte più ra­dicali avvenute in Italia

nell'ultimo periodo e che si èconclusa con la nascita di “Noausterity ­ Coordinamentodelle lotte”.Le donne della Jabil sono unitefra loro da due aspetti: il gene­re (perché donne) e la classe(perché operaie, lavoratricisalariate). Questo doppio le­game è stato motivo di una so­lidarietà particolare fra voi? Ese sì quando? prima dell'occu­pazione, nel momento delladecisione o solo più tardi?Ramona:«Penso che il nostrolegame sia un insieme di tantecose… complicità, solidarie­tà… quello che accomuna noidonne è un “atteggiamento”che ognuna di noi ha imparatonel corso della propria vita trasacrifici, delusioni, imposizio­ni e rinunce che dobbiamosubire, ahimè, ancora oggi, so­prattutto nel campo lavorativo.Ed è proprio quest'atteggia­mento che ci ha spinto apercorrere questo cammino,con determinazione, energia, e

grande convinzione senza do­verne prima discutere od orga­nizzarci»Sono emerse delle differenzesostanziali, o sono emersiproblemi, fra il gruppo didonne e gli altri operai in que­sto percorso?R.:«Siamo riusciti, tutti insie­me, a creare un ambiente fami­liare, non ci vediamo più comesemplici colleghi ma ci siamoriscoperti come persone; alcu­ne sono rimaste conoscenze,altre sono diventate vere e pro­prie amicizie. Mentirei seaffermassi che viviamo tutti,questa situazione, in perfettasintonia... a volte ci sonotensioni o discussioni fra di noisoprattutto quando dobbiamomettere in atto iniziative dilotta o in prossimità di unincontro importante mal'abbiamo messo in preventi­vo, anche questo succede inquasi tutte le famiglie»Il doppio lavoro assegnatoculturalmente, e nei fatti, alledonne (lavoro in fabbrica e la­voro di cura in famiglia) che,probabilmente, anche voi la­voratrici della Jabil in qualchemodo vi siete trovate a soste­nere nella vostra quotidianità,è stato messo in discussione, oha subito una crisi, durantel'esperienza dell'occupazio­ne?R.:«Quando ci si trova adaffrontare il dramma dellaperdita del lavoro si mette indiscussione non soltanto lapropria condizione economi­ca ma anche la propria perso­na, il proprio benesserepsicologico, l'equilibrio emoti­vo, il proprio ruolo nella societàe nella famiglia: a maggior ra­gione quando si sceglie di non

“reinventarsi” con lavori a bre­ve termine ma si ha una reazio­ne così drastica come quella dioccupare la fabbrica . Agli occhidi tanti, compresi i nostri fami­liari, questa non è una sceltacomprensibile soprattutto sedura oramai da più di un anno,e sempre con maggiore sacrifi­cio. Pesa sentirsi dire “ricordatiche sei una mamma e hai un fi­glio!”… come se tutto questonon si facesse anche in nomedei propri figli e del loro futu­ro!»L'esperienza che stai vivendoha cambiato l'immagine cheavevi di te stessa e ha cambiatol'immagine che avevi delle tuecompagne?R.:«Senza dubbio! Non avreimai pensato d'essere capace ditanto… di oppormi con tuttame stessa ad una situazioneche non ho certo voluto, di ma­nifestare, di lottare, di protesta­

re per difendere il mio posto dilavoro e la fabbrica nella qualeho lavorato tanti anni. Laconsapevolezza e la coscienzache ho acquisito in quest'annodi presidio mi danno il coraggiodi proseguire in questo difficilepercorso e di pensare che sial'unico possibile per riappro­priarmi del diritto di un lavorodignitoso e del diritto di pro­gettare un futuro che sia il piùsereno possibile per me e per lamia famiglia. Questo è quelloche vedo, anche, negli occhidelle mie compagne di lotta eper loro c'è tanta, tanta ammi­razione!»La resistenza in una fabbricaoccupata ha bisogno di co­raggio e solidarietà, l'isola­mento è un pericolo grave. Il15 dicembre 2012 hai parteci­pato anche tu, a Cassina De'Pecchi, all'assemblea che havisto nascere “No Austerity­

Coordinamento delle lotte”.Pensi che la nascita di questoCoordinamento possa aiutarea dare una prospettiva alla vo­stra lotta ?R.:«Penso proprio di sì. Inqualche modo, secondo me,bisogna organizzare tutte leaziende in crisi per portareavanti una resistenza insieme.Al presidio non tutti sonod'accordo su questo, ne stiamodiscutendo. Una parte di noi,però, soprattutto le donne, vo­gliono l'unità e stanno lavo­rando per questo. Come donneche stanno lottando noicerchiamo l'unità con tuttiquelli che hanno gli stessi no­stri obiettivi, di là dalla siglasindacale d'appartenenza.Anche per questo penso che ilCoordinamento possa essereuno strumento utile per la no­stra lotta e per quella di altri».(8/1/2013)

Jabil­Nokia occupata: le donne in prima fila!

Operai della Irisbus:“Organizzarci! Organizzarci! Organizzarci!”Avellino: l'esperienza di lotta di Resistenza Operaia

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8 Gennaio ­ Febbraio 2013 PROGETTO COMUNISTALOTTE E MOBILITAZIONI

Le lotte più radicali si coordinano anche in PugliaNasce il Coordinamento Pugliese dei Lavoratori in LottaPasquale Gorgoglione

In questi anni di crisi i lavoratorimeridionali subiscono una condi­zione di maggiore difficoltà, dovutaal più alto tasso di disoccupazione,

all'alto livello di precarizzazione, allamancanza di servizi, fattori che hannodeterminato anche una maggiore ri­cattabilità. In queste condizioni i sinda­cati concertativi hanno spesso trovato ilterreno ideale per poter raggiungere ipeggiori accordi con i padroni, ergendo­si a garanti del silenzio dei lavoratori.Nessun aiuto è giunto nemmeno dalversante politico­istituzionale, specie inPuglia, dove la sinistra al governo harappresentato un'illusione fortissimaper tanti lavoratori, spesso incantati dagrigi burocrati abili però nel suonare ilpiffero nefasto del vendolismo per seda­re le lotte.Tuttavia le lotte non sono state poche dinumero e, spesso, quando la camicia diforza abilmente tessuta da padroni,sindacati concertativi e sinistra di go­verno non ha retto alla disperazione deilavoratori, hanno assunto anche conno­tazioni piuttosto radicali, fino ad esplo­dere violentemente con la vicendadell'Ilva di Taranto. Il problema è chequando i lavoratori decidono di nonabbassare la testa di fronte all'arroganzapadronale, sono lasciati soli a sostenereuna lotta sempre più dura, economica­mente ed umanamente. Inoltre il livellodi attacco ai diritti della classe operaia daparte dei governi di austerity che si avvi­cendano al potere è così profondo che lerivendicazioni dei lavoratori, da esseresolo economiche, assumono un sensopiù generale, politico. Con queste pre­messe è nato il Coordinamento Pugliesedei Lavoratori in Lotta.

Unire le lotte! La crisi non lapagheranno i lavoratori!

Il giorno 30 novembre, su direttoimpulso del Pdac, diverse realtà di lottadella regione si sono incontrate presso la

sala della provincia di Bari. Erano pre­senti delegazioni della Om Carrelli di Ba­ri, della Telecom Puglia, della Ambrosia ­Casa Divina Provvidenza di Bisceglie,della Bar.Sa Barletta, dei cassintegrati sa­lentini, della Telecom di Ostuni, dellaEco Leather di Monopoli, dei disoccu­pati baresi e dei Tessili della Bat e rappre­sentanti della Cub. Dai primi interventisi è subito capito che c'era una grandevoglia di ascoltare le diverse esperienzeper trarne importanti insegnamenti. Lascelta di unirsi in coordinamento non èmai stata in discussione, era già un datoacquisito di tutti i presenti come l'unicastrada possibile da percorrere, tanto ne­cessaria quanto scontata. Ad unire nonerano solo le storie di ognuno, molto si­mili tra loro di questi tempo, ma anchel'analisi sulla vera natura della crisi, ge­nerata ed alimentata da tecnocrati,banchieri e professori, e soprattutto leparole d'ordine come l'esproprio senzaindennizzo e sotto controllo operaiodelle aziende che licenziano o inquina­no. Man mano veniva fuori una vera epropria piattaforma antigovernativa eantipadronale, contro la disoccupazio­ne, i licenziamenti, i tagli e il carovita.Una piattaforma che parte dal concettoche la crisi capitalista deve essere pagata

da chi l'ha generata, ossia banchieri epadronienondachilastasubendo,ossiai lavoratori.

Il percorso continua medianteil radicamento sul territorio

Il 3 gennaio si è svolta una seconda as­semblea presso Monopoli. Si è scesisubito nel concreto dunque, andando adaffrontare il problema della Eco Leatherdella stessa città dove a rischiare il postosono un centinaio di lavoratori. Il pro­blema di questa azienda è ben noto: ilpadrone. Infatti questa è l'ennesimaazienda pugliese ad aver usufruito disoldi pubblici e ad essere in procinto discappare in Romania, utilizzando ilterritorio come qualcosa da rapinare e ilavoratori come carne da macello.All'assemblea è intervenuto ancheVincenzo Pecorella a nome della Cub,sottolineando la necessità di agevolarel'unità anche sul piano sindacale. Dopo iprimi momenti assembleari, che non sifermeranno, bisogna lavorare perallargare il coordinamento ad altre realtàdi lotta per mettere a punto uno stru­mento che si riveli realmente efficace,nella consapevolezza che solo uniti sivince. (8/1/2013)

LelotteoperaieinSardegna:radicalitàedeterminazionePassato,presente e futuro di una questione sociale irrisoltaLuigi Pisci

Questa nostra triste storia inizia nel1962. La Sardegna, relegata aimargini della vita economica na­zionale, è al centro di un progetto

di sviluppo industriale sostenuto da centi­naiadimiliardidiliredell'epoca.Sitrattadelcosiddetto Piano di Rinascita, ovvero iltentativo, calato dall'alto, di modificare ilvolto socio­economico dell'isola attraversola costruzione di imponenti infrastruttureindustriali legate al settore petrolchimico.La tesi, alla base del progetto era che laSardegna, per uscire dal suo secolare isola­mento, avrebbe dovuto abbracciare la mo­dernità industriale a discapitodell'artigianato, dell'agricoltura, della pa­storizia e di tutte le attività proprie della se­colare tradizione sarda. Un impetuosofiume di soldi giunse nell'isola dalle cassestatali, mediato dal governo regionale e daipartiti all'epoca al potere. Sarroch, Portove­sme, Porto Torres, Ottana, Macchiareddu:innumerevoli si innalzarono le ciminiere,modificando per sempre il profilo pae­saggistico, ed umano, della vasta isola.Tuttavia, questo sogno legato all'industriaconobbe, di lì a poco, la sua prima battutad'arresto. La crisi petrolifera del 1973 diedeilprimoterribilecolpoaigigantid'acciaio.Ilsogno di una Sardegna nobilitata dai poliindustriali e dai suoi indotti cominciò così atrasformarsi in un incubo. Oggi possiamoaffermare, senza il minimo dubbio, che laSardegna fu posta nei binari del neo­colo­nialismo produttivistico, investita dal trenodella globalizzazione e della crisi mondialedel capitalismo e delle sue strutture, spo­gliata dai propri saperi, usi e tradizioni,ingannata da una classe politica ingolositadal fiume di denaro che il sottosvilupporendeva legittimo e auspicabile. I nuoviproletari sardi dell'industria, accorsi dallecampagne e dai pascoli per partecipare allaredistribuzione di cotanto benessere inno­vativo, furono da subito schiacciati al suoloeposticometraversine,persostenereconleproprie carni il peso di un modello di svi­luppo sciagurato, nefasto e privo di lungi­

miranza economica e sociale.

La lotta degli operai dellaVinylsdi PortoTorres.

Il 24 febbraio del 2010 entra in scena unadella forme di protesta che farà parlaremolto di sé, in Italia e all'estero: gli operaioccupano l'ex carcere sull'isola dell' Asina­ra, ribattezzata dai media “L'isola dei cas­sintegrati”. Le maestranze erano reduci daanni travagliati, caratterizzati da fallimentiannunciati, chiusura degli impianti e so­prattutto dagli squallidi giochetti tra Eni eVinyls relativi acontenziosi,debiti esvendi­te.Tuttavianel2007laVinylsavevafatturatoa livello mondiale 247,6 milioni di euro ed èl'unica società in Italia che produce Pvc.Oltre ad aver giocato come il gatto col topocon la disperazione operaia, la società èindagata dalla Procura della Repubblicapresso il tribunale di Sassari per aver auto­rizzato, dal 2005 al 2009, scarichi di cadmio,mercurio, cianuri e diossine nelle acque delgolfo dell'Asinara. Dunque, oltre allospezzettamento dell'industria, allo sfrutta­mento e alle dismissioni, un altro probabilecrimine dei capitalisti: disastro ambientale.Nel giugno del 2011, dopo 15 mesi di occu­pazione e visibilità mediatica, gli operaihanno lasciato l'Asinara. Hanno preservatola dignità e l'unità operaia davanti al padro­nato, ai politici, ai sindacati. Forse non riu­sciranno a preservare i posti di lavoro, forseriusciranno ad ottenere solo un proroga de­gli ammortizzatori sociali, sicuramentenon riusciranno ad evitare lo spezzetta­mento dell'azienda e un suo forte ridi­mensionamento. Ma per noi sardi,raramente ascoltati, la protesta degli operaidella Vinyls, portata avanti con intelligenzatecnologica e mediatica, ha rappresentatoun megafono a livello internazionale attra­verso il quale continuare a gridare: “Chilotta può perdere. Chi non lotta ha giàperso”.

La lotta degli ex minatori dellaRockwoll

La faccia nascosta della Luna in Sardegna sichiama miniera. Celata indefinitamente

agli occhi del grande pubblico, dei media,delle attenzioni della grande politica nazio­nale. Ma gli ormai ex­minatori in mobilitàex Rockwool e ora dipendenti dell'Igea, so­cietà che gestisce la miniera, hanno ormaiimparato come spezzare con la lotta la pati­na di indifferenza che avvolge i loro destini.A novembre hanno occupato nuovamentela miniera e vi hanno passato tutte le festivi­tànatalizie.Laloroprotestasièconcentratasulle promesse del 2011 di ricollocamentoprofessionale, ancora disattese. Il tutto allavigilia della riduzione ulteriore degli asse­gni di mobilità percepiti dalle famiglie ope­raieequindidiun'ulteriorecontrazionedeltenore di vita. “Se non si fa l'accordo, vivinon si esce”, tuona un operaio dopo che tragli occupanti e il mondo esterno sono statiinnalzati dei muri in blocchetti e cemento.Questa notevole protesta, a tempo inde­terminato, ha tuttavia fatto muoverequalcosa. Il 27 Dicembre 2012 la Regione haannunciato che l'incontro tra Regione, So­cietà e organizzazioni sindacali per discu­tere della forma contrattuale da utilizzarsiper il ricollocamento degli ex dipendentiRockwool, verrà anticipato al prossimo 11Gennaio. Il progetto in questione dovrebbeprevedere la bonifica delle aree minerariedismesse. Memori degli inganni del recentepassato, gli ex minatori continuano l'occu­pazione fino all'ottenimento di concretegaranzie sul proprio futuro. Anche in que­sta vertenza, solo l'occupazione a tempoindeterminato è riuscita a smuovere un ri­stagno di rinvii e promesse.

Quale futuro per la classe operaiasarda?

Per un marxista sardo, che vede giorno do­pogiornosfiorirelavitalitàeconomicadellapropria terra, porsi domande sul futuro delproletariato sardo è un dovere morale.Abbiamo subito l'inganno feroce diun'industrializzazione priva di radici so­ciali, economiche, produttive e culturalicon la nostra tradizione. Per questo motivola nostra economia si è rivelata così pocoelastica agli sconquassi del capitalismomondiale e della globalizzazione. La fragili­

tà del nostro sistema industriale risiedenella sua incompatibilità ed estraneitàall'ambiente economico sardo, al suo esse­re alieno rispetto al nostro territorio e allenostre esigenze. Ma fu costruito co­munque, perché alla sua realizzazione era­no legati ingenti finanziamenti pubblici,sui quali hanno banchettato per decennipolitici locali, sindacalisti venduti e capita­listi prenditori. Ora è giunto il momento diunire gli sforzi fatti per riacquistare dignitàsulpianovertenziale.Oraèil tempodellari­bellione contro chi vorrebbe far pagare lacrisi a chi, già da decenni, la paga ognigiorno. Noi marxisti vogliamo che il prole­tariato sardo marci unito per rivendicare labonifica del nostro territorio, stuprato e vi­lipeso, e il recupero dei prodotti che la no­stra terra sa offrire. Gli uomini non

dovranno più essere al sevizio dellemacchine, ma le macchine al servizio delproletariato. L'industrializzazione, postanelle mani dei capitalisti, non può checondurre alla distruzione della dignitàumana, dell'ambiente, del futuro. Dopoaver capito che la maturità aumenta solonelle lotte siamo convinti che oggi i lavo­ratori sardi siano meglio predisposti neiconfronti di scelte radicali. Dobbiamo es­sere noi marxisti a offrire loro un quadroomogeneodistrategieedobbiettivi.Lelotteche ho cercato di narrare in questi ultimiarticoli sono solo pezzi di magma che sonoriusciti ad affiorare. L'energia tettonicarappresentata dalla rabbia dei sardi, ne sia­moconvinti,nontarderàasprigionaretuttala sua forza progressiva. (8/1/2013)

Ikea:ottimaideasì,madisfruttamento!AsostegnodellalottaedelleiniziativedisolidarietàStefano Bonomi

Come era ampiamente prevedi­bile il 2013 incomincia come siè concluso il 2012: conl'ampliarsi del fronte delle lotte

operaie nelle cooperative di facchi­naggio anche su Roma (con le prime si­gnificative vittorie arrivate con lo“sciopero del pacco regalo”) e su Brescia,oltre che nel milanese e a Bologna. Colo­ro che hanno accumulato – e ancora vo­gliono voracemente accumulare –ingenti quantità di denaro sulla pelle esui diritti di migliaia di operai (quasi to­talmente immigrati) oppongono mi­nacce, ricatti, licenziamenti,intimidazioni e attentati in puro stilemalavitoso.Ne sanno qualcosa al presidio perma­nente di Piacenza, in mobilitazione perla difesa della dignità e per il reintegro deilavoratori delle cooperative attive nelmagazzino dell'Ikea più volte bru­talmente caricati ed esposti alla più bie­ca repressione delle istituzioni borghesicomunali e non.Riprendiamo un concetto reso ancorapiù evidente dal la crisi e che smascherale contraddizioni di chi crede che questosistema si possa riformare a beneficio

dei lavoratori: nella migliore tradizionedell'oppressione capitalista, i vari appa­rati legali e illegali, le istituzioni e i partitiborghesi hanno ben chiaro il loro “me­stiere”, cioè quello di mettere sistemati­camente fuori gioco chi cerca didifendere le condizioni di vita e la dignitàdei lavoratori. Mentre scriviamo, ci arri­va una prima buona notizia: alcuni deilavoratori ingiustamente licenziati, gra­zie alla mobilitazione e alla lotta, sonostati reintegrati. Un esempio che solo lalotta paga!I militanti di Alternativa Comunista so­stengono con convinzione e caparbietàla lotta dei lavoratori delle cooperative einvitano i lavoratori e gli studenti ad ungesto concreto di solidarietà!Costruiamo coordinamenti unitari diautodifesa delle lotte proletarie!Basta repressione poliziesca ai dannidei lavoratori in lotta!Per sostenere la lotta degli operaidell'Ikea:“CASSA DI RESISTENZA PER GLIOPERAI DELL'IKEA IN LOTTA” ­ c/cpostale n.3046206Vaglia postale o bonifico sul c/c IBANIT13N 07601 01000 000003046206 ­Causale“CASSA DI RESISTENZA IKEA”

Modenamedagliad'orodellarepressioneAnche un militante di Alternativa comunista tra i denunciati perla manifestazione del 6 dicembre

Cè anche un militante di AlternativaComunista tra i denunciati per ifatti del 6 dicembre 2012. Si trattadi un operaio e attivista sindacale,

che nei giorni scorsi è stato convocato inquestura a Modena con pesanti denunce.L'identificazione si è svolta in modo “singo­lare”. Pur non avendo mai subito alcunacondanna, e per il solo fatto di aver parteci­pato a una manifestazione, il nostro mili­tante ha dovuto subire un trattamento chedi solito si riserva ai malavitosi pluri­condannati, con tanto di foto segnaletica eraccolta delle impronte digitali. Evidente­mente, è questo il trattamento che la que­stura di Modena riserva a chi, sul luogo dilavoro, svolge quotidianamente attivitàsindacale a difesa dei lavoratori e dei loro di­ritti. L'unica colpa del nostro compagno èquella di aver voluto portare il 6 dicembre lapropria solidarietà a una manifestazionestudentesca.È un fatto che riteniamo gravissimo, così co­me riteniamo grave che si voglia colpire conuna pesante repressione decine di studenti(anche minorenni), precari e lavoratori peraver manifestato davanti a Confindustria,cioè al simbolo di questo sistema economi­co, il capitalismo, che condanna alla fame ealla miseria milioni di lavoratori, giovani,

disoccupati. Questa repressione è solol'ultima di una lunga serie: in un solo annoModena ha visto decine e decine dicondanne ai danni di operai, sindacalisti,studenti, attivisti dei movimenti:dall'incarcerazione degli antifascisti chehanno contestato la commemorazionedella marcia su Roma, fino alle punizioni“esemplari” inferte agli studenti che hannooccupato le scuole (un mese di sospensionedalle lezioni, multe fino a 12 mila euro, de­nunce penali, ecc.), passando per le de­nunce e le multe salate ai metalmeccaniciche hanno occupato simbolicamente l'au­tostrada in occasione di una manifestazio­ne della Fiom.Il Partito di Alternativa Comunista,nell'esprimere la propria solidarietà a tutti idenunciati per i fatti del 6 dicembre, orga­nizzerà a partire dalla prossima settimanauna campagna titolata “Modena medagliad'oro della repressione”, per denunciarepoliticamente questo clima repressivo cheostacola ogni manifestazione di dissenso.Organizzeremo volantinaggi davanti allefabbriche, presidi di solidarietà davanti allescuole e ai luoghi di lavoro, iniziative dicontroinformazione.Alternativa Comunista ­ Modena

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GGIIOOVVAANNII ddii AALLTTEERRNNAATTIIVVAA CCOOMMUUNNIISSTTAAFoglio dei giovani del Partito di Alternativa Comunista sezione italiana della Lit-Quarta Internazionale

Simone Tornese*

Lautunno appena tra­scorso ha segnato unpasso avanti sul terrenodello scontro di classe in

Italia come nel resto d'Europa.Nel nostro Paese ciò è avvenutosoprattutto sul versante dellemobilitazioni studentesche,anche a causa del livello ancoraarretrato delle lotte operaie (chepur non mancano e anzi inizianoa svilupparsi) in confronto adaltri Paesi europei, per esempio laSpagna.Le politiche di austerità e rigorevolute dal capitale internaziona­le e attuate dal governo Monti – lequali hanno colpito duramente ilavoratori e le masse popolari,con lo smantellamento dell'arti­colo 18, il taglio delle pensioni, ilforte aumento della tassazione(diretta e indiretta) a carico deiceti meno abbienti, le privatizza­zioni, la spending review – si sonoriversate similmente sui servizipubblici come la scuola e sullemasse studentesche. Eccoperché era più che mai fonda­mentale alzare il livello della lottae avanzare un preciso piano di ri­vendicazioni studentesche. Apartire da rivendicazioni “mini­me”comeilritirodelddlProfumoe della legge 953, meglio cono­sciuta come Legge Aprea e per ilmomento fermata anche graziealle proteste degli studenti, laquale avrebbe posto il sigillo sullaprivatizzazione della scuola edell'università, oltre che abolitodi fatto la rappresentanza stu­dentesca.

Le manifestazioni diottobre inauguranol'autunno delle lotte

studentescheNegli ultimi tre mesi dell'anno sisono svolte diverse manifesta­zioni a livello studentesco, a co­minciare da quella indetta il 5ottobre dall'area della “autorga­

nizzazione” (centri sociali,collettivi autonomi, ecc.) e rivoltain particolare agli studenti medi.Si sono avuti cortei in tutto il Pae­se, alcuni dei quali incappati inuna dura repressione poliziesca:è il caso di Roma, Milano e so­prattutto Torino, dove il governoMonti ha subito mostrato il suorigido volto antidemocratico.Complessivamente, però, lapartecipazione non è stata buo­na: circa 3000 studenti a Roma,un migliaio a Milano, 900 a Napo­li e 500 a Torino per citare solo lepiazze principali. La vaghezza, inalcuni casi l'assenza, di una pre­cisa piattaforma rivendicativa ela disorganizzazione del movi­mento, evidenziano chiara­mente l'incapacità politicadell'Autonomia di dirigere la lottain una concreta prospettiva dirottura, oltre al nocivo settarismoche viene ispirato talvolta ri­spetto alle altre organizzazionidel movimento; senza dimenti­care quel fastidioso e aprioristicoantipartitismo che contraddi­stingue purtroppo un settoredelle masse studentesche e chefavorisce il radicarsi di pulsionianarcoidi votate alla mera spetta­colarità.La settimana successiva, il 12ottobre, una seconda e più parte­cipata mobilitazione nazionale èstata convocata dall'Unione degliStudenti e dalla Rete degli stu­denti medi, parallelamente allosciopero del personale scolasticopromosso dalla Flc­Cgil. Cortei intutta Italia (diecimila a Roma,molte migliaia anche a Torino,Milano, Firenze, a Napoli e nellealtre province campane, a Bari ein tutto il Sud). Gli studenti si so­no presentati armati di carote, ri­spondendo ironicamente aibastoni del governo, e ribadendola netta opposizione agli ulterioriattacchi alla scuola pubblica. Lapiattaforma proposta da quellache potremmo definire una so­cialdemocrazia studentesca(l'Unione degli studenti) è appa­

rentemente superiore alla lineadell'Autonomia. In particolare laproposta dell'Altrariforma dellascuola, elaborata dal basso dacentinaia di studenti nel corso diassemblee in tutto il Paese,rappresenta un punto avanzatonel programma del movimento:si afferma l'idea di un'altra scuolapossibile, emancipata dalle logi­che privatistiche e di mercato,contro i criteri di una valutazioneesclusivamente numerica (comel'Invalsi) e a favore della demo­crazia reale nelle scuole, contro lemisure repressive come il voto incondotta e il tetto massimo dellecinquanta assenze, per unapartecipazione attiva degli stu­denti e delle studentesse alla vitadella scuola tramite l'istituzionedi commissioni paritetiche stu­denti­docenti che si vadano adaffiancare ai consigli d'istitutonell'elaborazione dei piani diofferta formativa. Queste ri­vendicazioni, assieme a ungrande piano di edilizia scolasti­ca e alle agevolazioni per tra­sporti, libri di testo e mense,trovano un senso però solo secollegate alla prospettiva di tra­sformazione rivoluzionaria dellasocietà. L'emancipazione dellascuola, dell'università, della ri­cerca e della cultura in generedalle logiche aziendali passa ne­cessariamente dall'emancipa­zione del lavoro dal capitale,dunque da quella che Marx defi­niva “la soppressione positivadella proprietà privata”. Una pro­spettiva che nell'Uds è diluita inconfusi ibridi teorici, dalle teoriesul “capitalismo cognitivo” (ri­prese dalle imposture ideologi­che di Toni Negri e MichaelHardt, le cui farneticazionisull'“Impero” e sulla “moltitudi­ne” sono state applaudite persi­no da Francis Fukuyama,ideologo della “fine della storia”),che portano a sminuire il valoremateriale del lavoro e a metterein discussione la primazia e ilprotagonismo della classe ope­

raia nel conflitto sociale, a unaconcezione reticolare dell'orga­nizzazione (basata cioè su de­centramento e orizzontalità);storture e illusioni che non aiuta­no a costruire un frontecompatto, unitario e di classe,contro i governi del capitale.Ancora due settimane dopo, neigiorni tra il 24 e il 26 ottobre, èsempre l'Unione degli Studenti arilanciare la mobilitazione conassemblee, autogestioni, occu­pazioni che hanno riguardatonumerose scuole e università ita­liane.

Le mobilitazioni dinovembre e lo sciopero

generale europeo

Il 14 novembre è stata poi la voltadell'importantissimo scioperogenerale europeo che, nono­stante il freno posto comesempre dalle burocrazie sinda­cali (a cominciare in Italia dallaCgil), ha riguardato gran parte deiPaesi del continente, con picchidi partecipazione in quelli

maggiormente colpiti dalla crisieconomica capitalistica e quindidalle politiche di rapina dellaTroika, vale a dire in primis Gre­cia, Spagna, Portogallo, Italia. Danoi, alla testa delle manifestazio­ni e dei cortei, assieme a diverserealtà antagoniste e ad alcunisindacati di base, c'erano so­prattutto gli studenti che, per laprimavoltadai tempi delgovernoBerlusconi, sono tornati a occu­pare massicciamente non solo lescuole ma anche le piazze.La giornata del 14 novembre saràanche ricordata, insieme a quelladel 15 ottobre 2011 e del 14 di­cembre 2010, come l'ennesimadimostrazione di alcuni assifondamentali dell'analisi che icomunisti devono approntare sevogliono incidere nella realtà.Il primo elemento che trova pale­se conferma nella realtà dei fatti èche le forze dell'ordine nonrappresentano altro che unostrumento di cui i padroni e i lorogoverni sistematicamente si do­tano per reprimere il dissensodelle masse. La violenza di Statoche si è vista a Roma, a Torino edin tante altre piazze d'Italia si èmanifestata in tutta la sua forza evergognosa arroganza. Arafforzarla e legittimarla sonoarrivate le parole, il giorno dopole mattanze poliziesche, del mi­nistro degli Interni Cancellieri,che ha espresso apprezzamentoe solidarietà per le forze repressi­ve a cui lei stessa ed il suo governoavevano commissionato questabrutale operazione di sbirraglia.Il secondo elemento, che peraltroandiamo dicendo da diversotempo, è la necessità di unaforma di autodifesa dei corteinelle manifestazioni. È assoluta­mente necessario prendere attodi come sia imprescindibile per lasicurezza dei manifestanti un se­rio servizio d'ordine, se non altroper il fatto, ormai chiaro a tutti,che affrontare a mani alzate lapolizia in assetto di guerra non èpropriamente una mossa astuta.

Le proteste non sifermano: le giornate del 5

e 6 dicembre

Dopo la partecipata manifesta­zione nazionale di Roma del 24novembre (indetta inizialmentedalla Flc­Cgil) in difesa dellascuola pubblica, il 5 e 6 dicembrescorsi una nuova mobilitazione,

convocata in occasione dellosciopero di otto ore indetto dallaFiom, ha visto nuovamente glistudenti protagonisti in diversepiazze d'Italia; significativo èstato il lancio, da parte dagli stu­denti stessi, dell'importantissi­ma parola d'ordine dell'unità traoperai e studenti per combatterele politiche di austerità impostedalla Troika. Limitandoci allegrandi città, i cortei del 6 di­cembre hanno riguardato inparticolar modo Roma, Modena,Palermo, Bologna, Napoli, Tori­no, Cagliari e Bari. Anche questavolta il centro delle proteste èstata la capitale, dove gli studentihanno bloccato le entrate dellaRinascente con una sorta di“picchetto di precari”, senza farentrare nessuno e con tanto dicappello da Babbo Natale, in so­lidarietà con disoccupati e pre­cari. Poi un fitto lancio dimonetine e uova al Ministerodell'Economia e slogan anti­Tavdavanti alla sede delle Ferrovie.Uno degli striscioni del corteo ri­portava il motto: “Ce n'est q'undébut. Continuons le combat”, ri­cordando il Maggio francese e leproteste sessantottine partitedalla Sorbona. Violenti scontricon la polizia si sono verificatisoprattutto a Modena, dove unragazzo è stato ferito al volto daun colpo di manganello (ma afarne le spese sono stati i manife­stanti: durante le vacanze natali­zie sono arrivate decine dipesanti denunce: tra i denunciatianche un militante del Pdac). Unulteriore dimostrazione dellanecessità di organizzare unservizio d'ordine a difesa deicortei nelle manifestazioni.

E ora sviluppiamo la lotta

I Giovani di Alternativa Comuni­sta sono senza ipocriti distinguocon gli studenti e con tutti coloroche lottano per avere un futuromigliore; dalla parte deglioppressi, di chi vede cancellati ipropri diritti. Si tratta ora di svi­luppare la lotta in direzione dellacostruzione di un grande sciope­ro generale che paralizzi il Paese,per un'alternativa di classe che dicerto non nascerà dalle urne (etantomeno dall'arancione degliIngroia e dei de Magistris).*Giovani Alternativa ComunistaLecce

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Pregi e difetti delle recentimobilitazioni studentesche in Italia

L'autunnocaldodeglistudentielarepressionepoliziesca

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II GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Lanecessitàdell'antifascismomilitanteRiccardo Stefano D'Ercole*

Sulla storia del fascismoconosciamo tutto o quasitutto: come e quando ènato e come, dove e

quando è riuscito, non solo informa ideologica, ad attecchiresulpopolo.Ciòchecisfuggeèchenon è qualcosa che appartiene alpassato, qualcosa alla qualeguardiamo come in un incubolontano. L'ideologia dell'estre­ma destra è radicata più di quelloche pensiamo ed in uno stato dicose critico (crisi economica edecadimento della politica isti­tuzionale), rischia di divenireuna facile risposta ai problemiche oggi si affacciano sulla storiadel nostro Paese, ma anche ditutta Europa.

L'estrema destra europea

Come abbiamo già accennato,oggi, in un contesto di grave crisieconomica, in un clima dimalcontento di fronte alle catti­vissime risposte che i governiborghesi forniscono al problemacrisi, e i continui sforzi che lemasse popolari continuano acompiere per poter procedere alloro sostentamento, purtroppo adestra si muove qualcosa. Le ri­vendicazioni immediate di tiponazionalista, xenofobo (chepermettono di scaricare le colpesu chi la crisi la paga e non do­vrebbe più che su chi la genera), epiù generalmente ad ampio re­spiro squadriste e fasciste rico­minciano ad affiorare con le loroparole d'ordine in molte partidell'Europa.

In Grecia, per fronteggiare le ri­sposte potenzialmente rivolu­zionarie che il popolo siapprestava a compiere, la forterepressione e l'assenza totale diun forte partito a sinistra hapermesso alla destra spietata­mente e sfacciatamente nazio­nalsocialista di Alba Dorata con acapo il carismatico leader Nikó­laos Michaloliákos, attraversocampagne e vertenze che hannoforte capacità di persuasione perla loro immediatezza nell'oggi,ma che si dimostrano distruttiveper il domani, di avere forte pos­sibilità di parola in parlamento edi uscire addirittura fuori daiconfini del Paese. Alba Doratadiscute infatti con parecchiepersonalità della destra extra­parlamentare italiana ed euro­

pea e discute di condurre ilproprio progetto versouna portata più ampia.In Italia Casapound eForza Nuova fannoil loro lavoro. Leproposte cheescono dai nu­clei che si trova­no in tutto ilPaese risultanoessere accolteda molti. Perprimi ci sono inostalgicidell'ordine, co­loro che milita­vano nei varimovimenti socialidi destra fino al “tra­dimento” finiano. Epoi, e questo risulta es­sereben più triste,ci sono igiovani militanti neri cheportano avanti rivendicazionipopuliste, razziste, xenofobe, epiù sommariamente ignoranti.La matrice culturale del fascismorisulta essere sicuramente picco­lo­borghese, e cioè propria diquella classe di piccoli produttoriche si sono visti proletarizzati inpoco tempo e che si vedonousurpare il proprio orticello dalavoratori altrettanto sfruttati eaccusano una decadenza di co­stumi e morale sulla quale perònonèilcasodidiscutereinquestasede e che non meritanoattenzione.La risposta quindi dei fascismi edei nazionalismi vari, po­tenzialmente pericolosi per la lo­ro capacità distrumentalizzazione di eventi efenomeni culturali, è una batta­glia al diverso, per la gloria dellanazione e per una “pulizia”sommaria dalla feccia comuni­sta, dalla diversità e dall'organi­cità che l'eterogeneità dellaclasse sfruttata ha in sé. A tutto

questo noidovremmo rispondere con unatteggiamento prorompente,con la cultura del nostro movi­mento che opponiamo all'igno­ranza di quei musi duri privi dicoscienza critica che sono dasempre i militanti neri.

L'Italia e l'Europaantifascista

Per ragioni di brevità abbiamosolo fatto piccoli esempi di orga­nizzazioni e fascismi in generepresenti in Europa e nel nostroPaese. Ma il problema risulta es­sere potenziale e ben più grave.Non dobbiamo sentirci in dirittodi dimenticare la storia del nostroPaese, dell'Italia partigiana, deisentimenti libertari che condus­sero il nostro popolo al venti­cinque di aprile, control'oppressione, la gerarchia gretta,contro i monotoni ed ignorantisentimenti fascisti.

La nostra risposta si deveattuare nella prassi

politica, nella lotta diclasse, nell'unione

di tutti gli sfruttati,nella potenzadelle masse la­voratrici co­scienti delreale proble­ma che non èl'omosessua­le, né il “ne­gro” ma è ilcapitalismo ela borghesia,

che è losquallore cultu­

rale ipocrita do­minante.

Dobbiamo opporciin maniera perentoria

alle manifestazionisquadriste come quella del

9 novembre 2012 a Roma cheha visto numerosi i militanti delmovimento sociale europeoscendere in piazza e a tutti glieventi piccoli e grandi che si pos­sono identificare come fascisti,xenofobi o nazionalisti. Perché ilproletariato e la vittoria del so­cialismo non hanno nazione, nécoloredellapelle,nériconosconoaltro potenziale ed effettivo ne­mico se non il capitalismo e losfruttamento del lavoro salariato.

Chiudere Casapound, opporsialle politiche dei movimentifascisti, che non ci porteranno aun futuro migliore, ma ad unavolgare ed erronearipresentazione dei fatti di cui, inquanto soggetti che agiscononella storia e in quanto uominiche lottano per la libertà,dovremmo solo vergognarci.Antifascisti sempre.* Giovani Alternativa ComunistaBologna

Diaz:quelsanguenonverràmailavatoCome uno degli avvenimenti più controversi della storia recente ritrovi nuova forza sul grande schermoGiovanni Bitetto

Questi balordi… speriamoche muoiano tutti... tantouno è già andato, uno azero per noi!

Non c'è epigrafe migliore dellestesse parole venute fuori dallaconversazione telefonica fra duepoliziotti per sintetizzare lo spiri­to che ha animato i sanguinosiavvenimenti del G8 di Genova.Affermazioni tronfie e ciniche chealla luce della morte di Carlo Giu­liani ci restituiscono un ritrattosconcertante della “forzedell'ordine”. Ed è lo stesso profiloche, senza troppi fronzoli, vienetratteggiato da Daniele Vicari,classe 67' e già dotato di un'espe­rienza come documentarista, nelfilm più discusso del 2012: Diaz ­Don't clean up this blood.A più di un decennio dalla co­siddetta macelleria messicana,perpetrata ai danni di chi la seradel 21 luglio 2001 ebbe la sfortunadi trovarsi nella scuola di via Cesa­re Battisti, la distanza cronologicaci da la possibilità di poter valuta­re nella giusta maniera ciò che èsuccesso, ma al contempo il gridodi vendetta verso gli aguzzini delmassacro e le condanne inappro­priate non accenna a placarsi; masi sa che per i mastini dello Stato lalegge non è poi così uguale pertutti. Le controversie legateall'operazione di Vicari (che siesplicitano anche solo dal fattoche il film non è stato potuto girarea Genova, costringendo la produ­zione a girare gran parte del film aBucarest) vengono risolte dal regi­sta attraverso un prodotto finaleche pur perseguendo la minuzio­sa ricostruzione della verità nondisdegna il lato artistico indi­spensabile per irretire lo spettato­re nella narrazione.

La coralità delle varie storie ches'intrecciano in quel di Genovaruota attorno al singolo eventod'un lancio di bottiglia contro unblindato della Polizia; simbolodella diffusa ostilità, dell'odio chegenera altro odio presente negliscontri fra forze dell'ordine e ma­nifestanti; il volo pindarico diquella bottiglia, che ricorda moltol'ascesa nel cielo dell'osso di 2001­Odissea nello spazio, diventerà illeitmotiv fondamentale, compa­rendo a più riprese nel gradualegioco di disvelamento e agnizioniorchestrato sullo schermo; unmodo originale ma diretto perreinterpretare la dolorosa verità.Le scene più cruente, vero cuorepulsante dell'azione, sono trattatecon crudezza e poca magnanimi­tà, non viene lasciato nessunospazio alla pietà verso chi, conindiscriminata e sadica sete disangue, abbatte il proprio manga­nello su giovani, manifestantiinnocenti, anziani e giornalisti: lerichieste di grazia, le mani alzatein segno di resa non servono aniente di fronte a degli uomini abi­tuati a “eseguire gli ordini” che sipreoccupano più di pareggiare iconti col nemico piuttosto che didomandarsi chi hanno di fronte.Vicari non si dimentica di gettarluce anche sul meccanismo deci­sionale che ha portato aquell'operazione e soprattutto acome la verità, sotto lo sguardo deimedia, venga distorta dalle altesfere delle forze dell'ordine pre­sentando la Diaz come un covo diviolenti e pericolosi sobillatori(false testimonianze di poliziottiaccoltellati, introduzione dioggetti contundenti e molotov nelcarniere delle armi sequestrateall'interno dell'edificio). L'inchie­sta non si arresta neanche davantialle porte chiuse della caserma:

sullo schermo assistiamo alletorture, vero e proprio reato chenon è contemplato nella Costitu­zione italiana (tanto decantata intv in questi giorni, ma poco ana­lizzata criticamente), perpetrateai danni degli arrestati; come a di­re: oltre al danno la beffa. Damenzionare come il lungome­traggio non trascuri di sottolinea­re la fumosa politicamovimentista delle direzioni allo­ra egemoni tra i No­global, i cuiesponenti più che preoccuparsi di“un altro mondo possibile” comedicono i loro slogan, sono impe­gnati a battibeccare fra loro nellaconfusione generale (esplicativain tal senso è la scena della riunio­ne).In prospettiva storica, la manife­stazione che più di ogni altraavrebbe dovuto dimostrare labontà della politica della TuteBianche ha segnato l'ovvia Capo­retto e il definitivo reflusso di unmovimento destinato a perdere inpartenza proprio per la strutturalemancanza di organizzazione epotenza delle rivendicazioni. Diazè un film che fa riflettere e allostesso tempo ribollire il sanguenelle vene, stimolando la co­scienza ad approfondire le vi­cende di quel carcinoma benvisibile, non ancora estirpatodalla nostra storia, e ancor più favenir voglia di sovvertire le forze incampo per far sì che il coltellodalla parte del manico per unavolta lo abbiano l'operaio, il lavo­ratore, la massa e non il carneficeStato asservito al volere dei padro­ni. Diaz è un film che legittimaancor di più la fermezza delle no­stre posizioni, la lungimiranza delnostro progetto, la voglia di lavareuna volta per tutte quel sangueche da troppo tempo macchia ilproletariato.

Cinema e rivoluzione

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GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA III

Alternativa Comunista appoggia la lotta No­MuosCronache siciliane di una lotta antimperialistaFrancesco Miccichè*

In una guerra le comuni­cazioni sono di vitaleimportanza e a questoscopo, in vista di guerre

future, in particolare nel Me­dio oriente, a cominciare daSiria e Iran, gli Stati Unitihanno realizzato un sofisti­cato sistema di telecomuni­cazioni satellitaridenominato Muos (MobileUser Objective System). Diproprietà della marina mili­tare statunitense, il sistemaMuos è un sistema radar checonsiste in tre grandi antenneparaboliche per le trasmis­sioni in onde Ka verso isatelliti geostazionari, piùdue trasmettitori elicoidali inbanda Uhf per il posiziona­mento geografico; le ondeUhf sono ad altissima fre­quenza e servono per veico­lare informazioni militari eper guidare i droni (aerei diguerra telecomandati) uti­lizzando una costellazione diquattro satelliti. Il campo diazione di queste ondeelettromagnetiche si estende

per un raggio di circa 70­80Km.Al mondo esistono quattrostazioni Muos, una in Austra­lia, una in Virginia e Hawaii el'ultima a Niscemi, dentro ilcuore della riserva naturaledella Sugheretta, riserva inse­rita nella rete ecologica Natu­ra 2000 come sitod'importanza comunitaria.Questo mega­mostro norda­mericano non solo andrà adeturpare il territorio, macauserà danni gravissimi allasalute dei cittadini e alcomparto agricolo dal mo­mento che il territorio di Ni­scemi è famoso per lacoltivazione di carciofi.Inoltre le onde elettromagne­tiche andranno a interferirecon le apparecchiature medi­che come il pacemaker, e coni traffici aerei circostanti, vedil'aeroporto di Comiso chedista poco più di 19 Km dallastazione di Niscemi. La rea­lizzazione di questo pericolo­so mostro venne approvatoinizialmente, senza passaredal parlamento, dall'assesso­re regionale all'ambiente

Armao, sotto la supervisionedel presidente Lombardo.Inizialmente l'autonomistanon rispondeva in manieraesaustiva alle domande deigiornalisti che gli ponevanole problematiche cheavrebbe comportato la pre­senza del Muos sul territoriosiciliano, poi con il fascista LaRussa, ai tempi Ministro dellaDifesa, si convinserodell'efficienza che avrebbeportato il Muos (nelle loro ta­sche) e i lavori vennero affi­dati nel 2008 ad un consorziodi imprese chiamato TeamMuos Niscemi guidato dallaGemma Spa: non è un casoche la Gemma risulti tral'elenco delle imprese che fi­nanziarono nel 2008 l'Mpa, ilpartito di Lombardo, e risultache la Gemma spa nonavrebbe mai avuto il certifi­cato di anti­mafia. Il 6 ottobredel 2012, i cittadini di Nisce­mi e tutti i movimenti e comi­tati No Muos hannoprotestato contro il mostrotargato Usa, nello stessogiorno la Procura di Caltagi­rone sequestra la base per

alcune violazioni riscontrate.Ma la felicità per la chiusuradella base dura poco perché il28 ottobre il Tribunale dellalibertà di Catania haannullato il sequestro dellabase dando il via libera ai la­vori. Il Partito di AlternativaComunista in Sicilia con isuoi militanti è impegnato inuna forte campagna di sensi­bilizzazione e di lotte perporre d'innanzi alla gente ilgrave e pericoloso rischio cheincombe sulla Sicilia e i suoilavoratori che vedranno nonsolo il pericolo di essere espo­sti ai campi elettromagneticiche potrebbero causare nu­merose malattie come la leu­

cemia e il tumore al cervello,ma la distruzione economicae sociale del comparto agra­rio. Alternativa Comunista inqueste ore prende le distanzeda tutti quei movimenti chenel territorio fanno della lottaNo Muos una battaglia anti­partitica per principio. Noi ri­vendichiamo il diritto allasalute e il dovere di salva­guardare il patrimonio natu­rale e paesaggistico comequello della riserva naturaledella Sugheretta che è di unabellezza inaudita. Noi delPartito di Alternativa Comu­nista ci opponiamo all'impe­rialismo statunitense, checon la sua arroganza mette

piede in Sicilia, prima con Si­gonella e Birgi e oggi vuolemettere le sue sporche grinfiesu Niscemi facendone la sedeperfetta per le sue strategieguerrafondaie. AlternativaComunista dice no al Muoscome dice no al Tav perché ilpatrimonio naturale e pae­saggistico è patrimonio ditutti. Alternativa Comunistadice no al Muos perché esserecontro il Muos significa esse­re contro la guerra, e persalvaguardare la salute deilavoratori e delle famiglie si­ciliane.* Giovani Alternativa ComunistaAgrigento

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IV GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Aumentalarepressione...rilanciamolamobilitazione!La lotta dei No Tav:nemico pubblico numero uno per lo Stato borgheseDavide Primucci*

Come per le ragionidella nostra lotta,ancora una volta sonoi numeri a fare chia­

rezza nella vicenda Torino Lio­ne. Da tempo dimostriamo coni numeri le nostre ragioni sve­lando la propaganda dellalobby favorevole al Tav. Denaropubblico buttato, flusso merciin calo, sottrazione di investi­menti nelle scuole e nelle sani­tà, costo al centimetro e cosìvia. E anche questa volta sono inumeri a portare chiarezzaoltre misura, e sebbene lopensavamo da tempo, eccoufficializzare dal questore diTorino, l'impegno militaremesso in campo per tentare disconfiggere il movimento NoTav: nel 2012 oltre l'80% delleforze di polizia impiegate inservizi di ordine pubblico nelTorinese è stato utilizzato pereventi connessi alla linea adalta velocità Torino­Lione.Poliziotti, carabinieri e fi­nanzieri schierati sono staticomplessivamente 160.847 dicui 129.952 per la Tav. A dirlo èAldo Faraoni, questore di Tori­

no, e aggiunge che il numero èin aumento e la conflittualità èdiminuita.Queste sono le cifre che candi­dano i No Tav a nemico pubbli­co numero uno: 129.952 agentischierati in un anno, 90.000 eu­ro al giorno il costo dello schie­ramento, 4357 lacrimogenisparati solo il 3 luglio 2011, unaprocura che lavora tutta per iNo Tav, 300 provvedimenti incorso, 2 milioni di euro di ri­chieste danni, segnalazioni aiservizi sociali per i minorenniche lottano. Mai visto tantoimpegno da parte dello Statoche evidentemente giudica ilmovimento No Tav come unvero e proprio nemico dasconfiggere, annientare eportare ad esempio per tutti sebattuto. Se battuto appunto.L'ormai ex ministrodell'interno Cancellieri del re­sto diceva che “i No Tav rappre­sentano la preoccupazione digran lunga superiore per i pro­blemi di ordine pubblico” edecco le cifre che ne dimostranol'impegno.Basterà? Pensiamo proprio dino! E parlando di numeri vo­gliamo citarne alcuni relativi alcantiere (ben difeso evidente­mente): un anno e sei mesi dicantieri. Metri di scavo: zero.

Da Torino a Lione

Lo scorso 3 dicembre il movi­mento No Tav ha conosciuto davicino le grate, i manganelli e glispray urticanti della poliziafrancese. Senza bisogno diandare troppo lontano dallenostre montagne, tanti compa­gni valsusini sono stati respintie controllati accuratamentealle frontiere arrivando a Lione,luogo del vertice Francia­Italia.Polizia in antisommossadappertutto, elicottero nel cie­lo e una gabbia/piazza sonostate l'accoglienza riservata acoloro che sono riusciti ad arri­vare a Lione. Hanno provatosulla loro pelle i manganelli“made in France”, agenti in

antisommossa sui pullman emolto altro ancora. Nei giorniprecedenti diversi attivisti ecittadini della Valle sono staticonsiderati ospiti sgraditi allaFrancia, e allontanati dalla “Re­publique” con fogli di via.Tutto questo perché a qualchechilometro di distanza Monti eHollande siglavano l'ennesimotrattato bilaterale che aveva loscopo di ribadire la prioritàdella Torino Lione. Ma, se trala­sciamo i titoloni dei giornali eandiamo a leggere il comuni­cato stampa emesso dai duepremier, non troviamo nulla dinuovo rispetto ad un progettoche continua a perdere di sensoda tutti i punti vista. Mancal'utilità e soprattutto mancanoi soldi, tant'è che i due Paesichiedono all'Europa un nuovofinanziamento per passare allafase esecutiva.Poi a dire il vero una novità c'è: idue Paesi trasformeranno la se­conda canna della galleria di si­curezza del TunnelAutostradale del Frejus in unacorsia di marcia, ovvero au­mentano il traffico su gomma adiscapito di quello su ferrovia.Ma la Torino­Lione non doveva

essere servire a spostare iltraffico dalla gomma alla ferro­via? Gli altri punti del vertice ri­guardavano la cooperazionetra le polizie e la Difesa e forsequesti punti sono già stati spe­rimentati il 3 dicembre visto iltrattamento che è stato ri­servato a chi manifestava leproprie ragioni, un'intimida­zione vera e propria, l'unicomodo in cui i governi possonodifendere questo scelleratoprogetto e la perdurante crisieconomica: lo stato di polizia!

Nessuna galera, nessu­na rete ci fermeranno!

Gli ultimi sviluppi e decisionidella magistratura torinese (enon solo) stanno mettendo inrisalto che, alla fine del 2012, si èentrati in una fase nuova eforse, per certi versi, ultimativae decisiva, di quella che a tuttigli effetti deve essere conside­rata come una pesante, siste­matica, scientifica “strettarepressiva” nei confronti deimilitanti No Tav. A ben vederein questo Paese, con l'avventoal potere dei professori dellaBocconi in questi ultimi tredicimesi si è assistito a un progres­sivo inasprimento delle azionirepressive – a volte addiritturaviolente e di stampo militare –che hanno colpito tutti quelliche, in un modo o nell'altro,hanno provato – fra mille diffi­coltà – a resistere e contestare lepolitiche reazionarie del go­verno e provato a difenderequei diritti sociali che questogoverno ha fatto a pezzi con levarie (contro) riforme sul lavo­ro e sulle pensioni, entrambefirmate dal ministro Fornero.Certo un discorso a parte meri­ta il movimento No Tav che vie­ne visto dal potere locale ecentrale come il “portatore uni­co” di tutti i mali e manu milita­ri deve essere soppresso. Al paridel movimento dei studenti. Laposta in gioco è altissima. LoStato borghese, mai come inquesti ultimi mesi (ma nel caso

degli attivisti No Tav questoavviene almeno dal 2005), sisente minacciato: non puòtollerare che inVal Susa ci sianodei cittadini che lottano per di­fendere il territorio da una sba­gliata, assurda imposizionedello Stato italiano chevorrebbe imporre una GrandeOpera Inutile come il Tav. Nonpuò tollerare che ci siano citta­dini che, attraverso la resi­stenza No Tav, si oppongono aldisfacimento di quel poco cheera rimasto di stato sociale. Ilmovimento deve esserespazzato via perché in tuttiquesti anni di lotta popolare (esono venti!) ha prodotto docu­menti ufficiali che certificano(in modo scientifico) che lespese folli per il Tav tolgono ri­sorse ai vari servizi pubblici chesono fondamentali per un Pae­se. Del resto per finanziarequesta assurda mania del trenoad alta velocità sono stati deltutto tagliati quei treni regio­nali per pendolari che ognigiorno sono costretti a delle ve­re e proprie imprese per spo­starsi dalla Valle in direzione diTorino, come del resto in tuttaItalia. Non ci sono più serviziadeguati per gli ospedali (de­vono essere chiusi perché nonci sono più le risorse finanzia­rie per finanziarli) così comeper le scuole pubbliche.Il crescendo con il quale il go­verno di Roma e il ministerodell'Interno (nell'ultimo annoguidato dall'ormai ex ministraCancellieri) cerca di sedare laresistenza No Tav ha assuntoproporzioni preoccupanti ne­gli ultimi mesi: si tenta di fare“terra bruciata” intorno ai mili­tanti; prima si è tentato di deni­grarli a livello sociale (con laconnivenza dei grandi giornalilocali e nazionali) eti­chettandoli come pericolosiBlack Block, ma questo inrealtà non ha funzionatogranché. Il passaggio successi­vo è stato un po' più sofisticato:si è tentato con l'aiuto da partedi quella che una volta si sa­rebbe chiamata la “polizia poli­tica” – e che in epoca modernasi fa chiamare Digos – di descri­vere il movimento comefiancheggiatore di “nuovespinte brigatiste” (e accadutotra il 2010 e per tutto il 2011) evia di questo passo: un giornogli attivisti No Tav erano coloro

i quali accoglievano i “peggioririmasugli dell'eversione rossa”dello scorso secolo e un altroinvece, erano solo dei de­linquenti che provano un gustosadico nel fronteggiare i tutoridella legge che però, intanto,qui in Valle, sono a difesa di uncantiere che rappresenta lafaccia peggiore del capitali­smo.Non si è trattato solo di defini­zioni offensive. Il governo deitecnici ha ordinato alla magi­stratura di Torino di mettere inatto una vera e propria “offensi­va repressiva”. Ecco che allora imagistrati hanno rispolveratocerte usanze davvero pesanticome il foglio di via, le restrizio­ni personali degli attivisti e insostanza stanno cercando dioperare una offensiva basatasul terrore nella speranza vanadi spezzare le reni al movi­mento.La faccia più preoccupante diquesta offensiva risiede, tutta­via, nella stretta repressiva ecarceraria. Era da molto tempoche in questo Paese non si assi­steva alla cosiddette “retate diattivisti” messe in atto nelleprime ore del giorno. Questo èsicuramente l'aspetto più pre­occupante. In quest'ottica pos­sono essere molto illuminanti

le parole di un'attivista No Tavdella Val Susa: “Esiste una deri­va (in Italia e non solo) per tra­sformare quello che è lostrumento giudiziario in stru­mento di controllo sociale dovel'inchiesta e il processo servo­no già a reprimere”.In realtà tutto questo sta avve­nendo perché lo Stato italiano econ esso anche le forzedell'ordine non hanno ancoraben inquadrato il movimento;una cosa però la classe diri­gente al potere lo ha capito: lapotenzialità della lotta della ValSusa è ormai presa a esempio intutta Italia (e non solo) e questo,dal punto di vista del governoborghese, non solo è inaccetta­bile ma persino intollerabile.La svolta repressiva diventa ne­cessaria per tentare di ridurre lelibertà personali dei militanti emira poi alla restrizione e al di­vieto assoluto delle partecipa­zioni alle iniziative e allemanifestazioni del movi­mento. È accaduto incredi­bilmente che, mentre tuttaItalia era allibita dalla repres­sione poliziesca contro gli stu­denti e le studentesse nellemanifestazioni del 14N, inValle, alcune famiglie sonostate convocate dai servizi so­ciali e intimate di non portare

minori alle iniziative dei NoTav: una richiesta firmata dallamagistratura che mira solo aterrorizzare coloro i quali sonoimpegnati contro la GrandeOpera Inutile. Un'azione daPaese autoritario. Questi ultimisviluppi mettono in risalto unlivello d'imposizione preoccu­pante e di mussoliniana me­moria che non dovrebberolasciare insensibili i cittadini equella cosiddetta “maggio­ranza silenziosa”.Quello che sono costretti asubire i cittadini della Val di Su­sa è una pesante militarizza­zione del territorio, iniziataall'indomani della proclama­zione della Libera Repubblicadella Maddalena, che via via èdiventata più asfissiante e durada digerire per cittadini chehanno a cuore la salvaguardiadella Valle e hanno solo il tortodi opporsi al Tav. In fondo quelche avviene tra quelle Monta­gne è un pretesto: il regimeattraverso il Tav testa metodo­logie di totale controllo per fa­vorire un futuro incerto;metodi già previsti dal testo“Nato urban operation 2020”.Non è altro che la messa in attodell'Europa delle dittature.* Giovani Alternativa ComunistaVicenza

««LLaa QQuuaarrttaa IInntteerrnnaazziioonnaalleepprreessttaa ppaarrttiiccoollaarreeaatttteennzziioonnee aall llaa ggiioovvaanneeggeenneerraazziioonnee ddeellpprroolleettaarriiaattoo..TTuuttttaa llaa ssuuaa ppoolliittiiccaa ssiissffoorrzzaa ddii iinnffoonnddeerree nneellllaaggiioovveennttùù llaa ffiidduucciiaa nneelllleepprroopprriiee ffoorrzzee ee nneell ffuuttuurroo..SSoolloo ii ll ffrreessccoo eennttuussiiaassmmooee lloo ssppiirriittoo bbeellll iiccoossoo ddeellllaaggiioovveennttùù ppoossssoonnooggaarraannttiirree ii pprriimmii ssuucccceessssiinneell llaa lloottttaa;;ssoolloo qquueessttii ssuucccceessssiippoossssoonnoo rriippoorrttaarree ssuull llaassttrraaddaa ddeellllaa rriivvoolluuzziioonnee iimmiiggll iioorrii eelleemmeennttii ddeell llaavveecccchhiiaa ggeenneerraazziioonnee..CCoossìì èè ssttaattoo ee ccoossìì ssaarràà..»»

Lev TrotskyProgramma di transizione

LLaa RRiivvoolluuzziioonnee ssii ppuuòò ffaarree!!

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PROGETTO COMUNISTA Gennaio ­ Febbraio 2013 9LAVORATORI DELLA SCUOLA

Scuola pubblica: con la Legge di stabilità un altro salassoLavoratori della scuola e burocrazie sindacali,un bilancio delle mobilitazioni dell'autunnoFabiana Stefanoni

L'autunno dei lavoratoridella scuola è stato caldo.Una mobilitazione di co­sì grandi dimensioni,

nelle scuole ma anche nellepiazze, non si vedeva da qualcheanno, almeno dai primi tempi delprecedente governo Berlusconi.

I tagli diTremonti e dellaGelmini...

I tagli miliardari all'istruzione afirma Tremonti e Gelmini (pari acirca 8 miliardi) avevanoincontrato una dura resistenzatra i lavoratori della scuola, inparticolare tra gli insegnanti (e ri­cercatori) precari, le principalivittime di quel salasso. Allora,sull'onda della mobilitazionecontro i tagli, erano nati e si eranodiffusi in tutto il Paese centinaiadi coordinamenti e comitati dilotta, che si erano affiancati aicollettivi e alle organizzazionistudentesche. Il governo Berlu­sconi ha agito con scaltrezza, di­videndo la categoria: prima haridotto il personale della scuolaprimaria, introducendo il “mae­stro unico”. Poi ha colpito i lavo­ratori delle scuole medie,soprattutto superiori: con la fa­migerata “riforma” degli istitutiscolastici, il personale delle scuo­le superiori è stato decimato.Senza prendere in considerazio­ne i tagli alla ricerca e all'universi­tà, sono più di 150 mila ilavoratori della scuola che hannoperso il posto di lavoro, perlopiùpersonale precario. Se conside­riamo che sono circa 300 mila iprecari della scuola – il cuicontratto di lavoro viene rinno­vato di anno in anno, con almenodue mesi di disoccupazioneall'anno – vuol dire che la metà diquesti lavoratori ha perso il postodi lavoro. Gli altri 150 mila hannovisto ridotto l'orario lavorativo (edi conseguenza lo stipendio). Va­le la pena di ricordare che ilpersonale precario della scuola èfortemente penalizzato già di persé, al di là dei tagli: i precari nongodono di scatti di anzianità,cambiano continuamente sededi lavoro, hanno la possibilità difruire di minori agevolazioni ri­spetto al personale di ruolo. Maanche il personale assunto, dopoi tagli del duo Tremonti­Gelmini,ha subito un peggioramentodelle condizioni lavorative: esu­beri, trasferimenti, spezzetta­menti della cattedra su più sedi dilavoro, aumento degli impegnipomeridiani. A questo si èaggiunto l'aumento dell'etàpensionabile: per prime sonostate colpite le donne del pubbli­co impiego (che nella scuola

rappresentano la grandemaggioranza del personale) conl'aumento a 65 anni dell'etàpensionabile (poi ulteriormenteinnalzata con la “riforma” diMonti).In questa operazione di massacrodella scuola pubblica, Berlusconiha trovato alleati fidati nelle bu­rocrazie dei principali sindacati.In primo luogo, la Cisl e la Uilhanno agito come vere e proprieancelle del governo. Ma anche laburocrazia della Cgil, nonostantel'opposizione di facciata, ècomplice di quanto avvenuto:nonostante le grandi potenzialitàdi mobilitazione (tra i lavoratoridella scuola la Cgil è il primosindacato) durante gli anni delgoverno Berlusconi si è limitata aun'azione di routine, con sciope­ri rituali di poche ore e innocuepasseggiate.

...e quelli di Profumo:ancora danni (più la

beffa)

Molti insegnanti avevanopensato che, dopo i tagli di Berlu­sconi, di più non fosse possibile.La stessa burocrazia sindacaledella Cgil, anche in virtù dellacollaborazione con il gruppo di­rigente del Pd (che sosteneva ilgoverno Monti), ha avallato l'ideache con la caduta di Berlusconi lecose sarebbero andate meglio.Ma i lavoratori della scuola, benpresto, hanno dovuto ricredersi.La Finanziaria (o Legge di stabili­tà, come viene comunementechiamata) varata dal governo aottobre presentava, di nuovo, unconto salatissimo alla scuolapubblica.Nella prima versione della legge,il governo introduceva “perlegge” un aumento dell'orariosettimanale di lavoro degli inse­gnanti (da 18 a 24 ore) a parità disalario. Va precisato che gli inse­gnanti non lavorano solo 18 orealla settimana: le 18 ore sonoquelle di base, di insegnamento,per intenderci. A queste ore,vanno aggiunte, oltre all'attivitàche quotidianamente ogni inse­gnante svolge al di fuori delle oredi insegnamento (correzione deicompiti, preparazione delle le­zioni, ecc.), anche altre ore di la­voro: dalle riunioni pomeridianealle ore di ricevimento dei genito­ri. Contemporaneamente, la Fi­nanziaria elargiva 230 milioni allescuole private (in ossequio alVaticano). Lo scopo di questa mi­sura era stato esplicitato dal mi­nistro: risparmiare centinaia dimilioni sulle spalle, ancora unavolta, dei precari della scuola, perprivarli persino delle poche bri­ciole che erano avanzate sul tavo­

lo dopo i tagli della Gelmini.Tutto ciò avveniva mentre,contemporaneamente, lacommissione cultura alla Came­ra approvava la famigerata leggeAprea, che è stata, a ragione, rino­minata Aprea­Ghizzoni (inquanto presentata in una nuovaversione, con alcune modificheinessenziali apportate dallaparlamentare del Pd ManuelaGhizzoni alla versione originalestilata dalla parlamentare Pdl Va­lentina Aprea). È una legge chesancisce la definitiva trasforma­zione degli istituti scolastici inistituti privati, sul modelloaziendale già introdotto negliatenei dalla Gelmini. Gli organi­smi collegiali degli insegnanti di­ventano organismi meramentepletorici, mentre le decisioni re­lative ai bilanci e all'amministra­zione, anche didattica, dellascuola vengono delegate a unasorta di consiglio di amministra­zione aperto ai soggetti privati(aziende, banche, associazioni dicategoria, ecc.). È una legge cherappresenta il necessario co­rollario del taglio indiscriminatoai finanziamenti alla scuolapubblica: se i finanziamentipubblici vengono ridotti all'osso,il ricorso al finanziamento pri­vato diventa necessario per la so­pravvivenza degli istituti. Nonsolo: ogni scuola, in base al testodi questa legge, dovrà dotarsi diuno statuto autonomo, sia inmateria di finanziamento sia inmateria didattica. In poche paro­le, la legge Aprea­Ghizzoni sanci­sce la morte defintiva dellascuola pubblica. Per ora l'iterdella legge è stato bloccato in vi­sta delle elezioni, ma è lecito pre­vedere che tornerà sul tavolodella discussione del prossimogoverno.A tutto questo si è aggiunta labeffa del concorso: le poche bri­ciole di posti che erano rimasteper i supplenti... sono state messeal bando. Si tratta di circa 11 milaposti: una miseria se consideria­mo che i precari della scuola(inclusi quelli che hanno perso illavoro in questi anni) sono alme­no 300 mila. Soprattutto, unmezzo infido per far credere diprovare a dare una soluzione adun problema mentre,contemporaneamente, si contri­buisce ad aggravarlo.

Le mobilitazioni e latruffa delle burocrazie

La proposta di innalzare a paritàdi salario l'orario di insegna­mento dei docenti ha suscitatoun'ondata di proteste in quasitutti gli istituti scolastici del Pae­se. Perfino le burocrazie di Cisl eUil hanno gridato allo scandalo,

annunciando, per la prima voltadopo anni di astinenza, la vo­lontà di arrivare a uno sciopero il24 novembre. Una mossa il cuicarattere truffaldino – conside­rati i precedenti di questi appa­rati burocratici – potevafacilmente essere previsto, mache in molti non hanno visto (o,più probabilmente, non hannovoluto vedere: basta solo pensareal fatto che si trattava di uno scio­pero proclamato... di sabato, cioèquando gran parte delle scuolesono chiuse!). La Cgil – reduce dauno sciopero di categoria andatopiuttosto male (12 ottobre) – hada subito valorizzato a spronbattuto la possibilità, dopo tantotempo, di uno “sciopero unita­rio”. Perfino i Cobas della Scuolahanno proclamato un loro scio­pero lo stesso giorno, senzamettere in guardia i lavoratori ri­spetto alle reali intenzioni di que­gli apparati.Positivamente, nelle scuole –anche su indicazione degli stessiapparati – si sono messe in attoazioni di boicottaggio parzialedelle attività didattiche (con au­tosospensioni di massa dagliincarichi non obbligatori, azionidimostrative, ecc.). Nelle singolescuole e nelle assemblee sinda­cali, le rsu e i lavoratori sono, inmolti casi, andati oltre le indica­zioni dei burocrati, arrivandoanche a mettere in campo azionidi lotta dura, sia nelle scuole chefuori dalle scuole (manifestazio­ni, blocchi del traffico, so­spensione dell'attività didattica ed'insegnamento, occupazioni,ecc.).In questo contesto, si è inserita,positivamente, la giornata disciopero europeo del 14 no­vembre. Da subito, alcuni sinda­cati hanno proclamato lo

sciopero della scuola in occasio­ne di questa giornata (Cobas,Cub, ecc.). Anche la Cgil ha, dopopoco, deciso di proclamare losciopero generale (di sole 4 ore,ma di 8 ore nei settori del pubbli­co impiego, scuola inclusa). Si èpresentata quindi, nella scuola,un'occasione importante: quelladi estendere la protesta, renderlapiù radicale, soprattutto dicoordinarla con i lavoratori deglialtrisettoriedialtriPaesieuropei.Ma, anche in questo caso, moltesono state le mancanze da partedelle direzioni dei sindacati, nonsolo da parte delle direzioni bu­rocratiche,maanchediquelledeisindacati “conflittuali”. La dire­zione della Cgil ha tenuto unatteggiamento ambiguo: mentrein alcune province ha promosso esostenuto lo sciopero del 14 no­vembre, in altre lo ha lette­ralmente ignorato, preferendoinvestire energie nello scioperodel 24. Le direzioni dei dueprincipali sindacati “conflittuali”(Usb e Cub) non hanno procla­mato lo sciopero generale (anchese molte sono state le scelte auto­nome di proclamazione il 14 no­vembre da parte della loro base odi intere categorie: come la Scuo­la nella Cub, ad esempio).Nonostante questo, lo scioperodel 14 novembre ha avuto unbuon esito, anche grazie allacomponente studentesca che hadeciso di proclamare per quellagiornata uno sciopero degli stu­denti medi. Le manifestazioni,puravendouncarattereperlopiùlocale, hanno visto la partecipa­zione di decine di migliaia di la­voratori (moltissimi lavoratoridella scuola).Ma è importante riflettere anchesull'esito dell'altro sciopero,quello unitario del 24 novembre.

Alla vigilia dello sciopero, mentretutto era pronto per organizzarelo sciopero unitario con manife­stazione a Roma, Cisl e Uil... lohanno ritirato (insieme con laGilda, un sindacato degli inse­gnanti corporativo e autorefe­renziale) in virtù di un accordocon il governo, un pessimoaccordo (guarda caso trovatoproprio all'indomani della firmadel Patto per la produttività).Riassumendo: il volume dei taglialla scuola pubblica resta inva­riato ma, anziché, per ora, esserericavato da un'ulteriore decurta­zione del personale precario, sitradurrà in cospicui tagli al fondod'istituto, dei fondi per la valo­rizzazione degli istituti, di tutti icompensi accessori del perso­nale scolastico. Non solo: Cisl, Uile Gilda si impegnano a rivedere,in occasione del prossimo rinno­vo contrattuale, il “livello di pro­duttività” del personale dellascuola (il che significherà, senzadubbio, aumento del carico di la­voro a parità di retribuzione). Perplacare la protesta, il governo harestituito ai lavoratori dellascuola gli scatti di anzianitàmaturati al 31 dicembre 2011 (eche erano stati bloccati): unamanciata di euro come regalo diNatale per il personale a tempoindeterminato (i precari nonhanno diritto agli scatti di anzia­nità) che costerà molto cara infuturo.

Chi vince e chi perde?

Non c'è dubbio: anche questavolta la truffa ai danni dei lavo­ratori della scuola è stata orche­strata con ingegno. Cisl, Uil eGilda sono apparsi agli occhi dimolti lavoratori come dei gene­rosi Babbo Natale. La verità èun'altra: i tagli sono passati lostesso (e le scuole ne sentirannogli effetti presto), ai lavoratori èstatosemplicementedatociòcheera loro dovuto (gli scatti dianzianità bloccati), in cambio diun “impegno” a lavorare di più aparità di stipendio già a partiredal prossimo rinnovocontrattuale. Tre per il governo,zero per i lavoratori. Tutto questoè stato possibile grazie alla mae­stria dei burocrati sindacalicollaborazionisti, ma anche gra­zie alle illusioni seminate dallaburocrazia Cgil.Il bilancio, quindi, dal punto divista del risultato ottenuto, non èpositivo per i lavoratori. Ma, pos­siamo dirlo, in questi mesi di lottae mobilitazione anche nellescuole i lavoratori hanno messoin atto azioni di resistenza e diprotesta; hanno compreso chesolo con la mobilitazione si riescea far valere i propri diritti; hannoimparato, con lo sciopero del 14novembre, che le ragioni del la­voro salariato sono le stesse intutti i Paesi d'Europa. Sono fruttiche potranno maturare quandole contraddizioni esploderanno ele lotte, anche nel nostro Paese,diventeranno di massa e radicali.(8/1/2013)

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10 Gennaio ­ Febbraio 2013 PROGETTO COMUNISTATEORIA E PRASSI

Patrizia Cammarata

Centoventi anni fa, il 30gennaio 1893, nasce­va, a Magrè di Schio, inprovincia di Vicenza,

Pietro Tresso (Blasco). Tressofu, nel 1921, fra i fondatori delPcdI (Partito Comunista d'Ita­lia) e tra i fondatori della QuartaInternazionale nel 1938. Morìnel 1943, assassinato in Franciada un gruppo di killer stalinisti,nel campo “Wodli” in Alta Loi­ra, per ordine del comandanteGiovanni Sosso. Il suo corponon fu mai ritrovato. La mortedi Pietro Tresso fu uno degliinnumerevoli attentaticommessi ai danni di rivolu­zionari di cui si macchiò lo sta­linismo, il più famoso dei qualifu proprio l'omicidio di LevTrotsky in Messico. Unosterminio realizzato in moltiPaesi e che lo stalinismo orga­nizzò perché consapevole che imarxisti rivoluzionari coerenti,vale a dire i trotskisti, sarebberostati in grado di opporsi alla bu­rocrazia stalinista e indirizzareil movimento internazionaledei lavoratori verso una vera ri­voluzione socialista. Una rivo­luzione socialista che avrebbemesso in discussione le buro­crazie politiche dei partiti co­munisti stalinisti, non soloquella russa ma anche le orga­nizzazioni d'altri Paesi, comead esempio il Partito comuni­sta italiano guidato da PalmiroTogliatti, svelandone gliinganni, i compromessi col ne­mico di classe e il tradimentodella causa internazionale.Pietro Tresso, amico e compa­gno di lotta di Antonio Grams­ci, con cui fondò il PartitoComunista d'Italia, fu un mili­tante rivoluzionario coerente ecoraggioso. I giovani rivoluzio­nari d'oggi, guardando alla suavita, possono trovare l'esempiodi una vita dedicata alla causa,antidoto al cinismo e alladisillusione odierna che inve­ste la politica e le sue orga­nizzazioni.

Pietro Tresso,giovane sarto socialistaApprendista sarto, iniziò a fre­quentare giovanissimo i circolisocialisti del suo paese e a solisedici anni fondò il “Circolo

giovanile socialista” a Magrè. Inuna nota dell'archivio dellaPrefettura di Vicenza è regi­strata la sua partecipazione, nel1911, a una manifestazionecontro la guerra in Libia e, sullasua scheda personale, il solertefunzionario statale lo descrivecome segue: “Frequentò laterza classe elementare, non hanessun titolo accademico, è la­voratore mediocre, trae il so­stentamento con il mestiere disarto. Frequenta le compagniedei socialisti suoi pari, in fami­glia si comporta bene”.Dichiararsi socialista in una ca­sa di cattolici veneti, com'era lafamiglia di Pietro Tresso, nondoveva essere semplice, ma ilclima della piccola frazione diMagrè di Schio era efferve­scente: un piccolo centro chefermentava d'idee socialisteanche come conseguenza dellapresenza operaia del LanificioRossi che era, all'inizio del no­vecento, la maggiore impresalaniera italiana.Nonostante il “nessun titoloaccademico”, Pietro Tresso sidistinse sempre – e anche inquest'aspetto può essereconsiderato fra i miglioriesempi che possiamo indicarealle giovani generazioni di rivo­luzionari – per la volontà dicapire, d'imparare e di ricerca­re la verità.Nel 1941, scrive alla nipote Pie­rina: «nella vita si possono farepochissime cose secondo lanostra volontà propria, e, di­rettamente o indirettamente,noi dobbiamo sottoporci adelle necessità, che sono piùforti dei nostri voleri. Devi,quindi, rassegnarti a studiare. Adire il vero, quando avevo la tuaetà, lo studio non era per meuna pena: era, al contrario, lapiù grande soddisfazione dellamia vita. Poter leggere, studia­re, imparare; poter aprire gliocchi su tutte le cose delmondo; poter comprendere ilperché e il come dei diversiavvenimenti: quale gioia piùgrande per un ragazzo o una ra­gazza di quindici anni?».Studio e ricerca della verità, maanche condivisione delle soffe­renze degli altri e assoluto biso­gno di giustizia: ecco lecaratteristiche di questogrande rivoluzionario che ci ha

consegnato, insieme agli altricompagni che con lui hannocondiviso la lotta contro il fa­scismo e lo stalinismo, la possi­bilità, con la fondazione dellaQuarta Internazionale, di poterriprendere la strada verso il so­cialismo che gli stalinisti ave­vano interrotto con la praticadei fronti popolari (alleanzedella classe operaia con laborghesia) e con la teoria del“socialismo in un solo Paese”.Una condivisione eun'attenzione nei confrontidelle sofferenze della sua classeche gli hanno permesso diaffrontare stenti, persecuzioni,povertà, con coraggio e senzaalcun tentennamento.

Ciò che è veroe ciò che è falso

«I sentimenti e le idee di giusti­zia, mi sembra, non possonosorgere e svilupparsi che nellasocietà. Gli uni e gli altri rivela­no il grado e la natura dello svi­luppo e dei rapporti tra gliuomini – scriveva a Barbara,sua compagna di lotta e di vita,dalla prigione di Lodève, carce­re militare, nel 1942 – i senti­menti e le idee di giustiziapresuppongono non solo l'esi­stenza della società umana, maanche quella dell'uomo. Vale adire, l'esistenza di un essereorganizzato in un certo modo enon in un altro. Il che equivale adire che, così com'è impossibi­le concepire l'uomo al di fuoridella società, così è impossibileconcepirlo al di fuori di certisentimenti e idee di giustizia».E, sempre nel 1942, alla co­gnata Gabriella Maier, scrive:«È proprio perché siamo anco­ra giovani che ci ritroviamofuori dalle diverse chiese. Lestesse aspirazioni che ci hannospinto, fin dalla giovinezza,all'interno di un partito, ce nehanno spinto fuori quando sisono trovate in disaccordo conquelle che vengono definite lenecessità pratiche. Se fossimoinvecchiati avremmo ascoltatola voce dell'esperienza, sa­remmo diventati saggi, ci sa­remmo adattati, come moltialtri, all'astuzia, alla menzo­gna, al sorriso ossequioso versoi vari “figli del popolo”. Ma que­sto ci è stato impossibile.Perché? Perché siamo rimastigiovani. E per questo sempreinsoddisfatti di ciò che è esempre aspiranti a qualcosa dimeglio. Quelli che non sono ri­masti giovani sono diventati, inrealtà, dei cinici. Per loro gli uo­mini e tutta l'umanità non so­no che strumenti, dei mezziche devono servire i loro scopipersonali, anche se questi sco­pi vengono mascherati con fra­si d'ordine generale; per noi gliuomini e l'umanità sono le solevere realtà esistenti. Natu­ralmente tutto ciò è molto ge­nerico. Bisognerebbe stabilireanche il legame necessario trale forze morali che sono in noi ela realtà quotidiana. Ma unacosa mi pare certa: è impossibi­le sopportare in silenzio ciò cheurta i sentimenti più profondidell'uomo. Non possiamoammettere come giusti gli attiche ci sembrano ingiusti, nonpossiamo dire di ciò che è vero:“è falso”, e di ciò che è falso: “èvero”»«La nostra salute è buona – scri­veva nel 1943 alla nipote Maria– ma siamo angosciatidall'enorme tragedia che si starovesciando sul mondo.Pensiamo alle migliaia e mi­gliaia che cadono nei campi dibattaglia. Anch'io malgrado lamia situazione attuale nonposso considerarmi che comeun privilegiato se penso allesofferenze fisiche e morali,senza limiti, che abbattono

tanti altri».Nelle lettere che Tresso scrissealla sua compagna Barbara tro­viamo di continuo frasi nellequali egli ricorda l'ingiustizia,la miseria e l'orrore della guerraimperialista: «I poveri, oggi,cantano e domani, forse, sa­ranno morti o distruggerannoaltri giovani, spensieratiquanto loro. Come sai questialpini sono originari di unadelle regioni più povere dellapenisola. Le loro madri, i loropadri, sono dei contadini che,sul finire della vita, speravano esperano di riposarsi sul lavorodei propri figli... E nelfrattempo conducono una vitadi miseria, di dolore e di tri­stezza… Pensiamo a quelli checi sono cari, a quelli che muoio­no o piangono a causa di questagrande carneficina che affliggeil mondo. E nella nostra soffe­renza (dovrei dire: nella miasofferenza) c'è anche la consa­pevolezza di essere dei privile­giati in confronto a tutti igiovani, a tutti i bambini e aivecchi che cadono dilaniati oesanimi in tutti gli angoli delmondo».

Dal Veneto alla Puglia,per il salario ai

contadini e contro laguerra

Dalla piccola frazione di Magrèin terra veneta, dove mosse iprimi passi della sua espe­rienza sindacale e politica, sitrasferì per un periodo a Gravi­na di Puglia dove fu in prima li­nea nella battaglia per ilminimo salario garantito aicontadini. Fu a Gravina cheTresso cominciò la sua primaesperienza di dirigente sinda­cale iniziando, inoltre, a scrive­re articoli sulla stampa. Alcontempo propagandava leidee antimilitariste fra i giova­ni, facendosi inoltre promoto­re di un appello contro la guerrapresentato nel 1914 alla Came­ra del lavoro di Bari.Nel 1915, allo scoppio della pri­ma guerra mondiale, vennechiamato alle armi. Nel 1917appare come imputato al pro­cesso di Pradamano, accusato,insieme ad altri soldati, di averdiffuso i deliberati della Confe­renza di Zimmerwald, la confe­renza internazionale dei partitisocialisti tenutasi nelsettembre 1915 in Svizzera. Mavenne assolto per insufficienzadi prove.Tornato a Schio, diventò, nel1920, redattore del giornale El

Visentin, assumendone la dire­zione politica. In quel periodoTresso affronta il tema deiconsigli di fabbrica, il loro si­gnificato e i compiti che essidovevano assumere all'internodelle fabbriche.Tresso si distinse sempre per lasua capacità di analizzare le si­tuazioni critiche senza subire ilcondizionamento dellamaggioranza del partito o dellacorrente cui lui apparteneva.Un esempio di questo aspettofu la sua posizione sulla que­stione agraria al Congressodella Camera del lavoro nel1920, quando si oppose alla tesisecondo cui i piccoli proprieta­ri incarnavano la reazione eandavano combattuti. Tressointervenne ricordando: «Lalotta feroce fra i piccoli proprie­tari e gli avventizi esiste già, esolo inquadrando i primi inorganizzazioni nostre noi po­tremo attutirla e magaridistruggerla creando cosìattorno al movimento schietta­mente proletario quell'atmo­sfera di indulgenza e disimpatia che ci è necessaria pervincere la lotta. Se altrove ipiccoli proprietari sono connoi lo si deve al fatto che i socia­listi anziché combattere ipiccoli proprietari si sono datila pena di organizzarli». In quelperiodo Tresso era impegnatoquotidianamente nell'attivitàsindacale. Ciononostantenell'estate del 1920 si presentòalle elezioni e fu eletto, per ilPartito socialista, consigliereprovinciale e comunale a Ma­grè.

Tra i fondatori delPartito Comunista

d'Italia

Sul finire del 1920 fu propriodalle colonne del giornale ElVi­sentin, da lui diretto, che anchea Vicenza furono resi pubblici isegnali dell'ormai imminentescissione all'interno del Partitosocialista e che fu datal'informazione che anche inquella città si era ufficialmentecostruita la frazione comuni­sta.Tresso partecipò alla fondazio­ne del Partito Comunista d'Ita­lia come delegato al Congressosocialista, a Livorno, nel 1921,dove si consumò la cosiddettascissione di Livorno, dalla qua­le nacque, appunto, il Pcd'I, se­zione dell'Internazionalecomunista (21 gennaio 1921).In quel periodo, come conse­guenza della sconfitta in Italia

del Biennio rosso (1919­1920), ifascisti, nel vicentino come inaltre zone d'Italia, diventanosempre più aggressivi orga­nizzando ripetute spedizionipunitive e costringendo diversidirigenti comunisti all'emi­grazione. Di fronte al dilagaredella violenza fascista, la posi­zione di Tresso fu sempre chia­ra e determinatanell'affermare, anche pubbli­camente, il “diritto all'autodi­fesa”.Tresso si trasferì a Milano ma alcontempo prese parte all'atti­vità del partito nel vicentino enel febbraio partecipò alla lottatra socialisti e comunisti per ilcontrollo della Camera del la­voro di Vicenza, presenziandoal congresso sia come dirigentelocale sia come membro delcomitato sindacale comunista.Nella primavera del 1922 vennepicchiato dai fascisti e verso lafine dell'estate si recò ille­galmente a Berlino. Dopo que­sto primo periodo la storiapersonale e politica di Tresso sisnoda con sempre maggiorcoerenza e impegno. Durante ilsuo esilio è rappresentante delComitato Centrale del Pcd'I alXII congresso del partito tede­sco.

La battaglia contro ladegenerazione

stalinista

Nel periodo seguente Tressoiniziò una battaglia controPalmiro Togliatti e contro lapolitica di allineamento delPcd'I alla politica stalinista diMosca. Scrisse un documento aTrotsky, che si trovava in esilio aPrinkipo, e la sua analisi rivelale divergenze rispetto alla lineaelaborata dalla direzione delPcd'I sulla situazione italiana,sul ruolo della socialdemocra­zia e sulla natura del fascismo. Ipuntid'incontroconl'analisidiTrotsky sono di notevoleimportanza.Tresso contrastò con forza To­gliatti in merito all'analisi dellasituazione italiana del 1929. PerTogliatti, e per tutti i dirigentistalinisti, l'Italia di allora vivevauna fase pre­rivoluzionaria,mentre, com'era evidente, ilfascismo stava dilagando. Sullascorta di quell'analisi Togliattipretese che i dirigenti del Pcd'Iriparati all'estero rientrasseroin Italia per“dirigere il processorivoluzionario”, con la conse­guenza, ampiamente prevista edenunciata daTresso, di esporliall'arresto da parte della polizia

PietroTresso,nomedibattagliaBlascoMilitante trotskista,dirigente del movimento operaio internazionale

A centoventi anni dalla nascita e a settanta dalla morte

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PROGETTO COMUNISTA Gennaio ­ Febbraio 2013 11TEORIA E PRASSI

del regime. La linea di Togliattiera quella sostenuta dalla Fe­derazione giovanile comunista(Fgc). Luigi Longo (detto Gallo)fu incaricato di elaborare unprogetto, il cosiddetto “pro­getto Gallo”, per adeguarel'attività del partito italiano allapolitica dell'Internazionale. Aquesto piano si opposero Tres­so, Leonetti e Ravazzoli chepresentarono un contropro­getto, noto come “contro­pro­getto Blasco”. Tresso, che eracomponente del Comitatocentrale (Cc), dichiarò che ledecisioni del partito rappre­sentavano «una cadutanell'opportunismo masche­rata da frasi di sinistra», critica­va inoltre Togliatti accusandolodi realizzare le svolte sulla pelledegli altri. «Dobbiamo tenderea fare di più – affermava – è giu­sto. Però nel ritmo che seguire­mo a fare di più, saràdimostrata la nostra capacitàreale di organizzazione. Perchése noi aumenteremo il ritmo inragione superiore alle nostreforze e delle possibilità concre­te di lavoro e di sviluppo realealla base, noialtri un buon pro­getto di organizzazione lo tra­sformiamo in un cattivoprogetto». Il partito rispose allecritiche di Tresso, di Leonetti eRavazzoli (chiamati “i tre”) de­cidendone l'espulsione dalpartito nel 1930. Tresso dichia­rò: «ho detto che avrei lottatoper le mie posizioni nel Cc. se ilpartito me lo permetteva, fuoridel Cc se il partito vuole così.Ora aggiungo che sono dispo­sto a lottare per esse fuori dalpartito».

L'entrata nell'Osi e lafondazione della

Quarta Internazionale

Tresso con i compagni Leonettie Ravazzoli crea la NuovaOpposizione Italiana (Noi) edentra a far parte della trotskistaOpposizione di sinistraInternazionale (Osi). Gli oppo­sitori di sinistra italiani milita­vano clandestinamente inFrancia, spesso privi di docu­menti, di lavoro, di una casa. Inqueste condizioni di difficoltà,spesso perseguitati dagli stali­nisti, Tresso e gli altri militantitrotskisti portavano avanti laloro battaglia.In Francia continua a collabo­rare con la rivista trotskista LaVerité e aderisce alla LigueCommuniste, che raggruppa lasinistra comunista trotskistafrancese. Dalla Francia scriveun importante articolo, “Stali­nismo e fascismo”, in cui accu­sa lo stalinismo di non essereuno strumento utile contro ilfascismo e scrive che la poli­tica stalinista «ben lungi dacostituire una barriera alfascismo, ne facilita lapresa sulle masse e di­vieneunausiliarioallesue vittorie» e rife­rendosi alla politica delFronte popolare spa­gnolo scrive: «non lottareper il socialismo, comefanno gli stalinisti, in realtàequivale a servire Franco».Nel settembre 1938, Tressopartecipò in qualità di dele­gato, sotto il falso nome di Ju­lien, alla conferenza difondazione della QuartaInternazionale, che si tenneclandestinamente a Peri­gny, nei dintorni diParigi. Alla confe­renza partecipano21 delegati inrappre­sentanza di 12Paesi (diversealtre sezioninon furonopresenti

per problemi di sicurezza eorganizzativi, così come fu as­sente obbligato Trotsky). Il di­battito congressuale sisvolgeva intorno al progetto diprogramma elaborato daTrotsky intitolato “L'agonia delcapitalismo e i compiti dellaQuarta internazionale”, notoanche come “Programma ditransizione”. La fondazionedella Quarta risponde perTrotsky alla necessità di racco­gliere, attorno ad un pro­gramma politicorivoluzionario, i militanti e leorganizzazioni che lottavanoin differenti Paesi contro leconseguenze della degenera­zione delle due precedentiInternazionali, per costruire inuovi partiti rivoluzionari. Pie­tro Tresso fornì contributiimportanti all'elaborazione delprogramma e fu eletto nel Co­mitato esecutivo internaziona­le.

L'arresto e la morte permano degli stalinisti

Il 23 agosto 1939 è annunciato ilpatto Hitler­Stalin e iniziano isequestri dei giornali delleorganizzazioni politiche esindacali operaie. Il primosettembre Hitler invade laPolonia e la Francia entra inguerra contro i nazisti. Il Pcf(Partito comunista francese)viene dichiarato fuori legge.Nel giugno 1939, con le truppetedesche a Parigi e il governo infuga a Bordeaux, il parlamentoconferisce i pieni poteri al ge­nerale Pétain. Nel 1938 è chiarala sconfitta della rivoluzionespagnola, le organizzazionioperaie si sgretolano. Il Segre­tariato internazionale dellaQuarta si trasferisce a NewYork, dove si riunisce unaConferenza “di emergenza”(19­26 maggio 1940). Il 20 ago­sto 1940 Lev Trotsky è assassi­nato in Messico da un sicario diStalin. È un duro colpo per ilmovimento rivoluzionarioi

nternazionale.Tresso continua il lavoro politi­co clandestino ma, per sfuggirealla Gestapo, lascia Parigi earriva a Marsiglia. Con il falsonome di Julien Pierotti, riceve isoldi che dagli Stati Uniti il Se­gretariato internazionale inviain Francia per la riorganizza­zione del Parti OuvrierInternationaliste e collaboracon il Centre Américain de Se­cours (Acs), che si occupadell'espatrio delle vittime dellarepressione fascista e nazista.Nel giugno del 1942 Pietro Tres­so, la sua compagna Barbara eDemazière (responsabile poli­tico dei Comitati per la QuartaInternazionale) sono arrestati,assieme ad altri cinque mili­tanti, dalla polizia di Vichy,processati e, ad esclusione diBarbara, condannati. Per iro­nia della sorte la condanna liaccusava di propagandare leparole d'ordine della TerzaInternazionale (quella di Sta­lin!).Dopo vari spostamenti sonoimprigionati a Le Puy dove vie­ne organizzata l'evasione di 79prigionieri politici (e del loroguardiano) dalla prigione. Lanotte del 1° ottobre 1943 tutti iprigionieri vengono liberati.Tresso, con altri, viene portatonel campo Wodli, in localitàdetta Raffy (Haute­Loire). De­mazière riesce a fuggire e atornare clandestinamente aParigi dove fa il suo rapporto aidirigenti trotskisti. Tresso, Re­boul, Ségal e Sadek rimangonoinvece nel Maquis (campopartigiano francese) ed è inquesto periodo che si perdonole loro tracce. Solo dopo il crollodello stalinismo e della monta­gna di silenzi e menzogne circala morte di Tresso e degli altricompagni, è stato possibile ri­costruire quanto successo inquei giorni, alla fine di ottobredel 1943. Pietro Tresso, PierreSalini (Maurice Sieglmann),Abraham Sadek e Jean Reboul

sono stati uccisi da alcunikiller arrivati per ordi­

ne del co­mandante delMaquis, Gio­vanni Sosso,probabile uo­mo agli ordinidel serviziosegreto di Sta­lin. Ma, al di là

di quale fu la mano che assassi­nò e di chi fu ad eseguire l'ordi­ne, i mandanti dell'assassiniodi questi compagni furono Sta­lin e i suoi fidati collaboratori,come Togliatti che, dopo il pro­cesso­farsa di Mosca, so­stenne: «la nostra lotta contro iltrotskismo controrivoluziona­rio non è ancora sufficiente,deve essere allargata, miglio­rata, portata ad un livello moltopiù elevato».

Barbara, la compagnadi vita e di lotta

Nella sua vita politica e perso­nale Pietro Tresso ebbe accantoa sé una militante comunista

che con lui condivise le batta­glie politiche e le vicende uma­ne. La compagna di vita e dilotta di Pietro Tresso era Debo­rah Seidenfeld­Stratiesky,detta Ghita, detta Lucienne Te­deschi, detta Blascotte, dettaBarbara. Nacque a Makò(Impero Austro­Ungarico) il 17maggio 1901 e morì a Rimini il 3novembre 1978. Si iscrisse gio­vanissima al Psi (Partito Socia­lista Italiano) e nel 1921 al Pcd'I(Partito comunista d'Italia). Fufunzionaria, a Mosca,dell'Internazionale giovanilesocialista. In pieno fascismo, asoli 25 anni, attraversava ilconfine tra Francia e Italia na­scondendo sotto i vestiti i cli­

ché per stampare l'Unitàclandestina, li portava fino aNapoli e poi rientrava a

Parigi.Rifiutò le proposte di To­gliatti che era disposto a

conferirle un incaricoimportante se si fossedissociata da Tresso equando egli venne

espulso dal partitoBarbara lo seguì, e lo fe­

ce perché ne condivide­va le stesse idee e non,

come racconteranno glistalinisti, perché era

“l'amante” di Pietro. Quellascelta le costerà molto sul

piano degli affetti personali, inparticolare nel rapporto con

Serena, la maggiore dellesue due sorelle che

condivideva la politi­ca stalinista (con

l'altra sorella, Ga­briella, compa­gna di Ignazio

Silone, il legameresterà molto

forte). Barbaracollaborò all'attività

politica clandesti­na in Italia e

condivise lamilitanzapolitica conTresso nellaNoi (NuovaOpposizioneitaliana), se­zione italianadell'Osi

(Opposizio­ne di sini­

stra internazionale).Fu sotto gli occhi di Barbara,arrestata con lui e con altri mi­litanti trotskisti, che Tresso futorturato, senza proferireparola, nel 1942, dalla poliziadel governo di Vichy in cercad'informazioni. Per circatrentacinque anni Barbaracontinuò a cercare la veritàsulla scomparsa di Tresso, rea­gendo con durezza alle tantefalsità diffuse da Togliatti e daaltri dirigenti del Pci.

Ricordare Tressoproseguendo

nel progetto dellaQuarta Internazionale

Né Barbara né Pietro apparte­nevano alla schiera di personecon “la schiena flessibile”, co­me Tresso amava definire i“compagni” o “amici” che riu­scivano, per interesse o per de­bolezza, a rinunciare allaverità. Pietro Tresso dedicò lasua vita al movimento operaiointernazionale. Nelladrammatica condizione diemigrato politico, perseguitatoe ricercato dalle polizie di Sta­lin, Hitler e Mussolini, PietroTresso non abbandonò mai ilsuo posto di lotta. Nel 1930, allasegreteria del partito che luiaveva contribuito a fondare eche lo emarginò e l'espulse,scrisse: «non ho mai avuto,enon avrò mai bisogno di farparte di organi dirigenti perattendere e compiere il miodovere di combattente rivolu­zionario della classe operaia»ed il 30 gennaio 1937, in unalettera ai familiari afferma: «iosono “trotskista” e io sonotrotskista perché Trotsky è oggiil solo grande e immortalecontinuatore di Lenin». Unanno dopo, cinque anni primadi essere assassinato, avevacontribuito alla fondazionedella Quarta Internazionale,alla nascita di quel percorsoche le generazioni di rivoluzio­nari nati dopo di lui hanno ildovere di riprendere e dicompletare: la costruzione delpartito internazionale per la ri­voluzione socialista.

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12 Gennaio ­ Febbraio 2013 PROGETTO COMUNISTAINTERNAZIONALE

Matteo Frigerio

Di fronte ad una mo­bilitazione europeache, nonostante ilforte attacco padro­

nale, non riesce a dare la rispo­sta di lotta unitaria e radicaleche sarebbe necessaria, il Me­dio Oriente è ritornato arappresentare una delle zonedove più forte si fa lo scontrotra le classi. Questa situazioneè la diretta conseguenzadell'ambiguità di quella seriedi processi politici che sonoormai identificati col nome di“Primavera araba”, che a lorovolta portavano al pettine unaserie di nodi politici dovuti so­prattutto agli interessi dei variimperialismi mondiali.L'ambiguità della Primaveraaraba non ha certo tratto ininganno i marxisti­rivoluzio­nari, che a suo tempo hannoindicato quelle che sarebberostate le linee generali di svi­luppo di questo movimentosociale nonché i suoi limiti: lamancanza di quella direzionerivoluzionaria, proletaria e so­cialista, che potesse porre ilproblema del sovvertimentodegli Stati borghesi del Mediooriente, assicurando così unavittoria effettiva di quei settorisociali che avevano a caroprezzo lottato contro ledittature decennali dei loroPaesi, nonché pilastri degliinteressi dei vari imperialisminella zona.I riformisti hanno invece vistola vittoria, finalmente, dellademocrazia, naturalmente inmaniera strumentale: hannopotuto rilanciare demagogi­camente un discorso sulla ne­cessità di una loro presuntaradicalità, necessaria perspingere il capitalismo sullavia del progresso, progressoche è ancora possibileall'interno di questo sistemacome stanno a dimostrareproprio le rivoluzioni in NordAfrica e Medio Oriente. Orachiunque può valutare comequesta “conquista” della de­mocrazia fosse un'illusione el'unica vera alternativa nellanostra epoca è tra dittatura delcapitale e socialismo.

La guerra civile in Siria

Il Paese dove le contraddizionisono ormai da tempo ad un li­vello esplosivo è la Siria, dovedi fatto è in atto una sanguino­sissima guerra civile. Si­

milmente a quanto è accadutoin Libia con Gheddafi, la pro­fonda crisi politica in cui è ve­nuto a trovarsi il regime diBashar Al­Assad ha prodottouna insurrezione armata po­polare che impegna le forzedella dittatura da quasi dueanni. Contrariamente al casodella Libia però, dove leincertezze delle potenzeimperialiste sull'opportunitàcirca lo sbarazzarsi del pittore­sco ma fidato alleato furonovinte dalle mire dello stessoimperialismo francese, oltreche dalla volontà di strangola­re la rivolta popolare, in Sirial'opzione Al­Assad sembra es­sere ancora la soluzione mi­gliore per gli interessiimperialistici, soprattutto perquelli di Israele, preoccupatoper la possibile destabilizza­zione dell'area. Il regime siria­no non è, infatti, un regimeconfessionale, ma un regimelaico fondato storicamente sulpartito Ba'th, il Partito sociali­sta arabo della rinascita: anchese negli anni della dittaturadella famiglia Al­Assad, questopartito ha perso l'importanzache aveva in precedenza,l'ideologia che anima il regimesiriano è sempre quella. Israelesi trova quindi di fronte a duepossibili diversi pericoli allasua sicurezza nel caso di unacaduta di Bashar Al­Assad.Anzitutto, quello di una rivolu­zione proletaria autentica, cherimetterebbe in discussionetutto l'assetto mediorientale,destabilizzando Israele, so­prattutto perché questa rivo­luzione non potrebbe chechiamare all'unità tutti glisfruttati del Medio Oriente edel mondo per combatterecontro l'imperialismo e il sio­nismo, non solo minacciandomilitarmente le frontiere delloStato israeliano, ma invitando ipopoli alla solidarietà interna­zionalista per superare gli esi­stenti Stati confessionali inuna Federazione di Repubbli­che Socialiste laiche, unicomezzo per la pacificazione deipopoli attraverso la rivoluzio­ne. Il secondo pericolo è che aduna direzione nazionalistaborghese laica, che oltre tuttonegli anni ha perso qualsiasiinteresse a contrapporsirealmente ad Israele, si sosti­tuisca una direzione semprenazionalista borghese, ma acarattere fondamentalistaislamico, che potrebbe

prendere più seriamente laprospettiva di una lotta milita­re contro il sionismo, nonchéaiutare i gruppi armati palesti­nesi.Queste preoccupazioni delloStato israeliano hanno impe­dito finora l'intervento milita­re, probabilmente ancheperché la situazione di Assad èmeno precaria di quella diGheddafi sul piano militare.Gli insorti però dimostrano dinon essere una forza di pococonto, visto che sono riusciti aresistere per due anni senza ri­cevere significativi aiuti mili­tari esterni. I dati dell'Onudicono che a 21 mesi dall'ini­zio della rivolta ci sono statipiù di 45.000 morti, la maggio­ranza dei quali tra la popola­zione civile e gli insorti, fruttodella spietata repressione mi­litare e dei bombardamentidell'esercito sui quartiericontrollati dai ribelli. Nono­stante i colpi subiti, la forzache i ribelli dimostrano nonpuò che essere il risultato, inassenza di ingenti aiuti daparte dei Paesi imperialisti,dell'appoggio che, attiva­mente o almeno passiva­mente, ricevono dallamaggioranza della popolazio­ne. L'inviato speciale dell'Onuper la Siria stima che, vistol'intensificarsi del conflitto, unaltro anno di guerra civile po­trebbe aumentare drammati­camente il numero dei mortidi 100.000: questo ovviamenteper l'inasprirsi della repressio­ne del regime, ma anche perl'estendersi della rivolta anti­regime. Il problema è che qui,come negli altri Paesi del Me­dio oriente al momento,manca una direzione rivolu­zionaria per la lotta, ancorapiù necessaria in Siria perl'alto livello dello scontro diclasse e soprattutto per evitareche, in caso di un migliora­mento della situazione milita­re degli insorti, i Paesiimperialisti convincano Israe­le a “scaricare” Assad e adappoggiare l'insurrezione,ovviamente dopo aver messouna fidata direzione borghesea capo dei ribelli allo scopo distrangolare la rivoluzione po­polare, come già successo colCnt libico.

La situazione politicaegiziana

Dopo la vittoria del partitopolitico legato ai Fratelli mu­

sulmani, Giustizia e Libertà, el'elezione a presidente di Mo­hamed Morsi, la vita politicadell'Egitto è entrata in una faseconcitata. Il governo provviso­rio retto dai militari che si erasostituito al regime di Muba­rak aveva dovuto cedere alla ri­chiesta delle masse che,invocando le elezioni, co­minciavano a dar vita a mani­festazioni analoghe a quelleche avevano precedente­mente dato vita alla rivoluzio­ne. Nelle elezioni i candidatiprincipali che si contendeva­no al guida del governo eranol'ex primo ministro del go­verno provvisorio Ahmed Sha­fik e Mohamed Morsi, maerano presenti anche candi­dati espressione di alcunisettori del movimento anti­Mubarak di tendenze più “de­mocratiche” (rispetto agliorientamenti dei verticidell'esercito al potere) sia laiciche non (si pensi ai cristianicopti). Non si deve pensare chela vittoria dei Fratelli mu­sulmani abbia impensierito lepotenze occidentali: nono­stante il richiamo confessio­nale del nome, questomovimento sociale, che esistein Egitto da quasi un secoloormai, era già perfettamenteintegrato anche nello stessoStato laico egiziano, e nel corsodegli anni aveva giàappoggiato, in fasi alterne, i re­gimi di Nasser e Sadat, so­prattutto in funzioneanti­comunista (ma non anti­

sovietica). Sarebbero quindiinterlocutori del tutto fidatiper quanto riguarda il mante­nimento dell'ordine nella re­gione, come dimostra il ruolodi mediazione avuto da Morsiin prima persona durantel'ultima crisi a Gaza.Qualcuno potrebbe obiettareche questo era solo un modoper rendere meglio accetto allepotenze occidentali il suo pro­getto costituzionale: anchestando così le cose, il risultatonon cambia e cioè che Morsi sispenderà all'occorrenza per lastabilizzazione della regione,anzi probabilmente sarà ingrado di farlo con più successodi Ahmed Shafik. Resta da ve­dere se saprà mantenerel'ordine interno al suo Stato. Lìnascono le maggioricontraddizioni della faseattuale, infatti il progetto di co­stituzione filo­islamica pre­sentato da Morsi è statoaccolto da manifestazioni eproteste nelle due giornate divotazione del 15 e del 22 di­cembre e nei giorni prece­denti. Evidentemente i valoridelle masse che avevano datovita alla “Primavera egiziana”sono stati frustrati dal proces­so elettorale borghese. Questoè un momento cruciale, in cuil'esistenza di un partito rivolu­zionario potrebbe catalizzarel'istinto amorfo delle masseper una “democrazia reale”verso l'unica forma politicache possa realizzarla davvero,cioè il socialismo rivoluziona­rio. Invece in assenza di questadirezione consapevole dellemasse, Ahmed Shafik avràbuon gioco ad ergersi qualecapo dell'opposizione al go­verno di Morsi e dei Fratellimusulmani, imbrigliando cosìentro i limiti dello Statoborghese la protesta popolare.Postosi a capo di un “Fronte disalvezza nazionale”, Shafik hadeciso di contestare la legitti­mità della vittoria dei Si al refe­rendum costituzionale,proponendosi così comeun'alternativa progressista eliberale al governo dei Fratellimusulmani, anche se solo po­chi mesi fa, il malcontento po­polare aveva costretto il suogoverno a dimettersi e a indirele elezioni. Il rischio è che lamancanza di un'alternativa ri­voluzionaria permetta a Shafikdi demoralizzare le masseancora politicamente attive edi trasformarle in un elettoratopassivo e prono ad accettareun suo nuovo governo come ilmale minore rispetto a quellodi un regime islamico. Afebbraio si terranno le nuoveelezioni e se il Fronte disalvezza nazionale riuscirà inquesto suo progetto politico, ilmomento di fermento rivolu­zionario potrebbe terminare enon ricomparire per molto

tempo, in assenza di sviluppirivoluzionari negli altri Paesimediorientali.

La lotta di liberazionedel popolo palestinese

La Palestina e Israele sono ilperno di molte dellecontraddizioni attuali del Me­dio Oriente, nonché in certicasi la facile giustificazione emistificazione per molti pro­blemi creati dai vari imperiali­smi e sub­imperialismi nellaregione. E da qui, necessaria­mente, dovrà passare il pro­cesso di rivoluzionepermanente nel Mediooriente: non si può pensare alsuccesso nella creazione diuna Federazione di Repubbli­che Socialiste senza risolverela questione palestinese edell'esistenza dello Stato diIsraele. Dopo il brutale attaccoisraeliano a Gaza degli scorsimesi, il presidente dell'Auto­rità palestinese Abbas è riusci­to ad ottenere dall'Assembleagenerale dell'Onu lo status di“Membro osservatore”. Diquesta decisione i Palestinesise ne faranno poco o niente:senza l'effettiva creazione diun apparato statale, questadecisione rimarrà senzaconseguenze. Ma soprattuttoquesta decisione, in effetti, le­gittimando a parole lo Statopalestinese inesistente, le­gittima di fatto l'esistenzadello Stato sionista israelianoed anche il suo espansionismomilitare che lo ha portato neglianni a fagocitare il territorio diquello che avrebbe dovuto es­sere lo Stato palestinese. Iltutto secondo la ben nota eingannevole teoria dei “duepopoli in due stati”.Da marxisti rivoluzionari e dainternazionalisti non possia­mo che dire con forza che lasoluzione del problema israe­lo­palestinese passadall'unione degli sfruttati dalsionismo con gli sfruttati dalcapitalismo israeliano, cioèdel popolo palestinese con iproletari israeliani, che lottinoper la distruzione dello Statosionista e per la creazione diuno Stato Palestinese, unito,socialista e laico, liberando leimmense energie che sonooggi oppresse dalla societàrazzista israeliana. Solo questopuò realmente riappacificareil Medio oriente e creare lepremesse per un nuovo svi­luppo di tutta l'area, nonchéper togliere forza e attrattivaalle organizzazioni islamichepiù o meno fondamentaliste,per estendere la rivoluzione atutta la zona mediorientale.Viva la rivoluzione siriana!Viva le rivoluzioni in NordAfrica e Medio Oriente!Viva la Palestina libera,laica eantirazzista!

La rivoluzione scuote ancora il Medio OrienteDopo la Primavera Araba,non si ferma la mobilitazione

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PROGETTO COMUNISTA Gennaio ­ Febbraio 2013 13INTERNAZIONALE

Chávez e il socialismoOvvero,il sole e la lunaNicola De Prisco

Il Venezuela del PresidenteHugo Chávez è visto quasidalla totalità della sinistramondiale come espressio­

ne di un nuovo modello di socia­lismo che lo stesso Chávez hadefinito “Socialismo del XXI se­colo”. Mentre scriviamo questoarticolo, sentiamo rincorrersi levoci sul peggioramento dellecondizioni di salute del presi­dente venezuelano e pare essersiaperta la fase della successione.Questo però non può modificarel'analisi che faremo dell'operatopolitico del suo governo.

Crisi economica

Tra il 2007 e il 2011, l'inflazione èpassata dal 18,7% al 26,1 %, il tas­so di crescita dall'8,4 % al 4,2%,mentre la disoccupazione rima­ne comunque all'8,2% (2011).Sono stati annunciati parecchi li­cenziamenti in diverse aziende(1.000 alla Toyota ). Agli inizi del2010 ci fu la paralisi di importantirami produttivi per problemati­che energetiche. È sintomaticoche uno dei maggiori produttoridi petrolio al mondo non sia riu­scito a mantenere in funziona­mento l'industria siderurgicastatale Sidor. C'entra sicura­mente qualcosa il fatto che in 12anni di governo, Chávez non hacostruito centrali idroelettriche odi altro tipo.Nonostante l'impennata delprezzo del barile di petrolio, chesfiora i 90 $, l'economia venezue­lana non dà cenni di ripresa.

Le nazionalizzazionichaviste

Un argomento che viene spessousato dai sostenitori di Chávez èquello delle nazionalizzazioni.Effettivamente ne sono state rea­lizzate diverse. Il problema è chequeste non sono avvenute espro­priando i padroni, macomprando le aziende, con unaperdita netta di capitali di tre mi­liardi di dollari solo nel 2009.Inoltre, le nazionalizzazioni nonsi sono estese ad altri settori chia­ve dell'economia in cui le impre­se imperialiste hanno un grossopeso, come nella produzione dipetrolio, tanto che dal 2007 lemultinazionali sono compro­prietarie della fascia denominataFaja del Orinoco, o nell'industriaautomobilistica, dominata daGeneral Motors, Ford, Mitsubishie Toyota.Agroisleña e Cargill, che, essendoimprese alimentari, hanno unchiaro ruolo strategico con unelevato margine di profitto,hanno una forte partecipazioneda parte di privati stranieri. Inalcune imprese miste, il capitalestraniero è maggioritario. Vasottolineato che il governo nonrichiede nessun tipo di controlloda parte dei lavoratori su questeaziende nazionalizzate. Questecose sono perfettamentecontemplate dalla Costituzione

venezuelana. Ciò sarebbeimpossibile in uno Stato operaio,poiché una delle condizionifondamentali per avanzare versoil socialismo è la gestione, daparte degli organismi dei lavo­ratori, dei settori strategicidell'economia. Solo così lo Statocesserebbe di essere uno stru­mento nelle mani del padronato,e sarebbe possibile garantirel'indipendenza dall'imperiali­smo.Elenchiamo ora altri elementiimpossibili da riscontrare in unoStato in transizione verso il socia­lismo.

Relazioni conl'imperialismo e i suoi

“cani da guardia”

Il Venezuela fa parte dell'Oea,dell'Onu, delTrattato di Rio de Ja­neiro, della Omc, rimane sociodel Fmi cancellando religiosa­mente il debito verso questa isti­tuzione. Fino al 2010 Chávezdenunciava (giustamente) il pre­sidente colombiano Santos di es­sere responsabile dellasparizione di migliaia di persone,di avere forti relazioni con ilnarcotraffico e lo definiva “il caneda guardia dell'imperialismonella regione”. Poi, sul finire dellostesso anno, la svolta. Decise cheSantos era un “figlio di Bolivar”,un alleato strategico per la rivolu­zione venezuelana. Ebbe a diresul suo conto: “Siamo fratelli e losiamosemprestati”. IcasidiPerezBecerra e Jullian Conrado sonol'emblema di questa alleanza.Entrambi oppositori del regimecolombiano; entrambi arrestaticon la collaborazione attiva diChávez.

Repressione deimovimenti di lotta

Nel maggio del 2007, il governorepresse violentemente i lavo­ratori della Sanitari Maracay, che,fattisi carico dell'impresa dopoche la stessa era stata abbando­nata dal padronato, marciavanoalla volta di Caracas per reclama­re la sua nazionalizzazione sottocontrollo operaio. Così pure i la­voratori petroliferi di Zulia ePuerto la Cruz, che reclamavanoil diritto di eleggere i propri dele­gati da inviare in loro nome allatrattativa.I lavoratori statali, che per anninon avevano potuto discutere ilproprio contratto collettivo, fu­rono sgombrati dal Ministero delLavoro da truppe d'assalto delgoverno sotto le mentite spogliedell'organizzazione Tupamaros.Il 22 gennaio 2009, dopo il li­cenziamento di 125 lavoratori, ilavoratori esternalizzati Mitsubi­shi (MMC) decisero in una as­semblea di massa, di entrare insciopero e occupare la fabbrica insolidarietà con gli operai li­cenziati. Poi, il 29 gennaio, la poli­zia sgomberando l'occupazione,uccise negli scontri due operai.L'azienda, nelle successive

trattative con il Ministero del La­voro, pose come condizione perla ripresa delle attività il licenzia­mentodi156operai, traiqualideilavoratori con infermità dovute aincidenti sul lavoro. Il Ministrodel Lavoro del governo Chávezrispettò queste condizioni.Inoltre va sottolineato che, in Ve­nezuela, essere un sindacalista èmolto pericoloso. Infatti, laddovequesti non vengono interdetti dallavoro, come per i casi di LuisDiaz e Robert Gonzales, rischia­no di rimanere vittime di miste­riosi“incidenti mortali”. Dal 2008adoggivenesonostatidiversi, trai quali possiamo citare quelli diRichard Gallardo, LuisHernández, Carlos Requena, Pe­dro Suárez, José Marcano, Arge­nis Vásquez. Tutto questo nelsilenzio assordante dei media fi­lochavisti.

La macchina delconsenso e qualcheingranaggio che si

inceppaIl governo ha costruito il suo mu­ro di consensi erogando delleparziali concessioni alle masse eovviamente attraverso il totalecontrollo dei media (vedi chiu­sura Rctv). Muro che però inizia amostrare qualche crepa. Infatti,nelle ultime elezioni presi­denziali, che pure hanno vistotrionfare il presidente, l'opposi­zione borghese di Carpiles, otte­nendo 2 milioni di voti in piùrispetto alle precedenti elezioni,ha avuto una preoccupante cre­scita del 50%. I suoi voti, oltre cheda un pezzo di borghesia, prove­nivano anche da importantisettori di lavoratori in lotta delusida Chávez e disorientati dall'as­senza di un'alternativa visibile.Questo si somma alla bocciaturaricevuta in merito alla propostadi modifica costituzionale nel2007.

Le scorciatoie utopiche ele soluzioni realistiche

La possibilità di integrare leimprese imperialiste con i grandigruppi nazionali nella “costru­zione del socialismo” come pro­pone il chavismo, è, nel miglioredei casi, un'illusione utopica.Inoltre, non c'è modo di marciareverso il socialismo senza che,prima, non si sia sconfitto edistrutto il potere armato dellaborghesia. Ma Chávez, primaalto ufficiale delle forze armateborghesi, oggi è il loro massimocomandante. Per questo haperdonato gli ufficiali che guida­rono il golpe del 2002, ha attuatoun forte aumento salariale per imilitari, li ha dotati di nuove armie mezzi tecnici, ecc.Per questo, l'unica soluzione per ilavoratori venezuelani resta lacostruzione di un'alternativaoperaia, indipendente dallaborghesia e dai suoi governi.(8/1/2013)

Adriano Lotito

Islanda 2008: il Paese cono­sce il più grande crollo fi­nanziario della storiamondiale se rapportato alle

dimensioni della sua economia.Le tre più grandi banche del Pae­se sono in bancarotta; il debitoammonta a 50 miliardi di dollari.Violente proteste di massa co­stringono alle dimissioni il go­verno in carica. Due referendumbocciano i piani di pagamento diuna parte del debito proposti dalnuovo governo. Viene redattauna nuova carta costituzionale.In Italia, su siti e blog autoprocla­matisi di “controinformazione”(spesso i principali artefici,consapevoli o meno, di campa­gne di disinformazione di mas­sa) si diffonde la notizia dellafantasmagorica “rivoluzioneislandese”: “l'Islanda ha rifiutatodi pagare i debiti”, “il Fondo Mo­netario Internazionale è statocacciato dal Paese” e altre affiniaffermazioni iniziano adiffondersi nel web. Lo slogan“facciamo come l'Islanda” divie­ne popolare anche grazie alvangelo­blog di Beppe Grillo, chealla notizia da molto risalto, oltreche in numerosi siti e giornaliwebchesiriferisconopiùomenoesplicitamente all'area della so­cialdemocrazia rifondarola.

Il tempo dellaspeculazione

In Islanda negli anni Novanta,sull'onda del neoliberismoimperante, furono privatizzati itre maggiori istituti di credito(Kaupthing, Landsbanki,Glitnir). Prese avvio la crescitadella doppia bolla, finanziaria eedilizia, mentre i tassi di interes­se crescevano e attraevano spe­culatori da tutto il mondo. Peraccrescere ulteriormente ilcircuito speculativo (tramite ilquale il capitale in eccedenzaviene valorizzato in completaautonomia dall'economia co­siddetta reale, cioè dall'ambitoproduttivo) furono create delleinternet­bank, come la Icesave(incorporata nella Landsbanki).Questa banca online fu al centrodi speculazioni su fondi pensio­nistici da parte di investitoriesteri, in particolare provenientidall'Olanda e dal Regno Unito: il20% della somma dei capitaliinvestiti in questa banca (cheammontavano complessiva­mente a 800 milioni di sterline)appartenevano a decine di auto­rità locali britanniche, come laTransport for London, l'orga­nizzazione che coordina il tra­sporto pubblico della capitaleinglese e che aveva depositato 40milioni di sterline in bancheislandesi.Nel 2007, le tre grandi bancheislandesi avevano un attivocomplessivo pari a undici volte ilPildelpaeseedetenevano50mlddi euro di debito estero (4 mld didebito la sola Icesave), contro unPil di nemmeno 9 mld. Laricchezza apparente dell'Islandaera totalmente basata sull'afflus­so di capitali dall'estero e sullabolla immobiliare (che ha segui­to un percorso simile a quello deimutuisubprimeinUsa).Eppureipericoli reali di un possibile tra­collo non erano stati tenuti pernulla in considerazione: anchequesta vicenda dimostra la co­scienza falsa della borghesia,ovvero la sua incapacità dicomprendere le dinamiche so­ciali complessive, la sua cecitànel non voler andare oltre la lenteparticolare dei profitti. La bancacentrale islandese scrivevainfatti nel suo rapporto sulla sta­bilità finanziaria del maggio2008: «i critici hanno asserito chele banche islandesi sono di­ventate troppo grandi. Questosarebbe vero se una grande crisifinanziaria fosse imminente e ilgoverno islandese fosse costrettoa risolvere una situazione critica

che colpisse l'attività bancariasia in Islanda che all'estero» econtinuava spiegando perchéciò era impossibile. Questo dopomesi dallo scoppio della crisi. Adagosto del 2008, l'autorità dicontrollo sulle banche rese noti irisultati degli stress test sulle tregrandi aziende di credito la cuiconclusione era: «le banche sonosolide e possono sopportareshock finanziari anche conside­revoli». Sei settimane dopoquelle banche non esistevanopiù.

Il tempo della crisi

Dopo il crollo della banca d'affariLehman Brothers (15 settembre2008) la paura che molte altrebanche stessero per crollareportò alla totale interruzione deimercati interbancari, quelli dovele banche si prestano denaro traloro. Le banche islandesi nel girodi pochi giorni erano fallite. Da­vanti ad un collasso di tali pro­porzioni, il primo ministroHaarde decise di nazionalizzarele tre grandi banche, accollando­si dunque il loro debito (secondola ormai nota dinamica della pri­vatizzazione dei profitti e dellasocializzazione delle perdite).Nel mese di novembre 2008 ilFondo Monetario Internaziona­le concesse un prestito di 4,6 mi­liardi di dollari. Subito dopo, laGermania, l'Olanda e il RegnoUnito annunciarono un ulterio­re prestito congiunto di 6,3 mi­liardi. Naturalmente questo“salvataggio” non riguardava ilavoratori che si ritrovavanoimprovvisamente disoccupati,le famiglie che fallivano, ma sola­mente le grandi banche che co­me abbiamo già detto avevanoaccumulato un debito di ben 50miliardi di dollari. Tutto questomentre nella vita reale, queidisoccupati e quelle famiglie dilavoratori in crisi reclamavano ledimissioni del governo. Il 26gennaio 2009, dopo numeroseproteste di piazza, Haardeannuncia le dimissioni. In realtàad essere determinante fu la so­cialdemocrazia (che fino ad allo­ra aveva sostenuto il governo)che non riusciva più a contenerele proteste della base e fu obbli­gata a ritirare l'appoggio.Il nuovo governo, di centrosini­stra, in realtà non ha rappre­sentato nessun cambiamentosostanziale, a dimostrazione dicome il rovesciamento del go­verno non ha rappresentatonulla di realmente progressivoper le masse popolari islandesi. Isocialisti al potere infatti hannoapprovato una legge (la LeggeIcesave) con cui si stabiliva il pa­gamento del debito dellasuddetta banca online neiconfronti degli investitori bri­tannici e olandesi, pari ad una ci­fra di 4 miliardi (di soldi pubblici,dal momento che anche la Icesa­ve, in quanto parte della Lands­banki, era stata nazionalizzatadal governo precedente). Se­condo l'accordo iniziale, il 6% delPil del paese per 15 anni sarebbestato destinato a ripagare i debiticon i depositanti inglesi eolandesi. La proposta però èstata bocciata da un referendum,nel marzo 2010, in cui il 93% delcorpo elettorale si è opposto alpagamento del debito dellabanca con i soldi dei lavoratori. Aquesto punto il “rivoluzionario”centrosinistra non si è arreso, eha preparato una nuova leggecon l'eguale tentativo di pagare ildebito della Icesave, ma questavolta leggermente ridimensio­nato. Anche in questo caso un se­condo referendum ha bocciatola proposta (con il 53% contra­rio).Nel frattempo un movimentoindipendente di cittadini avevaproposto la redazione di unanuova Costituzione che sosti­tuisse quella in vigore dal 1944 eche difendesse il paese da nuovespeculazioni. La nuova carta co­

stituzionale è stata redatta viainternet: social network, forum,videoconferenze, le assembleepotevano essere seguite intempo reale e ogni cittadino eralibero di intervenire, proporreriforme e discussioni. Al terminedei propri lavori, il 29 luglio 2011,il movimento ha presentato alParlamento islandese la bozzadella Costituzione che è passataal vaglio di una commissioneparlamentare per poi essereapprovata nel 2012 tramite unreferendum popolare(1).

La verità dei fatti:l'Islanda paga il debito

Qui si fermano i fatti e iniziano ideliri di quanti in Italia hannovoluto vedere in tutto questo unprocesso rivoluzionario. Comemarxisti ci sentiamo in dovere didemolire impietosamente le co­struzioni mitologiche e far tra­sparire la realtà dei fatti, nellaconvinzione che solamente unapproccio oggettivo può essererealmente utile agli interessidelle masse popolari e della lorolotta contro la crisi e il capitali­smo dal quale essa è scaturita.Partiamo dal mito del non­pa­gamento del debito: nell'agosto2011 si è concluso il piano delFmi; l'Islanda finirà di pagare ildebito con il Fmi nel 2014, finoall'ultimo centesimo, fra taglidelle spese pubbliche e aumentodei tributi sulla testa della popo­lazione(2). E che cosa ne è del de­bito Icesave dopo il risultato deidue referendum? Olanda eInghilterra hanno concesso unrinvio dei pagamenti, poi, nelmese di settembre, l'annunciodel ministro dell'economiaislandese ha rassicurato tutti glispeculatori: «entro la fine del2012 il patrimonio (pubblico?)della nuova Landsbanki saràsufficiente per coprire i debitidella vecchia gestione privata».Ecco che fine fa la consultazionereferendaria per quanti si illuda­no ancora delle sue potenzialità“rivoluzionarie”!E la nuova Costituzione rivolu­zionaria? Basta citare due arti­coli: l'articolo 13 sancisce che ildiritto alla proprietà è inviolabilee nessuno può essere obbligato arimettere una proprietà a menoche non sia richiesto dal pubbli­co interesse; in questo caso sonorichiesti un atto di legge e unacompensazione completa;l'articolo 67 è ancora più palese­mente reazionario: i referendumnon possono essere richiesti inmerito a leggi fiscali, leggi pro­mulgate per ottemperare aobblighi internazionali o leggiconcernenti tasse o diritti dicittadinanza(3). Non ci sembranecessario aggiungere altro. Mala beffa non è finita ancora: sulsito del Ministero degli Esteriislandese si legge infatti che il 17giugno 2010 hanno preso il via inegoziati con il Consiglio Euro­peo per l'ingresso nella Ue(4).Come se non bastasse il tracollodel2008adessodunquel'Islandasi avvia a passare dalla padellaalla brace, sottomettendosicompletamente alla dittatura fi­nanziaria dell'Europa capitali­sta. Oltre il Fmi, anche Bce ecommissione europea: benve­nuti al cospetto della Troika, la­voratori islandesi! E come ultimaciliegina sulla torta, all'inizio del2011 il processo di privatizzazio­ne delle banche è ricominciato:adesso che il debito è stato scari­cato sui lavoratori, le banchepossono finalmente rico­minciare ad accumulare altrodebito. Allora che ne dite: faccia­mo come l'Islanda, facciamoanche noi una rivoluzioneislandese.

Note

(1) bit.ly/pc38lot01(2) bit.ly/pc38lot02(3) bit.ly/pc38lot03(4) bit.ly/pc38lot04

CriticadelmitodellarivoluzioneinIslandaQuellocheèrealmenteaccaduto,aldilàdelladisinformazionetuttaitaliana

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14 Gennaio ­ Febbraio 2013 PROGETTO COMUNISTACORRIERE INTERNAZIONALE

Il conflitto nella Gendarmeria e nella Prefettura in Argentina

Supp.to di ottobre 2012 al CorriereInternazionale della Lega Internazionaledei Lavoratori Quarta Internazionale

Agli inizi di ottobre si è prodotto unconflitto salariale fra i sottufficiali e labase della Gendarmeria (polizia mili­tare di frontiera) e della prefettura

(polizia navale dei porti e dei fiumi) con il go­verno di Cristina Kirchner e le cupole di questeforze armate.All'origine del conflitto c'era una misura del go­verno che – come parte di una manovra econo­mica contro i lavoratori e le classi popolariargentine in generale e che, in particolare,attacca i salari dei lavoratori statali – ha decre­tato l'eliminazione di diverse indennitàaggiuntive allo stipendio base, tanto che gliappartenenti ad entrambe le forze armatehanno percepito stipendi con decurtazioni fra il30 e il 60%.Ciò ha prodotto, da parte della base e deisottufficiali di queste istituzioni militari, unosciopero di fatto, con assemblee e mobilitazionidinanziagliedificideirispettivicomandi.Dopo­diché, è giunta la rivendicazione di un salariobase di 7.000 pesos (circa 1.500 dollari) fatta pro­pria anche da 200 sottufficiali dell'Armata, dellaForza Aerea e da mogli dei sottufficialidell'Esercito.Di fronte a questo conflitto, il governo argentinoha tenuto una politica di grande cautela. Da unlato, non ha avuto il coraggio di scatenare di­rettamente la repressione, aprendo trattativecon un'inedita “commissione di rappre­sentanti” (segnaliamo che alle forze di sicurezzain Argentina è vietata ogni forma di sindaca­lizzazione e di avanzare rivendicazioni salarialio lavorative) e annullando rapidamente le de­curtazioni. Dall'altro, ha comminato sanzioni aotto portavoce del conflitto, rifiutando ognidiscussione su qualsiasi modifica del salario ba­se.Al contempo, nel Congresso nazionale, tutte leforze fedeli al governo e quelle dell'opposizioneborghese hanno votato una dichiarazione concui hanno fatto appello «alle forze di sicurezza ealle altre di adeguare le loro azioni a regole difunzionamento democratico e subordinazionealle autorità legittimamente costituite, inaccordo alla Costituzione nazionale» (Clarín,4/10/2012). In altri termini, la dichiarazione fa­ceva sottintendere che il movimento avevaconnotazioni golpiste. Tutte le espressioni poli­tiche della borghesia argentina convergevanonell'esigere che i gendarmi e la polizia navale insciopero “si calmassero” e “tornassero a casa”.Siffatta preoccupazione e unità della borghesiaargentina non è casuale. Attualmente, inArgentina vige il divieto di impiego delle forzearmate nella repressione interna. Questa situa­

zione, aggiunta alla profonda crisi della poliziafederale e delle polizie provinciali, ha fatto sì chela Gendarmeria e la Prefettura, ma spe­cialmente la prima, si trasformassero nelleprincipali forze repressive dei conflitti sociali,scioperi, manifestazioni e blocchi stradali. Ora,di fronte a una crisi in seno a queste stesse forzerepressive, per le classi possidenti argentine siponeva una situazione inquietante marcatadall'interrogativo: “Chi potrà difenderci?”.È chiaro che questo conflitto è un'espressionedella crisi economica, sociale e politica che co­mincia a colpire progressivamente l'Argentina.Tuttavia, non analizzeremo in questo testo le ra­dici di questo processo. La nostra intenzione èinvece sviluppare il dibattito con la maggio­ranza della sinistra argentina e latinoamericanasu quale deve essere l'atteggiamento delle orga­nizzazioni rivoluzionarie di fronte a conflitti dital fatta e, più in generale, qual è la politica versole forze armate e di sicurezza. Questa polemicanon è nuova, essendosi già manifestata in occa­sione della ribellione poliziesca in Ecuador, nel2010, e nello sciopero dei vigili del fuoco di Riode Janeiro, nel 2011.

La nostra posizione

La posizione del Pstu (sezione argentina dellaLit­Ci) è stata appoggiare la lotta dei gendarmi edella polizia navale contro il governo. È la stessache hanno assunto le nostre sezioni in Ecuador ein Brasile quando il Mas (Movimiento al Sociali­smo) e il Pstu brasiliano hanno rispettivamenteappoggiato la lotta dei poliziotti che si sonoammutinati contro il piano di austerity diCorrea e quella dei pompieri che rivendicavanoaumenti salariali contro il governatore Cabral diRio de Janeiro.In entrambi i casi si presentò una situazioneconcreta che richiese un posizionamento e unapolitica corretti: si trattava di conflitti in cui siscontravano direttamente la base e i sottufficialidi queste forze repressive contro le alte ge­rarchie militari o della polizia e i governi munici­pali o nazionali. Parliamo di scontri non solopolitici, ma anche fisici: nel caso dell'Ecuador edel Brasile, i governi inviarono forze speciali perreprimere la base insubordinata, provocandoscontri e arresti e sanzioni disciplinari per moltisoldati e ufficiali.Il dibattito con la sinistra argentina e latinoame­ricana è il seguente: da che lato si pongono ipartiti che si ritengono rivoluzionari in unconflitto con queste caratteristiche? In realtà,esistono solo due alternative concrete: o stiamocon la base dei soldati, dei poliziotti e i sottuffi­ciali, oppure con i governi (Correa, Ca­bral/Dilma, Cristina Kirchner) e le gerarchiecontro le rivendicazioni dei settori insubordi­nati e perché questi vengano repressi.La posizione della Lit­Ci è la prima. E abbiamo

questa posizione perché seguiamo la politicatradizionale di Lenin, che, nella prospettiva deltrionfo dell'insurrezione operaia e socialista, siponeva il problema di “portare la lotta di classe”insenoalleforzearmatecapitaliste.Ciòsignificautilizzare le profonde contraddizioni sociali esi­stenti in queste istituzioni e sviluppare una poli­tica per contrapporre la base e i sottufficiali conla cupola degli ufficiali in alto grado delle forzearmate e lo Stato borghese mediante un pro­gramma di rivendicazioni concrete per dividerele forze repressive guadagnandone un settoreper la rivoluzione e per fronteggiare l'altro.Tuttaquesta politica non è funzionale a “riformare”,bensì a distruggere questi “distaccamentiarmati” dello Stato borghese.La politica leninista­trotskista venne applicatacon successo tra il febbraio e l'ottobre del 1917,quando milioni di soldati mobilitati dai governicapitalisti russi nella Prima Guerra mondiale siribellarono, ruppero la catena di comando, siorganizzarono e parteciparono nei soviet(consigli dei deputati operai, contadini e deisoldati). Lenin e Trotsky convennero sul fattoche questa politica sarebbe stata determinanteper il trionfo della Rivoluzione d'Ottobre del1917.Edunque,lapoliticadellaLit­Ci,erecente­mente del Pstu argentino, di appoggiare questiconflitti all'interno delle forze repressive,discende da questa tradizione leninista.

Una posizione pacifista dissimulatadietro un linguaggio“radicale”

In Argentina, il Nuovo Mas e il Partito dei Lavo­ratori Socialisti (Pts) si sono posti contro la lottadei gendarmi e dei prefetti. La corrente interna­zionale cui fa capo il Pts, la Frazione Trotskista,già si era posta contro la lotta dei vigili del fuocodi Rio de Janeiro l'anno scorso.Naturalmente, queste organizzazioni, che si ri­vendicano trotskiste, cercano di rivestire questaposizione con un involucro di frasi magnilo­quentemente “rivoluzionarie”. Ma la realtà èdifficile da nascondere. La stessa dichiarazionedel Pts, ad esempio, comincia riconoscendo che«l'ammutinamento posto in essere dai sottuffi­cialidellaPrefetturaedellaGendarmeria(acuisièaggiuntounsettoredell'Armata)haapertounacrisi nazionale. Il conflitto, scoppiato per un ta­glio salariale, si è trasformato in politico. Ladisapprovazione verso gli ufficiali, l'estensionedel conflitto e la sua propagazione nelle forzearmate mettono in luce la gravità della situazio­ne (…) Il governo si trova di fronte a un dilemma.Seretrocedesututtala lineapuòrestareostaggiodegli insubordinati, che potrebbero essere presiad esempio da parte di altri settori delle forzearmate, compresa la polizia provinciale chesimpatizza per i ribelli. Al contrario, se non cede,lo scenario può polarizzarsi, con la perdita dicontrollo – ancor più aperta – di settori chiave

dell'apparato dello Stato, cosa che porrebbe arischio la sua stessa governabilità»(1)

Questa dichiarazione è impressionante. Difronte a un “ammutinamento” che si è “tra­sformato in politico”, in cui gli ufficiali eranodisapprovati e si è esteso ad altri settori configu­rando una situazione “grave” che ha posto il go­verno “di fronte a un dilemma” poiché avrebbepotuto, nientemeno, perdere “il controllo disettori chiave dell'apparato dello Stato” e porre“a rischio la sua stessa governabilità”, il Pts simette contro la lotta che ha prodotto questa cri­si perché tutto ciò “rafforzerebbe lo Statoborghese”! Al di là della discussione su cosa sa­rebbequestastranaformadi“rafforzare”loStatoborghese attraverso una lotta che, come lo stes­so Pts riconosce, ha posto in discussione lo stes­so controllo del governo su un settore delle forzearmate, pilastro di qualsiasi Stato borghese, vo­gliamo riprendere la discussione concreta: se ilPts si pone contro la lotta della base e deisottufficiali della Gendarmeria e della Prefettu­ra, si colloca oggettivamente dal lato della ge­rarchia militare e del governo Kirchner e dellasua politica economica di austerity.Non solo: questa posizione non ha nulla in co­mune con una politica rivoluzionaria, bensì conun pacifismo reazionario che abbandona lalotta per utilizzare ed acuire le contraddizioni diclasse nelle forze armate per dividerle edistruggerle.IlPts (ilNuovo Mas haargomenti simili) dicecheinquestocasolapoliticaleninistanonsiapplica,perché può applicarsi solo a due condizioni:a) «se stessimo parlando di un esercito di co­scritti, reclutati in massa dalle classi sfruttatecome accade durante le guerre, quando è ne­cessario avere un programma che assuma le ri­vendicazioni economiche e politiche dellatruppa»Pertanto, non è valida per gli eserciti professio­nali (stipendiati) né per le forze di sicurezza. Essisono parte delle istituzioni dello Stato borgheseassoggettati a disciplina militare e la lorofunzione è di reprimere i lavoratori; sono“guardie pretoriane”. In questo senso, nonvanno soggetti a contraddizioni di classe o que­ste contraddizioni sono estranee agli interessidei lavoratori. I loro membri di base e sottuffi­ciali non sono lavoratori e, benché siano sti­pendiati e originari delle classi sfruttate, questocarattere di membri di un apparato repressivodomina in termini assoluti rispetto all'altro(l'essere stipendiati). Per questo motivo,qualsiasi conflitto al loro interno per aumentisalariali o condizioni di lavoro sarebbe reazio­nario dal momento che, in ultima istanza, sa­rebbe funzionale al miglioramento dellecondizioni dei repressori. Quanto più guada­gnano, tanto meglio reprimono. Perciò bisognaesserecontrodiloro.Coerentementeconquesta

La sinistra di fronte ai conflitti salariali nelle forze armate e di sicurezza

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PROGETTO COMUNISTA Gennaio ­ Febbraio 2013 15CORRIERE INTERNAZIONALE

costruzione, il Pts e il Nuovo Mas si oppongonoalla proposta di sindacalizzazione di questisettori, che considerano doppiamente reazio­naria: da un lato, perché servirebbe per miglio­rare le condizioni lavorative dei repressori;dall'altro, perché seminerebbe illusioni sullapossibilità di “riformare” lo Stato borghese e lesue istituzioni repressive, qualcosa di irrealizza­bile. Essi portano l'esempio della Francia, doveesistono sindacati della polizia, che però conti­nua a reprimere.È un fatto che esista una tendenza a che le forzearmate contino su un numero minore di co­scritti e siano sempre più formate da settori “sti­pendiati” o “professionalizzati”. Ad esempio,nella stessa Argentina, da quando non esiste piùil servizio militare obbligatorio le truppe, dallabase fino ai vertici, ricevono uno stipendio. Maquesto non è mai stato un criterio per definire lapolitica rivoluzionaria per distruggere le forzearmate borghesi. La politica di Lenin è sempreconsistita nell'utilizzare le diseguaglianze e lecontraddizioni di classe in questi apparati perdividerli,ponendoisoldaticontroisottufficialiequesti ultimi – o gli ufficiali in più basso grado –contro gli alti comandi. Può verificarsi, adesempio, una lotta di sottufficiali contro i vertici(colonnelli, generali). I rivoluzionari debbonoessere contrari o astenersi dall'avere una politi­ca solo perché i sottufficiali sono“professionali”e non “coscritti”? Ad esempio, in Argentina, ipoliziotti provinciali sono sempre stati pagatidal vertice alla base. Ciò significa che sescoppiasse una ribellione degli agenti (soldati)contro i sottufficiali o di questi ultimi contro gliufficiali in più alto grado non dovremmo farnulla per approfondire questa crisi perché “nonsono coscritti”? Questo non è mai stato il criteriodi Lenin, Trotsky e di nessun marxista, chesemprehannopensatoacomeacuirelecrisiegliscontri in tutta la catena di comando, a partiredalle contraddizioni di classe.b) «Solo in una situazione di forte crisi del poterestatale e di ascesa della lotta di classe può pro­dursi il fatto per cui una parte della base socialepopolare di una forza repressiva “rompa la cate­nadicomando”erivolgail fucilecontroisuoisu­periori ponendosi al fianco dei lavoratori, nonattraverso meccanismi della legalità di questademocrazia per i ricchi o il “convincimento” pa­cifico, bensì attraverso una forza materiale: secioè la classe lavoratrice in lotta conquista i suoiorganismi di autodifesa, il suo stesso poterearmato, le milizie operaie».Valeadire, lapoliticaleninistasarebbevalidaso­lo in situazioni rivoluzionarie, con doppio pote­re e milizie operaie armate. Dunque, per questipartiti, al di fuori di queste situazioni, in cuicertamente si potrebbe ottenere una divisionediquesteistituzioni,bisognastarecontroquestelotte. Questa è una politica pacifista reazionaria,tipica del riformismo, secondo cui, siccome nonè posta la questione del potere, non si deve farealcun tipo di lavoro politico per distruggere leforze armate, principale sostegno dello Statoborghese. Dire questo equivale a dire che, finchénon arriva l'ora della rivoluzione socialista, nondobbiamo avere politica per gli scioperi o gliscontri concreti fra operai e padroni, oppureanche per approfittare delle crisi interborghesi.

Guardie pretoriane?

Per cominciare il dibattito, partiamo da unaccordo con il Pts ed il Nuovo Mas. Gli eserciti,specialmente quelli professionali e le forze di si­curezza, sono “distaccamenti armati” delloStato borghese con la funzione di reprimere i la­voratori e difendere la proprietà privata capitali­sta. Ciò significa che, come istituzioni, nonpossono essere “riformate”: la strategia deve es­sere quella di distruggerle con il potere dellalotta della classe operaia e la sua espressione sulterreno militare. Non nutriamo alcuna illusioneriformista in senso contrario. Non è questa ladiscussione.Ladiscussionegiraintornoaqualedeveesserelapolitica per distruggere le forze armate borghe­si, questione che comprende fatti come gli scio­peri salariali e la crescente sindacalizzazionedella polizia. Il Pts e il Nuovo Mas evidenzianoche non si tratta di lavoratori, definizione concuipurecoincidiamo.Ilproblemaèche,neifatti,negano che al loro interno esistano contraddi­zioni di classe, a partire dal loro carattere di sti­pendiati e dall'origine sociale povera della basedei soldati o degli ufficiali in basso grado, inmolti casi giunti in queste istituzioni repressiveprovenendo dalla classe operaia o da quellacontadina povera. Il Pts dice che «si tratta di unaguardia pretoriana che non può essere guada­gnata al campo della lotta operaia solo con l'agi­tazione e la propaganda e ancor meno a partiredall'appoggio delle sue rivendicazioni corpo­rative»(2). Da parte sua, il Nuovo Mas ammetteche esiste quest'origine sociale “umile” in setto­ri di queste forze, ma conclude che «quandoentrano in servizio, quest'origine sociale è“cancellata”»(3).Se ciò che dicono questi settori cosiddetti “rivo­luzionari” è corretto, allora non esistonocontraddizioni nelle forze repressive di cui orapossiamo approfittare e non resterebbe altro dafare se non incrociare le braccia attendendo chearrivi il momento della rivoluzione operaia e so­cialista trionfante. Ciò che questi partiti stannodicendo ai lavoratori e alla base di queste stesse

forze repressive nel momento in cui si stannoinsubordinando, rompendo la catena di co­mando borghese (non a caso le si proibisce discioperare o sindacalizzarsi) e ponendo indiscussione tutta la struttura verticale al serviziodella difesa della proprietà privata e controllatada governi borghesi, è più o meno questo:«Soldati e ufficiali! Voi siete e sempre sarete re­pressoridelpopoloe“canidaguardia”deiricchi.Questa è la vostra funzione eterna… pertanto,non mettete in discussione questo ruolo, né lavostra catena di comando! Non lottate contro ivostri ufficiali, non lottate contro il governo!».La questione è che, negando che le forze armatepossono dividersi a partire dalle contraddizionisociali nel loro seno eopponendosi allasindaca­lizzazione e alla proclamazione di scioperi dapartedelletruppeedeicomandiinferiori,questipartiti si dislocano inevitabilmente per ilmantenimento della struttura delle forzearmate così com'è. È così perché ogni sciopero oconflitto nelle forze armate implica una rotturadella catena di comando, dal momento che èchiaro che se la base sciopera lo fa contro i suoisuperiori o contro lo stesso governo borghese. Eallora, chi è che professa una politica cherafforza le forze repressive? Chi cerca di appro­fondire lo scontro fra la base e la cupola delleforze armate oppure chi si oppone alla messa indiscussione dall'interno della catena di co­mando?L'analisi del Pts e del Nuovo Mas non ha fonda­mento nella realtà, benché essi cerchino di rive­stirladi unafraseologia“di sinistra”.È noto atuttiche in Argentina e molti altri Paesi i membri de­gli eserciti professionali e le forze di sicurezzanon sono lavoratori; ma la loro origine di classe,il loro carattere di stipendiati, le loro condizionilavorative, i luoghi dove abitano, creano nume­rosi vasi comunicanti con la classe operaia e ciòapre la possibilità dell'influenza di una politicaoperaia e rivoluzionaria. È così perché il capita­lismo non è in condizione di pagare alti stipendiall'insieme delle sue forze repressive. O sono lastessa cosa un gendarme argentino o un poli­ziotto militare brasiliano che ricevono un sala­rio miserabile e vivono in un quartiere poverorispetto a un colonnello o un generale che gua­dagnano dieci volte di più e vivono in quartieriricchi? Non esiste nessuna contraddizione diclasse che i rivoluzionari possano sfruttare perdistruggere quest'apparato controrivoluziona­rio al fine di preparare le condizioni della rivolu­zione socialista?

Solo con la rivoluzione?

Il secondo argomento del Pts e del Nuovo Mas (èuna politica che può essere applicata solo in si­tuazioni rivoluzionarie), oltre a rappresentareuna capitolazione al governo Kirchner e agli alticomandi militari, è spontaneista e pacifista.Abbandonando una politica permanente e pre­ventiva di agitazione e propaganda sulla base e gliufficiali in basso grado delle forze armate e ri­mandandola a quando la situazione sarà critica erivoluzionaria, queste organizzazioni cadononello spontaneismo. Se seguissimo queste indi­cazioni, il nostro compito sarebbe – fin quandonon si produca la situazione rivoluzionaria del ti­po dell'Ottobre russo – restare seduti ad assisterea questo tipo di crisi e scontri (molti dei quali fisi­ci) fra i soldati e i loro comandanti e governiborghesi. Ma ciò non ha nulla a che vedere conquanto consigliava la Terza Internazionale che,

fra la 21 condizioni per accettare partiti al suointerno, stabiliva: «Il dovere di propagandare leidee comuniste implica la necessità assoluta direalizzare una propaganda e un'agitazione siste­matica e perseverante fra le truppe». La politica dinon fareagitazioneepropagandafra letruppeo labase delle forze armate fino a che non “suonil'ora” di un'insurrezione è spontaneista e può so­lo portare con sé sconfitte per il proletariato inuna prospettiva strategica.La politica di queste organizzazioni è pacifistapoiché rifiuta la lotta politica all'interno delleforze armate. Sappiamo che senza la divisionedelle forze armate borghesi non esiste la possibi­lità che trionfi la rivoluzione socialista, né quelladi distruggere queste forze repressive. Fra coloroche sono d'accordo con questa premessa esisto­no due settori: i leninisti­trotskisti, che ritengonoche per quest'obiettivo sia necessario un lavoropolitico sistematico sulla base di queste forze re­pressive nel senso di approfondire la loro crisi; isettori guerriglieri fochisti che ritengono neces­sario costruire un esercito popolare che si rafforzigradualmente fino allo scontro finale e decisivocon l'esercito della borghesia. I guerriglieri hannouna tattica sbagliata, però hanno l'obiettivo didistruggere le forze armate dello Stato borghese.Se il Pts e il Nuovo Mas non difendono né l'una nél'altra posizione, è chiaro che la loro è una posturapacifista che, pertanto, nega la stessa strategiadell'insurrezione. Nei fatti, sono favorevoli almantenimento della struttura di comando delleforze repressive, posizione tipica del pacifismoreazionario.Però, insistiamo. Queste organizzazioni si conso­lano – e cercano di giustificare la loro politica –parlando di una situazione futura, della situazio­ne rivoluzionaria, di un possibile nuovo Ottobre,che nella realtà di oggi non esiste ancora. Ciò cheinvece esiste, e probabilmente continuerà a pro­dursi anche senza che si verifichi una situazionerivoluzionaria, sono – come prodotto della crisicapitalistica e dell'impossibilità di garantire allabase delle forze repressive migliori salari e condi­zioni di lavoro – scioperi come quelli dei pompie­ri di Rio de Janeiro o della Gendarmeria e dellaPrefettura in Argentina, ammutinamenti comequelli dell'Ecuador, la formazione di sindacati dipolizia in Argentina o l'appello di questi sindacatia mobilitarsi insieme ai lavoratori. In questi pro­cessi si rompe sempre la “catena di comando”(centro del funzionamento di queste istituzioni),si insultano e si aggrediscono gli ufficiali superio­ri, si occupano caserme (com'è stato nel caso deivigili del fuoco di Rio) e si verificano forti repres­sioni e punizioni agli insubordinati da parte deglialti comandi.Di fronte a questa realtà – e non certo a situazioniche ancora non esistono – le domande a cui ri­spondere sono semplici: è meglio che questisettori si mobilitino e lottino contro lo Stato e i go­verni capitalisti con metodi della classe operaia ono? Gli scontri all'interno delle forze repressivedella base contro la cupola militare favoriscono ilavoratori o rafforzano lo Stato borghese? Creanooppure no migliori condizioni in preparazione diuna situazione rivoluzionaria e la distruzione diqueste istituzioni repressive? È meglio chetrionfino o che siano sconfitti? Per noi le rispostesonopositiveediqui lanostrapoliticad'appoggioa queste lotte.Il Pts e il Nuovo Mas traggono la conclusioneopposta. Sono lotte reazionarie e bisogna esserecontro. Con ciò, frasi ultrasinistre a parte, fanno

ungranfavoreallaborghesiapoichéfinisconopermilitare per la sconfitta di processi progressivi e,in tal modo, allontanano la classe operaia da unapolitica di distruzione di queste istituzioni.Al riguardo vogliamo essere categorici: questeorganizzazioni finiscono per convergere con laborghesia, i governi e i regimi capitalisti. Adesempio, il Nuovo Mas ha aggiunto alla sua anali­si sul perché era contro questa lotta una presunta«dinamica pericolosa di mettere in discussioneda destra le autorità costituite». Questo partito,così come tutto il padronato e il governo argenti­no, è rimasto allarmato perché una possibilevittoria delle rivendicazioni salariali deigendarmi insubordinati poneva «in questione lasua “subordinazione” al potere politico». Ma po­tere politico di chi? Sicuramente della borghesiaargentina attraverso il governo di CristinaKirchner.Crediamo che quest'analisi sia totalmente sba­gliata. In nessun momento si è trattato di untentativo di golpe, bensì di rivendicazioni salaria­li. Si sarebbe potuto trattare di un tentativo digolpe che ponesse in questione le libertà demo­cratiche, ma non è stato così. Ma anche nel qua­dro di questo profondo errore dicaratterizzazione – e a partire da esso – la politicadel Nuovo Mas è totalmente inconseguenteperché, se fossimo stati di fronte a un colpo distato militare, avrebbe dovuto fare appello ai la­voratori e persino a settori borghesi “istituziona­listi” per un'ampia unità d'azione che, attraversola mobilitazione, potesse far fronte a questo po­tenziale golpe reazionario. In altre parole, nelquadro di un'analisi totalmente sbagliata, unastensionismo criminale di fronte al presuntogolpe che si denunciava.Ma, poiché non si è trattato di un golpe, nei fatti sièpassatiadifenderele“autoritàcostituite”daunalotta salariale che le sfidava in quanto “poterepolitico”. Questo è stato il ruolo vergognoso delNuovo Mas – che lo ha detto apertamente – eanche del Pts.Da ultimo, diciamo che la principale organizza­zione della sinistra argentina, il Partido Obrero(4),non ha assunto nessuna posizione di fronte aifatti.Benchépaiaincredibile,neisuoitesticisonomolte analisi su ciò che ha prodotto questoconflitto, ma è impossibile sapere se il PO eracontro o a favore della lotta dei gendarmi e dellapolizia navale. Rispetto a un avvenimento che hascosso la vita politica argentina, il Partido Obreroha risposto, “grazie, non fumo”, cioè non ha presoposizione su questo scontro: il che pure rappre­senta una posizione pacifista e una capitolazioneal governo e alla cupola militare argentina

Note

(1) “La protesta dei repressori ha aperto una crisipolitica”, 4/10/2012, disponibile nel sito web delPts.(2) Jonatan Ros, “La continuazione del pacifismoper altri mezzi”, 18/10/2012, pubblicato in LaVerdad Obrera, n.497.(3)JoséLuisRojo,“Un'analisidiclassedelleforzedisicurezza”, 18/10/2012, pubblicato nel sito web diSocialismo o Barbarie, corrente internazionalediretta dal Nuovo Mas argentino.(4) La principale organizzazione del sedicenteCoordinamento per la Rifondazione della QuartaInternazionale, cioè l'impercettibile correnteinternazionale cui fa riferimento, in Italia, il Pcl diFerrando e Grisolia (Ndt).

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16 Gennaio ­ Febbraio 2013 PROGETTO COMUNISTA

Un giornale che vede continuamente ampliarsi il numero dei suoi lettori, a cui dedica un numerocrescente di pagine (ora sono venti, con un foglio centrale scritto dai Giovani di Alternativa Comunista),notizie di lotta, interviste, articoli di approfondimento sulla politica italiana e internazionale, traduzioni diarticoli dalla stampa della Lit-Quarta Internazionale, testi di teoria e storia del movimento operaio.Progetto comunista è un prodotto collettivo: ad ogni numero lavorano decine di compagni.E' scritto da militanti e si rivolge a militanti e attivisti delle lotte.Viene diffuso in forma militante dalle sezioni del Pdac e da tutti i simpatizzanti e da coloro che sonodisponibili a diffonderlo nei loro luoghi di lavoro o di studio.Abbonarsi a Progetto comunista non è soltanto importante per leggere il giornale e sostenere unacoerente battaglia rivoluzionaria:è anche un'azione utile per contribuire a far crescere le lotte, il loro coordinamento internazionale, laloro radicalità. Se vuoi conoscere PROGETTO COMUNISTA, puoi leggere i pdf dei numeri precedenti sualternativacomunista.org

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La crisi capitalista morde i salari. La crisi capitalista crea disoccupazione di massa.La crisi capitalista distrugge la vita di milioni di persone con nuova precarietà e oppressione, miseria,razzismo, sfruttamento!Ma contro la crisi e il tentativo della borghesia e dei suoi governi, di centrodestra e di centrosinistra, discaricarne i costi sui proletari, crescono le manifestazioni in tutta Europa, dalla Spagna alla Grecia,proteste studentesche in Italia, lotte (per ora ancora isolate) in diverse fabbriche del nostro Paese.Lotte contro la Troika europea che detta la linea del più pesante attacco ai diritti delle masse popolaridegli ultimi decenni.La situazione è straordinaria e vede un impegno straordinario del Pdac per far crescere le lotte indirezione di una coerente prospettiva di classe, di potere dei lavoratori.

mmaa ppeerrcchhee'' vviinnccaa sseerrvvoonnoo ttrree ccoossee:: iill ppaarrttiittoo,, iill ppaarrttiittoo,, iill ppaarrttiittooiissccrriivviittii aall ppaarrttiittoo ddii aalltteerrnnaattiivvaa ccoommuunniissttaa sseezziioonnee ddeellllaalleeggaa iinntteerrnnaazziioonnaallee ddeeii llaavvoorraattoorrii ‐‐ qquuaarrttaa iinntteerrnnaazziioonnaalleelloo ssttrruummeennttoo ppeerr llaa rriiccoossttrruuzziioonnee ddeell ppaarrttiittoo ddeellllaa rriivvoolluuzziioonnee ssoocciiaalliissttaa mmoonnddiiaallee

da nord africa emedIORIENTE... un grido risuona: