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PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI INDICATORI DI PERICOLO E RISCHIO DA FRANA A SCALA INTERMEDIA: L’AREA DELLA STRETTA DI CATANZARO (CALABRIA, ITALIA) Giovanni Gullà, Loredana Antronico, Marino Sorriso-Valvo & Carlo Tansi CNR - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica - Sezione di Cosenza, Via Cavour 4/6 - 87030 Rende (CS), Italia e-mail: [email protected] PREMESSA La valutazione della pericolosità e del rischio rappre- senta una delle problematiche di maggiore rilievo nello studio dei movimenti in massa. Fra i molteplici aspetti connessi a tale studio quelli evidenziati si prestano ad essere trattati da diversi punti di vista disciplinari e sono anche fra quelli che più efficacemente possono essere affrontati con un approccio interdisciplinare. La definizione usuale della pericolosità da frana è riferita al singolo fenomeno e la sua valutazione rigoro- sa, nei limiti delle assunzioni che in ogni caso è neces- sario fare per schematizzare la complessa problemati- ca, ha come presupposto la definizione del modello geotecnico dell’instabilità di pendio. Bisogna tuttavia rilevare il diffuso interesse alla connotazione areale della pericolosità e del rischio da frana (Brabb, 1984; Varnes, 1984; Einstein, 1988; Brabb, 1989; Canuti & Casagli, 1996; Antronico et al., 1999; Gullà, 2001; Gullà, 2002). I punti di vista richiamati sono strettamente connessi e richiedono pertanto una più convinta trattazione uni- taria ed organica per conseguire avanzamenti significa- tivi in termini conoscitivi ed applicativi. Una tale visio- ne è opportuna anche quando è necessario procedere in maniera disgiunta a valutazioni puntuali o areali della pericolosità e del rischio da frana. L’analisi del singolo caso di instabilità di pendio può essere condotta eseguendo i rilievi, le indagini e gli studi necessari alla definizione del relativo modello geotecnico, per la cui individuazione si può dunque seguire un percorso canonico, lungo il quale, tuttavia, Geologica Romana 38 (2005), 97-121 RIASSUNTO - Le problematiche pericolosità e rischio da frana, sicuramente fra quelle di maggiore rilievo nello studio dei movimenti in massa, possono prestarsi ad una trattazione disciplinare, ma sono fra quelle che più efficacemente sono affrontabili con un approccio interdisciplinare. Assumendo come riferimento generale tale indicazione, nella nota è proposta una metodologia per la valutazione indicizzata della pericolosità e del rischio da frana, predisposta e validata con gli elementi conoscitivi desunti dalla “Carta litologico-strutturale e dei movi- menti in massa della Stretta di Catanzaro” alla scala 1:50.000. Il lavoro illustrato mostra come la Carta fornisca efficacemente gli elementi di valutazione utili per la scala intermedia utilizzata. La metodologia, semplice e robu- sta, consente di trarre indicazioni convenzionali circa la pericolosità ed il rischio (Indicatore di Pericolo e Indicatore di Rischio) con le quali è possibile delineare le priorità di intervento ed orientare oculatamente gli studi di dettaglio. La metodologia di valutazione può facilmente includere elementi specifici e conoscenze generali che si rendono man mano disponibili. Nell’area di studio si rileva che le instabilità sono caratterizzate da Indicatore di Pericolo medio (iP2) nel 58% dei casi, e moderato (iP1) nel 32% dei casi; il restante 10% riguarda instabilità con Indicatore di Pericolo elevato e molto elevato. La stima del rischio, condotta a titolo esemplificativo su un gruppo di instabilità, ha evidenziato il ruolo giocato dall’Indicatore di Pericolo e quindi dagli elementi utilizzati per la sua definizione. PAROLE CHIAVE: Movimento in massa, indicatore, pericolosità, rischio. ABSTRACT - Landslide hazard and risk are amongst items of major concern in the field of slope stability stud- ies. These topics can be suitable for disciplinary treatment, but they can be most effectively faced with an inter- disciplinary approach. Based on this concept, in this paper a method for the assessment of landslide hazard and risk is proposed. The procedure has been developed by means of elements extracted from the geological and mass movements map of the Stretta di Catanzaro (Central Calabria, Southern Italy), drawn at 1:50,000 scale for this purpose. The paper shows how the Map efficiently provides evaluation elements given the adopted intermediate scale. The procedure, simple and robust, permits to get conventional rank elements for hazard and risk assessment (Hazard Index and Risk Index) that allow to delineate action priorities and to properly address detail studies. The evaluation procedure can easily include elements of specific and general knowledge as they are available. In the study area it is evident that slope instability phenomena are characterised by a medium value of Hazard Index (iP2) in the 58% of cases, and by a moderate value (iP1), in the 32% of cases. The risk estimation, carried out as an example on a group of instability phenomena, underlined the extremely important role played by the elements considered to define Hazard Index classes. KEY WORDS: Mass movement, index, hazard, risk.

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PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONEDI INDICATORI DI PERICOLO E RISCHIO DA FRANA A SCALA INTERMEDIA:

L’AREA DELLA STRETTA DI CATANZARO (CALABRIA, ITALIA)

Giovanni Gullà, Loredana Antronico, Marino Sorriso-Valvo & Carlo TansiCNR - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica - Sezione di Cosenza, Via Cavour 4/6 - 87030 Rende (CS), Italia

e-mail: [email protected]

PREMESSA

La valutazione della pericolosità e del rischio rappre-senta una delle problematiche di maggiore rilievo nellostudio dei movimenti in massa. Fra i molteplici aspetticonnessi a tale studio quelli evidenziati si prestano adessere trattati da diversi punti di vista disciplinari esono anche fra quelli che più efficacemente possonoessere affrontati con un approccio interdisciplinare.

La definizione usuale della pericolosità da frana èriferita al singolo fenomeno e la sua valutazione rigoro-sa, nei limiti delle assunzioni che in ogni caso è neces-sario fare per schematizzare la complessa problemati-ca, ha come presupposto la definizione del modellogeotecnico dell’instabilità di pendio. Bisogna tuttaviarilevare il diffuso interesse alla connotazione areale

della pericolosità e del rischio da frana (Brabb, 1984;Varnes, 1984; Einstein, 1988; Brabb, 1989; Canuti &Casagli, 1996; Antronico et al., 1999; Gullà, 2001;Gullà, 2002).

I punti di vista richiamati sono strettamente connessie richiedono pertanto una più convinta trattazione uni-taria ed organica per conseguire avanzamenti significa-tivi in termini conoscitivi ed applicativi. Una tale visio-ne è opportuna anche quando è necessario procedere inmaniera disgiunta a valutazioni puntuali o areali dellapericolosità e del rischio da frana.

L’analisi del singolo caso di instabilità di pendio puòessere condotta eseguendo i rilievi, le indagini e glistudi necessari alla definizione del relativo modellogeotecnico, per la cui individuazione si può dunqueseguire un percorso canonico, lungo il quale, tuttavia,

Geologica Romana 38 (2005), 97-121

RIASSUNTO - Le problematiche pericolosità e rischio da frana, sicuramente fra quelle di maggiore rilievonello studio dei movimenti in massa, possono prestarsi ad una trattazione disciplinare, ma sono fra quelle che piùefficacemente sono affrontabili con un approccio interdisciplinare. Assumendo come riferimento generale taleindicazione, nella nota è proposta una metodologia per la valutazione indicizzata della pericolosità e del rischioda frana, predisposta e validata con gli elementi conoscitivi desunti dalla “Carta litologico-strutturale e dei movi-menti in massa della Stretta di Catanzaro” alla scala 1:50.000. Il lavoro illustrato mostra come la Carta forniscaefficacemente gli elementi di valutazione utili per la scala intermedia utilizzata. La metodologia, semplice e robu-sta, consente di trarre indicazioni convenzionali circa la pericolosità ed il rischio (Indicatore di Pericolo eIndicatore di Rischio) con le quali è possibile delineare le priorità di intervento ed orientare oculatamente gli studidi dettaglio. La metodologia di valutazione può facilmente includere elementi specifici e conoscenze generali chesi rendono man mano disponibili. Nell’area di studio si rileva che le instabilità sono caratterizzate da Indicatoredi Pericolo medio (iP2) nel 58% dei casi, e moderato (iP1) nel 32% dei casi; il restante 10% riguarda instabilitàcon Indicatore di Pericolo elevato e molto elevato. La stima del rischio, condotta a titolo esemplificativo su ungruppo di instabilità, ha evidenziato il ruolo giocato dall’Indicatore di Pericolo e quindi dagli elementi utilizzatiper la sua definizione.

PAROLE CHIAVE: Movimento in massa, indicatore, pericolosità, rischio.

ABSTRACT - Landslide hazard and risk are amongst items of major concern in the field of slope stability stud-ies. These topics can be suitable for disciplinary treatment, but they can be most effectively faced with an inter-disciplinary approach. Based on this concept, in this paper a method for the assessment of landslide hazard andrisk is proposed. The procedure has been developed by means of elements extracted from the geological and massmovements map of the Stretta di Catanzaro (Central Calabria, Southern Italy), drawn at 1:50,000 scale for thispurpose. The paper shows how the Map efficiently provides evaluation elements given the adopted intermediatescale. The procedure, simple and robust, permits to get conventional rank elements for hazard and risk assessment(Hazard Index and Risk Index) that allow to delineate action priorities and to properly address detail studies. Theevaluation procedure can easily include elements of specific and general knowledge as they are available. In thestudy area it is evident that slope instability phenomena are characterised by a medium value of Hazard Index(iP2) in the 58% of cases, and by a moderate value (iP1), in the 32% of cases. The risk estimation, carried out asan example on a group of instability phenomena, underlined the extremely important role played by the elementsconsidered to define Hazard Index classes.

KEY WORDS: Mass movement, index, hazard, risk.

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sono ancora molti gli aspetti che necessitano di appro-fondimenti (Einstein, 1988; Hutchinson, 1992; Fell,1994).

Per la valutazione areale della pericolosità e delrischio da frana sono numerose le proposte che si ritro-vano in letteratura ed un loro esame organico consente dievidenziarne alcuni aspetti cruciali (Carrara et al., 1982;Carrara, 1983; Brabb, 1984; Varnes, 1984; Einstein,1988; Brabb, 1989; Canuti & Casagli, 1996; Crescenti,1998; Aleotti & Chaudrhury, 1999; Antronico et al.,1999; Gullà, 2001; Gullà, 2002; Sorriso-Valvo, 2002).

Nella valutazione areale della pericolosità e del rischiodue aspetti, non sempre tenuti in debito conto, assumo-no particolare importanza: l’estensione della zona diinteresse ed il tempo che, compatibilmente con le finali-tà di tale valutazione, si può utilizzare. Per poter infatticoncludere in tempi accettabili tutte le attività necessariee conseguire risultati coerenti alla scala di rilievo e rap-presentazione, bisogna individuare la minima dimensio-ne delle instabilità da considerare per la valutazioneareale della pericolosità e del rischio. Riguardo quantoesposto è essenziale una scelta congruente degli stru-menti di indagine ed analisi.

L’impostazione delineata è stata seguita per trarre indi-cazioni circa la pericolosità ed il rischio da frana in un’a-rea d’importanza strategica per lo sviluppo dellaCalabria, dell’estensione di circa 1000 km2, che coinci-de con la Stretta di Catanzaro, Fig. 1. Accurati rilievigeologico-strutturali e geomorfologici hanno consentitola redazione della “Carta litologico-strutturale e deimovimenti in massa della Stretta di Catanzaro”, allascala 1:50.000, allegata alla presente nota e di seguitorichiamata come Carta (Antronico et al., 2001). LaCarta fornisce gli elementi assunti come riferimentogenerale per sviluppare la metodologia proposta nellapresente nota.

CARTOGRAFIA DI RIFERIMENTO

Generalità

Il criteri assunti per la redazione della Carta sono cor-relati e calibrati all’estensione dell’area di studio e deter-minano gli elementi di valutazione della pericolosità e delrischio da frana.

La scala considerata (1:50.000) consente di procedereal rilievo ed alla rappresentazione degli elementi da utiliz-zare in maniera congruente, affidabile ed in tempi accet-tabili.

La coerenza dei dati è vincolata alla dimensione mini-ma reale che si può rappresentare sulla carta. Pertanto, nelcaso specifico, sono rappresentati tutti gli elementi relati-vi alle litologie, alle strutture ed ai movimenti in massacon dimensioni maggiori o uguali a 2 mm (100 m comedimensione reale).

Geologia

La Stretta di Catanzaro nel quadro geodinamico del-l’Arco calabro-peloritano

La Stretta di Catanzaro ricade nel contesto geologicoregionale dell’Arco calabro-peloritano (Amodio-Morelliet al., 1976), un’ampia porzione d’origine alpina dallacaratteristica forma ad arco, interposta tra la catenamagrebide (ad andamento E-O) e l’Appennino meridio-nale (ad andamento NO-SE) (Ben Avraham et al., 1990).Strutturalmente esso rappresenta un thrust-system prodot-to dalla sovrapposizione, tra il Cretaceo superiore ed ilPaleogene, di una serie di unità cristallino-metamorfichepaleozoiche derivanti dalla deformazione di domini con-tinentali ed oceanici.

Successivamente alla sua strutturazione, l’Arco cala-bro-peloritano è stato interessato da un’intensa fase tetto-nica post-orogenica estensionale, iniziata dal PlioceneSuperiore e tutt’ora in atto (Westaway, 1993; Wortel &Spacman, 1993; De Jonge et al., 1994; Tortorici et al.,1995; Monaco et al., 1996).

L’estensione ha prodotto un’ampia zona di rift, denomi-nata da Monaco & Tortorici (2000) “rift-zone siculo-cala-bra” (Fig. 2), strutturata da un sistema di faglie normalisismogeniche (Postpischl, 1985; Boschi et al., 1995), chesi estende dalla costa orientale della Sicilia, attraverso loStretto di Messina, fino al settore nord-occidentale dellaCalabria. Le faglie presentano direzioni variabili tra N-Se NE-SO e, meno frequentemente, evidenziano un anda-mento trasversale (direzioni medie ONO-ESE).

I singoli segmenti di faglia che costituiscono la rift-zone hanno frammentato l’Arco calabro-peloritano inbacini sedimentari marini, disposti sia parallelamente chetrasversalmente rispetto alla direzione dell’Arco, ed inblocchi sollevati. Le faglie, che mostrano scarpate bensviluppate e con sensibile grado di “freschezza” morfolo-gica, in Calabria sollevano e delimitano i fronti dei prin-cipali sistemi montuosi (Aspromonte, Serre, CatenaCostiera, Sila).

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Fig. 1 - Localizzazione dell’area di studio.– Siting of the study area.

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I sistemi di faglie ad andamento trasversale della rift-zone siculo-calabra rivestono un ruolo particolarmenteimportante nell’area in esame, in quanto individuano ladepressione tettonica (graben) che corrisponde allaStretta di Catanzaro.

Caratteri litologico-strutturali

Da un punto di vista geologico-strutturale la Stretta diCatanzaro è una depressione tettonica denominata “gra-ben di Catanzaro” (Tansi et al., 1998). Il graben è colma-to da depositi plio-quaternari. Esso è stato strutturato dafaglie sub-verticali con direzioni prevalenti ONO-ESEche evidenziano cinematismi per lo più normali, con unacomponente di trascorrenza sinistra che talora può diven-

tare predominante. Il graben è interposto tra due horstcostituiti da unità cristallino-metamorfiche paleozoicheappartenenti all’Arco calabro-peloritano (Amodio-Morelli et al., 1976) rappresentati, rispettivamente, dallepropaggini più meridionali dei sistemi Catena Costiera-Altopiano Silano e da quelle più settentrionali delMassiccio delle Serre.

Lungo il bordo settentrionale del “graben di Catan-zaro”, la faglia “Gizzeria-Nicastro-Pianopoli-Marcelli-nara” rappresenta l’elemento tettonico più rilevante suscala regionale poichè giustappone i litotipi cristallino-metamorfici paleozoici del sistema Catena Costiera-Silaai depositi plio-quaternari. Il tratto occidentale della scar-pata della suddetta faglia è marcato da conoidi di deiezio-ne di dimensioni rilevanti.

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Fig. 2 - Caratteri sismotettonici della “rift-zone siculo-calabra” (da Monaco & Tortorici, 2000).– Seismo-tectonics of the Calabria-Sicily rift-zone (from Monaco & Tortorici, 2000).

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ...

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Le faglie che strutturano il bordo meridionale del gra-ben di Catanzaro risultano assai meno evidenti e sonoriconducibili alle sole direttrici “Jacurso-Copanello” e“Maida-Case San Fantino”, che segnano il limite tra ilitotipi cristallini appartenenti al Massiccio delle Serre ei depositi sedimentari plio-quaternari che colmano ilgraben. In questo settore si riscontra inoltre un’assenzadi conoidi di deiezione.

L’horst del sistema Catena Costiera-Altopiano Silano,è costituito da rocce cristallino-metamorfiche paleozoi-che d’origine alpina riferibili all’Arco calabro-peloritanoe da rocce carbonatiche giurassiche appartenenti ad unasottostante catena appenninica neogenica, localmenteaffioranti in finestra tettonica.

Secondo Amodio-Morelli et al. (1976), la catenaalpina è strutturata dalla sovrapposizione tettonica dicinque unità rappresentate, dalla più bassa alla più eleva-ta strutturalmente, da: Unità del Frido, costituita darocce metamorfiche di grado da basso a medio, d’origineoceanica d’età cretacea; Unità di Gimigliano, costituitada rocce verdi (metabasalti e serpentiniti) d’origineoceanica d’età Giurassico-Cretaceo inferiore; Unità diBagni, costituita da rocce metamorfiche paleozoiche dimedio grado, d’origine continentale; Unità di Polia-Copanello costituita da gneiss kinzigitici paleozoici d’o-rigine continentale profonda; Unità di Castagna costitui-ta da gneiss occhiadini, paragneiss biotitici e micascistigranatiferi.

Al di sopra della catena alpina così strutturata sovras-corre l’Unità di Stilo costituita da un “basamento” pale-ozoico (composto da filladi e graniti), ricoperto da roccecarbonatiche, conglomerati ed arenarie del Triassico-Cretaceo superiore. La sottostante catena appenninica èrappresentata da rocce carbonatiche triassiche apparte-nenti al Complesso Panormide (Ogniben, 1973).

Le varie unità di catena sono ricoperte in discordanzada sedimenti terrigeni del Miocene superiore-Plioceneinferiore interessati da trasporto orogenico (Amodio-Morelli et al., 1976) riferibili a due distinti cicli sedimen-tari (Di Nocera et al., 1974): un ciclo Tortoniano supe-riore-Messiniano, rappresentato da conglomerati a ciot-toli di rocce cristalline e calcareniti bioclastiche, ed unciclo Messiniano-Pliocene inferiore, rappresentato daconglomerati a ciottoli di rocce evaporitiche e calcaree eda sabbie.

Su un substrato costituito dalle unità di catena e daidepositi tortoniano-pliocenici, poggiano le coperture ter-razzate d’età pleistocenica costituite da conglomerati esabbie d’origine marina e continentale. I terrazzi affiora-no a differenti altezze e sono delimitati da inner edgesche spesso corrispondono alla base delle scarpate delleprincipali faglie normali.

In corrispondenza dell’horst del Massiccio delle Serrele unità di catena sono rappresentate dalla sola Unità diPolia-Copanello (Amodio-Morelli et al., 1976). Le roccegneissiche che la costituiscono sono ricoperte da potenticoltri d’alterazione pleistoceniche. Al di sopra della sud-detta unità e della relativa coltre d’alterazione poggianocoperture terrazzate marine e continentali pleistoceniche

con caratteri del tutto simili a quelli affioranti nel setto-re settentrionale dell’area di studio.

Litologie

Date le finalità del lavoro, le molte unità stratigrafichee tettonostratigrafiche affioranti sono state raggruppatenella Carta in “tipi litologici”.

I tipi litologici sono stati in gran parte derivati dallacarta geologica della Calabria in scala 1:25.000(Casmez, 1967) e, in minor misura, derivano da lavoriinediti compiuti dagli Autori della Carta nella zona inesame.

Nel presente paragrafo vengono descritte, per i varitipi litologici, le unità formazionali che li costituisconoseguendo l’ordine riportato nella legenda della Carta.

DEPOSITI OLOCENICI (OL). Sono rappresentati daisedimenti fluviali, dune e sabbie eoliche, detriti di franae dai depositi di conoide affioranti prevalentementelungo il bordo settentrionale del graben di Catanzaro.

DEPOSITI PLEISTOCENICI TERRAZZATI (PLC,PLM). Sono stati distinti in depositi continentali e depo-siti marini. I depositi terrazzati d’origine continentale(PLC) sono costituiti da conglomerati con ciottoli cri-stallini in una matrice sabbiosa grossolana intercalati dalivelli sabbiosi. I depositi terrazzati d’origine marina(PLM) comprendono conglomerati di facies deltizia esabbie talora fossilifere intercalate da orizzonti ghiaiosie conglomeratici.

COLTRI D’ALTERAZIONE PLEISTOCENICHE(COL). Comprendono conglomerati e sabbie residualicorrispondenti all’orizzonte d’alterazione degli gneissdell’Unità di Polia Copanello. Lo spessore è dell’ordinedei metri.

SEDIMENTI TORTONIANO-PLIOCENICI (ARG,AS, CGL, EV). Sotto questa denominazione sono statiraggruppati sia i depositi medio-suprapliocenici di riem-pimento del graben di Catanzaro, sia i depositi terrigenidel Miocene superiore-Pliocene inferiore (Di Nocera etal., 1974).

• “Depositi prevalentemente argillosi” (ARG). Com-prende depositi infra-pliocenici rappresentati da argillesiltose da grigio chiare a brune con intercalazioni sab-biose, siltose e marnose e depositi alto-miocenici rappre-sentati da argille sabbiose e siltose di colore prevalente-mente grigio con lenti di gesso e con intercalazioni sab-bioso-arenacee.

• “Depositi prevalentemente sabbiosi ed arenacei”(AS). Comprende depositi del Pliocene medio-superiorerappresentati da sabbie brune a grana da media a fine conintercalazioni frequentemente siltose e raramente con-glomeratiche, localmente fossilifere ed a stratificazioneincrociata, da depositi alto-miocenici rappresentati daarenarie a cemento calcareo e sabbie a grana da fine agrossolana con intercalazioni di argille e silt e con occa-sionali sottili orizzonti di gesso e di calcare.

• “Depositi prevalentemente conglomeratici” (CGL).Comprende depositi del Pliocene medio-superiore rap-presentati da conglomerati ben costipati e cementati a

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ciottoli arrotondati di rocce ignee e metamorfiche conorizzonti sabbiosi e da depositi altomiocenici rappresen-tati da conglomerati rossi e bruni con ciottoli poco arro-tondati e mal classati di rocce cristalline e calcaree,immersi in una matrice sabbiosa grossolana e localmen-te argillosa, caratterizzati nelle porzioni sommitali dablocchi di gesso di dimensioni rilevanti.

• “Rocce evaporitiche e bioclastiche” (EV). Com-prende litotipi altomiocenici rappresentati da gessimacrocristallini massicci intercalati da sottilissimi livel-li di sabbie fini e da calcari evaporitici vacuolari di colo-re biancastro.

UNITÀ DELLA CATENA ALPINA CRETACICO-PALEOGENICA (FR, GIM, BAG, PCOP, CAS, STM,STG, STC). Riguardo alle unità tettoniche che costitui-scono la catena alpina cretacico-paleogenica, ed alle lorodenominazioni ed ai loro reciproci rapporti tettonostrati-grafici, è stato adottato quasi integralmente lo schemaproposto da Amodio-Morelli et al. (1976).

Dal basso verso l’alto sono state distinte le seguentiunità:

• “Unità del Frido” (FR). Comprende rocce metamor-fiche da medio a basso grado d’origine oceanica rappre-sentate da argilloscisti e filladi grigie cretacee compostida clorite, sericite e quarzo con frequenti intercalazioniquarzitiche ed occasionali intercalazioni di calcari cri-stallini, cui sono strettamente associate ofioliti apparte-nenti alla sottostante Unità di Gimigliano. Le rocce sonointensamente pieghettate. L’unità è interessata da unmetamorfismo alpino (HP/LT).

• “Unità di Gimigliano” (GIM). Comprende rocceverdi d’origine oceanica rappresentate da metabasiti conintercalazioni di calcari cristallini e di serpentiniti e concoperture carbonatiche d’età titonico-neocomiana.L’unità è interessata da un metamorfismo paragonabile aquello dell’Unità del Frido (HP/LT).

Le due suddette unità metamorfiche sono attribuibiliad un dominio paleogeografico di mare profondo riferi-bile al Complesso Liguride di Ogniben (1973).

• “Unità di Bagni” (BAG). Comprende rocce meta-morfiche di medio grado d’origine continentale rappre-sentate da filladi grigie paleozoiche composte da clorite,muscovite e quarzo, con intercalazioni di metareniti eporfiroidi. L’unità è interessata da un metamorfismo infacies scisti verdi.

• “Unità di Polia-Copanello” (PCOP). Comprendegneiss kinzigitici d’origine continentale profonda a gra-nato e sillimanite, frequentemente biotitici intercalati darocce granitiche e granodioritiche e da filoni aplitici epegmatitici. L’unità comprende anche gneiss tonalitici equarzo-dioritici intercalati da masse di anfiboliti e peri-dotiti. Gli gneiss si presentano in affioramento intensa-mente fratturati ed alterati e, talora, ridotti in caratteristi-ci “sabbioni ”. Il metamorfismo prealpino è in facies gra-nulitica.

• “Unità di Castagna” (CAS). Comprende gneissocchiadini a due miche, spesso fortemente foliati, e para-gneiss biotitici minuti a muscovite e, localmente, a silli-manite. L’unità è interessata da frequenti superfici di

sovrascorrimento talora marcate da duplex costituiti damicascisti granatiferi e da frequenti livelli pegmatitici egranitoidi. In affioramento le rocce si presentano da fre-sche a profondamente alterate e degradate. L’unità èinteressata da un metamorfismo prealpino in facies scistiverdi.

Le Unità di Bagni, di Polia-Copanello e di Castagnasono riferibili al Complesso Calabride di Ogniben(1973).

• “Unità di Stilo”. È costituita da un “basamento” pre-triassico differenziato in un’unità metamorfica e in unasovrastante unità granitica; sul basamento poggiano indiscordanza successioni sedimentarie mesozoiche.

- Il basamento metamorfico (STM) comprende filla-di, metagrovacche e metacalcari intrusi da granito e davene di filoni di porfido, nonché paragneiss biotitici,localmente granatiferi, e gneiss biotitico-anfibolici,caratterizzati da un’intensa alterazione.

- Il basamento granitico (STG) comprende graniti egranodioriti spesso a microcristalli di k-feldspato, micro-granodioriti, tonaliti, micrograniti a due miche, interse-cati da filoni di porfidi rossi e verdi.

- La copertura (STC) è costituita da calcari neriticida massicci a ben stratificati, da dolomie saccaroidicompatte generalmente arenacee alla base e da conglo-merati ed arenarie di tipo “Verrucano”.

UNITÀ DELLA CATENA APPENNINICA NEOGE-NICA (DOL). Le unità carbonatiche triassiche dellacatena appenninica (Unità Panormidi di Ogniben, 1973),collocate, in posizione tettonica, al di sotto delle coltrialpine (Amodio-Morelli et al., 1976), sono rappresenta-te, nell’area in esame, da dolomie e brecce dolomitichelocalmente associate a calcari dolomitici. Tali rocceaffiorano, in finestra tettonica, tra Gizzeria e Nicastro.

Strutture tettoniche

Nella Carta sono stati distinti sovrascorrimenti efaglie ad alto angolo. I sovrascorrimenti sono legati allastrutturazione del thrust-system a polarità europea che haportato all’impilamento delle diverse unità che costitui-scono le catene alpina ed appenninica. Queste strutturesono d’età compresa tra il Cretaceo superiore e ilMiocene inferiore e pertanto sono riconoscibili esclusi-vamente all’interno delle unità cristallino-metamorfichepaleozoiche e delle unità panormidi mesozoiche. Datal’età, esse non presentano evidenze morfologiche e risul-tano smembrate dalle strutture tettoniche più recenti.

Le faglie ad alto angolo presentano piani sub-verticalie cinematismi normal-trascorrenti. Esse sono connesseprevalentemente con le fasi tettoniche post-orogenicheestensionali quaternarie legate al sollevamento isostaticodell’Arco calabro-peloritano.

La più evidente conseguenza dell’attività di questefaglie nell’area di studio, è la presenza di spettacolariterrazzi marini, raggruppati da Tortorici et al. (2002) insette ordini, che rappresentano il risultato dell’interazio-ne tra l’uplift tettonico e le oscillazioni eustatiche quater-narie (Westaway, 1993).

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 101Geologica Romana 38 (2005), 97-121

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L’età relativamente recente delle faglie ha consentitodi distinguerne, attraverso studi aerofotointerpretativi, leevidenze morfostrutturali (scarpate morfologiche, alli-neamenti di crinali con discontinuità altimetriche, fac-cette triangolari e trapezoidali, corsi d’acqua rettificati).

Laddove i dati morfotettonici hanno evidenziato setto-ri interessati da meccanismi deformativi particolarmentespinti, sono stati eseguiti rilievi mesostrutturali di cam-pagna atti a comprovare la natura tettonica dei lineamen-ti e a valutarne i cinematismi. Gli stili strutturali disuperficie sono stati confrontati ed affinati mediante l’in-terpretazione di dati di sottosuolo, quali profili sismici ariflessione AGIP e stratigrafie desunte da sondaggi diret-ti (sondaggi meccanici e trivellazioni), anche alla luce distudi basati sulle emissioni di gas elio (Guerra &Lombardi, 1984).

Le faglie ad alto angolo sono state differenziate nellaCarta, sulla base dei loro cinematismi prevalenti, in“faglie normali” e “faglie trascorrenti” e, sulla base delloro rigetto morfologico, in “faglie normali a rigetto ele-vato” e “limitato”. Per quest’ultima distinzione è statoconsiderato un limite approssimativo nel rigetto, valuta-to lungo la scarpata di faglia, dell’ordine di qualche deci-na di metri.

Sulla base di affinità giaciturali e cinematiche, lefaglie recenti sono raggruppabili in tre sistemi che ven-gono di seguito descritti.

SISTEMA DI FAGLIE NORMALI CON DEBOLECOMPONENTE DI TRASCORRENZA DESTRA ADORIENTAMENTO DA N-S A NNE-SSO. Nel settoredepocentrale della Stretta, il sistema è rappresentato dafaglie normali, poco frequenti, ribassanti verso E chedislocano i sedimenti tortoniano-pliocenici e pleistoceni-ci; a sud della direttrice “Jacurso-Stalettì” (descritta nelseguito), il sistema trova la sua massima espressionelungo le propaggini cristallino-metamorfiche più setten-trionali del Massiccio delle Serre.

SISTEMA DI FAGLIE NORMALI CON COMPO-NENTE DI TRASCORRENZA SINISTRAAD ORIEN-TAMENTO MEDIO ONO-ESE. È il sistema responsa-bile dell’individuazione del graben di Catanzaro. Ilbordo settentrionale del graben è caratterizzato da unsistema a “gradinata” di faglie ad andamento ONO-ESE,ribassanti verso SSO, che culmina, per estensione erigetti, con la direttrice “Gizzeria-Nicastro-Pianopoli-Marcellinara”. Tale faglia solleva le propaggini meridio-nali cristallino-metamorfiche paleozoiche del sistemaCatena Costiera-Altopiano Silano rispetto ai deposititortoniano-quaternari di riempimento del graben. Lascarpata di faglia, in parte mascherata lungo la sua por-zione orientale da conoidi di dimensioni rilevanti, evi-denzia un sensibile grado di “freschezza” morfologica emostra un andamento sinuoso in pianta (direzioni varia-bili tra E-O e ONO-ESE).

A nord della direttrice “Gizzeria-Nicastro-Pianopoli-Marcellinara”, faglie appartenenti al sistema ONO-ESEgiustappongono variamente le diverse unità paleozoiche,i depositi altomiocenici ed i depositi postorogeni: traqueste si segnalano le direttrici “Gagliano-Catanzaro”,

“Angoli-Tiriolo-Siano” e le due faglie normali antiteti-che (ribassanti verso N) che si sviluppano nell’area diCaraffa di Catanzaro.

Le faglie appartenenti al sistema ONO-ESE appaionocronologicamente più recenti per quasi tutto lo sviluppodel graben di Catanzaro, fatta eccezione per la porzioneNE dello stesso, dove risultano dislocate dal sistemaOSO-ENE, descritto di seguito.

Il bordo meridionale del graben di Catanzaro si pre-senta strutturalmente meno articolato rispetto al bordosettentrionale, essendo delimitato dalle due sole direttri-ci ONO-ESE ribassanti verso NNE, “Jacurso-Stalettì” e“Maida-Case S. Fantino”. Queste due strutture sonoresponsabili del sollevamento delle metamorfiti paleo-zoiche dell’Unità di Polia-Copanello rispetto ai sedi-menti plio-quaternari di riempimento del graben diCatanzaro. Immediatamente a sud delle suddette faglie, isistemi predominanti diventano decisamente le faglieestensionali appartenenti al sistema NNE-SSO, che rap-presentano gli elementi tettonici cronologicamente piùrecenti.

SISTEMA DI FAGLIE NORMALI AD ANDAMEN-TO OSO-ENE. Caratterizza il settore orientale dellaStretta di Catanzaro, dove disloca il sistema ONO-ESE.Tra le faglie appartenenti a questo sistema è opportunosegnalare la struttura “Martelletto-Catanzaro-CaseManna”, responsabile del sollevamento dei terreni cri-stallini della Sila rispetto ai depositi della Stretta diCatanzaro; più a SE è stata riconosciuta la faglia antite-tica “M. Savuto-M. Volturino”. Procedendo verso loIonio si segnalano infine una serie di faglie normali,ribassanti nel complesso verso SE, che caratterizzano iltratto terminale del bacino del Fiume Corace, traCatanzaro e Catanzaro Lido, interessando esclusivamen-te depositi argillosi tortoniano-pliocenici.

Come già accennato, l’area di studio ricade in unazona ad elevato rischio sismico connesso con l’attivitàdelle faglie sismogeniche estensionali appartenenti alla“rift-zone siculo-calabra” (Fig. 2).

Nell’ambito della suddetta rift-zone e facendo riferi-mento ai lavori di Tortorici et al. (1995), Monaco &Tortorici (2000) e Tortorici et al. (2002), è stato possibi-le distinguere nella Carta le “faglie normali attive omolto recenti”. Come per le faglie ad alto angolo, ancheper questa categoria di faglie è stato possibile differen-ziare quelle a “rigetto elevato” e a “rigetto limitato”.

Parte delle faglie ONO-ESE, che strutturano il bordosettentrionale del graben di Catanzaro, costituiscono unafascia sismogenica: questi caratteri sono particolarmenteevidenti nella faglia che, nei pressi del Torrente Zinnavo,disloca una conoide di deiezione post-würmiana e lungola cui scarpata si impostano due nuove conoidi oloceni-che, indicative di un “ringiovanimento” della stessa.

I caratteri sismotettonici del settore meridionale dellaStretta di Catanzaro sono invece definiti da due faglienormali, appartenenti al sistema ad orientamento da N-Sa NNE-SSO, che caratterizzano l’area compresa traFrancavilla Angitola, Curinga e il tratto più vallivo delFiume Amato.

GULLÀ et al.102 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

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Geomorfologia

Caratteri generali

La Stretta di Catanzaro è un istmo che congiunge laCalabria settentrionale a quella meridionale. Sia laCalabria settentrionale sia quella meridionale costitui-scono delle morfostrutture (Gerasimov, 1946) di primoordine, se rapportate al rilievo emerso, ma in effetti essemantengono tale caratterizzazione anche se rapportatealla topografia dei fondali jonico e tirrenico.

La Stretta di Catanzaro è una morfostruttura di secon-do ordine, costituita da una depressione tettonica, essen-zialmente un graben trasversale ai rilievi delle morfo-strutture di primo ordine.

La depressione è emersa nel Quaternario, durante lafase di sollevamento tettonico che ha generato l’attualeconfigurazione morfostrutturale dell’intero territoriocalabrese. La caratteristica morfologia a mesa testimonial’antico fondale di un mare poco profondo sollevato tet-tonicamente.

Il graben, con orientamento generale ONO-ESE e deli-mitato dai sistemi di faglie normali organizzate a gradi-nata precedentemente descritti, presenta un rilievo mas-simo di circa 390 m, rappresentato dall’altopiano cheospita gli abitati di Borgia e di Caraffa di Catanzaro. Idue centri sono edificati sui depositi terrazzati delPleistocene. Da Borgia verso SE, il rilievo diminuiscefino ai circa 0-20 m s.l.m. della piana costiera ionica, gra-zie ad una gradinata di faglie.

Nel settore settentrionale della terminazione di SE delgraben, il rilievo è minore ed i depositi terrazzati sonolimitati a quote che non superano i 150 m s.l.m.. Versoovest, il pianoro di Borgia e Caraffa degrada lentamentefino ai 40 m circa dell’abitato di S. Pietro Lametino.Verso NO, il terrazzo si trova a circa 200-240 m in pros-simità di Vena di Maida ed a quote intorno a 120-140 mancora più a nord. Nella parte occidentale del marginesettentrionale, il sistema di grandi conoidi di Nicastroricopre i depositi terrazzati.

A nord ed a sud del graben, per effetto delle faglie bor-diere, i depositi terrazzati si trovano a quote crescentiverso l’esterno, giungendo fino a 500 m di Jacurso a suded agli oltre 350 m a monte di Sambiase.

Una caratteristica che differenzia le due terminazionidel graben è la diversità per numero e per quote dei ter-razzi e delle superfici spianate. Troviamo infatti un mag-gior numero di terrazzamenti a NO, rispetto a SE. C’è danotare, in prima istanza, che i terrazzi francamente mari-ni sono limitati alle quote inferiori, mentre a quote supe-riori, fin oltre i 700 m, si trovano superfici di spianata(probabilmente per abrasione marina) senza sedimentimarini o con depositi continentali.

L’analisi della carta litologico-strutturale e dei movi-menti in massa, consente comunque di comprenderecome la molteplicità di terrazzi e superfici di spianamen-to, e le loro diversità che non si spiegherebbero con i solimoti eustatici o di epirogenesi omogenea, si giustificanoammettendo tassi di sollevamento tettonico diversi tra i

vari blocchi separati da faglie normali, o con rilevantecomponente normale nella dislocazione tettonica. Tipicoè il caso dei lembi di terrazzo di S. Pietro a Maida e diMaida, che si trovano su un blocco tettonicamente deli-mitato da faglie normali con rigetto elevato, ma non pre-sentano livelli corrispondenti altrove nella Stretta. Unulteriore ordine a quote superiori sembra invece costitui-to dai terrazzi degli abitati di Jacurso e di Cortale.

Nelle aree di affioramento del substrato sedimentarioneogenico, dove predominano termini a prevalente com-ponente argillosa, sono diffusamente presenti fenomenidi dissesto che assumono la forma di frane, anche digrandi dimensioni, e/o di degradazione generalizzata pererosione diffusa di tipo calanchivo associata a franesuperficiali. Nelle aree in cui dominano i fenomeni fra-nosi, i versanti presentano un’acclività generalmente ri-dotta. Al contrario, nelle aree ad erosione calanchiva o diintensa erosione lineare tipica delle sabbie limose, l’ac-clività è accentuata, così come l’accidentalità della mor-fologia a livello di forme minori.

Le valli dei torrenti e fiumare che provengono dai rilie-vi montuosi a nord ad a sud della Stretta, hanno un reti-colo la cui organizzazione risente sia dei deboli gradien-ti del rilevo locale, sia del controllo strutturale. I corsid’acqua principali, con i bacini maggiormente estesi,provengono da nord (Sila). Ad est, il T. Alli, il T. Fiuma-rella e il F. Corace, tutti con caratteri di transizione versole fiumare, presentano un andamento consequente rispet-to alla morfostruttura silana, e, tranne un affluente didestra del F. Corace, il F. Fallaco, attraversano senza sub-irne apparente controllo la gradinata di faglie bordieresettentrionali del graben di Catanzaro. Un maggiore con-trollo sul drenaggio da parte delle strutture tettoniche sinota nelle parti montane dei bacini di questi fiumi. Sulmargine orientale, brevi corsi ad andamento resequenteed assetto subparallelo incidono profondamente i deposi-ti terrazzati ed i sottostanti terreni plio-pleistocenici.

Il F. Amato è il maggiore dei fiumi della Stretta. Essoproviene dalla Sila percorrendo una stretta valle, condirezione SE, caratterizzata da ampi meandri sovrimpo-sti per antecedenza. Poco a nord di Miglierina e Tiriolo,il fiume compie un’ampia svolta verso la destra idrogra-fica, quindi percorre una lunga valle rettilinea con dire-zione OSO, per poi espandersi nell’ampia piana diLametia dopo aver ricevuto il T. Pesipe da sinistra e laF.ra S. Ippolito da destra.

La svolta di Miglierina del F. Amato è, probabilmente,il risultato di un progressivo adattamento consequenterispetto al gradiente generato dalla gradinata di fagliebordiere. È possibile un’altra evoluzione geomorfica diquesto tratto dell’Amato: l’antico corso del fiume, chescorreva verso SE, potrebbe essere stato catturato da unodei corsi consequenti impostati sulla gradinata di faglia.

La valle del Pesipe si estende da est ad ovest e concor-re a spostare molto verso ovest, rispetto al centro dellaStretta, lo spartiacque continentale.

I fondovalle dei vari corsi d’acqua che provengonodalla Sila e dalle Serre nei tratti terminali sono piatti emolto estesi in larghezza. Essi conferiscono alla Stretta

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 103Geologica Romana 38 (2005), 97-121

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una morfologia simile a quella della Piana di GioiaTauro. Questa caratteristica è marcata soprattutto nellaparte nord-occidentale della Stretta, dove sono presentifenomeni franosi di probabile innesco sismico, dallamorfologia molto simile ai numerosi fenomeni co-sismi-ci della Piana di Gioia Tauro (Cotecchia et al., 1969).

I corsi d’acqua che provengono dai monti sboccano dagole profonde. Essi hanno formato e tuttora formanoampie conoidi alluvionali nella parte occidentale dellaStretta. Nella parte orientale e nella zona centrale trovia-mo solo alcune piccole conoidi lungo il versante destrodel F. Fallaco, affluente di destra del F. Corace, e treconoidi che interessano il fondovalle del T. Pesipeaffluente del F. Amato.

Questa diversità in numero, ampiezza e molteplicità diordini delle conoidi, differenzia in modo molto evidentela morfologia delle due estremità della Stretta.

Il motivo di tale differenza è evidentemente legato adun maggior trasporto solido nei corsi d’acqua del versan-te tirrenico, e/o ad una loro minore capacità di trasporto,rispetto ai torrenti del versante ionico, ma il motivo pre-ciso non è stato finora individuato. La corrispondenza delmaggior sviluppo delle conoidi con il maggior numerodei terrazzi, indica il probabile effetto del diverso regimetettonico, più discontinuo ed intenso nel tratto occidenta-le, rispetto a quello più regolare e meno intenso nel trat-to orientale.

A sud di Lacconia si trovano campi dunari le cui sab-bie sono ben visibili nelle trincee autostradali. Apparten-gono ad un ordine di terrazzi probabilmente pre-oloceni-co (rilievo locale di oltre 20 m), ma la datazione precisanon è disponibile. Campi dunari attuali sono presentinella zona di retrospiaggia tirrenica attuale, anche seormai sono pochi i tratti preservati dall’urbanizzazione.Sul versante ionico, sono presenti sottili cordoni dunariattuali.

La costa tirrenica è caratterizzata da un’ampia spiaggiache presenta un completo sistema di forme di spiaggia eretrospiaggia (i cordoni dunari) e piana costiera emer-gente. Nella zona di foce del F. Amato, sebbene non siapresente un vero e proprio delta, si trova un accenno diprogradazione che in effetti è caratteristico di tutta lacosta della Stretta. La spiaggia è prevalentemente sab-biosa, con ampi tratti ciottolosi. All’altezza di GizzeriaLido, è sviluppata un’ampia spit bar che ha racchiuso unlago costiero dal lato della radice.

La piana costiera ionica è molto meno sviluppata diquella tirrenica, sebbene anch’essa sia in relativo equili-brio per quanto concerne il regime di degradazione/pro-gradazione.

Attualmente, sebbene la zona della Stretta di Catan-zaro presenti un tasso di sollevamento medio relativo atutto il Quaternario di circa 0,2 mm/a (Sorriso-Valvo,1993), quindi inferiore a quello della Sila e delle Serre, ladinamica geomorfica della Stretta è relativamente rapida,a causa delle elevate pendenze locali e dell’ampia diffu-sione dei fenomeni di erosione e di movimento in massa.

I fenomeni di erosione sono attivi essenzialmente suibrevi versanti ad alta acclività che circondano i rilievi

tipo mesa o a creste allungate, separati da ampi fondoval-le aggradati. Tale aggradazione si riflette sulla dinamicacostiera, che risulta in progradazione in prossimità dellafoce del F. Amato, e in erosione a nord ed a sud rispettoa questa foce (D’Alessandro et al., 1983). La costa ioni-ca risulta invece in sostanziale equilibrio.

L’elevata intensità della dinamica geomorfica dellaStretta è testimoniata chiaramente dai numerosi eventi diinondazione e di riattivazione dei fenomeni franosioccorsi negli ultimi secoli: dal 1638 al 1990, in un’areain gran parte sovrapponibile a quella di studio si sonoverificati 45 importanti eventi di alluvionamento, quasisempre accompagnati da numerose frane, anche di note-voli dimensioni; per lo stesso periodo si sono registraticinque eventi sismici maggiori, e numerosi altri di inci-denza locale (Rizzo & Fragale, 1999). La tettonica è ilmotivo principale della intensa morfodinamica del terri-torio della Stretta di Catanzaro, anche se è determinantel’assetto geologico-strutturale (che controlla quello mor-fologico) e il carattere del clima, caratterizzato da forticontrasti stagionali ed eventi idrologici estremi.

I movimenti in massa

Dalla Carta di Antronico et al. (2001) è possibile desu-mere, come già evidenziato, gli elementi in vario modocorrelati alla pericolosità ed al rischio da frana.Utilizzando come riferimento la “Carta delle GrandiFrane e Deformazioni Gravitative Profonde di Versante”di Sorriso-Valvo & Tansi (1996) nella Carta il tematismoche rappresenta i movimenti in massa è stato ottenutomediante analisi aereofotointerpretativa (foto aeree IGMIin B/N a scala 1:33.000 del 1954-55 e del 1990), validan-do quanto cartografato con mirati controlli sul terreno.Nella Carta, considerate le finalità dello studio, sonoriportati solo i fenomeni di movimento in massa certi, rite-nuti tali sulla base della valutazione esperta degli Autori.

Per la classificazione dei movimenti in massa si è fattoriferimento a quanto riportato in Varnes (1978) e inCruden & Varnes (1996), che ne rappresenta un aggiorna-mento.

Per quanto riguarda il cinematismo dei fenomeni frano-si sono stati distinti e cartografati i seguenti tipi di movi-mento: scorrimento, colata, tipo complesso di scorrimen-to-colata. In questa sede il termine fenomeno “comples-so” viene utilizzato come riportato in Varnes (1978) doverappresenta una combinazione di due o più tipi di movi-mento. In riferimento al tipo di materiale coinvolto nelmovimento e facendo sempre riferimento a Varnes (1978)sono stati distinti: scorrimento di terra o roccia, scorri-mento di roccia in blocco, colata di terra o detrito, colatadi roccia o Sackung (Tab. 1). Con il termine Sackung siintendono dunque i fenomeni gravitativi di grandi dimen-sioni ed assegnabili alla categoria delle DGPV (Dal Piaz,1936; Jahn, 1964; Zischinsky, 1969; Nemčok, 1972;Guerricchio & Melidoro, 1973; Ter-Stepanian, 1974;Radbruch-Hall et al., 1976; Sorriso-Valvo, 1979; Dramis,1984) ed assimilabili ai colamenti in roccia (rock flow) diVarnes (1978).

GULLÀ et al.104 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

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Sono stati cartografati 119 movimenti in massa che inte-ressano principalmente i terreni sedimentari. I tipi dimovimenti in massa più diffusi sono gli scorrimenti e gliscorrimenti-colata, con la stessa percentuale pari al 43%;seguono le colate con una percentuale del 14%.

Si rileva, in particolare, una concentrazione di “GrandiFrane” (Sorriso-Valvo, 1995), alcune delle quali giàindividuate da Sorriso-Valvo & Tansi (1996), nella por-zione centrale dell’area in studio, mentre gli unici duefenomeni di DGPV coinvolgono le rocce metamorficheaffioranti nella porzione settentrionale dell’area.

Infine, è stato riconosciuto e cartografato un solo feno-meno di sprofondamento che non è stato consideratonell’analisi dei dati.

Se si considera il grado di attività delle frane (attivo,quiescente, stabilizzato) la maggior parte dei fenomenicartografati sono risultati quiescenti; relativamente algrado di evoluzione (stato di sviluppo: incipiente, avan-zato, esaurito) la maggior parte dei fenomeni cartografa-ti sono risultati in una fase di sviluppo evoluta (Carrara& Merenda, 1974; 1976). Nella Carta i fenomeni frano-si cartografati non sono stati distinti in base al grado diattività, ma tale dato è stato inserito nel data base.

DATI ESTRATTI DALLA CARTA E LORO ANALISI

Nella Tab. 2 sono identificati e descritti gli elementidesunti direttamente ed indirettamente dalla Carta. Perogni fenomeno franoso è stata compilata una scheda nellaquale, oltre al numero di identificazione ed alla localizza-zione (comune e provincia), sono state inserite informa-zioni relative alla tipologia del fenomeno, al grado di atti-vità, allo stato di sviluppo, all’esposizione, alla pendenzadel versante interessato dalla frana, alla larghezza, alladistanza in pianta tra la corona e l’unghia della frana, allasuperficie in pianta, alle quote minima e massima.

Relativamente alle strutture tettoniche, classificate percome riportato nella Tab. 3, sono state individuate lepossibili posizioni delle stesse rispetto all’instabilità cuipossono essere riferite, Fig. 3. In particolare è stataanche individuata la distanza minima della struttura tet-tonica più vicina alla corona di frana utilizzando duemodalità di misura: per distanze minori o uguali a 500 msi prende in considerazione il punto di massima curvatu-ra della corona (Fig. 4a) (DIC), per distanze superiori a500 m la distanza cercata è individuata esaminando tuttii punti della corona di frana (Fig. 4b) (DMC).

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 105Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Carta al 50.000Tipo di

movimento

Definizione generale

(da Varnes, 1978)

Scorrimento di terra o

roccia

Scorrimento di roccia in

blocco

SCORRIMENTO

Il movimento comporta uno

spostamento per taglio lungo

una o più superfici, oppure entro

un “livello” abbastanza sottile.

Queste superfici di scorrimento

sono visibili o possono essere

ragionevolmente ricostruite.

Colata di terra o detrito

Il fenomeno si esplica con

movimenti entro la massa

spostata, tali per cui o la forma

assunta dal materiale in

movimento o la distribuzione

apparente delle velocità e degli

spostamenti sono simili a quelle

dei fluidi viscosi. Le superfici di

scorrimento nella massa che si

muove non sono generalmente

visibili, oppure hanno breve

durata.

Colata di roccia (Sackung)

COLATA

Il movimento, generalmente

molto lento e con la

distribuzione delle velocità

apparentemente simile a quella

dei fluidi viscosi, può avvenire

lungo più superfici di taglio che

apparentemente non sono

collegate e provocare

piegamenti e/o rigonfiamenti.

Scorrimento-colata COMPLESSOIl movimento risulta dalla

combinazione di due o più dei

tipi di movimento.

Tab. 1 - Classificazione tipologica utilizzata per i movimenti in massa cartografati a scala 1:50.000 ed altre indicazioni connesse.– Types of mass movement phenomena mapped at the 1:50,000 scale, and related indications.

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Alle frane presenti nella Carta è stata associata una opiù Unità Lito-Tecniche (ULT) elencandole, nel casosiano più di una, in successione stratigrafica dall’altoverso il basso. Le ULT sono state individuate raggrup-pando i tipi litologici riportati nella Carta in base al lorocomportamento meccanico indicativamente omogeneoalla scala delle instabilità di riferimento (Tab. 4). A talfine è stata condotta un’analisi dei caratteri descrittividelle formazioni e dei tipi litologici definiti, delle carat-teristiche dimensionali e cinematiche delle instabilità(Gullà et al., 2002). Le ULT sono state pertanto identifi-

cate come segue: roccia sciolta a comportamento preva-lentemente attritivo (RSA); roccia sciolta a comporta-mento prevalentemente coesivo (RSC); roccia tenera acomportamento prevalentemente fragile (RTF); rocciatenera a comportamento prevalentemente duttile (RTD);roccia lapidea fratturata a comportamento prevalente-mente fragile (RLF); roccia lapidea fratturata e degrada-ta a comportamento prevalentemente duttile (RLD).

Considerando inoltre le informazioni contenute nellaCarta geologica della Calabria alla scala 1:25.000, èstato possibile individuare per ogni frana riportata nella

GULLÀ et al.106 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Identificazione Descrizione

Numero di identificazione (N) Associato ad ogni instabilità

Comune (COM) Comune nel cui territorio ricade l’instabilità

Provincia (PRO) Provincia nel cui territorio ricade l’instabilità

Esposizione (ESP) Del versante su cui insiste l’instabilità

Formazione (FOR_25) Quella/e coinvolta/e nell’instabilità e rilevata/e dalla Carta geologica alla scala 1:25.000 (di seguitoCaGeo25)

Faglia (FAG_25) Quella rilevabile dalla CaGeo25

Litologia (LIT) Definita dall’insieme di formazioni della CaGeo25

che alla scala delle instabilità considerate hannoindicativamente un comportamento meccanicoomogeneo

Struttura Geologico Tecnica (SGT) Definite sulla base dei rapporti geometrici con cui si dispongono le LIT coinvolte nell’instabilità

Tipologia (TIP) Individuata sulla base dei caratteri cinematici delleinstabilità

Pendenza (PEN) Quella media del versante su cui insiste l’instabilità

Larghezza (LAR) Massima dimensione trasversale dell’instabilità

Distanza Corona Unghia (DCU) Distanza tra i punti di massima curvatura dellacorona e dell’unghia dell’instabilità

Area in Pianta (ARE) Superficie in pianta dell’instabilità

Quota massima (QMA) Quota massima dell’instabilità

Quota minima (QMI) Quota minima dell’instabilità

Differenza Quote mass e min (DQU) Differenza fra le quote massima e minima

Grado di Attività (GAT) Grado di attività dell’instabilità

Stato di Sviluppo (SSV) Stato di sviluppo dell’instabilità

Tipo di Struttura (TIS) Codice identificativo del tipo di struttura,

individuato dai rilievi condotti, che interessal’instabilità

Distanza dalla Corona (DIC) Distanza in metri tra la struttura tettonica ed il

punto di massima curvatura della coronadell’instabilità per valori fino a 500m

Posizione della Struttura (POS) Posizione della struttura che interessa l’instabilitàrispetto alla stessa identificata da codici

Distanza Minima dalla Corona(DMC)

Distanza in metri fra un qualsiasi punto della

corona dell’instabilità e la struttura tettonica più vicina alla stessa per distanze superiori a 500m

Manufatti Interessati (MAI) Manufatti e strutture antropiche direttamente interessate dalle instabilità

Tab. 2 - Elementi relativi alle instabilità di pendio desumibili direttamente ed indirettamente dalla Carta alla scala 1:50.000.– Elements related to slope instability phenomena that can be obtained either directly or indirectly from the 1:50,000 scale map.

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Carta la relativa Struttura Geologico-Tecnica (SGT)(Sorriso-Valvo & Tansi, 1996), Fig. 5.

Per le aree direttamente coinvolte dai movimenti inmassa sono stati infine rilevati gli elementi vulnerabilidalla carta topografica a scala 1:50.000 dell’IGMI,aggiornata al 1986. Per la definizione delle diverse tipo-

logie di elementi relativi alle abitazioni si è fatto riferi-mento alle definizioni utilizzate dall’ISTAT (1995) per icensimenti.

La base di dati utilizzata nella presente nota è relativaad instabilità di pendio che ricadono in un’area pari apoco più del 6% del territorio della Calabria. Sono in

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 107Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Codice Descrizione Note

1 Limiti di sovrascorrimento

(ANTICHE)

2 Faglie normali a rigetto elevato

(RECENTI)

Rigetto maggiore di qualche

decina di metri

3 Faglie normali a rigetto limitato

(RECENTI)

4 Faglie normali attive o molto recenti e rigetto elevato

(RECENTI – ATTIVE o MOLTO RECENTI)

Rigetto maggiore di qualche

decina di metri

5 Faglie normali attive o molto recenti e rigetto limitato

(RECENTI – ATTIVE o MOLTO RECENTI)

6 Faglie trascorrenti

(tra ANTICHE e RECENTI)

Tab. 3 - Classificazione delle faglie riportate nella Carta per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana.– Classification of faults mapped for the evaluation of landslide hazard and risk.

Fig. 3 - Possibili posizioni della struttura (POS) rispetto alla corona, al piede ed al fianco dell’instabilità.– Possible position of tectonic structures (POS) with respect to a landslide.

Fig. 4 - Modalità di misura della distanza della struttura tettonica più vicina dal punto di massima curvatura della corona della frana (DIC) per val-ori fino a 500 m (A), e della distanza minima tra la corona e la struttura tettonica più vicina (DMC) per distanze superiori a 500 m (B).– Procedure for measuring the minimum distance between a tectonic structure and the point of maximum curvature of the landslide crown (DIC) for dis-tance up to 500 m (A), and the minimum distance between the crown and the tectonic structure (DMC) when the distance is greather than 500 m (B).

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particolare 105 le frane della Carta di cui si disponecompleta informazione e che sono state considerate nel-l’analisi di seguito illustrata.

L’analisi dei dati è stata condotta riferendosi alle dis-tribuzioni in dieci classi di frequenza ottenute suddivi-dendo in parti uguali gli intervalli di variazione dellevariabili esaminate.

Le frane rispetto alla loro estensione, ad esclusione diuna sola instabilità (superficie pari a 4.000.000 m2), sidistribuiscono nelle prime tre classi, la prima delle qualicontiene il 93% dei fenomeni, Fig. 6a. I versanti coinvol-ti sono caratterizzati da inclinazioni variabili da circa 7°a circa 32°, la cui distribuzione di frequenza è bimodale(moda nelle classi 9-11.5° e 16.5-19°), Fig. 6b. La lar-ghezza delle frane si colloca nel 96% dei casi nelle clas-si da 0-250 m a 750-1000 m, con una distribuzione asim-metrica ed unimodale, Fig. 6c. Ancora unimodale, macon una asimmetria meno pronunciata, è la distribuzionedella lunghezza che si colloca nelle classi da 0-200 m a800-1000 m, con il 48% dei casi concentrati nella classe200-400 m, Fig. 6d.

Le frane considerate, come tipo di movimento, sonoriferibili a: scorrimento-colata, 41%; scorrimento, 44%;colata, 15%. Le instabilità esaminate coinvolgono 14 tipilitologici, 13 combinazioni di due tipi litologici e 5 com-binazioni di tre tipi litologici, Fig. 7. La percentuale piùalta di frane, il 24%, coinvolge il tipo litologico costitui-to da depositi prevalentemente argillosi (ARG).

Per quanto attiene l’assegnazione delle StruttureGeologico Tecniche (SGT), l’analisi condotta evidenziache il 76% delle instabilità è riferibile a cinque delledodici SGT definite, Fig. 5.

Il 92% delle frane considerate sono quiescenti, il 5%sono attive e per il 3% delle situazioni l’indicazione sulgrado di attività non è chiaramente identificabile comeattivo o quiescente. Per i fenomeni considerati lo stato disviluppo è stato classificato avanzato nel 62% circa deicasi.

L’analisi può essere approfondita riferendosi ai casicompresi nei tre tipi di movimento.

Le distribuzioni delle inclinazioni dei versanti eviden-ziano delle specificità: per le colate la frequenza percen-tuale più alta è nella classe 12-14° (33%), mentre lamaggior parte delle instabilità ha un’inclinazione varia-bile da 10° a 16°; i fenomeni di scorrimento-colata sonopresenti in ognuna delle classi definite (da 7° a 27°) masono decisamente più numerosi nelle classi 9-11° (26%)e 17-19° (16%); per gli scorrimenti non si rileva nessu-na marcata concentrazione nell’intervallo complessivoda 8° a 32°.

Il rapporto distanza corona-unghia su larghezza, indi-cativo della forma planimetrica, assume valori da circa0.3 a poco più di 7. Per le colate e per gli scorrimenti-colata il rapporto è generalmente maggiore di uno, inparticolare: le colate presentano maggiori concentrazio-ni nelle classi 1.8-2.5 (27%) e 3.2-3.9 (20%); gli scorri-menti-colata mostrano un picco in corrispondenza dellaclasse 2.15-2.70 (30%). Per gli scorrimenti, una percen-tuale complessiva del 57% presenta valori del rapporto

minori o uguali a 1.35. In definitiva le instabilità relati-ve alle tipologie colata e scorrimento-colata sono, comeè ragionevole attendersi, di forma generalmente piùallungata rispetto alla tipologia scorrimento.

Per le instabilità esaminate si possono rilevare alcunesignificative concentrazioni di fenomeni in alcuni dei tipilitologici individuati: per le colate e per gli scorrimenti-colata si rileva una netta prevalenza di fenomeni nel tipolitologico indicato come ARG (depositi prevalentementeargillosi); per gli scorrimenti si evidenzia invece una dis-tribuzione articolata con il 14% dei fenomeni nel tipolitologico CGL (depositi prevalentemente conglomerati-ci) e con altre tre concentrazioni (9-12%) nei tipi litolo-gici AS (depositi prevalentemente sabbiosi ed arenacei),CAS (gneiss) e STG (graniti e granodioriti).

I fenomeni classificati come colate sono prevalente-mente concentrati in ambiti caratterizzati dalla strutturageologico tecnica identificata come “ammasso rocciosoprevalentemente costituito da roccia sciolta a comporta-mento indicativamente coesivo”. Per gli altri due tipi dimovimento si rileva quanto segue: gli scorrimenti-colatainteressano con una maggiore frequenza ambiti in cuisono presenti le strutture geologico tecniche “ammassoroccioso prevalentemente costituito da roccia sciolta acomportamento indicativamente coesivo” (circa il 29%)e “ammasso roccioso prevalentemente costituito da roc-cia lapidea fratturata ed a comportamento indicativa-mente duttile” (16%); gli scorrimenti, invece, non evi-denziano alcuna particolare concentrazione relativamen-te alle SGT identificate.

VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITÀE DEL RISCHIO DA FRANA

Generalità

Nella letteratura sono ormai numerose le propostemetodologiche per la valutazione areale della pericolosi-tà e del rischio da frana (Gullà, 2002). Fra queste, giustoper citarne alcune, si ricordano quelle formulate da Brabb(1984), Varnes (1984), Einstein (1988). L’esame di taliproposte, rappresentative di un ampio ventaglio di solu-zioni presenti in letteratura, consente di rilevare unasostanziale convergenza sugli aspetti che in termini ope-rativi portano alla stima della pericolosità e del rischio(Canuti & Casagli, 1996; Gullà, 2002; Sorriso-Valvo,2002).

L’analisi della letteratura fornisce una cornice nel cuiambito è possibile individuare riferimenti metodologicida utilizzare per affrontare efficacemente la problematica“pericolosità e rischio da frana” e suggerisce, nel contem-po, l’opportunità di sviluppare le procedure di valutazio-ne ancorandole all’impianto formale proposto da moltiAutori. Quanto evidenziato permette di: mantenere unacongrua flessibilità nella valutazione areale, consigliatadalla necessità di dover calibrare le procedure alle carat-teristiche dei dati disponibili e di garantire affidabilità etempi accettabili nel conseguimento dei risultati; utilizza-

GULLÀ et al.108 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

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PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 109Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Roccia

Sciolta Tenera Lapidea

Attritiva

(RSA)

Coesiva

(RSC)

Fragile

(RTF)

Duttile

(RTD)

Fratturata e

fragile

(RLF)

Fratturata

Degradata e

Duttile

(RLD)

OL ARG CGL FR STC PCOP

PLC EV BAG DOL STG

PLM GIM CAS STM

COL

AS

Identificazione e denominazione dei Tipi Litologici raggruppati nelle ULT.

a) Roccia sciolta a comportamento prevalentemente attritivo (RSA)OL: Depositi prevalentemente ghiaiosi ed, in subordine, depositi sabbiosi e limosi. Depositi conglomeratici

con livelli sabbiosi.

PLC: Conglomerati tipicamente rossastri costituiti da ciottoli di rocce cristallino-metamorfiche immersi in

matrice sabbiosa grossolana, con occasionali livelli sabbiosi a grana grossolana.

PLM: Conglomerati e sabbie di colore bruno che tendono a diventare rossastri nelle porzioni sommatali.

COL: Depositi residuali.

AS: Sabbie ed arenarie giallastre in prevalenza a grana da fine a grossolana, talora bioclastiche, con

intercalazioni siltose ed argilloso-siltose.

b) Roccia sciolta a comportamento prevalentemente coesivo (RSC)ARG: Argille da grigio-chiaro a grigio-scuro, localmente siltose o sabbiose con intercalazioni di sabbie, silt,

marne, gessi e calcari evaporitici.

c) Roccia tenera fragile (RTF)CGL: Conglomerati poligenici immersi in una matrice sabbiosa e con intercalazioni sabbiose.

EV: Gessi macrocristallini biancastri e calcari evaporitici grigio-chiari vacuolari, questi ultimi con sottili

intercalazioni siltose ed argilloso-siltose. Calcari organogeni compatti di colore da grigio a bruno

chiaro.

GIM: Lave a pillow e brecce di pillow su cui poggiano coperture d’età titonico neocomiana.

d) Roccia tenera duttile (RTD)FR: Argilloscisti e filladi grigie con frequenti intercalazioni quarzitiche e occasionalmente con intercalazioni

di calcari cristallini. Metamorfismo alpino caratterizzato da alta pressione e bassa temperatura.

BAG: Filladi contenenti intercalazioni di metareniti, porfiroidi. Metamorfismo in facies scisti verdi.

CAS: Gneiss occhiadini a due miche, spesso fortemente foliati. Paragneiss biotitici minuti a muscovite e

localmente a sillimanite. Micascisti granatiferi con cloritoide. Frequenti associazioni di masse

pegmatitiche e granitoidi. Metamorfismo prealpino in facies da scisti verdi profonda ad anfibolica.

e) Roccia lapidea fratturata fragile (RLF)STC: Calcari neritici, dolomie, conglomerati ed arenarie di tipo “Verrucano” con intercalazioni di argille rosse

e verdi e locali livelli carboniosi.

DOL: Dolomie e brecce dolomitiche localmente associate a calcari dolomitici. Le rocce appaiono fortemente

fratturate.

f) Roccia lapidea fratturata e degradata duttile (RLD)PCOP: Gneiss e fels a granato e sillimanite, frequentemente biotitici. Gneiss tonalitici e quarzo-dioritici.

Intercalazioni di masse di anfiboliti e peridotiti. Metamorfismo prealpino in facies granulitica.

STG: Graniti e granodioriti spesso a microcristalli di k-feldspato, microgranodioriti, tonaliti, micrograniti a

due miche. Filoni di porfidi rossi e verdi.

STM: Filladi, metagrovacche e metacalcari; paragneiss biotitici, localmente granatiferi, gneiss biotitico-

anfibolici.

Tab. 4 - Unità Lito-Tecniche (ULT) definite per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana.– Engineering Geological Units (EGU) defined for the evaluation of landslide hazard and risk.

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GULLÀ et al.110 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Fig. 5 - Strutture Geologiche Tecniche (SGT) definite per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana.– Engineering Geological Structures (EGS) as defined for the assessment of landslide hazard and risk.

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PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 111Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Fig. 6 - Distribuzione di frequenza di area, inclinazione, larghezza e lunghezza delle 105 instabilità considerate nella Carta.– Frequency distribution of area, slope angle, width and length of 105 mapped instability phenomena.

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re compiutamente il quadro conoscitivo disponibile intermini generali e specifici per l’area di interesse; indivi-duare la scala di rilievo e di rappresentazione più idoneaper acquisire gli elementi che, coerentemente con il livel-lo conoscitivo, si ritiene di poter impiegare per la valuta-zione di pericolosità e rischio (Einstein, 1988).

Il percorso delineato impone di tenere chiaramentedistinti gli aspetti areali e puntuali e, nel contempo, dipromuovere azioni di convergenza ed integrazione al finedi migliorare in maniera significativa le loro potenzialità.Ciò può essere ottenuto sia riferendo la “valutazioneareale della pericolosità e del rischio da frana” a contestigeo-ambientali omogenei rispetto a specifiche tipologiedi instabilità di pendio, sia associando la “valutazionepuntuale della pericolosità e del rischio da frana” allatipizzazione geotecnica delle instabilità di pendio.

A quanto precedentemente esposto fa riferimento intermini generali la procedura di seguito illustrata, calibra-ta rispetto ad elementi di valutazione della pericolosità edel rischio estratti dalla Carta.

Nella trattazione si farà riferimento alle seguenti defi-nizioni generali:

- Rischio (R): è il prodotto della Pericolosità (H) e delDanno (D).

- Pericolosità (H): è la probabilità che una frana poten-zialmente distruttiva di determinata intensità (I) si veri-fichi in un determinato intervallo di tempo ed in una dataarea.

- Intensità (I): è la severità geometrica e meccanica diuna frana potenzialmente distruttiva.

- Danno (D): è il prodotto del Valore degli elementi arischio (E) per la loro Vulnerabilità (V) ed esprime quin-di l’entità dei danni che l’evento può produrre.

- Valore degli elementi a rischio (E): riferisce dell’enti-tà degli elementi a rischio ed è misurato in modo diversoa seconda della loro natura (esp. numero di persone arischio, valore economico dei beni monetizzabili, ecc.).

- Aree vulnerabili: sono zone che possono essere poten-

zialmente interessate da eventi di frana e su cui insistonoelementi a rischio.

- Vulnerabilità (V): esprime in termini adimensionalil’attitudine dell’elemento a rischio a subire danneggia-menti per effetto della frana e si esprime, in particolare,come aliquota dell’elemento a rischio che subisce dan-neggiamento: 0 (nessun danneggiamento), 1 (perdita to-tale). La vulnerabilità necessita di approfondimenti talida consentire, in presenza di un quadro conoscitivo ade-guato, la valutazione del danneggiamento di uno specifi-co elemento a rischio prodotto da una frana di caratteri-stiche note e che, evidentemente, è funzione del potenzia-le distruttivo della frana e della resistenza globale dell’e-lemento a rischio.

Metodologia proposta

Esaminando gli elementi che si possono estrarre dallaCarta, e considerando le indicazioni precedentementeillustrate, si possono selezionare quelli utilizzabili per lefinalità della presente nota.

Nella proposta formulata indichiamo in particolarecome “elementi base” quelli correlabili alle caratteristi-che cinematiche, considerando il comportamento mec-canico indicativamente attribuito ai volumi di materialecoinvolti nelle instabilità.

A tal fine un “elemento base” utilizzato è rappresenta-to dalle sei Unità Lito-Tecniche (ULT) ottenute, conside-rando il quadro conoscitivo disponibile e la scala delrilevamento, raggruppando opportunamente i 17 tipilitologici previsti nella legenda della Carta, Tab. 4.

Nella procedura proposta, la superficie dell’instabilitàutilizzata nella valutazione della pericolosità e delrischio è posta in conto solo nella definizione delle areevulnerabili.

Coerentemente con i contenuti informativi impiegatisono di seguito proposte le definizioni utilizzate nellametodologia.

GULLÀ et al.112 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Fig. 7 - Distribuzione di frequenza di tipo litologico delle 105 instabilità considerate nella Carta.– Frequency distribution of type of rock of 105 mapped instability phenomena.

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L’Indicatore di Pericolo, che consiste nella capacitàdistruttiva indicizzata di una frana di intensità ed attivitànota che si verifica in una certa area, è espresso in fun-zione di un Indicatore di Attività (iA) e di un Indicatoredi Intensità (iI).

Per la definizione dell’Indicatore di Attività sono esa-minate due ipotesi: la prima ipotesi considera come ele-mento di riferimento direttamente il Grado di Attività(GAT), Tab. 5; la seconda ipotesi considera sia il GATsia lo Stato di Sviluppo (SSV), Tab. 6. I valoridell’Indicatore di Attività così calcolati sono riportatinell’intervallo 0-1 e, quindi, raggruppati in quattro clas-si, di ampiezza costante, rappresentative di “pericolo”crescente (da iA1 a iA4).

Per l’attribuzione alle instabilità dell’Indicatore diIntensità (iI) si è fatto riferimento alla tipologia di insta-bilità ed al tipo di ULT coinvolta, in particolare sonostati utilizzati due indicatori specifici in diverso modocorrelati alla possibile evoluzione (mobilità) del fenome-no nella fase parossistica. L’Indicatore specifico della

tipologia (isT) con valori più alti attribuiti a fenomenicon maggiore mobilità nella fase parossistica (Tab. 7);l’Indicatore specifico del materiale (isM) connesso alpossibile comportamento a rottura e post-rottura delmateriale con valori più alti assegnati ai materiali concomportamento indicativamente fragile (Tab. 8). Unasemplice relazione additiva è utilizzata per assegnare adogni instabilità considerata il relativo valore del-l’Indicatore di Intensità, Tab. 9. Con le stesse modalitàgià descritte i valori ottenuti sono raggruppati in quattro

classi di Indicatore di Intensità (da iI1 a iI4) rappresen-tative di “pericolo” crescente.

A questo punto, utilizzando la matrice mostrata nellaTab. 10, le instabilità considerate sono collocate in quat-tro classi indicative del livello di pericolo: (iP1)Indicatore di Pericolo moderato, (iP2) Indicatore diPericolo medio, (iP3) Indicatore di Pericolo elevato,(iP4) Indicatore di Pericolo molto elevato.

Un ulteriore aspetto necessario per la valutazione delrischio è rappresentato dagli Elementi a Rischio (ER) lacui semplice classifica adottata è mostrata nella Tab. 11.Le tipologie di elementi a rischio identificabili dallaCarta sono correlate a tale classifica basandosi sullecaratteristiche funzionali generali ed il “carico abitativo”ipotizzabile, Tab. 12. In particolare, ad ogni instabilitàsono stati associati tutti gli elementi a rischio che ricado-no nell’areale di influenza che, nel presente lavoro, coin-cide con la superficie occupata dal fenomeno stesso. Alla

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 113Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Indicatore di Attività (iA)

Quiescente Dubbia Attiva

1 2 3

Tab. 5 - Definizione dell’Indicatore di Attività (iA) nella prima ipote-si di lavoro. Relativamente al Grado di Attività i casi classificati come“dubbio” riguardano fenomeni il cui grado di attività non è chiara-mente identificabile come attivo o quiescente (3% dei casi). – Definition of Activity indicator (iA) based on the first hypothesis.

Grado di Attività (GAT)Indicatore di

Attività

iA Quiesc. Dubbia Attiva

Stato di Sviluppo

(SSV) 1 2 3

Esaurito 0 0 0 0

Dubbio 1 1 2 3

Avanzato 2 2 4 6

Tab. 6 - Definizione dell’Indicatore di Attività (iA) nella secondaipotesi di lavoro. Relativamente allo Stato di Sviluppo i casi classifi-cati come “dubbio” riguardano fenomeni il cui sviluppo non è chiara-mente identificabile come avanzato o esaurito (stadio intermedio).– Definition of Activity indicator (iA) based on the second hypothesis.

Tipologie Carta al 50.000 Identificazione isT

Colata CO 3

Scorrimento-colata SC 2

Scorrimento in blocco SB 2

Scorrimento SR 1

Colata di roccia (Sackung) CR 3

Tab. 7 - Valori assegnati all’Indicatore specifico della tipologia (isT)per l’Indicatore di Intensità.– Assigned values for the Specific Typology indicator (isT).

ULT

Descrizione

Generale

Descrizione Specifica Sigla isM

Roccia Sciolta a

comportamento

prevalentemente Attritivo

RSA 3

Roccia

Sciolta

[RS] Roccia Sciolta a

comportamento

prevalentemente Coesivo

RSC 1

Roccia Tenera a

comportamento

prevalentemente Fragile

RTF 4

Roccia

Tenera [RT]

Roccia Tenera a

comportamento

prevalentemente Duttile

RTD 2

Roccia Lapidea fratturata a

comportamento

prevalentemente Fragile

RLF 5

Roccia

Lapidea

[RL] Roccia Lapidea fratturata e

degradata a

comportamento

prevalentemente Duttile

RLD 2

Tab. 8 - Valori assegnati all’Indicatore specifico del materiale (isM)per l’Indicatore di Intensità.– Assigned values for the Specific Material indicator (isM).

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scala intermedia trattata nella presente nota, per ogni ele-mento a rischio si assume per la Vulnerabilità, la cuidefinizione generale rappresenta un aspetto di notevolecomplessità, la condizione di perdita totale (Gullà,2002).

Pertanto la matrice riportata nella Tab. 13 consente didefinire per ogni instabilità di pendio il relativoIndicatore di Danno (iD) (da iD1 a iD4 livello di dannocrescente) incrociando gli Elementi a Rischio conl’Indicatore di Intensità relativi alla stessa instabilità.

Sempre riferendosi a quattro classi, si perviene alladefinizione dell’Indicatore di Rischio (iR) incrociandol’Indicatore di Pericolo e l’Indicatore di Danno, Tab. 14.

Valutazione indicizzata della pericolosità

Con la metodologia illustrata, la cui finalità principaleè quella di ottenere indicazioni a scala intermedia circala pericolosità ed il rischio da frana nella porzione di ter-ritorio considerata, sono stati conseguiti i risultati diseguito illustrati.

Relativamente all’Indicatore di Attività nella Fig. 8a sirileva una significativa variazione nella distribuzione inclassi a seconda che si consideri per la sua definizionesolo il Grado di Attività (prima ipotesi) o questo con loStato di Sviluppo (seconda ipotesi). Nella prima ipotesisi osserva che l’87% delle instabilità ricade nella classeiA2; nella seconda ipotesi la massima concentrazione difenomeni si mantiene nella classe iA2 (67%), ma si ottie-ne una significativa presenza nella classe iA1 (30%).L’elemento Stato di Sviluppo assume dunque un pesosignificativo nella definizione dell’Indicatore di Attività.

Per definire le classi dell’Indicatore di Intensità sonostati considerati due possibili divisori per i valori chesono ottenuti dallo schema di cui alla Tab. 9. Nel primocaso il divisore è rappresentato dal valore massimo pre-visto nella stessa Tab. 9; nel secondo caso è stato assun-to come divisore il valore massimo fra quelli attribuiticon lo schema di calcolo di cui alla Tab. 9 alle instabi-lità considerate. I risultati conseguiti per i due casi indi-cati sono mostrati nella Fig. 8b ed evidenziano una dif-ferenziazione significativa. Utilizzando il valore massi-mo previsto nello schema di calcolo come divisore siottiene in generale un risultato che ha un carattere dimaggiore generalità, in quanto si riferisce a tutte le con-dizioni previste dallo stesso schema di calcolo, mentrenel secondo caso, divisore costituito dal valore massi-mo ottenuto relativamente a tutte le instabilità conside-rate, si ottiene un’indicazione pesata rispetto all’area distudio.

Sulla base di quanto illustrato è possibile definire lequattro distribuzioni dell’Indicatore di Pericolo mostra-te nella Fig. 9.

Nell’ipotesi in cui si consideri solo il Grado di Attivitànella definizione dell’Indicatore di Attività (prima ipote-si), il confronto di quanto riportato nella Fig. 9a-c con-sente di rilevare una modesta differenziazione delle duedistribuzioni dell’Indicatore di Pericolo ottenute per idue casi di classificazione dell’Indicatore di Intensità

GULLÀ et al.114 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

iI ULT [isM]

RSA RSC RTF RTD RLF RLD

Tipologia

[isT]

[3] [1] [4] [2] [5] [2]

CO [3] 6 4 7 5 8 5

SC [2] 5 3 6 4 7 4

SB [2] 5 3 6 4 7 4

SR [1] 4 2 5 3 6 3

CR [3] 6 4 7 5 8 5

Tab. 9 - Valori dell’Indicatore di Intensità (iI).– Values of Intensity indicator (iI).

Indicatore di Attività (iA)

Indicatore di

Intensità (iI) iA1 iA2 iA3 iA4

iI1 iP1 iP1 iP1 iP1

iI2 iP1 iP2 iP2 iP3

iI3 iP1 iP2 iP3 iP4

iI4 iP1 iP3 iP4 iP4

Tab. 10 - Tabella a due entrate per la determinazione dell’Indicatore diPericolo (iP).– Two-entry table for determining the Hazard indicator (iP).

Classifica Identificazione

ER1 Aree disabitate e improduttive

ER2

Edifici isolati

Infrastrutture viarie minori

Zone agricole

Verde pubblico

ER3

Nuclei urbani

Insediamenti industriali

Insediamenti artigianali

Insediamenti commerciali minori

Infrastrutture viarie secondarie

ER4

Centri urbani

Grandi insediamenti industriali

Grandi insediamenti commerciali

Beni architettonici, storici e artistici

Principali infrastrutture viarie

Servizi di rilevante interesse sociale

Tab. 11 - Ordinamento ed identificazione degli Elementi a Rischio (ER).– Ranking and identification of Elements at risk (ER).

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(rispettivamente divisore pari al massimo valore previstonella Tab. 9 e divisore pari al massimo valore relativoalle frane considerate); ad una conclusione analoga si

perviene se nella definizione dell’Indicatore di Attività siconsidera Grado di Attività e Stato di Sviluppo (secondaipotesi), Fig. 9b-d.

Nel caso in cui la classificazione dell’Indicatore diIntensità è condotta riferendosi al valore massimo previ-sto dallo schema di calcolo (Tab. 9) (primo caso), pos-siamo osservare quanto segue nelle distribuzioni del-l’Indicatore di Pericolo ottenute senza e con l’elementoStato di Sviluppo: rimane sempre più alta la percentualenella classe iP2 con valori rispettivamente dell’87% edel 64%; si ha una variazione delle percentuali nellaclasse iP1 con valori rispettivamente del 3% e del 32%(Fig. 9 a-b). Una situazione sostanzialmente analoga sirileva fra le distribuzioni dell’Indicatore di Pericolo,considerando per la classificazione di iI il valore massi-mo ottenuto per le frane dall’area di studio (secondocaso), Fig. 9c-d.

Quanto illustrato indica dunque che per l’area di stu-dio esaminata i due diversi casi di adimensionalizzazio-ne considerati per iI non determinano differenze nelledistribuzioni dell’Indicatore di Pericolo. Inoltre la note-vole omogeneità geologica dell’area di studio fa sì chel’utilizzo dell’elemento Struttura Geologico Tecnica, insostituzione dell’elemento Unità Lito Tecnica, nelladefinizione dell’Indicatore di Intensità, non producasostanziali differenze nelle distribuzioni dell’Indicatoredi Pericolo ottenute (Gullà et al., 2002).

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 115Geologica Romana 38 (2005), 97-121

IDENTIFICAZIONE DESCRIZIONE CLASSIFICAZIONE

Centro Abitato (CEA) Si intende un aggregato di case contigue o vicine

con interposte strade, piazze e simili, o

comunque brevi soluzioni di continuità,

caratterizzato dall’esistenza di servizi od esercizi

pubblici costituenti la condizione di una forma

autonoma di vita sociale.

ER4

Nucleo Abitato (NUA) Si intende la località abitata, priva del luogo di

raccolta che caratterizza il centro abitato,

costituita da un gruppo di case contigue o vicine,

con almeno cinque famiglie e con interposte

strade, sentieri, spiazzi, aie, piccoli orti, piccoli

incolti e simili, purchè l’intervallo tra casa e casa

non superi una trentina di metri e sia in ogni

modo inferiore a quello intercorrente tra il nucleo

stesso e la più vicina delle case manifestamente

sparse.

ER3

Case Sparse (CAS) Si intendono quelle disseminate nel territorio

comunale a distanza tale tra loro da non poter

costituire nemmeno un nucleo abitato.

ER2

Strada Principale (STP) - Autostrada: strada a 4 corsie

- Strada a 2 o 3 corsie (7 metri ed oltre)

ER4

Strada Secondaria

(STS)

- Strada ad una corsia (tra 3,5 e 7 metri)

- Rotabile secondaria

- Mulattiera, sentiero

ER3

Ferrovia (FER) Linea ferroviaria ER4

Tab. 12 - Identificazione, descrizione e classificazione degli Elementi a Rischio (ER) derivati dalla Cartografia I.G.M.I. a scala 1:50.000.– Identification, description and ranking of Elements at Risk (ER) in the 1:50,000 scale map of I.G.M.I.

Indicatore di Intensità

Elementi a Rischio iI1 iI2 iI3 iI4

ER1 iD1 iD1 iD1 iD1

ER2 iD1 iD2 iD2 iD3

ER3 iD1 iD2 iD3 iD4

ER4iD1 iD3 iD4 iD4

Tab. 13 - Tabella a due entrate per la determinazione dell’Indicatore diDanno (iD).– Two-entry table for determining the Damage indicator (iD).

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Ulteriori elementi aggiuntivi sono stati utilizzati pervalutarne gli effetti sull’Indicatore di Pericolo (Gullà etal., 2002). In particolare sono stati considerati: penden-za (PEN), rapporto tra la distanza corona-unghia e la lar-ghezza dell’instabilità (DCU/LAR), differenza di quotatra corona e unghia dell’instabilità (DQU), distanza dellastruttura tettonica più vicina al punto di massima curva-tura della corona quando inferiore a 500 m (DIC). Il pesodegli elementi considerati è stato definito sulla base disemplici assunzioni di proporzionalità fisico-meccanica.Si è quindi assunto che l’intensità del fenomeno aumen-ti: con la pendenza media del versante (PEN); per valoricrescenti del rapporto DCU/LAR (forma “allungata”indicativa di una maggiore mobilità del fenomeno); conla differenza fra la quota massima e minima (DQU); inmaniera inversamente proporzionale alla distanza tra lastruttura tettonica ed il punto di maggiore curvatura della

corona dell’instabilità stessa. Relativamente a quest’ulti-mo aspetto sono disponibili riferimenti circostanziati peralcuni contesti geo-ambientali della Calabria (Greco &Sorriso-Valvo, 2005).

In definitiva le valutazioni riassunte portano a conclu-dere che alla scala intermedia l’utilizzo degli elementiaggiuntivi non produce significative variazioni negliscenari indicativi di pericolosità e, pertanto, gli stessinon sono strettamente necessari nella definizionedell’Indicatore di Pericolo alla scala intermedia consi-derata.

Stima del rischio

Per una verifica completa della metodologia propostanella presente nota si è proceduto alla valutazionedell’Indicatore di Rischio per alcune instabilità rappre-sentative presenti nella Carta, Fig. 10. Per una maggio-re generalità l’Indicatore di Pericolo utilizzato è quellodefinito considerando: l’Indicatore di Attività ottenutocon il Grado di Attività e lo Stato di Sviluppo (secondaipotesi), l’Indicatore di Intensità calcolato rispetto almassimo valore previsto nello schema di cui alla Tab. 9(primo caso).

Nella Tab. 15 sono riportate le classi relative aIndicatore di Attività, Indicatore di Intensità ed Indica-tore di Pericolo che sono attribuite alle instabilità scelte.Riguardo l’Indicatore di Attività le situazioni esaminatesono attribuite alle seguenti classi: due ad iA1, tre ad iA2,una ad iA4; relativamente all’Indicatore di Intensità, le 6instabilità sono invece collocate a coppia nelle classi iI2,iI3 ed iI4. Consegue da quanto illustrato che per quantoconcerne l’Indicatore di Pericolo abbiamo l’attribuzionedei casi trattati alle seguenti classi: due casi ciascuno adiP1 ed iP2, un caso ciascuno ad iP3 ed iP4.

Nella Tab. 16 sono riportati gli elementi vulnerabilirilevati dalla Carta nell’areale di riferimento delle insta-bilità considerate, Fig. 10. Possiamo constatare che sonopresenti diverse combinazioni di elementi vulnerabili, adesempio: nucleo abitato (NUA), strada principale (STP),strada secondaria (STS) e ferrovia (FER) per la frana 92(Fig. 10a); centro abitato (CEA) e strada secondaria(STS) per l’instabilità 123 (Fig. 10b); case sparse (CAS)e strada secondaria (STS) per l’instabilità identificatacon il numero 124 (Fig. 10b).

Sulla base di quanto illustrato ed utilizzando la matri-ce proposta nella Tab. 13, sono individuati gli Indicatoridi Danno attribuiti alle instabilità considerate: iD3 perle instabilità 28, 92 e 119, iD4 per le instabilità 13, 123e 124.

Con la matrice riportata nella Tab. 14, e facendo rife-rimento agli Indicatori di Danno e di Pericolo assegnatiad ognuna delle instabilità considerate, sono assegnatialle stesse instabilità i relativi Indicatori di Rischio,Tab.17. Dalla tabella richiamata si può rilevare che ai seicasi considerati per la valutazione indicizzata del rischiosono attribuiti a coppia gli indicatori iR1, iR2 ed iR4,quest’ultimo indicativo della condizione di rischio piùelevata.

GULLÀ et al.116 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

iD1 iD2 iD3 iD4

iP1 iR1 iR1 iR1 iR1

iP2 iR1 iR2 iR2 iR3

iP3 iR1 iR2 iR3 iR4

iP4 iR1 iR3 iR4 iR4

Indicatore di rischio moderato (iR1): danni

sociali, economici ed al patrimonio ambientale

marginali.

Indicatore di rischio medio (iR2): possibili

danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al

patrimonio ambientale che non pregiudicano

l’incolumità delle persone, l’agibilità degli edifici

e la funzionalità delle attività economiche.

Indicatore di rischio elevato (iR3): possibili

problemi per l’incolumità delle persone, danni

funzionali agli edifici ed alle infrastrutture con

conseguente inagibilità degli stessi, interruzioni

di funzionalità delle attività socio-economiche e

danni rilevanti al patrimonio ambientale.

Indicatore di rischio molto elevato (iR4):

possibili perdite di vite umane e lesioni gravi

alle persone, danni gravi agli edifici, alle

infrastrutture ed al patrimonio ambientale,

distruzioni di attività socio-economiche.

Tab. 14 - Tabella a due entrate per la determinazione dell’Indicatore diRischio (iR) e relativa descrizione.– Two-entry table for determining the Risk indicator (iR), and defini-tion of rank.

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CONCLUSIONI

Nella presente nota la “Carta litologico-strutturale edei movimenti in massa della Stretta di Catanzaro” èutilizzata per la stima indicizzata a scala intermediadella pericolosità e del rischio da frana. Da tale Cartasono stati estratti gli elementi per costituire una bancadati. Nella banca dati sono stati individuati i dati utiliz-zati per definire arealmente l’Indicatore di Pericolo el’Indicatore di Rischio da frana con la metodologia pro-posta.

L’analisi di una parte significativa della vasta lettera-tura nazionale ed internazionale ha consentito di indivi-duare alcuni riferimenti essenziali e di delineare sempli-ci criteri per la definizione della metodologia proposta

nella nota (Carrara, 1983; Varnes, 1984; Einstein, 1988;Brabb, 1989; Canuti & Casagli, 1996; Crescenti, 1998;Aleotti & Chaudrhury, 1999; Antronico et al., 1999;Gullà, 2002).

I risultati, illustrati per l’area di studio trattata,mostrano che è possibile pervenire ad una stima corret-ta ed affidabile della pericolosità e del rischio da franaindicizzate a scala intermedia utilizzando una procedu-ra semplice e robusta, che considera un numero conte-nuto di elementi di valutazione. La bontà della stimadipende ovviamente dalla corretta definizione degli ele-menti considerati per la valutazione sui quali, pertanto,è necessario focalizzare l’attenzione e l’impegno.

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 117Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Fig. 8 - Distribuzioni di frequenza dell’Indicatore di Attività iA (a) edell’Indicatore di Intensità iI (b) ottenute considerando le diverseipotesi relative agli elementi e condizioni di base illustrate nel testo. – Frequency distribution of Activity indicator iA (a) and Intensity indi-cator iI (b) as obtained applying the different hypotheses regardingbasic elements and conditions as decribed in the text.

Fig. 9 - Distribuzioni di frequenza dell’Indicatore di Pericolo (iP)ottenute con gli indicatori di Intensità (iI) ed Attività (iA) valutati inbase alle ipotesi illustrate nel testo.– Frequency distribution of Hazard indicator (iP) obtained by meansof Intensity indicator (iI) and (iA) as assessed on the basis of the dif-ferent hypotheses decribed in the text.

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GULLÀ et al.118 Geologica Romana 38 (2005), 97-121

Fig. 10 - Esempi di fenomeni di instabilità riportati nella Carta checoinvolgono elementi vulnerabili di varia tipologia.– Exsamples of mapped slope instability fenomena that involve vulner-able elements of various types.

Identificazione

delle InstabilitàiA iI iP

13 iA2 iI4 iP3

28 iA2 iI3 iP2

92 iA2 iI2 iP2

119 iA1 iI2 iP1

123 iA4 iI3 iP4

124 iA1 iI4 iP1

Tab. 15 - Indicatori di Attività (iA), di Intensità (iI) e di Pericolo (iP)definiti per alcune delle instabilità presenti nella Carta (vedi Fig. 10)nella seconda ipotesi e primo caso.– Indicator of Activity (iA), Intensity (iI), and Hazard (iP) as definedfor some of mapped instability phenomena (see Fig. 10), based on sec-ond hypothesis and first possibility.

Identificazione

delle

Instabilità

Elementi

Vulnerabili

Indicatore

Elementi a

Rischio

(iEr)

Indicatore

di Danno

(iD)

13 NUA-STS iEr3 iD4

28 CAS-STS iEr3 iD3

92NUA-STP-STS-

FERiEr4 iD3

119 STP-STS-FER iEr4 iD3

123 CEA-STS iEr4 iD4

124 CAS-STS iEr3 iD4

Tab. 16 - Indicatori di rischio e di danno per gli elementi a rischio ril-evati dalla Carta per le instabilità considerate (vedi Fig. 10).– Risk and damage indicators for mapped elements at risk (see Fig. 10).

Identificazione

delle Instabilità

Indicatore di

Pericolo (iP)

Indicatore di

Danno (iD)

Indicatore di

Rischio (iR)

13 iP3 iD4 iR4

28 iP2 iD3 iR2

92 iP2 iD3 iR2

119 iP1 iD3 iR1

123 iP4 iD4 iR4

124 iP1 iD4 iR1

Tab. 17 - Attribuzione dell’Indicatore di Rischio (iR) alle instabilitàconsiderate (vedi fig. 10).– Assignment of Risk indicator (iR) to considered instability phenom-ena (see Fig. 10).

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Lo schema seguito per la definizione degli Indicatori diPericolo e di Rischio è generale e non pone vincoli rispet-to agli elementi considerati per la loro valutazione. Ciòconsente di riformulare in maniera semplice e coerente laprocedure operativa definita dalla metodologia proposta:per diverse aree di studio; per la stessa area di studio manmano che migliora il quadro conoscitivo; per integrarenella definizione degli Indicatori elementi specifici econoscenze generali che si rendono disponibili.

Per l’area di studio trattata si è accertato che l’utilizzodegli elementi base è sufficiente per la definizione degliindicatori proposti. In particolare l’Indicatore diPericolo che in generale è opportuno utilizzare è quellodefinito considerando l’Indicatore di Attività, ottenutocon il Grado di Attività ed lo Stato di Sviluppo (secondaipotesi), e l’Indicatore di Intensità, calcolato rispetto almassimo valore previsto nello schema di cui alla Tab. 9(primo caso). L’Indicatore di Rischio, invece, è definitoattraverso la matrice riportata nella Tab. 14 che, come sipuò rilevare, fa riferimento agli Indicatori di Danno e diPericolo assegnati ad ognuna delle instabilità.

Relativamente all’area di studio della Stretta diCatanzaro si rileva, ponendosi cautelativamente nelloscenario più gravoso in termini di pericolosità, che leinstabilità considerate sono caratterizzate nel 32% deicasi da Indicatore di Pericolo iP1, nel 58% da iP2, nel

7% e nel 3% rispettivamente da iP3 ed iP4, Fig. 9d. La stima del rischio, condotta a titolo esemplificativo

su un gruppo di instabilità, ha consentito di verificarel’utilizzo completo della procedura ed ha evidenziato ilpeso degli elementi utilizzati nella definizione dell’Indi-catore di Pericolo.

I risultati conseguiti alla scala intermedia, oltre a for-nire un’indicazione convenzionale della pericolosità edel rischio, delineano in modo efficace le priorità diintervento ed orientano opportunamente gli studi di det-taglio. Quest’ultima potenzialità consente una più rapidaintegrazione tra gli studi areali e quelli puntuali, i primiriferiti a contesti geo-ambientali omogenei ed i secondirelativi a instabilità di pendio tipizzate da un punto divista geotecnico.

Un sostanziale miglioramento dei risultati conseguiticon la metodologia proposta può essere ottenuto inte-grando indicatori in grado di porre in conto possibili sce-nari di innesco per movimenti in massa caratteristici dicontesti geologici omogenei (Terranova et al., 2004).

RINGRAZIAMENTI - Gli Autori intendono ringraziareDaniela Niceforo per la preziosa collaborazione fornita duran-te la preparazione e la stesura del lavoro. Si ringrazia altresì F.Bozzano ed il revisore anonimo per gli utili suggerimenti insede di revisione critica del lavoro.

PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI ... 119Geologica Romana 38 (2005), 97-121

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Accettato per la stampa: Novembre 2005

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