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1 “Hai visto? Te l'avevo detto che dovevamo venire prima!”. La voce si perde nella confusione che anima la Galleria Sordi, piena di centinaia di ragazzi che l'affollano in ogni angolo. Ridendo, scherzando. Urlando. Tormentando furiosamente smartphone e cellulari di ultima generazione. Ma soprattutto cercando di entrare nella grande Feltrinelli che si trova nel cuore della galleria. Davanti all'ingresso della libreria, qualcuno comincia a spingere, sperando di far saltare il servizio d'ordine che da un po' non lascia passare più nessuno. Sorpreso dalla confusione, Michele smette di scrivere l'sms che camminando camminando aveva appena cominciato e si guarda intorno perplesso. Il rumore prodotto dai ragazzi supera anche la voce di Berlusconi, che dall'alto di maxi schermi domina i due bracci della Sordi annunciando le dimissioni del suo governo e rifilando l'ennesimo attacco ai giudici. O ai comunisti. O alla corte costituzionale. O a quel che è di turno. Il volto è tirato, una maschera senza sangue. Plastica e fard sembrano evaporare lasciando macchie giallastre e svelando la vera età dell'ormai quasi ex presidente del consiglio. Michele tende il dito medio verso l'immagine del vecchio tycoon, facendo però attenzione a tenere la mano bassa e riparata dalla sacca con il Pc. L'uomo ormai sembra finito. Ma non si sa mai. Meglio non farsi notare. Anzi, meglio sperare che a Berlusconi riesca l'ennesimo colpo di coda e che magari torni in sella alle prossime elezioni, visto che

Quattro passi nel buio, oltre l'amore - Romanzo di Antonio Turi

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Affresco sulla realtà della vita contemporanea.

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“Hai visto? Te l'avevo detto che dovevamo venire prima!”.

La voce si perde nella confusione che anima la Galleria Sordi, piena di centinaia di ragazzi

che l'affollano in ogni angolo. Ridendo, scherzando. Urlando. Tormentando furiosamente

smartphone e cellulari di ultima generazione. Ma soprattutto cercando di entrare nella

grande Feltrinelli che si trova nel cuore della galleria.

Davanti all'ingresso della libreria, qualcuno comincia a spingere, sperando di far saltare il

servizio d'ordine che da un po' non lascia passare più nessuno.

Sorpreso dalla confusione, Michele smette di scrivere l'sms che camminando camminando

aveva appena cominciato e si guarda intorno perplesso.

Il rumore prodotto dai ragazzi supera anche la voce di Berlusconi, che dall'alto di maxi

schermi domina i due bracci della Sordi annunciando le dimissioni del suo governo e

rifilando l'ennesimo attacco ai giudici. O ai comunisti. O alla corte costituzionale. O a quel

che è di turno.

Il volto è tirato, una maschera senza sangue. Plastica e fard sembrano evaporare

lasciando macchie giallastre e svelando la vera età dell'ormai quasi ex presidente del

consiglio.

Michele tende il dito medio verso l'immagine del vecchio tycoon, facendo però attenzione

a tenere la mano bassa e riparata dalla sacca con il Pc.

L'uomo ormai sembra finito. Ma non si sa mai. Meglio non farsi notare.

Anzi, meglio sperare che a Berlusconi riesca l'ennesimo colpo di coda e che magari torni

in sella alle prossime elezioni, visto che la maggior parte del lavoro della Smart.Pub.,

l'agenzia pubblicitaria della quale Michele è proprietario al cinquanta per cento, proviene

da istituzioni legate al governo o da amministrazioni di destra.

Se Silvio esce di scena, c'è il rischio di un tracollo di tutto il suo schieramento. Con

conseguenze disastrose per l'agenzia.

Per fortuna “papi” ha dimostrato di avere sette vite come i gatti.

Michele prova a contare le volte che Berlusconi è stato dato per morto e invece poi è

sempre ritornato “più forte che pria”, come diceva coso, lì, quello, Manzoni. O Leopardi.

Insomma, uno di quei tipi là.

Certo, questa volta riprendersi sarà più duro.

Le news di Sky raccontano di lanci di monetine lungo il percorso seguito dal corteo

governativo e la presenza di un folla inferocita all'entrata del Quirinale, dove Berlusconi si

sta recando per parlare con il Presidente della Repubblica.

Comunque il futuro è futuro e ci si penserà dopo.

Adesso Michele gode come un pazzo. Perché uno, Berlusconi gli è sempre stato sulle

palle, due, Smart.Pub. o non Smart.Pub., si è sempre atteggiato a creativo di sinistra.

All'inizio, quando ha cominciato a lavorare, perché non si poteva fare diversamente. Il

mondo pubblicitario era in mano agli ex sessantottini. Cervello fumato ma creatività a

pacchi.

Dopo, perché essere di sinistra è trendy. Nei salotti bene funziona. Sei più considerato se

stai da quella parte.

Essere di destra è roba da borgatari arrivati. Con i soldi, ma sempre borgatari. E Michele

tutto si sente tranne che borgataro, forse perché è proprio lì che è nato.

E allora ci tiene a marcare le differenze. A mostrare che le conosce e sa giudicarle.

Quelli di destra vestono appariscente, sbagliano a parlare, mangiano pacchiano e bevono

peggio.

A sinistra, tutta un'altra cosa.

A sinistra sanno cos'è un bell'abito. Usano i congiuntivi che nemmeno Manzoni o Dante, e

quando c'è da da mangiare o bere è sempre roba speciale. Magari costa pure poco, ma è

da leccarsi i baffi.

Infine a sinistra c'è l'intelligenza. Quella vera. E se non sei intelligente impari a fingere di

esserlo. A passare serate dicendo ovvietà sul niente in modo complesso e con tono

compiaciuto.

Solo in una cosa la destra è decisamente superiore.

A destra le donne sono più fighe.

Tette e culi da capogiro. Poche menate per darla.

Ecco, magari chiedono qualcosa in cambio. Soldi. O lavoro.

Darla, la danno alla svelta e senza problemi, ma mai veramente gratis. Però sono delle

gnocche da sballo.

A sinistra fighe così non se ne vedono. E in quanto a darla, sono più del tipo “interessante

ma complicate”. Che per carità, è un genere che merita pure questo. E ha il vantaggio che

se te le sai intortare, te la danno gratis. I problemi ci sono, ma cominciano dopo.

Solo che le donne nella vita non sono tutto.

Michele ne è convinto.

Se non sei proprio troglo o malato di sesso capisci presto che contano anche altre cose. E

per tutte quelle cose, non si discute, a sinistra è meglio.

Certo, non è facile dichiararsi di sinistra e essere co-proprietario di una agenzia che ha

fatto intere campagne per la destra, ma Michele si è sempre trincerato dietro

l'affermazione che business is business.

Certo, quando con Giulio Crescioni ha fondato la Smart.Pub. non immaginava che doveva

finire così.

Sì, vabbè, che la persona con cui andava a mettersi non era propriamente di sinistra,

questo lo sapeva. Ma allora, nel '92, questo era uno svantaggio, non un vantaggio.

La I Repubblica crollava, Occhetto sembrava che doveva vincere e governare per almeno

vent'anni e lui che cosa fa? Apre una agenzia pubblicitaria con un fascista. Ma non

fascista per modo di dire. Uno vero, uno che ci credeva. Uno che si era fatto tutti gli anni

'70 sulle barricate ma dalla parte sbagliata. Con l'MSI.

Una follia.

No, peggio. Una stronzata.

Almeno questo avevano detto tutti i migliori amici di Michele.

Lui se n'era fregato.

Business is business. E Giulio, fascista o no, era il miglior copy in circolazione. Le agenzie

se lo contendevano. Così come si contendevano Michele per la grafica.

E allora?

Allora invece di continuare a lavorare per altri, perché non mettersi in proprio? Questo si

erano detti Michele e Giulio.

Dopo era successo quello che era successo.

Occhetto e la sinistra erano finiti nella merda. Le elezioni le aveva vinte Berlusconi.

Insieme a Fini.

An era arrivata al governo e Giulio si era ritrovato come ministri, sottosegretari, presidenti

di enti e banche persone con le quali aveva condiviso tutto. Scontri di piazza, botte della

polizia, arresti.

Da quel momento a destra non c'è stata campagna elettorale, slogan di successo,

manifestazione o kermesse che non ha visto la Smart.Pub. in prima fila.

In cambio di questo impegno, sono arrivati fiumi di euro sotto forma di incarichi affidati da

tutti i ministeri e gli enti presieduti da uomini dell'ex Msi.

Per Michele non sono stati anni facili. Soldi a parte, ovvio.

Di giorno elaborare manifesti a campagne per la destra, di sera, in privato, frequentare

amici di sinistra dicendo peste e corna di Berlusconi e ridendo di lui.

Apparentemente ha retto bene, ma a pagare è stato il suo fegato che, a dirla com'è, ha

rosicato.

Ha tanto rosicato che oggi di fronte alla notizia del crollo definitivo di Silvio, Michele non è

proprio riuscito a controllarsi e per la prima volta si è dichiarato in pubblico.

Per qualche secondo, la preoccupazione per il futuro della Smart.Pub. è passata in

secondo piano e di fronte all'immagine di Berlusconi nella polvere quel dito medio teso, sia

pure riparato dietro la borsa, ha pareggiato anni di sofferenza.

Due ragazzine affiancano Michele.

Trucco esagerato per i loro anni. Qualche chilo di troppo portato con l'indifferenza

dell'adolescenza. Jeans a vita bassissima.

“Ma che sta succedendo?”, chiede Michele.

Le due ragazzine lo guardano disgustate. Lo studiano come se fosse un marziano.

Concludono che si tratta solo di un vecchio rincoglionito e si rassegnano a rispondere.

“C'è Emma che firma il suo cd”, dice una delle due.

“Emma, di Amici”, aggiunge l'altra, con la stessa pazienza che avrebbe usato con suo

nonno.

Michele ha la tentazione di mandarle a quel paese.

Si trattiene.

Ok. Avranno sì e no sedici anni. Una buona età per credersi chissà chi. Ma non bisogna

nemmeno esagerare.

Sono giovani, ma non è un merito. E non dura in eterno.

Lui può testimoniarlo.

Gli pare ieri che aveva la loro stessa età. Invece se ne è già andato un pezzo intero di vita.

Però non per questo si sente Noè. Anzi.

A un passo dai cinquanta ha ancora voglia di dire la sua.

Palestra tre volte la settimana. Jogging tutte le mattine.

Jeans di marca e t-shirt. Sneaker griffate.

Barba di due/tre giorni. Regolata con una macchinetta speciale, comperata in Francia,

qualche anno fa.

Una professione di tendenza.

Soldi, tutti quelli che servono.

Ritiene di essere un tipo interessante.

Interessante e determinato.

Le ragazzine, là vicino, non la pensano allo stesso modo.

Gli lanciano un'altra occhiata di traverso. Si scostano.

Lui ricambia l'occhiataccia. Irritato. Ma in tre secondi secchi smette di pensarci.

Ha un problema più serio da risolvere.

Ha un appuntamento.

Dentro la Feltrinelli.

E il fatto che l'appuntamento sia con Giulio non semplifica le cose. Anzi.

Michele riprende il suo I-Phone.

Cerca in rubrica.

Fa partire la chiamata.

Davanti, improvvisamente, le prime file di ragazzi ricominciano a spingere. E questa volta

fanno sul serio.

Le due guardie giurate di servizio all'ingresso della Feltrinelli sbandano.

Michele per un attimo spera che i ragazzi le travolgano.

Così imparano a organizzare eventi di questo tipo in libreria, pensa.

Emma, poi! L'idolo del momento.

Quanti ragazzi si aspettavano che sarebbero venuti? E soprattutto come? Ordinati e in fila

per tre?

“Hai visto che casino?”, la voce di Giulio esplode improvvisa dentro l'I-Phone.

“Dove sei?”, gli chiede Michele.

Dovunque sia, Giulio ride.

“Meno male che dovevo prendere dei libri”, gorgheggia, “Quando sono arrivato non c'era

ancora nessuno. Muoviti che ti aspetto al bar”.

Michele lascia partire una mezza bestemmia. Spinge via un ragazzino che nella foga gli è

passato sui piedi.

L'altro si gira. Dice qualcosa.

Michele lo fulmina con lo sguardo. Sta per andare a prenderlo. Si ferma.

C'è il problema Giulio da risolvere.

“Aspetta”, dice al telefono, “Perché non scendi tu e ce ne andiamo da un'altra parte. È più

facile”.

“Ma che sei scemo?”, sbotta Giulio.

“Dai, vieni su!”, riprende dopo un attimo, “Che c'è tanta di quella figa che non puoi

immaginare”. E mette giù senza aspettare risposta.

Michele resta con l'I-Phone in mano.

Si chiede dove Giulio vede tutta questa figa.

Sopra non deve essere diverso da lì. E lì ci sono solo ragazzine.

Comunque c'è poco da fare. Quando Giulio si mette una cosa in testa, non gliela toglie

nessuno.

La voglia sarebbe di lasciar perdere. Di andare via. Di rimandare l'appuntamento. Ma non

può farlo.

Giulio viene da una riunione con uno dei suoi migliori referenti politici.

È andato a saggiare l'ambiente. A capire che cosa conviene fare. Soprattutto che cosa si

può fare.

Nel casino che si sta creando è urgente agire. Anzi, reagire. Ogni secondo lasciato

passare passivamente è pericoloso per la loro agenzia. Può portare alla rovina.

Michele si sistema meglio la sacca.

Sospira.

Parte.

Educatamente.

Chiedendo permesso.

I ragazzi davanti a lui nemmeno si girano. Serrano le fila.

Michele rinuncia subito alle buone maniere.

Spinge.

Sposta.

“Oh, ma dove cazzo vai!”, sibila un ragazzetto di nemmeno quindici anni, “Non fanno

entrare nessuno”.

Michele non gli bada.

Continua a farsi strada.

Raggiunge l'ingresso sudato e stanco come se avesse attraversato il Mar Rosso.

Una delle guardie giurate lo fissa.

È perplessa.

Non si aspettava di trovarsi di fronte un adulto.

Con i ragazzini sa cosa deve fare. Tenerli fuori, almeno per ora.

Ma con un adulto?

“Ho un appuntamento di lavoro con una persona che è già dentro”, si giustifica Michele.

La guardia gli sorride.

Si capisce che in fondo non gliene frega niente.

Si fa da parte.

Dai ragazzi parte una bordata di fischi.

Michele non si gira. Si limita a sollevare il dito medio. Questa volta tenendolo ben alto e

visibile.

I fischi raddoppiano, ma lui è già dentro.

All'interno, la libreria è piena al limite della capienza.

Centinaia di ragazzi.

Percorrono gli scaffali.

Prendono in mano libri, dvd, qualsiasi tipo di merce esposta.

Annusano, palpano. Lasciano cadere a caso.

Fanno un rumore della madonna.

Le facce dei commessi, intorno, sono furiose. Ma nessuno si sogna di intervenire.

Michele si chiede se la vendita di un migliaio di cd di Emma giustifichi tutto questo.

No, decide. Ma siccome non sono fatti suoi, si dirige verso la scala mobile.

A metà della rampa, avverte la vibrazione dell'I-Phone.

Sul display appare il nome di Esther, la sua ex moglie, ex amica, ex confidente, ex un

sacco di cose. La sua ex tutto. Attualmente solo madre della loro unica figlia, Valeria.

Michele sbuffa.

Esther vorrà ricordargli che deve passare a prendere Valeria.

Michele si domanda che bisogno c'è!

Se lo ricorda benissimo da solo.

Risponde.

“Che c'è?”, chiede.

Dall'altra parte, la voce di Esther è di ghiaccio.

“Ti avevo detto di passare a prendere Valeria”, sibila.

Michele si innervosisce.

Lancia un'occhiata intorno.

I ragazzi che lo precedono e lo seguono sulla scala mobile non sembrano pensare a lui.

Tuttavia non ha voglia di dare spettacolo e con Esther finisce sempre che deve urlare.

“Un secondo”, dice. E aspetta di arrivare in cima per continuare la conversazione.

“Sì, ti ho già detto che vengo!”, riprende dopo essersi appartato, “Sono in riunione. Appena

finisco passo!”.

“Dovevi venire questa mattina!”, la voce di Esther è fuori controllo, “Vieni adesso! Subito!”.

“Adesso non posso”, si agita Michele.

“Sei il solito stronzo!”, sibila Esther.

“Appena mi libero vengo!”, ripete Michele.

Poi chiude la comunicazione. Per sicurezza spegne anche l'I-Phone.

Ma è irritato con sé stesso.

Mettere giù non è stata una grande idea.

Esther odia vedersi sbattere il telefono in faccia.

Michele chiude gli occhi.

Respira a fondo.

Prova a calmarsi. Ma la cosa non deve riuscirgli molto bene. Perché quando si trova di

fronte la scala mobile per il secondo piano bloccata da un nugolo di ragazzini in attesa di

salire non perde tempo.

Ne sposta diversi, brutalmente. E deve avere una faccia che non scherza. Perché questa

volta non protesta nessuno.

2

A casa, nella casa che dopo la separazione divide con Valeria, Esther è furiosa.

Prova a rifare il numero di Michele, ma trova solo la segreteria.

Lancia via l'I-Phone.

Lo segue con lo sguardo mentre rimbalza sul divano e si perde per terra.

E se si è rotto pazienza. Vuol dire che Michele dovrà ricomprarglielo.

Afferra la borsa. Tira fuori le sigarette. Ne accende una.

Non era questo il modo in cui sperava di passare il suo primo pomeriggio libero dopo una

settimana di lavoro selvaggio.

Chiusa in casa con Valeria.

Perché ormai conosce bene Michele.

Inventerà una scusa dietro l'altra e alla fine non si farà proprio vedere.

Eppure questa mattina è stata chiara.

Ha chiamato Michele appena sveglia.

“Ho bisogno di rilassarmi”, ha detto, “Adesso sto uscendo per sbrigare delle cose. Vieniti a

prendere Valeria prima che rientro”.

Ha chiuso convinta che l'ex marito non avrebbe fatto scherzi.

Fa parte dei loro accordi di separazione di non avere regole fisse per la custodia della

figlia. Di decidere di volta in volta. E nelle ultime settimane Michele è stato alquanto

latitante. Per questo oggi Esther era convinta che non avrebbe fatto storie.

Invece con Michele è così. Se ne frega. Di tutto e di tutti.

Se non ha voglia di fare una cosa, non la fa.

Pensa solo al proprio comodo.

Si è comportato così anche durante tutto il loro matrimonio.

Diciotto anni di assenze e cazzi suoi imposti dopo averla conquistata con un surrogato di

affetto confezionato con le parole del pubblicitario di razza e spacciato per l'amore della

vita.

Lei, Esther, ci è cascata in pieno.

Cioè, magari no. Un po' le ha fatto comodo.

Strafiga abituata a essere presa dai maschi solo per la sua straordinaria bellezza, si è

voluta illudere che il loro era l'amore eterno. Quello che dura per sempre.

Anche dopo.

Dopo.

Quando la bellezza sarebbe scomparsa.

Magari forse non scomparsa, ma non più all'altezza di una delle tante ventenni che

riempiono le strade.

Invece.

Invece l'amore.

Vabbè, l'amore!

Che roba è l'amore?

Da tempo Esther se lo chiede e non sa più rispondersi.

E comunque quella cosa che aveva voluto scambiare per amore dopo il matrimonio si è

dissolta in pochi mesi. L'arrivo di Valeria ha dato il colpo di grazia a ciò che restava.

Esther e Michele hanno cominciato a fare vite indipendenti. Vite che si incrociavano

casualmente nelle occasioni pubbliche e in casa negli orari dovuti.

Nonostante questo, quando Michele ha deciso di troncare definitivamente, Esther si è

sentita tradita.

Abbandonata.

Non se l'aspettava.

Ha provato a mordere, ma Michele ha tirato diritto peggio di un Tir lanciato sull'autostrada

a mille all'ora.

Esther ha dovuto farsene una ragione.

Accettare il fatto.

Ha provato a dirsi che era meglio così.

Che in fondo lei doveva ancora fare quarant'anni.

Che alla sua età ci si può ancora ricostruire una vita. E divertire anche un po', certo.

Con i soldi di Michele, ovvio. Ma un ex marito ha degli obblighi, no?

Se ne vuole andare? Bene, almeno che paghi!

E ci ha provato, Esther, a ricostruirsi una vita serena.

Ma è difficile.

Complicato.

Anche per colpa di Valeria.

Cioè, colpa.

Per Valeria, punto.

Per la sua presenza.

Una presenza ingombrante. Che richiede attenzioni. Tempo.

Un carico che sarebbe stato meno pesante se diviso in due, come doveva essere. Solo

che non è quello che sta succedendo.

Al momento di decidere la separazione, Michele ha proposto una generosa integrazione

dell'assegno mensile se Esther accettava di gestire la custodia di Valeria in modo

consensuale.

Che cosa significava veramente “consensuale” Esther non aveva bisogno di vederlo per

saperlo. Solo non avrebbe mai immaginato fino a questo punto. Fino all'assenza ripetuta e

durevole.

Oggi però Michele doveva proprio evitare di fare il furbo!

Ieri sera Esther ha avuto una serata faticosissima.

Ha dovuto gestire una serata promozionale per conto di uno dei suoi clienti. In una

discoteca.

Un evento che ha richiesto una settimana di lavoro forsennato.

Notti insonni e giornate passate fra Pc, I-Phone e sopralluoghi vari.

Poi, ieri, il delirio.

Centinaia di figli di papà che facevano, appunto, i figli di papà.

Ventenni o giù di lì, viziati che più non si può.

Biglietti da cinquecento in tasca come si trattasse di carta straccia.

Carini, palestrati.

Scopabili. Se non era che Esther sul lavoro ha deciso che la da solo se ne ha dei

vantaggi. E non era questo il caso.

Fino alle cinque di mattina è restata nel locale a fare la balia a quell'orda di quasi

minorenni isterici, certamente ubriachi e forse anche drogati.

Si è risvegliata questa mattina dopo un dormiveglia agitato passato nella certezza di

essere ancora in discoteca in mezzo alle belve.

Stonata, rincoglionita.

Il pensiero di dover anche occuparsi di Valeria le è sembrato insopportabile.

Per questo con Michele ha usato il tono delle richieste-ultimatum. Quelle che non si

possono rifiutare.

E invece!

Invece quando poco fa è rientrata nel corridoio ha trovato proprio lei, Valeria.

È rimasta così. Bloccata.

Incredula.

Ha aspettato che la figlia le sfilasse accanto per andare a barricarsi in camera sua, poi è

corsa in sala hobby. Ha chiuso la porta e ha chiamato Michele.

L'intenzione era di mangiarselo vivo. Invece è stata lei a essere trattata da pezza da piedi.

Se c'è una cosa che Esther non sopporta, è che le chiudano il telefono in faccia.

Michele lo sa. Eppure da un po' di tempo ha cominciato a farle anche questo. Sempre più

spesso.

L'ultima volta che è accaduto Esther si è fiondata nel suo ufficio. Ha dovuto attraversare la

città ma ci è andata lo stesso, diritta come un missile.

C'era voluto l'equipaggio di una volante per calmarla.

Esther disintegra la sigaretta nel portacenere.

Sotto la poltrona, l'I-Phone comincia a vibrare.

Almeno vuol dire che funziona.

Esther lo raccoglie.

Per un attimo spera che sia Michele. Che magari chiama per scusarsi e dirle che sta

arrivando.

Pouffff!

Ancora si fa illusioni!

E infatti no. Niente Michele.

È il numero di uno dei suoi clienti. Ma Esther non ha voglia di parlare di lavoro.

Lascia che l'I-Phone continui a vibrare.

Però quel rumore incessante contribuisce a irritarla ancora di più.

Ripensa al programma che si era costruita per il pomeriggio.

Per prima cosa, via gli abiti.

Nell'ingresso. Subito.

Sfilati e lanciati via. Senza preoccuparsi dove andavano a finire.

Poi sala hobby. Per comporre una colonna sonora dei brani preferiti.

Li avrebbe selezionati sul momento. Scegliendoli fra le migliaia della sua libreria I-tunes.

Infine bagno.

Vasca riempita d'acqua calda fino all'orlo e via. Dentro.

Niente e nessuno l'avrebbe schiodata di là per tutto il pomeriggio.

Dalla vasca avrebbe organizzato la serata.

Una cena a due.

Con Roberto. Un trombamico sempre pronto a soccorrerla per passare due ore di sesso

senza problemi o conseguenze.

O con Marco. Una specie di guru conosciuto a una festa, un paio di settimane fa.

Molto dotato, almeno questa è la voce che circola.

Esther si sentiva pronta per effettuare una verifica accurata.

Invece con Valeria in casa, tutto questo programma è off. Cancellato.

Impossibile realizzarlo.

E tutto grazie al suo ex marito.

Sì, dice che verrà. Con comodo. Appena può. Quando si libera.

Se si libera.

E comunque!

Se anche alla fine Michele si prende veramente Valeria, la giornata è definitivamente

rovinata.

La serata magari no. Forse. Se.

Se Michele non viene troppo tardi, se non saranno tutti impegnati, se qualcuno avrà voglia

di soccorrerla.

Se, se, se. Troppi se.

In ogni caso, il pomeriggio, quello non si recupera più di sicuro.

Ed Esther aveva bisogno di una intera giornata con la casa a disposizione. Non solo di

poche ore.

Per darsi l'illusione di non aver obblighi nei riguardi di nessuno.

No. Decisamente no.

È venuto il momento di parlare con qualche avvocato specializzato in diritto di famiglia. E

presto anche.

Uno bravo. Uno che conosce bene la materia.

Michele al telefono si è lamentato di avere una giornata complicata per il lavoro. Ma

perché lei ieri sera che cosa ha fatto? Ha giocato?

E questa mattina?

Non è che la professione di Pr sia meno stressante di quella di pubblicitario.

Anche se sì, Michele pensa proprio questo.

Che lei non lavora.

Che fare la Pr è un gioco.

Invece non è facile per niente.

Organizzare.

Sorridere.

Essere educata e corretta. E invece hai voglia di mandare affanculo!

Michele dice che nessuno la obbliga. Con i soldi che le da potrebbe anche lasciar perdere.

Sì!

Per fare cosa?

Starsene a casa con Valeria? A fare la madre abbandonata?

No, grazie!

Almeno così conosce gente nuova. Magari prima o poi incontra uno serio.

E comunque almeno si stordisce un po'.

Esther riprende l’I-Phone.

Richiama Michele.

Niente.

Sempre la voce metallica dell’operatore.

Tende l’orecchio.

Dalla camera di Valeria nessun rumore. Segno che ha capito che aria tira.

D’altra parte non ci voleva molto.

Esther sa bene come ha guardato la figlia, quando se l’è trovata davanti.

Contro di lei non ha niente. Solo non vorrebbe averla fra i piedi tutti i momenti. Soprattutto

in questo periodo. Che per la figlia sta segnando il passaggio dall’adolescenza alla

pubertà. Con tutto quello che segue di conflitti e nervi tesi.

Certo, non è colpa di Valeria. Ma nemmeno sua.

E se Valeria ha le sue crisi di crescita, lei ha il carattere che ha. Cioè di merda. Lo sa. Ma

saperlo non serve a evitare gli scontri.

È che già sul lavoro deve sforzarsi.

Trattenersi.

Una Pr isterica non durerebbe due ore.

Non ha nessuna voglia di dover fare le capriole anche in casa.

Almeno in casa vuole essere sé stessa.

Esther afferra il pacchetto delle sigarette. Ne estrae una. L'accende. Aspira una boccata.

Un'altra. Un'altra ancora.

Respira.

Si calma.

Non del tutto, certo. Un po'.

Dalla camera di Valeria sempre zero rumori.

L'I-Phone vibra.

Un Sms.

Poi una chiamata.

Esther aspetta che l'I-Phone smetta di vibrare e legge l'sms. È del tipo di poco fa. Dice

delle cose ma lei lascia perdere.

Rileggerà dopo. Con calma.

Controlla il numero della chiamata.

Carla. Una delle sue amiche.

Più giovane di una decina di anni.

Figa.

La da via con facilità.

Per questo ieri Esther l'ha invitata alla presentazione.

I ragazzini hanno dimostrato di gradire.

Esther pensa che Carla vorrà raccontarle in che modo ha concluso la serata. E non è

difficile immaginare come. Come voleva concludere lei oggi il suo pomeriggio.

Prende il telecomando.

Accende il televisore.

Fa zapping.

Si sofferma qualche secondo su un programma di Mtv. Una cosa per ragazzi. Jersey

Shore. Ma a lei di solito piace.

Di solito, non oggi.

Oggi non è aria.

Passa ai notiziari di un paio di televisioni locali.

Si china per togliersi le scarpe.

Allunga le gambe sulla poltrona.

Non trova pace.

Sbuffa.

L'I-Phone ricomincia a vibrare.

Federica. Una collega.

D'impulso, questa volta Esther risponde.

Meglio Federica del silenzio e della rabbia che la sta lentamente avvolgendo.

3.

Nella sua camera, Valeria ha solo da poco ripreso a respirare regolarmente.

Quando ha incontrato la madre, nel corridoio, le è bastato uno sguardo per capire che

tirava una brutta aria.

Il volto di Esther era quello dei giorni peggiori.

Nero. Cupo. E si era fatto ancora più cupo nel vederla.

Valeria ha imparato a riconoscere quella espressione. Sa che quando Esther ce l'ha, lei

deve fare in fretta a sparire dalla circolazione.

Preoccupata, con il cuore a mille, è corsa a rifugiarsi in camera. E sarà la centesima volta

che le accade nelle ultime settimane.

È al limite della sopportazione.

Valeria è convinta che tutto dipende dalla vita sessuale di Esther.

Non ha prove, perché deve ammettere che la madre è molto attenta e discreta. Però sente

che quando Esther ha una storia o ha fatto sesso, vivono più tranquille.

Almeno è sempre stato così.

Perché da qualche tempo, sesso o non sesso, la convivenza sta diventando impossibile.

Una discussione dietro l'altra. Sempre più violente.

Urla, strilli.

Valeria ha avuto la sensazione che un paio di volte la madre è stata sul punto di colpirla.

Una cosa che non può proprio accettare.

Stremata, ha chiesto al padre di potersi trasferire da lui. Magari solo per un periodo.

Sì, figurarsi!

Michele è impallidito. Si è impallato in un discorso complesso e privo di senso a proposito

di come la sua è una vita incasinata, della casa che è troppo piccola perfino per una

persona sola, di come Esther poteva creare tutta una serie di problemi di carattere legale.

L'unica cosa che Valeria ha capito bene, è che Michele ha rifiutato.

Un rifiuto impacciato, ma pur sempre un rifiuto.

Per la prima volta dalla separazione dei genitori Valeria si è sentita veramente sola e

abbandonata.

La vibrazione del cellulare riempie l'aria.

Valeria salta sul letto.

Si guarda intorno. Scatta. Rimbalza sulla rete. Atterra dalla parte opposta del materasso.

In una frazione di secondo ha l'apparecchio in mano.

È Marina, la sua migliore amica.

Risponde.

“Oh, e allora?”, la investe subito Marina, “E' da mezz'ora che ti trillo su msn!”.

Valeria guarda il Pc.

Ha tolto l'audio.

“Ho tolto l'audio”, dice, “Mia madre sta fuori di testa”.

Marina sbuffa.

“Uffa, che palle tua madre!”, dice.

“Dai collegati!”, aggiunge subito, “Che ho poco credito”.

Poi chiude la comunicazione.

Valeria non ha nessuna voglia di farsi vedere in questo stato da Marina. Ma non può

rifiutarsi di parlarle. Non ci si rifiuta di parlare alla propria amica del cuore.

Afferra il Pc.

Si ributta sul letto.

Sistema il cuscino dietro la schiena.

Incrocia le gambe.

Lo specchio, di fronte, le rimanda un viso teso e gonfio di lacrime non sgorgate.

Valeria sospira. Si sistema i capelli. Prova a ridarsi un aspetto decente. Ma sa di non aver

ottenuto molto.

Accende la web cam.

“Eccomi!”, dice quando vede apparire il volto di Marina, ma la voce le trema un po'.

L'amica prima di parlare la studia per bene.

“Dovresti vedere che faccia hai!”, dice dopo aver completato l'esame. Poi le fa una

boccaccia.

Ride.

Valeria si sente avvampare. Ma la risata di Marina è contagiosa.

Cerca di resistere, ma non è cosa. Pochi istanti e anche il suo volto si distende.

“Ecco, così ti voglio”, dice Marina.

Valeria annuisce.

Si pulisce una lacrima che le è finalmente sfuggita via e le sta scendendo per la guancia.

“Ma che altro è successo?”, chiede Marina.

“Non lo so”, risponde Valeria, “E' rientrata che faceva paura!”.

“Che palle!”, sbotta Marina.

A Marina, Esther non piace.

Quando Michele ed Esther si sono separati, Marina è stata felicissima. Ma si è infuriata

non appena ha saputo che Valeria sarebbe rimasta a vivere con la madre.

C'è stata anche una discussione.

Marina sosteneva che l'amica doveva protestare. Andare dal giudice. Qualsiasi cosa pur di

impedire quell'assurdità.

Valeria si era stretta nelle spalle.

Allora la preoccupazione dell'amica le era sembrata esagerata.

Dopo, con il passare del tempo, ha capito che invece Marina aveva visto giusto. Ma non

ha rimpianti.

Nessuna delle cose che l'amica le aveva suggerito di fare rientra nel suo carattere.

“Comunque non è che abbiamo litigato”, si affretta a dire Valeria.

Marina annuisce.

“Bè, speriamo che non rompe, perché oggi ho una sorpresa per te”, dice.

Valeria sobbalza.

La sorpresa può essere una sola. Qualcosa che ha a che fare con Pietro.

Pietro è un loro compagno di scuola per il quale Valeria si è presa una cotta colossale. Ma

lui è più grande di tre anni e di solito i ragazzi di quell’età le ragazzine come lei non se le

filano proprio.

Di solito.

Perché Marina è partita come un carro armato.

Ci penso io, ha detto.

Valeria ha abbozzato qualche protesta poco convinta. Ma in fondo è stata contenta. E da

allora ogni volta che vede o sente Marina spera in una buona notizia.

“Che sorpresa?”, chiede, cercando di controllare i battiti del cuore, tornati a mille.

Marina sorride.

Prende il cellulare.

Si mette a digitare un sms.

Valeria si sforza di fingere indifferenza.

Marina niente. Continua con l'sms.

“Dai Marina!”, esplode alla fine Valeria, “Di che sorpresa stai parlando!”.

“Un momento!”, trilla Marina. Ma si rende conto che non è il caso di tenere ancora l'amica

sulle spine.

“Ho organizzato un'uscita pomeridiana”, dice, “Io, te, Lucia, il suo ragazzo, Alessandro, e il

miglior amico del suo ragazzo”.

Valeria è confusa.

“Perché Lucia?”, chiede.

Non c'è mai stata troppa confidenza con Lucia.

Non è che non si piacciono. Solo non si sono mai frequentate. E oggi non è la giornata

migliore per cominciare.

“Così”, sorride Marina, “Pensavo che avresti avuto piacere di conoscere il miglior amico

del ragazzo di Lucia”.

Valeria ha una cosa molto simile a una folgorazione.

“Si chiama Pietro”, aggiunge Marina, scoppiando nella sua solita risata, “Lo conosci?”.

Valeria salta sul letto. Vorrebbe urlare, strillare dalla gioia. Ma non si può. Esther

piomberebbe in camera in tre secondi tre. Sarebbe il finimondo.

“A che ora ci vediamo?”, chiede, euforica.

“Abbiamo appuntamento alle nove”, risponde Marina.

Valeria si sente sprofondare.

“Le nove?”, si lamenta.

“Sì, le nove”, ribadisce Marina, ma la sua voce ha già un tono di preoccupazione,

“Perché? Cosa c'è che non va?”.

“Ma lo sai che mia madre non mi fa uscire la sera se non sa esattamente dove sono!”,

spiega Valeria.

“Bè, oggi farà un'eccezione!”, sbotta Marina.

“Non la farà”, dice Marina, “Oggi meno che mai, con la faccia che aveva quando l'ho

incontrata”.

Si rabbuia anche Marina.

“Ci deve solo provare!”, sibila.

Valeria scuote la testa.

Con Esther è una battaglia persa. E Marina dovrebbe saperlo.

“Non è possibile, dai!”, si scalda Marina.

Valeria sente che questa volta le lacrime sono inarrestabili.

Ma Marina non è abituata ad arrendersi.

“Senti”, dice, combattiva, “Chiama tuo padre e fatti venire a prendere. Poi gli spieghi la

cosa. Insomma, tuo padre è sempre stato una persona ragionevole, no? Non si metterà in

mezzo anche lui!”.

Valeria già si sente meglio. Una boccata d'ossigeno.

L'idea giusta.

Ma l'entusiasmo dura poco.

“Mio padre non mi lascerà mai uscire da sola mentre mia madre crede che sto con lui”,

dice.

Questa volta Marina si incazza.

“Non cominciare!”, dice, alzando la voce, “Se vuoi ci parlo io!”.

Valeria scuote la testa. Soprattutto questo va evitato.

Marina e la diplomazia non vanno d'accordo.

“Insomma”, incalza Marina, “Non puoi rinunciare a questa occasione”.

Valeria lo sa.

“Va bene”, dice, “Proviamo. Al massimo mi dice di no. Adesso lo chiamo”.

Marina annuisce.

“Brava!”, gorgheggia , “Ma non fare come sempre, che se dice no, tu subito ti smonti!”.

Valeria pensa che è una parola. Ma cosa ci può fare se il suo carattere è questo?

“Oh! Sapessi la fatica che ho fatto per costruire questa uscita!”, sussurra Marina, cercando

di togliere un po' di tensione.

Valeria annuisce ancora.

Si sforza di sorridere.

“Chiamo!”, dice, mettendo nella parola quanta più convinzione le riesce.

4.

Giulio è seduto a uno dei tavolini del bar interno alla Feltrinelli.

Michele lo vede immediatamente.

Ha scelto un posto dal quale può dominare l'intero piano e ha davanti il suo notebook.

Scrive.

Muove le dita sulla tastiera in modo velocissimo.

D'altra parte scrivere è il suo lavoro.

Testi pubblicitari, claim, pay off. Ma anche discorsi. Per industriali e figure istituzionali di

qualsiasi tipo. E naturalmente per i politici. Di destra.

Quando Michele ha conosciuto Giulio, verso la fine degli anni '80, era una delle persone

più odiate nell'ambiente.

Per l'appartenenza politica, certo, ma anche per il carattere. Duro, per niente malleabile.

Eppure con lui Michele ha legato subito.

Su questa cosa Giulio ha sempre scherzato, spiegandola a suo modo.

Si erano incastrati perfettamente perché a lui piacciono le bionde mentre Michele ama le

brune.

Michele sa che è solo un gioco. Una battuta. Perché a Giulio le donne piacciono tutte.

L'importante è che siano almeno un po' carine e non troppo basse. Dopo, vanno bene

comunque.

E di fronte a una bella donna Giulio non conosce legami da rispettare.

Una bella donna è una bella donna. Punto. Anche se è la moglie, figlia, amante, sorella,

mamma del suo miglior amico.

Spesso Michele si è domandato se Giulio non ci ha provato perfino con Esther.

Ha preferito non rispondersi. Perché se Giulio ci ha provato, è sicuro che se l'è anche

scopata.

Perché Giulio non ne sbaglia una. Quando punta, ottiene quello che vuole.

Scopa come un riccio, Giulio.

Veste sempre fuori moda, è magro che sembra reduce da un campo di concentramento,

ha sempre dimostrato più degli anni che ha però è così. Scopa. Quando e come vuole.

Anche adesso, a sessant'anni e passa.

Non c'è una spiegazione razionale.

È così. Punto.

All'inizio tutto questo divertiva Michele.

All'inizio.

Pian piano ha finito col non poterne più di questo pensiero fisso che sembra essere l'unico

definitivo interesse di Giulio.

Michele trova vergognoso che a sessant'anni il suo socio si comporti come se ne avesse

venti.

Non gli passa per la testa che nemmeno lui ci fa una bella figura travestito da ragazzino.

Ritiene che cinquanta per di più non ancora compiuti non sono sessanta.

A sessanta, Michele è convinto che saprà dire passo.

Intanto però si trova sempre più spesso a dover sopportare modi di fare che non

condivide.

Solo che non può reagire. Obbiettare qualcosa.

E non per amicizia. Quella è finita da un pezzo. Non ha retto alle tensioni causate dalla

differente appartenenza politica. E nemmeno alla tendenza al comando di Giulio.

Michele non può reagire perché il legame che ancora lo tiene legato al suo socio è quello

dei soldi. I soldi prodotti dalla Smart.Pub.

Al tavolo, Giulio non si è ancora accorto dell'arrivo di Michele.

Continua a battere sui tasti. Sul volto ha un'espressione divertita.

Michele si avvicina.

Saluta.

Siede.

“Cazzo!”, esplode, “Sai la fatica che ho fatto per arrivare?”.

Giulio lo fulmina con lo sguardo.

Dice qualcosa in inglese.

Ride.

Smanetta.

Sposta di fianco il Pc.

“Che stavi facendo?”, chiede Michele, mentre con lo sguardo cerca un cameriere.

È sudato. Ha sete.

Giornata di merda.

“Un nuovo sito”, risponde Giulio, “Una vera bomba”.

Michele annuisce.

Può immaginare di cosa si tratta.

“E' una videochat”, spiega Giulio, “Però particolare. Tu entri dentro e ti trovi di fronte

un'altra persona. Hai due minuti per scambiare parole. Alla fine dei due minuti il sito ti

cambia interlocutore, in modo del tutto casuale”.

Una stronzata colossale, pensa Michele.

“E se la persona che avevi di fronte ti piace?”, chiede, per quanto assurdo possa essere

che qualcuno possa risultare interessante in due minuti e attraverso una videocamera.

“Be', due minuti sono un sacco di tempo”, risponde Giulio, “Un minuto e mezzo per

conoscersi e trenta secondi per scambiarsi i dati”.

Michele sorride.

“Devi provare!”, conclude Giulio.

Si accorge dell'espressione perplessa di Michele. Si stringe nelle spalle.

“Oh, io solo oggi ho già rimorchiato due russe”, aggiunge.

“Due russe?”, si stupisce Michele, “Che vivono dove?”.

“Dove cazzo devono vivere due russe, secondo te?”, si agita Giulio, “In Russia!”.

“Ah!”, sorride Michele, “In Russia!”.

Giulio scuote la testa.

Niente da fare. Michele non ci arriva.

“Queste due erano russe”, dice, secco, per chiudere il discorso, “Però non ci sono solo

russe. Ho beccato anche delle italiane”.

Michele annuisce.

Ha individuato un cameriere.

Alza la mano per segnalargli la sua presenza.

“Comunque sei una testa di cazzo”, sibila subito dopo, “Mi hai fatto salire fin qui

costringendomi a passare in mezzo a questo casino”

Giulio la prende sul personale.

“Ma vaffanculo!”, replica, “Devi dirmi grazie. Come sempre! Se non c'ero io adesso

stavamo a parlare in qualche bar da sfigati in mezzo a una carovana di turiste tedesche

sopra i cinquanta!”.

Michele si guarda intorno.

Su questo non può che convenire. Intorno di turiste tedesche sopra i cinquanta nemmeno

l'ombra. Né tedesche né di qualsiasi altro paese.

Solo che non gli sembra di stare messo meglio, lì, dal punto di vista figa. Figa adulta,

almeno.

“E invece?”, chiede, anche se conosce già la risposta.

Giulio non si fa pregare.

“E invece stai qua”, dice, “Immerso fino al collo dentro un mare di figa. Figa giovane”.

Michele torna a guardarsi intorno. Ragazze sempre tante. Ma niente da fare. L'età rimane

quella. Comunque sotto i diciotto.

“Sono delle bambine”, prova a obiettare.

“Scopano”, risponde pronto Giulio.

Michele sta per replicare, ma il cameriere è arrivato.

In piedi accanto al tavolo, aspetta.

“Un chinotto”, ordina Michele.

Il cameriere segna. Si allontana senza fretta.

Giulio, ha una espressione schifata.

“Un chinotto!”, si lamenta.

“Ho sete!”, taglia corto Michele.

Poi si guarda intorno per la terza volta.

Proprio non ci riesce. Per lui quelle che vede restano delle bambine che giocano a fare le

donne. E che hanno più o meno l'età di Valeria.

Si chiede se gli piace il pensiero che fra qualche anno Giulio guardi Valeria come sta

fissando le ragazzine che si aggirano per la libreria. E decide che no, non gli piace per

niente.

Ma magari presto Giulio non ci sarà più. Sarà morto. Ammazzato da qualche mafioso

russo geloso.

Per fortuna Giulio ha già archiviato l'argomento e ha tirato fuori la faccia seria. Quella che

usa quando parla di lavoro.

“Lasciamo perdere”, dice, “Piuttosto, sono stato al ministero. Mi ha ricevuto Bandini”.

“E?”, chiede Michele.

Giulio sghignazza.

Mostra il pollice verso.

Michele si sente cadere le braccia.

Una crisi è una cosa, il pollice verso un'altra.

5.

Zero soddisfazione.

La conversazione con Federica non solo non è servita a far dimenticare a Esther lo stress

provocato dal dover rinunciare al suo pomeriggio di libertà ma le ha anche scaricato

addosso una nuova valanga di ansia.

Federica era adrenalinica. E come Esther, anche lei aveva bisogno di sfogarsi.

Di cosa, a Esther è sfuggito. Perché parlare veramente, Federica non poteva.

Che poi, cosa ha chiamato a fare, allora!

Comunque, non si è capito bene che stava facendo o dove si trovava ma parlare, non

poteva.

Nonostante questo in pochi secondi ha sommerso Esther con tanti di quei problemi umani

e di lavoro che ne bastano per un anno.

Esther ha chiuso stordita, a corto di ossigeno. Con un bisogno disperato di ritrovare un po'

di leggerezza.

Osserva il portacenere.

Lo sguardo scorre senza contarli sui mozziconi spenti.

Sono comunque tanti. Troppi.

Resiste alla tentazione di accendere ancora un'altra sigaretta.

Si sposta in cucina.

Un tè è quello che ci vuole.

Comincia a prepararlo.

Un tè e magari un film in dvd. Per distrarsi.

Niente roba impegnata.

Una commedia tipo Boldi o De Sica.

Una cosa così.

Pensa a quello che c'è in casa. Poco o niente. Solo roba già vista. O che non ha voglia di

vedere.

Alternativa?

Un film d'azione. Magari con Bruce Willis. Che fra l'altro è anche figo. E calvo. E a lei

piacciono gli uomini calvi. Li trova sexy.

Sono uomini che sanno come si prende una donna.

Be', magari non tutte le donne.

Quelle come lei però sì.

Senza chiacchiere e convenevoli.

Come faceva Massimo. Che non era calvo, ma nel sesso ci sapeva fare.

Massimo!

L'unica vera storia arrivata dopo la separazione.

Non sorrideva mai. Era sempre incazzato. Ma non lasciava passare un giorno senza

saltarle addosso.

Per il resto del tempo era insopportabile. Anche violento. Ma aveva queste illuminazioni

improvvise. E quando gli venivano non importava dove si trovava.

Massimo l'avrebbe fatto pure per strada, se Esther glielo avesse permesso.

Non era mai accaduto, ma c'erano andati vicini. Portoni, rampe di scale, toilette.

Niente da dire!

Peccato che non era durato.

Un pomeriggio si era presentato a casa di Esther nonostante lei gli avesse intimato di non

farlo mai.

Per fortuna Valeria non c'era. Così quando aveva dato fuori di matto Esther gli aveva

potuto rispondere per le rime.

Hanno urlato tanto che un vicino è venuto a controllare se non si stavano scannando.

Tecnicamente fra Massimo ed Esther non si può dire che è finita. Nessuno dei due ha

lasciato l'altro.

Quel pomeriggio Massimo è solo uscito sbattendo la porta. Punto.

Da allora, mai più visto né sentito.

Però chiuso, non si può dire che hanno chiuso.

Esther ha il numero di Massimo. Massimo quello di Esther. Solo, nessuno dei due chiama

l'altro.

Sì, Esther qualche volta la tentazione l'ha avuta.

Le sta venendo anche adesso. Perché a furia di pensare a lui, un po' si è eccitata.

Però non si può.

Niet.

Verboten.

Massimo è stato l'ennesimo esempio di quello che Esther chiama il secondo mistero

gaudioso dell’essenza maschile.

Più sanno scopare, più sono dei pezzi di merda.

Non c’è verso di uscirne. E per quanto una donna è geneticamente predisposta al martirio,

viene sempre un momento in cui non ne può più e li deve scaricare.

Naturalmente il discorso è limitato alle relazioni e agli amanti. Il matrimonio è un’altra cosa.

Si può anche sposare un grande scopatore, ma di solito è un errore perché in quanto

grande scopatore è sicuro che ti riempie di corna. Cos’altro può fare, poveretto?

Esther scuote la testa.

Basta pensare al sesso.

Ormai la giornata è andata come è andata. Pazienza.

Bisogna organizzarsi.

Trovare qualcosa da fare.

Lavorare, magari.

Certo, lavorare è una cosa che mette una tristezza addosso! Però in mancanza di altro.

C'è l'evento per Givenchy da mettere a punto.

Una cosa grossa.

La presentazione di un nuovo profumo.

L'azienda ha coinvolto tutti i Pr della capitale.

Insomma, proprio tutti tutti no.

Quelli che hanno i contatti adatti.

Esther spera che se fa bene, l'azienda francese potrebbe tornare a utilizzarla per le sue

manifestazioni.

Chissà. Magari si potrebbe aprire una collaborazione fissa.

Però.

E dai!

Lavorare invece del pomeriggio che desiderava!

No. Non se ne parla proprio.

E allora cosa?

Non resta che il film.

Esther versa l'acqua bollente nella tazza. Ci mette dentro la bustina con il tè. Va a

controllare la pila dei dvd.

Come pensava non c'è nulla di interessante.

Potrebbe chiedere a Valeria. Lei ne ha sempre una marea scaricati da Internet.

E anche di questo bisognerebbe discutere. Che Esther non ha voglia di doversi difendere

da una denuncia per pirataggio.

Va bene uno ogni tanto, ma Valeria esagera. Ne avrà più di mille.

Però un film da vedere, in mezzo a tutti quelli, sicuro che lo trova.

Forse non proprio quello che cerca, ma insomma.

A questo punto andrebbe bene anche un horror.

No. Da Valeria meglio non andare.

In due secondi salterebbe fuori un pretesto per discutere. Comincerebbero a litigare.

Finirebbe malissimo.

Esther manda giù una sorsata di tè.

Poggia la tazza sul tavolo proprio quando l’I-Phone comincia a vibrare.

Legge il numero ma non è memorizzato e non lo riconosce.

Tentenna.

Parlare, ha voglia di parlare. Sarebbe comunque passare un po' di tempo.

Ma se poi è un rompicoglioni.

Decide di rispondere.

Se è qualche rottura, sarà sbrigativa. E sbrigativa per lei significa che frullerà via il suo

interlocutore nel giro di trenta secondi.

“Pronto!”, dice. E per chiarire le cose usa subito il suo tono sgradevole di terzo grado.

“Ciao Esther”, risponde una voce non identificata. Maschile. Giovane.

Esther sa di averla sentita ma non riesce a metterla a fuoco.

“Chi sei?”, chiede, stando sempre sulle sue.

“Carlo”, risponde la voce.

“Carlo Candini”, aggiunge accorgendosi che il nome non ha prodotto nessun effetto.

Ma non lo fa nemmeno il cognome.

“Ah! Carlo Candini!”, gli fa eco Esther mentre si sforza di dare un volto alla voce e a quel

nome.

“Ci siamo conosciuti la settimana scorsa alla serata di beneficenza per la lotta alla sclerosi

multipla”, spiega ancora Carlo. Ma adesso è già meno pimpante. Meno sicuro.

Il volto di Esther si illumina di colpo.

Ma certo!

Carlo!

Carlo Candini!

Quel Carlo Candini!

Ma come può non essersi ricordata subito!

Uno splendido bruno, trent'anni scarsi. Fisico palestrato.

Uno schianto!

“Come stai!”, si affretta a dire passando al tono amichevole languido, “Scusami ma ho

avuto un inizio di giornata veramente tremendo!”.

“No, scusami tu”, dice Carlo, rincuorato, “Anzi, se ti disturbo magari richiamo un'altra

volta!”.

“No no”, dice Esther, “Nessun disturbo. Mi fa piacere sentirti. Dimmi, cosa posso fare per

te?”.

“Bè, volevo invitarti a un vernissage”, spiega Carlo, e il tono della voce è tornato caldo,

allegro.

“Molto volentieri”, trilla Esther.

Carlo!

Una bella scopata con Carlo sarebbe l'ideale. E non solo questa sera. Va bene qualsiasi

momento delle prossime settimane.

“Solo che, senti”, dice intanto Carlo, “So che può sembrare poco carino dirlo all'ultimo

momento, ma è oggi. Alle sette”.

Esther si irrigidisce.

Sicuro che Carlo sta cercando di rimpiazzare qualcuna che gli ha dato buca. E a lei non

piace fare la gomma di scorta.

“Ah!”, dice. E il tono è di nuovo sgradevole.

“Scusami, veramente”, dice Carlo, “Ma è che in questa cosa sono coinvolto

personalmente. Smazzo da dieci giorni per dare una mano a montare tutto e non ho avuto

la testa per pensare ad altro”.

Va bene, pensa Esther.

Scusa finta come Babbo Natale ma tutto sommato accettabile.

Potrebbe far finta di niente.

Sì, farà finta di niente.

Magari regolerà i conti dopo. Dopo aver preso quello che vuole.

“Capisco”, si sforza di dire nel modo più amichevole possibile.

“D'accordo”, aggiunge, “Vengo!”.

Carlo sembra sinceramente contento.

“Mi fa veramente piacere!”, dice. Poi detta l'indirizzo.

“Ma sei coinvolto in che senso?”, chiede Esther, non perché gliene freghi qualcosa. Solo

per pompare un po' la conversazione.

“Sei anche artista?”, aggiunge, vaporosa. E l'anche sta per “oltre che figo”.

Carlo ridacchia. Ma Esther non capisce se ha colto l'allusione.

“No no”, dice, “Non sono io. Ma è una cosa alla quale tengo molto. E poi ho pensato che

era una occasione per rivederci”.

Esther sorride.

L'allisciata le è piaciuta.

È di nuovo calda e pronta.

“Vabbè”, dice Carlo, “Scusami ma devo proprio scappare. Avremo tempo di chiacchierare

questa sera, no?”.

Esther annuisce.

“Certo!”, dice con un tono che è tutto un programma.

Quando mette giù, pensa che è incredibile.

Sei nella merda totale e poi invece, zac! Basta un niente e tutto riprende a girare nella

direzione giusta.

Potrebbe quasi dire di essere felice.

Guarda l'orologio.

Ha giusto il tempo per organizzarsi.

Perché mica può andare da uno come Carlo tesa com'è adesso.

No no.

Deve rilassarsi.

Calmarsi.

Farsi strafiga come sa fare solo lei.

Però prima di tutto, Valeria.

Bisogna chiamare la baby sitter. E subito, anche, perché è già tardi.

Un vernissage, è un vernissage. Roba che dura a lungo.

Dopo ci sarà da andare a mangiare qualcosa da qualche parte. Magari ancora a bere per

preparare al meglio i quattro salti in padella.

Non sarà una cosa breve.

Potrebbe durare tutta la notte.

Anzi, durerà tutta la notte. Fino all'alba, almeno.

Sì, Valeria va sistemata.

Su Michele, meglio non contare.

Si chiama la baby sitter e amen.

Esther prende il cellulare.

Decide per Corinne, una bella ragazzotta francese che ha il pregio di piacere molto anche

a Valeria.

Chiama.

Niente.

Cellulare staccato.

Solo che no, non c'è tempo da perdere.

Si cambia.

Paola.

Quando va via, lascia sempre la casa un po' sporca. Ma pazienza.

Esther compone il numero.

Occupato.

Esther digita furiosamente un sms.

Lo spedisce.

Paola lo leggerà appena chiusa la sua telefonata.

Intanto lei può cominciare a preparare il bagno.

A pensare a che vestito mettere.

Il vestito.

Prima di tutto il vestito.

Sexy?

Anche. Ma non solo.

È un vernissage. Roba artistica. Insomma, non è Givenchy.

La vibrazione dell'I-Phone annuncia l'arrivo di un sms.

La risposta di Paola.

Esther prende l'I-Phone.

Legge.

Ha un gesto di rabbia.

Paola le comunica che le dispiace ma questa sera è già impegnata.

Ecco!

Adesso tutto torna nero.

Roba da pazzi!

Esther riprova il numero di Corinne.

Sempre staccato.

Ok.

Calma.

La soluzione c'è.

Spiacevole, ma c'è.

Elena.

Una bulgara di mezza età.

Onesta.

Precisa.

Pulita.

Dura.

Sarebbe una prima scelta, meglio anche di Corinne. Ma Valeria non la sopporta.

L'ultima volta che è stata con lei ha urlato di non volerla vedere mai più.

Per evitare altre discussioni con la figlia, Esther ha accettato di rinunciare a servirsene.

Però oggi è un'emergenza.

E allora.

Allora 'sti cazzi!

Lei è la madre. Valeria farà quello che lei decide. Punto.

Esther cerca in rubrica il numero di Elena.

Chiama.

Elena risponde subito.

Cioè, non Elena.

Il numero è suo. La voce no.

“Elena?!”, balbetta Esther.

Dall'altra parte una non si sa chi spiega in un italiano stentato che Elena non c'è. È tornata

in Bulgaria. Per qualche settimana.

Problemi familiari, aggiunge la tipa, con il tono di chi sta ripetendo per l'ennesima volta

una lezione imparata a memoria.

Esther lascia scivolare l'I-Phone.

Chiude la comunicazione.

E adesso?

Per qualche secondo viene travolta dalla voglia di spaccare tutto.

Però no. Non serve.

Bisogna trovare una soluzione.

Ma quale?

Puntare tutto su Michele? Sul fatto che l'ex marito verrà veramente a prendersi la figlia? E

a un'ora da permetterle di andare al vernissage?

No. Non si può. Troppo rischioso.

E allora?

Allora!

Allora fare un discorsetto falso a Valeria per farle credere che è la prima prova di maturità

e lasciarla a casa da sola?

Non sarebbe per niente male. Prima o poi bisogna pur cominciare. E sarebbe un bel modo

per allentare le tensioni. Anche perché quello della baby sitter è uno dei problemi che

stanno avendo.

Valeria si vergogna perché tutte le sue amiche di scuola quando i genitori non ci sono, se

ne stanno da sole. Senza bisogno di essere sorvegliate a vista.

Epperò!

Però no.

Ma proprio no.

Esther sa anche troppo bene come vanno a finire queste cose.

Tu lasci tua figlia da sola a casa, e quella in tre secondi tre ti organizza una festa. Fa

venire le amiche, gli amici.

Dopo gli amici, gli imboscati. E con loro droga, sesso.

A lei queste cose non succederanno.

Valeria può urlare e agitarsi quanto vuole, ma per ora è e sarà così.

E quindi?

Quindi da sola no.

Michele è un rischio troppo grosso.

Niente baby sitter disponibili.

Cosa resta?

Resta una sola soluzione.

Portarla a casa di qualche amica.

Per un attimo perfino Esther si sente svuotata.

Sicuro che ci sarà la terza guerra mondiale. Una battaglia durissima.

Valeria non andrà mai da nessuna delle sue amiche senza prima mettere a ferro e fuoco la

casa.

Non le piacciono.

Trova la cosa umiliante.

Un disastro.

A meno che.

Sì, insomma, una soluzione ci sarebbe.

No, non è che ci sarebbe. Proprio che c'è.

Perché un'amica di Esther che a Valeria piace, c'è.

Paola.

Cioè, amica. Si può definire amica? No, non esattamente.

E allora cos'è?

Una conoscente? Una frequentazione? Una compagna di lavoro?

Un po' di tutto questo.

Sì. Paola è proprio così. Un po' di tutto. E non solo nei rapporti con Esther.

Web designer, organizzatrice di eventi virali, esperta di comunicazione sui social network.

E questo solo per limitarsi alle cose che Esther conosce. Perché poi ce ne sono una

marea di altre delle quali sospetta solo l'esistenza.

No, meglio, che non saprebbe descrivere.

D'altra parte.

Paola è, com'è che si chiamano? Una nativa digitale. Ha ventidue anni. Con tutto quello

che ne consegue. Cioè che conosce più gente di Esther e per di più sparsa per il mondo,

parla non si sa quante lingue, ha vissuto in cento città diverse e non si capisce quante

capitali europee.

Insomma, sempre con la valigia in mano.

Un casino.

Però proprio per questo a Valeria piace.

Esther ha conosciuto Paola in casa di amici e da allora se ne serve per pubblicizzare i suoi

eventi sui social network.

Da quando si è separata da Michele, per ripicca, qualche volta anche per la grafica. Ma

non sempre. Perché Paola ha un segno troppo moderno.

Secondo Esther destabilizza i clienti adulti.

E comunque.

Comunque sì.

In effetti.

Paola è perfetta.

Sarebbe perfetta.

Sarebbe perché ha un difetto. E mica un difetto così, da niente.

Come si può dire?

Oh, non è che ci sono molti modi di dirlo.

Paola è una libertina.

Esther sospetta che se la faccia anche con donne!

Come minimo con più di un uomo alla volta.

Le due tre volte che Esther ha messo piede in casa di Paola, ha sempre trovato una

grande confusione.

Gente che andava, gente che veniva.

Ospiti provenienti da mezza Europa.

Troppa folla per dormire ciascuno per conto proprio in una casa di quaranta metri quadri.

Certo, Paola è adulta e maggiorenne e può fare quello che vuole.

Magari Esther trova che è troppo per una di ventidue anni. Ma è abbastanza intelligente

per capire che si tratta solo della sua opinione.

Epperò!

Epperò non vuole lasciare Valeria da sola e la mette in casa di una così?

Che dramma!

Perché deve essere sempre tutto così difficile?

No no. È lei che si fa i film.

Sono ragazzi, sono giovani.

Paola è una con la testa sulle spalle.

È vero. Esagera. Forse è promiscua. Però se accetta di tenere Valeria non farà casini.

Non con lei in casa.

Poi, prima di chiedere, Esther può anche tastare il terreno. Informarsi su che serata ha,

oggi.

Certo, non brutalmente. In modo soft. Con tatto.

No, veramente.

Esther non se la sente proprio di combattere più di quello che le toccherà, con Valeria.

Non oggi, almeno.

Paola è l'unica possibilità di trovare un accordo con la figlia.

D'impulso Esther prende il telefono.

Cerca il numero di Paola.

Chiama.

“Quando ti deciderai a metterti Skype?”, chiede subito Paola, che deve aver riconosciuto il

numero sul display.

Esther non può fare a meno di sorridere. Perché oh, non c'è niente da fare ogni volta che

la sente, non può fare a meno di restare sedotta dalla voce di Paola.

Paola non è bellissima, però ha classe e ha questa voce da sogno. Ti entra dentro e non ti

molla mai.

“E a te che ti interessa?”, replica Esther, stando al gioco, “Se tu fossi un uomo capirei, ma

così!”.

Paola trilla una risata.

“Non puoi sapere, mia cara”, dice, “Magari un giorno o l'altro ti corteggio”.

Esther vorrebbe sorridere ma non ce la fa.

È che ha sentito un brivido percorrerle la schiena.

Sì, insomma.

Dai!

Paola sta scherzando, ovvio no?

Però ha scelto proprio il giorno sbagliato per questo tipo di scherzo.

Meglio cambiare argomento. E andare pure subito al punto, così si toglie anche il

pensiero.

“Senti”, dice, “Hai da fare questa sera?”.

Paola prende un tempo. Deve essere stata colta di sorpresa dalla domanda.

“Vuoi invitarmi da qualche parte?”, chiede, “O si tratta di lavoro?”.

Bè, sì, in effetti, pensa Esther.

Potrebbe essere una idea.

Lavoro, perché no?

Non il solito lavoro. Baby sitter, questa volta.

Se la mette come lavoro, Paola dovrà per forza fare attenzione. Prenderla diversamente.

Ma è un pensiero che dura un attimo. Anche meno.

Se si offre di pagarla, è possibile che Paola le mette giù il telefono.

Non ha bisogno di queste entrate.

No, no. Può essere solo un favore.

“Né l'uno né l'altro”, comincia, poi prosegue spiegando velocemente la situazione e quello

di cui ha bisogno.

“Paola, ho veramente bisogno di una serata di relax”, conclude, cercando di mettere tutta

la convinzione possibile nella voce.

Paola ha ascoltato tutto senza mai interrompere.

Esther sta per aggiungere qualche parola su Carlo. Su che razza di strafigo è. Ma si ferma

in tempo.

Con Paola non è il caso. Meglio lasciare tutto nel vago.

Però nel vago niente. Paola ha capito esattamente la situazione.

“D'accordo”, dice, tagliando corto, “Però domani voglio sapere tutto. Anche i particolari più

sordidi. Anzi, soprattutto quelli”.

Esther si sente arrossire fin sulla punta dei capelli. E non è che le succeda spesso.

Anche se nessuno l'ha vista, s'infuria per questa ingenuità.

D'istinto sta per mandare a farsi fottere Paola. Poi pensa a Carlo. Si ferma.

Bofonchia un d'accordo alquanto smozzicato.

Pensa che siccome all'origine di tutto questo c'è sempre Michele, il conto della figuraccia

lo pagherà lui, insieme al resto.

“A che ora me la porti?”, chiede Paola.

Esther fa un rapido conto.

“Verso le sette?”, chiede.

“Ti aspetto”, risponde, pratica, Paola.

Messo giù il telefono, Esther avverte ancora una punta di contrarietà per il gioco sulla

seduzione fatto da Paola. Però la soddisfazione per aver sistemato Valeria è più forte. Le

strappa un gridolino di gioia.

Fosse una gatta farebbe le fusa. Poi graffierebbe, che quello è il bello dei gatti, graffiano e

fanno le fusa nello stesso tempo.

Pensa che solo mezz’ora fa era depressa e furiosa e con la prospettiva di una serata di

merda. E invece, adesso. Tutto cambiato.

Tutto si è messo a posto.

Si è liberata della piccola peste e ha anche la prospettiva di una grande serata di sesso.

Con uno strafico della madonna. Giovanissimo.

Carne fresca.

Sì. Si sente proprio bene.

Certo, qualche particolare da sistemare c'è ancora.

Il primo è che adesso bisogna dire a Valeria che questa sera dorme da Paola.

Sicuro che un po' di resistenza la farà. Non fosse altro che per dare fastidio.

Comunque c'è poco da scegliere.

Felice o no, Valeria farà quello che lei ha deciso.

Le altre cose da organizzare sono solo piacevoli, tipo scegliere cosa mettersi, come

vestirsi.

Esther controlla l’ora.

È tardissimo!

Deve muoversi.

Da dove comincia?

Prima avvertire Valeria o prima bagno caldo?

Prima Valeria.

Il bagno, dopo, l’aiuterà a rilassarsi dallo stress che certamente Valeria le procurerà.

Anzi, prima preparare la vasca. I sali. Il sapone.

La colonna sonora.

Una candela.

Meglio avere tutto pronto. Così dopo aver parlato con Valeria dovrà solo sfilarsi gli abiti e

infilarsi nell’acqua calda.

7.

“Chi era?”.

Con un sorriso Paola fa ruotare la sedia ergonomica che utilizza per lavorare e si gira

verso il divano.

Lì, sdraiata con in mano un I-Pad, c'è Erika. Un'amica tedesca, sua ospite da qualche

settimana.

“Una pazza scatenata”, dice Paola.

Erika scoppia a ridere.

Poggia sulle ginocchia l'I-Pad.

“Perché?”, chiede.

Paola si stringe nelle spalle.

Riprende dal tavolino lo yogurt che stava mangiando al momento della telefonata di

Esther.

“Non puoi avere idea”, dice cliccando sull'icona di Wired sul suo Pc, “Avrà più di

quarant'anni e ancora si crede di essere una ragazzina. Sempre a caccia di ventenni,

veste come una troia, si crede sempre strafiga e nonostante tutto questo fa la moralista”.

Erika alza le braccia.

“Ok, ok!”, dice, “Basta, mi arrendo! Ho capito il genere!”.

Paola annuisce.

Comincia a scorrere l'homepage di Wired alla ricerca di novità utili al suo lavoro.

“A vent'anni doveva essere veramente uno schianto”, dice, “Sì, una di quelle che se la

tirano da matti, però bella doveva essere bella”.

Erika ha ripreso in mano l'I-Pad.

Si è rituffata nell'organizzazione della giornata di domani.

Sta costruendo una mappatura delle strade dove si trovano gli uffici o le persone che deve

visitare o incontrare. Verificando quali mezzi utilizzare per gli spostamenti.

Si sta anche facendo una idea dei parcheggi dei taxi, in caso di emergenza. E

naturalmente sta riempiendo gli spazi ancora vuoti selezionando fra varie opzioni.

Un bar dove fare una buona colazione, un ristorante per l'ora di pranzo.

Una mostra, nel pomeriggio.

Erika ci passa proprio accanto. Ha un buco di mezz'ora. Se acquista i biglietti adesso,

trenta minuti dovrebbero essere più che sufficienti per visitarla.

Poi, magari, se è veramente interessante, ci torna più avanti.

“Che pianto queste qui che non vogliono capire che il tempo passa”, dice.

Paola porta alle labbra un cucchiaino di yogurt.

Ne assapora il piacere.

“Però gli uomini che non vogliono invecchiare sono peggio”, dice.

“Fanno solo più pena”, ribatte pronta Erika, “E naturalmente rompono di più le palle”.

Le due ragazzo scoppiano a ridere, insieme.

“Comunque, non credere che non rimorchi”, dice Paola.

Erika si stringe nelle spalle.

“Posso immaginare il tipo”, dice.

“Ma dove l'hai conosciuta tu una così?”, aggiunge subito dopo riprendendo a ridere.

“Dove posso averla conosciuta?”, replica Paola, “Lavoro! Mi chiama per fare delle cose,

paga bene, me la tengo buona no?”.

Erika annuisce.

“E cosa voleva, miss strafiga?”, dice.

“Mi ha chiesto di tenerle la figlia per questa sera”, spiega Paola.

Erika sobbalza.

Guarda Paola, perplessa.

“Questa sera dobbiamo andare al Reactionario”, dice, “C'è la serata di Martino. Te ne sei

dimenticata? Non vorrai mica portartela dietro”.

Paola scuote la testa.

“Dai, lo sapevi già che non sarei venuta comunque”, dice.

Erika prende una espressione contrariata.

Continua a smanettare sull'I-Pad ma si capisce che lo sta facendo a caso.

“Martino non la prenderà bene”, sussurra.

Paola sospira.

Scuote la testa.

Poggia il vasetto di yogurt sul tavolo.

“Erika, con Martino non è una cosa che si può fare”, dice.

Erika si agita. Alza gli occhi al cielo.

“Perché no!”, protesta, “Si vede lontano un chilometro che vi piacete. Starete benissimo

insieme!”.

Paola sbuffa.

“L'ultima cosa di cui ho bisogno è di una relazione qui, in Italia, adesso che ho deciso di

andarmene”, dice.

Katia poggia sul divano l'I-Pad. Prende la borsa. Ne tira fuori un pacchetto di sigarette. Ma

si limita a giocarci con le dita.

“Non vedo la contraddizione!”, dice, “Ti vivi la storia con Martino, intanto organizzi la

partenza, poi si vede”.

“Io non sono fatta così!”, si lamenta Paola, “Se comincio una relazione con uno che mi

piace davvero, mi lascio prendere e non faccio altro”.

Katia si stringe nelle spalle.

Paola si alza.

Prende dalle mani di Katia il pacchetto di sigarette.

Ne tira fuori una.

L'accende.

“Ti sei dimenticata come mi ritrovo qui, in questo paese di merda?”, chiede.

Katia annuisce, ma evita di replicare.

Se lo ricorda anche troppo bene.

“Martino non è come Stefano”, dice, dopo un po'.

Paola si agita.

“Nemmeno Stefano era come Stefano, all'inizio”, dice.

Aspira una lunga boccata.

Torna a sedere.

Pasticcia assorta con il mouse.

Apre e chiude diversi siti di news.

“La verità è che gli uomini sono tutti uguali”, dice, “Soprattutto quando sono italiani. Anche

quando sembrano diversi e vogliono fare i maturi, alla fine chi decide devono essere loro.

Oppure fanno quello che vogliono, e tu o ti adegui o fine”.

Katia sospira.

“Non saresti la prima ad avere una relazione a distanza”, dice.

Paola scuote la testa.

“Non fanno per me le relazioni a distanza”, dice, “Quando una storia mi prende, io il mio

uomo lo voglio qui, accanto a me, la mattina quando mi sveglio e la sera quando torno a

letto”.

Katia si decide ad accendere anche lei una sigaretta.

“E' che mi sembra una cosa da folli avere uno che ti piace, piacergli, e starsene con le

mani in mano”, dice.

Paola annuisce.

“Però è così”, dice, decisa, “Ed è per questo che non sarei venuta al Reactionario. E voglio

cercare di incontrare Martino il meno possibile”.

“Va bene!”, si arrende Erika, “Però a questo punto non ci vado nemmeno io”.

“Ma perché?”, protesta Paola, “Non voglio che resti qui ad annoiarti! Poi, scusa, non

dovrebbe esserci quel tipo che piace a te? Come si chiama, Julien?”.

Erika scrolla le spalle.

“Ancora non sa se ce la fa a venire questa sera”, dice, “E in ogni caso non è una cosa così

importante”.

“Bè, comunque dovresti andare”, prova a insistere Paola.

“No, veramente. Da sola non mi va”, dice Erika, “Poi, tu non hai da terminare quel lavoro?

Quel manifesto, la stagione teatrale?”.

Paola annuisce.

“E allora mentre tu lavori, io tengo compagnia alla bambina”, dice Erika.

“La bambina ha sedici anni!”, annuncia Paola, ridendo.

Erika spalanca gli occhi.

“Non ci credo!”, dice.

Paola annuisce.

“Io a sedici anni vivevo da sola”, dice Erika.

“Ma guarda che Valeria non è stupida!”, si affretta a dire Paola, “Nonostante la madre che

si ritrova è in gamba!”.

Erika assume un'aria dubbiosa.

“A me nessuno mi poteva trattare con la baby sitter a sedici anni”, dice.

Paola scuote la testa.

“Ma qui siamo in Italia”, dice, “E Valeria è minorenne e tu non conosci Esther”.

“Di cosa ha paura?”, si agita Erika, “Che comincia a darla in giro come fa lei?”.

“E' che in Italia le persone quando fanno figli dimenticano quello che hanno fatto o

volevano fare loro da ragazzi”, dice Paola, “Valeria ha una bella testa. Io ci ho parlato a

lungo. Ero a casa loro ed Esther è stata chiamata al cellulare. Con Valeria abbiamo parlato

per mezz'ora buona”.

“Allora sarà disperata, poveretta!”, dice Erika.

Paola annuisce.

“Già!”, conferma, “Mi ha anche chiesto se qualche volta poteva chiamarmi e ha voluto il

mio cellulare”.

“E tu?”, chiede Erika, “L'hai chiamata?”.

Paola scuote la testa.

“Hai fatto male”, protesta Erika, “Dovevi farlo!”.

Paola sbuffa.

“Con il carattere di Esther, figurati se correvo il rischio di uno scontro”, dice.

Erika resta qualche attimo soprappensiero.

“Allora sai che facciamo?”, dice alla fine, “Questa sera le regaliamo una bella serata

mitteleuropea!”.

Paola scoppia a ridere.

“E cioè?”, chiede.

“Tu non ti preoccupare”, replica Erika, “Torna al lavoro che al resto ci penso io!”.

8.

Sul letto, Valeria e il cellulare si guardano male da quando lei ha chiuso la conversazione

con Marina promettendole di chiamare subito il padre.

Da allora ha provato a comporre il numero dell'I-Phone di Michele almeno una quindicina

di volte. Fermandosi sempre al momento di spingere il pulsante “Invio”.

In mezzo, più o meno dopo l'ottava chiamata, c'è una telefonata al numero di casa del

padre.

Questa Valeria l'ha fatta partire.

Sicura di non trovare nessuno, ha aspettato lo scatto della segreteria e poi ha lasciato un

messaggio. Una cosa che non dice niente. Ma così le sembra di aver mantenuto la

promessa.

Anche se il problema non è né la promessa né Marina. Il problema è fare in modo di

incontrare Pietro.

Pietro.

Che poi, quando mai Pietro potrà pensare seriamente a lei!

Per Pietro lei è ancora una bambina!

Se ha accettato di uscire, questa sera, può essere solo perché non gli hanno detto che ci

saranno anche lei e Marina. Oppure per divertirsi a prenderla in giro. Perché figurarsi se

non sa della cotta che lei ha per lui!

Lo sanno tutti, non può non saperlo proprio lui!

Però a Valeria non importa.

Anche se questa sera farà una pessima figura. Anche se quando si troverà di fronte a

Pietro non riuscirà a dire una sola cosa intelligente. Anche se domani tutta la scuola riderà

di lei.

Va bene tutto.

L'importante è averlo accanto, Pietro. Anche solo per un paio d'ore.

Risvegliarsi domani mattina e poter pensare al tempo trascorso insieme.

Un'ondata di sconforto torna a investire Valeria.

Sta lavorando troppo di fantasia.

Per come stanno le cose, lei la serata con Pietro può scordarsela. E di questo può dare la

colpa solo a sé stessa.

Sta facendo saltare tutto nel modo più stupido. Per non trovare il coraggio di chiamare il

padre.

Non che abbia troppe illusioni sul risultato del tentativo. Ma se non chiama resterà sempre

con il dubbio. Mica una bella cosa!

Per distrarsi apre Facebook.

La foto del profilo la ritrae sorridente. Allegra.

Un'altra persona, pensa Valeria.

L'ultimo status inserito dice: - Toglietemi tutto ma non l'amore e gli amici -

Ha ricevuto 12 mi piace e sette commenti, compreso quello di Marina, che non manca

mai.

Valeria scorre rapidamente gli interventi.

Niente di interessante.

Approvazioni, faccine.

Marina ha scritto: - Prima gli amici e poi l'amore. Senza gli amici l'amore non va da

nessuna parte -

Ha completato il commento con una serie di faccine.

Valeria dovrebbe rispondere. Ma non ha l'umore per farlo.

A volte pensa che le piacerebbe sapersi comportare come Marina.

Decisa. Sicura.

Che non ha paura di niente.

Sempre la risposta pronta.

Poi pensa che in fondo no. Che a un ragazzo come quello che sogna lei non potrebbe mai

piacere una con il carattere di Marina.

Il ragazzo che desidera lei, deve apprezzare le tipe timide. Meglio, deve saper vedere che

lo sono anche se fingono di no. Come succede a lei. Che fa tanto la disinvolta ma poi in

fondo è lì che trema al pensiero di incontrare Pietro.

Quel ragazzo lì, quello che desidera lei, saprà che le tipe timide hanno un mare di

dolcezza da dare.

Proprio quello che manca a Marina. Che è sempre più pungente di un istrice.

Come Esther.

No. Questa è una cattiveria.

Esther non è pungente. Esther è acida.

Ecco, lei ha avuto questa terribile sfortuna. Di ritrovarsi una madre acida.

Una madre acida e un padre.

Un padre come? Com'è Michele?

Be', acido no.

Indeciso e sfuggente. Sì, Michele lo definirebbe proprio così.

Solo un uomo indeciso e sfuggente poteva resistere accanto a una donna come Esther

per così tanti anni.

Una madre acida e un padre indeciso e sfuggente.

E da questo casino è venuta fuori lei, Valeria.

Un casino al cubo.

Un casino al cubo che cincischia con il cellulare senza decidersi a chiamare.

Ci vorrebbe un po' di musica.

Seleziona XXX. Lo posta sulla sua home page.

Sull'onda dell'emozione cambia status.

Lasciatemi tutto ma toglietemi mia madre! -

Mentre compie l'operazione ringrazia la privacy del social network, che le ha permesso di

bloccare il profilo della madre impedendole di vedere quello che lei scrive e pubblica.

Esther all'inizio ha fatto casino.

Pretendeva che Valeria la riammettesse fra i suoi contatti.

Per fortuna l'intervento dello psicologo della scuola l'ha costretta a fare marcia indietro. A

rispettare il desiderio della figlia.

Sì, Valeria ha sempre il dubbio che Esther si serva di qualche amica per sbirciare almeno

di tanto in tanto il suo profilo.

Ma lei ha impostato i filtri su valori molto alti. Difficile che qualcuno riesca a scavalcarli.

Ci vorrebbe una persona molto pratica.

Che poi in effetti fra le amiche di Esther una persona così ci sarebbe anche.

Com'è che si chiama? Sì, Paola.

Ecco. Per essere capace, Paola sarebbe pure capace. Ma Valeria non ce la vede a

collaborare con Esther per spiarla.

È una in gamba, Paola.

Ora che ci pensa, ha pure il suo cellulare. Anche se poi non l'ha mai chiamata.

Anzi, adesso non si ricorda nemmeno perché gliel'ha chiesto.

Però quello è un numero che dovrebbe sfruttare. Nei momenti di tristezza, quando Esther

ne combina una particolarmente grossa, quattro chiacchiere con una come Paola possono

fare solo bene.

Intanto il suo status ha ottenuto già 3 mi piace.

Arriva anche un commento.

Cristina.

A me anche mio padre, grazie -

Valeria sorride.

Però il tempo passa e lei sta sempre a zero.

Prova a farsi tornare in mente il volto di Pietro. Per vedere se le dà la forza per spingere il

tasto verde del suo cellulare e chiamare finalmente il padre.

Non funziona nemmeno così. Neanche Pietro riesce a farle superare le sue paure.

Il beep di Msn annuncia Marina.

Valeria guarda l'orologio.

Cazzus!

Non sa se rispondere o far finta di non aver sentito.

Decide di rispondere. Magari sarà proprio Marina a darle la spinta che le manca.

E se non ci riuscirà nemmeno lei sicuro che se ne resterà così, inerte come un mollusco

fino all'ora dell'appuntamento.

“Bello status”, dice subito Marina appena Valeria apre il collegamento, “Significa che

invece tuo padre te lo tieni perché ti ha detto di sì?”.

Valeria scuote la testa.

“Non ho ancora chiamato!”, dice.

“Ma sei impossibile!”, esplode l'amica.

“Dai, Marina!”, si lamenta Valeria, “Non ti ci mettere pure tu!”.

Marina sbuffa. Si agita.

“Non ci riesco!”, spiega Valeria, “Tanto so che mi dirà di no. Oppure metterà tanti ostacoli

che sarà come se lo avesse fatto”.

“Veramente, non ci posso credere!”, si lamenta Marina.

Valeria sente tornarle su i lacrimoni.

Marina se ne accorge.

Sospira.

Decide di non infierire.

“Senti”, dice, “Facciamo una cosa”.

Valeria tira su con il naso.

Ascolta.

“Adesso prendi il cellulare e chiami davanti a me”, spiega Marina, sorridendo.

“Perché se non lo fai”, aggiunge subito dopo, “Giuro che chiamo adesso tua madre e lo

chiedo io a lei”.

E questa volta il sorriso non sembra più tanto simpatico.

Valeria si fa seria.

Se Marina ha detto così, sicuro che lo fa.

Tremando un po' prende il cellulare.

“Brava!”, approva Marina, “Dai, su! Ancora un piccolo sforzo!”.

9.

Al caffè della Feltrinelli, Giulio si lascia andare contro la sedia.

Di fronte a lui, Michele sembra scolpito nel legno.

Le notizie sono disastrose.

Peggio. Sconvolgenti.

In sintesi, è cominciata la grande fuga.

E mica da oggi, a sentire il loro contatto.

Da un pezzo.

E mentre succedeva tutto questo, Michele e Giulio cosa facevano? Dormivano!

Michele cerca di controllarsi. Ma in realtà è furioso.

Ce l'ha con Giulio, naturalmente.

È lui quello che tiene i contatti con i politici.

È lui quello amico per la pelle di tutti i dirigenti ex An del Pdl.

Possibile che nessuno lo ha avvertito di quello che stava accadendo?

Sì, quando c'è stata la rottura fra Berlusconi e Fini qualche domanda se la sono fatta

anche loro due. Ma solo per decidere da che parte stare. E Giulio non ha avuto esitazioni.

Ha scelto Silvio.

Ed è stata una scelta di testa. Perché cuore e sentimento stavano con Fini.

Giulio dei suoi amici restati con Silvio pensa che sono delle pappette evirate di ogni spinta

idealistica o capacità politica.

Però business is business.

Dove andavano senza un referente politico che garantiva lavoro e soldi?

Bé, complimenti alla perspicacia politica di Giulio!

E anche alla sua, sicuro. Perché non ha fatto la minima obiezione.

Ed ecco il risultato. Sintetizzato in poche parole. La Smart.Pub. è nella merda fino al collo.

E se ci sta la Smart.Pub. loro ci stanno al quadrato. Al cubo. All'ennesima potenza.

“Ah, dimenticavo”, riprende Giulio.

Michele lo guarda allarmato.

Dimenticato cosa? C'è ancora qualcos'altro? Non basta?

“Hai presente i due Pon per le campagne sulla educazione civica?”, dice Giulio.

Michele prende un sorriso ebete.

Pensa che no, non può essere.

Quei due Pon sono roba loro.

Glieli ha promessi l'assessore in persona.

Fra pochi giorni usciranno i bandi. Costruiti con il solito sistema collaudato per i concorsi

pubblici.

Si decide a chi assegnarli prima ancora di pubblicare gli avvisi. Poi fra i requisiti richiesti

inserisci una serie di caratteristiche che se mettevi la foto del vincitore era uguale.

Proprio grazie a questo sistema fino a oggi la Smart.Pub. ha lavorato benissimo. Facendo

la parte dell’asso pigliatutto.

“Quei due Pon sono nostri”, si lamenta Michele.

Giulio scuote la testa.

“Non più”, dice Giulio, “Hanno rimandato la pubblicazione degli avvisi di gara. E tu sai che

cosa significa”.

Sì, Michele lo sa.

Significa che hanno deciso di assegnarli ad altri.

Cazzo!

Lui su quei soldi aveva fatto affidamento.

“No, scusa!”, prova a ribellarsi, “Non è che possono fare così!”.

E pensa che sì, l'amicizia fra Giulio e i leader della destra ha avuto il suo peso. Ma solo

all'inizio. Perché dopo è stato tutto un do ut des.

Versamenti nelle casse del partito.

A volte direttamente nelle tasche di funzionari e dirigenti.

Consulenze gratuite in campagna elettorale. Politica o amministrativa che fosse.

“No”, ribadisce, deciso, “Non possono mica cavarsela così”.

Giulio sorride.

Lui è quello pratico.

Sa che faranno quello che vogliono.

Michele trattiene a stento l'ennesimo impulso a strangolarlo.

Intanto Giulio ha ripreso il suo Notebook.

“Che fai?”, gli chiede Michele seccato.

“Controllo Facebook!”, spiega Giulio.

“Ma ti pare il momento!”, si altera Michele.

Giulio si stringe nelle spalle.

“Perché?”, chiede, “Ti crea problemi?”.

Michele sbuffa.

Segue per qualche attimo Giulio mentre scorre la sua bacheca. Poi l'home page.

Lo vede ridere.

Rinuncia a chiedere perché lo sta facendo.

Si domanda come fa il suo socio a restare così imperturbabile.

Lui dentro si sente ribollire.

Il cervello sembra impazzito.

Trova, esamina e scarta decine di soluzioni al secondo. Dalle più improbabili ad altre

apparentemente più praticabili. Tipo minacciare tutti i loro referenti di raccontare alla

stampa come funzionava il sistema di potere berlusconiano.

Che poi, sì!

Come la giri e giri lui, la Smart.Pub. e Giulio si ritrovano in mezzo. Come tutti.

Ha firmato abbastanza carte compromettenti da accumulare diversi anni di galera.

“Giulio!”, esclama. Ma è più che altro una richiesta di aiuto.

Giulio interrompe per un attimo il suo cazzeggio.

Guarda il socio.

Michele sospira.

Prova a razionalizzare.

Ok.

“Una cosa per volta”, dice.

Prende ancora tempo.

Giulio è tornato a occuparsi della sua bacheca su Facebook.

“Numero uno”, riprende Michele, “Sei sicuro che non possiamo fare proprio niente per

riprenderci quei Pon?”.

Ma Giulio non ha proprio sentito. E non perché è occupato in Facebook. .

È concentrato su qualcosa che si trova dietro Michele. Non è difficile immaginare cosa.

Michele si gira.

Fra gli scaffali si muove una ragazzina in minigonna. Il top lascia scoperta la pancia piatta

e levigata. È splendida. Ma può avere al massimo diciassette anni. Non uno di più.

Michele si agita sulla sedia.

“Cazzo, Giulio!”, sbotta, “E' minorenne!”.

Giulio sorride.

“E allora?”, risponde.

Michele scuote la testa.

“Secondo te quella si veste così per cosa?”, gli chiede Giulio.

Michele si sforza di rispondere pacatamente.

“Per attirare l'attenzione”, dice, “Ma di quelli della sua età. Non tua, cazzo!”.

Giulio lo guarda come se fosse un marziano.

“Quella si veste così perché è pronta”, dice, “A cosa, lei non lo sa ancora esattamente. Lo

immagina solo. Ma è pronta. Pronta per chi sa approfittare dell'occasione”.

“Avrà sedici anni!”, prova ad opporre Michele, abbassando ancora l'età nella speranza di

far ragionare il socio.

“Vuoi scommettere che me la scopo?”, chiede Giulio.

Possibilissimo, pensa Michele. Ma questo non vuol dire che sia giusto.

E comunque qualsiasi cosa Giulio ha in testa, deve farlo senza di lui. Non ha nessuna

intenzione di essere fermato per pedofilia.

“Senti”, dice, “Non credi che abbiamo altri problemi in questo momento!”.

“Sei sempre il solito pauroso da quattro soldi”, sibila Giulio.

Poi scoppia a ridere.

“Cretino!”, dice, “La stavo solo guardando! Certe volte mi domando per chi mi prendi!”.

“Per un vecchio satiro pervertito!”, replica Michele.

“Non fino a questo punto”, dice Giulio.

Anche peggio, pensa Michele. Ma non lo dice.

Aspetta un attimo, poi prova a riportare Giulio sulle cose che contano veramente.

Perlomeno in questo momento.

“Giulio”, dice, “Ti ho chiesto se hai qualche idea su come riprenderci quei due Pon”.

Giulio sorride.

Si concentra. Ma sempre senza togliere gli occhi dalla ragazzina.

“Sai chi potrebbe darci una mano?”, dice.

“Chi?” si rianima Michele.

“La tua amica assessore”, spiega Giulio.

Michele non capisce.

Poi si illumina.

Giulio sta parlando di Flavia, una delle sue conquiste. Quella di cui va più orgoglioso. Una

storia capitatagli poco dopo la separazione con Esther.

Flavia è l'unica donna che Giulio ha invidiato a Michele in venticinque anni di conoscenza.

Non che Giulio si era fatto problemi per provarci. Anche mentre lei frequentava Michele.

Solo che Flavia è una precisa. Un uomo alla volta. Mai di più.

E quando fra lei e Michele è finita, Giulio non è stato veloce a infilarsi prima dell'arrivo di

un biondo slavato che sarebbe poi diventato suo marito.

Dopo la fine della relazione, come sempre in questi casi, fra Michele e Flavia è rimasta un

po' di ruggine. Però le ultime volte che si sono incrociati hanno ripreso a sorridersi, sia

pure a distanza.

Forse è ancora troppo poco per parlare di riavvicinamento. Ma in questo momento Michele

andrebbe a parlare con il diavolo, se servisse e avesse modo di incontrarlo.

“Perché proprio lei?”, chiede.

“Pare che ultimamente abbia scalato posizioni nel partito e che sia amica ascoltata di tutti i

leader. Berlusconi in persona si fida molto di lei”, spiega Giulio.

Michele riflette.

Prova a immaginare come potrebbe essere accolto.

Male, probabilmente.

“Provare non costa niente”, sussurra Giulio.

Michele annuisce.

Sì, questa volta Giulio ha ragione.

Provare, deve provare.

Prende l'I-Phone.

Lo riaccende.

Non fa in tempo a richiamare la rubrica per selezionare il numero di Flavia che

l'apparecchio comincia a squillare.

Sul display appare il nome di Valeria.

10.

Seduta sul bordo della vasca da bagno, Esther osserva scorrere l'acqua.

Spinge una mano sotto il rubinetto e si gode il calore del getto bollente.

Pochi minuti e potrà accendere l'idromassaggio. Giusto il tempo che le serve per avvertire

Valeria di prepararsi per uscire.

L'I-Phone, per terra, vibra.

Esther legge il numero.

Renata.

Renata è una rompiballe. Rompiballe e pesante. Ma di un pesante!

Però è anche responsabile di un ufficio stampa molto importante. Quello della Pan.Sol.,

un'azienda specializzata in energie rinnovabili.

Organizzano un sacco di eventi. Manifestazioni.

Con lei, Esther ci ha lavorato parecchie volte. Sa com'è fatta.

Permalosa come una puzzola.

Una che le cose se le lega al dito.

Una che non si fa pregare per dare, ma che poi pretende.

Insomma, se telefona, si può non rispondere. Però poi bisogna richiamare senza far

passare troppo tempo. Sempre in giornata. Pure se hai la febbre a 40.

E allora.

Allora non sarebbe proprio il momento, ma a questo punto meglio subito. Così ci si toglie il

pensiero e amen.

Esther raccoglie l'I-Phone. Accetta la chiamata.

“Ciao Renata”, esordisce.

Dall'altra parte, silenzio.

Esther è presa in contropiede.

Controlla che ci sia campo. O che non sia caduta la linea.

No. E' tutto a posto.

“Renata”, ripete, perplessa.

“Sono qui”, risponde finalmente una voce. Metallica. Sembra provenire dall'oltretomba.

Esther si irrigidisce.

Per essere Renata, sembra lei. Però anche no.

Renata è pesante, ma questa è una campana a morto.

Se è uno scherzo, è di pessimo gusto.

“E' successo qualcosa?”, chiede, tesa.

Dall'altra parte, Renata o chi per lei ha un singulto.

“Mi hanno licenziato!”, annuncia subito dopo, funebre.

Esther è presa in contropiede.

Licenziata cosa? Chi?

Renata?

E perché?

Ma poi, soprattutto, 'sti cazzi!

Chi se ne frega!

L'hanno licenziata e chiama lei?

Per un attimo è tentata di rispondere in modo acido.

Magari perfino di mettere giù.

Cosa crede, Renata, che lei non ha i suoi guai?

E da quando loro due sono così intime da giustificare una conversazione di questo

genere?

La tentazione però dura pochi attimi.

Eshter si controlla.

Non c'è da scherzare.

Magari domani mattina tutto rientra. E in quel caso, dopo, che fai? Come recuperi?

Oppure, fra un paio di mesi quella trova un altro posto importante e il risultato è lo stesso.

Te la ritrovi davanti che vuole solo il tuo sangue.

No. Tocca sforzarsi.

Fare la persona comprensiva.

Partecipare al dramma.

Chiaro che Renata ha chiamato per sfogarsi.

Per qualche ragione sconosciuta ha pensato di poterlo fare proprio con lei. E adesso sta

per inondare Esther con una valanga di parole.

E non c'è difesa. Non più, adesso.

Esther si concentra.

Quello dell'angelo consolatore non è il ruolo che le riesce meglio.

Cerca e trova il suo tono partecipativo di quarto grado.

“Stai scherzando, vero?”, dice, perché sa che questo si aspetta, Renata.

E infatti, “Nemmeno per idea!”, replica pronta Renata, come recitando un copione già

scritto.

Esther, rassegnata, si adegua. Passa al protocollo seguente.

“La ragione?”, chiede.

“Ho avuto uno scazzo con il nuovo direttore del personale e quello è riuscito a farmi fuori”,

spiega Renata.

Esther annuisce.

È per questo che lei ha sempre preferito lavorare per conto suo. Non c'è nessun direttore

del personale o amministratore delegato o chi per loro che può metterti fuori.

Devi solo lavorare bene. Essere precisa. Puntuale. Per il resto si è in una botte di ferro.

Perché poi bisogna dirlo.

Renata sarà quello che sarà, ma è brava.

Conosce il suo mestiere.

Però adesso è per strada, a quasi cinquant'anni e per colpa di uno scazzo.

“Puoi provare a fargli causa?”, chiede Esther.

“Dai, Esther!”, si innervosisce Renata, “Non dire stronzate! Fargli causa per cosa? Per

ritornare a lavorare in un ambiente piombato? Non sono mica un operaio, io, se non ho

l'appoggio dello staff dove vado?”.

Esther non prende bene lo scatto di Renata.

Sarà pure comprensibile, però lei non è abituata a essere aggredita così.

Certo, è anche colpa sua. Se l'è cercata.

Renata ha ragione.

Che causa deve fare.

Sì, in effetti.

Magari non per essere ripresa.

Però per i soldi. Per quelli può avere un senso.

“Non so”, dice, guardinga, “Magari con la minaccia di una vertenza trovate un accordo

migliore per la liquidazione”.

Renata ride.

“Non c'è bisogno di una vertenza”, dice, “Mi daranno un sacco di soldi anche così com'è”.

Esther scuote la testa.

Qui Renata si illude.

A parte il fatto che i soldi non sono mai abbastanza, probabilmente sta sottovalutando

quello che l'aspetta.

Però, oh! Sono fatti suoi.

Inoltre la vasca ormai è quasi piena.

Va bene così.

Inutile perdere tempo.

C'è solo da trovare il modo per chiudere la conversazione il più presto possibile.

“Tu sai”, dice, vaga.

Renata, niente.

Non ha nessuna voglia di chiudere, lei.

“Sai una cosa?”, chiede. E per la prima volta la sua voce sembra dolce.

“Cosa?”, chiede Esther, ma solo perché le tocca.

“Io prendo la mia liquidazione e mica mi faccio fregare mettendomi a cercare un lavoro

qui, in questo paese del cavolo!”, dice Renata.

“Ah sì?”, dice Esther, un attimo in contropiede. Adesso è curiosa.

“No, mia cara”, dice Renata, squillante, quasi allegra, “Io prendo la palla al balzo, me ne

vado a New York e realizzo un mio vecchio sogno”.

“Ah!”, esclama Esther. Solo questo, perché, oh, New York è New York e un sogno è un

sogno.

“Sì”, continua Renata, decisa, “Mi apro un mio ufficio a New York e lavoro nel campo del

found raising”.

“Del found raising?”, chiede Esther, perplessa.

“Ho una marea di contatti con aziende italiane ed europee”, spiega, “E negli Usa ci sono

un sacco di possibili clienti che hanno bisogno dei loro soldi”.

Esther pensa che non sarà così facile. Ma i sogni non sono mai facili. Altrimenti non

sarebbero sogni.

Dall'altra parte, Renata sembra scuotersi. Uscire dall'eccitazione che per qualche attimo si

è impadronita di lei.

“Scusa se ti ho chiamato”, dice, “Ma avevo bisogno di parlare con qualcuno e sei la sola

persona che mi è venuta in mente”.

Esther sbuffa.

Non si aspettava un grazie così sentito.

In fondo non è stato nemmeno troppo lungo. E ha staccato un tagliando da incassare.

Prima o poi capiterà l'occasione per farlo.

“Dai!”, dice Renata, “Grazie per il tempo che mi hai dedicato. Ti richiamo presto”.

Esther non trova niente altro da dire che un “Fammi sapere quando parti” abbastanza

stupido. Tanto stupido da rimetterla di malumore.

Con un gesto rabbioso chiude il rubinetto dell'acqua calda.

Fa partire l'idromassaggio.

Prepara l'accappatoio e il phone, anche se non ha ancora deciso se si bagnerà i capelli.

Più no che sì, a dire il vero.

E allora che cosa lo sta tirando fuori a fare!

Con l'ennesimo scatto lo rimette via.

Nel richiudere il cassetto quasi ci lascia dentro un dito. Si salva solo per puro istinto di

sopravvivenza.

Chiude gli occhi.

Si sforza di calmarsi.

Insomma, che cosa c'è?

Se la sta prendendo per la figura da scema fatta con Renata?

Non ne ha azzeccata una, diciamoci la verità! E pure in chiusura!

Fammi sapere quando parti! Sigh!

Ma figurarsi!

No, non è questo.

Che poi, Renata manco le sentiva, le sue parole.

Era su una frequenza tutta sua.

E allora? Qual è il problema?

Esther scuote la testa.

È che sa bene cosa l'ha irritata.

Il sogno.

Renata che trova subito le energie necessarie per ripartire. Provando addirittura a

realizzare un sogno, il suo sogno, ecco, tutto questo l'ha messa di fronte al niente che è la

sua vita.

Tutto qui.

E scusate se è poco.

Sì, lei può fingere quanto vuole. Tenere insieme i pezzi chiudendo gli occhi.

Solo, alla fine della giostra, lo sa anche lei. La sua vita oggi è questo.

Uno zero.

Un niente che più niente non si può.

Le manca perfino quella cosa fondamentale che Renata ha chiamato sogno nel cassetto.

Quella cosa che ti sorregge nei momenti complicati. E magari serve per rilanciarti quando

sembri definitivamente asfaltata.

Per quello che ha dentro, Esther potrebbe aprire una salumeria o una boutique a Ravello,

sarebbe la stessa identica cosa.

No. Niente sogni, per lei.

Solo Valeria.

Il lavoro da Pr. Lavoro di merda, diciamolo.

E che altro?

Il deserto.

Un sogno è una cosa che ti occupa il futuro.

Lei ce l'ha un futuro?

No. Non ce l'ha.

Però oh, sai che c'è? Non avrà un futuro, sarà in un periodo di merda, ma ha un presente.

E oggi, del suo presente non si può proprio lamentare.

Questa sera, il suo presente è da urlo e ha la forma di un trentenne palestrato e bellissimo

che non vede l'ora di trascinarla in una serata di sesso fantastico.

E allora, sai che c'è? Hop! In piedi.

Per oggi sta ancora meglio lei di Renata.

E domani, bè, domani sogno o non sogno, qualcosa metterà insieme.

11.

Di fronte al Pc Valeria è raggiante.

Dall'altra parte dello schermo anche Marina non riesce a nascondere la sua gioia. Gioia e

meraviglia. Perché non si sarebbe mai aspettata da Valeria tanta decisione.

“Mi hai veramente stupito”, ammette.

Valeria appoggia la mano aperta sullo schermo, chiedendo un cinque virtuale.

Aspetta che l'amica glielo dia, poi si mette a fare capriole sul letto.

Se potesse, sparerebbe musica a tutto volume. Ma l'ultima cosa di cui ha bisogno è di

risvegliare il mostro, Esther. Di irritarla più di quanto già è.

“Smettila!”, gorgheggia Marina. Ma anche lei fatica a trattenersi. Sa che l'euforia di Valeria

è comprensibile. Giustificata. .

E dire che dopo i primi secondi di telefonata non avrebbe scommesso mezzo euro sulla

riuscita del tentativo.

Michele ha risposto subito. Come se avesse avuto il telefono in mano.

Ma il tono della voce è stato scoraggiante.

Un “che vuoi” così gelido che perfino a lei, l'intrepida Marina, sono cadute le braccia.

E invece questa volta proprio Valeria, la timida Valeria, ha tirato fuori le unghie!

Valeria legge nel volto di Marina tutti questi pensieri e si sente ancora più orgogliosa di

quello che ha fatto.

Apre Facebook.

Scrive.

Sono irresistibile! -

In fondo non è stato difficile.

Di fronte a quella voce così scostante lei ha pensato a Pietro, ha chiuso gli occhi ed è

partita. Decisa.

Senza perdere tempo ha spiegato il motivo della chiamata. Raccontando proprio tutto.

Anche di Pietro.

Michele si è subito irrigidito.

Come Valeria si aspettava ha risposto di no. Trincerandosi dietro il fatto che non poteva

prendersi una responsabilità del genere. Che era meglio che Valeria chiedeva a Esther.

E avrebbe continuato a nascondersi per chissà quanto. Solo che Valeria l'ha interrotto.

Con un tono perfino più gelido di quello del padre ha annunciato che se si rifiutava di

aiutarla, poteva anche dimenticarsi di avere una figlia. Perché lei avrebbe dichiarato a

Esther che non voleva più vederlo. E non è difficile immaginare come Esther si sarebbe

comportata di fronte a una richiesta del genere.

Michele si era zittito.

Valeria non sapeva bene se era rimasto senza parole o se stava solo riflettendo.

Fatto sta che quando ha parlato, è stato per dire di sì. L’avrebbe aiutata.

È stato un sì pronunciato con rabbia. Più sibilato che altro, ma chiaro.

In modo sbrigativo ha aggiunto di tenersi pronta per le 18. Sarebbe passato a prenderla a

quell'ora.

Valeria non ha avuto nemmeno il tempo di capire quello che era successo che Michele

aveva già staccato la linea.

Incredula, aveva guardato Marina sullo schermo del Pc e solo nei suoi occhi ha trovato la

certezza che non stava sognando.

“Be', adesso però bisogna decidere come ti vesti!”, dice Marina, giudicando che i

festeggiamenti sono durati anche troppo.

Ci sono una marea di cose da fare. Da organizzare.

Valeria sorride.

La solita incredibile, concreta Marina.

“Hai ragione”, dice.

“Ci hai pensato?”, chiede Marina.

“Pensato a cosa?”, sbotta Valeria, “Nemmeno immaginavo che poteva accadere una cosa

del genere!”.

Marina sghignazza.

“Ma se sei una sognatrice”, dice, “Dì che non ci hai fantasticato su mentre non ti decidevi a

chiamare tuo padre!”.

Colpita e affondata, pensa Valeria.

Fa una boccaccia.

Controlla il suo status.

Sette commenti. Tutte che vogliono sapere che cosa è successo.

La gioia è troppa.

Proprio non resiste.

Scoppia a ridere.

“E allora cosa stiamo aspettando?”, risponde Marina, “Cominciamo. Apri l'armadio, su!”.

Valeria gira la web cam verso l'armadio.

Salta sul letto.

Caprioleggia per la camera.

Spalanca le due ante del mobile.

“Non vedo niente!”, si lamenta Marina.

“Dai che i miei vestiti li conosci a memoria!”, dice Valeria.

“Dici?”, chiede Marina.

“Dico!”, le fa eco Valeria.

“Va bene!”, taglia corto Marina, “Tu cosa avevi pensato?”.

Valeria riflette un attimo.

Tutto aveva pensato.

Tutto nel senso che si è immaginata con tutti gli abiti del suo guardaroba.

È passata da quelli sexy, comperati di nascosto alla madre, mettendo da parte euro dopo

euro e mai messi fino a oggi, a quelli più anonimi.

Ha immaginato le vie di mezzo. Poi gli eccessi.

Si è spazientita, divertita.

Alla fine.

Alla fine ha deciso di essere semplicemente sé stessa.

“Ho pensato che gli devo piacere come sono veramente”, comincia, ma vede subito

Marina scuotere la testa contrariata.

“Così avrei deciso per una camicia in denim, i jeans slim e la giacca di Dolce e Gabbana”,

spiega Valeria, già meno sicura.

“Nooooooo!”, esplode infatti subito l’amica.

“Metto le All Star!”, prova a obiettare Valeria, “Quelle ………!”.

“Scordatelo!”, taglia corto Marina, “Ma che si va al primo appuntamento con un ragazzo

vestita così?”.

Valeria pensa che no. Marina ha ragione. Non si va vestita così.

Però nemmeno come vorrebbe farla vestire lei.

O meglio, certo, sarebbe quello che ha in mente Marina il modo giusto. Solo che lei non

sarà mai capace di mettere quella roba lì.

Proprio mai.

“Sai cosa succede se arrivi in jeans e maglietta?”, chiede Marina.

Valeria borbotta un “no” che quasi non si sente. Ma tanto quella di Marina era una

domanda retorica. Sarebbe andata avanti qualsiasi cosa Valeria diceva.

“Se ne va!”, strilla, “Ti pianta lì e se ne va!”.

Valeria si sente morire.

Quasi lo vede, Pietro, mentre si allontana ridendo.

Il fatto è che lei lo vede andarsene ridendo anche se si veste come dice Marina.

“Tu cosa mi consigli di mettere?”, chiede, comunque.

“Ma il vestito che ti ho fatto comperare io!”, esclama Marina, “Se non lo metti adesso,

quando?”.

Valeria impallidisce.

Rivede il vestito di cui parla Marina.

Un abito in crepe a pannelli colorati. Con due lacci sopra e sotto il seno. E con così tanti

colori che se ce n’era uno in più diventava la maschera di Arlecchino.

E poi corto. Molto corto. Cortissimo!

L’ha comperato solo perché Marina l’ha sfinita. Ma fra sé ha giurato che non lo avrebbe

messo mai e poi mai.

“Non se ne parla!”, dice. E la voce le viene fuori forte e convinta.

Pensa che non è poi così difficile essere decisi.

Basta avere una paura fortissima.

Con il padre la paura è stata di non conoscere Pietro. Con Marina di doversi mettere

quella cosa orribile.

“Anzi, sai che ti dico!”, esclama, tanto per sentirsi ancora bella sicura, “La prossima volta

che vengo da te, te lo porto e te lo prendi tu, visto che ti piace così tanto”.

Marina è stata presa in contropiede dalla aggressività di Valeria.

Non se l’aspettava.

“Va bene”, si arrende, “Però non puoi venire in pantaloni. Lo dico per te!”.

Valeria sospira.

Di fronte a quel vestito, tutto il resto del suo guardaroba le sembra improvvisamente

accettabile.

“Ok”, dice, “Cos’altro suggerisci?”.

Marina si rianima subito.

“Tu devi pensare che Pietro è abituato alle tipe più grandi di noi”, dice, “Lo vedi come

vanno vestite quelle, no?”.

Valeria annuisce.

Lo vede.

Lo sa.

“Allora io dico”, riprende Marina, “La canotta di Miu Miu, quella stampata, la gonna blu a

balze e la giacca in nylon di Hogan. Poi ti metti delle calze corte e io ti porto le mie

Versus”.

Valeria prova a vedersi.

No. Troppo.

Scuote la testa.

“Almeno il miniabito a ruches elaborate di Trussardi con i cuissard di Zanotti”, implora

Marina.

Valeria prova a immaginare.

Più che altro ricorda l’unica volta che l’ha messo. Alla festa di compleanno di una loro

amica di scuola.

Ha fatto un figurone.

I ragazzi fumavano per quanto erano eccitati.

Ma era facile.

Non erano veri e propri ragazzi. Erano tutti della sua età. Dei bambini.

Va all’armadio. Tira fuori il vestito. Lo guarda. Se lo mette davanti.

Bene sta bene.

“Stai benissimo”, concorda Marina.

Sì, ammette Valeria.

Ma non è ancora convinta.

Però, in fondo.

Insomma.

Cioè.

Sta quasi per dire di sì quando qualcosa attira la sua attenzione.

Un abito di viscosa e lino con profili a contrasto e maniche a trequarti.

Delizioso.

Corto. Ma non cortissimo.

Aperto avanti, ma quello che serve.

Provocante ma non eccessivamente.

Lo afferra.

Sì. Niente male.

Sa già che si sente proprio bene là dentro.

Si gira per fasi vedere da Marina.

“Che ne dici?”, chiede.

Marina la studia con attenzione.

“Stai benissimo!”, ammette, “A questo proprio non avevo pensato”.

Il sorriso torna di colpo sul volto delle due ragazze.

“Allora affare fatto!”, dice Valeria.

Marina annuisce soddisfatta.

Felice, Valeria scatta per mettere un nuovo status su Facebook ma la porta della camera,

spalancata con forza, la blocca così, a due passi dal Pc.

Fa appena in tempo a staccare il collegamento con Marina e chiudere Facebook prima

che Esther le arrivi addosso.

12.

“Ma tu hai capito?”, Michele ha chiuso la conversazione con Valeria incazzato nero.

“Capito cosa?”, chiede Giulio.

“Questa ancora deve nascere e già fa i ricatti!”, sbotta Michele.

“Questa chi?”, insiste Giulio.

“Chi era?”, domanda, interrompendo per un attimo l’esplorazione di Facebook.

Con un gesto secco Michele richiama il cameriere.

“Valeria!”, dice, “Mia figlia!”.

Giulio scoppia a ridere.

“E che ti ha detto?”, chiede.

“Qui le brigate rosa!”, riprende subito mettendo una mano davanti alla bocca per

contraffare la voce, “Abbiamo rapito tua moglie! Se vuoi rivederla viva mi devi far entrare

alla prossima edizione del Grande Fratello!”.

Michele voglia di ridere ne ha poca.

“Non è più mia moglie!”, sussurra.

“Non ho capito”, dice Giulio.

“Ho detto che non è più mia moglie”, ripete Michele, a voce più alta, “Da un pezzo!”.

Giulio si stringe nelle spalle.

Michele si chiede se il suo socio ha registrato quello che ha appena detto.

Anzi, se ha mai registrato che lui ed Esther sono separati.

“Comunque ovviamente niente delle tue cretinate!”, spiega, “Deve vedere uno che gli

piace. E mi ha praticamente imposto di andare a prenderla dicendo a Esther che resta con

me questa sera per poi lasciarla andare a questo appuntamento”.

Giulio mostra il dito medio teso.

Michele sente un lampo attraversargli lo sguardo.

“Cazzo!”, sibila, “E' mia figlia!”.

“Quel che è”, risponde Giulio, “Io se mia figlia cercava di impormi una cosa così, prendeva

tante di quelle mazzate”.

Michele annuisce. Alquanto scoglionato.

“Ma non erano tutte donne fatte”, dice, roteando il dito per indicare le ragazzine intorno a

loro.

“Certo!”, dice, “Ma col cazzo che mia figlia mi può parlare così!”.

“Ricattato”, precisa Michele, “Per l'esattezza Valeria mi ha ricattato!”.

“Peggio!”, dice Giulio, “Io la sconocchiavo di mazzate! Lei faccia pure quello che vuole, ma

senza mettere in mezzo me! E rispettandomi! Che sono il padre, cazzo!”.

Michele pensa che Giulio sta parlando come se ce l'avesse veramente una figlia.

Decide di lasciar perdere.

“E come ti ha ricattato?”, chiede Giulio.

“Ha minacciato di dire a Esther che non vuole vedermi più”, spiega Michele, “Puoi

immaginare che cosa potrebbe combinare la mia ex moglie con una richiesta del genere.

Correrebbe in tribunale gridando all’assassino!”.

Il cameriere è tornato al tavolo.

“Un'altra birra per me e una camomilla per il signore, che ha bisogno di calmarsi”, ordina

Giulio, anticipando Michele.

“Ma che cazzo dici!”, si infiamma Michele.

“Un caffè forte”, aggiunge, correggendo l'ordinazione.

Giulio aspetta che il cameriere si allontani.

“Vabbè”, dice, “Torniamo a noi. Questa telefonata la vogliamo fare o no?”.

Michele annuisce.

Riprende l'I-Phone.

Pensa che pure sua figlia è importante. Anzi, forse è la cosa più importante. Perché se si

mette di traverso può rendergli la vita impossibile.

Però è vero.

C'è il lavoro.

E questa storia dei Pon. Che se glieli tolgono è veramente un casino.

Con la separazione e le pretese di Esther e la sua vita da mandare avanti e tutta una serie

di ambaradan, rischia di collassare.

Ok. Meglio non pensarci.

Fa partire la chiamata.

Aspettando che Flavia risponda, si sistema meglio sulla sedia.

Si guarda intorno per assicurarsi che non ci siano curiosi.

La voce di Flavia, quando gli giunge, è calda come la ricordava.

“Ciao Flavia”, comincia Michele.

Giulio con un cenno delle dita chiede a Michele di inserire il viva voce. Si avvicina per

sentire.

Michele annuisce.

Esegue.

“... tornano anche se non sono più attesi”, sì, la voce di Flavia è proprio calda. Ma

distaccata come può esserlo solo la voce di una donna che ha subito un torto. O pensa di

averlo subito.

Giulio scuote la testa.

C'è poco da aspettarsi quando una donna ti parla così. Lo ammette perfino lui.

Michele prova a sorridere.

Non si aspettava di trovare Flavia così fredda. Ma non vuole arrendersi. Non subito,

almeno.

“Non mi parlavi con questo tono una volta”, dice.

“Forse perché pensavo che eri una persona diversa!”, replica Flavia.

Che palle, pensa Michele!

Agita la mano, per segnalare a Giulio la sua insofferenza.

Il socio si stringe nelle spalle. Come per dire che bisogna sopportare. Anche se è chiaro

che non si aspetta più niente da Flavia.

Michele invece tiene duro.

D’altra parte con le donne funziona così. Bisogna avere pazienza e farle sfogare. Quando

hanno finito, se non hai rotto troppo le palle, sono di nuovo disponibili e ci puoi fare quello

che vuoi.

Ha funzionato anche con Esther, vuoi che non funzioni con Flavia!

“Dai, Flavia”, dice, passando al tono complice, “Devi ammettere che in fondo è andata

bene così. In quel momento è stata la cosa migliore, soprattutto per te”.

Sorride.

Sorride anche Giulio. Annuisce. Ben detto.

L'intrepido cavaliere che si sacrifica per il benessere del suo amore è un numero vecchio

ma fa sempre effetto.

Le donne si sciolgono quando sentono queste cose.

Flavia tace.

“Sei uno stronzo!”, dice alla fine, ma Michele e Giulio si accorgono subito che il tono è

cambiato. È meno distaccato. Più dolce.

Michele decide di tirare un po’ l’amo. Che non è che può passare il pomeriggio a farsi

insultare.

“Però scusa”, dice, “Dopo le ultime volte che ci siamo incrociati pensavo ti fosse passata

l’incazzatura, altrimenti non ti avrei chiamato”.

Una iniezione di sano senso di colpa.

Dall’altra parte Flavia sospira.

Tace.

Giulio alza il pollice. Lo agita. È contento.

Forse forse si recupera terreno.

Michele insiste.

“Pensa che è stato solo grazie alla nostra rottura che hai incontrato Sergio”, dice.

E anche questo è un bell’argomento. Visto che Sergio alla fine Flavia se l’è addirittura

sposato.

Un colpo da Ko.

Michele può immaginare che dall’altra parte Flavia è schiantata.

Un nuovo sospiro, molto più lungo del primo, segna la fine delle ostilità.

Respira anche Michele.

Giulio emette un fischio di incredulità. Si vede che non se l’aspettava.

E comunque non da Michele.

“Perché mi hai chiamata?”, chiede Flavia, “E per favore non raccontarmi balle. Lo so che

se lo stai facendo è solo perché devi chiedermi qualcosa”.

Michele barcolla.

Ha un’espressione smarrita.

Gli sembra di aver perso di nuovo tutto il vantaggio accumulato.

Guarda Giulio.

Il socio allarga le braccia. Come per dire, meglio, così non perdiamo tempo.

“Ok”, dice Michele, “Lasciamo da parte le frasi inutili. Ho bisogno di parlarti, ma non per

telefono”.

Flavia esita prima di rispondere.

“Va bene”, dice alla fine, “Passa alle 18 nel mio ufficio”.

Michele sobbalza.

Cerca lo sguardo di Giulio.

Legge un “non ti azzardare a protestare”. Ma se ne frega.

“Non possiamo fare prima o un po' dopo, verso le sette e mezza?”, chiede. “Magari ci

prendiamo un aperitivo”.

“Per oggi non ho un minuto libero”, risponde Flavia, “E da domani sono in giro per tre

giorni. Se preferisci possiamo fare quando rientro”.

“Ci vediamo alle 18”, si affretta a dire Michele.

Ma quando, dopo i saluti mette giù, è furioso.

“Cazzo!”, dice.

“Tu sei matto!”, sbotta Giulio, “Ma ti rendi conto del rischio che hai corso? Quella accetta di

vederti, subito, e tu fai lo schizzinoso? Un'altra sai dove ti avrebbe mandato?”.

“Ok, ok!”, sbotta Michele. E pensa a Valeria. A come la prenderà.

“Non potevamo aspettare tre giorni!!”, gli ricorda Giulio.

Michele annuisce.

“Lo so! Lo so!”, ammette, “Però adesso con Valeria sarà un casino grosso così!”.

“Se vuoi posso andare a prenderla io”, propone Giulio, “Tanto la devi prelevare e

accompagnarla dal suo tipo, no?”.

Michele sobbalza.

Ci manca solo questo.

“No no”, si affretta a dire, “Se Esther non sente la mia voce non la lascia uscire”.

Giulio sghignazza.

“Dì, non avrai mica paura che ci provo con Valeria?”, chiede.

Michele si sforza di apparire sorpreso.

“Ma cosa dici!”, esclama.

“Però fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!”, gli fa eco Giulio.

“E fai bene!”, aggiunge subito dopo.

Michele lancia un'occhiata perplessa a Giulio. Ma prima che possa dire qualcosa, il suo

socio scoppia a ridere. Una risata aperta. Che però può voler dire qualsiasi cosa.

“Bè, allora mi sa che ti tocca avvertire Valeria che c'è un cambiamento di programma”,

dice Giulio, “Dai! Voglio proprio vedere come te la cavi questa volta!”.

13.

Nonostante la velocità con cui Valeria ha chiuso il collegamento, Esther ha fatto in tempo a

riconoscere sullo schermo del Pc il volto di Marina.

O almeno le è sembrato.

Insomma, non è sicurissima, però.

No, per essere lei era lei.

Solo Esther non è certa che si trattava di un collegamento in tempo reale.

Forse era solo una foto.

Per Esther, Marina ha lo stesso effetto di un drappo rosso agitato davanti a un toro.

Valeria la definisce la sua amica del cuore, la sua migliore amica. The best, dice. Ma a

Esther Marina non piace per niente.

È convinta che molte delle stranezze di Valeria sono colpa proprio di questa amicizia.

E a Marina imputa la discussione più violenta avuta con la figlia.

Esther non ricorda nemmeno perché stavano litigando ma non dimentica la frase

pronunciata da Valeria nel momento più caldo.

“Potessi avere i genitori di Marina”, aveva urlato.

Esther era rimasta di ghiaccio.

“E che cosa avrebbero di tanto bello questi genitori?”, aveva chiesto cercando di

nascondere la rabbia. Ma dentro, bruciava come se l'avessero marchiata a fuoco.

“La lasciano vivere la sua vita senza romperle le scatole”, aveva strillato ancora più forte

Valeria.

Esther non ha più ripreso l'argomento. L'ha metabolizzato dicendosi che si tratta solo di

stupidate da bambina.

E anche Valeria è stata attenta a non ripetere più quelle parole.

Ma da allora l'antipatia di Esther per Marina è cresciuta fino a trasformarsi in vero e

proprio odio.

Dipendesse da lei, avrebbe già proibito a Valeria di frequentarla. Ma quando ha provato a

discutere la cosa con Michele si è trovato di fronte un no così deciso da bloccarla. Almeno

per il momento.

Perché prima o poi si farà come dice lei.

Deve solo avere la pazienza di aspettare che Valeria e Marina ne combinino una

veramente troppo grossa perché Michele possa azzardarsi a difendere ancora la loro

amicizia.

Che poi, difendere!

Michele più che altro non ha voluto essere immischiato in una decisione che avrebbe

scatenato e scatenerà la rabbia della figlia. E per non dover discutere anche con la ex

moglie, come suo solito ha scantonato. Ha detto che non siamo più nell'800. Che un

genitore non ha il diritto di intervenire nelle amicizie dei figli.

Le stesse parole pronunciate quando Esther ha cercato di imporre alla figlia di includerla

fra i suoi amici di Facebook.

E anche allora Esther è stata costretta ad arrendersi.

Seduta davanti al Pc, Valeria ha superato lo sbandamento iniziale.

Ha aperto uno dei suoi giochini e finge di pasticciarci su.

Esther si irrita ancora di più. Non le piace essere presa in giro.

“Cosa stavi facendo?”, chiede, e si sforza, veramente, ci prova a usare un tono tranquillo.

Ma lei per prima si accorge che il risultato è stato pessimo.

La voce è suonata furiosa.

Perfino minacciosa.

Valeria vibra visibilmente.

“Niente. Giocavo”, dice.

Esther sospira. Si sforza di ritrovare una voce più o meno normale.

Non vuole innervosire Valeria.

Non con quello che le deve dire.

Soprattutto, con quello che le deve far fare.

“Ma non è troppo buio? Ti rovinerai gli occhi a stare sempre così”, dice. E subito accende

le luci centrali.

Pessima idea.

La luce le permette di ammirare il disordine che regna in camera della figlia.

Quanto tempo è passato dall'ultima volta che è entrata qui dentro? Probabilmente il week

end precedente. Quando ha urlato come una matta e imposto a Valeria di pulire tutto

subito.

L'avrà fatto?

Esther non sa se è peggio se sì o se no.

Se ha disobbedito è grave. Ma è ancora più grave che in meno di una settimana possa

esserci di nuovo un tale casino.

“Ma hai pulito quando ti ho detto di farlo?”, chiede.

Valeria annuisce.

Raccoglie in fretta qualche oggetto.

Getta tutto nell'armadio.

Lo chiude.

Ma lo sguardo continua a sfuggire quello della madre.

“Andiamo bene”, dice Esther, “Adesso c'è un po' meno disordine qui dentro e un gran

casino dentro l'armadio”.

“Più tardi sistemo”, dice Valeria. Ed Esther nota che il tono non è battagliero come si

sarebbe aspettata.

Bene.

Di solito a questo punto Valeria ha già tirato fuori un paio di rispostacce.

Esther si sforza di trovare un tono neutro.

“Preparati”, dice, “Usciamo”.

Valeria si arresta sbalordita.

“Come usciamo?”, balbetta, “Per andare dove?”.

“Ti porto da Paola”, taglia corto Esther, “Ho una riunione importantissima, non so quando

finirò e non posso lasciarti sola a casa tutta la notte. Nessuna delle ragazze era

disponibile, questa sera, e ho pensato che fra le mie amiche l'unica che ti sta simpatica è

Paola. Insomma, magari ti diverti anche, no?”.

Valeria è impallidita..

Esther se ne accorge ma fa finta di niente.

“Prima di uscire metti la roba sporca in lavatrice”, ordina.

“Aspetta”, dice Valeria, agitata come Esther non l'ha mai vista, “Ma io ho appena parlato

con papà. Alle sei viene lui a prendermi”.

Esther si ferma.

Fissa attentamente la figlia.

Pensa che sicuramente questa cosa deve avere a che fare con Marina.

E poi, Michele, quando cazzo ha parlato con Michele, Valeria?

“Quando ci hai parlato?”, chiede.

“Dieci minuti fa”, si affretta a dire Valeria.

Stronzo!

Esther si domanda se Michele ha un altro numero che le tiene nascosto.

Deve ricordarsi di controllare le chiamate fatte da Valeria.

Non adesso, perché non è il caso di creare altri problemi.

Domani. Cercando di non farsi vedere dalla figlia.

Comunque, a lei non interessa con chi sta Valeria. L'importante è che non le stia fra la

palle. Anche Michele andrebbe bene. Anzi, va meglio di Paola. Molto meglio.

Le sei è un orario accettabile.

Può aspettare fino ad allora.

Se Michele viene veramente, bene, altrimenti fa ancora in tempo a portare Valeria da

Paola.

“Gliel'avevo già chiesto io”, dice, “Ma a me ha risposto che non sapeva a che ora poteva

passare. Com'è che ha cambiato idea?”.

“Viene alle sei”, dice Valeria, “Non un minuto dopo!”.

“E ha chiamato te per dirtelo?”, chiede Esther. E la rabbia dà un colore agro alla sua voce.

“Magari ha provato a chiamare te ma stavi parlando con qualcuno”, prova a dire Valeria.

Esther controlla il cellulare.

In effetti è possibile. A volte gli avvisi di chiamate perse arrivano con ore di ritardo.

Guarda Valeria.

La figlia ricambia con una espressione terrorizzata.

Esther pensa che no, non c'è niente da fare. C'è sotto qualcosa. E vorrebbe capire cosa.

Però domani. Non oggi.

Tutto domani.

“Se tuo padre”, comincia a dire, ma prima che possa finire il beep del suo I-Phone

annuncia un sms.

Esther si interrompe.

Vuole verificare se si tratta della chiamata persa di Michele.

In effetti Michele c'entra. Ma solo perché l'sms proviene da lui.

Esther lo apre.

Tre secondi tre per leggerlo.

Gli occhi le saettano.

“Tuo padre ti prega di scusarlo ma ha avuto un impegno improvviso e non può più passare

a prenderti”, dice, agra.

Valeria impallidisce.

“Come?”, sussurra, “Fai vedere”.

“Non c'è niente da far vedere”, sibila Esther, “Voglio trovarti pronta fra mezz'ora, non un

secondo di più”.

E prima che Valeria possa fare o dire qualsiasi cosa esce sbattendosi la porta alle spalle.

15.

In camera, Valeria è disorientata. Impaurita. Ma dura poco.

Questa volta fa presto a reagire.

Si fionda sul cellulare.

È furiosa.

Chiama Michele.

Attende.

Tre squilli. Quattro. Cinque.

Sei.

Prima del settimo Michele stacca la chiamata.

Valeria si sente come se l'avesse colpita un sasso direttamente sul volto.

Trova ancora la forza per ricomporre il numero, ma questa volta Michele non aspetta.

Stacca subito.

Ritrovarsi giù all'inferno non è cosa semplice. Ma scendervi direttamente dal paradiso è

terribile.

Valeria comincia a piangere.

Le lacrime sono inarrestabili.

Cerca a tentoni il mouse.

Apre Skype.

Chiama Marina.

L'amica ci mette pochi secondi ad apparire.

“Che cazzo è successo?”, chiede subito.

Vede il volto di Valeria inondato di lacrime.

Capisce che è tragedia greca.

“Cazzo! Tua madre!”, esplode.

Valeria scuote la testa.

“E allora cazzo è successo?”, incalza Marina.

Fra un singhiozzo e un'altra cascata di lacrime Valeria spiega quello che è accaduto.

“Non ci posso credere!”, esclama Marina alla fine, “Non solo la madre stronza, pure il

padre!”.

L'affermazione scatena in Valeria un altro diluvio di lacrime.

“Però smettila di piangere!”, protesta Marina.

Valeria pensa che per l'amica è facile parlare. Vorrebbe vederla, al posto suo.

Però si sforza di ubbidire.

“Non può finire così!”, strilla Marina.

“Ma tu ci pensi?”, riprende subito dopo, “Pietro potrebbe essere l'uomo della tua vita, e tu

non lo conoscerai per colpa dei tuoi genitori stronzi”.

Una simile possibilità scatena ancora tempesta nel cuore di Valeria. Che però fa un

ulteriore sforzo e si controlla.

“Non c'è più niente da fare!”, dice.

“Ma non esiste proprio!”, sbotta Marina, prima di mettersi a riflettere.

Valeria lascia che a pensarci sia l'amica.

Per quanto riguarda lei, non vede nessuna soluzione possibile.

Ma Marina è Marina.

Le bastano pochi secondi per trovare la via d'uscita.

“Sai cosa devi fare?”, chiede.

Valeria si illumina.

“No, cosa devo fare?”, risponde.

“Scappare di casa”, esclama Marina.

Valeria impallidisce.

“Cosa?”, chiede.

“Metti qualche vestito nella borsa e scappa di casa”, ribadisce Marina.

“Ma per andare dove?”, dice Valeria. Che già si vede dormire sotto un ponte in mezzo agli

immigrati.

Cosa pericolosa, ma se Pietro si preoccupa e la viene a cercare, potrebbe essere l'inizio di

qualcosa.

Deve venire a cercarla.

Se fugge, è per lui.

Se non lo fa è proprio stronzo.

“Intanto vieni qui da me!”, dice Marina.

“Da te?”, si stupisce Valeria. E pensa che in effetti come fuga non è una grande fuga.

Difficile che Pietro possa preoccuparsi.

“Certo!”, Marina è sempre più euforica, “Ti cambi, andiamo all'appuntamento e conosci

Pietro!”.

Valeria si sente sempre più persa.

“E dopo?”, chiede.

“Dopo torniamo qui”, si spazientisce Marina, che non vede nessuna difficoltà.

“Per fare che?”, insiste Valeria, che sente crescere i suoi dubbi più dell'entusiasmo di

Marina.

“E dopo ci pensiamo!”, Marina questa volta perde proprio la calma, “Magari potresti vivere

qui, per sempre!”.

“Seeeee, vabbè!”, Valeria a volte dubita che l'amica sia sana di mente.

“Senti, dopo è dopo e ci pensiamo dopo”, taglia corto Marina, “Però adesso devi decidere.

Cosa fai? Vieni o non vieni?”.

Valeria riflette qualche attimo.

Immagina che cosa succederà con Esther se fugge di casa. E non solo con Esther. Sicuro

che nemmeno Michele la prenderà bene.

Potrebbe accadere di tutto.

Però anche no.

Se scappa, vuol dire che bene non sta.

L'importante è non farsi riprendere senza che la cosa si sappia in giro.

Se del suo caso parla anche il telegiornale, mica potranno fare quello che vogliono,

Michele ed Esther.

E poi c'è Pietro.

Se segue l'idea di Marina la prima e unica cosa sicura è che questa sera conoscerà

Pietro.

Pietro.

Valeria sente che il cuore riprende a pompare.

E le energie le tornano.

“Allora?”, torna a chiedere Marina.

“Vengo!”, risponde Valeria.

Marina urla come se avesse fatto centro al superenalotto.

“E dai!”, strilla.

Valeria la guarda gioire. E per essere contenta, è contenta anche lei. Per quanto il guaio

nel quale si sta cacciando le sembra certamente di quelli grossi grossi. Ma proprio grossi

grossi grossi.

16.

Con una smorfia di sofferenza Michele seppellisce il cellulare in fondo alla giacca.

Mentre staccava la linea sulla chiamata di Valeria si è sentito un po’ pezzo di merda.

Gli dispiace di essersi comportato così. Ma non aveva proprio voglia di affrontare la figlia.

Giulio lo sta fissando.

“Però potevi risponderle invece di limitarti a un cazzo di sms! Alla madre, poi, manco a

lei!”, dice.

Michele scuote la testa.

“Non la finivamo più”, spiega, “E mi avrebbe fatto definitivamente incazzare!”.

“E poi”, riprende dopo un attimo, “se insisteva con la storia che avrebbe detto a Esther di

non volermi vedere più, secondo te che cosa dovevo fare?”.

Giulio annuisce, comprensivo.

“Prima, dovevi fare”, dice, “La dovevi raddrizzare quando era più facile farlo. Adesso è un

casino”.

Intorno a loro il fracasso è ancora cresciuto.

Mancano pochi minuti all'arrivo di Emma e l'atmosfera si è surriscaldata.

I ragazzi sembrano percorsi da scatti febbrili.

Non riuscirebbe a tenerli fermi nemmeno uno squadrone di marines armati fino ai denti.

I tre maxischermi che fino a ora hanno trasmesso immagini mute di concerti e

performance artistiche si spengono tutti insieme.

“Deve essere arrivata Emma”, dice Giulio.

Michele si alza. Raccoglie le sue cose.

“Andiamo!”, dice, “Non ho voglia di trovarmi nel casino che sta per scoppiare”.

“Ma come!”, lo sfotte Giulio, “Non sei curioso di vedere il nuovo fenomeno della musica

giovanile?”.

“Muoviti!”, sbotta Michele, brutale.

Ma prima che lui e Giulio possano allontanarsi i maxischermi si riaccendono e appare

Berlusconi.

Esce a passo di carica dal Quirinale.

Intorno a lui si avvertono urla. Si intravvede un gesticolare che sa di rabbia vicina al punto

di non ritorno.

Però i fedelissimi hanno avuto il tempo di organizzarsi.

Hanno stretto un cordone protettivo.

Berlusconi vi si infila dentro.

La telecamera stringe su di lui. E così sembra uno dei momenti belli delle giornate trionfali.

Michele automaticamente controlla il logo sullo schermo.

Mediaset. E che te lo dico a fare.

Intanto Berlusconi cammina. Stringe mani. Sorride a destra. A sinistra.

Bacia una vecchia strega che gli urla qualcosa di incomprensibile.

Si ferma e subito una valanga di microfoni gli arrivano a pochi centimetri dalle labbra.

Lui sorride e comincia una delle sue filippiche.

Una bordata di fischi parte dai ragazzi, nella libreria.

Michele non riesce a sentire che cosa sta dicendo il premier.

Magari non è niente di importante. Però non si sa mai.

I fischi, da parte dei ragazzi, crescono ancora di intensità.

Nel video si vede sfrecciare qualcosa. Monetine, pensa Michele.

Berlusconi resta impassibile. Continua a sorridere.

Michele non può fare a meno di ammirarlo. O è pazzo furioso o ha le palle di ferro.

Probabilmente un mix delle due cose, decide.

Però l'effetto delle immagini resta da caduta dell'impero romano. Nonostante l'impegno di

Mediaset, Silvio non ci fa una bella figura.

“Se nemmeno Mediaset riesce a nascondere il disastro vuol dire che siamo proprio alla

frutta!”, sbotta Michele.

Giulio gli lancia un'occhiata di fuoco.

“Ti stai facendo influenzare dai fischi di questi qui”, dice, indicando i ragazzi, intorno.

“Può ancora rivincere le elezioni”, aggiunge.

Michele scoppia a ridere.

“Come no!”, sbotta.

Sullo schermo una ragazza si stacca dal gruppo dei contestatori.

Il servizio d'ordine le si fa incontro ma lei non si arrende.

Lotta.

Si libera.

Urla qualcosa.

Evita un ultimo tentativo di blocco da parte di un energumeno alto due volte lei.

Si ritrova a meno di due metri da Berlusconi. Che visibilmente tentenna incerto.

Nella Feltrinelli cala improvvisamente il silenzio.

Nessuno dei ragazzi fiata più. Tutti si aspettano qualcosa.

Invece la ragazza non ha intenzioni violente.

“Presidente”, urla, rabbiosa, “Ma con questa crisi che colpisce il mondo femminile prima

degli altri, che cosa deve fare una ragazza per costruirsi un futuro?”.

Il volto di Berlusconi ritrova la consueta sicurezza, si distende nel suo sorriso piacione.

Il presidente del consiglio uscente si sistema la cravatta.

“Se si tratta di una ragazza bella come lei”, dice, “Le suggerisco di sposare il figlio di un

ricco miliardario, se non addirittura direttamente il miliardario stesso”.

La ragazza spalanca gli occhi.

Si capisce che la risposta l'ha spiazzata.

Non può credere che Berlusconi le abbia pronunciate realmente quelle parole. Soprattutto

non dirette a lei.

Anche Michele spalanca gli occhi.

Aspetta con il fiato sospeso che la ragazza si scagli veramente contro Berlusconi.

Invece niente.

Forse più per lo stupore che per altro, lei resta immobile.

Berlusconi ne approfitta per scivolare via. La telecamera per tagliare fuori la ragazza.

Nella Feltrinelli si scatena il finimondo.

Un coro di risate e di applausi celebra la battuta di Berlusconi.

Ridono anche le ragazze. Che pure dovrebbero essere indignate.

Michele osserva perplesso.

Guarda Giulio. Che adesso splende gioia.

“Hai visto?”, dice, “E' un bandito, un pezzo di merda, ma è un grande! E te l'ho detto,

rivincerà le elezioni!”.

Michele da un lato vorrebbe che Giulio avesse ragione, dall'altro è furioso.

“Vedrai domani i giornali!”, sibila, “Ti sembra una cosa da dire?”.

Giulio ride.

“E chi se ne fotte di quello che dicono i giornali!”, dice, “L'importante è quello che è

successo qui! I ragazzi che ridono. Cosa vuoi che gliene freghi a Silvio di un pugno di

contestatori! Quando si vota, mica sono i giornalisti a decidere se vince o perde. Sono

milioni di ragazzi e persone come quelle che ci sono qui dentro”.

Michele vorrebbe replicare. Ma un nuovo boato, proveniente dalla prime file dei ragazzi lo

zittisce.

Gli schermi tornano a spegnersi. E questa volta è chiaro che è per Emma.

Michele prende la sua roba. Si fionda verso le scale.

Giulio lo segue. Più calmo.

Raggiunge Michele proprio nel momento in cui alle sue spalle gli altoparlanti rilanciano la

voce di Emma.

Il boato si ripete, assordante.

Per loro fortuna, Michele e Giulio sono già sulla scala mobile.

Scendere è facile. Il casino è sull'altra rampa, quella che sale. Ma una volta al piano terra

uscire dalla libreria diventa più difficile che nuotare controcorrente con un mare forza sette.

Decine di ragazzi non ne vogliono sapere di stare giù. Pogano per cercare di salire.

Michele e Giulio devono spingere. Lottare con forza.

Si ritrovano all'aria aperta senza quasi sapere esattamente come hanno fatto.

“'Sti cazzi!”, esplode Giulio.

“Vaffanculo”, gli fa eco Michele.

“Assatanate!”.

Michele sospira.

Un pensiero fisso, Giulio.

“Le ragazze”, commenta, “E i ragazzi?”.

“Coglioni”, dice, “Che stanno a pensare a Emma con tutta quella figa intorno”.

Michele alza gli occhi al cielo.

“Sai perché vinceremo di nuovo?”, chiede Giulio cambiando argomento.

Michele scuote la testa.

“No”, risponde, “Dimmelo tu”.

“Perché a sinistra sono fessi!”, dice Giulio, “Alla Feltrinelli pensavano di fargli un dispetto a

Berlusconi mostrandolo mentre usciva dal Quirinale con la gente che gli lanciava le

monetine e invece hanno fatto harakiri. Vedi che successo gli hanno procurato. E faranno

sempre così, perché non capiscono una vera minchia!”.

Michele pensa che quello che ha detto Giulio è vero. Indipendentemente da tutto. Ma che

questo ancora non basta a fare in modo che Silvio vinca di nuovo.

Solo non ha voglia di continuare a discutere.

E poi.

Silvio rivincerà le elezioni. Ok. Ma quando? Si faranno subito o fra mesi? O alla scadenza

regolare della legislatura? Cioè fra tre anni.

E nel frattempo loro che fanno?

Se si va subito in campagna elettorale riacquistano peso. Magari recuperano anche i Pon.

Ma se non ci si va?

Roba da far venire il mal di testa.

“Che fai?”, chiede, “Mi accompagni da Flavia?”. Ma si accorge che Giulio non lo sta

ascoltando.

“Giulio!”, dice, ma ha già capito.

Segue lo sguardo del socio.

È perso nel vuoto.

Lontano.

Sta puntando.

“Ohhhhh!”, strilla.

Giulio per un attimo torna a guardarlo.

“Non ti girare, non ti muovere, non fare un passo”, dice.

Michele se ne frega.

Si gira.

A pochi metri, ferme davanti alla vetrina di un negozio ci sono due strafighe da far perdere

la testa.

Venticinque anni, o giù di lì, alte, sottili, tacchi a spillo e microgonne a scoprire tutto quel

ben di Dio presente fra le caviglie e l'ombelico.

“Cazzo!”, sibila Giulio, “Ti avevo detto di non girarti!”.

Michele scuote le spalle.

“Ma figurati se quelle stanno guardando noi!”, dice. E intanto non può fare a meno di

apprezzare due e due quattro tette di notevoli dimensioni ancorché quasi certamente

rifatte.

“Sei proprio idiota!”, sibila Giulio.

“Ma dai!”, protesta Michele, “Guardano la vetrina!”.

“La vetrina 'sta minchia”, dice Giulio, “Quelle stanno cercando di capire chi le sta

puntando”.

Michele sbuffa.

Possibile? Però se lo dice Giulio c'è da credergli.

Giulio controlla l'orologio.

“Bè, tu non dovevi andare?”, chiede.

Nonostante i pensieri e i casini questa volta a Michele viene da ridere.

Ok. L'ha detto lui. Giulio scopa tutte le donne che ha voglia di scopare.

Però, un attimo.

Ecco.

Tutte, non proprio tutte tutte.

Insomma, quelle due sono troppo.

Quelle due potrebbero starci, ma solo a pagamento.

“Non mi dire che hai intenzione di provarci con quelle?”, dice, ironico.

Gli occhi di Giulio diventano una fessura.

Ha colto l'ironia.

“Sbagliato”, risponde, “Non ho intenzione di provarci. Voglio proprio scoparmele”.

Michele è sempre più divertito.

“Paghi!”, sbotta.

“Mai pagato una donna in vita mia, lo sai benissimo!”, replica pronto Giulio.

A Michele viene ancora da ridere.

C'è sempre una prima volta, vorrebbe dire.

Si contiene.

“Ok”, dice, “Voglio proprio vedere”.

Giulio non fa una piega.

“Se è una sfida guarda che la perdi!”, ribatte.

Michele annuisce.

Punta un tavolino appena liberatosi, in un bar poco distante.

“Un po' di tempo prima di andare da Flavia ce l'ho ancora”, dice, “Mi siedo lì”.

Giulio lancia un'occhiata al punto indicato da Michele.

“Fai aggiungere due sedie”, dice, “Massimo dieci minuti e te le porto lì”.

Poi si allontana assumendo una andatura indifferente. Molleggiata.

Michele pensa che magari dopo questa figuraccia Giulio calerà un po' le arie. Tornerà sulla

terra.

Va a prendere posto, sempre senza perdere d'occhio il suo socio.

Mentre Giulio raggiunge le due ragazze e si mette al loro fianco, davanti alla vetrina,

Michele tira fuori l'I-Phone, lo riaccende.

Controlla la posta.

Ci sono sei nuove mail.

Nessuna urgente. Le leggerà dopo.

Apre la sua pagina Facebook.

Il suo ultimo status ha ottenuto otto mi piace e tre commenti.

Pochini. Ma non era nemmeno un granché.

<Non ho ancora capito se oggi si scopa o si puliscono i vetri>.

I commenti sono di uomini.

Uno in particolare dice che ha lasciato che la moglie pulisse i vetri e intanto lui ha pensato

a scopare.

Ha ottenuto dodici mi piace. Più dello status.

Michele pensa a qualche modo intelligente di commentare, ma non gli viene in mente

niente.

Rinuncia.

Giulio, accanto alla due tipe, fa il pesce in barile.

Le due ragazze parlano fra di loro. Indicano qualcosa nella vetrina. Ridono.

Giulio sempre niente.

Le due ragazze riprendono a parlare. Ridono di nuovo.

Questa volta Giulio dice qualcosa.

Le due ragazze, come se non avesse parlato.

Giulio aspetta un paio di secondi. Dice ancora qualcosa.

Mezzo secondo, questa volta le due ragazze scoppiano a ridere.

Giulio ne approfitta per parlare ancora.

Le ragazze obbiettano qualcosa, sempre ridendo.

Giulio risponde.

La conversazione è avviata. Non si arresta più.

Michele è a bocca aperta.

Deve ammettere che è uno spettacolo.

Probabilmente funziona come con Berlusconi.

L'italiano che scopa ce l’ha scritto in faccia. E piace.

Le donne lo sentono. E rispondono.

Forse per risolvere i loro problemi, Giulio dovrebbe fondare un partito e candidarsi alla

presidenza del consiglio.

Michele controlla l'orologio.

Giulio ha impiegato non più di sei sette minuti per raggiungere il risultato.

Anche se.

Insomma.

Una cosa è scambiarci qualche parola, un'altra portarle a letto.

Gratis, per di più.

Per quello ce ne vuole.

Sì. Resta sempre dell'idea che sarà un flop. Però ne è meno sicuro.

E comunque.

Comunque due che ci stanno con uno come Giulio possono essere solo delle mignotte.

Niente altro che mignotte.

Sicuro.

Deciso.

17.

Con uno sbuffo Esther emerge da sotto l’acqua.

Si sente decisamente meglio. Quasi bene. Come sempre quando ha la possibilità di

prendere un bagno completo di idromassaggio personalizzato.

Certo, questa volta il tempo a disposizione non è stato molto.

Massaggi intensi ma brevi. Ma comunque troppo poco rispetto a quello che avrebbe

desiderato.

Però ha cominciato a riconciliarsi con la vita.

Per migliorare l’effetto ha provato anche a toccarsi un po'. Ma non ha funzionato.

La testa non ha seguito le sue voglie. E il corpo è restato là. Immobile.

Dopo un po’ di palpeggiamenti vari ha desistito.

Per fortuna c'è Carlo questa sera.

Ci penserà lui.

Vabbè, prima di arrivare al dunque c'è da sorbirsi tutta la storia del vernissage. Ma

pazienza!

Magari si tratta anche di roba interessante.

Non che Esther si aspetti granché da questo punto di vista.

Più che altro è che a lei dell’arte non gliene frega niente di niente.

Ancora ancora prova un po’ di interesse per l'arte classica. Ma trova quella moderna e

contemporanea una vera e propria presa per il culo.

Che un quadro di Leonardo è bello lo capisce. Ma nessuno è mai riuscito a spiegarle la

bellezza di un orinatoio. Per non parlare di quattro sassi messi in croce, come ce n’erano

nella mostra dedicata a un famoso artista americano. Un artista del quale Esther ha

dimenticato il nome tre secondi dopo essere uscita.

Per non parlare degli alberi giganteschi di un altro tipo, questa volta italiano, famoso pure

lui. Uno che ha vinto anche un premio alla Biennale di Venezia.

Sia l’americano che l’italiano Esther li ha incontrati di persona. Ragioni di lavoro.

Le sono sembrati due esaltati.

In ogni caso, oh, questa sera si vedrà.

Carlo non le ha detto niente sulla mostra. E se lui è coinvolto in qualche modo, non deve

essere uno noto.

Se fanno piangere gli artisti famosi, figuriamoci quelli sconosciuti.

Pazienza.

L'importante è arrivare alla meta.

Esther si reimmerge. Cerca di restarvi il più a lungo possibile.

Torna fuori solo quando i polmoni le stanno per scoppiare.

È tardi.

Ci sono ancora un sacco di cose da fare.

Deve truccarsi. Vestirsi.

Sul vestito da indossare ha le idee chiare. Naturalmente qualcosa di molto provocante.

Non che sia difficile.

I suoi abiti da sera sono tutti provocanti. Audaci. Perfetti per mettere in evidenza le sue

forme.

Esther deve solo sceglierne uno.

Si lascerà guidare dall’istinto.

No. Scegliere il vestito non sarà difficile.

Il difficile verrà dopo.

Il difficile si chiama ancora Valeria.

Non ha capito molto di quello che è successo fra la figlia e Michele, però l'istinto le dice

che c'è di che preoccuparsi. C'è qualcosa che potrebbe crearle problemi.

È chiaro che poco fa Valeria non ha protestato solo perché è stata colta di sorpresa.

Ma Esther sente che mentre lei si rilassava nella vasca, Valeria ha organizzato la

resistenza.

Insomma, ci sarà da litigare niente male. Per di più senza nemmeno sapere perché.

Gratis.

Saranno urla, parole. Accuse reciproche. Il solito ambaradan.

Esther ne farebbe volentieri a meno. Ma non sta a lei decidere.

È solo colpa di Valeria. Che ultimamente è sempre meno disposta a fare quello che una

figlia deve fare con la madre. Ubbidire.

Sì, c'entra anche quella stronza dell'amica. Cosa, là, Marina.

E i genitori. I genitori di Marina. Perché se una bambina viene fuori così stronza, è solo

colpa dei genitori.

Valeria non corre questo rischio.

Esther non le darà la possibilità di diventare come l'amica.

Valeria ci può scommettere.

Esther la raddrizzerà prima che sia troppo tardi.

Sicuro.

Valeria un giorno crescerà e capirà. Apprezzerà.

Quando sarà madre, ma apprezzerà.

Il beep del cellulare segnala l'arrivo di un sms.

Esther lo apre.

E' di Carlo.

Legge.

<Ho dimenticato di dirti: se vieni come eri vestita l'altra sera sei perfetta>.

Esther sorride.

Com'era vestita l'altra sera?

Ah, sì!

XXXXXXX

Come mise non è che sia proprio sexy. Però i maschi chi li capisce.

Sono strani.

Quando pensi di averli inquadrati, pafff! Arriva la sorpresa.

Chissà che fantasie si è fatto Carlo su quel vestito. E questa sera le vuole realizzare.

Va bene. Esther decide di accontentarlo.

O forse no.

Più no che sì.

Ha voglia di essere molto più provocante.

Insomma, deciderà al momento di vestirsi.

Guarda l'orologio.

È veramente ora.

Si alza in piedi.

Esce dalla vasca.

Adora questo momento. Quando sente le gocce scenderle giù e rigarle il corpo.

Piccoli brividi di piacere.

Prende un accappatoio. Di spugna bianca.

Lo infila.

Comincia ad asciugarsi.

Apre la porta del bagno. Silenziosamente si affaccia nel corridoio.

“Valeria, sei pronta?”, urla.

Nessuna risposta.

“Muoviti!”, strilla prima di rientrare in bagno per finire di asciugarsi.

18.

L'urlo di Esther ha fatto sussultare Valeria.

Per un attimo ha temuto di aver fatto tardi. Di non riuscire più ad andare via di casa.

È rimasta così, immobile, con una camicia in una mano e l'altra infilata dentro la borsa che

sta riempiendo di cose da portarsi dietro.

Ha aspettato con il fiato sospeso di vedere entrare sua madre. Pronta a trascinarla via.

Invece non è successo niente.

Con circospezione si affaccia alla porta della sua camera.

La luce in bagno è accesa. Segno che Esther è ancora lì.

Forse c'è ancora un po' di tempo.

Valeria rientra in camera.

In fretta si guarda intorno per vedere cos'altro deve portare con sé.

Qualcosa per il trucco, naturalmente.

Le cose più personali.

Quello che manca lo prenderà da Marina.

Cerca di concentrarsi.

Vestiti e biancheria sono già nella borsa.

Vorrebbe aggiungere un altro paio di abitini, ma la sacca è già molto gonfia.

Meglio non esagerare.

Anche quelli, se serviranno li prenderà da Marina.

Hanno un fisico simile.

Insomma, quasi.

Marina ha già messo su tette da donna. Però siccome poi le piace metterle in evidenza,

compra roba di due misure più piccola.

Valeria si guarda intorno.

Il caricabatterie.

Il diario.

L'anello regalatole da Marina.

C'è tutto.

Cioè, tutto. L'indispensabile. Almeno quello c'è.

Niente più scuse. È proprio pronta.

Respira profondamente.

È realmente decisa a fare questa cosa? Fino in fondo, no. Abbastanza decisa.

E se i genitori di Marina decidessero di non aiutarla? Che farà?

Tornerà a casa.

Ed Esther se la mangerà viva.

No, se va via non potrà tornare così facilmente.

Per un attimo a Valeria sembra di stare per fare una pazzia. Ma solo per un attimo. Perché

pensa a Pietro e i dubbi si dissolvono.

Dal bagno arriva un rumore.

Valeria si rende conto che se deve andare, è il momento di farlo. Senza aspettare un

secondo di più.

Afferra la borsa, percorre con un passo da gatta i pochi metri che la separano dalla porta

di casa.

I movimenti sono precisi e sciolti, ma il cuore batte a mille e il cervello è bloccato.

Basterebbe un niente e Valeria crollerebbe a terra e si metterebbe a urlare.

Ma quel niente non accade.

Valeria si ritrova sul pianerottolo. Fa attenzione a richiudere la porta il più silenziosamente

possibile.

Senza più pensare si lancia per le scale, saltando i gradini a due a due, a tre a tre,

rischiando di cadere quattro, cinque, sei volte.

Quando si ritrova all’aria aperta della strada, comincia a correre senza più girarsi indietro.