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CASO LONGARINI Di Pietro e l’amico Ignazio Messina affondano le casse del Paese facendo perdere all’Italia un arbitrato da miliardi AMBIENTE & SALUTE LA MORSA DI BIG PHARMA politica economia cultura ANNO XXXIII NUMERO UNICO NOVEMBRE 2016 1 EURO AFFARI . Cis di Nola a fondo . Torna ‘O ministro . Unipol, zero tituli . Rocca & San Faustin . Sole 24 Ore in crac MISTERI Marco Pantani Ilaria Alpi David Rossi Pasolini, storie di innocenti uccisi due volte GIUSTIZIA AL MACERO I casi giudiziari alla deriva in Italia come quel Costa Concordia naufragato sulle Scole e rimasto senza verità Perché NO! TUTTE LE RAGIONI DEL NO A UNA RIFORMA ILLEGITTIMA CHE ESPROPRIA I CITTADINI DEI LORO DIRITTI interventi di Antonio Esposito, Domenico Gallo, Ferdinando Imposimato, Bruno Spagna Musso Referendum Costituzionale La regia di JP Morgan per il SI al referendum e il salvataggio Monte Paschi di Siena LE GRANDI INCHIESTE A LTO TRADIMENTO. E’ questa la pesantissima denuncia contro il premier Matteo Renzi presentata alla Procura di Roma da Elio Lannutti, presidente di Adusbef, l’associazione a tutela dei risparmiatori, e sottoscritta da al- cuni portavoce del movimento 5 Stelle. Non è certo finita qui, perchè il j’accuse è indiriz- zato anche contro il vero burattinaio, il colosso della finanza statunitense Jp Morgan, che in questi giorni ha in mano il “salvataggio” (sic) del Monte dei Paschi di Siena. Ma il copione della nuova svendita del nostro Stato e soprat- tutto della scientifica distruzione della nostra Costituzione è stato recitato, sempre da Renzi, in vari atti, anche a Londra, con l’amico Tony Blair, che è oggi uno dei più fidati e pagati consulenti di Jp Morgan. Tra i protagonisti del super giallo degno del miglior Le Carrè, anche il Big Friend a stelle e strisce, Michael Ledeen, legato a filo triplo con Marco Carrai, il vero amico del cuore di ‘O Premier. Vediamo di ri- comporre le tessere di un mosaico non poco complesso e articolato. Partiamo dalle parole di Elio Lannutti nel corso di un’intervista a Colorsradio, il 26 ottobre, sugli scandali del Monte dei Pa- schi di Siena: “Scene da brividi, un titolo che schizza, raddoppia, viene sospeso per eccesso di rialzo, dopo la presentazione del piano industriale perde il 15 per cento. L’azionariato cambia pelle, c’è forte odore di maxi speculazioni. Nel frattempo cosa fanno Bankitalia e Consob? Dormono. Adu- sbef cerca di fare cose concrete, abbiamo appena presentato una denuncia”. Da no- vanta. Per attentato all’articolo 90 della Co- stituzione. E al cui cospetto il Watergate è un bruscolino. TUTTI I MEETENGS CON BLAIR 23 ottobre. Ferdinando Imposimato, sem- pre a proposito del bubbone Monte Paschi e dell’interventismo Usa, lancia una bordata per far aprire gli occhi agli italiani: “signor Presidente del Consiglio, in tv e sulla stampa qualcuno sostiene – scrive il più votato dai cittadini per la carica di Capo dello Stato – che per lo sviluppo della nostra economia, occorre il SI alla riforma, che favorisce la vendita del Monte dei Paschi di Siena alla banca John Pierpont Morgan. Ma lei, signor Premier, ignora che la JP Morgan, possibile acquirente di MPS, è stata condannata dal dipartimento della Giustizia Usa a pagare la penale di ben 31,6 miliardi di dollari, per gravi inadempienze commesse prima, duran- te e dopo la crisi finanziaria del 2007, con un crollo verticale del mercato immobiliare e centinaia di famiglie buttate fuori casa con procedure approssimative?”. Continua Imposimato: “è grave che il mi- nistro dell’Economia Pier Carlo Padoan, par- lando a nome del premier, abbia chiesto al- l’amministratore delegato Mps di farsi da par- te, comunicando al presidente del Monte Pa- schi, Massimo Tononi, il nome del nuovo amministratore delegato, Marco Morelli, de- signato da JP Morgan e dal Governo. Nono- stante Morelli provenisse da JP Morgan e, quale vicedirettore generale, nel 2013 fosse stato multato dalla Banca d’Italia per il fi- nanziamento Fresh attivato da Mps sotto la guida di Giuseppe Mussari. E nonostante – continua Imposimato – la di- ANDREA CINQUEGRANI segue a pagina 2

Referendum Costituzionale Perché NO!...Referendum Costituzionale La regia di JP Morgan per il SI al referendum e il salvataggio Monte Paschi di Siena LE GRANDI INCHIESTE A LTO TRADIMENTO

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Page 1: Referendum Costituzionale Perché NO!...Referendum Costituzionale La regia di JP Morgan per il SI al referendum e il salvataggio Monte Paschi di Siena LE GRANDI INCHIESTE A LTO TRADIMENTO

CASO LONGARINI Di Pietro e l’amicoIgnazio Messinaaffondano le casse delPaese facendo perdereall’Italia un arbitratoda miliardi

AMBIENTE & SALUTELA MORSA DI BIG PHARMA

politica economia cultura ANNO XXXIII NUMERO UNICO NOVEMBRE 2016 1 EURO

AFFARI. Cis di Nola a fondo. Torna ‘O ministro . Unipol, zero tituli. Rocca & San Faustin. Sole 24 Ore in crac

MISTERI

Marco PantaniIlaria AlpiDavid RossiPasolini, storiedi innocentiuccisi due volte

GIUSTIZIA AL MACEROI casi giudiziarialla deriva inItalia comequel Costa Concordianaufragato sulle Scole e rimasto senza verità

PerchéNO!

TUTTE LE RAGIONI DEL NO AUNA RIFORMA ILLEGITTIMACHE ESPROPRIA I CITTADINIDEI LORO DIRITTI

interventi diAntonio Esposito, DomenicoGallo, Ferdinando Imposimato, Bruno Spagna Musso

Referendum Costituzionale

La regia di JP Morgan per il SI al referendum e il salvataggio Monte Paschi di Siena

LE GRANDI INCHIESTE

ALTO TRADIMENTO. E’ questa la pesantissimadenuncia contro il premier Matteo Renzipresentata alla Procura di Roma da Elio

Lannutti, presidente di Adusbef, l’associazionea tutela dei risparmiatori, e sottoscritta da al-cuni portavoce del movimento 5 Stelle. Nonè certo finita qui, perchè il j’accuse è indiriz-zato anche contro il vero burattinaio, il colossodella finanza statunitense Jp Morgan, che inquesti giorni ha in mano il “salvataggio” (sic)del Monte dei Paschi di Siena. Ma il copionedella nuova svendita del nostro Stato e soprat-tutto della scientifica distruzione della nostraCostituzione è stato recitato, sempre da Renzi,in vari atti, anche a Londra, con l’amico TonyBlair, che è oggi uno dei più fidati e pagaticonsulenti di Jp Morgan. Tra i protagonisti delsuper giallo degno del miglior Le Carrè, ancheil Big Friend a stelle e strisce, Michael Ledeen,legato a filo triplo con Marco Carrai, il veroamico del cuore di ‘O Premier. Vediamo di ri-comporre le tessere di un mosaico non pococomplesso e articolato.

Partiamo dalle parole di Elio Lannuttinel corso di un’intervista a Colorsradio, il

26 ottobre, sugli scandali del Monte dei Pa-schi di Siena: “Scene da brividi, un titoloche schizza, raddoppia, viene sospeso pereccesso di rialzo, dopo la presentazione delpiano industriale perde il 15 per cento.L’azionariato cambia pelle, c’è forte odoredi maxi speculazioni. Nel frattempo cosafanno Bankitalia e Consob? Dormono. Adu-sbef cerca di fare cose concrete, abbiamoappena presentato una denuncia”. Da no-vanta. Per attentato all’articolo 90 della Co-stituzione. E al cui cospetto il Watergate èun bruscolino.

TUTTI I MEETENGS CON BLAIR23 ottobre. Ferdinando Imposimato, sem-

pre a proposito del bubbone Monte Paschi edell’interventismo Usa, lancia una bordataper far aprire gli occhi agli italiani: “signorPresidente del Consiglio, in tv e sulla stampaqualcuno sostiene – scrive il più votato daicittadini per la carica di Capo dello Stato –che per lo sviluppo della nostra economia,occorre il SI alla riforma, che favorisce lavendita del Monte dei Paschi di Siena alla

banca John Pierpont Morgan. Ma lei, signorPremier, ignora che la JP Morgan, possibileacquirente di MPS, è stata condannata daldipartimento della Giustizia Usa a pagare lapenale di ben 31,6 miliardi di dollari, pergravi inadempienze commesse prima, duran-te e dopo la crisi finanziaria del 2007, conun crollo verticale del mercato immobiliaree centinaia di famiglie buttate fuori casa conprocedure approssimative?”.

Continua Imposimato: “è grave che il mi-nistro dell’Economia Pier Carlo Padoan, par-lando a nome del premier, abbia chiesto al-l’amministratore delegato Mps di farsi da par-te, comunicando al presidente del Monte Pa-schi, Massimo Tononi, il nome del nuovoamministratore delegato, Marco Morelli, de-signato da JP Morgan e dal Governo. Nono-stante Morelli provenisse da JP Morgan e,quale vicedirettore generale, nel 2013 fossestato multato dalla Banca d’Italia per il fi-nanziamento Fresh attivato da Mps sotto laguida di Giuseppe Mussari.E nonostante – continua Imposimato – la di-

ANDREA CINQUEGRANI

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OVE CI ERAVAMO lasciati. Così Enzo Tortora riprese il filo di un discorso interrotto bru-scamente con i suoi telespettatori, dopo la galera. Dopo quella colossale ingiustizia chene minò la vita. La Voce in versione cartacea - quella storica - riprende il filo interrottocon i suoi lettori a marzo 2014, quando stava per compiere il suo trentesimo anno.

Venne stroncata, allora, per mano giudiziaria: mandante Antonio Di Pietro, esecutore l'amica-in-segnante di Sulmona Annita Zinni. Da allora l'inferno, pignoramenti a raffica, rastrellate le pocherisorse dei fondi per l'editoria e perfino la messa all'asta della testata. Ma all'ultima udienza perl'incanto, lorsignori hanno “rinunciato”, motivando con il fatto che avremmo addirittura vendutola Voce! Eccoci allora di nuovo in campo, 16 pagine per tentare di riprendere quel filo, convinti

che la libertà di stampa – o meglio, quei pochibrandelli che ne restano – vada difesa senza see senza ma, buttandoci dentro il corpo e l'anima.

16 pagine che mettono insieme alcuni tassellidelle nostre Controstorie d'Italia, quello che ab-biamo cercato di raccontare, via web, tramite ilsito della Voce, in questi mesi di obbligato silen-zio cartaceo, senza più poter sfogliare quelle pa-gine che sole, a nostro parere, danno il senso del-la libera informazione. E abbiamo inteso farlo co-me sempre, con ilnostro giornalismod'inchiesta, lo stessodel primo numero,aprile 1984: una Vo-ce per far saperequello che gli altrinon dicono, nascon-dono dietro le veli-ne, le notizie ormaiomogeneizzate, i si-lenzi, le omissioni.

Ne abbiamo lariprova tutti i giorni.Avete sentito o lettoqualcosa, fino al 3 novembre (quando scriviamo

queste righe), della denun-cia per Alto tradimentocontro Renzi e il colossofinanziario Usa Jp Mor-gan? Zero. Eppure – a pa-role – oggi non pochi me-dia sono “anti Renzi”. Maper fare il solletico, contutta evidenza. Come delresto sta succedendo – in-credibile sceneggiata –proprio negli Usa: contanopiù le pacche di Trump al-le segretarie che le sueevasioni fiscali o le mailda vera golpista (altra va-

riazione sul tema) di Lady Clinton. Avete mai letto qualcosa sul possibile crac

del nostro ministero delle Infrastrutture per viadi un folle arbitrato con il costruttore marchigianoEdoardo Longarini voluto da Di Pietro nel 2007,e clamorosamente perso dall'arbitro Ignazio Mes-sina, l'attuale segretario di Italia dei Valori, peròpagato dall'erario la bellezza di 4 milioni di euro?Storie ai confini della realtà. Ma nascoste al po-polo bue. Che paga le tasse.

Avete mai avuto notizia del processo che daalcuni mesi in corso a Napoli per la “strage delsangue infetto” che ha causato migliaia di vitti-me? E vede coinvolto il gruppo Marcucci, leader

degli emoderivati inItalia? Andrea Mar-cucci è “l'antenna diMatteo” al Senato,nonché presidentedella commissioneCultura...

Vi siete resi con-to che nei nostri tri-bunali ormai cam-peggia una scritta,“Prescrizione pertutti”, in modo che i

criminali per la strage di Viareggio festeggino achampagne, chi distrugge l'ambiente e ammazzacon i rifiuti tossici (sarà un'ecatombe nella terradei fuochi in Campania nei prossimi anni) possatranquillamente compiere lo stesso reato due vol-te, essere processato due volte tanto chissenefre-ga? E addirittura possa poi essere ufficialmenteincaricato di effettuare le bonifiche? Che chi rubacon gli appalti, dall'alta velocità ai metrò cittadini(in prima pagina il caso Roma, del tutto oscuratoquello partenopeo), dall'Expo alle ricostruzionipost terremoto, usa sempre lo stesso sistema sa-pendo di poter delinquere nella più perfetta im-punità? Che il sistema “Pomicino” dopo trent'annicontinua a funzionare a meraviglia? Che il sistema“Pacini Battaglia” - l'uomo a un passo da Dio se-condo il Di Pietro pm che gli procurò l'avvocatodifensore e lo “sbancò”– non perde colpi comeun orologio svizzero? Che sul terreno finanziarioi Bankster sono i veri padroni dei nostri destini?Che forse “a loro insaputa” stanno svendendol'Italia a pezzi e bocconi? Che addirittura Renzi &C. hanno messo il segreto di Stato sui derivati,tanto per avvelenarci e intossicarci meglio?

Dedichiamo questo numero a Pier Paolo Pa-solini, massacrato dallo Stato 41 anni fa. Perchèsapeva e aveva trovato le prove. Al suo sconfi-nato coraggio.

ANDREA CINQUEGRANI

Pier Paolo Pasoliniammazzato 41 annifa per il suo esplosivo ’Petrolio’.

Michael Ledeen.Nella foto della primapagina, Matteo Renzi e, a destra, Tony Blair.

L’EDITORIALEQuell’Italia svendutaa pezzi e bocconi

Il sistema “Pacini Battaglia”, l'uomo a un passo da Dio secondo il Di Pietro pm che gli procuròl'avvocato difensore e lo “sbancò”, nonperde colpi, come un orologio svizzero

La Voce della Campania-La Voce delle Voci

PERIODICO DI POLITICA ECONOMIA E CULTURA

ANNO XXXIII - NOVEMBRE 2016DIRETTORE RESPONSABILE ANDREA CINQUEGRANI

EDIZIONI ANDREA CINQUEGRANI

LA VOCE DELLE VOCI recapito postale

Via Euclide 27 - 80126 Napolie mail [email protected]

[email protected]: Rotostampa - Lioni (AV)

Iscritto al n. 3227/83 Reg. Stampa Tribunale di Napoli

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rettiva europea CRD4 su requisiti, onorabilità e adeguatezza dei banchieri, recepita dal Parla-mento italiano a maggio 2015, stabilisca che le pene della Vigilanza siano tra i requisiti perdecidere l’adeguatezza del banchiere nominato”. Parole dure come macigni.

JP MORGAN SUPER STARMa eccoci ad alcuni incontri clou che vedono come protagonisti Renzi, prima in veste di

sindaco poi di premier, e pezzi da novanta di Jp Morgan.1 giugno 2012. A fare gli onori di casa in casa del primo cittadino è l’amministratore de-

legato di Jp Morgan, Jamie Dimon (che poche settimane fa Renzi ha rivisto a palazzo Chigiper il “salvataggio” Mps), nella splendida cornice fiorentina di Palazzo Corsini. Altro invitatoeccellente mister Tony Blair, da alcuni anni consulente d’oro del colosso Usa. I tre discutonoamabilmente dei destini globali ma soprattutto italiani.

Stessi ospiti due anni dopo, 1 aprile 2014. Non è un pesce d’aprile, ma stavolta Matteoarriva in veste di premier. Un dinner proprio a base di pesce, organizzato alla perfezione dal-l’ambasciatore italiano a Londra, mister Pasquale Terracciano. Ecco il menù in tavola: “riformadelle Province, riforma del Senato, riforma del Lavoro, riforma della Pubblica Amministrazione,riforma della Giustizia, riforma del Consiglio dei Ministri, riforma Elettorale”. Come dessertla nostra Magna Carta, quella Costituzionale, che va rottamata. Le pietanze fanno capolino trai gossip e le note politiche della stampa britannica.

Ecco un commento del Daily Mirror: “Renzi è il Blair italiano non solo nelle intenzionipolitiche ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La Jp Morgan”. Poi, a ruota, ilTimes: “Il mutamento cruciale, delle istituzioni politiche europee, neanche è cominciato. Iltest chiave sarà l’Italia: il governo ha l’opportunità di iniziare riforme significative”. Poi, sempreil maggiordomo Tony di Jp, a Repubblica: “c’è una coerenza tra il programma di riforme elet-torali e le riforme strutturali per rilanciare l’economia”. E proprio in onore del Big Friendd’oltremanica la creatura si chiamerà Jobs Act.

COME STRACCIAMO LE COSTITUZIONI DEI “PAESI PERIFERICI” Ma c’è una tappa intermedia tra i due summit. Eccoci quindi al varo della Tavole della

Legge firmate da Jp Morgan, tenute a battesimo il 28 maggio 2013. I Comandamenti che do-vranno regolare il Futuro e verranno portati a compimento da Maggiordomi locali: come l’ot-timo Matteo. Titolo del decalogo: “Aggiustamenti nell’area euro”, low profile per le 16 pagineche rappresenteranno la vera Magna Carta: tanto per divorare meglio quel che resta del nostroPaese, ormai terra di conquista per le truppe americane e i loro alleati, proprio come era giàsuccesso in occasione dello storico meeting pre Tangentopoli con Queen Elizabeth a bordodel Britannia. Così comandano le tavole firmate JP: “I sistemi politici dei Paesi del Sud, e inparticolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano unaserie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area eu-ropea. I problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che i sistemi politici della periferiameridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature e sono rimasti segnati daquell’esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza di idee socialiste, e in ciò ri-flettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo”.Prosegue il documento elaborato da Jp Morgan: “i sistemi politici e costituzionali del Sudpresentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governicentrali deboli nei confronti delle Regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecnichedi costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di protesta se i cambiamentisono sgraditi. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesidella periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire processi di riforme economichee fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo),dalle autorità locali (Spagna) e dalla crescita dei partiti populisti (Italia e Grecia)”. Piatto ottimoe abbondante, quello servito da Jp: con quei luridi paesi di periferia inondati da scioperantie protestatari. Per questo va immediatamente somministrata – con una bella dose di olio diricino – l’abolizione dell’articolo 18 sui licenziamenti, un primo a base di Jobs Act e un se-condo robusto di derivati tossici. Ma attenzione, nessuno può entrare nelle cucine per sbirciarecosa ci preparano gli chef !

Commenta Imposimato ricordando quello scellerato documento di Jp: “Subito dopo lasortita della JP Morgan, il Governo italiano si è adeguato con la legge Jobs Act che limita idiritti dei lavoratori, le leggi salva banche, truffatrici dei risparmiatori e la riforma liberticidadel Senato. Che con l’Italicum dà enormi poteri al premier”.

Semplici come bere un bicchier d’acqua (o d’olio di ricino, appunto) gli odierni sviluppidell’incredibile Monte dei Paschi story, dove il ministro dell’Economia, Maggiordomo Padoan,su ordine del Premier (a sua volta “ordinato” da JP), licenzia via telefono il Ceo di Mps FabrizioViola e impone il suo prescelto, Marco Morelli: non solo uomo di Jp Morgan, Morelli, ma an-che già sanzionato da Bankitalia per i derivati-surgelati “Fresh”, super tossici ma ugualmenteserviti al popolo bue, agli ignari risparmiatori!

Commenta un analista a piazza Affari: “niente di cui stupirsi, al popolo puoi somministraredi tutto, tanto spesso e volentieri non se ne accorge. Qualcuno ha detto mai qualcosa per l’in-credibile segreto di Stato apposto proprio un anno fa da Renzi proprio sui contratti dei derivati?Bene: se un cittadino o un giornalista che voglia fare sul serio informazione intende far co-noscere le clausole contrattuali imposte dalle banche ai clienti per quanto concerne la venditadi hedge fund, non può essere accontentato. Perchè? Perchè il governo Renzi ha messo il se-greto di Stato. Sanno anche i bambini che il segreto di Stato può essere invocato solo inmaterie delicatissime, ad esempio se è in discussione la sicurezza della nazione. Ebbene, tuttociò vuol dire che per Renzi la sicurezza è rappresentata dagli interessi delle grandi banche,della grande speculazione finanziaria, dei maxi speculatori che truffano gli sciagurati rispar-miatori. Altro che parlare poi di risarcimenti quando è organizzata in modo scientifico larapina di Stato!”. Bankster a dettar legge, truffe di Stato, un Segreto campato per aria: il menùè completo.

UN CARRO ARMATO CHIAMATO “TISA”Non può mancare, però, la classica ciliegina sulla torta. Confezionata con ingredienti unici:

o meglio, altrettanto segreti (come si conviene per le ricette dei veri chef). Si chiama TISA,che sta per “Trade in Services Agreement”, denominazione all’apparenza asettica, a primavista destinata ai commercianti. E’ invece il grimaldello per andare al cuore delle economienazionali, minarne ogni autonomia residua e renderle facile preda di moloch della Finanza– Jp Morgan, ma non solo – e Bankster (come è titolato il libro scritto nel 2010 da Elio Lan-nutti, che potete scaricare gratuitamente dal nostro sito).

La bozza del trattato “Tisa” è andata parzialmente in rete a metà 2014 grazie ai Wikileaksdi Julien Assange, in queste ore sotto assedio – ovviamente – da parte degli Usa per le rive-lazioni sul MailGate di Hillary Clinton. “Un accordo segreto a livello internazionale che puntaa smantellare il ruolo dei governi nella finanza e aprire la strada a politiche ultraliberiste”, èstato il commento di una ricercatrice universitaria fuori dal coro, Jane Kelsey, docente alla fa-coltà di legge ad Auckland, negli States. E’ stato firmato nel 2014 dai leader di 50 paesi, TISA,tra cui of course il nostro Renzi: non lo hanno sottoscritto i Brics, ossia Brasile, Russia, Indiae Cina. Secondo i patti, tutto deve restare strettamente segreto per almeno 5 anni dalla firma(per cui si arriva al 2019).

Dettaglia Jane Kelsey: “il Trade Agreement è in grado di determinare le politiche dei mag-

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LE GRANDI INCHIESTE

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ANDREA CINQUEGRANI

Lunedì 3 ottobre 2016, Porta a Porta. Prota-gonista assoluto don Tonino Di Pietro, l’uo-mo senza macchia e senza paura, il Mora-

lizzatore dei Conti pubblici. Al centro del dibat-tito le fresche polemiche per il Ponte sullo Stret-to. Ottimo e abbondante lo sfilatino che ‘O pmtira fuori dalla bisaccia per inzupparlo nelleturbolente acque dello Stretto. “Renzi si è in-contrato con i vertici di Impregilo e Salini e hatirato fuori la promessa. Poi ha capito quel cheha fatto e si è mezzo rimangiato la proposta”.Nel suo consueto, colorito idioma, il fondatoredell’Italia dei Valori Bollati e Immobiliari (vistala sfilza di case acquistate con i risarcimenti de-rivanti dalle cause civili promosse contro i gior-nalisti che hanno osato tirare fuori i suoi alta-roni) ha proseguito. E farfugliando di “prioritàdella spesa” ha tirato fuori sanità, giustizia etrasporti secondari.

Peccato che Di Pietro abbia ‘dimenticato’ ilricorso Longarini che rischia di mandare in cri-si le casse dello Stato, in tilt il ministero delleInfrastrutture, bloccare opere e cantieri in tuttaItalia proprio per i lavori nelle tratte secondarie,gettare per strada tra i 40 e i 50 mila lavoratori.L’esito di una guerra? Di un terremoto o che?Niente di tutto questo. Solo uno sfizio di donTonino. Il quale nel 2007, quando occupava lapoltrona di ministro delle Infrastrutture nel go-verno Prodi (esperienza che ha rievocato e ri-vendicato con gran fierezza nel salottino di Ve-spa), volle fortissimamente un arbitrato per di-rimere il caso Longarini che si trascinava da ol-tre un ventennio. Tutti lo sconsigliarono, a par-tire dalla stessa Avvocatura dello Stato (che og-gi, in extremis, chiede alla Cassazione di sospen-dere quell’esecuzione): si sa, lo Stato perde nel90 per cento dei casi, è un suicidio in piena re-gola, super annunciato E contro gli arbitrati piùvolte – incredibile ma vero – si è pronunciato(prima e dopo) lo stesso Di Pietro: “una scorcia-toia poco legale, bisogna percorrere le vie ordi-narie del giudizio”, ha più volte sentenziato. In-vece quel lodo, secondo il Di Pietro bis, andavafatto a tutti i costi, cascasse il mondo.

Tragico l’epilogo: una condanna, per lo Sta-to, a risarcire la bellezza di 1 miliardo e 300mila euro, roba da manovra finanziaria. A nullasono valsi i pigolii del ministero che ha cercatodi correre ai ripari: “così ci mandate in crac etutte le opere si fermano”, la pezza ai colori. Re-spinta al mittente dai giudici d’appello, a Roma,che hanno rammentato come qualsiasi ammi-

nistrazione – anche di condominio – sia solita,anzi debba per legge accantonare delle sommea bilancio. Ciliegina sulla torta: immaginate chegli “arbitri” di parte pubblica abbiano ricevutoun calcio in culo per aver perso quel lodo ma-ledetto? Macchè. Oltre al danno, per lo Stato,anche la beffa: una parcella – udite udite – da12 milioni di euro emessa dai tre arbitri, 4 te-stoni a testa. E sapete come si chiama uno deitre arbitri? Ignazio Messina, già portaborse didon Tonino e attuale segretario di Italia dei Va-lori. O meglio, di quel che ne resta. Ma lui, l’av-vocato a perdere siciliano, stappa lo champa-gne. Alla faccia dei lavoratori che grazie a luie al suo mandante finiranno in mezzo ad unastrada.

La Voce aveva rivelato in esclusiva questavicenda in un articolo del 13 luglio 2015. No-nostante la dura interpellanza urgente di Do-natella Agostinelli del M5S, che aveva ripresol’inchiesta della Voce, finora nulla è cambiato.

Una cifra stratosferica. Pari a una manovraIva. Oppure a tutte le spese per le infra-strutture. O ancora a un pezzo del default

greco. Dobbiamo pagare 1 miliardo e 300 milio-ni a uno dei big degli appalti da primissima re-pubblica, il re marchigiano di strade & mattoniEdoardo Longarini, per via di un folle arbitratodeciso dallo “Stato” contro se stesso.

L’incredibile, kafkiana vicenda viene oradrammaticamente alla ribalta per il nostro erario,dopo un maxi contenzioso vinto da Longarini,che ora riscuote. A rischio i destini dei nostritrasporti, cantieri che possono chiudere da ungiorno all’altro, ferrovie secondarie al collasso.E tutto perchè qualcuno, a nome dello Stato, hadeciso di “suicidarsi” e consegnare la cassa, conle chiavi, al super mattonaro amico, un tempo,del ministro dei lavori pubblici Giovanni Pran-dini. Il ras degli appalti fine anni ottanta, unodella “banda dei quattro” (gli altri erano ‘O mi-nistro Paolo Cirino Pomicino, il salernitano Car-melo Conte e il pli Franco De Lorenzo, Sua Sa-nità) secondo la colorita definizione di uno chedi Dc se ne intendeva (e raro galantuomo delloscudocrociato che fu), Guido Bodrato.

Ma torniamo all’arbitrato killer. La Voce neha già scritto ad aprile (http://www.lavocedel-levoci.it/?p=2124), ora denunciano il maxi scan-dalo – pressochè silenziato dai media nazionali– i Cinque Stelle, unici nel deserto politico a

puntare i riflettori su una vicenda ai confini del-la realtà: lo hanno già fatto un paio di volte, re-latore la tenace Donatella Agostinelli, ma senzaottenere mai una risposta da un ministro di que-sto sfasciato e corrotto Paese. Una settimana fa,il 7 luglio, sono tornati alla carica, con un’in-terpellanza corposissima: dopo muri di gommaalzati dai suoi predecessori, è ora atteso alla ri-sposta il neo ministro delle Infrastrutture Gra-ziano Del Rio.

In tutta la vicenda c’è un protagonista asso-luto, Antonio Di Pietro, che varò quell’arbitratoda suicidio per lo Stato e arci favorevole per lacontroparte privata, ossia la Adriatica Costru-zioni di Longarini. Ma perchè il nome di Di Pie-tro, nelle pochissime ricostruzioni giornalistiche,va regolarmente in soffitta, dimenticato in uncantuccio? Così accade, ad esempio, nel repor-tage di Stella-Rizzo per il Corsera di un paio dimesi fa. Unico quotidiano a tirare in ballo l’expm di tutte le moralizzazioni, Libero, che inun’inchiesta di Giovanni Amadori chiede alcontadino-proprietario, tra un’aratura e l’altradei suoi terreni: “Ricorda quella brutta storia?”.“No”. Amen.

L’ex pm del pool milanese negli ultimi anni– compresa un’apparizione ad una delle ultimepuntate di Michele Santoro sugli scandali Moseed Expo – si è sempre battuto con fierezza con-tro gli arbitrati, nei quali – lo sanno anche lepietre, oltre che Di Pietro – la parte pubblica,ossia lo Stato, soccombe nel 95 per cento deicasi, come sottolineano con rigore Stella e Rizzonel loro reportage. Sorge perciò spontanea ladomanda: perché mai l’allora ministro delle In-frastrutture nel governo Prodi fortissimamente

SCANDALO LONGARINIgiori Paesi a capitalismo avanzato evitando qual-siasi discussione nel merito nei parlamenti deglistati interessati. Qualcosa di simile a quello che ac-cade per il Trattato Transatlantico sul Commercioe gli Investimenti, il TTIP, rispetto al quale il TISAsi muove su una sorta di ‘binario parallelo’, e se-greto”. L’obiettivo è semplice: “eliminare – precisaWikileaks – tutte le leggi nazionali che sono con-siderate ‘ostacoli’ al commercio dei servizi in am-bito finanziario, eliminando anche quelle normeche sono state introdotte, o suggerite, in seguito allacrisi del 2008. Per esempio, i limiti alle dimensionidegli istituti finanziari, imposti in alcuni Paesi perevitare il ripetersi di operazioni di salvataggio ob-bligate nei confronti di quei soggetti troppo grandiper fallire”. Parole del 2014 che calzano a pennelloper il giallo sul salvataggio del Monte dei Paschidi questi giorni. Continua l’analisi di Wikileaks:“Le proposte presentate nella bozza del Tisa si oc-cupano anche di altre questioni, come la privatiz-zazione della previdenza e delle assicurazioni, l’eli-minazione degli obblighi di divulgazione delle ope-razioni off shore nei paradisi fiscali, il divieto diimporre un sistema di autorizzazioni per nuovistrumenti finanziari (come i derivati) o di regola-mentare l’attività dei consulenti finanziari”. Lo stes-so copione messo in scena con il segreto di statoproprio sui derivati. O con consulenze d’oro e com-missioni per Monte dei Paschi, con un top a quan-to pare da 600 milioni di euro!

Altra sorpresa dal magico cilindro di Tisa. Sipotrà arrivare addirittura a “un sistema sanziona-torio che corre su binari e canali ‘paralleli’ rispettoalla giustizia ordinaria. Se un’azienda ritiene chelo Stato estero in cui opera viola il trattato, può farricorso a un tribunale speciale che agisce come or-gano arbitrale, in cui non sono previste udienzepubbliche. Lo Stato condannato ha due scelte: can-cellare la legge in questione o risarcire l’azienda”.Forte odore di compassi, cappucci & grembiulini.O, se preferite, delle ovattate stanze griffate Bilder-berg e Trilateral.

AMICI MIEILast but not least un altro grande amico ame-

rikano. Per il salvataggio del Monte dei Paschi hafatto capolino Timothy Geithner, l’ex ministro delTesoro Usa proprio in quei bollenti anni (soprat-tutto il triennio 2010-2012), poi passato alla cortedi JP Morgan e quindi di un altro colosso dei fondiUsa, Warburg Pincus, il capofila della seconda cor-data di salvataggio organizzata dall’ex ministro Cor-rado Passera (mentre quella made in JP è capitanatada un altro ex ministro, Vittorio Grilli).

La vera star, la stella nel firmamento del pre-mier Renzi negli scenari che si stanno disegnando(copione JP Morgan & C.) ha un nome e un cogno-me ben precisi: Michael Leeden. Una storia checonduce direttamente a Marco Carrai, l’amico perla pelle di Matteo, l’uomo destinato a ricevere lechiavi dei nostri “Servizi”, presente al fianco delpremier alla cena londinese con Blair e Dimon. Erain prima fila tra gli special guest, Ledeen, in occa-sione delle nozze di Marco, cui ha preso parte an-che l’ambasciatore Usa, John Philips. Fresco, delresto, il suo pubblico elogio del neoeletto nostroCapo dello Stato Sergio Mattarella, sulle colonnedel Wall Street Journal: Ledeen non ha mai dimen-ticato il ruolo svolto dal Presidente quando, comeministro della Difesa, diede una forte mano allaNato per la sua missione in Kosovo.

Settantacinque anni, Michael Ledeen può con-tare su un pedigree chilometrico, quasi quanto iltasso di “gradimento” espresso dai governi – alme-no ufficialmente – nei suoi confronti. Washington,infatti, lo ha allontanato dai suoi Palazzi, visto cheperfino la Cia lo ha etichettato come “spia d’Israe-le”. E perfino il nostro ammiraglio Fulvio Martini,quando nel 1984 era al timone del Sismi, lo miseall’indice: indesiderato. Un fratello, invece, per An-tonio Di Pietro ai tempi del pool di Milano; piùvolte graditissimo ospite di Ledeen, il pm, in oc-casione dei summit organizzati a Washington dalsuo think tank, “American Enterprise”.

Scrive Gianni Lannes: “Ledeen risulta oggetti-vamente coinvolto in molte trame oscure, dalla log-gia P2 agli insabbiamenti delle stragi legate allastrategia della tensione, dai finanziamenti agli squa-droni della morta nicaraguensi, allo scandalo Iran-Contras, dai dossier farlocchi alla base della secon-da guerra in Iraq al caldeggiamento dell’aggressioneall’Iran”.

A proposito. Ricordate il mea culpa recitato –vera sceneggiata partenopea – dal tutto britishBlair? Quando si è scusato per aver caldeggiato lefalse piste anti Saddam sull’uranio del Niger chehanno causato una guerra di sterminio?

Ma oggi Tony & Michael rappresentano il Van-gelo. Secondo Matteo…

Di Pietro come Schettino L’arbitrato che affonda il Paese

Ignazio Messina. Nell’altra foto Antonio Di Pietro.

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SCANDALO LONGARINI

volle quell’arbitrato suicida? Anche contro il pa-rere dell’avvocatura di Stato? Mistero numerouno, che il ministro Del Rio nella prossima ri-sposta alla Camera e poi la magistratura, conta-bile e civile, farebbero bene a chiarire. Quali lereali motivazioni di quell’arbitrato? Come maiuna volpe come Di Pietro si consegna – o me-glio consegna i conti pubblici – a uno strainqui-sito e condannato per Mani pulite come Longa-rini? Misteri. Come mai – sottolineano i grillininella loro fresca interpellanza parlamentare –“con atto B3/3149 del 28 luglio 2006 tra il Mi-nistro Di Pietro e Longarini viene stipulata unaconvenzione d’arbitrato in materia non contrat-tuale con la quale si stabiliva che la ‘futura con-troversia’ relativa alla quantificazione e alla li-quidazione dei danni sia decisa da un collegiodi tre arbitri rituali?”. E puntano l’indice: “Ap-pare agli interpellanti ‘stupefacente’ definire ‘fu-tura’ una controversia che è iniziata anni pri-ma”. E allora, cosa c’è mai sotto?

Altro quesito. E’ normale che nel ristrettopool dei superpagati arbitri vi siano due amicidello stesso Di Pietro, ossia Domenico Con-dello e Ignazio Messina, che oggi è addiritturail segretario di Italia dei Valori? La parcella –del tutto anomala e supercontestata dai grillini– degli arbitri ammonta alla stratosferica cifradi 12 milioni di euro. Equamente spartiti dagliarbitri: arbitri “a perdere” nel caso dei “mini-steriali” (e due dipietristi, appunto, in forma-zione). Si chiedono, nell’interrogazione, oggii Cinquestelle “come sia stato possibile che a

fronte di un petitum di 300 milioni di euro ilcollegio arbitrale abbia discusso su una pre-tesa risarcitoria del Logarini moltiplicata di16 volte e pari a 4,8 miliardi di euro senzanulla eccepire e che in apparente contrastocon il decreto legislativo 163 del 2006 i Col-legi arbitrali abbiano emesso ordinanze per laliquidazione dei propri compensi di gran lun-ga superiori al tetto dei 100 mila euro stabilitodalla legge e fino a 14 milioni di euro nel ca-so del lodo di Ancona”.

Da un mistero all’altro, eccoci ad un altronome – a quanto pare – strategico nell’affaire, eche ora viene alla ribalta proprio grazie all’in-terrogazione dei 5 Stelle. Quello dell’ex prov-veditore alle Opere pubbliche della Campania,e soprattutto top manager al ministero delle In-frastrutture, Mauro Mautone. Nell’interpellanzafirmata da Donatella Agostinelli e dai colleghigrillini, infatti, ci si chiede espressamente “sullabase di quali indirizzi un direttore del ministero,ingegner Mauro Mautone, abbia firmato, in data22 maggio 2008, la convenzione sottoscritta conil signor Edoardo Longarini, per devolvere lacontroversia relativa al Piano di ricostruzionedi Macerata al collegio già costituito per il Pianodi Ariano Irpino e che il collegio abbia potutodichiarare di accettare, come formalmente haaccettato con la sottoscrizione del verbale, l’in-carico di risolvere la controversia relativa al pia-no di ricostruzione di Macerata”.

Siamo quindi a Mautone. Ecco come venivadescritto dalle agenzie a fine 2008: “uomo di fi-

ducia dell’ex ministro delle infrastrutture Di Pie-tro, da lui fortemente voluto alla direzione del-l’edilizia statale: una carica che venne rinnovataproprio il giorno prima che cadesse il governoProdi”. Arieccoci. Il governo Prodi venne ven-duto da Sergio De Gregorio, reo confesso, econfesso possessore del bottino da 3 milioni dieuro (che fine avranno mai fatto?), due in neroe uno al suo movimento per gli Italiani nelmondo. Caduto, quell’esecutivo, sulla via diCeppaloni, poco importa; o per via delle sce-neggiate bertinottiane, chi se ne frega. Ma perla giustizia di casa nostra cadde per quel votodi mister De Gregorio: il quale – nessuno peròse lo domanda – come mai era stato folgorato,poco prima, sulla via di Pietro? Come mai ilsempre craxian-berlusconiano De Gregorio rie-sce ad “ammaliare” il super pm poi leaderdell’Italia dei Valori? Mistero.

Non è un mistero che lo stesso De Gregoriodichiari il 25 settembre 2008 al Velino, guardacaso agenzia di stampa parasocialista, che il fi-glio del pm, Cristiano Di Pietro, all’epoca con-sigliere provinciale a Campobasso, risulta inter-cettato e coinvolto in un misteriosa inchiesta.Ecco il sasso nello stagno. Nel giro di qualchegiorno il mistero – si fa per dire – si chiarisce.E viene a galla l’inchiesta della procura di Na-poli sui mega appalti nelle opere pubbliche,coinvolto l’allora provveditore, Mauro Mautone.Vengono fuori alcune intercettazioni telefoniche,brutte storie di ricatti, di milioni, di appalti. Inballo c’è il trasferimento di Mautone, i suoi rap-

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NON BRILLA CERTO per produttività il tribu-nale dell’Aquila. Il 6 ottobre 2016 è

scattata la mannaia prescrizione per i pro-cessi del terremoto senza che si sia mos-sa una foglia. Processi che non riesconoad arrivare neanche ad una sentenza diprimo grado: e di quel passo, comunque,nella migliore delle ipotesi giungerebberopoi “morti” in appello. Un altro schiaffo al-le vittime di quel tragico sisma. Figurarsile inchieste sulla ricostruzione, autenticobanchetto per imprenditori taroccati, politi-ci di riferimento e Casalesi: nel consuetocopione delle “emergenze”, dopo le ritualilacrime comincia la grande abbuffata.

E figurarsi le “umane” vicende, i con-tenziosi di routine, i processi quotidiani.Spesso e volentieri – all’Aquila – buttatinegli scantinati ad ammuffire, impacchet-tati come partite di baccalà, gestiti comesacchetti a perdere, nel più totale disinte-resse. Autentici pugni in faccia ai cittadinie a chi ancora crede in uno straccio digiustizia. Sta succedendo a noi della Vo-ce: vi aggiorniamo sulla vicenda di cui ab-biamo già altre volte scritto.

20 settembre 2016. Si doveva svol-gere una importante – per la Voce –udienza d’Appello, per via del ricorso cheabbiamo presentato contro una sbalorditi-va sentenza di primo grado emessa daltribunale di Sulmona a marzo 2013, unacondanna a 95 mila euro che ha significa-to per noi la chiusura, ad aprile 2014,dell’edizione cartacea della Voce, in vitada trent’anni esatti (il primo numero dellanuova edizione era datato aprile 1984).Ebbene, il 15 settembre il nostro avvoca-to, Herbert Simone, riceve una pec dallaCorte d’Appello dell’Aquila, in cui vienenotificato il “rinvio d’ufficio” della causa agiugno 2018. Avete letto bene, 2018:quasi due anni. Il tutto, senza fornire al-cuna motivazione. Un bel vaffanculo pervia giudiziaria.

Calpestato ogni diritto ad avere giusti-zia. Presa a calci ogni ragione che nell’ap-

pello è stata documentata, decretata“senza appello” – è il caso di dirlo – lamorte di un giornale che si vede impedire– come neanche nella Turchia di Erdogano nell’Iran komeinista – il diritto ad uscirein edicola, ad esercitare il suo mestiere diinformare, a combattere come da semprele sue battaglie anticorruzione e antica-morra. Tutto ciò – è bene chiarirlo unavolta per tutte – ha un nome e un cogno-me ben precisi, il volto chiaro e netto diun mandante: si chiama Antonio Di Pietro.L’ex pm che con i risarcimenti per causecivili ha fino ad oggi raggranellato un belbottino: fa il paio con i vagoni di danariprelevati pronta cassa fin dai tempi di Ita-lia dei Valori – il contributo pubblico desti-nato ai partiti e all’epoca gestito con lamoglie, Susanna Mazzoleni, e l’amica te-soriera, Silvana Mura – e con i cadeau ditanti amici-nemici, i suoi inquisiti di Manipulite, come dettagliano per filo e per se-gno, regalo per regalo, Ferdinando Impo-simato e Sandro Provvisionato nel volume“Corruzione ad Alta Velocità”, dedicato an-che agli insabbiamenti dipietristi di quellebollenti, prime indagini sull’arcimiliardariobusiness della Tav. Ma ripercorriamo, tap-pa per tappa, la vicenda aquilana della Vo-ce. Ai confini della realtà.

Ottobre 2008. Alberico Giostra, gior-nalista Rai e collaboratore da un paiod’anni della Voce, scrive un articolo suCristiano Di Pietro, figlio di Tonino, e facenno alla sua tribolata maturità ed all’aiu-to che avrebbe ricevuto, per superarequel terribile scoglio vista la preparazionenon esattamente einsteiniana (come docu-menta una divertente intervista-quiz delleIene sulle capitali del mondo dove il ram-pollo-consigliere regionale ne dice di cottee di crude), da una insegnante di Sulmo-na, tale Annita Zinni da Montenero di Bi-saccia, esponente Idv a Sulmona e gran-de amica della famiglia Di Pietro. Una vi-cenda di cui, peraltro, avevano già scrittole cronache, e che sarà ripresa, con ulte-riori dettagli, nel volume “Il Tribuno” scrittoda Giostra sul leader Idv e mai querelatoné citato per alcun risarcimento, né dallaZinni né tantomeno da Di Pietro.

Verremo a sapere in seguito da unavvocato partenopeo, il quale conoscevae frequentava gli ambienti dipietristi, che ilministro delle Infrastrutture del governoProdi aveva intenzione di citare per dannila Voce. Contattò un “amico” legale napo-letano, a quanto pare venne anche scrittala citazione, ma in corner la moglie, an-

che lei avvocato, Susanna Mazzoleni ap-punto, lo avrebbe dissuaso. Consigliandoinvece di percorrere un’altra, più sicurastrada: mandare avanti l’amica Annita, far-le presentare una citazione civile con pe-sante richiesta danni. Da “monitorare”passo passo. E così fu. Il 21 aprile 2010l’insegnante di Sulmona invia alla Voceuna citazione con la richiesta di 40 milaeuro come risarcimento. Sostiene, in sol-doni, che a causa di quell’articolo ha vis-suto un anno e passa di patimenti, nonsolo sotto il profilo fisico, ma dei rapportipersonali: si vergognava di uscire, non fa-ceva più politica… Dimenticando per stra-da due piccoli particolari: nel frattempoc’era stato – aprile 2009 – il devastanteterremoto dell’Aquila, che forse qualche‘patema’ in più dovrebbe averglielo procu-rato; e i filmati di You Tube, i quali docu-mentano i suoi molteplici impegni di “par-tito” che infatti le hanno consentito di di-ventare, a luglio 2010, addirittura coordi-natore provinciale Idv all’Aquila, vincendoun’agguerrita concorrenza interna: opera-zione difficile da portare a segno dal pro-prio letto di casa…

Tre anni dopo, marzo 2013, il giudicedel tribunale di Sulmona, Massimo Mara-sca, non solo accoglie il ricorso della Zin-ni ma – caso più unico che raro nelle sto-rie giudiziarie – raddoppia! E cioè le asse-gna non 40 mila, come richiesto, ma 95mila euro! Paragonando i patimenti dellainsegnante sulmonese a quelli di un pre-mier (i legali di Zinni fanno espliciti riferi-menti a personaggi politici di ben altro ca-libro, da Nicola Mancino a Bettino Craxi) ei dati di diffusione della Voce a quelli diEspresso e Panorama. Ancora: il giudiceaccoglie in pieno le perizie redatte non dauno/a psichiatra – come previsto – mada due psicologhe, entrambe di Sulmona:una in veste di ctu e l’altra, di parte, ami-ca e collega di partito della Zinni. La qua-le, del resto, è notoriamente ottima amicaanche del procuratore capo di Sulmonafacente funzioni, Aura Scarsella, che vieneaddirittura chiamata nel corso del proces-so a testimoniare in favore della Zinni.

Il cerchio è chiuso. Una minuziosa re-gia perchè venga decretato – per legge –un Bingo da quasi 100 mila euro (ora so-no lievitati a 150 tra interessi e spese le-gali) a favore della Zinni, che nel frattem-po è tanto ‘danneggiata’ da scalare i ran-ghi all’interno del suo partito. I suoi legaliriescono a fare anche di più: per dimo-strare che l’insegnante, nel caso di scon-

fitta nei gradi successivi, può restituire lesomme prelevate dalle esangui casse del-la Voce (tutti modesti anticipi bancari…),fanno sapere che la signora è proprietariadi immobili, non solo nel sulmonese, maanche a Roma, per la precisione in viaMerulana, guarda caso allo stesso civicodove si trovano alcuni appartamenti chefanno capo all’allora capo dell’Italia dei Va-lori Immobiliari, don Tonino.

Quella sentenza di primo grado – co-me si sa – è provvisoriamente esecutiva:è così che tre anni e mezzo fa cominciala raffica di pignoramenti senza fine, diret-ti contro la piccola cooperativa editrice eil direttore responsabile: addirittura unacinquantina le banche che ricevono l’avvi-so di “notificare ogni somma detenuta perconto della cooperativa o di Andrea Cin-quegrani”. Un atto palesemente ai confinidella legalità – commento gli esperti –perchè “non puoi notificare a pioggia, le-dendo non solo la reputazione ma anchela credibilità bancaria di un soggetto, madevi agire solo nei confronti di quegli isti-tuti di credito dove risulta esservi qualchedeposito”. Ma tant’è: come davanti ad unplotone nazista.

Messi quindi in ginocchio sia il diretto-re (che come persona non può avere piùun conto corrente né niente) che la picco-la cooperativa editrice “Comunica”, che ri-mane carica di debiti (le somme anticipa-te dalle banche), non ha più un euro perpagare spese di stampa e di distribuzionee viene scippata dell’unica risorsa rima-sta, il contributo del dipartimento per l’edi-toria presso la presidenza del Consiglio, i20 centesimi a copia stampata: quel con-tributo pari a circa 20 mila euro, pignora-to, ultimo ossigeno rimasto, va a finire neiconti correnti della Zinni, che comincia ariprendersi dal “patema d’animo transeun-te” (questa la diagnosi) che l’aveva colpitadopo l’uscita dell’articolo.

Ma la sequela di pignoramenti non èfinita certo qui. Chiesta, ad esempio, lavendita all’asta della testata, anche senon si tratta di una partita di provoloni emortadella, ma di un “valore” immateriale,non facilmente quantificabile, frutto dell’in-gegno – come dicono i codici – e dellapassione civile (in questo caso). “Un epi-sodio mai verificatosi – commentano allostesso tribunale di Napoli – e non ne ab-biamo mai avuto notizia da alcun altro tri-bunale italiano. L’anomalia più grossa, pe-rò, è che tutto scaturisce da una senten-za di primo grado, addirittura appellata

con più che argomentate motivazioni”.Ma tant’è. A Roma il tribunale civile

assegna i 20 mila euro dei fondi per l’edi-toria, a Napoli va in scena (o sceneggia-ta) l’asta della testata, all’Aquila l’appellodorme sotto il “vigile” sguardo del presi-dente del tribunale, Augusto Pace, e delconsigliere relatore, Angela Di Girolamo:così presi dai loro impegni lavorativi darinviare “d’ufficio” l’udienza, senza il beccodi una motivazione, di ulteriori 21 mesi.

“Ottima e abbondante” risposta, quel-la delle toghe aquilane, alle richieste dellaVoce di “avere una sentenza”, un dirittoormai diventato una chimera, nel nostroPaese, quotidianamente disatteso e vilipe-so. Per ben due volte abbiamo infatti chie-sto l’anticipazione delle udienze e la so-spensione della provvisoria esecuzione, vi-sti anche i continui rinvii, con motivi di evi-dente urgenza, per un giornale privatodella sua possibilità di “vivere”, cioè diuscire in edicola. E per due volte la no-stra richiesta è stata respinta al mittente.Anzi, con una multa da mille euro, peraver disturbato lorsignori. Poi la mazzatafinale: il rinvio – altrettanto immotivato – agiugno 2018.

Intanto, il mandante – ora non più avolto coperto – Antonio Di Pietro, se la ri-de. Tutto lo cercano, tutti lo vogliono. Malui preferisce le vacanze, soprattutto inBrasile. Un cronista gli chiedeva lumi sullapossibile nomina nella giunta Raggi, comecapo di gabinetto o come strategico as-sessore al Bilancio. Lui ha glissato: “Stoandando in Brasile”. C’era già stato qual-che mese fa, in Sud America, per imparti-re il Verbo agli inquirenti carioca, impegna-ti nella maxi inchiesta Lava Jato che haportato all’impeachment del presidente Dil-ma Rousseff e coinvolto praticamente tut-ta la classe politica locale, dalla maggio-ranza all’opposizione. C’è tornato adesso:per ricevere anche lui un alloro olimpico?

E un paio di mesi fa il presidente del-la Lombardia, Roberto Maroni, lo ha volu-to con tutte le forze al vertice della “Pe-demontana Lombarda”, strategica societàche si occupa delle infrastrutture regionalie all’orizzonte non pochi appalti milionari.Poltrona praticamente omologa, in Cam-pania, quella di “Tangenziale spa”, occu-pata dal suo grande amico, Paolo CirinoPomicino, ‘O Ministro. Ricordate quandol’ex pm milanese venne chiamato al ca-pezzale dell’ex inquisito-bypassato, l’amicoPaolo, che lo voleva a lui vicino nel crucia-le momento?

Morire due volte. A L’Aquila

porti con il rampollo dell’ex pm, una serie difavori – a quanto pare – richiesti. E’ l’inizio diuna Tangentopoli partenopea. In un reportd’agenzia, anche lady Mautone alza il tiro: “lamoglie invita il marito a buttarla sul ricatto alfiglio, che è l’unico sistema”. Poi fa capolino unamico comune, tal Mauro Caiazza: “è importantetenere il ministro sotto!”. Del resto, dalla stessaprocura partenopea filtravano i contatti Mauto-ne-Di Pietro junior che “hanno assunto un con-tenuto alquanto ambiguo”. E mai chiarito, daicolleghi partenopei dell’ex pm. Mentre a queltempo la Dia indagava a proposito delle richiestedi Cristiano di “affidare incarichi a persone dalui segnalate anche al di fuori degli ambiti dicompetenza istituzionale” e di presunti interessi“in alcuni appalti e su alcuni fornitori”.

Un aplomb britannico, quello di Di Pietro,all’epoca: “Sapete che vi dico? E che me ne fre-ga! Buon lavoro ai magistrati che fanno il lorolavoro. Vadano avanti”.

C’è solo da sperare che vadano avanti, pa-recchi anni dopo, altri magistrati, forse un mo-mentino più coraggiosi, per far luce su quell’ar-bitrato. Su quei protagonisti. Su quelle nomine.Su quelle parcelle. Sui quei rapporti. Su queisoldi – quei vagoni di miliardi pubblici – buttatial vento mentre l’Italia, oggi, muore.

Antonio Di Pietro

Eduardo Longarini

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LE GRANDI INCHIESTE

N O V E M B R E 2 0 1 6 5

GIUSTIZIA MALATA

radiografato la scientifica spartizione tra co-sche dei lavori miliardari per la A3. Lavorieterni, mangiasoldi, lievitati a dismisura e peri quali il premier Renzi ha di nuovo ribaditola consegna finale sotto l’albero di Natale. Pal-le e stelle compresi.

Per non parlare della Tav. Sulla qualeavevano immediatamente puntato i riflettoridue inquirenti del calibro di Giovanni Falconee Paolo Borsellino, che nelle loro indagini par-tite proprio nel 1990 su “Mafia & Appalti”(anche sulla scorta di un minuzioso rapportodel Ros), furono in grado di vedere già alloraproprio nell’Alta velocità il grande businessdi mafie, imprese & politici di riferimento. Delresto, uno dei burattinai eccellenti si riveleràpoi Francesco Pacini Battaglia, il cui nome fagià capolino fin da subito in alcune sigle. Ein una – guarda caso – si trovava gemellato aIncalza & Perotti.

Letteralmente baciati dalla dea bendata, itre. Visto che Pacini Battaglia, l’uomo a unpasso da Dio, come lo definì il suo Grande In-quisitore, Antonio Di Pietro, all’epoca pm dipunta del pool di Milano, non passò neancheun giorno in galera. Incredibilmente don To-nino usò – come descrivono per filo e per se-gno Ferdinando Imposimato e Sandro Prov-visionato in “Corruzione ad Alta Velocità”uscito nel 1999 – un inconsueto guanto divelluto. Proprio lui, abituato a far confessarei suoi imputati, quella volta fu stranamentemorbido e non fece cantare il vero, gran de-positario dei segreti della prima repubblicadelle Mazzette e della Corruzione.

Altrettanto fortunati, oggi, gli amici diChicchi Pacini Battaglia, Incalza e Perotti, chela fanno franca a Firenze. Gip, gup e pm unitinella lotta: non hanno infatti ritenuto suffi-cienti gli elementi raccolti – una montagnaincapace di produrre un topolino – per soste-nere l’accusa in giudizio: optando quindi perun tranquillizzante – per i pezzi da novantasotto inchiesta – “il fatto non sussiste”. A farsibenedire, quindi, i pesantissimi capi d’impu-tazione come associazione a delinquere, truffa,turbativa d’asta, frode, corruzione e riciclaggio.Prima avevano scherzato.

E quale fine faranno le altre inchieste tar-gate Grandi Appalti, come ad esempio il filo-ne post G8, gli affari della Cricca, della Ane-mone & Balducci band? E le ulteriori indagini– sulla scorta di corposi dossier del Ros – suun altro uomo ovunque di progetti e lavori,Vincenzo Maria Greco, che dal terremoto al-l’Alta Velocità fino alle mirabolanti perfor-mance di “Icla” prima e di “Impresa” – sem-pre sotto la protettiva ala di ‘O ministro PaoloCirino Pomicino e dell’ex colonnello di AnItalo Bocchino – ha macinato miliardi & ap-palti? Si alzerà il sipario su un altro buco ne-ro, quello del Tram veloce di Firenze tanto ca-

Alta Velocità & Salerno-Reggio Calabriasempre sugli scudi. Una trentina di ar-resti fra colletti bianchi, imprenditori e

faccendieri. Tornano alla ribalta alcune grandidinasty, come quelle che fanno capo all’exministro berlusconiano delle InfrastrutturePietro Lunardi e all’ex super Ragioniere delloStato Andrea Monorchio. Ma le porti girevolidella giustizia di casa nostra non finisconomai: il processo che comincerà il 16 dicembrea Firenze sempre sui Grandi Appalti parte giàsgonfio, visti i freschi proscioglimenti per idue pezzi da novanta, l’ex uomo ovunque al-le Infrastrutture e potente responsabile dellastruttura di “missione”, Ercole Incalza, e ilprogettista e amico Stefano Perotti. E altre in-dagini si perdono tra le nebbie. Procediamocon ordine.

La nuova inchiesta romana “Amalgama”parte da un filone di Mafia Capitale. Seguen-do le tracce di danari e riciclaggi, infatti, gliinquirenti sono arrivati a una rete di favori abase di subappalti, sotto l’attenta regia – aquanto pare – di un ingegnere presente in tut-ti i business (oltre ai lavori per la tratta Mi-lano-Genova della Tav e al sesto macrolottodella A3 Salerno-Reggio, anche quelli per ilPeople Mover che collega l’aeroporto GalileoGalilei con il centro di Pisa), Giampiero DeMichelis, e un costruttore calabrese con lapassione per le autostrade, Domenico Gallo.L’ingrediente principale e vincente – secondole ricostruzioni – sta tutto nei meccanismidelle ‘offerte anomale’, pilotate a piacimentoe tali da estromettere i concorrenti scomodi,per favorire l’inutile, solo coreografica parte-cipazione dei non-interessati ai lavori.

Commenta un funzionario impegnato peranni al ministero dei Lavori pubblici: “Man-cano per ora solo le varanti in corso d’operaoppure le revisioni prezzi o le sorprese geo-logiche, ma per il resto il copione è semprelo stesso, da più di trent’anni ormai a questaparte. Lo stesso meccanismo, per fare un soloesempio, era stato utilizzato per gli appaltirelativi alla terza corsia della Roma-Napoli:grandi concessionari, addirittura uno è lostesso di oggi, Condotte, lavori smistati subitoalle imprese che operano in subappalto e sul-le quali non esiste mai uno straccio di con-trollo. Allora erano solo di camorra, con lesigle dei Casalesi a farsi le ossa sul campo.Adesso lungo tutti i lotti, nessuno escluso,della Salerno-Reggio Calabria, c’è una perfettasuddivisione tra clan di camorra, per la partecampana, e ‘ndrine lungo tutta la parte finaledello stivale”. Del resto, una sentenza passataal vaglio del terzo grado e firmata dal presi-dente della seconda sezione penale della Cas-sazione, Antonio Esposito, ha perfettamente

PAOLO SPIGA

HOTEL GRANDI APPALTI, ENTRA LUNARDI JR, ESCE INCALZA

ro a Renzi, finito prima tra le maglie di “Im-presa”, quindi nella rete di “Fincosit” (impe-lagata in altri maxi appalti, come quelli delMose)?

Intanto, arieccoci ad un’altra rodata band,quella dei Lunardi. Il nome di Giuseppe, oggi,fa capolino tra gli indagati eccellenti di“Amalgama”. Ma da svariati anni è in pista lacreatura di famiglia, Rocksoil, che fa capo aGiovanna, Martina e, appunto, Giuseppe, i trerampolli dell’ex ministro delle Infrastrutturenel governo Berlusconi: ricordate quando nel2001 disse convinto che con le mafie bisognaconvivere e che non ci impediranno di realiz-zare le grandi infrastrutture? Nel pedigree so-cietario spicca il gioiello delle progettazioniper la Tav, in particolare quelle per i tunnel,come documentò anni fa un reportage delleIene. Ed è in prima fila, Rocksoil, anche per ilavori di una tratta strategica del metrò di Na-poli, la famigerata Linea 6, che non solo haingoiato vagoni e palate da milioni di euro,ma ha anche massacrato l’ambiente: cilieginasulla torta il crollo, due anni e mezzo fa, diun’intera ala di un edificio storico alla Rivieradi Chiaia, palazzo Guevara. Il processo per lastrage sfiorata è ora in corso a Napoli.

Così dettaglia, in un provvedimento adot-tato a luglio 2006, l’Autorità garante per laconcorrenza e il mercato, presieduta da Anto-nio Catricalà: “in data 20 giugno 2005 la Me-tropolitana Milanese spa, incaricata delle ope-re civili della linea 6 della metropolitana diNapoli (tratta Mostra-Municipio), in accordocon la Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviarispa, titolare della concessione e costruzionerilasciata dal Comune di Napoli, affidava allaRocksoil (società interamente controllata dal-l’Immobiliare San Marco srl, di proprietà deisignori Giuseppe, Giovanna e Martina Lunar-di, figli dell’ing. Pietro Lunardi, ex ministrodelle infrastrutture e dei Trasporti) l’incaricodi collaborazione alla progettazione esecutiva”di alcuni interventi.

Attenzione alle date: il 2 dicembre – am-mette Catricalà – è lo stesso ministero delleInfrastrutture guidato da papà Lunardi a sot-toporre al Cipe (di cui fa parte) una “nota in-formativa” sugli stessi interventi ritenuti ne-cessari: ben compresa la Linea 6 e la proget-tazione affidata ai Lunardi junior. Il brindisifinale avrà luogo il 21 marzo, in compagniadelle rondini che festeggiano la primavera.

Tutto ciò – secondo l’imperturbabile Catri-calà – non ha però niente a che vedere con al-cun conflitto d’interesse! Forse tra padre e figlinon corre buon sangue, e certo i rampolli han-no ottenuto l’incarico “nonostante” il padre.Per chi deve garantire “mercato e concorren-za” tutto ok!

Ma chissenefrega. Del resto, nel pozzo disan Patrizio del metrò made in Napoli hanno

fatto fortuna in tanti. Dai ruspanti Casalesi fi-ne anni ’70 con le loro pale meccaniche neiprimi cantieri, alla crema dei mattonari par-tenopei e non solo: in pole position la Giusti-no costruzioni protagonista dei lavori perquella terza corsia, la Vianini di casa Caltagi-rone, la parmense Pizzarotti. Senza lo stracciodi una “VIA”, la valutazione d’impatto am-bientale necessaria anche per una veranda, esotto il vigile sguardo di Gianfranco Pomicino(cugino di ‘O ministro e per un ventennio bigdi Palazzo San Giacomo con la supervisioneproprio sul metrò) e del presidente di Metro-napoli, Giannegidio Silva, prima per anni altimone della pomiciniana Icla. Verranno maiaccesi i riflettori dell’Anac di Raffaele Cantonesui maxi sperperi del metrò più caro al mon-do (il doppio di quello romano), 350 milionidi euro a chilometro e un fiume di danari chenon si ferma mai ? Altri ne arriveranno a va-goni dopo le promesse del premier Renzi inoccasione dello “storico” incontro con il sin-daco Luigi de Magistris…

Il nome dei Lunardi, poi, è in prima filanella pur affollata “lista Anemone”, fitta di ol-tre 400 nomi tra vip & papaveri. Così rico-struiva a maggio 2010 Francesco Viviano suRepubblica: “E’ un elenco che raccoglie tuttigli interventi edili (di ristrutturazione e rico-struzione) affrontati da Diego Anemone in uf-fici pubblici e appartamenti privati della no-menklatura nazionale. Palazzo Chigi, la resi-denza privata di Berlusconi a palazzo Grazioli,le abitazioni degli ex ministri Pietro Lunardie Claudio Scajola, prime e seconde case in cit-tà e in montagna”. Più in dettaglio, a propo-sito del compasso d’oro: “Lunardi ha sempredichiarato che – è vero – gli è capitato di uti-lizzare le imprese di Anemone, ma soltantoper trascurabili lavori nella sua casa di cam-pagna nei pressi di Parma”. Invece – vienedocumentato – “nel suo ‘sistema gelatinoso’risultano lavori di ristrutturazione nel palazzodi via dei Prefetti (acquistato da Lunardi abassissimo costo grazie ai buoni uffici di Ane-mone e forse grazie al suo denaro), a Cortinad’Ampezzo (una casa di montagna del mini-stro) e nell’ufficio di via Parigi; infine in viaSant’Agata dei Goti, dove c’è un appartamentovenduto nel 2004 da una società del figlio diLunardi a ‘Iniziative Speciali’ della madre diClaudio Rinaldi, commissario per i Mondialidi nuoto”.

Ricca di altre sorprese, quella istruttiva “li-sta dei 400”. Tra i fortunati troviamo AlbertoDonati, genero di Ercole Incalza; la “SarappaltiAlessandria”, società riconducibile a Giando-menico Monorchio, nonché lo stesso ex ragio-niere generale dello Stato, Andrea Monorchio.Il lifting edilizio, cadeau del premuroso Ane-mone, riguardava un immobile ubicato nelcuore di Roma, via Sistina, a un passo dapiazza di Spagna. Ci manca solo un ritoccoalla fontana.

Ercole Incalza.Nella foto grande Andrea Monorchio

e, a destra, l’ex ministro Renzo Lunardi.

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IL RITORNO DI POMICINO

doppio, anzi triplo, a Paolo Cirino Pomicino neigrassi anni della prima repubblica, Caputi haretto il timone della pescarese Proger, una superengineering (ha avuto anche incarichi per la pro-gettazione del padiglione Italia all’Expo di Mi-lano, finita nel mirino degli inquirenti), e al suofianco Ludovico Greco, figlio di Vincenzo Maria,la storica eminenza grigia di ‘O Ministro Pomi-cino. Si tuffa poi a capofitto nei ‘fondi’, Caputi,con la rampante Fimit, e quindi una serie di par-tecipazioni, fino all’ultima performance in Pre-lios. “Tante storie finanziarie – raccontano a piaz-za Affari – portano al suo nome, così come tantecarriere nei percorsi ‘creativi’ di casa nostra. Maogni tanto anche qualche inciampo. Come la cla-morosa storia del palazzo strapagato dall’ente diprevidenza degli psicologi e transitato da IdeaFimit al fortunato senatore Pdl Riccardo Conti,ma per la quale fino ad oggi Caputi non è statotirato in ballo, ha solo testimoniato con una suaversione piena di falle, anomalie e contraddizio-ni; oppure la condanna a dieci mesi a carico diCaputi e dei fratelli Marzotto, Matteo e Diaman-te, per una maxi evasione fiscale – 70 milioni dieuro – relativa alla vendita di Maison Valentino.Adesso c’è la storia di questo appartamento al-l’Eur: la più scabrosa, perchè porta direttamenteagli affari della Banda della Magliana”.

Passiamo alla ‘Case’ dei misteri. Non pom-peiani, ma quasi, perchè molti fra i protagonistisono partenopei doc. Per districarci tra i suoilabirinti, ci fa da cicerone lo stesso “decreto disequestro anticipato dei beni” emesso dalla “se-zione per l’applicazione delle misure di preven-zione nei confronti delle persone pericolose perla sicurezza”. Tra le pagine del documento (68in tutto) un corposo paragrafo è dedicato a ‘Casesrl’. Ecco il passaggio saliente: “in data 4 maggio2007, Morlando Giuliano e LAI Costruzioni srlvendono l’intero capitale sociale della Case srl(proprietaria dell’appartamento, ndr) rispettiva-mente a Diotallevi Mario, a Diotallevi Leonardo,a Ciotti Roberto (prestanome dei Diotallevi, ndr)e alla Md Consulting. Nell’annualità in questio-ne, dunque, risulta che i fratelli Diotallevi avreb-bero corrisposto l’intero importo, pari a 2 mi-lioni 100 mila euro. Tale assunto trova confermanell’analisi del rapporto di conto corrente coin-testato a Diotallevi Mario e Leonardo accesopresso Banca Carim spa, dal quale è emerso chein data 4 maggio 2007 sono stati disposti duebonifici all’ordine di Morlando Giuliano”.

Scrivono ancora i pm romani: “L’acquistodelle partecipazioni della Case srl è avvenutonel 2007 con risorse di dubbia liceità e la ven-dita delle stesse, nel 2010, non è reale. Invero,le risultanze investigative inducono a ritenereche l’operazione ‘Case srl’ sia volta a precosti-tuire una parziale giustificazione contabile alladisponibilità di un patrimonio non commisuratoai redditi dichiarati e, al contempo, una prov-vista di risorse finanziarie da riciclare”.

TUTTI GLI UOMINI DI ‘O MINISTROGiuliano Morlando è uno degli uomini chia-

ve nello scacchiere di Vincenzo Maria Greco.Un fedelissimo fin dai tempi delle prime crea-ture, dalla casareccia Eta Sud (su cui nel 1984indagava un giovane giudice istruttore, FrancoRoberti, attuale procuratore nazionale antimafia!)alla più accorsata Servizi Ingegneria che furono

per anni il crocevia degli affari targati Pomicino,a partire dal dopo terremoto del 1980 fino ai ma-xi business targati Alta Velocità.

E infatti, il nome di Morlando è in prima li-nea in un dettagliato dossier redatto dal Ros diFirenze nel 2010, alla base della maxi inchiestasulla Cricca dei grandi Appalti, le super com-messe per il G8 e i 150 anni dell’Unità d’Italia.Tra i “referenti abituali” di Greco, infatti, c’è pro-prio il nome dei fratelli Morlando, Giuliano eRenato, nonché quelli di Gianluca Salvi e di Ro-berto Marconi. Il nome di quest’ultimo è ricon-ducibile al carrozzone di Sviluppo Italia prima(ai tempi della presidenza Caputi) e di Invitaliapoi, a bordo di Italia Navigando: dal cui parterrepoi è uscito intascando 16 milioni in prestigiosepartecipazione azionarie.

In particolare, la sagoma di Morlando ci con-duce allo scrigno di ‘Impresa’, la regina di tantiappalti da poco finita in crac: e sotto i riflettoridella magistratura, con l’arresto, mesi fa, dellostesso Greco. Impresa, infatti, aveva ‘ereditato’il ricco ramo d’azienda di BTP, la storica siglagigliata molto vicina a Denis Verdini e al centrodell’inchiesta: un ramo contenente il ricco ap-palto per il tram veloce che dall’aeroporto di Pe-retola porta nel cuore antico di Firenze, operamolto cara all’allora sindaco Matteo Renzi.

Nell’azionariato di Impresa spicca la presen-za della Liguria Costruzioni, riconducibile a Mor-lando, ai rampolli di casa Greco (Ludovico eMaria Grazia) e a Raffaele Raiola, il mattonaronapoletano che vent’anni prima aveva incorpo-rato la Sorrentino Costruzioni, altra sigla finitaall’epoca sotto i riflettori della sezione misuredi prevenzione per i suoi organici legami con lecosche (dalla Nco di Raffaele Cutolo alla emer-gente Nuova Famiglia).

Nella compagine di Liguria Costruzioni, fral’altro, ha fatto segnare la sua presenza ClaudiaLeonardis, figura ovunque nell’arcipelago di so-cietà collegate all’asse, che ci è consolidato neltempo, fra Vincenzo Maria Greco e Italo Bocchi-no, l’ex luogotenente di Gianfranco Fini oggi in-caricato di gestire le public relations del gruppoche fa capo all’immobiliarista d’oro e uomo ditutti i ‘Global Service’, ossia Alfredo Romeo.

Così scriveva la Voce in una cover story didieci anni fa novembre 2006, titolata ‘L’ombra diPomicino': “A giugno 2006 da questa seconda‘Edizioni dell’Indipendente srl’ esce di scena ilgiornalista Giordano Bruno Guerri, che aveva di-retto il quotidiano dal 2004: cede infatti la suaquota societaria a Claudia Leonardis. Napoleta-na, 42 anni, nella primavera 2006 la Leonardisentra a far parte di un autentico arcipelago so-cietario: acquista infatti quote di LAI Costruzioni(capitale sociale da oltre 1 milione di euro), Si-stra 2000, Liguria Costruzioni, Società agricolaCampocane, Giglio 7 e Giglio 8. Dal 2004 facevaparte anche della compagine di Sviluppo Ur-bano, in cui è socia, fra gli altri, di DomenicoChieffo. La formazione Chieffo, Santoro, Parisi,Acanfora, si ritrovava poi in campo nella srl Edi-zioni del Mezzogiorno”.

Un vero giglio magico: stessi nomi (in granparte di tratta di commercialisti) che seguonocome ombre cinesi i destini ‘imprenditoriali’ diPomicino, Greco, Bocchino e dello stesso Caputi.E un identico quartier generale romano: l’acco-gliente via Carducci, civico 10.

Mafia Capitale. Nella montagna di cartespunta un indizio, nella sfilza di seque-stri e confische salta fuori un immobile

passato quasi inosservato tra i tanti: un “ap-partamento’ che da solo rappresenta una im-perdibile storia di altissime connection che dalgotha finanziario e politico portano dritti allaBanda della Magliana, con la compiacenza diimportanti istituti di crediti che nell’occasionechiudono non uno ma due occhi. Nel mezzodella story anche faccendieri che vengono dalontano, come dalla madre di tutte le tangenti,Enimont. Per andare al sodo, tra i protagonistie interpreti vedrete scorrere in carrellata il su-perfinanziere Massimo Caputi, ‘O ministroPaolo Cirino Pomicino e la sua nutrita band,nonché Ernesto Diotallevi, il boss della bandadella Magliana legato a personaggi del calibrodi Flavio Carboni.

Ecco cosa scriveva Federica Angeli per Re-pubblica il 22 maggio 2015: “l’esecuzione dellaconfisca del tesoro di Ernesto Diotallevi è scat-tata ieri mattina. Neanche un mese fa il tribu-nale di Roma, sollecitato dai magistrati dellaDda, i pm Luca Tescaroli, Paolo Ielo e Giusep-pe Cascini, si è pronunciato disponendo laconfisca di gran parte del suo patrimonio allaluce dell’inchiesta Mafia Capitale in cui Dio-tallevi è tra gli indagati per associazione a de-linquere di stampo mafioso poiché ritenuto,insieme a Giovanni De Carlo, il referente ro-mano di Cosa Nostra”. E ancora: “Così quotesocietarie, immobili a Roma (compresa la pre-stigiosa casa di Fontana di Trevi e l’apparta-mento di viale dell’Oceano Pacifico), ad Olbiae in Corsica, un hotel a Fiuggi, due cantierinavali a Fiumicino, conti correnti e opere d’ar-te, per un ammontare di 30 milioni di euro,da ieri sono ufficialmente dello Stato”.

Meglio tardi che mai. Finalmente la magi-stratura è arrivata a scoprire i bottini griffati Ma-gliana, in perfetta sinergia con la mafia. La pri-ma inchiesta della Voce sulle connection Ma-fia-Camorra-Magliana è di trent’anni fa suonati.In una cover story di marzo 1986 venivano det-tagliati i legami di Pippo Calò, il ‘manager dellamafia imprenditrice': “attraverso alcune società(Spes, Monte Piccolo, Monte Portella) costitui-sce complessi immobiliari nientemeno che aPorto Rotondo, al cui acquisto è interessato Er-nesto Diotallevi, secondo Tommaso Buscetta apieno titolo prestanome per conto dello stessoCalò”. Venivano poi descritti i rapporti tral’emergente clan camorristico che faceva capoa Michele Zaza – tramite un suo fedelissimo,Nunzio Guido – e i boss della Magliana, in par-ticolare Danilo Abbruciati, “morto – rammen-tava nell’86 la Voce – in occasione dell’attentatoal vicepresidente del Banco Ambrosiano, Ro-berto Rosone, attentato compiuto insieme a Bru-no Nieddu e Ernesto Diotallevi”.

Passiamo per un momento alla storia del-l’immobile di viale dell’Oceano Pacifico, doveincroceremo, come tappa finale, casa Diotallevi.Racconta un immobiliarista che da anni lavoraall’Eur: “è un appartamento che tutti conosconoda sempre, il regista Franco Cristaldi ci abitòcon sua moglie, la bellissima Zeudi Araya, peranni stella del cinema. Poi è passato tra le pro-prietà dell’Inpdap. Quindi il suo tragitto è pro-seguito via Fimit, che lo ha inglobato nel suofondo immobiliare, il Fondo Alfa. Poi la venditaalla società Case, che cambia spesso pelle”.

E’ il caso di fermarsi un momento per foca-lizzare meglio l’attenzione su Fimit e il suo fon-do, per poi passare alla ‘Case’ dei misteri.

L’ARCIPELAGO CAPUTIDA PROGER A FIMITFimit è la creatura fondata e animata da

Massimo Caputi, per anni in prima fila tra i ma-nager del ricco parastato, alla guida di ‘SviluppoItalia’, la corazzata pubblica chiamata ad inter-venire in settori strategici e per supportare so-prattutto le aziende meridionali dalle idee in-novative. Tutto rimasto, regolarmente, sulla car-ta: perchè la mission è diventata dar soldi agliamici, e agli amici degli amici. Legato a filo

CRISTIANO MAIS

ROSSI & CARIMLa pittoresca storia del super appartamento

che vide sbocciare l’amore, tanti anni fa, tra lasplendida Zeudi Araya e il suo facoltoso pro-duttore, non finisce comunque di riservare sor-prese. Sul palcoscenico, tra le altre, fa capolinola figura di un faccendiere ben noto alle crona-che di Tangentopoli, l’ex agente di cambio Gian-carlo Rossi, protagonista nella vicenda della su-per mazzetta Enimont, la madre di tutte le tan-genti, poi una vita nei “Fondi” (bassi e alti).

Durante la ‘sceneggiata’ – così la coloriscononon solo gli inquirenti ma anche gli immobilia-risti che conoscono vita e morte dei mattoni ro-mani – per la vendita dell’immobile da Fimit(via Fondo Alfa) alla ‘Case’ targata Morlando, fainfatti la sua comparsa una sigla, Lethys, ricon-ducibile al faccendiere: uno degli amici di Ca-puti allertati per l’occasione, anche per ‘popo-lare’ di figurantes la vendita di un immobile expubblico (patrimonio Inpdap) poi andato – è ilcaso di dirlo – a Fondo. Molto legato, Rossi, al-l’allora capo delle Ferrovie Lorenzo Necci, il ‘pa-tròn’ dell’Alta Velocità, e all’inossidabile LuigiBisignani, uscito indenne dalle inchieste parte-nopee sulla compravendita dei senatori, in cuifa capolino il nome dello stesso Rossi. Di luiparlano, in una intercettazione telefonica agliatti del processo, Walter Lavitola e GiampaoloTarantini. Così scrive una nota d’agenzia: “Ta-rantini si mostra informato perchè conosce Gian-carlo Rossi, l’agente di cambio che durante tan-gentopoli fu coinvolto proprio con Bisignani nel-l’indagine sulla maxi tangente Enimont”. Dio lifa e poi li accoppia: e molti cerchi, a questopunto, si chiudono.

Non possono mancare le banche, come ovvipartner in occasione di lussuose compravenditee fidi facili a chi comanda, come nel caso dellaDiotallevi dinasty. In scena, stavolta, la Cassa diRisparmio di Rimini, Carim per gli aficionados(da non dimenticare che Rmini è stato uno deiprimi ‘sbarchi’ della camorra imprenditrice findai primi anni ’90: nel mirino, tanto per fareun solo esempio, gli appalti di pulizie dell’EnteFiera). Sono molto duri, i pm, contro i ‘ban-kster’ di casa nostra. “Le risorse erogate diven-tano legittime – scrivono – solo in ragione delfiltro attuato dall’intermediario bancario, in ma-lafede quando si eroga in favore di pregiudicatiche hanno bisogno del prestito bancario soloper schermare la provenienza delle risorse”.Quindi – aggiungono – “va esclusa la buona fe-de degli istituti di credito e soprattutto dellaCarim, che ha concesso due prestiti per un to-tale di 2,8 milioni di euro in totale assenza diun merito creditizio”.

Più chiari di così…

Massimo Caputi. Nel fotomontaggio qui

accanto Paolo Cirino Pomicino e, a destra, Ernesto Diotallevi.

Qui sotto il senatore Riccardo Conti.

AFFARI GRIFFATI MAGLIANA BAND

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Caso Ligresti, mentre Milano in primogrado assolve, Torino condanna. Ma

Unipol “non compare”. Tutto da spiega-re il giallo delle due sentenze contrap-poste, di perizie che fanno a cazzotti edi una clamorosa omissione mediatica.

I fatti. 11 ottobre: il tribunale di Tori-no – giudice Giorgio Gianetti, pm MarcoGianoglio – infligge una dura condannaall’anziano patròn di Fondiaria-Sai, Salva-tore Ligresti (sei anni di reclusione) e allafiglia Jonella (5 anni e 8 mesi) per falsoin bilancio e aggiotaggio; condannati an-che l’ex amministratore delegato FaustoMarchionni (5 anni e 3 mesi) e l’ex revi-sore dei conti Riccardo Ottaviani (2 annie 6 mesi). Per i due Ligresti e Marchion-ni anche interdizione dai pubblici uffici.Sequestrati poi 10 milioni di euro, chedovranno servire a rimborsare, in parte,gli oltre 12 mila risparmiatori truffati, dalmomento che per via di svariati artificicontabili il titolo perse circa 300 milionidel suo valore di mercato.

Incredibile ma vero, per gli stessi fat-ti gli stessi protagonisti (più il fratelloPaolo, cittadino svizzero) vennero assoltidalla procura di Milano. Per questo orastrepitano i legali della difesa: “non èpossibile che in Italia ci siano due giusti-zie”. Tutto ruota intorno a perizie di teno-re opposto – relative al bilancio 2010 –presentate da accusa e difesa e valutatein modo diametralmente opposto daidue tribunali. “Fatti di gravità ecceziona-le”, sono le parole del pm Gianoglio. In-vece bazzecole per le toghe meneghine:a Milano, comunque, si celebrerà a bre-ve l’appello.

L’inchiesta su quel bilancio 2010 èpartita dopo gli esposti di alcune asso-ciazioni dei risparmiatori e le segnalazio-

ni di Consob e Isvap (il che è tutto dire,per due organismi solitamente ciechi,sordi e muti) circa alcune anomalie nei ri-tuali accantonamenti, evidente segnalenon solo di una sottovalutazione dei ri-schi, ma anche della possibilità di stranidrenaggi dalle casse societarie sui conticorrenti personali di casa Ligresti.

Ma il giallo è ancora un altro. Tuttal’operazione riconduce al passaggio delgioiello di polizze & assicurazioni sotto ilcontrollo di Unipol: ossia all’affare del se-colo, il simbolo di un certo capitalismoanche non poco avventuroso – quellotargato Salvatore Ligresti – che passatra le accoglienti braccia delle coop ros-se, dell’astro nascente targato Lega, Uni-pol. Che dopo la brutta storia dei furbettidel quartierino, la scalata mancata ai co-lossi del credito (“ci facciamo una ban-ca”), mette a segno un colpo da novan-ta, una delle corazzate nel panorama as-sicurativo di casa nostra.

In quella operazione non mancavanocerto le zone d’ombra. I misteri. Le acro-bazie finanziarie. Operazioni che solo lamagistratura avrebbe potuto portare allaluce. E da qui le inchieste, Milano e Tori-no. Con i finali che adesso corrono pa-ralleli. E da Torino arriverà presto qual-che novità da novanta. Il pm Gianoglio,infatti, è in attesa del deposito di alcuneconsulenze e perizie tecniche che do-vranno chiarire fino in fondo il ruolo gio-cato da Unipol in tutta la vicenda: e so-prattutto del suo gran regista, il rampan-tissimo amministratore delegato CarloCimbri, qualche mese fa sul punto dipassare armi e bagagli sul ponte di co-mando di Unicredit, viste le ottime “cre-denziali” di cui gode soprattutto a Medio-banca. Una nomina saltata, forse, per-

chè “inopportuna”, al momento, vista larichiesta di rinvio a giudizio che potrebbearrivare da Torino.

Un primo segnale, comunque, vienegià da una circostanza: la fresca senten-za dell’11 ottobre prevede che a concor-rere al risarcimento dei danni procurati airisparmiatori siano UnipolSai e RecontaErnest&Young. Quest’ultima, evidente-mente, perchè non ha guardato bene iconti, in quanto società di certificazionedei bilanci; la prima in quanto co-protago-nista, con i Ligresti, dell’affaire. Bruttaaria, dunque, in casa Unipol. E bufere inarrivo.

Pensate che i media nostrani abbia-no fatto cenno al coinvolgimento “pesan-te” di Unipol in tutta la story? Repubblicala tira in ballo solo di striscio, per i risar-cimenti (da quantificare in un processo diresponsabilità civile a parte): ma nessunlettore è in grado di capire il suo coinvol-gimento. Fa ancora meglio il Corsera,nel cui resoconto (da notare bene, nonnelle pagine di economia & finanza, main quella di cronaca, come si trattassedel furto in un supermercato) Unipol nonesiste e su Cimbri neanche una sillaba.Dimenticavamo: Unipol è azionista Corse-ra, una piccola ma significativa quota(come mister Tod’s Diego Della Valle) nel-la platea azionaria ora controllata dai Cai-ro boys.

COMPAGNI, FACCIAMOCIIL GRATTACIELO...I colossi a stelle e strisce delle poliz-

ze? Bazzecole. I big tedeschi di Allianz?Pinzellacchere. Ora regna il Verbo deicompagni targati Unipol, degli scalatorimancati agli imperi bancari (“Ci facciamola banca?”) ma ora più che mai in vetta

alle hit di credito & finanze, scanditedall’alto dell’ex impero del Diavolo d’untempo, il siculo Ligresti, inghiottito comeun bocconcino in salsa Lega coop. Falce& cartello (assicurativo), ora è Vate Cim-bri a parlare. Ecco la sua Profezia annun-ciata ai soci-rossi (sic) ai quali ha pro-messo “1 miliardo di dividendi”, una veramoltiplicazione di pani, pesci & polizze.“Il nostro è un piano di continuità – hagonfiato il petto davanti al palpitante udi-torio degli azionisti in occasione dell’as-semblea – non ha frizzi e non ha lazzi,non è glamour come quello del triennioprecedente. E’ concreto, molto solido,mirato a guadagnare efficienza e salva-guardare la massima redditività possibilee sostenibile anche nel futuro”.

Non siamo su “Scherzi a parte”: è ilCimbri Pensiero doc, fedelmente riportatodell’ovviamente genuflesso cronista finan-ziario del Corsera, che vede brillare nelsuo parterre azionario (con il 4,6 per cen-to delle azioni) proprio la regina delle po-lizze, sul cui ponte di comando, in qualitàdi amministratore delegato della holdingUnipol e presidente di UnipolSai, siede ilsempre più rampante Carlo Cimbri. Chedavanti agli sbigottiti soci snocciola unaserie di numeri vertiginosi, segno di unairresistibile ascesa nell’empireo degli untempo odiati capitalisti. Utili previsti per ilprossimo triennio pari a 1,6 miliardi di eu-ro, raccolta danni al top dei 7 miliardi emezzo, premi vita in microscopica flessio-ne a 5 miliardi e 7, a brevissimo investi-menti per quasi mezzo miliardo abbon-dante, tra “digitalizzazione delle agenzie emulticanalità” (300 milioni), “informatica edigitale” (150 milioni) e “gestione dellescatole nere” (100 milioni) con una “pro-prietà dei dati” da “portare a casa” (?) co-

me ha sottolineato il Vate.Ma sono le “riflessioni” dedicate al-

l’operazione salva-banche Atlante a man-dare in visibilio la platea dei soci: “il no-stro gruppo partecipa per carità di Pa-tria”, osserva Cimbri che, pensoso, ag-giunge: “era una cosa necessaria manon è la soluzione di tutti i problemi delcredito, manco fosse Nembo Kid”.

E lui, il vero Nembo Kid, regala ai di-scepoli il cadeau finale, la gemma che isoci potranno mostrare orgogliosi ai po-steri: “il nostro grattacielo”, “il grattacieloUnipol a Porta Nuova”. Non viene nean-che precisato il luogo, scontato, comechiedere a San Pietro dove si trova il pa-radiso. E la pennellata finale riportata dalcronista, ormai orizzontale: “Piccolo, pe-rò, non farà ombra a Unicredit”.

Facciamoci il grattacielo, compagni.

Condanne Ligresti: zero tituli su Unipol

LE GRANDI INCHIESTE

Carlo Cimbri

ANDREA CINQUEGRANI

Il centro commerciale più grosso d’Europa, ilCIS, oggi al centro delle più forti speculazionifinanziarie. E in pasto agli appetiti delle ban-

che. Un vero j’accuse quello partito da Napolie rivolto non solo alla magistratura di vari gradi(Direzione Nazionale e Distrettuale Antimafia,procure di Napoli e di Nola, Corte dei Conti),ma anche agli organismi di vigilanza nel settorecreditizio e finanziario (Bankitalia e Consob inprima linea) che troppo spesso viaggiano a farispenti.

A lanciarlo i vertici di Confercontribuenti,la battagliera sigla che tutela gli “interessi diffu-si” di piccoli imprenditori, commercianti e ri-sparmiatori spesso e volentieri strozzati non solodagli usurai di stampo mafioso, ma anche incolletto bianco, protetti dentro i santuari del cre-dito e dei finti controlli.

“E’ in atto un assalto finanziario agli impren-ditori che da trent’anni e più portano avanti,con enormi sacrifici, una delle realtà economi-che più prestigiose, il Cis. Ma oggi si vedono ri-dotti sul lastrico per via di una serie di azionimesse in atto dai vertici, a partire dal presidenteGianni Punzo, azioni che sono arrivate ai falli-menti di una trentina di imprese in questi ultimimesi. Una chiara manovra speculativa, finaliz-zata a creare una zona franca nell’area e casomai passare tutto a uno dei “fondi” amici cheoggi vanno per la maggiore”. E che stanno di-struggendo quel poco di tessuto economico, direale impresa che ancora tiene in piedi la barcaItalia.

La denuncia è del presidente di Conferder-contribuenti, Carmelo Finocchiaro, che un paiodi mesi fa ha presentato un dettagliato esposto

denuncia a una sfilza di autorità e che il 18 ot-tobre ha convocato una conferenza stampa a Na-poli, per denunciare – cifre e dati alla mano –l’incredibile situazione che sta decretando lafine economica di tanti imprenditori, la deser-tificazione del territorio, per favorire l’interessespeculativo di pochi: nella più totale indifferen-za “partitica”.

Rincara la dose il vicepresidente, AlfredoBelluco, un imprenditore veneto che da annidenuncia la malagestione dei locali istituti dicredito (e oggi le Popolari di Milano e del Ve-neto celebrano le solenni nozze: un bel tappetoper coprire i buchi neri?). E accusa i Bankster:“La vicenda del Cis è emblematica per capirelo strapotere delle nostre banche e le loro azioniche non è esagerato definire criminali. Non solo:ma per vedere con chiarezza i colossali conflittid’interesse in campo, che proprio gli ultimi svi-luppi del caso Cis portano alla ribalta”.

A metà luglio, infatti, è stato nominato ilnuovo gran Timoniere, l’uomo che potrà traghet-tare il Cis verso il Futuro, Sergio Iasi. Attenzio-ne: contemporaneamente lo hanno issato ancheal vertice di una controllata, Interporto spa. Equi arriviamo al cuore del giallo: perchè sotto iriflettori della magistratura e delle autorità divigilanza sono finiti gli strani, incestuosi rapportid’affari tra madre e figlio, ossia tra Cis e Inter-porto. Dal primo, infatti, sono transitate al se-condo barche di milioni (c’è chi arriva a calco-larne una trentina e passa): un vero colpo dimano, perchè si trattava di soldi (rate di leasing)versate dai commercianti per pagare un mutuoe diventare definitivamente proprietari degli sto-rici capannoni. Invece falliti (una trentina) per-

oggi tirano di più. Iasi, dopo aver portato a ter-mine il suo lavoro con Prelios, è passato a lugliocon l’amico Punzo. Ma a caldeggiare tutta l’ope-razione è stato Unicredit, che dirige l’orchestrafinanziaria per la sceneggiata Cis e che soprat-tutto ha messo a segno grossi affari con la Preliosdiretta da Iasi. Lo stesso ingresso di Iasi al Cis sipuò leggere in una duplice ottica: una garanziavia Unicredit per Punzo di portare a segno la sua

acrobatica manovra, sul-la pelle dei commercian-ti; e il probabile sboccodella storia tra le bracciadi Prelios, caso mai conla ciliegina di una pos-sibile zona franca di cuigià si parla da tempo”.

Partner eccellente diIasi a Prelios, MassimoCaputi. Ex vertice diSviluppo Italia, esordisotto la protettiva ala di‘O Ministro Paolo CirinoPomicino, Caputi è statovoluto nel super boarddi Prelios da un’altra re-

gina del credito, Intesa, la stessa banca che hapermesso lo start – con il suo super vagone mi-lionario al seguito – del treno Italo e della suaNTV, che vede ancora oggi a bordo Diego DellaValle, Luca Cordero di Montezemolo e ‘O Pan-nazzaro.

E una terza banca, Monte dei Paschi di Sie-na, fa capolino nella trama. Proprio Iasi, infatti,ha gestito – con l’amico Caputi – una delicataoperazione finanziaria: si tratta di un’Opa delFondo Beta (una creatura Fimit, la storica sigladi casa Caputi), alla quale partecipa anche unasigla misteriosa, Sansedoni.

Guarda caso, Sansedoni fa capo ad un gros-so istituto di credito, Mps. Ulteriore ciliegina,segno di un’amicizia che dura, inossidabile, ne-gli anni: all’epoca dell’operazione Caputi siedenel cda di Mps (e rappresenta anche gli interessidel gruppo Caltagirone) mentre Iasi subito dopopasserà alla guida di Sansedoni, in qualità diamministratore delegato. Dio li fa e poi li accop-pia: e i conti tornano.

chè quei denari non sono arrivati alle banchecreditrici ma dirottati verso le casse di Interpor-to: che ha accumulato una voragine quando aivertici sedeva anche l’attuale ministro dell’Eco-nomia, Carlo Calenda.

Due creature di Punzo – Cis & Interporto –da appena tre mesi affidate alla amorevoli curedi un nuovo manager sbarcato da Roma, SergioIasi appunto: ossia il Conflitto in carne e ossa.A volerlo su quella poltrona, ovviamente, ‘OPannazzaro – come lo chiamavano trent’anni fagli amici del ramo biancheria a piazza Mercatodi Napoli – ma anche big del credito. Due ban-che su tutte, Unicredit e Intesa. Ecco come rico-struisce i tasselli del complesso mosaico finan-ziario un operatore di piazza Affari: “Iasi arrivada uno dei colossi della nuova finanza creativa,Prelios, ossia un Fondo che gestisce giganteschipatrimoni di enti pubblici, uno dei business che

IL CIS DI PUNZO Tutti a fondo e in mano ai bankster

Gianni Punzo e, sullo sfondo, Sergio Iasi.

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Page 8: Referendum Costituzionale Perché NO!...Referendum Costituzionale La regia di JP Morgan per il SI al referendum e il salvataggio Monte Paschi di Siena LE GRANDI INCHIESTE A LTO TRADIMENTO

Magistrato di Cassazione, attualmente è impegnato alla Corte Costituzionale.Relatore in numerosi convegni su temi di grande rilevanza, Bruno SpagnaMusso è l’estensore di una storica sentenza di Cassazione sui beni comuniche appartengono allo Stato perché consenta alla collettività di fruirne.

La vicenda della riforma costituzionale, sottoposta al referendum con-fermativo del prossimo 4 dicembre, presenta, oltre che rilevanti cri-

ticità nel merito, anche correlate situazioni che destano notevole pre-occupazione dal punto di vista di una effettiva democrazia e della co-siddetta par condicio.

Al di là dei singoli aspetti e delle singole norme oggetto di modifica,c’è una questione di fondo che non trova, nei vari commenti e dibattitisul tema, la giusta considerazione: il vulnus al principio-cardine dellanostra Carta fondamentale, che si identifica nella sovranità popolare inbase all’articolo 1, secondo comma. Affinchè detta sovranità non si ri-duca a una mera previsione formale ma venga compiutamente esercitata,occorrono due indispensabili presupposti: il primo è quello di una com-piuta rappresentatività, nel senso che “il popolo” possa direttamentescegliere i propri delegati, eleggendoli, nel Parlamento, principale organodella democrazia cosiddetta rappresentativa; il secondo, strettamentecollegato al primo, perché funzionale a detto potere di scelta dei rap-presentanti da parte dei cittadini, è quello di una informazione, che inbase al principio della par condicio (nell’attualità poco “richiamato”),abbia ad oggetto gli orientamenti, le ideologie e le attività di ciascunaparte politica, nessuna esclusa, onde consentire, appunto, una correttae completa informazione dei cittadini al fine di una consapevole sceltain ordine all’esercizio della richiamata sovranità popolare.

Occorre, dunque, perché il popolo sia effettivamente sovrano, cheesso possa determinare, in base ad autonome e “libere” scelte (articolo48), la politica nel Paese, in quanto correttamente informato dai cosid-detti mass media. È indubbio che tale sovranità-rappresentatività è messaseriamente in pericolo, non solo dal “merito” della riforma costituzionalein questione, ma anche da una informazione omologata nel privilegiarele ragioni di una sola parte.

Infatti, la riforma oggetto del prossimo referendum svilisce detta so-vranità nel rendere il Senato non più organo eletto dai cittadini (ma daiconsigli regionali) e la Camera dei deputati eleggibile, sì, nei suoi com-ponenti dal popolo ma con scelta fortemente limitata ai nominativi de-signati dai partiti; inoltre, desta stupore e perplessità la “gestione” di

detto referendum da parte degli organi di informa-zione, non solo quasi del tutto schierati per il “sì”ma fautori di una faziosa propaganda per tale scelta,con accenti denigratori per quella opposta del “no”.

In proposito, tra l’altro, non condivisibili sono“l’interventismo”, a favore del “sì” e l’omesso ri-chiamo al principio della par condicio nell’infor-mazione, della Presidenza della Repubblica, mag-giore organo di garanzia della legalità costituzionaledel nostro ordinamento, tale da configurarlo comearbitro imparziale nel dibattito politico.

Va anche ricordato che, come ben messo in evi-denza dai presidenti emeriti della Corte Costituzio-nale e da gran parte dei costituzionalisti, ulteriore preoccupazione desta,allo stato, il “combinarsi” di tale riforma costituzionale con la vigentelegge elettorale, definita “Italicum”, che riconosce alla parte vincitricedelle elezioni un notevole premio di maggioranza. Il potere, infatti, chetale premio attribuisce a chi vince, unitamente al vulnus della sovrani-tà-rappresentatività come sopra delineato, dà luogo a una innegabile,pericolosa “miscela” tale da determinare un evidente rischio, se non lacertezza, di deriva autoritaria.

È, in sostanza, in atto, tra riforma costituzionale, legge elettorale,stato dell’informazione, diminuito controllo degli organi di garanzia co-stituzionale, un innegabile attacco all’attuale sistema politico-ordina-mentale nato dall’assemblea costituente che ha dato luogo alla Cartadel 1948, fondato sulla sovranità popolare e su un corretto ed equilibratorapporto tra poteri costituzionali.

Il prossimo 4 dicembre, contrariamente a quanto si vuol far pensare,non è in gioco solo la conferma o meno della riforma in questione (at-tuata, tra l’altro, formalmente in sede parlamentare ma fortemente volutae imposta dalla Presidenza del Consiglio) bensì l’assetto democratico erappresentativo del nostro Paese.

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LE RAGIONI DEL NO AL REFERENDUM

BRUNO SPAGNA MUSSO

LA COSTITUZIONE NON SI TOCCA

LESIONE DELLA SOVRANITA’ POPOLARE

ANTONIO ESPOSITO

Antonio Esposito. Nell’altra foto, Bruno Spagna Musso

L’intervento di una “voce” storica della Cassazione,quella di Antonio Esposito, per anni presidente dellaseconda sezione penale, che ha posto il suo sigillosu una enorme quantità di sentenze in materiadi contrasto alle mafie e alla corruzione.

Il 4 dicembre rappresenta l’ultima tappa, quella de-cisiva, di un percorso durato oltre due anni per ildisegno di “legge Boschi”, forgiato con la storica rie-

lezione al Colle di Giorgio Napolitano, vero regista delleriforme; ma nato tra le stanze del Lazzareno, lì, nellasede del partito democratico ove Renzi e Berlusconisiglarono un accordo storico per riformare le istituzionie approvare la nuova legge elettorale.

Prima di spiegare le ragioni del “no” occorre fareuna premessa: con la sentenza 1/2014, la Corte Costi-tuzionale – nel dichiarare l’incostituzionalità della leggeelettorale in virtù della quale la XVII legislatura era sta-ta costituita – consentì alle Camere di continuare adoperare in forza del “principio di continuità dello Sta-to”; era chiaro l’invito al Parlamento (e al Capo delloStato) di approvare, in tempi molto brevi, una nuovalegge elettorale che eliminasse i vizi di incostituziona-lità della precedente, e, subito dopo, di sciogliere leCamere e indire nuove elezioni. Tutto ciò non è avve-nuto per volontà dell’allora Presidente della Repubblica(che non è certo da annoverare tra i migliori Capi diStato italiani), e del Governo Renzi, e di qui l’evidenteazzardo istituzionale di iniziare – nonostante la sen-tenza di incostituzionalità del “Porcellum” – una re-visione costituzionale di ampia portata da parte di unParlamento politicamente e giuridicamente delegitti-mato da una dichiarazione di incostituzionalità di unalegge in virtù della quale quei parlamentari erano statinon “eletti” ma “nominati”. La riforma Renzi/Boschi– attraverso gli attuali legislatori costituzionali delegit-timati e privi di credenziali – stravolge radicalmentel’impianto della Costituzione del 1948 – basata sui fon-damentali principi della partecipazione democratica,della rappresentanza politica e dell’equilibrio tra i po-teri – perché essa, concentrando il potere nell’esecutivoe riducendo la partecipazione democratica – incide in-discutibilmente sulla sovranità popolare, sulla rappre-sentanza, sul diritto di voto.

Ed, invero, la cancellazione della elezione direttadei Senatori, la drastica riduzione dei componenti –lasciando inalterato il numero (enorme) dei deputati –la composizione fondata su mediocri politici selezionatiper la titolarità di un diverso mandato (si tratta di unaclasse politica – nella specie: i consiglieri regionali –di bassa qualità e inquisiti, da nord a sud della peni-sola, per abuso e sperpero di pubblico denaro), inci-dono in maniera grave ed irrimediabile, sul principiodella rappresentanza politica e sugli equilibri del si-stema istituzionale.

Il disegno di legge costituzionale di riforma dellaParte II della Costituzione è, quindi, inaccettabile siaper il metodo che per i contenuti, e lo è ancor più inquanto strettamente e funzionalmente connessa con lalegge elettorale recentemente approvata (n° 52/2015);con l’“Italicum” vi è una completa sinergia che aggiun-ge, all’azzeramento della rappresentatività del Senato,l’indebolimento, non indifferente, della rappresentati-vità della Camera dei deputati mediante il meccanismodei capilista bloccati, delle multi candidature, del pre-mio di maggioranza alla lista e del ballottaggio. In so-stanza, le modifiche della Costituzione e l’approvazionedella legge elettorale – (oltre quelle sulla scuola, sul la-voro, sulla P.A. e sulla RAI) – sono contrassegnate ine-quivocabilmente da un disegno che concentra il poterenelle mani dell’esecutivo e del leader, riduce notevol-mente il ruolo dei contrappesi istituzionali, rende so-stanzialmente inefficace la rappresentanza politica, ten-ta di imbavagliare il dissenso e di imporre al Paese ledecisioni del Governo.

È fondamentale, innanzitutto, far comprendere l’in-treccio perverso ed inscindibile tra riforma della Co-stituzione e legge elettorale (Italicum) finalizzate en-trambe a ribaltare il fondamento parlamentare dellanostra Repubblica per collocare al centro decisionaleil governo, consentendo ad una minoranza di elettoridi conquistare la maggioranza della Camera, unica ri-levante a fronte di un Senato, ridotto ad una specie didopolavoro di sindaci e di consiglieri regionali, e perquesta via imponendo scelte istituzionali e politichein materie di grande delicatezza ed importanza: dal-l’elezione del Presidente della Repubblica e di compo-nenti della Consulta e del C.S.M. fino alle decisioni inmateria di impegno militare, o addirittura di guerra,del nostro Paese.

Non appare, allora, difficile spiegare ai cittadiniche quello a cui saremo chiamati è un referendum sui“valori” della Repubblica, sulla democrazia costituzio-nale, e non certo sul Governo o sulla sorte di un capopolitico. È, pertanto, un “espediente truffaldino” – co-me ha posto in rilievo Alessandro Pace, Presidente del

comitato per il no – che il Governo si faccia promo-tore del referendum, come già anticipato da Renzi, alfine di distorcerne il senso e le finalità “oppositive”per trasformarlo in un plebiscito in suo favore del Go-verno. Questa mistificazione è stata decisamente re-spinta, tant’è che il presunto rottamatore – resosi contodell’errore commesso – ha tentato una ennesima gi-ravolta: “nessuno dice qual è la domanda del referen-dum, ma lo si trasforma in un derby personale”. Forsedeve avere avuto una amnesia poiché si è “dimenti-cato” che a trasformare il referendum in un irrespon-sabile plebiscito sulla sua persona è stato proprio lostesso Renzi che, tra l’altro, ha paventato, in caso divittoria del “no”, la caduta del governo, lo scioglimen-to del parlamento (come se dipendesse da lui), e “lafine del mondo”. Ha ripetuto demagogicamente – in-vitando i cittadini ad una mobilitazione che egli vor-rebbe “gigantesca” – “tutti devono avere la consape-volezza che in Italia non è in ballo il destino di unsingolo ma di una comunità”.

Nel confermare di voler lasciare in caso di scon-fitta, lo “statista” di Rignano, che vive per “cambiarel’Italia”, ha aggiunto: “È un modo di essere seri, ionon sono come gli altri, come quelli che si aggrappanoalla poltrona; con le riforme si dà stabilità all’Italia,se perdo con quale faccia posso continuare a fare ilmio lavoro per cambiare l’Italia? Non saremo maiquelli degli inciuci”. Pochi hanno creduto all’effettivoabbandono della politica da parte del giovane Renzianche perché, in tal caso, si sarebbe posto il grave pro-blema di iniziare a trovare un lavoro (non politico).Del resto, come non ricordare che l’allora giovanissimorottamatore firmò, nel 2006, l’appello degli ammini-stratori toscani contro la riforma costituzionale delcentrodestra che elencava “10 ragioni per votare no”al referendum costituzionale di quell’anno tra cui l’ac-centramento dei poteri del premier e l’alto numero diarticoli della Costituzione: “ben 53”. Si dà il caso chel’attuale riforma modifica “ben 47 articoli” e che ilprogetto di accentramento nell’esecutivo dei poteridecisionali costituisca una parte essenziale di essa.

Secondo gli ultimi sondaggi, il “NO” alla Ri-forma costituzionale è in vantaggio, ma esso, che eradi ben otto punti: 54% contro 46%, si è, negli ultimigiorni, sensibilmente ridotto, passando al 51% c. 49%.

Le cause di tale forte riduzione del “NO” vannoricercate nelle seguenti circostanze: a) perché l’inva-

sione del “SI” in TV, inizia a dare i suoi frutti ; b) per-ché è stato pubblicato il “quesito-truffa”; c) perché viè stato l’intervento dei cosiddetti “poteri forti”.

UN UOMO SOLO AL COMANDO? NO!Circa la campagna di comunicazione, va detto che

era facilmente prevedibile che i sostenitori del no sisarebbero trovati in grave svantaggio poiché gran partedella stampa e della TV è asservita al Governo che,molto impropriamente, si è ingerito in una vicendache attiene esclusivamente al rapporto parlamento/po-polo, addirittura personalizzando la riforma costitu-zionale nella figura del Presidente del Consiglio, nellasorte del Governo e del Parlamento.

Le ragioni del “no”, infatti, sono praticamente ri-maste, per vari mesi, clandestine sulle reti del serviziopubblico televisivo, mentre i sostenitori del “si” hannoimperversato su tali reti. In particolare, sia la “costi-tuzionalista” Boschi – che ha diffuso il suo verbo an-che nei luoghi destinati alla cultura e all’estero, addi-rittura, recandosi in Sud America per fare, in manierascorretta, da ministra, propaganda per il “SI” tra gliitaliani, sia, soprattutto, il presunto “rottamatore” Ren-zi, hanno presidiato la TV con una serie infinita diesternazioni, o meglio di “disinformazioni”.

Ripete di continuo Renzi: a) “noi abbiamo ridottoi politici di un terzo” (voleva dire i parlamentari), eciò non è vero perché la riduzione dei parlamentariè, invece, appena di un quinto; b) che “c’è troppa gen-te che fa politica e che se vinceranno i no vorrà direche molti italiani amano tantissimo i politici, hannoa cuore i loro stipendi”. Questo (pseudo) rottamatorenon ha però spiegato ai cittadini – la gran parte deiquali, a differenza di quanto egli afferma, non ama af-fatto i politici – perché, se c’è “troppa gente che fa po-litica”, non ha ridotto l’enorme numero di deputati(con i relativi stipendi), che potevano essere portatida 630 alla metà, sia per adeguare il numero a quellodei Paesi europei sia per mitigare la ingiustificata spro-porzione tra deputati e senatori prevista dalla riformache assegna tutto il potere decisionale ai primi e, quin-di, al partito di maggioranza e, quindi ancora, a chidetiene, allo stato, entrambe le cariche di premier edi segretario del partito; c) ha, ancora, affermato chela riforma taglia i costi della politica. Anche questonon è vero perché restano in piedi le spese, non in-differenti, di funzionamento del Senato e vi è da cor-

rispondere indennità e rimborsi spese a cento senatoriprovenienti da tutta Italia e che devono pernottare,per alcuni giorni a settimana, in costosi alberghi a 4o 5 stelle, per cui può dirsi, senza tema di smentita,che i costi del nuovo Senato o rimarranno pressochéinvariati ovvero con una riduzione di spesa non su-periore al 9%. Né il Presidente del Consiglio è riu-scito a spiegare come sarà possibile svolgere, in con-creto, contemporaneamente, le funzioni di Sindacoo di consigliere regionale e quella, ancor più impor-tante e delicata, di Senatore della Repubblica.

In sostanza, ad aprire la strada per la propagandadel “SI” sono stati il “finto rottamatore” e “Maria lareferendaria” i quali, anziché astenersi rigorosamenteda interloquire in una materia di esclusiva compe-tenza, prima del Parlamento e, poi, del Popolo, nonsolo sono impropriamente intervenuti nella campagnareferendaria con tutta la forza delle loro cariche, ri-spettivamente, di capo del Governo e di ministro del-le Riforme – basti pensare ai provvedimenti “popu-listi” approvati in questi giorni dal Consiglio dei Mi-nistri (segnati dall’impegno per “bonus”, sgravi sulleassunzioni, nuove infrastrutture, rottamazione di Equi-talia, ecc.) – quanto hanno posto in essere una pe-netrante campagna di disinformazione “vendendo”un prodotto “taroccato” spacciato per la panacea ditutti i mali italiani, magnificato da gran parte dellastampa e dal servizio pubblico televisivo, oramai as-servito, non solo ad un partito, ma, addirittura, ad unsolo “uomo al comando”.

Al prodotto “taroccato” si è aggiunta la pubbli-cazione del quesito la cui formulazione è idonea atrarre in errore buona parte dei cittadini perché tuttisarebbero certamente d’accordo a ridurre il numerodei parlamentari e a ridurre i costi della politica main realtà, come si è detto, non è così. Inoltre, il que-sito, altresì, è ingannevole perché non contiene la do-manda specifica sulla non eleggibilità dei senatori daparte dei cittadini.

L’assordante silenzio tenuto per vari mesi dallaTV del servizio pubblico e la costante disinformazio-ne, posta scientificamente in atto, hanno, in buonaparte, determinato l’effetto che il comitato del “no”non ha raggiunto le 500.000 firme che sarebbe statoun importante segnale politico di forte mobilitazioneda parte dei cittadini. Poi, con le firme, il comitatodel “no” avrebbe percepito un rimborso elettorale di

LO SPECIALE

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Magistrato di Cassazione, senatore per una legislatura tra le fila di Ri-fondazione Comunista, Domenico Gallo è in prima fila nei comitatiper la difesa della Costituzione, come il “Coordinamento democraziacostituzionale” e “Libertà e giustizia”.

Dalla semplice lettura del titolo: “Disposizioni per il superamento delbicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari,il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la sop-

pressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costitu-zione” ci rendiamo conto che la riforma che il popolo italiano sarà chiamatoad approvare o a rifiutare con il referendum prossimo venturo non è unasemplice legge di revisione della Costituzione. Si tratta di un interventoche modifica o sostituisce ben 47 articoli, oltre un terzo dell’intero corponormativo, realizzando in questo modo la sostituzione dell’ordinamentodemocratico previsto dalla Costituzione del 48 con un altro ordinamento,ispirato a principi e ragioni affatto differenti da quelle che avevano guidatoi padri costituenti. Si tratta, pertanto, di un progetto ambizioso simile aquello che in Francia nel 1958 determinò il passaggio dalla IV alla V Re-pubblica con la riforma De Gaulle.

Se la riforma sarà approvata, si potrà parlare a ragion veduta di secondaRepubblica perché avremo detto addio alla prima.

Un metodo inaccettabile: la Costituzione di minoranzaLa prima critica che si deve muovere alla riforma costituzionale concerne

il metodo con cui è stata approvata. La Costituzione della Repubblica italianafu approvata dall’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947 con 458 votifavorevoli e 62 contrari. I deputati dell’Assemblea costituente furono eletticon sistema proporzionale, rappresentavano tutte le componenti politichesociali e culturali presenti nel popolo italiano e vararono la Costituzionecon un accordo quasi unanime. Si trattava di edificare le mura della casacomune per unire il popolo italiano e trasformarlo in una comunità politicaunita da un destino comune. La nuova Costituzione fu scritta ad iniziativae ad impulso esclusivamente del Parlamento, senza che il Governo potessemettervi becco. Quando l’Assemblea Costituente discuteva del progetto dellaCostituzione i banchi del Governo rimanevano vuoti. Tutto il contrario diquello che è successo quest’anno con l’approvazione della revisione costi-tuzionale. Quando il capo del Governo si è presentato in Parlamento l’11aprile per concludere la discussione finale sulla sua nuova Costituzione, ibanchi del Parlamento erano vuoti, mentre il banco del Governo era stra-pieno. Questo dovrebbe far riflettere sulla totale delegittimazione politicadel percorso che ha portato una maggioranza risicata, frutto di un Parlamentoeletto con una legge maggioritaria dichiarata incostituzionale (Corte Costi-tuzionale, sentenza numero 1/2014), ad approvare sotto dettatura dell’ese-cutivo la più pesante riforma della Costituzione della storia repubblicana.

La riforma della Costituzione dovrebbe fiorire da un dibattito collettivo,aperto e condiviso perché in essa sono scolpite le basi della convivenza civile.Le Costituzioni si modificano infatti con assemblee costituenti, in ogni casocon Parlamentari eletti con sistemi proporzionali a seguito della più ampiacondivisione tra le forze politiche. Le Costituzioni sono fatte per unire unpopolo, per questo non possono essere imposte da una fazione politica.

Le patologie istituzionali: quelle reali… e quelle immaginarie!Se la nuova Costituzione sarà confermata dal referendum, le istituzioni

non saranno più la casa comune del popolo italiano. In effetti già adessonon godono di buona salute, perchè le leggi elettorali hanno prosciugato icanali di collegamento fra il Parlamento e la società, fra la società civile ela società politica, che si è resa autonoma dal popolo sovrano ed è diventataautoreferenziale attraverso la manomissione dei meccanismi della rappre-sentanza politica. Una crisi profonda testimoniata, a tacer d’altro, dallatotale perdita di fiducia degli italiani nei partiti politici (3%) e nel Parla-mento (8%), tanto che nel linguaggio corrente la rappresentanza politicaviene percepita come una casta. Solo che per curare la malattia ci vieneproposto di uccidere il malato. La cura suggerita con questa riforma è peg-giore del male. La ricetta proposta è sbagliata perché è rivolta a risolveredelle patologie immaginarie.

Nel documento con il quale autorevoli giuristi hanno spiegato le ragioniche militano a favore del si, si premette che la riforma “affronta efficace-mente alcune fra le maggiori emergenze istituzionali del nostro Paese.” Incosa consistano queste emergenze istituzionali che affliggono il nostro paesenon è detto esplicitamente, ma lo si può dedurre dalle argomentazioni suc-cessive. “Viene superato l’anacronistico bicameralismo paritario indifferen-ziato, con la previsione di un rapporto fiduciario esclusivo fra Camera deideputati e Governo. Pregio principale della riforma, il nuovo Senato delineaun modello di rappresentanza al centro delle istituzioni locali. E’ l’unicaragione che oggi possa giustificare la presenza di due Camere”. Orbene, unordinamento democratico rappresentativo fondato sulla centralità del Par-lamento si può articolare in una o due Camere, può prevedere funzioni pa-ritarie o differenziate fra le Camere; ci sono vari modelli negli ordinamentidi democrazia costituzionale vicini al nostro, però è difficile concepirecome un’emergenza istituzionale il fatto che ci sia una seconda Camerache condivide il potere legislativo con la prima. Forse è colpa del Senatose la disoccupazione giovanile è schizzata alle stelle o se la speranza divita, per la prima volta dopo settant’anni ha cominciato a declinare? E’ evi-dente che se si parla di emergenza istituzionale ci dev’essere un’altra ra-gione, che non sia la procedura di doppia lettura in Parlamento dei prov-vedimenti legislativi. La ragione di questa pretesa emergenza istituzionaleè accennata in un passaggio successivo dove si spiegano i pregi di questonuovo sistema, osservando che consente di “superare i problemi derivantida sistemi elettorali diversi”.

Qui si spiega l’arcano. Se si opta per sistemi elettorali, come il por-cellum e come l’Italicum che, attraverso premi di maggioranza assurdi,distorcono profondamente la volontà espressa dai cittadini italiani con ilvoto, allora due Camere elettive non ce le possiamo più permettere perchénon esiste un algoritmo che può assicurare la stessa maggioranza sia allaCamera che al Senato. A questo punto diventa urgente (è una vera e pro-pria emergenza istituzionale!) eliminare una Camera elettiva, altrimentiil sistema diventerebbe ingovernabile.

A cosa servono le elezioni?La democrazia – scriveva Schumpeter nel suo saggio del 1942, Capi-

talismo, socialismo e democrazia – è “lo strumento per giungere a decisionipolitiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere

attraverso una competizione che ha per og-getto il voto popolare”. Secondo questaconcezione, la vera funzione del voto èquella di consentire ai cittadini di sceglier-si un governo “direttamente o attraversoun corpo intermedio che a sua volta gene-rerà un esecutivo”. Ciò che davvero contaè che dalle elezioni emerga l’indicazionechiara ed univoca di un Governo e del suocapo. Insomma la democrazia, secondo questa concezione che oggi è ritor-nata in voga, si risolve nel diritto dei cittadini di scegliere da chi voglionoessere comandati. La riforma elettorale, italicum, è perfettamente coerentecon questa visione. Il giorno stesso del voto sapremo a quali individui èstato conferito il potere di prendere le decisioni politiche ed è irrilevanteche siano prescelti da una minoranza di elettori. Non è questa la democraziache i padri costituenti avevano promesso al popolo italiano quando scri-vevano che la sovranità spetta al popolo e che tutti i cittadini hanno dirittodi concorrere a determinare la politica nazionale. Nella loro ingenuità pen-savano che il popolo dovesse contare veramente qualcosa. Se questa è laconcezione della democrazia che emerge dalla riforma elettorale, allora èevidente che la Costituzione formale deve essere modificata per raccordarlaa questo sistema. La prima cosa che si deve eliminare è che ci siano dueCamere legislative elette direttamente dal popolo. Non possiamo più per-mettercelo, perché nessuna alchimia elettorale può garantirci che gli elettoriinvestiranno del potere di governare lo stesso gruppo di individui sia allaCamera che al Senato. Col sistema proporzionale per oltre 40 anni ci sonostate maggioranze omogenee sia alla Camera che al Senato, però se si ta-roccano i risultati del voto non possiamo più aspettarci che ci sia omoge-neità politica. Poiché il premio di maggioranza si vince o si perde ancheper un solo voto, avere due Camere elettive sarebbe un azzardo che potrebbeportare all’ingovernabilità più assoluta se il premio venisse assegnato allaCamera dei Deputati ad una lista ed al Senato ad un’altra lista concorrente.Questo spiega perché l’abolizione del Senato elettivo venga considerato -dai sostenitori delle ragioni del si - una risposta efficace ad una emergenzacostituzionale.

LO SPECIALE

CAMBIARE LA COSTITUZIONE? PERCHÉ?DOMENICO GALLO

Domenico Gallo. Nell’altra foto Ferdinando Imposimato

500.000,00 €uro con cui finanziare la campagna referendaria. Inol-tre, avrebbe ottenutolo “status” di soggetto politico, equiparato aquello dei partiti e questo avrebbe garantito il diritto di tribuna te-levisiva durante il periodo della par condicio. Infine, senza firme,non si ha diritto nemmeno agli spazi pubblici per i manifesti.

Orbene, la verità è che una ristretta cerchia di persone – tantoimpreparata quanto politicamente spregiudicata e che si riconoscein un capo che pretende cieca obbedienza – sta tentando di impa-dronirsi di tutte le leve di comando del Paese fidando sulla ignavia,sul trasformismo e sull’opportunismo di molti, e su una buona partedella stampa sempre “accondiscendente” con il “sovrano”. È in attoun tentativo, non solo di ratificare una riforma pericolosa per la de-mocrazia, ma di ottenere impropriamente un plebiscito finalizzatoa rafforzare, le altrettanto pericolose mire espansionistiche di unpremier (mai eletto), divorato da un’ambizione senza limiti.

Questo spiega la impropria discesa in campo degli oligarchi edel loro capo ed il loro attivismo (anche all’estero), che diventa ognigiorno sempre più frenetico, ossessivo, invasivo con la promessa –da veri imbonitori – di stabilità e benessere se vincerà il SI e conil prospettare catastrofi e caos nel caso opposto.

Questo spiega perché è in atto nei confronti del “no” una ma-novra a tenaglia organizzata da quei “poteri forti” che, secondol’ineffabile ministra Boschi, erano contro il Governo. È scesa, in-nanzitutto, in campo la potente armata della Confindustria, la qualeè talmente schierata da aver distribuito tra i suoi membri un vade-mecum per spiegare le ragioni del “si”. Particolarmente attivi sonostati sia il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che, da tem-po, ha lanciato la campagna degli imprenditori per il “SI”, sia ilPresidente dei giovani industriali Marco Gaj il quale ha rilanciato:“Basta con i NO, siamo contro coloro che diffondono il virus delpopulismo”. Non poteva mancare, per l’importanza che le derivadalla sua capillare organizzazione e dalla capacità di espansioneanche nel mondo giovanile e cattolico, “la filogovernativa” Comu-nione e Liberazione il cui annuale “meeting” di Rimini non potevaavere altro titolo: “Storia e futuro della riforma costituzionale ita-liana”. Occasione propizia per divulgare il “si”, alla quale non po-teva mancare l’ex Presidente della Camera Luciano Violante, fer-vente sostenitore del “SI” al quale è stato chiesto di curare la mostrasui 70 anni della Repubblica italiana. Né potevano mancare il Pre-sidente di Confindustria Vincenzo Boccia e il segretario della Cisl,schierata compattamente per il “si”, Anna Maria Furlan.

Quindi, poiché le sorti del “SI” potevano essere in pericolo,sono intervenuti la grande finanza internazionale, le società di ratinge le Banche di affari (la massoneria mondiale?) e i loro potenti “me-dia” (Wall Street Journal, Financial Times e New York Times) chehanno rafforzato, a livello internazionale, la strategia della tensione:“Referendum, allarme in USA e in Europa”; “il Referendum costi-tuzionale è il principale rischio per la politica europea al di fuoridella Gran Bretagna”, “l’Italia rischia una crisi economica, stagna-zione, disoccupazione, miseria”. Nei giorni scorsi, è stato calato il“calibro da 90”. Vi è stato l’intervento, forse decisivo – oltre chedelle cancellerie europee – addirittura del Presidente degli StatiUniti che, con grave ingerenza e interferenza negli affari interni diuno Stato, e specificamente in un atto di democrazia diretta da partedel popolo sovrano, qual è il Referendum, ha auspicato la vittoriadel “SI” facendo esultare la stampa e la TV di regime, a edicole ereti unificate, per il decisivo endorsemen. Subito dopo, gli ammi-nistratori delegati dei colossi ENI e FINMECCANICA (De Scalzi eMoretti) si sono schierati per il “SI”, accodandosi all’amministratoredelegato di Fiat Chrysler (Marchionne) fin dall’inizio fervido soste-nitore del “SI”.

Nonostante ciò, il “NO” è ancora in vantaggio, anche se esso,negli ultimi giorni, si è ridotto sia per l’intervento dei “poteri forti”,sia perché è stato pubblicato il “quesito-truffa”, sia perché l’inva-sione del “SI” in TV, inizia a dare i suoi frutti.

Ora, a fronte di questo imponente schieramento di forze, nonbasta che Di Battista sia andato in giro per l’Italia, in moto, a soste-nere il “NO” o che sorgano comitati, anche numerosi, per il “NO”,se, poi, ognuno è slegato dall’altro; è necessaria ed urgente, invece,una battaglia comune dei sostenitori del “no”, con la programma-zione di una strategia unitaria. È indispensabile, altresì – data l’altapercentuale di indecisi – che i sostenitori del “NO” debbano im-pegnarsi a fondo per convincere la popolazione giovanile ad andarealle urne dal momento che nei sondaggi il “NO” prevale tra i gio-vani e perché la sensazione è che più gente va a votare e più il“NO” è potenzialmente favorito.

Soprattutto è, però, necessario spiegare agli italiani che Renzisa perfettamente che la riforma costituzionale, se approvata, nonavrà alcun effetto benefico sulla economia italiana; così come sache la vittoria del “NO” non porterà a quella catastrofe, artificiosa-mente prospettata. Il capo del Governo sa bene – e ciò spiega la po-tenza di fuoco messa in campo – che la vittoria del “SI” significheràla definitiva sconfitta “politica” delle forze di opposizione e la com-pleta emarginazione, se non l’espulsione (e la non candidatura)degli esponenti della sinistra PD. Egli sa bene che, se vincerà il“SI”, avrà quella legittimazione popolare che non ha mai avuto, ve-drà consacrato definitivamente il suo ruolo di capo assoluto delpartito di maggioranza e di “premier”, e si rafforzerà ancor di piùil gruppo di oligarchi che già oggi si sta impadronendo del poterecon il concorso esterno dei “verdiniani” – (i quali hanno prean-nunziato che, in caso di vittoria del “SI”, il 5 dicembre entrerannonel Governo) – con conseguente ulteriore riduzione degli spazi didemocrazia. Oramai, è illusorio pensare che l’esito del referendumsi giochi sul merito delle riforme perché se così fosse la vittoria del“no” sarebbe assicurata dal momento che la riforma costituzionale,fatta approvare da un gruppo di ambiziosi incompetenti, rappresentail peggio di quanto si potesse immaginare.

In conclusione, è indispensabile una maggiore mobilitazione ge-nerale che, estesa a tutto il territorio nazionale, intensifichi manife-stazioni, riunioni, incontri, convegni, dibattiti nei quali si spieghi cheè in atto un disegno autoritario diretto a concentrare nelle mani del-l’esecutivo – e segnatamente nel capo del Governo e di un gruppodi oligarchi da lui designati – tutto il potere decisionale, e si ricordiai cittadini quanto siano attuali e valide le considerazioni di RanieroLa Valle in occasione della “riforma Berlusconi” del 2005: “Cadutele linee di difesa del patto costituzionale, il popolo ora rimane l’ultimodepositario della legittimità costituzionale e l’ultima risorsa, l’ultimaistanza in grado di salvare la democrazia rappresentativa nel nostroPaese”. Solo votando NO sarà possibile evitare la deriva autoritaria.

L’editoriale servile del 2 ottobre di EugenioScalfari lascia sgomenti. Egli sostiene che il

professor Zagrebelsky accusa Renzi di volere in-staurare una oligarchia preludio dell’autoritarismoe opposto della democrazia. E sostiene l’erroneitàdella “contrapposizione tra democrazia e oligar-chia”. “L’oligarchia è la sola forma di democrazia,altre non ce ne sono, tranne la democrazia diret-ta”. Per concludere che “l’oligarchia è la classe dirigente in tutte le epoche”.

Affermazioni del tutto campate in aria. La semplice etimologia delle parole di-ce che democrazia (demos kratos) significa governo della maggioranza, mentreoligarchia è il governo dei pochi. Non basta: il filosofo Norberto Bobbio nel dizio-nario di politica (Utet) dice che per Platone oligarchia è “la Costituzione fondatasul censo in cui i ricchi governano, mentre il povero non può partecipare al pote-re”. Per Aristotele “si può dire democrazia quando i liberi governano, oligarchiaquando governano i ricchi” (Politica). Altro che la stessa cosa. Il significato negati-vo di oligarchia è rimasto in tutta la tradizione del pensiero posteriore. Piuttosto ilpremier Renzi stravolge la Costituzione violando le regole poste dalla Carta.

Ricordo al signor Scalfari che Piero Calamandrei, uno dei padri della pa-tria affermò nel 1947 che al Governo era inibito di partecipare alla riformacostituzionale: “nella preparazione della Costituzione il Governo non ha alcu-na ingerenza: il governo può esercitare per delega il potere legislativo ordi-nario, ma nel campo del potere costituente non può avere alcuna iniziativa,neanche preparatoria. Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuovaCostituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti (sic), estraneo delpari deve rimanere il Governo alla formazione del progetto.

Se si affida al Governo o a una Commissione di tecnici non facenti partedell’assemblea la preparazione del piano, la sovranità popolare viene menomata”(Calamandrei, edizioni “il Ponte” volume I, pagina 147). La stessa sensibilità costi-tuzionale di Calamandrei, assente nel Premier, ebbe Alcide De Gasperi, capo delGoverno e deputato. All’Assemblea Costituente, De Gasperi intervenne sull’articolo7 della Costituzione circa i rapporti tra Stato e Chiesa (25 marzo 1947). E nonparlò come Capo del governo, ma in qualità di deputato. E dal banco dell’assem-blea, non dal banco del Governo. Ancora: si limitò a trattare solo il tema dei rap-porti tra Stato e Chiesa. Invece Renzi, abusando dei poteri di governo, viola quoti-dianamente le regole fondamentali della Costituzione, partecipa allo stravolgimen-to della Costituzione. La verità è che questa riforma è fuori della legalità costitu-zionale. Riduce i senatori con un risparmio di 58 milioni di fronte a una spesa to-tale di 600 milioni di euro (fonte: ragioneria dello Stato). Una inezia rispetto ai ri-sparmi promessi e non mantenuti. E’ una bugia – una delle tante – quella di Renzisecondo cui il risparmio è di 500 milioni. La riforma non riduce il numero di 630deputati, richiesta dalla opposizione. I riformatori: a) non riducono le indennità deiparlamentari, il triplo di quelle percepite dai parlamentari di Francia, Germania eGran Bretagna. b) Quadruplicano gli stipendi di personale di Camera e Senato (ra-gioniere Camera 166 mila euro; a fronte di stipendi annui dei docenti ridotti da30.338 a 29130 del 2015, di stipendi di corpi polizia da 38.493 euro a 37.930).E riducono gli stipendi di Forze Armate e Carabinieri.

Ma la sorpresa più sconvolgente occultata dai riformatori è che a fronte dei58 milioni risparmiati, la spesa cresce di alcuni miliardi di euro per gli appalti sen-za regole, gli affitti d’oro pagati dalle Camere, che non possono essere perseguiti.Lo scandalo fu denunziato nel 2010: “La Camera dei deputati ‘ruba’ ai contribuen-ti 46 milioni di euro l’anno per affitti, sprechi, affidamenti senza gara, contratti topsecret”. Che per due Camere fanno 100 milioni all’anno: “quanta fortuna per l’im-mobiliarista romano Scarpellini, ecco l’affittopoli della Camera dei deputati”. Taliprivilegi – è qui l’assurdo – sono blindati con la riforma – articolo 40 – su emen-damento Sposetti, approvato dal tutte le forze politiche tranne il M5S. In virtùdell’autodichiarazione il Parlamento fa come gli pare su stipendi e spese. La CorteCostituzionale ha riconosciuto – sentenza numero 120 del 2014 – che in Francia,Germania, Regno Unito e Spagna l’autodichiarazione non è prevista.

FERDINANDO IMPOSIMATO

LA LEZIONE DI CALAMANDREI

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NON SOLO TECHINT

nel 2009 partorì il fortunato (per lui & i suoi amici)“1 Mdb”, in combutta con l’elvetica Bsi. Il giro didanaro riciclato – e fino ad oggi accertato da Finma– è pari ad almeno 4 miliardi di dollari.

La Consob svizzera punta ora l’indice controBsi, accusandola di “gravi lesioni nella lotta controil riciclaggio”, e decide che in un anno esatto Bsiscompaia! L’autorità elvetica, infatti, ha autorizzatol’acquisizione di Bsi da parte della svizzera Efg, “apatto che Bsi venga interamente integrata e poi dis-solta in dodici mesi”. Fa notare un operatore finan-ziario di Lugano: “da almeno tre anni Finma stavaattenzionando Bsi, e l’aveva ammonita circa i rap-porti con alcuni clienti. Ma Bsi ha continuato adintrattenere quei rapporti”. Subito dopo il provve-dimento, anche le autorità malesi si sono svegliate:chiudendo – primo caso nella storia di quel Paese– la filiale di una banca svizzera, Bsi appunto.

Ma seguiamo le tracce di Bsi. E troviamo untesoro, quello di San Faustin, e della miracolosa“Borsa” riconducibile alla famiglia Rocca, autenticopozzo di san Patrizio per quella dinasty, soci &amici. Un ristretto Paradiso su cui – a quanto pare– la Finma ha deciso di vederci chiaro. Diradandonebbie e opacità consolidatesi negli anni.

Il nome – si narra – venne scelto dal patriarcaAgostino, in omaggio al santo che si celebra il 15febbraio, in ricordo di quel glorioso 15 febbraio1946, esattamente 70 anni fa, quando patròn Ago-stino mise per la prima volta piede in Sud Ame-rica, sognando la fortuna.

“Definire San Faustin un colosso è dire poco– commentano ancora a Lugano – ha addiritturacreato una sua Borsa privata, il suo Mercatino sviz-zero dove germogliano rigogliosi profitti, vengonoscambiati giganteschi pacchetti azionari, il tuttonella più assoluta riservatezza, nella più totale pri-vacy finanziaria”. Ad organizzare la Borsa privatanel paradiso elvetico ecco BSI, ossia Generali finoad un anno fa. “Una Borsa – continua la descri-zione dell’analista – molto particolare: apre per unbreve periodo, in genere intorno alla metà di no-vembre, quando soci & amici vanno a sciare e siprofitta per il rituale shopping azionario. E’ allorache si riunisce il club di San Faustin”. Massoneriabianca, o che? “Poco importa che l’attuale capoimpero, Agostino Rocca, sia un membro di spicconei salotti politico-finanziari come Trilateral, Bil-derberg e Aspen: quel che conta sono gli affari, lemaxi transazioni, i miliardi che girano. E l’odoredi Potere, senza che nessuno osi metterci lontana-mente il naso”.

Ma chi c’è dentro lo scrigno di San Faustin?Soprattutto una sfilza di sigle, in particolare truste fiduciarie, come si conviene in casi del genere.Primeggia il tulipano di RP Stark, una Fondazionecostituita in Olanda dai Rocca cinque anni fa. Se-guono appaiate le tre sorelle elvetiche: BSI, appun-to, la ginevrina HSBC e la luganese Edmond DeRothschild. Quindi un altro tris composto da UbsFiduciaria, Finnat Fiduciaria e Unione Fiduciaria.E’ la volta di Melior Trust e tanto per gradire EosServizi Finanziari. Non è certo finita: spuntano la“Blu Acquario Prima”, una spa riconducibile aMarco Drago, socio della storica editrice di atlantigeografici, la De Agostini; poi un’altra fondazione,la “San Giacomo Charitable”, che fa capo a nobilisiculi, il principe Pietro Calvello di San Vincenzoe la baronessa Maria Zerilli Marimò Soncini, i cuinomi fanno capolino nelle carte dell’inchiesta per

Uno dei nuovi padri della Patria, GianfeliceRocca, nel hit dei Paperoni d’Italia e padronedi mezza economia argentina, è nella bufera,

che rischia di coinvolgere il suo enorme patrimo-nio societario e il ‘tesoro’ di San Faustin, visti glistrettissimi legami con la svizzera BSI, messa albando dalla Consob svizzera, Finma, per maxi ope-razioni di riciclaggio. Patròn Rocca, però, ha benaltro a cui pensare: le sorti del suo impero (finoad oggi) d’acciaio (Techint-Tenaris-Ternium-Tenovail poker d’attacco sempre vincente), il futuro del-l’area Expo a Milano affidato dal premier Renzinelle mani di mister Assolombarda (il maxi Te-chnopole plurifinanziato a botte di centinaia dimilioni di euro prima ancora di sbocciare), senzadimenticare un occhio all’editoria, Sole 24 Ore inprimis e dietro l’angolo il sogno Corsera.

Ma partiamo dalle sorti patrie. E dal Verbo delnuovo De Gasperi che sbarca dalla trincea del la-voro. Al Vate-pensiero dedica un paginone il sem-pre ospitale quotidiano di via Solferino che an-ticipa il caloroso SI di mister Rocca al referen-dum renziano sulla Costituzione, cui il giorno se-guente il neo timoniere di Confindustria, Vincen-zo Boccia, conferirà i crismi della più sentita uf-ficialità. “L’Italia – ammonisce Rocca, il nuovoTogliatti in salsa argentina – ha provato per bencinque volte a riformare la Costituzione e non cisiamo riusciti. Per questo spero proprio che il sìal referendum costituzionale prevalga e pensoche gli industriali dovrebbero impegnarsi in talsenso”. Tanto per non schierarsi. E non essere“partigiani” (parola che, in questi giorni, affiorasu tante bocche ad altro versate). Uno sguardo,poi, sulla sua Confindustria: “ci vuole un nuovopiano strategico, un centro studi più centrato sul-le imprese, trasparenza, frugalità, riallocazionedelle risorse dal nazionale al livello europeo epiù vicinanza ai territori”. Un San Francesco in-novato e corretto. E frugale. A proposito di fru-galità e di limitate risorse finanziarie, eccoci su-bito al maxi scandalo BSI, ovviamente oscuratodai media di casa nostra (una ventina di righi almassimo), anticamera – se gli inquirenti svizzerie italiani decidono di vederci chiaro una buonavolta – per una possibile, colossale reazione a ca-tena in grado di travolgere mezzo sistema finan-ziario – taroccato – europeo e soprattutto acquar-tierato nei sempre comodi paradisi fiscali. Conuna Svizzera ancora regina incontrastata.

Vediamo le ultime acrobazie targate BSI. Unacreatura partorita dal sempre fecondo ventre di Ge-nerali, il colosso assicurativo governato fino a qual-che mese fa da Mario Greco e ora affidato a PhilipDonnet, con Alberto Minali alla direzione generale.Risale a Greco la cessione, circa un anno fa, delloscrigno svizzero del Leone triestino alla brasilianaBig Pactual per 1,2 miliardi di franchi svizzeri, ilprezzo pagato dal finanziere d’assalto Andrès Este-ves. Un’operazione che ha consentito al rampanteEsteves di entrare in Europa, e soprattutto a casanostra, non solo con l’affaire BSI, ma anche conl’ingresso nel pacchetto azionario del Monte deiPaschi di Siena. “Forse ha cercato di distrarsi dallebufere che si stavano scatenando nel suo Paese –commentano a piazza Affari – visto che è coinvoltoin pieno nello scandalo Petrobras, che ha provocatol’impeachment del presidente brasiliano DilmaRoussef. Esteves è finito in galera per le tangentipetrolifere, che tirano pesantemente in ballo la no-stra Saipem, leader nell’impiantistica, e la Techintdel gruppo Rocca”.

Rieccoci a patròn Gianfelice e alla sua creaturaprediletta. Ma completiamo il capitolo BSI. Scate-natasi la tempesta Petrobras, Esteves & C. pensanobene di vendere il pacchetto azionario appena ac-quistato da Generali ad un fondo svizzero, EFP, ri-cavando anche una plusvalenza (la cessione è per1,3 miliardi di franchi). “Un buon affare per i bra-siliani, pessimo per la nostra compagnia di polizze:oltre ad aver svenduto – commentano alla Borsadi Milano – si sono poi trovati con titoli in cambiodi Btg Pactual che valevano un centinaio di milioniin meno”. Ma il bubbone saltato fuori in questigiorni è maturato nientemeno che in Malesia. Tutto,infatti, gira intorno alle acrobazie del fondo “in-ventato” dall’ex premier malese, Najib Razak, che

PAOLO SPIGA

il falso rapimento di Michele Sindona e nel pro-cesso per mafia a Giulio Andreotti.

Questi e altri vip per far girare i danari con lapala, moltiplicando affari & profitti, nell’allegro“mercatino” novembrino di San Faustin: il fattu-rato societario è di circa 25 miliardi di dollari, qua-si 400 milioni i dividenti “ufficiali” 2013. Sul pon-te di comando, in qualità di chairman, l’onnipre-sente Gianfelice, affiancato dal cugino Roberto Bo-natti, che occupa la poltrona di presidente, e dalfratello Paolo, suo vice. Geograficamente parlando,San Faustin nasce in Uruguay nel 1949, si trasfe-risce a Panama dove fissa il suo quartier generaleper quasi quarant’anni, dal 1959 al 1990, quinditrasloca a Curacao fino al 2010 per passare poi ar-mi e bagagli in Lussemburgo. Un bel tour.

Su tutta l’intricata vicenda BSI hanno da mesiacceso i riflettori la magistratura elvetica (in par-ticolare i pm di Lugano), gli inquirenti del CantonTicino e la Finma, come detto l’omologo della no-stra (sempre dormiente) Consob. Alla Voce è per-venuto un dettagliato esposto-denuncia, inviatoalle autorità inquirenti e con ogni probabilità re-datto da un socio ‘dissidente’. In esso vengono ri-percorse alcune tappe della San Faustin-Bsi story,gialli finanziari super milionari compresi. Ecconealcuni stralci.

“Una borsa privata, quella di San Faustin, cheregola contratti da 100-150 milioni di dollari ognianno in modo abusivo. Di fatto, uno dei difetti delMercatino è proprio la sua totale opacità e l’usoimproprio di informazioni privilegiate a finalità il-lecite grazie all’assenza di un organismo di vigi-lanza”.“Il prezzo delle azioni San Faustin vieneappositamente ‘corretto’ garantendo un beneficio

ai compratori occulti che acquistano le azioni nondai soci, ma da fiduciari come la Dreieck e la bancaEdmond de Rothschild di Lugano”.

“La BSI dal 2003 gestisce la borsa privata sviz-zera, un affare da 100 milioni di dollari l’anno. Unagara cucita ‘su misura’ per favorire persone scono-sciute, compresi gli ex soci-privilegiati di San Fau-stin. Una turbativa d’asta portata all’attenzione diFinma nel 2010, dell’ex procuratore pubblico Na-talia Ferrara Micocci, che ha abbandonato l’inda-gine ed emesso il non luogo a procedere”.

“Sarebbe stato il duo Credit Suisse-BSI a con-fezionare requisiti ‘specifici’ per il Mercatino cheavrebbero permesso il trasferimento di oltre un mi-liardo di dollari tra il 2001 e il 2015 a persone sco-nosciute, tra cui ex-soci privilegiati della società diCuracao”. “Nonostante la tanto proclamata cadutadel segreto bancario, la BSI come altre banche pri-vate perseguono con metodi diversi gli stessi obiet-tivi di prima. I disastrosi accordi tra Credit Suisse,BSI, Rothschild, HSBC hanno alimentato l’appro-priazione indebita e permesso ai soci privilegiati dinascondere pagamenti ricevuti, di influire sull’esitodel Mercatino e in ultima istanza distruggere la so-cietà”. “I responsabili di BSI, banca privata Edmondde Rothschild Lugano e di HSBC hanno partecipatoallo spacchettamento delle azioni San Faustin al disotto della soglia del 5 per cento per evitare la di-chiarazione della SEC e le accuse di turbativa d’asta,se da un’indagine indipendente risultasse che han-no partecipato al Mercatino in base ad informazioniprivilegiate”. Ma la bufera, a quanto pare, potrebbearrivare presto da quieti cantoni svizzeri…

Rocca e i ‘fratelli’ di San Faustin

Il libro nero del Sole 24 Ore

La tardiva ispezione della Consob, avviata a Milano al GruppoSole 24 Ore, arriva con un ritardo di oltre 5 anni dopo le pri-

me denunce di Adusbef che risalgono al 21 gennaio 2011; allerichieste dei rappresentanti degli azionisti alle assemblee societa-rie; alle dure critiche del comitato di redazione della testata gior-nalistica economica di Confindustria, accusata di aver manipolatole copie vendute, ricavi e dati di bilancio, quindi anche gonfiandoi listini pubblicitari, atto dovuto dopo le inchieste aperte dalla ma-gistratura, con il capo della Procura di Milano, Francesco Greco,che ha affidato le indagini al PM Fabio De Pasquale.

Fa sorridere la nota del quotidiano di Confindustria, secondo la quale, in merito alla notizia dell’ispezio-ne Consob in corso, il Gruppo Sole 24 Ore commenta: ‘Massima trasparenza, massima tranquillità, massi-ma collaborazione, siamo un libro aperto’. Al contrario delle affermazioni di rito, quel libro non è mai statoaperto neppure alle richieste di Adusbef, dei giornalisti del comitato di redazione e dei rappresentanti dei27.000 azionisti, oltre il 50% ‘parco buoi’, che hanno visto bruciare oltre il 90% dei loro investimenti.

Adusbef, che il 21 gennaio 2011 aveva inviato un esposto alla Consob (come richiesto, trasmessodagli inquirenti agli atti della Procura di Milano), chiede cosa abbia fatto in oltre 5 anni il Presidente Vegas,per impedire che si potesse consumare l’ennesima frode a danno degli azionisti, da una gestione dissen-nata di un quotidiano economico, accusato di aver manipolato la diffusione delle copie vendute (come agliatti della ADR-Accertamento Diffusione Stampa, che ne ha cassato 109.000 digitali nel giugno 2016), inte-grando così i possibili reati di aggiotaggio, falso in bilancio, false comunicazioni sociali, e perfino le ipotesidi mercimonio tra grandi gruppi bancari che acquistavano le copie in blocco e la libertà di informazione.

Adusbef auspica che il Pm Fabio di Pasquale, oltre ad indagare sulle ipotesi di reato degli amministra-tori del Gruppo Il Sole 24 Ore, verifichi anche i reati di omessa vigilanza, indagando sui motivi che hannoindotto la Consob, nonostante fosse stata sollecitata ripetutamente ad intervenire, analogamente ai cracbancari ed ai gravissimi fenomeni di risparmio tradito a danno di centinaia di migliaia di famiglie esproria-te, a non muovere un dito, per impedire ipotesi delittuose a danno del mercato e dei risparmiatori.

ELIO LANNUTTI

Nella foto Paolo e Gianfelice Rocca

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I tre – riferisce La Torre – “mi parlarono delGiro, delle scommesse, del clan Mallardo e delruolo dei clan di Secondigliano”. Ancora: “Al-tro che bumbazza e bumbazza. L’hanno fattofuori sennò la camorra pagava miliardi discommesse clandestine. Era già successo conlo scudetto di Maradona…” . La Torre ha giàverbalizzato su scottanti vicende e viene rite-nuto un collaboratore “attendibile” dai verticidella Dda partenopea (il suo avvocato è l’ex to-ga del pool palermitano Antonio Ingroia). Mastavolta dalla procura di Forlì – che purtropponon distingue un pizzo da un merletto – nonè ritenuto attendibile.

CHIAMALE SE VUOI ESTORSIONIIn realtà, il procuratore capo di Forlì, Sergio

Sottani, e il pm Lucia Spirito, hanno raccoltouna grossa quantità di materiale probatorio: maalla fine delle indagini hanno ritenuto che glielementi fossero idonei solo a parlare di “cor-ruzione” e non “associazione a delinquere, mi-nacce, estorsione, frode sportiva”, come recla-mava la famiglia Pantani con il suo legale An-tonio De Rensis. Quasi a seguire il suggerimen-to, o meglio “l’interpretazione giuridica” dataai fatti dallo stesso boss La Torre, il quale hacommentato: “comunque era solo corruzione,nessuna minaccia”.

Ora, anche i bambini delle elementari – conla sola esclusione, evidentemente, della zonadi Forlì – sanno che la camorra non veste insmoking né tratta in inglese. Forse La Torre,che fa affari con la sua dinasty in Scozia, e so-prattutto ad Aberdeen, è ormai british. Purtrop-po non è ancora così, nonostante la marea dicolletti bianchi e super inamidati. Lo sottolineaanche il magistrato (ordinario e poi sportivo)Piero Calabrò: “mi auguro che la procura diForlì si accorga che la camorra quando entrain gioco non corrompe, ma impone. E certocon metodi che non possono, per loro natura,non comprendere intimidazioni, minacce e tut-to l’armamentario che segue”. E si augurava latrasmissione degli atti alla Direzione Distret-tuale Antimafia di Napoli, per logica compe-tenza: visto che proprio alla Dda partenopeasono custodite importanti verbalizzazioni, esisteuna memoria storica del bubbone ‘scommesse’e ‘camorra’. “Fermarsi adesso – proseguiva Ca-labrò – equivarrebbe a una inspiegabile abdi-cazione della società civile nei confronti di ungruppo criminale organizzato”.

Ma così è stato. Per il gup Galassi con ogniprobabilità la camorra non esiste; è un’astra-zione metafisica. I clan che da vent’anni e pas-sa dettano legge in Emilia, in Romagna, a Ri-mini sono pure fantasie giornalistiche. Che lacamorra faccia delle scommesse uno dei suoibusiness più a la page, è una favola. Elemen-tare, Watson: un paio di signori, con marcatoaccento partenopeo, hanno chiesto se per fa-vore era possibile cambiare le provette di Pan-tani, hanno consegnato una bustarella chiusacon sopra scritto “Mazzetta”, hanno bevuto untè alla menta con i medici dell’equipe, li hanno

Il gup della procura di Forlì, Monica Galassi, ha posto la pietra tombale suquella inchiesta, dichiarando l’archiviazione. Ma fa di più: e rileva “la de-correnza della prescrizione per le presunte minacce”. A palazzo di giustiziapochi avrebbero scommesso un euro su questa decisione, per via della enor-me massa di documenti che provano l’intervento diretto della camorra inquella maledetta tappa di Madonnadi Campiglio, quando le provette delsangue di Marco Pantani venneroalterate da “ignoti” che minacciaro-no i medici dell’equipe. Il caso si erariaperto per la lettera inviata da Re-nato Vallanzasca alla madre delcampione, Tonina Belletti.

Augusto La Torre ha già verbalizzato su scottanti vicende

e viene ritenuto un collaboratore “atten-dibile” dai vertici della Dda partenopea. Il suo avvocato è l’ex toga del pool palermitano Antonio Ingroia.

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Misteri d’Italia

L’incredibile diventa realtà. Alcuni big dellacamorra rivelano che il Giro d’Italia 1999venne taroccato per una montagna di scom-

messe clandestine che avevano puntato sullasconfitta di Pantani, ma la giustizia se ne frega.Il gup della procura di Forlì, Monica Galassi,ha infatti posto la pietra tombale su quella in-chiesta, dichiarando l’archiviazione. Ma fa dipiù: e rileva “la decorrenza della prescrizioneper le presunte minacce”.

A palazzo di giustizia pochi avrebberoscommesso (siamo in tema) un euro su questadecisione, per via della enorme massa di do-cumenti che provano l’intervento diretto dellacamorra in quella maledetta tappa di Madonnadi Campiglio, quando le provette del sangue diMarco Pantani vennero alterate da “ignoti” cheminacciarono i medici dell’equipe.

Il caso si riapre per la lettera inviata da Re-nato Vallanzasca alla madre del campione, To-nina Belletti, in cui viene descritto come undetenuto nel carcere di Novara (è il 1999) gliconfidò che “il pelatino non doveva arrivare aMilano”, e “quel Giro lo deve perdere”, per lecolossali somme che la camorra avrebbe dovutopagare per via delle scommesse. Poi sono arri-vate altre verbalizzazioni “pesanti”, come quelladi Rosario Tommaselli che, intercettato in unaconversazione con la figlia, parla di “una scon-fitta decisa dalla camorra”; e soprattutto quelladel big boss di Mondragone, Augusto La Torre,il quale rivela agli inquirenti il contenuto di al-cune conversazioni con altri tre pezzi da no-vanta della malavita campana: Francesco Bido-gnetti, alias cicciotto ‘e mezzanotte, la menteeconomica dei Casalesi e regista del business‘monnezza'; Luigi Vollaro, ‘O Califfo, numerouno dei clan nella zona di Portici; e AngeloMoccia, al vertice della cosca che dominanell’hinterland partenopeo, epicentro Afragola.

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regola. Marco era depresso: quindi o per cocao per farmaci o per un mix, questa è la storiadella sua scontata fine. E guai a parlare di omi-cidio. Il corpo di Marco è stato trovato tume-fatto, lacerato, ferito in diverse parti. Forse furiaautolesionista da depressione.

Presenta segni di trascinamento. Forse mo-vimenti convulsi da coca. I materassi sonosquarciati. Forse giocava a nascondino. Alcunimobili rotti. Forse si allenava per il karate. Nel-l’armadio ci sono tre giubbotti. Marco era ar-rivato solo con un borsone. “Forse li ha portatiinconsapevolmente il marito della manager diPantani”, scrive il gup. Peccato che il maritodella manager abbia verbalizzato di non avermai visto in vita sua quei tre giubbotti.

Nel cestino dei rifiuti c’è la carta di un ge-lato Algida. “Forse l’ha gettata inconsapevol-mente uno dei poliziotti in occasione del so-pralluogo”, scrive sempre il gup. Ispezionespensierata, un pic nic in piena regola (e nes-suno riflette sul ‘messaggio’ che parte da quelgelato: la commercializzazione del marchio Al-gida, infatti, è stato uno dei primi business del-la camorra a Napoli fin da fine anni ‘70).

Esiste un filmato, di quel sopralluogo. Ori-ginariamente lungo, svariate ore: magicamentediventa un corto, pochi minuti, forse destinatoa Cannes (e per questo tagliato e rimontato).

Ore 10 e 30 di quel San Valentino. Marcotelefona alla reception: “per favore chiamate icarabinieri. Ci sono delle persone in stanza chemi danno fastidio”. Le forze dell’ordine arri-veranno dieci ore dopo, alle 20 e 30, per con-statare la “morte” di Pantani.

“Non 10 ma 200 anomalie”, tuona l’avvo-cato De Rensis. “E’ giustizia quella che archiviaun caso del genere? Lo dico per tutti i cittadi-ni. In questa nostra giustizia, quello che sem-bra normale può diventare praticamente im-possibile”.

Marco non è stato ucciso una volta. Ma –fino ad oggi – tre volte.

P.S. La terza morte di Marco non fa notizia.Solo brevi in rete. Una ventina di righe al mas-simo. Sul sito de “Il Resto del Carlino”, in ho-me page, apertura, campeggia una pubblicità.Quella di un 4 stelle e mezzo di Rimini, com-presa super beauty farm, a soli 177 euro algiorno. E’ il “Le Rose”, la pensioncina doveMarco trascorse quella notte di San Valentino.

saluti affettuosamente e invitati per una pizzaa via Caracciolo.

E’ questa la giustizia di Casa e di Cosa no-stra? Ma leggiamo il Verbo della Giustizia ce-lebrato nel Rito forlivese. Il clou di tutto – se-condo le prime indiscrezioni – sono le paroledel massaggiatore del campione, Primo Pergo-lato. E poi quelle di Vittorio Savini, il fonda-tore del club “Magico Pantani”. Che vi aspet-tavate: un boss, un medico dell’equipe? A pro-posito, il capo équipe non può più verbalizza-re: l’olandese Wim Jeremiasse, grande espertodi Giri e Tour, infatti non parla più, perchè èfinito in un lago ghiacciato in Austria con lasua auto sei mesi dopo quella maledetta tappa.Bene: la Verità è affidata a un massaggiatore ea un supertifoso. “I quali – secondo il gup –pur genericamente confermando il contenutominatorio riferito dalla Belletti (Tonina, la ma-dre di Marco, ndr) e pur ribadendo la perso-nale convinzione che nella esclusione dal Girovi fosse l’intervento di qualcuno legato al mon-do delle scommesse clandestine”, tuttavia“non sono state in grado di fornire indicazioniidonee a consentire l’individuazione dell’au-tore delle minacce verbali e telefoniche”.

Ai confini della realtà. Dalle parole di uncapotifoso e di un massaggiatore dovevano sal-tar fuori nomi, cognomi, indirizzi, numeri discarpe dei “signori” che hanno “trattato” l’af-fare delle provette contenenti il sangue (è ilcaso dirlo) di Marco? Mai pensato che dai 3medici (tre) che hanno visto la scena in direttaforse sarebbe uscita qualcosina di più? Hai lefonti di prova e senti il netturbino che passa?E ti contenti di quello? E delle verbalizzazionidi boss e sottoboss te ne freghi?

E poi, sotto il profilo “tecnico”. Passi laprescrizione per la corruzione (che comunque,come visto, non esiste, in questi contesti). Maper le minacce, come è mai possibile parlaredi “avvenuta prescrizione”? Possibile che mi-nacce, intimidazioni ed estorsioni – il perfettokit dell’associazione a delinquere – si prescri-vano in modo così fulmineo? E’ arrivata – anostra insaputa – qualche riforma ferragostanadel codice penale? O siamo al solito rito diForlì?

LE 200 ANOMALIE DI QUELLA MORTE A RIMINIPossibile far “peggio”? Ci sono riuscite,

sempre nel giallo Pantani, le toghe riminesi.Che hanno archiviato la pratica “morte” conuna pietra altrettanto tombale (contro la qualesi è opposto De Rensis presentando ricorso perCassazione, con una decisione attesa per i pri-mi mesi 2017). A giugno, infatti, un altro gup,Vinicio Candolini, ha pensato che non c’eranodubbi, nessuna zona d’ombra nella tragicamorte di Marco quel 14 febbraio, San Valenti-no, del 2004. Tutto chiaro, trasparente come ilsole che splende lungo la costa romagnola. Lostesso aveva fatto, del resto, il procuratore capodi Rimini, Paolo Giovagnoli, che aveva subitochiesto l’archiviazione. Un suicidio in piena

UCCISO TRE VOLTEANDREA CINQUEGRANI

MarcoMarco Pantani. A sinistra l’avvocatoAntonio De Rensis e, nell’altra foto,

Antonino Ingroia

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GIALLO ALPI

Giallo Alpi. Giorni fa l’ennesimo schiaffo allamemoria di Ilaria e Miran Hrovatin, l’asso-luzione del killer inventato dai “burattinai”

per depistare meglio, 26 anni affibbiati HashiOmar Assan che c’entrava come il cavolo a me-renda. “Una conclusione schifosa, una tragica far-sa”, ha ancora la forza di commentare LucianaAlpi, la sempre più sola madre di Ilaria.

Solo una giustizia inefficiente? Dotata sempredei soliti scarsi mezzi? Oppure pigra e farragino-sa? Altri aggettivi servono meglio a descrivere ifatti: depistante, utilizzata solo per coprire quantoè realmente accaduto. Quindi, in soldoni, com-plice. Soprattutto se il burattinaio è da novanta:addirittura in casacca a stelle e strisce, la CIA. Cisono – a questo punto del giallo tragicamente far-sesco – molte tessere del mosaico che combacia-no, e mandano una luce sinistra. Vediamole, ri-percorrendo alcuni passaggi recenti e passati. Ec-co un paio di frasi pronunciate da Luciana Alpi:“Oggi abbiamo appreso che Ilaria è morta di cal-do. Sì, di caldo, in Somalia”. “Sono furibondaper tutto quello che hanno fatto e disfatto per co-prire gli assassini e i moventi di un duplice de-litto”. “I giudici non hanno ascoltato i veri pro-tagonisti di questo lungo depistaggio”.

“Dai verbali delle udienze emerge che l’am-basciatore Giuseppe Cassini ha portato in Italiail testimone Gelle, il quale accusa Hashi di aversparato a Ilaria e Miran. Ma non c’è mai stato ungiudice o una Corte che lo abbiano interrogato.Per confermare o per smentire. Hanno condan-nato un giovane sulla base di una sola dichiara-zione”. E oggi neanche si scusano.

Continua la signora Alpi, una donna ormaidistrutta nel morale e provata anche nel fisico:“Una giornalista di ‘Chi l’ha visto’ (Chiara Caz-zaniga, ndr) ha rintracciato Ali Rage Ahmed, aliasGelle, lo ha intervistato, si è fatta dire la verità.La Procura di Roma sapeva dov’era. Viveva allaluce del sole. Ha fatto finta di niente. Non lo hamai interrogato. Ripeto: uno schifo”.

“Ormai sono convinta che sulla morte di miafiglia e di Miran non è stato fatto nulla a livellodi indagine. Sul caso si sono alternati negli anniben cinque magistrati e tre procuratori. Eppurenessuno è riuscito a porre fine alle troppe bugie,ai troppi depistaggi che hanno caratterizzato que-sta vicenda. Ho ormai la netta impressione chegli inquirenti non siano mai stati interessati a sco-prire la verità”.

LO SCIPPO DELL’INCHIESTACe n’era uno, entrato subito in scena. Ma

proprio perchè aveva forse intenzione di scoprirequella verità è stato immediatamente fatto fuori,estromesso dalle indagini. Si tratta di GiuseppePititto, che per quei primi tentativi di far luce sulgiallo di Mogadiscio non solo venne scippato delfascicolo istruttorio, ma cacciato da Roma, perpreciso volere dell’allora procuratore capo Salva-tore Vecchione. Pititto ha quindi lavorato aL’Aquila per alcuni anni, poi, stanco di questagiustizia, ha abbandonato la toga.

Ha però avuto la forza, Pititto, di scrive unthriller politico per Fazi Editore, “Il grade corrut-tore”. Ecco la trama: protagonista una giornalista,Federica Olivieri, inviata nello Yemen. E’ a cacciadi una pista per un traffico internazionale di ar-mi, scopre che il burattinaio è nientemeno che ilnostro ministro degli Interni, Ugo Miraglia, il qua-le, ovviamente, sta per diventare Capo dello Stato.Federica viene barbaramente assassinata, partonole indagini e subito il procuratore capo di Romadà tutto per chiaro, un tragico incidente, i solitibalordi. Per un puro caso il fascicolo finisce nellemani di un giovane pm, Davide Nucci, il qualeman mano si troverà sempre più debole e isolato.Proprio mentre il ministro Miraglia entra al Qui-rinale. “Magistratura, politica, giornali, tutti sischierano in silenzio, partecipando a una colos-sale recita in cui ogni ruolo, ogni battuta, rispon-de ad una regia spietata”.

Veniamo al cuore del giallo, che batte ame-rikano. E riportiamo alcune parole tratte da unaltro libro, uscito nel 2008, “Giornalismi & ma-fie”, curato da un vero maestro dell’informazione,Roberto Morrione. Nel denso capitolo significa-tivamente titolato “L’omicidio di Ilaria Alti – Altamafia tra coperture, deviazioni, segreti” eccoci di

PAOLO SPIGA

... E ILARIA, UCCISA DUE VOLTE

Ilaria Alpi e, a destra, la madre Luciana

12 N O V E M B R E 2 0 1 6

fronte ad un paio di quesiti chiave: “perchè ildottor Pititto è stato estromesso dall’inchiesta pro-prio in un momento delicato e di possibile svoltanelle indagini? Il dottor Pititto, con la collabora-zione della Digos di Udine, aveva fatto giungerein Italia i due testimoni oculari, Ali Abdi e NurAden, l’autista e l’uomo di scorta, ma non li hapotuti interrogare”. Come mai? Altro interrogativoda novanta: “Perchè non si è individuato chi, trale autorità italiane e dell’Unosom, ha consentitoo collaborato o addirittura disposto di costruireun capro espiatorio?”. Da tener ben presente chegià otto anni fa – ben prima della fresca sentenza– Hashi Omar Assan veniva definito un “caproespiatorio”! Subentrerà nelle indagini a Pititto ilpm Andrea De Gasperis, che caratterizzerà la suaazione per “incompetenza e sciatteria”, come de-nunciarono i coniugi Alpi.

Andiamo, a questo punto, alla Digos di Udi-ne, che se le cose fossero andate come giustiziacomanda (con un Pititto alla guida delle indagini)avrebbe rischiato – udite udite – di far luce suquella tragica connection, a forti tinte Usa. Un ri-schio che non si poteva certo correre: per questoestromessa Udine, cacciato Pititto.

NEI MISTERI DI VIA FAUROMaggio 1994. Subito alla ribalta la prima

“fonte confidenziale” (ne seguiranno altre due)che contatta la Digos friulana. Fa il nome di dueitaliani che vivono e operano a Mogadiscio daanni. Si tratta di Giancarlo Marocchino e GuidoGarelli, un imprenditore esperto in logistica damolti etichettato come disinvolto faccendiere, ilprimo; un colonnello impegnato dei deserti delSahara occidentale (un po’ come il Drogo nel De-serto dei Tartari di Buzzati) con la passione perla Somalia, il secondo. Fornita l’imbeccata, la fon-te sparirà nel nulla. Ma prima accenna ad una“piccola società aerea che fa capo a Marocchinoe Garelli ed ha sede in via Fauro a Roma”.

Drizzano subito le antenne due ispettori dellaDigos di Udine, Giovanni Pitussi e AntoniettaMotta. Quest’ultima, in particolare, ha ben pre-sente una trasmissione del Costanzo Show in cui,guarda caso, sono ospiti i genitori di Ilaria, e siparla del recente attentato di via Fauro che avreb-be avuto come obiettivo l’abitazione del giorna-lista. Si mettono subito al lavoro, Motta e Pitussi,e scoprono che proprio a via Fauro hanno sedetre società che si occupano di trasporti, anche ae-rei: Finarma, Fin Chart e Saniservice. La primafa capo nientemeno che a un ex magistrato, PioDomenico Cesare, che stanco di codici e pandettepensò bene di darsi anima e corpo ai traffici dimonnezza, meta preferita la Somalia. Dettagliòaddirittura nel 1995 un servizio firmato da LuigiGrimaldi per il settimanale “Avvenimenti” chela toga-imprenditrice “coordinava gli incontri trala Fin Chart e i rappresentanti somali per definireil progetto di smaltimento dei rifiuti tossici nelCorno d’Africa”. E a via Fauro 59 è localizzato ilprimo quartier generale di Fin Chart. Come maila procura romana non approfondì quel ramod’inchiesta il cui imput arrivava dalla Digos diUdine? Come mai delle indagini, pur avviate dalpm Franco Ionta, si sono perse le tracce? E nonè stato approfondito un tassello strategico, ossia

l’incrocio con un’altra strage, quella del MobyPrince, in cui fanno capolino misteriose sigleguarda coso ubicate sempre nella affollata via Fau-ro? L’ennesimo buco nero – quello del Moby Prin-ce – sul quale da un anno è impegnata una frescacommissione parlamentare d’inchiesta.

Nei rapporti Digos veniva fatto espressamentecenno ai possibili mandanti del duplice omicidio,tra cui il titolare dell’altra compagnia dei misteri,la Shifco (che trasportava rifiuti tossici a bordodelle navi donate del nostro governo), ossia Mu-gne Said Omar; e un trafficante di armi ed espo-nente del clan Murosade, Osman MohamedSheikh. Ma c’è un terzo personaggio rimastonell’ombra, “un somalo-americano prima arruo-latore di Mujadin per conto della Cia – scrive Gri-maldi – e poi portavoce delle Corti islamiche”.

Eccoci, allora, dentro le connection a stelle estrisce che portano da Mogadiscio direttamentenegli States. Esiste la verbalizzazione di un uffi-ciale dei carabinieri (il nome non è mai trapelato)secondo cui la trappola mortale per Ilaria e Miranvenne organizzata dalla Cia. Vero che riferisce “derelato”, fonti dell’allora Sismi e dell’Ambasciataitaliana: ma che fine ha fatto quella pista? Ricordaqualcosa l’ambasciatore Giuseppe Cassini, cosìsolerte da portare per mano in Italia l’accusatoretaroccato Gelle?

Passiamo a un’altra sigla il cui nome fa soloora capolino attraverso la desecretazione – decisaun anno fa – delle centinaia e centinaia di pagine.Si tratta di CISP, una delle tante organizzazioninon governative che allora lavoravano nel Cornod’Africa per l’Italia. Ma strategica: perchè si oc-cupò dell’ultimo trasporto di Ilaria e Miran, pro-venenti da Bosaso e in arrivo all’aeroporto di Mo-gadiscio. Come mai un cambio in corsa, visto cheera stato fino a quel momento curato – e dovevaesserlo anche quel giorno – dal servizio ufficialeper i trasporti, Unisom? Come mai la notizia deglispostamenti dei due nostri giornalisti viene affi-data alla fino a quel momento sconosciuta Cisp?

Il quadro forse diventa più chiaro se passia-mo Cisp ai raggi x. A guidarla una dottoressa ita-liana, Stefania Pace, a Modagiscio, con la suoOng, dal 1988. E’ la compagna di un uomo di pe-so della Cia nella bollente capitale somala, Ibra-him Hussein, alias Malil. Un altro con il pallinodella logistica, Malil, tanto che il suo posto – do-po il misterioso “suicidio” giocando alla rouletterussa – viene preso proprio da Marocchino. Unvero hobby l’assistenza alla Ong e a tutta la Coo-perazione made in Italy e promosso dal nostrogoverno, per Malil, visto che la maggior parte delsuo tempo lo dedica ai destini della Cia a Moga-discio, in qualità di “Top Asset”. Appartenente auna ricca famiglia somala, Malil compie i suoistudi nelle università yankee e viene arruolato,per quell’incarico al servizio dell’intelligence Usa,da un pezzo grosso, Mike Shankin, alias Condor,una vita da 007 tra Washington, Londra (in co-servizio con l’M16 di sua maestà britannica) e,appunto, Mogadiscio. E’ proprio Shankin a diri-gere la caccia al generale somalo Aidid, in com-pagnia di due amici: John Garret, alias Crescent,e John Spinelli, alias Leopard. Per inciso, l’affia-tatissimo tandem Shankin-Spinelli è coinvolto inun altro giallo, quello del rapimento dell’imam

Abu Omar, in combutta con l’allora capo dei no-stri Servizi, Nicolò Pollari, e con gli 007 de noantricapeggiati dalla Mancini & Tavaroli band.

Ma torniamo a Shankin. Una vita spericolata(tanto da costargli il licenziamento perfino da queirotti a tutto della Cia!), però coronata da un grandeamore. E con chi mai convolerà a nozze il fortu-nato Mike? Nientemeno che con una fresca vedo-va, Stefania Pace, un marito morto per gioco, masecondo i più “eliminato”. Stefania, poi, si uniràa Mike anche sotto il profilo lavorativo, visto chei due si rimboccheranno le maniche con una at-trezzata “consulting” in materia di informazioni,servizi & spiate.

La cordata dei compagni di merende non èancora finita. Perchè nel team figura anche un al-tro uomo targato Cia, e ben nascosto sia dietro unnome di battaglia, Hamed Washington, che dietroun generico impegno per conto della Comunitàeuropea, a fianco delle nostre Ong (come Cisp) siasotto il profilo logistico-organizzativo che, ancorpiù, finanziario.

Ed eccoci ad un altro incrocio, una chiave perentrare al cuore del giallo sulla morta di Ilaria eMiran: é l’amico di Shankin e Spinelli, ossia Ha-med Washington, a portare su un piatto d’argentoall’ambasciatore italiano Cassini il teste taroccato,Gelle. Tutto ancora da scoprire, quindi, il perchèdi quel passaggio del testimone, deciso non si sacome e da chi, all’ultimo istante, tra Unisom eCisp per quanto riguarda le consegne circa il tra-sporto di Ilaria e Miran dall’aeroporto di Mogadi-scio all’albergo. Così ci si chiede con angoscia nelcapitolo “L’omicidio di Ilaria Alpi”: bisogna “svi-luppare l’inchiesta su che cosa accadde quella do-menica 20 marzo dall’arrivo di Ilaria e Miran al-l’aeroporto fino all’agguato davanti all’hotel Hu-mana: chi e con quale mezzo andò a prendere idue giornalisti all’aeroporto per condurli al lorohotel (il Sahafi); perchè, a conoscenza dell’estremapericolosità della situazione, decidono di andareall’hotel Hamana (attraversando la linea verde).C’è un appunto di Ilaria significativo sulla consa-pevolezza della pericolosità circa la situazione,che avvalora l’ipotesi che il trasferimento dal Sa-hafi all’Hamana sia stata un vera trappola. Ecco iltesto: ‘nessuno senza un motivo particolarmentevalido passa da una zona all’altro. Qualunque spo-stamento deve essere accuratamente organizzato”.

Come mai, in 22 anni e passa, a nessuno degliinquirenti e procuratori succedutisi al capezzaledell’inchiesta è venuto mai in mente di interroga-re, su quei nodi, Stefania Pace che curò, comeCisp, quello spostamento, e il tandem Cia? Perchènessuno ha levato il cappuccio a mister Washin-gton? Si chiede Grimaldi: “Perchè dopo il dupliceomicidio la sicurezza dell’hotel Hamana si recaproprio al Cisp per sapere come comportarsi e dalì viene contattato via radio Marocchino perchèintervenga? Perchè dopo anni un falso autista diIlaria, ma in possesso di documenti autografi dellagiornalista Rai, incontra casualmente in Kenia lagiornalista Isabel Pisano (buona e vecchia amicadi Francesco Pazienza) durante un viaggio versoMogadiscio, sulle tracce di Ilaria e Miran, organiz-zato per lei da Stefania Pace?”.

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Aspettando che arrivi ignoto 3

Giustizia per DavidAtre anni dalla morte, dopo una prima, strafrettolosa archiviazione per

“suicidio”, il caso David Rossi, capo comunicazione Mps volato giù dauna finestra di Palazzo Salimbeni, è stato riaperto in seguito alla mole diprove prodotte dal legale della famiglia Rossi, Luca Goracci, e al basilareesito di tre perizie. Che lasciano spazio a pochi dubbi. La prima perizia, gra-fologica, era finalizzata ad analizzare i tre biglietti lasciati da David alla mo-glie e trovati nel cestino dell’ufficio. Gli esperti hanno evidenziato che quellagrafia è stata prodotta “sotto costrizione, fisica o psichica”. La seconda, medico legale, ha potuto riscontrare sul corpodella vittima evidenti “varie ecchimosi sulle braccia, in particolare sul destro, un chiaro segno di afferramento”. La terza,poi, verteva sulla dinamica della caduta, ottenuta anche grazie alla telecamera di videosorveglianza: la perizia parlaesplicitamente di “un corpo che cade a candela, perpendicolarmente, quasi fosse lasciato cadere”. Dinamica perciòben diversa rispetto a quella dell’aspirante suicida che si slancia e quindi cade ben oltre, e non certo in modo perpendi-colare. Ed ecco che si fa strada l’ipotesi più verosimile: due individui entrano nella stanza di Rossi, lo stordiscono conun colpo alla testa, lo afferrano per le braccia, lo sollevano e lo fanno cadere giù dal balcone, per simulare un suicidio.Il filmato della telecamera di sorveglianza, comunque, risulta abbondantemente manomesso, “con sfasamento di orario– viene sottolineato nella perizia – minuti mancanti e sequenze più volte frazionate”.

Il legale della famiglia Rossi, Luca Goracci, è stato ascoltato dalla commissione d’inchiesta costituita dal consiglio re-gionale della Toscana, e ha rivelato che David “era in possesso di informazioni che potevano essere pericolose per i politi-ci”. E ha precisato: “politici locali, nazionali e anche sovranazionali”. E proprio pochi giorni prima del salto dalla finestra ilresponsabile della comunicazione dell’istituto senese aveva deciso di presentarsi davanti ai pm per verbalizzare. Sembraabbia comunicato la circostanza anche al neo amministratore Mps, Fabrizio Viola. Per tale motivo – a detta dei familiari enon solo – in quei giorni David era particolarmente agitato, molto preoccupato. Giorni bollenti, quelli per il Monte dei Pa-schi, al centro di un autentico ciclone giudiziario e di un crac dai cento, possibili risvolti, sicuramente molto pericolosi pernon pochi pezzi da novanta non solo targati Mps, ma dell’intero sistema finanziario e politico di casa nostra. Tessere di unmosaico di connivenze, collusioni e complicità sulle quali forse David aveva deciso di alzare il sipario.

Gli attuali inquirenti, inoltre, dovranno accertare anche se c’è stata un manina massonica in tutta la vicenda. Val lapena di ricordare che a marzo 2014 il pm della procura di Siena, Aldo Natalini, aveva cercato di porre la pietra tomba-le sul caso, decretando l’archiviazione. In quello stesso mese assurgeva alla suprema carica di Gran Maestro del GOI,la più potente loggia massonica italiana, il Grande Oriente d’Italia, il senese Stefano Bisi, giornalista. Collega di David.

GIALLO PASOLINI

partecipi del progetto di ricerca delle verità sto-riche e politiche, ed allo stesso premier Renzi”.Progetto di glasnost – quello sbandierato dal pre-mier e dal Pd – a quanto pare miseramente nau-fragato, vista la desecretazione di atti spesso e vo-lentieri inutili e incompleti.

Prosegue comunque la parlamentare di Sel-Si: “l’aver reso note, adesso, queste informazioniincontestabili sul piano scientifico e l’aver chiaritoche l’identità di una terza persona coinvolta nel-l’omicidio di Pasolini è ricostruibile, tutto ciò nonpuò essere ignorato dalla magistratura, né tanto-meno da coloro che hanno derubricato questo de-litto tra quelli a sfondo sessuale e scansato accu-ratamente la prospettiva del delitto politico. Il de-litto Pasolini e l’efferato omicidio di Giulio Regenisono due anelli della stessa catena, che si è aggan-ciata negli anni ’70 e si allunga fino a oggi: non cifermeremo nella nostra ricerca, supportati dallarichiesta di migliaia e migliaia di cittadini, perchèla verità su Pier Paolo Pasolini ha un peso politicoenorme che abbiamo il dovere di affrontare”.

Per ricostruire moventi e mandanti, partiamoda una frase, pronunciata da un magistrato, Vin-cenzo Calia, che una quindicina d’anni fa riaprìil caso Mattei, quando era pm alla procura di Pa-via. Purtroppo – come in molte altre circostanze– non venne dato corpo giudiziario a una chiarapista griffata, al solito, Servizi & pezzi da novanta(in quel caso Eugenio Cefis, il successore di Mat-tei sulla poltrona di vertice Eni). Ad un giornalistache chiedeva a Calia se ritenesse mai possibileche uno scrittore, come Pasolini, fosse stato eli-minato da certi poteri, lui rispose: “Possibilissimo.E se vuole la mia opinione, io ne sono convinto”.Peccato che, fino ad oggi, la verità giudiziaria siastata calpestata.

IO LO SO. E ORA HO LE PROVEPotevano mai passar inosservate, a questo

punto, le vulcaniche pagine di Petrolio, quel fuo-co che eruttava da ogni paragrafo, in ogni piegadi quei fogli che uscivano dalla sua Lettera 43 co-me pura lava? Un vero magna capace di incene-rire anche le presenze più invasive: proprio comequel Cefis, balzato dal vertice della P2 – che ave-va lasciato al fidato Licio Gelli - all’accoppiataEni-Montedison, quel “Troya” che per farsi largonon più certo permettere che un Mattei osi fron-teggiare le nostre sette, beneamate sorelle dell’oronero. Ed espone il suo “piano”, Pier Paolo, nelcorso di una conversazione con l’autore del librosubito scomparso dalle librerie, evaporato, “Que-sto è Cefis – L’altra faccia dell’onorato presidente”,ossia Giorgio Steimetz, pseudonimo dietro al qua-le si celava un giornalista dell’Agenzia Milano In-formazioni, Corrado Ragozzino (legato all’ex uomodi Mattei all’Eni e nemico giurato di Cefis, Gra-ziano Verzotto). Dice Pier Paolo a Steimetz-Ra-gozzino: “Ho avuto il suo libro in fotocopia dallopsicoanalista Elvio Facchinelli, che con la sua ri-vista ‘L’erba voglio’ si occupa parecchio di Cefis.So che adesso non si trova più da nessuna parte,e io intendo con quello che sto scrivendo di uti-lizzare molto del suo materiale, così difficilmentelo potranno ignorare. E non lo potranno ignorarecerto i magistrati, che a questo punto dovrannoaprire un’inchiesta”.

Libri spariti. Carte scomparse. Capitoli fanta-sma. Eccoci, ad esempio, al giallo dell’Appunto21, quelle 78 pagine di “Lampi sull’Eni”; resta so-lo il titolo ma i fogli mancano all’appello: e infatti,sul totale dei 600 pagine, il “Petrolio” pubblicatoovviamente postumo (per Einaudi nel 1992) neconta 522. Cosa avranno mai contenuto?

Scrive a marzo 2010 Carla Benedetti a pro-posito di “quel capitolo perduto di Petrolio: esi-steva davvero. Legava la morte di Mattei a unacongiura italiana. Un’intuizione che valeva unacondanna a morte. Se quelle pagine esistono, dachi e come sono state prese? Un cugino, GuidoMazzon, sostiene che ci fu un furto. Ne aveva par-lato Gianni D’Elia (autore di “L’eresia di Pasolini”e “Il petrolio delle stragi”, ndr). E ora Mazzon loriconferma a Paolo Di Stefano sul Corriere dellaSera del 4 marzo. ‘Nel ”75, dopo la tragedia diPier Paolo, Graziella Chiarcossi (altra cugina diPasolini e moglie delle scrittore Vincenzo Cerami,ndr) chiamò mia madre per dirle di quel furto.Quando mia madre me lo riferì pensai: ‘accidenti,con quel che è capitato ci mancava pure questa’.E pensai anche: ‘strano però, che senso ha andare

a trafugare le carte di un poeta?’”.Così come era sparito, cinque anni prima, un

brogliaccio scritto da Mauro De Mauro per il co-pione che il regista Francesco Rosi stava prepa-rando su “Il caso Mattei”. Ancora: dalla sentenzapronunciata dalla Corte d’Assise di Palermo a ca-rico di Riina, emerge che “dall’abitazione di Mau-ro De Mauro sparirono le carte contenute in unfaldone dove su scritto vi era la parola ‘Petrolio’”.

Del resto, il magistrato Pietro Scaglione vieneammazzato da Luciano Liggio e Totò Riina pro-prio il giorno prima di andare in tribunale per ver-balizzare sulla morte del giornalista de L’Ora, mag-gio 1971. Otto anni dopo, luglio 1979, viene am-mazzato il vicequestore di Palermo Boris Giuglia-no, fino a quel momento impegnato nelle indaginisul tragico volo che costò la vita ad Enrico Mattei.E il cerchio si chiude.

QUEL BEFFARDO SORRISO DI TROYAPer fortuna, invece, si sono salvate non poche

carte utilizzate da Pasolini a supporto dalla suamonumentale – ed esplosiva – ricerca, quel mag-ma che avrebbe dovuto portare alla stesura (com-pleta, e non mancante delle 78 pagine certo piùbollenti) di “Petrolio”. Scriveva il Corsera a feb-braio 2013: “Tra le carte di Pasolini, oggi deposi-tate al Gabinetto Viesseux, ci sono le fotocopie, lecarte che lo scrittore utilizzò come fonte (ad esem-pio quelle del libro firmato da Steimetz, ndr). Traquei materiali figurano anche altri documenti,sempre procurati da Elvio Facchinelli, animatoredella rivista ‘L’Erba Voglio': si tratta di tre confe-renze (una inedita) di Cefis, compreso un discorsopronunciato all’Accademia militare di Modena il23 febbraio 1972, che Pasolini voleva inserire nelromanzo, come cerniera tra la prima e la secondaparte. E persino l’originale di una conferenza in-titolata ‘Un caso interessante: la Montedison’ te-nuta l’11 marzo 1973 presso la Scuola di culturacattolica di Vicenza, con annotazioni a marginedello stesso Cefis, da lui mai pronunciate”.

Pasolini, delitto di Stato. Come fu per il pre-sidente dell’Eni Enrico Mattei e per il gior-nalista de L’Ora Mauro De Mauro, per il ma-

gistrato Pietro Scaglione e il vicequestore di Pa-lermo Boris Giuliano. Buchi neri nella nostra sto-ria, Servizi fino ad oggi perfetti. Ma qualcosa nel-la trama potrebbe rompersi.

A 41 anni esatti dal massacro di quel corpoall’Idroscalo di Roma, da quell’estremo sacrificioin nome della Verità, forse si apre uno spiraglio.Il 31 ottobre, infatti, l’avvocato Stefano Maccioni,legale del cugino di Pier Paolo, Guido Mazzon,ha chiesto la riapertura delle indagini perchè conla prova del Dna si ha oggi la certezza di almenoun terzo protagonista sulla scena del delitto: quel-l’Ignoto 3 fino ad oggi rimasto sempre nell’ombra.Ma dagli accertamenti scientifici potrebbero sal-tare fuori anche altre presenze: perchè – comeviene ricostruito con estrema chiarezza nel filmappena uscito “La macchinazione”, protagonistaMassimo Ranieri nelle vesti di Pier Paolo – c’era-no parecchi malavitosi (con ogni probabilità ma-novalanza della banda della Magliana) ad affollarequel macabro palcoscenico nella notte del 2 no-vembre 1975.

L’avvocato Maccioni (il cui studio legale è sta-to forzato da “ignoti” lo scorso marzo) ha appenaconsegnato al pm Francesco Minisci della procuradi Roma la richiesta di riapertura indagini; e sot-tolinea come, sulla base di un parere pro veritatedella genetista legale Marina Baldi, la sera del de-litto oltre a Pier Pasolini e a Giuseppe Pelosi erapresente almeno una terza persona. “Abbiamo ilprofilo biologico di questo ignoto – osserva Mac-cioni – la Baldi nella sua relazione pone in evi-denza alcuni elementi molto importanti. In par-ticolare, riprendendo quanto sostenuto dal RIS,afferma: ‘Sul reperto 7, maglia di lana a manichelunghe, ci sono altri due DNA, di cui quello del2° soggetto ignoto è misto al DNA di Pasolini, edè stato riscontrato anche su altri reperti, ma quelloappartenente a ‘3° soggetto ignoto’ è un profilosingolo, estrapolato da una traccia verosimilmenteematica’. Insomma, c’è l’impronta biologica diqualcuno che, nel momento in cui c’è stato il con-tatto con la vittima, era ferito, con ferita recenteperchè perdeva sangue”.

Prosegue Maccioni. “Chiediamo alla procuradi Roma di procedere alla riapertura delle inda-gini al fine di individuare a chi appartenga il pro-filo biologico di ignoto 3, oltre che ovviamentequello degli altri DNA rimasti allo stato ignoti.Riteniamo che la procura potrebbe restringere ilcampo d’azione utilizzando la tecnica NGS (NextGeneration Sequences, ndr), ma soprattutto in-dagando nell’ambito della criminalità romana del-l’epoca, considerando soprattutto coloro che gra-vitavano intorno alla neonascente Banda dellaMagliana”. E ancora: “Abbiamo evidenziato unnome tra tutti, quello del professor Aldo Seme-rari, che ricorre nella memoria presentata dai pmin relazione al processo di Mafia Capitale e cheguarda caso era stato anche il consulente di PinoPelosi nel primo processo innanzi al tribunaleper i minorenni. Ci auguriamo che l’aver ancoratola nostra richiesta ad un dato incontrovertibile,come il DNA, induca la procura di Roma, nellaquale riponiamo la massima fiducia, a continuarenella ricerca della verità”.

Due incisi. Il criminologo Aldo Semerari ven-ne ammazzato dalla camorra, che lo decapitò;aveva effettuato diverse perizie psichiatriche sumalavitosi, compreso il boss del Nco, don Raf-faele Cutolo: sono socumentati i rapporti che esi-stevano tra la declinante NCO e la rampante Ban-da della Magliana. Fu del giudice minorile CarloAlfredo Moro – fratello dello statista Dc uccisodalle Br per volontà di Servizi e di una parte del-la Dc (Andreotti e Cossiga) – la prima sentenzaa carico di Pelosi, il quale – scrisse Carlo AlfredoMoro – “non agì da solo, ma in compagnia di al-tri soggetti rimasti ignoti”.

Qualche settimana prima Maccioni e Baldiavevano preso parte ad una conferenza stampaindetta alla Camera dei deputati dalla parlamen-tare Serena Pellegrini di Sel-Sinistra Italiana, perillustrare i nuovi elementi sul caso-Pasolini e larichiesta di dar vita ad una commissione d’in-chiesta monocamerale. “La commissione – sot-tolinea Pellegrino – sia avviata quanto prima, av-valorata dai nuovi inquietanti dati: è un appelloche rivolgo ai parlamentari del Pd, inizialmente

ANDREA CINQUEGRANI

Pier Paolo Pasolini. A sinistra Eugenio Cefis.Sotto, David Rossi.

MISTERI

N O V E M B R E 2 0 1 6 13

Tra le carte, anche un prezioso schema rias-suntivo titolato “Appunti 20-30. Storia del petrolioe retroscena”. Così scriveva il profetico Pier Paolo:“In questo preciso momento storico (I Blocco po-litico) Troya (!) sta per essere fatto presidentedell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo pre-decessore (caso Mattei, cronologicamente spostatoin avanti)”.

Ed ecco Cefis-Troya nelle sue parole, scolpitecome rilucente marmo: “Lui, Troya, è un uomosui cinquant’anni, ma ne dimostra meno. La primacosa che colpisce in lui è il sorriso. (…) Il sorrisodi Troya è un sorriso di complicità, quasi ammic-cante: è decisamente un sorriso colpevole. Con es-so Troya pare voler dire a chi lo guarda che lui losa bene che chi lo guarda lo considera un uomoabbietto e ambizioso, capace di tutto, assolutamen-te privo di un punto debole, malgrado quella suaaria da ex collegiale povero e da leccapiedi di sa-grestia. (…) Troya, sorridendo furbescamente, vo-leva far sapere ininterrottamente, senza soluzionedi continuità, e a tutti che lui era furbo. Quindiche lo si lasciasse andare, per carità, che lui ‘sa-peva certe cose’, ‘aveva certi affari urgenti d’im-portanza nazionale’ (che un giorno o l’altro si sa-rebbero saputi), che lui ‘era così abile e diciamopure strisciante da cavarsela sempre nel miglioredei modi e nell’interesse di tutti. Naturalmente,essendo un sorriso di complicità era anche un sor-riso mendico: mendicava cioè compassione, nellasua manifesta colpevolezza. (…) Ecco tutto ciò chesi sapeva attualmente sulla sua persona. Il linguag-gio con cui egli si esprimeva era la sua attività,perciò io, per interpretarlo, dovrei essere un mer-cialista, oltre che un detective. Mi sono arrangiatoed ecco cosa sono venuto a sapere”.

Un fiume da 600 pagine meno 78. Quantobasta per essere ammazzato di botte all’Idroscalo.

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C’è una sorta di filo rosso che lega la questione dei vaccini, il processo sul sangue infettoe la vivisezione (che gli “scienziati” preferiscono chiamare – tanto perchè nessuno

schizzetto di sangue possa macchiare i loro camici bianchi e immacolati – sperimenta-zione animale). E vi sono, soprattutto, tre fattori “strutturali” in comune. Per cercare dicomprendere fino in fondo la sostanza reale delle tre “storie” conviene cominciare dallafine. O meglio, dalla domanda che molto spesso occorre farsi per trovare il bandolo dellamatassa: cui prodest, chi ci guadagna?

Sui traffici di sangue – fino al 1991 in totale deregulation esenza un minimo controllo sulla qualità e non pericolosità dei pro-dotti, gli emoderivati – hanno costruito le loro fortune big della la-vorazione e della distribuzione, dalle multinazionali a stelle e stri-sce, ai colossi tedeschi e a casa nostra il gruppo Marcucci, alcuniex dirigenti del quale sono oggi sotto processo a Napoli per l’eternoprocesso iniziato a Trento nel 1999: finirà con la solita prescrizioneo più probabilmente perchè il fatto “non sussiste”, il reato a quasiun quarto di secolo “non più dimostrabile”, le “prove raccolte nonidonee a suffragare le ipotesi di reato”, pesantissime: un copionegià scritto. Fino ad oggi una sola verbalizzazione, quella del superematologo Piermannuccio Mannucci, un quasi Nobel, il quale hatestualmente dichiarato: “quando ho chiesto alle case farmaceutichela provenienza del sangue, mi hanno detto che era tutto a posto.

Il sangue – ha precisato – mi dicevano che era stato prelevato dalle massaie o dagli stu-denti dei campus universitari americani”. Mentre è accertato che molte partite – spessoe volentieri stoccate nei depositi frigo in compagnia del baccalà – provenivano dallegalere a stelle e strisce: tra le più gettonate quelle dell’Arkansas.

Sul fronte dei vaccini il clima si sta facendo bollente. Il diktat dell’Ordine Nazionaledei Medici (“sanzionati o radiati quei medici che si rifiutano di somministrare vaccini”)e il caso della ragazza di ritorno da Cracovia e morta per meningite, stanno creando unclima da caccia alle streghe, ossia contro coloro i quali “osano” mettere in dubbio nonl’importanza dei vaccini, ma si azzardano a pretendere un minimo di trasparenza e chia-rezza. Per la serie: è reato esigere una qualità assoluta, certificata, a prova di bomba deiprodotti? E’ una bestemmia chiedere – come da mesi sta facendo, nel più assoluto deserto– l’oncologo partenopeo Antonio Marfella, che per primo ha denunciato gli orrori dellaTerra dei Fuochi con don Maurizio Patriciello, che caso mai quei delicatissimi vaccini

possano essere prodotti da aziende di Stato? Visto che la CassaDepositi e Prestiti è così solerte nell’entrare in tutte le possibilicompagini azionarie (ed è dentro Kedrion, la corazzata di casaMarcucci, che non avrebbe alcun bisogno anche dei danari pub-blici per veder gonfiare i suoi giganteschi profitti), perchè non de-cide di investire nei vaccini? Impossibile pensarlo? Dicono alcuni:ma le case farmaceutiche hanno pochissimi margini di utile coni vaccini, che costano una miseria. Bugia. Trattandosi di prodottidi massa, commercializzati su larghissima scala, i margini per BigPharma si creano da soli (proprio sulla quantità). E poi: un recen-tissimo documento elaborato dell’Authority per la Concorrenzaha verificato che il giro d’affari nel prossimo hanno raddoppierà,per via di investimenti pubblici (da 300 a circa 600 milioni di eu-ro); e nel settore manca la dovuta trasparenza.

Passiamo alla vivisezione. Anche qui – come continua a spiegare il cofondatore delMovimento Antispecista Bruno Fedi, senza che Big Media trovi spazio per illustrare lesue argomentazioni scientifiche – a dettar legge sono solo e unicamente gli interessi dellacase farmaceutiche, di Big Pharma. Non c’è alcuna trasferibilità dimostrata dei risultatidella sperimentazione animale sugli “umani” – dimostra Fedi, carte alla mano – in questomodo la scienza finisce per regredire, altro che progressi! L’unica strada da battere – so-stiene – è quella dei metodi alternativi, come del resto dimostra il caso della non certoprogressista e non certo scientificamente “tribale” Inghilterra, che ha deciso di dare unforte impulso ai “metodi alternativi”. L’Europa, invece, è ai piedi di Big Pharma: senzail “bollino blu” della sperimentazione sulle cavie i farmaci non possono essere commer-cializzati. E il ministro Lorenzin è genuflesso di fronte alle richieste di Frau Merkel.

Un fresco di stampa, edito da Mimesis, “Per gli animali è sempre Treblinka”, pro-mosso dal Dipartimento di Diritto internazionale dell’Università Cà Foscari di Venezia,riesce a documentare in modo analitico sotto svariati profili sia l’immoralità (crudeltàcompresa) delle prassi vivisezioniste, che la loro assoluta inutilità sotto il profilo scien-tifico: trovando alla radice una sola motivazione, quella degli interessi di Big Pharma.

Nei tre casi la situazione, anche plasticamente, è ben chiara. Al vertice ci sono gliinteressi dei colossi del farmaco, ormai la prima industria al mondo: ha superato quelladel petrolio e delle armi, è in cima alla hit nei finanziamenti delle campagne presidenzialiUsa, dividendo praticamente fifty fifty i fondi tra democratici e repubblicani. E’ la forzadei soldi, del dio denaro, dei dollari a muovere questo mondo sempre più “malato” (èproprio il caso di dirlo). Nel mezzo c’è la lobby accademica, baronale, universitaria, me-dica e “scientificamente” (sic) continuando. E così detta legge, per fare un solo esempio,il Verbo della senatrice e farmacista a vita Elena Cattaneo, che periodicamente dà lezionial popolo bue – spesso e volentieri sulle colonne della “progressista” Repubblica – suivaccini o sulla sperimentazione animale, oppure sugli Ogm (a proposito, dimenticavamol’altro maxi investimento di big Pharma: testimoniato dalla fresca acquisizione del colossoOgm Monsanto da parte del colosso farmaceutico Bayer!).

I NUOVI SCHIAVI DI BIG PHARMAAlla base della piramide schiacciata, calpestata (nei diritti più elementari, compreso

quello alla vita), massacrata, umiliata, la massa dei cittadini, quel popolo bue che conla più gran facilità si trasforma in carne da macello, vacca da mungere, vitello da sacri-ficare. Per la storia del sangue killer sono morte migliaia di persone (circa 3000 secondostime ufficiose, quelle accertate sono circa 1.200, altre migliaia non hanno avuto la forza

Gli interessi di Big PharmaPURCHE’ NON SE NE PARLI

Ambiente & Salute

FARMACI

Ecco a voila coppiareale

Miracolo all’italiana. Da due piccoli depo-siti, uno in Liguria e l’altro nella sgarru-

pata Napoli, ai grattacieli di Manhattan e agliovattati office svizzeri, da una piccola far-macia a gestione familiare ad un vero e pro-prio impero di pillole & pomate. Artefici dellaepica scalata il pescarese napoletanizzato(e ora globalizzato) Stefano Pessina, secon-do nella hit dei Paperoni d’Italia (10 miliardidi euro il patrimonio stimato da MF MilanoFinanza) alle spalle dell’eterno primo Leo-nardo Del Vecchio, il patròn di Luxottica; eOrnella Barra, sua compagna di vita e di la-voro, originaria di Chiavari, la quinta donnapiù potente d’Europa secondo l’ultima clas-sifica stilata da Fortune. Caldo come unasfogliatella il più fresco colpo messo a se-gno dalla super coppia: l’acquisto, per 17miliardi e 200 milioni di dollari, di “Rite Aid”,una delle maggiori catene farmaceutichestatunitensi. Una irresistibile ascesa comin-ciata a fine anni ’70, andata avanti con pas-so regolare nello shopping di sigle e mar-chi, fino al boom del 2014, con l’acquistodi un’altra star a stelle e strisce, il gruppoWalgreen.

Ma ricostruiamo le tessere del mosai-co, business su business. Il primo matton-cino della casa si chiama “Di Pharma”, chenasce da un’idea della vulcanica Ornella, su-bito condivisa con il rampante Stefano, giàa bordo della sua creatura, “Alleanza Far-maceutica”, che germoglia e dà i primi fruttial sole di Napoli. E’ qui che mette radici ilquartier generale, dove sboccia “AlleanzaSalute” e viene partorita la avveniristica stra-tegia di globalizzazione precoce. Prima tap-pa estera la Francia, dove nasce “AllianceSantè”: nel mirino ci sono i paesi mediter-ranei, i mercati del farmaco in Spagna, Por-togallo, Grecia, Marocco. Dalla fine deglianni ’90 la campagna acquisti procede a rit-mo impetuoso: è del ’97 il matrimonio conUniChem, che porta alla nuova creatura “Al-liance Unichem”. ’98, è la volta di un acqui-sto spagnolo, il “Grupo Safa”; ’99, eccociin Svizzera e la firma di un accordo strate-gico con “Galenica”. Passiamo all’asso olan-dese: nel 2000 viene fatto un sol boccone

della “De Vier Vijzels”, mentre l’anno seguen-te la marcia prosegue in Turchia, altri patticon la “Hedef”. Passano pochi mesi e nel2002 val la pena di fare un salto in Norvegiae portarsi a casa la “Holtung”.

Ma il salto di qualità è del 2005, quan-do arriva lo sbarco in Inghilterra e va a se-gno la fusione con lo storico colosso britan-nico “Boots Group Plc”, ovvero la smisuratacatena di farmacie fondata dal patriarcaJohn Boot a metà ‘800 a Nottingham e por-tata avanti col figlio Jesse. La neonata “Bo-ots Alliance” può contare su due sedi pre-stigiose, a Londra e a Berna.

Dopo meno di dieci anni, nel 2014, l’al-tro colpo del secolo: l’incorporazione di unbig nel trade farmaceutico, l’americana Wal-green: viene quindi tenuta a battesimo l’en-nesima creatura della story, “Walgreen BootsAlliance”, il cui quartiere generale passa dagliavamposti europei a quelli statunitensi, inparticolare a Deerfield, nell’Illinois, con pro-paggini operative nel Delaware.

Siamo ai giorni nostri e all’ultima gem-ma, Rite Aid: un boccone da 17 miliardi erotti di dollari, grazie anche alle coperturefinanziarie concesse dalla nipponica “Sumi-tomo Mitsui Banking Corporation”. La frescaoperazione fa compiere un balzo ai numeridel gruppo: da 350 mila a 470 mila dipen-denti, al quindicesimo posto nella hit inter-nazionale, 15 mila farmacie sparse in 25paesi, 400 punti vendita che servono circa200 mila farmacie, un giro d’affari che su-pera il tetto dei 100 miliardi di dollari e utili,nell’ultimo esercizio, per 4 miliardi.

In questo scenario, il timone di coman-do è equamente suddiviso. Lui è Chief Exe-cutive Officer; lei Chief Operative Officer. Unincarico, quest’ultimo, che consente il con-trollo di una sfilza di segmenti operativi: dal-l’International Retail (le vendite al dettagliodall’Asia all’America Latina, passando per ilGolfo Persico e l’Europa) ai “Global Brands”,dalla “Pharmaceutical Wholesale” (il cui brac-cio strategico è “Alliance Healthcare”) alle“Global Human Resources”, fino alla varie-gata gamma di rami che spuntano nella ri-gogliosa “Global Communications and Cor-porate Affairs”. Quest’ultimo “brench”, infatti,riguarda alcuni target oggi molto in voga,come le campagne di solidarietà, le attivitàfilantropiche, le relazioni istituzionali e gover-native nonché le “gestioni di crisi”.

La “Thatcher dei medicinali”, insomma,riesce a coniugare attività strettamente eco-nomiche (tra l’altro siede anche nel consigliod’amministrazione delle Assicurazioni Gene-rali) a quelle di carattere sociale, culturalee di public relations: per fare un solo esem-pio, le è stata conferita una cattedra ad ho-norem dall’università di Nottingham, forsegrazie ai buoni uffici della Boot dinasty.

Lady pillola, comunque, nella classificadi Fortune viene etichettata come cittadinaresidente a Monaco. Commenta in un arti-colo denso di lodi ed encomi l’inviato di Re-pubblica da Londra Enrico Franceschini:“La scelta di risiedere nel principato e pren-derne la cittadinanza non è stata esenteda critiche: l’anno scorso, quando Pessinaaffermò in un’intervista che il partito labu-rista guidato da Ed Miliband non sembrava

avere un grande futuro (previsione peraltroconfermata poco tempo dopo alle urne), ilLabour rispose che non accettava consigli‘da chi non vive e non paga le tasse in GranBretagna’ pur avendovi – sottinteso – enormiinteressi con le farmacie Boots. Un nome fa-miliare a ogni inglese, in ogni strada, in ognicittà di questo Paese”.

E farà un po’ girare le eliche anche delnostro premier Renzi, un’intervista rilasciatada lady Barra al CorrierEconomia, dove –dimenticando i primi passi mossi tra la far-macia Bellagamba a Chiavari e il depositodi Lavagna – snobba il Belpaese quandopassa in rassegna i mercati più interessantiper il suo mega gruppo: “abbiamo una stra-tegia e un modello globale che adattiamoin tutti i diversi contesti geografici in cuioperiamo, con grande flessibilità. Osservia-mo – nota acutamente – sempre con gran-de attenzione le opportunità che si manife-stano in tutto il mondo. Gli Stati Uniti sonoun mercato estremamente importante e incontinua evoluzione, così come l’AmericaLatina”. “Per quanto riguarda l’Italia – ag-giunge – come noto abbiamo dichiarato lanostra intenzione di valutare un investimen-to, se le condizioni al contorno lo permet-teranno, nel caso in cui l’attesa riforma sullaconcorrenza venga realizzata come da pro-grammi e senza ulteriori indugi”. Ma chi èfrau Merkel?

E se il trade è in ebollizione, anche l’in-dustria va a gonfie vele e sempre in pole po-sition – tanto per ricordare – sul fronte dei fi-nanziamenti “presidenziali” a stelle e strisce,storicamente suddivisi in modo bipartizan trademocratici e repubblicani (stavolta però Hil-lary fa la parte del leone, anzi della leonessa).Poi il colpo da novanta. Il fresco acquisto delcolosso Usa degli Ogm, Monsanto, da partedel colosso tedesco Bayer per 50 miliardi didollari: un mix davvero esplosivo.

Altra grossa operazione in Europa: scam-bio di settori fra la tedesca Boehringer e lafrancese Sanofi. Quest’ultima cede uno deigioielli di casa, la Merial, specializzata in pro-dotti veterinari e valutata 11 miliardi e mezzodi euro, in cambio della ‘divisione salute pub-blica’ della prima, CHC, che produce farmacida banco ed è stimata 6 miliardi e mezzo:come per il mercato calciatori, serve un con-guaglio per portare a termine l’affare, e va aSanofi, per una cifra che sfiora i 5 miliardi dieuro. Piccole operazioni a casa nostra, conun mercato italiano che lady Barra giudicatroppo stretto per i suoi gusti.

Farà certo un sorrisetto a sentire le cifredell’ultimo acquisto di casa Recordati, anch’es-sa vocata allo shopping estero negli ultimianni: ha appena acquisito il 100 per centodi Pro Farma, una dinamica azienda svizzera,acquartierata nel cantone di Zug.

La sigla – fanno notare gli addetti – ha“una buona attività di distribuzione e di servizidi promozione per conto di altre società far-maceutiche”. Ma serve soprattutto per aprirsiai sempre utili Cantoni: “l’acquisizione – os-serva il patròn, Giovanni Recordati – è un’ot-tima base su cui stabilire la nostra attivitàoperativa in Svizzera dove abbiamo di recen-te iniziato a commercializzare uno dei prodottidi punta, Livazo”. (a. c.)

di intraprendere un percorso giudiziario disperante, secondoi calvari della giustizia di casa nostra). Una vergogna di Stato,un massacro legalizzato di inermi cittadini, colpevoli solo diaver fatto una trasfusione con sangue caso mai prelevato nellecarceri dell’Arkansas o di aver utilizzato albumina non per-fettamente testata. Chi doveva controllare – almeno fino al1991 – non ha controllato: è stato connivente o colluso. Andràmai in galera qualcuno? Dopo il processo di Napoli, non restache la Corte di Strasburgo: quella per i crimini contro l’uma-nità, che ha processato un Milosevic ma fino ad oggi non siè trovata alla sbarra chi ha consapevolmente immesso sulmercato prodotti per far soldi & profitti, fregandosene dellavita o della morte di chi quei luridi prodotti avrebbe assunto:come farmaci salvavita!

Per la storia dei vaccini a subire le conseguenze sono so-prattutto i bambini. Vaccinì sì, osserva Dario Miedico, un altroscienziato senza diritto di parola: ma con tutte le cautele, conogni precauzione. Quanti sono i casi di effetti devastanti dopouna settimana, un mese o più? E poi le denunce sono ormaiun percorso ad ostacoli insormontabile, contro i muri di gom-ma di Asl, commissioni regionali, ministero, avvocatura distato. Una perfetta “associazione” a tutelare, invece della salutedei cittadini, soprattutto più deboli, gli interessi di Big Pharma.A diversi ambulatori medici – osservano dal Veneto alla Li-guria – nei quali era semplicemente esposta una locandinadove si consigliava alle famiglie di chiedere tutti i chiarimentipossibili ai medici prima di vaccinare i propri bambini, sonostate ritirate le convezioni. Appestati, infetti, quelli che osanomettere in dubbio le certezze di “Big Pharma” e dei maggior-domi in camice bianco…

E gli ultimi degli ultimi non possono essere che loro, lecavie, gli animali. “Sono convinto che se la gente potesse ve-dere le immagini dei massacri quotidiani nei macelli di tuttoil mondo, nessuno avrebbe più il coraggio di mangiar carne.Ma occhio che non vede cuore che non sente”, scrive il filo-sofo buddista francese Matthieu Ricard nel suo “Sei un ani-male” edito da Sperling & Kupfer. Se non li mangi, però, lifai a pezzi, li sezioni da vivi: perchè – come viene documen-tato in “Per gli Animali è sempre Treblinka” – il 65 per centodelle “sperimentazioni” avviene senza anestesia; il 23 conuna anestesia solo parziale. E li amputi, li lobotomizzi, li la-parotomizzi, li elettrizzi, li ingabbi, li affami, li asseti, li rendifolli, inietti virus cancerosi. Quando poi è tutto inutile, la me-dicina non muore senza quegli esperimenti da lager hitleriani(come invece sostiene lady Cattaneo), non torna ad uno stadiotribale (è sempre la farmacista che parla): perchè ad uno stadiotribale è oggi, quando ha bisogno di massacrare 500 milionidi creature all’anno nel mondo, 12 milioni nella civile Europa,1 milione nella democratica Italia.

Dimenticavamo le vittime da Ogm. Sulle bontà – o meglionon nocività dei prodotti – non c’è ancora certezza scientifica.Ma un dato è ormai assodato: per via delle politiche Ogm at-tuate anche stavolta da Big Pharma – come documenta Mar-cello Buiatti, per anni docente di Genetica – sono i contadinia pagare il prezzo più alto, dal Sud America all’India, le gentidelle favelas neo schiavizzate, sei costretto a ricomprare ognianno quel diritto che hai già acquistato: come neanche il peg-gior usuraio o il più bieco taglieggiatore, i signori targati Ogm.Che oggi sono gli Herr o le Frau di casa Bayer…

Cristiano Mais

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Antonio Marfella

Bruno Fedi

Stefano Pessina e Ornella Barra

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Ci ho provato. Mi sono interrogato per capire se nelmio fantastico dell’immaginario prevalgono le analo-

gie o le diversità tra generi che molti giudicano conti-gui, altri imparagonabili, cioè tra musica classica e jazz,la cosiddetta leggera; tra artisti survoltati da abili rasdel mercato che spacciano corbellerie per geniali instal-lazioni e lievitano le quotazioni dei loro “assistiti” con lacomplicità di critici sollevati dall’analisi di opere di cuipossono dire e scrivere quello che gli pare senza temadi smentite. La sublime musica operistica spesso colo-ra di note, testi insulsi, sdolcinati, fuori dalle realtà, co-me la maggior parte delle fiction in corso. Il nuovo dellamusica sinfonica, l’ostica atonale, deve riconoscere ladecisa supremazia del buon jazz nella scala valori del-l’innovazione. Nota dolente è l’ostracismo snob per lacosiddetta musica leggera. Non c’è dubbio, molto diquesto mondo governato da discografici che inseguonolivelli modesti di competenza, gusto e capacità criticadegli utenti, è paccottaglia, somma di testi pedestri enote scopiazzate qua e là. Durano poco o niente questiprodotti, inseguono fruitori musicalmente ignoranti, svili-scono il mondo abitato da grandi autori di parole e noteche si fondono in un esito di livello elevato, testimonedel proprio tempo, immagine allo specchio che anticipal’evoluzione di sentimenti, qualità e negatività della so-cietà nelle varianti dettate dall’accelerazione dei muta-menti. Il pianeta della musica leggera è abitato daun’umanità spesso agli antipodi: da meteore senza futu-ro immesse con evidenti forzature nel sistema discogra-fico, spese in feste di piazza e spot promozionali nelletelevisioni private, tra una vendita di orologi fasulli, trita-tutto variopinti; e da giganti, specialmente cantautori,che scrivono musica sublime. Questi ultimi hanno vitaartistica senza fine, parlano la stessa lingua, universale,a generazioni anagraficamente distanti. La loro musicanon svanisce obnubilata dal tempo, racconta la storia, isuoi mutamenti e non poche volte quello che chi ha ilpotere non vuole sia rappresentato.

Un chiarissimo esempio di casa nostra è certamente“C’era un ragazzo, che come me…” scritta da Franco Mi-gliacci e Mauro Lusini, grido esplicito contro la guerra, inparticolare quella del Vietnam, argomento tabù per gliamericani e i suoi alleati, dunque per l’Italia. Nel mondodella cosiddetta musica leggera irrompono interpretieccelsi e chiunque ne riconosca lo spessore finisce perconsiderarli scrittori impegnati, protagonisti del nostrotempo, narratori raffinati, ribelli (rivoluzionari?), voci discontenti, arrabbiati, contestatori, antagonisti, o sempli-

cemente poeti, nell’accezione che riconosce la qualità dianticipare i tempi e scandirli con parole e musica. In unPaese che tollera male comportamenti critici e contestazionida sinistra, Dylan è la voce del movimento di protestaamericano e interpreta la controcultura del suo tempo. Di-venta un mito, attraversa tutte le forme musicali, country,blues, gospel, rock & roll, jazz, swing, spiritual, la musicapopolare inglese, scozzese, irlandese.

Il Nobel gli è assegnato con questa motivazione: “Peraver creato una nuova espressione poetica nell’ambitodella tradizione della grande canzone americana”. Primadella Svezia è stata proprio l’America contestata da Dylana destinargli premi prestigiosi: Grammy Award alla carriera,Popolar Music Prize (per la musica equivale al Nobel), ipremi Oscar, Golden Globe, Pulitzer, la National Medal ofArts, la Presidential Medal of Freedom.

L’annuncio del Nobel coincide con l’addio alla vita diDario Fo ed è impossibile non confrontare i due riconosci-menti. Anticonformisti l’uno e l’altro, liberi pensatori in uncontesto politico intollerante, dotati di straordinaria polie-dricità: Bob poeta, scrittore, attore, pittore, scultore, con-duttore radiofonico, cantautore; Dario scrittore, attore, re-gista, autore di canzoni dissacranti, antagonista del potere,pittore. Con Bob Dylan il Premio Nobel si riscatta rispettoalle critiche per scelte quasi esclusivamente accademiche.Per atti come questo, di coraggio anticonformista, perfortuna non è mai troppo tardi.

LUCIANO SCATENI

Dylan poeta in musica

Walter Veltroni con i conduttori del suo show.Nella foto in basso, Bob Dylan.

Media & Regime

N O V E M B R E 2 0 1 6 15

WALTER VELTRONI

sfilza di XXXX ricoprono nome e cognomedell’ex sindaco di Roma.

Le bugie, però, hanno le gambe corte. EWalter Pinocchio, nello smentire tramite il suoavvocato la partecipazione a qualsiasi sodali-zio segreto, fa un salto troppo lungo, negandoogni sua partecipazione a meeting dei Bilder-berg. Le cronache, del resto, hanno riportato,in passato, il suo nome tra quelli dei Potentidella Terra, senza peraltro ledere alcuna mae-stà, se non scostare appena il velo di tali au-guste privacy. E fu proprio la Voce, in un’in-chiesta di 11 anni fa, febbraio 2005, a rico-struire la Bilderberg story, iniziata in Olandatra nostalgici nazisti e vip dell’epoca, e appro-data nel 2004 sulle rive del lago Maggiore, in“uno dei più esclusivi alberghi di Stresa”, pro-prio per festeggiare la cinquantesima cande-lina. “Coperti dal più assoluto riserbo – det-tagliavamo – a Stresa sono arrivati parecchipezzi da novanta della politica e della finanzainternazionale, da Henry Kissinger a RichardPearle, da David Rockfeller a Melinda Gates.Di tutto rispetto la nostra pattuglia”. E elen-cavamo una dozzina di grossi calibri nostrani.Così proseguiva il pezzo: “Alle precedenti riu-nioni, comunque, i nomi di casa nostra sonostati ancor più altisonanti. Molto qualificatala ‘delegazione’ politica: Walter Veltroni (al-l’epoca direttore dell’Unità), Virginio Rognoni(in qualità di ministro della Difesa, oggi vice-presidente del Csm), Emma Bonino (comemembro della Commissione europea), gli exbig del garofano Claudio Martelli (a quel tem-po Guardasigilli), Gianni De Michelis (Esteri),nonché dell’edera con Giorgio La Malfa. ForzaItalia – veniva aggiunto – scende in campocon Domenico Siniscalco e Giulio Tremonti(presenti anche al summit di Stresa).

Ma le iper sensibili corde del cuore diWalter saranno state certo più duramente mes-se alla prova da un’altra storia successa dueanni dopo, metà 2007. Una storia che portada uno dei luoghi cult di Roma, Villa Ada,nientemeno che a Villa Wanda, magione are-tina del Venerabile Licio Gelli. E tutto succedequando lui, Walter, è il primo cittadino dellaCittà Eterna.

DA VILLA ADA A VILLA WANDAComplessa la trama, come nei migliori

thriller che di sicuro il regista-scrittore-auto-re-critico-neo ideatore tivvù ama. Un piccoloarcipelago di società fantasma, il sapore di si-gle antiche, il rumore dei giocattoli che ripor-tano all’infanzia, alla ‘memoria'; e poi deliberemunicipali, milioni di euro pubblici, proget-tisti, faccendieri, ambientalisti; e – cilieginasulla torta – lo stretto entourage dell’ex capodella P2. Al centro dell’intrigo i destini di unaparte non da poco di Villa Ada e, soprattutto,la creazione di un “Museo del Giocattolo”, ilcui itinerario subisce svariati cambi di rotta evede una serie di personaggi – non sempretrasparenti – alternarsi sulla scena. Tra i pro-tagonisti e interpreti del copione, Marta Sa-narelli, consorte del primogenito del Venerale,Raffaello Gelli, Filiberto Morasca, altra pedinanello scacchiere gelliano (a lui faceva capo lasocietà Omega), Leonardo Servadio, il proprie-tario della antica e preziosa collezione di gio-cattoli (con ogni probabilità a suo tempo ac-quistata proprio in tandem col Venerabile).

Il film prevede, come di rito, due tempi.Nel primo è possibile ammirare i tentativi deiprotagonisti di mettere a segno una serie diprogetti proprio nel paradiso di Villa Ada; nelsecondo quelli relativi alla collocazione delMuseo del giocattolo. Fil rouge i soldi, gli af-fari, visto che nelle delibere passate al vagliodal Campidoglio si parlata di una dozzina dimilioni di euro (che lievitano fino a quasi 15):non proprio noccioline per un Comune presod’assalto da centinaia di predoni e nel qualegià allora – Veltroni sindaco – avrà inizio loscavo di buche colossali nei suoi conti eco-nomici (poi verranno le disastrose gestioniAlemanno e Marino).

Il bandolo della matassa fa capo sempread “Antiqua 2001”, una sigla riconducibile acasa Gelli e alla “Ad Service” di Morasca che– i casi della vita – coltiva interessi nel campodella produzione cinematografica, attraversola Baker Pictures. Come si vede, il consuetogioco di scatole cinesi. O di specchi. Quellodi Antiqua riflette un forte interesse per unabella fetta di Villa Ada. Così dettagliava la Vo-

Tutti lo vogliono tutti lo cercano. E’ già ilnuovo Mito di mamma Rai, che del restoconosce come le sue tasche, i corridoi di

viale Mazzini quanto quelli di casa. Of cour-se, si tratta di Walter Veltroni, l’americanoche torna in Patria, il figliol prodigo che sbar-ca per portar Cultura al popolo bue. Dopo fal-ci e martelli, è l’ora di Cuori & Memorie, chediffonderà per quattro sabato sera, in compa-gnia dell’Uomo dei Pacchi, Flavio Insinna.

Un week end trionfale, quello di metà ot-tobre, per mister I Care. Comincia con lo sco-op del secolo sulle colonne del Corriere delloSport, per il quale è già – alle partite d’esor-dio – la firma di punta, il Messi delle inter-viste. Da Pallone d’Oro le confidenze raccoltedalla bocca di Max Allegri, il coach della suaJuve: titolone da scatola, cubitali i caratteriper il suo scoop, una fiondata nel sette allaPlatini. A neanche una settimana dall’altroimperdibile racconto, le memorie del re deRoma Francesco Totti, altro capolavoro d’au-tore di vite pallonare.

E con Buffon continua il dream stavoltanegli studi di Rai1, sabato palla al centro. Edè già standing ovation prima ancora del fi-schio d’inizio. Suonano i violini di Repub-blica, un paginone tutto miele: “seduto nelsuo studio foderato di libri e dvd, l’ex segre-tario del Pd, oggi scrittore e regista (dopo ilfilm su Berlinguer e quello sui bambini, re-cord di ascolti su Sky, prepara un documen-tario sulla felicità), racconta il suo sabato for-mato tv”. Le Sue Parole: “Leonardo Pasqui-nelli di Magnolia mi chiese di collaborare aun loro progetto, ma non ero adatto. Però gliparlai dell’idea che, dai romanzi ai film, miossessiona da sempre: la memoria. Volevo ca-pire se fosse possibile portarla in una dimen-sione spettacolare e di massa”.

Lo spartito prosegue tra le note del Cor-sera: “Con la memoria si può anche giocare– è il Verbo di Walter – essere lievi e al tem-po stesso fare uno show del sabato sera cheabbia una sua profondità”. La musica conti-nua suadente: “essere lievi ed essere profondinon è una cosa contraddittoria. E’ forse la co-sa più difficile da fare. Ma certamente è lapiù bella”. In questo “Dieci cose” – pennellaAlessandra Arachi – Walter Veltroni ha messotutto l’amore che ha nel raccontare le personenella loro intimità”. Ma chi erano Salinger eFitzgerald? “La gente mi vuole bene – è lospirito di Francesco che urge dentro di lui aparlare – perchè ho abbandonato il potere. Enon ho più chiesto poltrone”, forse rivolto alpiù “temporale” Max D’Alema, cui il renzia-nissimo Luca Lotti ha rimproverato l’eternoavvitamento agli scranni.

Un potere che da qualche anno, ormai,provoca l’orticaria nel corpo e soprattutto nelcuore di Walter, ora impegnato invece nellebattaglie umanitarie dell’Unicef o nella pro-mozione del Museo della Shoah. Lo testimo-nia la ferita cagionatagli da un articolo pub-blicato da un blog, www.lolandesevolante.net,che nel 2011 scrisse un servizio titolato “Eccoi nomi segreti dei 43 massoni italiani”.

Nel pezzo veniva poi precisato che si trat-tava di un “elenco degli italiani che hannopartecipato almeno una volta al gruppo Bil-derberg, la loggia massonica più potente almondo”. Una forzatura, dal momento che chilegge pensa subito a cappucci, compassi &grembiulini, mentre l’attenzione è volta algruppo dei Bilderberg, i potenti della terrache da 52 anni si riuniscono una volta all’an-no, quasi sempre in Europa (e sempre nellapiù totale privacy, quest’anno tra i boschi ba-varesi). Il blog dei tulipani, in sostanza, parladi “massoni segreti” (forse intende coperti) edettaglia poi i nomi dei partecipanti italianiai summit targati Bilderberg.

Nessuna smentita, comunque, è arrivataa quel pezzo: tranne che dal legale di Veltro-ni, Luca Petrucci, che così scriveva: “Ho ri-cevuto mandato dall’On. Walter Veltroni didiffidarVi all’immediata rimozione del Suonome dall’elenco pubblicato, in quanto falsoe profondamente lesivo del suo onore e dellasua reputazione. Infatti lo stesso non ha maipartecipato al ‘gruppo Bilderberg’, né è maiappartenuto ad alcuna loggia massonica o or-ganizzazione segreta”. Obbediente, il sito lo“cancellò” da quell’elenco, come si può os-servare dal link: tra la T di Tronchetti ProveraMarco e la V di Visco Ignazio, infatti, una

PAOLO SPIGA

DIECI SOLE

ce in una cover story di luglio 2007, titolata“Adda Venì Veltroni – Da Villa Wanda a VillaAda”: “ad una prima verifica risulta che il Co-mune ha affidato in gestione quell’ampia fettadi paradiso pubblico alla società Antiqua2001, la quale intende realizzarvi, tanto pergradire, un mega ristorante. Il tutto pagandodi fitto al comune la cifra irrisoria di 1900 eu-ro l’anno, nemmeno uno sgabuzzino in peri-feria”. L’operazione, però, non va in porto per-chè scende in campo il Wwf denunciandouna vera e propria truffa: Antiqua, profittandodella scarsa attenzione degli uffici municipali,aveva infatti millantato un accordo con l’as-sociazione ambientalista. Sarà Fulco Pratesiin persona a smentire l’accordo taroccato, nelcorso di una conferenza stampa indetta pro-prio con la Voce, che aveva puntato i riflettorisu quel golpe alla romana.

Secondo tempo e secondo assalto. Stavoltacon i giocatoli a bordo. E’ l’occasione – la pre-stigiosa collezione Servadio – per dar final-mente vita ad un sogno che tutti i romanihanno da sempre nel cassetto: quello di unMuseo delle loro memorie, delle loro primeinfanzie, dei giochi un tempo amati. E’ pro-prio il sindaco Veltroni, nell’estate 2004, adannunciare il gaudium magnum alle porte: Ro-ma ospiterà, entro un paio d’anni, il ‘Museodel gioco e del giocattolo’. “Sarà un grandefatto culturale che permetterà una rivisitazionedei costumi e del rapporto tra la società ed ilgioco in più di cento anni di storia recente,un luogo per tutti, perchè dentro ognuno dinoi si nasconde un bambino”. Parola di sin-

daco. E sembra, oggi, di vedere la sagoma diFlavio Insinna tra Pacchi regalo, fate, nanetti& ‘Dieci cose’ da sogno.

Parte il primo trenino carico di soldi, 5milioni di euro tanto per gradire, stanziati daifondi per “Roma Capitale”. Quasi tutti, 4 mi-lioni e mezzo, servono per aggiudicarsi la pre-ziosa collezione: però difficile da vendere, vi-sto che Servadio aveva già cercato, inutilmen-te, di rifilarla al comune di Perugia, mentreora trova Babbo Natale. Perugina come lo stes-so proprietario, comunque, sarà la società in-caricata di allestire il progetto educativo chefarà da ovvio corredo al realizzando museo:si tratta della cooperativa ABCittà, che nel suopedigree vanta la chicca di un ‘Festival delleUtopie concrete’. Fa tanto sapore di Walter.

Mentre Walter-I have a dream scalda i mu-scoli per allenare il nascente Pd – il suo nomevenne sponsorizzato dal segretario Ds PieroFassino e dal compagno falce e coltello D’Ale-ma, all’epoca ministro degli Esteri – le sigleambientaliste capitoline a metà 2007 si ritro-vano unite nella lotta: per liberare Villa Adada invasori & affaristi. Ma non solo.

Così scriveva il Comitato che radunava 40sigle verdi: “a Roma non esiste la possibilitàdi ottenere quei diritti che i cittadini di nu-merose nazioni europee hanno da tanti annie che garantiscono di essere ‘cittadini’ e non‘sudditi’. Altro che ‘Modello Roma’ da portarea livello nazionale’.

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giustizia al macero Un giallo zeppo di ombre, dubbi e punti in-terrogativi rimasti senza risposta. Trovati in

un baleno l’assassino e i due complici, tre ‘ba-lordi’ romeni. Elementare, Watson. Soprattuttoperchè la strana band ha subito vuotato il sac-co e confessato l’orrendo crimine. La storia èdi ben sette anni fa, ma le vittime sono eccel-lenti. Si tratta di Franco Ambrosio, l’ex re delgrano, e della consorte Giovanna Sacco. Regi-sta dell’omicidio con mini rapina il giardinieretuttofare, Valentin Dimitru, spalleggiato da Ca-lin Petru e Marius Vasile Acsiniei, l’esecutoremateriale, il quale però sei mesi fa ha decisodi “raccontare la verità”. 16 aprile 2009. Leg-giamo un report di agenzia dell’epoca. “Hannoconfessato. Secondo indiscrezioni che hannogià trovato prime conferme i tre romeni ferma-ti hanno ammesso le loro responsabilità. I trekiller sono stati arrestati dagli uomini dellaSquadra mobile che alla notizia del dupliceomicidio hanno fatto scattare una vera cacciaall’uomo in tutta la città, a cominciare da cam-pi rom e baraccopoli”.

Non poche “anomalie” nella dinamica delduplice delitto. Il bivacco pre colpo, la superbevuta, la marea di impronte, la pellicce e gliargenti dimenticati e, ciliegina sulla torta, l’uti-lizzo del cellulare rubato alla vittima: come di-re, sono qui, venitemi a prendere please, for-ze dell’ordine. Una stupidaggine che neanchegli scippatori di sette anni dei vicoli partenopeicommetterebbero mai. Ovviamente la magi-stratura archivia il caso, tutto ok, abbiamo leconfessioni. Elementare, Watson.

Solo che a 7 anni suonati – metà aprile2016 – arriva il botto. Dal carcere di Cuneogiunge una missiva diretta alla procura di Na-poli, che ormai dormiva sonni super tranquilli.Ad inviarla il legale di Marius, l’avvocato torine-se Paolo Dotta (che lavora in tandem con ilcollega partenopeo Antonio Pagliano), il qualefa sapere che il suo assistito vuole verbalizza-re, per raccontare “circostanze di sicuro inte-resse investigativo”. A quanto pare, vorrebbe

– stavolta nel vero senso della parola – vuota-re il sacco. E raccontare quel che si nascondedietro quella evidente – tranne che per gli in-quirenti – sceneggiatanapoletana.

Va solo ricordatoche Franco Ambrosioera uno degli imprendito-ri di maggior peso nellaNapoli che conta, a bor-do della corazzata Ital-grani, che per un ventennio ha dominato gliscenari nazionale – e anche internazionali –nel trading di grano. Grande amico di ‘O mini-stro Paolo Cirino Pomicino che riuscì a fargliottenere – quando era prima a capo dellacommissione bilancio della Camera, poi dellostesso dicastero – ingentissimi fondi europei,un vero e proprio record per quei tempi. EAmbrosio fu molto generoso nel contraccam-biare: un attico a Posillipo ceduto all’amico mi-nistro a prezzi catastali, uno jatcht – il Claila –noleggiato “a gratis”, pingui finanziamenti allapatinata rivista pomiciniana “Itinerario”, dove siè fatto le ossa il neo riconfermato direttoredel Tg1, Mario Orfeo. Un altro grande amico,per Italgrani e il “mare” di società collegate econtrollate, l’allora ricco Banco di Napoli. Eproprio quelle “sofferenze” stramiliardarie furo-no alla base del crac dell’istituto partenopeo:poi ceduto per “una coscia di Maradona”, 60miliardi di vecchie lire, alla BNL, che lo girò su-bito per 600 miliardi (coprendo le voragini diAtlanta) all’Imi Sanpaolo. Miracoli di San Gen-naro. E oggi – altro miracolo – quella SGA na-ta dalla bad band targata Banco di Napoli di-venta proprio il tesoro di San Gennaro da 450milioni di euro appena “acchiappato” da Renzi& C.: per finanziare Atlante 2.

Ma che fine ha fatto la lettera dell’av-vocato Dotta inviata alla procura di Napoli?Nessuna verbalizzazione in vista? Forse èmeglio che la verità su quel giallo non ven-ga mai alla luce…

Febbraio 2016. Scoppia la bomba “massoneria” nel caso Cucchi. Il coordinatore del teamdi periti nominati dal gip Elvira Tamburelli per far finalmente luce sul giallo del giovane

ammazzato in circostanze ancora misteriose (ma ai più ormai ben chiare) è stato iscrittoad una loggia massonica ma, soprattutto, avrebbe mentito allo stesso gip nel descrivere lasua “uscita” dalla loggia “Saggezza Trionfante” di cui ha fatto parte dal 1980 al 1982.

Il j’accuse è arrivato dalla famiglia di Stefano Cucchi, il cui legale ha presentato una de-nuncia alla procura di Roma in cui viene documentata l’affiliazione massonica del superperi-to. A fine gennaio il gip Tamburelli aveva convocato Introna, prima del conferimento dell’in-carico, per chiedergli specificamente di chiarire la sua appartenenza o meno alla massone-ria. Testualmente ha replicato Introna: “Dal 1980 al 1982 ho fatto parte di una loggia chesi chiama Saggezza Trionfante”. Quindi ha precisato: “Dopo sono andato via dalla masso-neria e non sono neanche nella posizione in sonno”. A questo punto, dopo la denunciadell’avvocato Fabio Anselmo, legale dei Cucchi, il pm Giovanni Musarò dovrà accertare lafondatezza di quanto verbalizzato da Introna davanti al gip. E’ in sonno? Non è in sonno? Oin quale “status” si trova?

La questione è molto delicata. Ma per certi versi “chiara”, perchè non ammette dubbieccessivi. Osserva un esperto di esoterismo e massoneria: “La massoneria, fino a provacontraria, è una cosa seria. Non è una bocciofila, né un’associazione di cinefili: non si entrané si esce come se si trattasse di un bar o di un circolo. Una volta che, dopo un lungopercorso di accettazione e iniziazione, entri, non puoi più uscire, ma solo essere “assonna-to”. Il periodo di assonnamento può essere più o meno lungo. Poi, se non rientri, resti defi-nitivamente assonnato. Ma non potrai mai dire ‘me ne sono uscito’ oppure ‘me ne sono an-dato’”. Parole chiare. Non dovrebbe risultare particolarmente complesso, per il pm Musarò,accertare tale circostanza e la reale posizione di Introna in seno alla massoneria.

Ma sorgono, spontanei, non pochi interrogativi. Che riportano ad altre maxi inchiestenelle quali – sempre in qualità di super perito o di medico legale – fa capolino il nome di In-trona. Primi fra tutti il giallo dei gialli – quello di Elisabetta Claps, ricordato come l’emblemaper “Chi l’ha visto” dalla sua vera anima, Federica Sciarelli – e anche quello, non meno intri-cato, di Melania Rea. Non è finita, perchè nel pedigree di Introna ci sono anche i casi deifratellini di Gravina, dei fidanzatini di Policoro, nonché la consulenza per Raffaele Sollecito,scagionato – con la statunitense Amanda Knox – nel giallo di Meredith Kercher.

Nella vicenda che coinvolse Elisabetta Claps, scomparsa quasi 23 anni fa a Potenza, ilcadavere è stato ritrovato solo del 2010. E per verificarlo è intervenuta la perizia legale diFrancesco Introna, basata sui test del Dna. Poi, una mole di interrogativi ancora senza ri-sposta: come ha potute sfuggire tranquillamente per anni alla giustizia Danilo Restivo? Co-me sono stati possibili tanti depistaggi? Di quali protezioni ha potuto godere? Come maitante coperture “eccellenti”? Sono rimbalzati svariati nomi, infatti, tra gli autori, i correspon-sabili o quanto meno i fiancheggiatori di depistaggi & protezioni: pezzi di istituzioni, dallamagistratura alle forze dell’ordine, l’ombra dei Servizi e anche quella della massoneria.

Passiamo al caso Rea. La cui “soluzione” ufficiale reca direttamente la firma di Introna,il quale ha infatti redatto la perizia che porta alle tracce di Dna nella bocca di Melania, os-sia la saliva di Salvatore Parolisi. Tanto basta per inchiodare il militare a quel delitto? Così fi-no ad oggi. E in nessun conto, fino ad oggi, sono state tenute altre piste, di ben più rile-vante spessore rispetto alla solita “passionale” risolvi-tutto. Come mai non hanno avuto al-cun seguito le prime indagini che portavano ad uno scenario ben diverso, ossia i traffici didroga nelle caserme? Come dimenticare le missioni afgane del soldato Parolisi? Perchè di-menticare le parentele ingombranti (leggi clan dei Casalesi) della recluta Titta, molto amicadi Parolisi? Come non tener conto dei precisi “messaggi” in linguaggio tipicamente camorri-sta inflitti sul corpo della povera Melaniae del tutto inspiegabili per un marito purgeloso ed esasperato? In sostanza: benpiù percorribile e digeribile – anche per ilgrande pubblico – il movente sessual-passionale rispetto ai traffici milionaridelle polveri bianche, che caso mai tran-sitano in quegli intoccabili santuari chia-mati caserme.

Però un bacio, testato via Dna, di-venta la prova regina…

Ancora buio sul caso Ambrosio

I buchi neri. Da Cucchi a Melania

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Non solo ammazzati, ma anche deru-bati. E’ il copione del giallo – tale so-

lo per chi ha fatto indagini senza caponé coda, o meglio “non ha fatto indagi-ni” – firmato Costa Concordia, che havisto la morte di 33 passeggeri, colpevolisolo di aver preso quella maledetta na-ve, quella tragica sera del 13 gennaio2012, guidata da quel comandante,Francesco Schettino, condannato in pri-mo grado a 16 anni di galera.

Denuncia un comitato francese difamiliari di 390 naufraghi che, dopo lericerche sui fondali e la rottamazionedel Concordia, mancano all’appello mol-tissimi oggetti di valore non solo econo-mico ma anche affettivo. Senza appelloil j’accuse: “L’incompetenza di Costa èpari a quella del suo comandante”.

“Le casseforti che c’erano in tutte lecabine e quanto vi era contenuto è spa-rito”, dichiara il rappresentante del co-mitato, Anne Decrè. “Nelle cabine sulponte – precisa – stranamente sono spa-rite tutte le casseforti. Quei pochi benisono stati anche restituiti in modo ap-prossimativo, spesso sbagliando tra unindirizzo e l’altro. Moltissime valigie,poi, che si vedono nei filmati, non sonomai state restituite”. C’è una doppia ipo-tesi: parte dei beni sono stati rubati du-rante le tragiche ore successive al nau-fragio: proprio come capita dopo i ter-remoti, con gli sciacalli pronti per il via.L’altra pista, non meno inquietante, èche i furti siano stati operati “a freddo”,ossia durante le operazioni di smantel-lamento del relitto: quanto era imprigio-nato tra le ferraglie e poi ritrovato, nonsarebbe stato né catalogato né tantomenorestituito ai legittimi proprietari. Allatragedia, ai lutti, al dolore come cilieginasi aggiunge ora anche la beffa.

Di vario tipo, e tutte documentate,le accuse. Una donna sostiene che lacompagnia le ha mostrato delle foto coni ritrovamenti effettuati, lei ha identifi-cato tre anelli appartenuti alla nonna:ma Costa non ha mai provveduto a re-stituirli. Un altro passeggero ha inveceriavuto la sua macchina fotografica, manon un collier e gli orecchini della mo-glie. Costa fa spallucce e declina ogniresponsabilità: “tutte le operazioni di re-cupero dei portavalori sulla nave – af-ferma – sono state effettuate dalla guar-dia costiera italiana sotto la vigilanza deltribunale di Grosseto. Le casseforti delponte 6 sono state disperse in mare –viene garantito – e solo poche sono staterecuperate”. Parola di marinaio, pardòndi armatore.

I legali di Costa, poi, argomentanoche la gran parte dei passeggeri (in que-sto caso i francesi) ha accettato una som-ma forfettaria per la perdita dei propribeni. “Ma quella sottoscrizione – precisaDecrè – prevedeva comunque la restitu-zione di quelli presenti nella cassaforte”.Cosa che appunto non è mai avvenuta

Un mistero che sta ormai trovando lasua pista d’atterraggio, la tragedia de-

gli 81 passeggeri del DC9 ammazzati 35anni fa nei cieli di Ustica. Da Canal Plusè arrivata la “conferma” di una pista giàbalenata, ma andatasi a schiantare con-tro quel muro di gomma che ha sempreprotetto autori, complici & depistatoridel disastro Itavia. E’ la pista che portaad una portaerei francese, la Foche se-condo i giornalisti che hanno firmato ilreportage, la Clemenceau, secondo quan-to denunciò l’ex capo dello Stato Fran-cesco Cossiga, le cui rivelazioni del 2008fecero riaprire un’inchiesta alla procuradi Roma. E di Clemenceau parlò oltrevent’anni fa, nel 1993, l’allora parlamen-tare del Psi Franco Piro in un’intervistaalla Voce con tanto di “tracciato” firmatodi suo pugno: “Clemenceau – aereo –missile”. Più chiari di così. Ma quel mu-ro di gomma è rimasto sempre lì, piùimpenetrabile e imperforabile che mai.

E, con l’ultima ricostruzione madein France, cominciano ad affiorare altripezzi di verità. O meglio, tasselli di ve-rità sempre nascoste. Come il giallo deitracciati radar. Tracciati cercati, non cer-cati, veri, falsi, taroccati, inviati, non in-viati? Da tutte le basi italiane è stato unvia vai dei più vari tracciati. Ma pochisanno come è realmente andata all’ini-zio. Da una breve telefonata che abbia-mo ricevuto, anche stavolta basata supoche, ma precise parole, emerge unoscenario inquietante, che ora qui detta-gliamo per sommi capi.

Il primo magistrato ad occuparsi im-mediatamente del caso è stato AntonioGuarino, la toga in servizio quella tragicanotte alla procura di Palermo. Fu Gua-rino ad assumere i primi provvedimenti;oltre alle drammatiche incombenze dadover fronteggiare immediatamente, sioccupò anche dei tracciati radar. Ma quitrovò subito qualche “resistenza”: aquanto pare il sequestro di tutti i trac-ciati di quelle ore, e riguardante queglispazi aerei, ad alcuni non piaceva. Gua-rino, però, tenne duro, e firmò quel “de-creto di sequestro” di tutti i tracciati ae-rei. Per eseguire il provvedimento furo-no incaricati i carabinieri.

Il decreto firmato da Guarino e in-viato al vertice dei carabinieri a Palermo,lungo il tragitto subisce una piccola, mabasilare integrazione: alla frase relativaai tracciati radar da sequestrare, vieneaggiunta una piccola postilla che indi-rizza solo ad una parte dei radar, non atutti quelli che possono effettivamenterisultare significativi. E solo molto tempodopo si scoprirà che la “magica” inte-grazione, quella frase in più aggiuntadalla classica, miracolosa “manina”, por-tava le ricerche unicamente in direzionedei cosiddetti “radar ciechi”, ossia quellidai quali non poteva in alcun modo ve-nir fuori qualcosa di utile per le indagi-ni. C’è stata effettivamente una maninao una manona? Come mai nessuno haalzato un dito per accertarlo? Fatto stache subito dopo la competenza territo-riale base si sposta, passa a Roma, il pri-mo fascicolo Guarino prende la stradadella capitale. Non si sa se le future to-ghe (tra gli altri i giudici Bucarelli e Prio-re) avranno mai modo di parlare conGuarino di quelle primissime istruttorie.E se mai emergerà, strada facendo, qual-che “dubbio” su quel decreto di seque-stro. Certo è che in quel modo è statopossibile – per i depistatori – agire conun po’ di calma, il tempo necessario percancellare tracce e tracciati scomodi.

e mai potrà avvenire.“Se tale è stata la vigilanza del tri-

bunale di Grosseto – aggiungono altripasseggeri – figuriamoci che razza disentenza hanno fatto”. E infatti la sen-tenza partorita dalle toghe toscane con-templa una dinamica della tragedia chenon sta né in cielo né in terra. Per mo-tivare la condanna del comandanteSchettino è passata la favoletta dell’in-chino, alla quale non crede neanche unbimbo al primo bagno stagionale.

Come la Voce ha più volte docu-mentato, anche nella prima inchiesta atre mesi dalla tragedia, è inipotizzabileun errore del genere per un comandantecomunque esperto come Schettino. E’chiaro che il “motivo” di quella rocam-bolesca manovra, una sorta di slalomspeciale tra le scole, a meno di un im-provviso raptus di follia omicida che ab-bia traversato la mente di ‘O Comandan-te (ma non risulta agli atti alcuna periziapsichiatrica) è spiegabile solo guardandopiù in là. Caso mai ad un precedente,quasi la stessa manovra avvenuta, sem-pre su un Costa, qualche mese prima,denunciata e documentata da un avvo-cato spagnolo residente nelle Canarie.

Quella pista conduceva a ben altro:per la precisione ad “operazioni” borderline (vedi traffico di droga) tra la navecrociera e chi si trovava lungo la ‘costa':in quella occasione, infatti, l’avvocatovide alcuni segnali provenire dalla ter-raferma. Del resto circa un anno fa laprocura di Firenze ha aperto un fasci-colo relativo proprio ai traffici di cocavia mare, a bordo di navi da crociera,ove tra l’altro vige una vera e propria ex-traterritorialità, nonché una gran facilità(e pochi controlli) nelle operazioni diimbarco (almeno fino a questa estate,dove sono stati intensificati per via delterrorismo): tra le compagnie sotto i ri-flettori c’è proprio Costa.

Come se non bastasse, a luglio 2016la DDA di Reggio Calabria ha portato al-la luce un consistente traffico di cocainaa bordo delle navi di un’altra compagniadi crociere, la Msc. In arresto sono finitiil comandante della nave e due traffi-canti di San Giuseppe Vesuviano colle-gati alla ‘ndrangheta. Intercettati, i dueavevano chiaramente indicato che ana-loghi traffici avvenivano sul Costa Con-cordia, sempre col metodo del trasbordoin mare aperto, durante la navigazione,attraverso piccoli mezzi che si accosta-vano alla nave.

Anche queste colossali evidenzenon sono bastate. La Voce lo aveva scrit-to nel 2012. Ma la giustizia italiana an-cora adesso è intenta a ragionare su unimpossibile, impensabile, improponibile“inchino”. Senza aver mai convocatol’avvocato delle Canarie presente a bor-do che si era detto disponibile a testi-moniare fin dal primo momento.

P. S.

CASO COSTA CONCORDIAAmmazzo, derubo, non restituiscoSempre più inabissata la veritàsulle vere ragioni del naufragio STRAGE DI USTICA

Dopo 35 anniviene a galla lapista del ‘93

Melania Rea. Inapertura Fran-cesco Schettinoe, a destra, il relitto del Dc9.Nell’altra fotoFrancoAmbrosio conPaolo Cirino Pomicino.