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1 PROGETTO: PITTORI TRA T ORINO E LE LANGHE AL TEMPO DI A UGUSTO MONTICASTELLO DI MONASTERO BORMIDA (3 giugno - 6 agosto 2017) RELAZIONE DESCRITTIVA DEL PROGETTO MOSTRA

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PROGETTO:

“PITTORI TRA TORINO E LE LANGHE

AL TEMPO DI AUGUSTO MONTI”

CASTELLO DI MONASTERO BORMIDA

(3 giugno - 6 agosto 2017)

RELAZIONE DESCRITTIVA DEL PROGETTO MOSTRA

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PROGETTO

Titolo evento: “Pittori tra Torino e le Langhe al tempo di Augusto Monti”

Durata: 3 giugno - 6 agosto 2017

Sede: MUSEO DEL MONASTERO - Sale espositive sottotetti CASTELLO MEDIEVALE di Monastero Bormida (ASTI)

RELAZIONE STORICO-ARTISTICA

La mostra intende presentare il clima artistico della Torino da inizio Novecento fino al secondo conflitto mondiale, attraverso una carrellata dei maggiori esponenti delle diverse correnti pittoriche che caratterizzarono la vivace vita culturale dell’ex-capitale sabauda. Il trait-d’union della rassegna è rappresentato dalla figura di Augusto Monti, intellettuale, insegnante, antifascista, che proprio a Monastero Bormida ebbe i natali nel 1881 e che più di ogni altro in un periodo di oscurantismo rappresentò per i giovani allievi e artisti, la guida, l’esempio,

il faro di riferimento, il fedele custode dei valori di giustizia sociale e libertà, in una Torino che era rimasta piuttosto refrattaria, sia nei ceti operai che in quelli borghesi, alla propaganda del Regime e in cui mai totalmente domate saranno le istanze di libertà sedimentate nel suo tessuto sociale. E’ a questa figura di maestro di etica politica che questa mostra vuole rendere omaggio tentando di ricostruire il contesto culturale in cui ha agito e il filo dei rapporti che ha intessuto con altre personalità di rilievo attive a Torino tra le due guerre. Oggetto di trattazione sarà soprattutto l’ambito dell’arte, indagato con la messa a fuoco, senza mai perdere di vista lo sfondo politico, dei fitti intrecci tra letteratura, critica d’arte e pittura, animata quest’ultima da una vivace dialettica di tendenze, schierate sui fronti contrapposti dell’innovazione e della tradizione, e dalla presenza di personalità di assoluto rilievo.

La situazione artistica nella Torino del primo dopoguerra: l’avvento di CasoratiNel quadro della crisi generalizzata dello Stato liberale il conflitto sociale a Torino assunse nel dopoguerra aspetti di estrema radicalità dando luogo a gravi disordini che provocarono numerosi morti e feriti. Se nell’ambito dell’azione politica i nomi più significativi di quest’epoca furono quelli di Antonio Gramsci, fondatore, con Terracini e Togliatti, di “Ordine Nuovo”, e di Piero Gobetti, che, pur avendo una solida impostazione politica liberale di matrice idealistico crociana, aveva guardato con interesse e simpatia la Rivoluzione Russa, anche nella situazione artistica del dopoguerra si notavano chiari segni di inquietudine e una palpabile tensione al rinnovamento che aveva come bersaglio privilegiato la cultura accademica. Alla tradizione accademica, rappresentata da nomi importanti quali Giacomo Grosso nella pittura e Leonardo Bistolfi nella scultura, si affiancò un gruppo di artisti, tra cui Bosia e i più giovani Chessa e Valinotti, aperti a sperimentare le nuove forme espressive. Ma l’evento destinato a sconvolgere le gerarchie consolidate e ad aprire nuove strade al rinnovamento del linguaggio pittorico fu l’arrivo a Torino, nell’autunno del 1918, di Felice Casorati, allora

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trentacinquenne, che nel proprio bagaglio culturale portava pregresse esperienze del secessionismo capesarino risalenti al periodo del suo soggiorno veneto, tra Padova, Verona e Venezia. L’avvento di Casorati produsse una netta cesura con la cultura pittorica di tradizione accademica: pur non avendo subito influenze dalle Avanguardie cubista e futurista, che detestava, sentendosi estraneo allo “spirito combattivo, prometeico” che le animava, le sue opere esposte a Torino tra il ’19 e il ’20 suscitarono stupore e polemiche e scandalizzarono “l’ambiente rancido e decrepito” della Torino accademica

e tradizionalista che reagì accusandolo di “futurismo”, termine spregiativo e generico che indicava tutto ciò che sembrava “strano” e “stravagante”.

Gobetti, Casorati e MontiIl primo a rendersi perfettamente conto della modernità linguistica di Casorati è stato Piero Gobetti, che divenutone amico, favorì la sua entrata nel cenacolo che ruotava intorno a lui di cui facevano già parte altri artisti come Chessa, Sobrero, Carena e Levi, alcuni musicisti e il critico Ciarlantini. Nelle vesti di critico d’arte seguì i suoi primi anni torinesi difendendolo dagli attacchi dei tradizionalisti, in articoli pubblicati su riviste e giornali nel 1921 e, due anni dopo, pubblicando la sua prima monografia. In questo testo Gobetti interpretava la pittura di Casorati in chiave tragico-esistenzialista, sottolineando gli stati d’animo che pervadono i personaggi e gli ambienti chiusi della sua opera, la desolata solitudine, il tormento, la tristezza, la malinconia, l’angoscia e il vuoto esistenziale. Il rapporto tra i due si consolidò a tal punto che Casorati cominciò a collaborare all’attività editoriale dell’amico, divenendo anche socio della casa editrice. Di quest’ultima disegnò il marchio con la scritta in greco “Che ho a che fare con gli schiavi?”, suggerito da Augusto Monti che l’aveva tratto da Alfieri, segno evidente della sua contiguità al duo Gobetti – Casorati.

Gramsci e i futuristiAnche Monti, come Gobetti, aveva apprezzato l’esperienza torinese dei “consigli operai” e subito il fascino intellettuale di Antonio Gramsci, che in quella particolare fase storica, si era reso conto della forza rivoluzionaria e dirompente del Futurismo e del suo capo carismatico, Filippo Tommaso

Marinetti (“Marinetti rivoluzionario” su “Ordine nuovo” del 5 gennaio del 1921). Ritenendo che la classe operaia, prima di fare la rivoluzione, avrebbe dovuto esercitare la sua egemonia anche sul piano della cultura, tentò l’ardita operazione di deviare il movimento futurista, avviato da Marinetti sulla via del nazionalismo e poi del Fascismo, in direzione bolscevica come era accaduto nella Russia sovietica. Il progetto gramsciano consisteva nel tentare di

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saldare arte e politica mettendo in contatto l’avanguardia futurista con quella operaia. Questo tentativo trovò il suo momento più significativo nell’”Esposizione futurista internazionale”, inaugurata nel marzo del ’22 con una conferenza di Marinetti nel salone del Winter Club nella Galleria Sabauda di Torino, in cui esposero Balla, Prampolini, Cangiullo, Paladini, Pannaggi, Tato,la Zatkova ed altri. Nel 1923 T. A. Bracci, Ugo Pozzo e Fillia, fondarono il “Movimento futurista torinese. Sindacati artistici futuristi” con un manifesto rivolto ai lavoratori in cui, esplicitata la necessità di collegare arte e lavoro, si dichiarava l’apoliticità del movimento e si presentava un articolato programma di iniziative finalizzate alla “valorizzazione nuovissima e agile della vita

moderna, futurista e dinamica” e a portare “la grande massa produttrice ….. al centro della civiltà industriale e metallica, meccanizzando ogni forza e pensiero”. Ma le speranze di Gramsci di un Futurismo di sinistra svanirono rapidamente con l’adesione dei futuristi al Fascismo nel congresso milanese del ’24, scelta condivisa anche dal gruppo torinese. Il leader della pattuglia torinese, di cui facevano parte Pippo Oriani, lo scultore Mino Rosso, l’architetto bulgaro Nicolay Diulgheroff, Farfa ed altri, era Fillia, artista poliedrico, pittore, poeta, romanziere, drammaturgo, che fu l’animatore di numerose iniziative ed editoriali, tra cui la rivista di architettura “La città futura” (1928-9). Altro protagonista nelle fila del Futurismo torinese fu Diulgheroff, giunto a Torino nel 1926. Formatosi nella coinè costruttivi stico-razionalista della Mitteleuropa, prima a Vienna, poi a Dresda e al Bauhaus di Weimar, concluse i suoi studi alla Scuola Superiore di Architettura di Torino dove aderì al gruppo futurista sviluppando temi macchinisti simili a quelli di Fillia. Nel corso degli anni ’30 partecipò a molte mostre del gruppo, in una posizione di collegamento tra Futurismo e Astrazione, con opere che rivelano dipendenza da Depero e Prampolini. Il periodo “neoclassico” di Casorati, il “ritorno all’ordine” e la “scuola” di Via Galliari 33A partire dal 1920, data delle “Uova sul cassettone”, Casorati abbandonò definitivamente gli stilemi secessionisti per entrare nel cosiddetto periodo “neoclassico” che durerà fino al 1924. Con le opere realizzate in questa fase, Casorati si poneva decisamente nell’orbita del “ritorno all’ordine”, movimento di portata internazionale nato in antitesi ai “deliranti” sperimentalismi delle Avanguardie. In Italia questa tendenza aveva trovato sostegno nella rivista “Valori plastici”, i cui più significativi collaboratori, De Chirico, Carrà, intendevano recuperare, in un’aura metafisica, l’ordine geometrico e la solidità dei volumi della tradizione italiana. Dopo il terremoto prodotto dalle Avanguardie che aveva provocato la disgregazione delle

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forme, gli artisti aderenti a questa tendenza, sentivano la necessità di recuperare l’integrità delle cose e delle figure e il senso equilibrato della composizione richiamandosi ai grandi modelli della classicità del primo Rinascimento. Nel 1923 Casorati aprì una scuola libera di pittura, usufruendo di un locale in via Galliari, di fronte alla villa dell’industriale Gualino. La fama ormai acquisita da Casorati che stava imponendo la propria egemonia sulla cultura artistica torinese, favorì il successo della scuola che nel corso degli anni ’20 fino agli inizi dei ’30 fu frequentata da parecchi allievi, da Nella Marchesini a Silvio Avondo, da Sergio Bonfantini a Marisa Mori, da Lalla Romano a Paola Levi Montalcini, da Ida Donati a Giorgina Lattes, da Mario Bionda ad Albino Galvano, da Tina Mennyey a Giulio Benzi a molti altri tra cui l’inglese Daphne Maugham che nel 1931 divenne la moglie del

Maestro. Intorno a Casorati, pur non essendo stato suo allievo diretto, gravitava anche Italo Cremona, personalità poliedrica dai molteplici interessi culturali, dal cinema alla letteratura, dalla critica d’arte alla scenografia. Partito da un’impostazione tradizionale, si avvicinò nella seconda metà degli anni ’20 alla maniera di Casorati, nelle nature morte e nei nudi, per avviarsi poi, dopo il 1930, verso una singolare figurazione onirico surreale, trattata con vena ironica, dipingendo scene ambientate in una Torino misteriosa, scaturita da un ‘immaginazione visionaria e fantastica.

Monti, Sturani e PaveseAlla I° Mostra d’Avanguardia organizzata dal gruppo futurista nel sotterraneo del teatro Romano, aveva esordito, accanto a Fillia, Bracci, Farfa, Pozzo e Narciso, con il soprannome di Ivan Benzina, il giovane Enrico Sturani, amico e compagno di scuola di Cesare Pavese nelle classi del Ginnasio. Della cartella di disegni portata da Sturani in visione al prof. Monti come prova del suo giovanile talento, non restano che scarse testimonianze, se non il ricordo del professore contenuto nella sua autobiografia intitolata “I miei conti con la scuola”. Ricordando inoltre la dedica al “Pollo”, soprannome di Sturani chiamato così per la sua estrema magrezza, della terza poesia di Pavese dell’edizione solariana di “Lavorare stanca”, Monti rilevava lo stretto rapporto intercorrente tra certi

testi dello scrittore e le pitture di Sturani, arrivando ad esprimere la convinzione di una dipendenza delle descrizioni paesistiche dei sobborghi torinesi di Pavese dai dipinti di Sturani, nonostante il diniego di quest’ultimo. Anche nella sua successiva attività di decoratore di ceramiche per la ditta Lenci, Sturani riproporrà i temi giovanili come nel vaso “La giostra” del 1938, presentando, con tono ironico e linguaggio “primitivista”, scene di una Torino di barriera con la tenda di una giostra, il traffico urbano (un tram, un camion, una pompa di benzina, una carrozza, uno schiacciasassi, carretti e passanti) tra le colline, in alto sullo sfondo, con casamenti popolari e il corso del

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fiume in basso animato da chiatte e barche. Il giudizio negativo di Pavese su questa produzione di ceramiche dell’amico, definite “ninnoli stupidi e graziosi”, che a suo parere aveva tradito le ambizioni alte della sua giovinezza, si scontra con l’alta qualità e raffinatezza delle opere di Sturani e della ditta Lenci in generale, con cui collaborarono artisti di valore come la Koenig –Scavini, Grande, Vacchetti, Deabate, Da Milano, Quaglino e altri, che possono essere considerate, per la loro capacità di catturare lo spirito spensierato, leggero e spiritoso, di un ‘epoca, tra le più

significative espressioni dell’art deco nazionale.

Soldati, Persico e la formazione del gruppo dei “Sei pittori di Torino”Nel commentare la Biennale di Venezia del 1928, Mario Soldati, allievo di Venturi, allora in veste di critico d’arte, sulla stessa linea di poetica proposta dal suo maestro ne “il gusto dei primitivi”, apprezzava in particolare il filone “neoromantico” della nuova pittura, imperniata su “pure sensualità pittoriche”, da un “grande amore per la materia, per l’impasto della pittura”. Sulla stessa linea d’onda si era posto anche un altro giovane intellettuale dai molteplici interessi artistici e culturali, già in contatto epistolare con Gobetti, Edoardo Persico, giunto a Torino da Napoli nel 1927. Entrato a far parte dell’entourage di Casorati stabilì contatti con artisti della sua stessa generazione come Paulucci, Levi, Menzio, Chessa e Da Milano, e da lui scaturì l’idea di riunirli in gruppo insieme a due artisti più anziani come l’abruzzese Galante e il goriziano Spazzapan, giunto da poco a Torino con una formazione mitteleuropea, secessionista ed espressionista. Defilatisi per vari motivi Da Milano e Spazzapan, si formò il gruppo dei “Sei pittori di Torino”, includendo Paulucci, che veniva da un’esperienza futurista, poi superata con l’adozione di stilemi casoratiani, e Jessie Boswell, dama di compagnia di casa Gualino, formatasi sull’impressionismo inglese e poi, in Italia, con Micheletti, prima, e Casorati, poi. Il gruppo si era costituito con l’intenzione esplicita di aprire la cultura italiana, classicista e provinciale, alle grandi correnti europee, in particolare all’Impressionismo e al Postimpressionsmo, che avevano inaugurato la “tradizione moderna”. In contrapposizione al nazionalismo di Novecento, radicato nella convinzione del primato della tradizione pittorica italiana, fondata sul disegno, sulla sintesi plastica e la struttura prospettica della composizione, i Sei si riferivano ad una tradizione diversa che privilegiava il colore-luce, le dissolvenze atmosferiche, l’emozione e il sentimento, la dimensione intimistica, i toni chiari, bassi e sfumati. In forte sintonia con la cultura dei Sei, erano inoltre Emilio Sobrero e Giulio Da Milano: Il primo, esaurita una fase giovanile caratterizzata da un simbolismo nordicizzante, mutò stile, prima a contatto con l’amico Chessa, e poi, durante un soggiorno laziale ad Anticoli Corrado, con Carena che nel frattempo aveva abbandonato il simbolismo boeckliniano e gli sfumati à la Carrière e aggiornato il suo linguaggio su Gauguin e Cèzanne. Sotto l’influsso di quest’ultimo, Sobrero rafforzò il plasticismo delle nature morte e delle figure, avvicinandosi, tramite Casorati, agli silemi del Novecento milanese, alle cui mostre partecipò sia nel 1926 che nel 1930. Il secondo, defilatosi all’ultimo momento dal gruppo dei Sei, come questi ultimi aveva interesse per la pittura moderna francese che conosceva a fondo avendo vissuto per alcuni anni a Parigi. La forte

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influenza di Cézanne nelle sue prove di paesaggio del primo dopoguerra, si è poi stemperata alla fine degli anni ’20 nell’approdo ad un tonalismo antinovecentista, dei tutto consonante con quello di alcuni dei Sei.

La mappa delle tendenze di Casorati e CremonaNel 1931, anno di scioglimento del gruppo dei Sei, sulle pagine dell’”Almanacco degli artisti. Il vero Giotto”, Casorati e Cremona delineavano, con tono

lieve ed ironico, una mappa delle tendenze presenti sulla scena artistica torinese individuando sostanzialmente tre posizioni. Da un lato collocavano “gli ultimi seguaci di un paesismo e di un aneddotismo ottocentesco non sempre nutrito di pittorica sostanza”, dall’altro un fronte modernista capeggiato da Casorati e dalla sua “scuola”,dalla pattuglia dei Futuristi e dal gruppo dei Sei di Torino, ormai ridotti, per successive defezioni, a soli tre componenti (Menzio, Levi e Paulucci), da Italo Cremona e dall’Isolato Spazzapan. In posizione mediana, i due autori segnalavano la presenza di un gruppo di artisti , non programmaticamente legati tra loro, ma vicini per affinità poetica, definiti, con un’espressione un po’ snob, connotata da intellettualistica superiorità, “timidi interpreti di sobborghi e paesi”, in cui inserivano Valinotti, Da Milano, Quaglino e Manzone, pittori che, accanto ai più anziani Buratti e Bosia, rappresentavano bene “la tendenza media locale con pochi altri realizzanti una pittura modestamente obiettiva, ignari di introspezioni complicate e pericolose e di metafisiche costruzioni”. Una mappa, questa di Casorati e Cremona, che fotografava in maniera tutto sommato condivisibile la situazione artistica torinese intorno al ’30, ma che sottovalutava quel gruppo di artisti collocati in posizione mediana che non dipingevano affatto sul registro di un naturalismo oggettivo e banalmente fotografico ma rappresentavano il paesaggio piemontese, le valli alpine, i paesi, i corsi d’acqua, le periferie urbane e le colline del Torinese, del Monferrato e delle Langhe, attraverso un filtro soggettivo, venato di tonalità emotive e di afflato poetico che aveva profondamente innovato la paesistica piemontese, senza operare rotture traumatiche con la tradizione. Manzone, Peluzzi, Terzolo, Quaglino e Valinotti, pittori “provinciali”, nel senso, non limitativo, del loro profondo radicamento nel territorio nativo o scelto per ragioni affettive, dipingevano paesaggi collinari, fitti di casali, vigne, campi di erba e grano, del Monferrato e delle Langhe astigiane, analoghi a quelli che sarebbero stati teatro delle vicende narrate dai romanzi o evocati nelle poesie di Cesare Pavese, ambientate nella nativa valle del Belbo.

La fascistizzazione dell’arteNegli anni ’30 anche il mondo dell’arte fu messo sotto il controllo della politica culturale del Regime attraverso la trasformazione delle rassegne d’arte e la tendenziale sindacalizzazione degli artisti, lasciati però sostanzialmente liberi di seguire le loro tendenze estetiche. A Torino la Promotrice divenne Esposizione sindacale fascista con il compito dichiarato di

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selezionare gli artisti che avrebbero dovuto rappresentare il Piemonte alle Quadriennali di Roma e alle Biennali di Venezia e anche l’antica Società degli “Amici dell’arte”, nata a fine Ottocento come “Società degli acquarellisti e pastellisti” sotto la presidenza di Delleani, venne progressivamente posta sotto il controllo del PNF locale. Stesso processo di fascistizzazione subirono le due più grandi manifestazioni d’arte che si tenevano sul territorio nazionale: le Quadriennali di Roma, e le Biennali internazionali di Venezia. La presenza di Casorati nel Comitato organizzatore della seconda Quadriennale romana del ’35, la più importante rassegna dell’arte nazionale in epoca fascista, aveva favorito la presenza di numerosi artisti attivi a Torino: nella sala XLII Casorati esponeva sette proprie opere circondate da quelle dei suoi allievi, Nella Marchesini, Ida Donati, Sergio Bonfantini, Paola Levi Montalcini, Albino Galvano, Daphne Maugham e dell’amico Italo Cremona. In altre sale, seppur non riuniti, esponevano anche alcuni esponenti dell’ex gruppo dei Sei, tra cui Paulucci, Menzio, Galante, mentre Levi era inserito tra gli “Italiens de Paris” , data la sua presenza nella capitale francese tra il ’32 e il ’34. Infine figuravano anche opere di Domenico Valinotti e Spazzapan che chiariva in un’autopresentazione, la propria contrarietà “ad ogni criterio prestabilito di organizzazione del quadro, attività sistematica, ad ogni metodo”. Anche a causa della scomparsa prematura di due protagonisti come Chessa e Fillia e per la dissoluzione dei gruppi che avevano animato la scena torinese in precedenza, gli anni ’30 a Torino si chiusero in tono minore: alcune mostre di artisti importanti come Carena, Carrà e Soffici, passarono sotto il silenzio della critica e senza alcun successo di pubblico. Albino Galvano su Emporium nel 1939 parlava di una “monotona “vita artistica” torinese fatta di mostre consuete di consueti artisti” con la sola eccezione della galleria “La Zecca”, spazio espositivo aperto ai giovani da Casorati e Paulucci allo scopo di rianimare la scena artistica della città che aveva perduto lo smalto e la vivacità del decennio precedente.

La repressione politica, la guerra e la ResistenzaTra la fine del terzo decennio e l’inizio del quarto la repressione fascista contro il mondo della cultura si fece più dura. Gramsci fu arrestato nel 1926 e condannato, due anni dopo, a venti anni di carcere. Umberto Cosmo, professore di lettere e collega di Monti al D’Azeglio, famoso dantista, fu allontanato nel 1926 dall’insegnamento per motivi politici, e poi nel maggio del ’29, arrestato per aver inviato una lettera di approvazione a Benedetto Croce per essersi opposto ai Patti Lateranensi. Nel 1931 Riccardo Gualino fu condannato a cinque anni di confino a Lipari, con l’accusa di aver recato “grave nocumento” all’economia italiana. Lionello Venturi, uno dei dodici professori universitari che si rifiutarono di giurare fedeltà al Regime in nome dell’autonomia dell’insegnamento e dell’ideale di libertà, nel 1932 prese la via del volontario esilio a Parigi, dove entrò in contatto col gruppo di fuoriusciti di Giustizia e Libertà. Monti nel 1932, dopo aver reiteratamente rifiutato di iscriversi al PNF, temendo di essere radiato, si dimise dall’insegnamento. Tra le fila dei partigiani si schierarono l’ex allievo di Casorati, Sergio Bonfantini, lo scultore Umberto Mastroianni, Mario Sturani e Carlo Levi che era rientrato dalla Francia dove si era rifugiato dopo l’amnistia concessa dal Regime nel ’36 dopo la proclamazione dell’Impero. Nel ’41 aderì al Partito d’Azione, fu nuovamente arrestato e poi, liberato nel 1943, divenne membro del CL della Toscana. Ugo Malvano, ebreo, per sfuggire ai rastrellamenti, con la moglie Nella Marchesini e i figli, si rifugiò a Drusacco in Val Chiusella, e poi, tra l’agosto del ’44 e l’aprile del ’45, si nascose sotto falso nome a Rosero, sulla collina torinese. Così si chiuse quella straordinaria stagione artistica che ebbe in Torino il suo centro propulsore e che, nel periodo tra le due guerre mondiali, fece della città piemontese il faro della cultura, della letteratura, della poesia, della filosofia politica dell’Italia intera.

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SINTETICO PIANO SCIENTIFICO E PUBBLICITARIO

É prevista la realizzazione di un catalogo a stampa corredato da alcuni contributi scientifici, che puntualizzino il clima culturale e la presenza di ogni singolo artista. La stampa di un depliant/invito, manifesti e locandine, completeranno il progetto tipografico per la promozione dell’intero evento. Nelle sale del Castello saranno predisposti dei pannelli didattici che guideranno il pubblico nel percorso. In corrispondenza dei vari ingressi saranno predisposti tre stendardi di varie misure.I giornali ed i media in generale saranno coinvolti con i comunicati stampa correlati da immagini. Il sito del Comune di Monastero consentirà, all’interno delle sezioni dedicate, di accedere alle informazioni relative alla mostra sul web e di prenotare le visite guidate per i gruppi organizzati in abbinamento alla visita dell’intero castello e quindi includendo l’esposizione in un discorso globale (l’evento-mostra inserito all’interno del castello come plus) anche tramite promozioni (es° sconti per pacchetto Visita castello+Visita mostra) e giornate dedicate (es° riduzioni in corrispondenza di altri eventi correlati all’interno del castello e non solo come concerti, teatri all’aperto, le tradizionali fiere).L’esposizione sarà aperta al pubblico nelle giornate di sabato e domenica per tutto il lungo periodo di apertura e nelle varie eventuali giornate festive infrasettimanali con l’orario: ore 10-13 / 16-20. Oltre alle visite guidate, già previste per i gruppi organizzati che arrivano in bus, è stabilito un programma giornaliero con diverse visite guidate per il pubblico che arriva al Castello per proprio conto e vuole assaporare l’intero contesto territoriale (per es° integrando con il pranzo in agriturismo o la visita ad un cantina).Il nostro obiettivo è valorizzare notevolmente lo straordinario complesso architettonico del castello e renderlo sempre di più un vero e proprio punto di partenza per esplorare e conoscere tutto ciò che lo circonda e quindi il nostro splendido territorio.

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ORGANIZZAZIONE DELL’EVENTO

La mostra si articolerà nei due saloni principali, opportunamente allestite con pannelli che permettano di individuare spazi storici e cultuali conclusi.L’organizzazione dell’evento si svolgerà attraverso alcune fasi:

I fase – reperimento, selezione e studio delle opere;

II fase – organizzazione del piano espositivo, fotografie delle opere, predisposizione dell’apparato critico e del materiale divulgativo e pubblicitario;

III fase – trasporto ed allestimento delle opere, dell’apparato didattico e scientifico, organizzazione del personale e dell’incoming, piano assicurativo; IV fase – apertura delle mostra, ricezione dei visitatori, organizzazione di conferenze e concerti;

V fase – chiusura della mostra, disallestimento, restituzione delle opere ai proprietari.

Apparato scientifico e pubblicitario: É prevista la realizzazione di un catalogo della mostra a stampa con alcuni contributi scientifici. Sarà corredato da foto a colori di tutte le opere esposte.Un accurato apparato didattico illustrerà l’evoluzione dello stile pittorico, i diversi artisti ed il loro rapporto col territorio. L’apparato pubblicitario prevede la realizzazione di manifesti e locandine, da distribuirsi tra Piemonte e Liguria, da maxi-manifesti della misura di 6x3 metri, collocati in alcuni punti strategici della viabilità da e per il Piemonte, e almeno due stendardi in prossimità del Castello.All’iniziativa sarà dato ampio rilievo a mezzo stampa, con articoli sui principali quotidiani, periodici, riviste anche del settore artistico. Il medesimo risalto apparirà sui social-network, sui principali siti web d’importanza nazionale. Possibilmente verranno contattate le televisioni e radio locali.

Assicurazione: l’assicurazione prevederà la copertura “da chiodo a chiodo” di tutte le opere con prelievo e riconsegna documentata ai vari proprietari. La copertura assicurativa sarà svolta dalla Compagnia “Assicurazioni Generali S.p.a.”

Trasporto ed allestimento opere: le opere saranno prelevate dai vari proprietari fornitori, nella settimana precedente l’inaugurazione e riconsegnate nella settimana successiva alla data di chiusura della mostra. La ditta specializzata nel trasporto di opere d’arte opererà con copertura assicurativa “da chiodo a chiodo”.

Organizzazione scientifica della mostra: Sarà curata dall’Associazione “Museo del Monastero” che sovrintenderà a tutte le operazioni preliminari compresi i contatti con la Compagnia Assicurativa, con gli enti, le società e i privati proprietari delle opere. L’Associazioni curerà il catalogo della mostra e tutto il materiale didattico e pubblicitario, coordinando i professionisti che si occuperanno dei contributi scientifici e della grafica. Tutte le opere saranno oggetto di apposite schede di catalogo e legate a singole schede di assicurazione.

Organizzazione e gestione della mostra: I rapporti con Enti e sponsor, la gestione del Castello, i rapporti con i fornitori, la sorveglianza della mostra, la vendita di biglietti e cataloghi saranno curate dal Comune di Monastero e dall’Associazione Museo del Monastero.

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DESTINATARI DELL’INIZIATIVA

L’utenza dell’iniziativa è quanto mai varia ed è legata anche alle iniziative collaterali di valorizzazione territoriale: persone fisiche sul territorio, associazioni, dopolavori, agenzie di viaggio, comunità, scuole, turisti organizzati e non. Prendendo come riferimento i visitatori della mostra “Eso Peluzzi e il suo tempo”, “Il Monferrato. 500 anni di arte” e la più recente “Lenci. Lo stile italiano nella ceramica” si può dichiarare che anche per gli eventi del presente progetto essi appartengono in modo quasi equivalente a varie fasce di età (con prevalenza per una età media dai 40 ai 60 anni), di cultura medio/alta e di condizione professionale varia. La provenienza è in genere per circa il 30/40% dal Basso Piemonte (Alessandrino, Astigiano, Albese) per circa il 40/50% dalla Liguria (Savona) e per il restante 10/20% da altre regioni (Lombardia, Emilia) o dall’estero (Francia, Olanda, Germania, Svizzera) con un incremento riscontrato nell’ultima iniziativa (Lenci) in quanto legato all’evento concluso due anni fa dell’ Expo di Milano a noi vicino.I soci dell’Associazione sono in gran parte giovani con un bagaglio culturale specifico nel settore dell’arte e della cultura, che utilizzeranno anche le forme innovative dei social-network per coinvolgere le generazioni “telematiche” nella frequenza degli itinerari e nella possibilità di divenire a loro volta canali di informazione e di promozione del territorio.

AZIONI DI COMUNICAZIONE E DI MARKETING

La pubblicità dell’evento sarà capillarmente diffusa mediante quattro modalità principali:

- l’affissione di manifesti e locandine – rinnovate mensilmente – in oltre 150 Comuni tra Piemonte e Liguria;

- l’affissione di maxi-manifesti 6x3 m situati in punti strategici in corrispondenza dei centri più grandi (Torino, Alessandria, Asti, Savona, Genova);

- la periodica emissione di comunicati stampa che permetteranno la pubblicazione di numerosi articoli su quotidiani locali e non quali “La Stampa”, “L’Ancora”, “la Nuova Provincia”, “Il Piccolo”, “Le colline di Pavese”, “Langa Astigiana” ecc;

- la pubblicazione di spazi pubblicitari sul quotidiano “La Stampa” nelle edizioni di Asti, Alessandria e Savona e altri giornali;

- il regolare aggiornamento del sito internet del Comune di Monastero- la puntuale riproposizione degli eventi sui più diffusi social-network, anche con la creazione

di gruppi tematici dedicati alla mostra, alle visite guidate di tutto il complesso e agli itinerari.

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OBIETTIVI QUALITATIVI E QUANTITATIVI DA RAGGIUNGERE

La realizzazione dell’evento “Pittori tra Torino e le Langhe al tempo di Augusto Monti” si prefigge principalmente i seguenti 4 obiettivi qualitativi e quantitativi:

1) Attivare nel comprensorio del proprio comune e oltre, una forte attrattiva turistica sia per gli appassionati dell’arte e sia per coloro che si avvicinano alle opere e agli autori per la prima volta e che desiderino attraverso di esse, scoprire un lembo di terra meravigliosa, ricca di storia e di tradizione.

2) Valorizzare l’ingente impegno finanziario e gestionale derivante dalle opere di ristrutturazione del castello di Monastero Bormida con l’impiego di importanti risorse pubbliche e private, che ha permesso la ristrutturazione e la perfetta e moderna utilizzazione di ampi locali espositivi. In tal senso andrà valutata anche la ricaduta in termini di lavoro sia per l’impiego di personale giovane e motivato e sia per l’indotto della zona, ristoranti, alberghi, produzione tipica artigianale, prodotti della terra. Nel tempo l’impiego di personale per l’attività museale ed espositiva potrà divenire anche una certezza di lavoro per le persone della zona.

3) Realizzare, con mezzi ridotti e senza far venir meno le forze vivaci del volontariato locale, eventi di alto valore culturale, a dimostrazione che spesso la volontà e il coinvolgimento di più operatori del settore e del territorio possono costituire l’arma vincente per progetti di ampio respiro anche in periodi di difficile congiuntura economica.

4) Favorire l’accesso delle giovani generazioni e degli stranieri di prima e seconda generazione ai patrimoni dell’arte locale e sviluppare la consapevolezza che i beni culturali presenti sul territorio possono diventare anche una fonte di reddito e di lavoro se valorizzati adeguatamente.

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TEMPI DI REALIZZAZIONE DEL PROGETTO

L’organizzazione dell’evento si svolgerà attraverso alcune fasi:I fase - reperimento, selezione e studio delle opere per la mostra – (gennaio/marzo 2017)II fase - organizzazione del piano espositivo, fotografie delle opere, predisposizione dell’apparato critico e del materiale divulgativo e pubblicitario della mostra (aprile/maggio 2017); III fase - stampa volantini, depliant, brochure, aggiornamento sito internet: trasporto ed allestimento delle opere, dell’apparato didattico e scientifico, organizzazione del personale e dell’incoming, piano assicurativo (maggio 2017)IV fase - apertura delle mostra, ricezione dei visitatori - organizzazione conferenze (fine maggio 2017); V fase – rendicontazione, chiusura della mostra, disallestimento, restituzione delle opere ai proprietari (agosto/settembre 2017).

MODALITA’ DI MONITORAGGIO DEI RISULTATI

Al fine di valutare i risultati della manifestazione verranno predisposti alcuni parametri che si basano sui seguenti dati: afflusso del pubblico, gradimento dei visitatori, acquisto del catalogo e dei gadget, adesione alle manifestazioni correlate, visite di luoghi limitrofi di interesse storico-artistico, adesione al programma di spesa, valutazione del ritorno economico diretto ed indiretto, quantità del personale impegnato, prospettive di lavoro per il futuro.

1) afflusso del pubblico: ci si pone l’obiettivo di oltre 1500 visitatori singoli e circa 2000 visitatori in occasione di eventi collaterali, visite guidate, gruppi organizzati ecc.

2) gradimento dei visitatori: sarà allestito un leggio all’ingresso della mostra, con possibilità per tutti di lasciare la propria impressione o il proprio commento. Inoltre si valuteranno e si incentiveranno le testimonianze su internet (facebook, twitter, e.mail ecc.) o anche pervenute

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con sistemi tradizionali (lettere, passaparola ecc.)

3) acquisto del catalogo: la vendita dei cataloghi sarà il segnale importante della fidelizzazione del pubblico al tema della mostra ormai arrivato al 4° appuntamento consecutivo.

4) valutazione del ritorno economico diretto ed indiretto: il ritorno economico, pur importante nell’immediato (possibilità lavorative per i giovani, permanenza nelle strutture ricettive locali, acquisto di prodotti tipici ecc) sarà ulteriormente e maggioramente verificabile in futuro, con l’iterazione del progetto negli anni fino a divenire una consolidata realtà culturale permanente.

5) quantità del personale impegnato: il personale impegnato - sia a livello volontario sia sotto forma di prestazione occasionale retribuita da parte del Comune di Monastero, sarà composto soprattutto da giovani del territorio, studenti universitari o in cerca di occupazione che potrebbero concretizzare in futuro un’aspirazione lavorativa in questo settore.

6) prospettive di lavoro per il futuro: L’Associazione “Museo del Monastero”, in stretto e diretto legame con il Comune di Monastero, ha lo scopo di gestire il polo museale ed espositivo del castello di Monastero e di organizzare eventi culturali ed artistici sul territorio, che rappresenta il miglior investimento derivato dalla realizzazione del presente progetto sia per valorizzare il bene coinvolto, ma anche l’intero territorio circostante.

Monastero Bormida, 28/03/2017

In fede

Ambrogio SpiotaComune di Monastero Bormida