15
1 Canovaccio per una riflessione sul relativismo di Roberto Paracchini Una definizione. L’enciclopedia Treccani alla descrizione della voce relativismoantepone la seguente definizione: “Concezione fondata sul riconoscimento del valore soltanto relativo, e non oggettivo o assoluto, sia della conoscenza, dei suoi metodi e criteri, sia dei principi e dei giudizi etici, variando tutti da individuo a individuo, da cultura a cultura, da epoca a epoca. Il relativismo ha percorso la storia della cultura e della riflessione sulle scienze. Di seguito alcuni cenni (parziali) si questo itinerario e relativo dibattito, tutt’ora aperto. Il senso comune. “208. Ho una conversazione telefonica con New York. Il mio amico mi informa che le sue pianticelle hanno certi boccioli così e così. Ora sono convinto che le sue pianticelle sono… Sono anche convinto che la Terra esiste? 209. Che la Terra esiste, è piuttosto una parte dell’intera immagine che costituisce il punto di partenza della mia credenza… 214. Che cosa m’impedisce di supporre che questo tavolo, quando nessuno lo sta guardando, scompaia, o cambi la sua forma o il suo colore e poi, quando qualcuno ritorna a guardarlo, ritorni al suo stato primitivo? Ma chi mai supporrà una cosa del genere? si vorrebbe

Riflessioni sul relativismo

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Alcune riflessioni sul relativismo

Citation preview

Page 1: Riflessioni sul relativismo

1

Canovaccio per una riflessione sul relativismo

di Roberto Paracchini

Una definizione. L’enciclopedia Treccani alla descrizione della voce

“relativismo” antepone la seguente definizione: “Concezione fondata

sul riconoscimento del valore soltanto relativo, e non oggettivo o

assoluto, sia della conoscenza, dei suoi metodi e criteri, sia dei

principi e dei giudizi etici, variando tutti da individuo a individuo,

da cultura a cultura, da epoca a epoca”. Il relativismo ha percorso la

storia della cultura e della riflessione sulle scienze. Di seguito alcuni

cenni (parziali) si questo itinerario e relativo dibattito, tutt’ora

aperto.

Il senso comune. “208. Ho una conversazione telefonica con New

York. Il mio amico mi informa che le sue pianticelle hanno certi

boccioli così e così. Ora sono convinto che le sue pianticelle sono…

Sono anche convinto che la Terra esiste?

209. Che la Terra esiste, è piuttosto una parte dell’intera immagine

che costituisce il punto di partenza della mia credenza…

214. Che cosa m’impedisce di supporre che questo tavolo, quando

nessuno lo sta guardando, scompaia, o cambi la sua forma o il suo

colore e poi, quando qualcuno ritorna a guardarlo, ritorni al suo stato

primitivo? Ma chi mai supporrà una cosa del genere? – si vorrebbe

Page 2: Riflessioni sul relativismo

2

dire” (Ludwig Wittgenstein, Della Certezza, Torino, Einaudi, 1978,

pagina 35, 36).

L’ultimo Wittgenstein, a cui appartiene Della Certezza, affronta il tema

del “senso comune”, tema in cui il filosofo austriaco evidenzia un

sistema di convenzioni, regole e codici linguistico concettuali con cui

normalmente ordiniamo le nostre esperienze: un codice per i

comportamenti umani che non punta a una legittimazione razionale,

nel senso di necessariamente consequenziale, ma alla constatazione

del suo valore di bussola sociale. In questo caso il “senso comune” è il

prodotto di una sedimentazione storica (quindi delimitata nel tempo e

nello spazio) che, permettendo di vivere la quotidianità dell’esistenza,

diventa “l’elemento di verità” (non in senso ontologico) della comunità

che utilizza quella lingua. Così come – si potrebbe affermare - per il

“senso comune” di una forma di vita acquatica è l’Acqua e non la Terra

“l’elemento di verità” (seppure istintivo). Una posizione (quella del

Wittgenstein della Della Certezza) considerata all’interno dell’area del

relativismo epistemico, in cui non si nega che vi siano diversi criteri

per giudicare “vera” una proposizione, ma si nega che possano esservi

meta criteri in grado di dare una priorità (superiore o inferiore) agli

stessi criteri di verità. In precedenza nel Tractatus logico-

philosophicus Wittgenstein aveva, invece, elaborato addirittura una

teoria “raffigurativa” del linguaggio, per cui la verità diventa una

relazione isomorfica (di corrispondenza biunivoca) tra linguaggio e

realtà, enunciati e fatti. In questo momento però ci interessa Della

Certezza.

Page 3: Riflessioni sul relativismo

3

Il relativismo epistemico. “Per il relativista epistemico non ci sono,

ad esempio, principi che consentano di stabilire la superiorità dei

metodi della scienza post-galileiana su quelli della fisica medievale”,

spiega il filosofo della scienza Diego Marconi (Per la verità, Torino,

Einaudi, 2007, pagina 52). Mentre sarebbe abbastanza facile

argomentasre la superiorità scientifica dei criteri post-galileiani, non

tanto perché Galilei abbia messo a punto un metodo organico - il suo

fu un bricolage in cui entravano sia Aristotele che Pitagora e

Archimede (itinerario attentamente scandagliato in Molte nature,

Enrico Bellone, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2008, pagine 69-

109) - quanto per la capacità dello scienziato pisano di articolare

istanze diverse diventate poi teorie in grado di spiegare un numero di

fenomeni maggiore delle teorie precedenti. Il relativista epistemico

potrebbe, però, obiettare che si gioca a carte truccate visto che le

nostre argomentazioni presuppongono direttamente o indirettamente

i criteri post-galileiani (ovvero quelli di cui dovrebbero dimostrare la

superiorità). In questo caso, per uscire dall’impasse, è importante

portare la riflessione dalle singole teorie al quadro storico.

Lo scettico. La posizione spesso citata quando si parla di relativismo

è quella scettica. In termini teorici, lo scettico radicale non è tanto chi

considera incerte le nostre conoscenze o si pone dubbi sulla loro

attendibilità come verità, quando chi punta all’illegittimità di qualsiasi

verità, come se dicesse: “La terra è rotonda?, certamente, ma chi mi

garantisce che io e il mondo in cui vivo non siano altro che un sogno,

oppure che non siano altro che un sofisticato algoritmo implementato

Page 4: Riflessioni sul relativismo

4

in un computer?”. A prima vista si tratta di un discorso paradossale,

ma solo in apparenza. Vediamo. Lo scetticismo si fa risalire a Gorgia di

Lentini (V secolo a.C.). Nel suo scritto Del non essere o della natura

afferma “1) nulla esiste; 2) se anche alcunché esiste, non è

comprensibile all’uomo; 3) se pure è comprensibile, è per certo

incomunicabile e inspiegabile agli altri” (AA.VV. Filosofia antica,

Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, pagina 82). Il suo obiettivo

polemico era l’identificazione tra le parole e le cose. In pratica “la

spaccatura che separa le parole dalle cose rende vano ogni discorso

sulla verità intesa come conformità tra logos e realtà. Il che (…) non

conduce alla negazione della realtà esterna, ma alla consapevolezza

della sua problematicità” (op. cit., pagina 81). In pratica “gli uomini si

trovano di fronte a una realtà indifferente a cui devono dare un

significato con l’ausilio del solo logos, che a sua volta è sempre altro

dalla realtà stessa. In questo sta la drammaticità della condizione

umana: non ci sono significati già dati” (ibidem). Un quadro, questo, in

cui il linguaggio assume un ruolo principe in quanto mezzo con cui si

costruiscono i significati (come si evince dall’opera di Gorgia Encomio

di Elena). Tornando ora al sogno, in rapporto all’elaborazione di un

paradigma conoscitivo, l’essere dentro un sogno o meno è ininfluente,

mentre questa situazione diverrebbe determinante in funzione di una

verità intesa in senso ontologico, come “cosa in sé”.

Un problema linguistico. L’abbandono del discorso ontologico sulla

verità (o il suo relativizzarsi, spostandolo, in contesti specifici – in

seguito vedremo il relativismo concettuale) è un tema che sta spesso

Page 5: Riflessioni sul relativismo

5

sullo sfondo dei dibattiti sul relativismo. Schematizzando si può

affermare che chi considera l’ontologia (inteso come problema

dell’essere a cui, in questo caso, vengono dati i predicati tradizionali

della scolastica medievale, tra cui l’unicità) come conditio sine qua non

di qualsiasi discorso sulla conoscenza valuta come relativisti (nel

senso di incapaci di avere punti di riferimento) coloro che questo

discorso non lo praticano. Tra questi ultimi va ricordato Rudolf

Carnap (1891-1970) che non esclude la possibilità di una verità, ma

pone quest’ultima su un piano linguistico, svincolandola da

considerazioni di concordanza con una realtà oggettiva. In questo

contesto, con una verità che “proviene” dal (o “ridotta” che dir si

voglia al) linguaggio e dalle (alle) sue regole, diventa privo di

significato il discorso sulla verità come problema di corrispondenza

tra logos (strutture linguistiche, in questo caso) ed essere (strutture

extra linguistiche). Un’impostazione, questa, che può anche essere

considerata come uno scambio di piani: trasferisce (o identifica) nel

linguaggio il valore di realtà oggettiva. Il che non esclude, però, l’onere

di spiegare questo reale. Ovvero di organizzare proposizioni che diano

conto dei fenomeni, pur ridotti a fenomeni linguistici.

L’uomo come misura. In rapporto al discorso gnoseologico un cenno

va fatto anche a Protagora di Abdera (V secolo a.C.), da diversi studiosi

considerato il primo relativista e conosciuto soprattutto per i dialoghi

di Platone (428-347 a. C.). La sua frase più nota è “l’uomo è misura di

tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono

in quanto non sono”. In sintesi: ognuno è giudice ultimo delle sue

Page 6: Riflessioni sul relativismo

6

conoscenze. Quindi “la verità non è oggettiva, ma soggettiva: la

conoscenza accade nell’uomo, non fuori di lui” (ibidem, pagina 66). A

queste considerazioni vanno poi aggiunti i criteri di utilità e di

efficacia che armonizzano i rapporti tra l’individuo e la collettività.

La Verità. La parola “verità”, dal latino veritas-atis, astrazione di

verus, vero, significa “meritevole di essere creduto”. Il che non

necessariamente comporta la corrispondenza tra logos e cose o

“l’adeguazione dell’intelletto e della cosa” come afferma Tommaso

d’Aquino (1225-1274) nella Summa Theolgiae e, in precedenza,

Aristotele (384-322 a. C.) quando precisa nella Metafica, che la verità è

la conformità di una proposizione alla realtà dei fatti: una

dichiarazione è vera se i fatti sono come essa li descrive, è falsa in caso

contrario. A questo punto è interessante notare che anche altre due

ipotesi sulla verità hanno avuto (e hanno tuttora) un ruolo negli ultimi

due secoli: coerenza e utilità. Per la coerenza citiamo: il filosofo inglese

Francis Herbert Bradley (1846-1924) in cui il monismo idealistico, in

cui soggetto e oggetto diventano un unicum perfettamente coerente,

produce l’unica verità-assoluto; e il neopositivista Otto Neurath

(1882-1945) che elabora una considerazione puramente sintattica

della verità in cui è centrale stabilire relazioni sempre più coerenti tra

le diverse proposizioni elementari, quelle che protocollano i fatti allo

stato puro (“scrostati” da elementi soggettivi tipo “io penso”, “cerco”,

“faccio” ecc.). Tra le ipotesi di verità come utilità segnaliamo: il padre

del pragmatismo Williams James (1842-1910) che identifica utilità e

verità solo nelle credenze non verificabili empiricamente, credenze

Page 7: Riflessioni sul relativismo

7

morali e religiose; e John Dewey (1859-1952) che sottolinea la

strumentalità di ogni procedura conoscitiva ai fini del

perfezionamento della vita umana, per lui ragionare è uno strumento

(da cui lo strumentalismo) per elaborare l’esperienza.

Le giustificazioni. In questo brevissimo excursus sul concetto di

verità va ricordato il logico matematico Alfred Tarski (1902-1983):

posto che il termine vero va riferito solo a enunciati e non a fatti e

cose, “p è vero se e solo se p”. E va menzionata anche l’idea di verità

come asserzione giustificata (argomentata), di cui si danno tre forme.

Le prime due non reggono al vaglio della storia: giustificazioni che si

basano su argomentazioni false e deliranti (quelle date dai nazisti e

relative al “complotto ebreo contro la Germania”); e giustificazioni

derivate in modo convincente da premesse plausibili (la teoria

tolematica del moto dei pianeti, che aveva dalla sua osservazioni

astronomiche e calcoli raffinati). Le terza giustificazione, che ingloba il

concetto di verità in stile tarskiano, è considerata valida dai difensori

del concetto di verità (intesa come verità che, in quanto tale, non può

che essere oggettiva). Vediamola: le argomentazioni valide e corrette

sono giustificazioni delle loro conclusioni, “ma che cos’è

un’argomentazione valida? E’ un’argomentazione la cui forma è tale

che, se le premesse sono vere, lo sono anche le conclusioni. E che cos’è

un’argomentazione corretta? E’ un’argomentazione valida le cui

premesse sono vere” (Diego Marconi, op. cit., pagine 11, 13).

I rapporti tra le teorie. Nel procedere delle scienze, si trovano una

serie di proposizioni considerate leggi come, nella fisica classica (Isaac

Page 8: Riflessioni sul relativismo

8

Newton – 1642-1727), il secondo principio della dinamica: F=ma

(forza uguale massa per accelerazione). Oppure nella relatività

ristretta (Albert Einstein - 1879-1955): E=mc2 (energia uguale massa

per velocità della luce al quadrato). Entrambe le formule funzionano:

in determinate condizioni rispondono sempre alle aspettative. Allora,

si potrebbe dire, sono vere nel senso ontologico di predicati

dell’essere, della realtà. O, ancora meglio, mostrano una

corrispondenza tra logos (linguaggio della fisica, in questo caso) e

realtà. Sono quindi verità eterne e non scalfibili? Non necessariamente

visto anche che E=mc2 afferma che quando un corpo è a riposo ha

comunque energia sotto forma di massa, al contrario di quanto

previsto dal sistema newtoniano, secondo il quale un corpo libero

fermo è privo di energia. Eppure la meccanica di Isaac Newton

funziona. Le questioni sono un po’ più articolate di una semplice

antinomia vero/falso. Infatti “dopo la teoria della relatività ristretta di

Albert Einstein (1905), la meccanica di Isaac Newton non ha smesso di

valere, semmai ha visto ridotto il suo campo di validità (per velocità

molto basse rispetto alla velocità limite della luce)” (Giulio Giorello,

Relativismo, sta in Laicità a cura di Giovanni Boniolo, Einaudi, Torino,

2006, pagina 234). Se si ricostruisce il procedere degli scienziati si

vede come anche le cosiddette leggi nascono da un faticoso bricolage e

da una forte componente immaginativa, da gioco e caparbietà, da

ipotesi e dispute.

Per via “furiosamente speculativa”. Einstein parla elaborazione

delle teorie per via “furiosamente speculativa” in una lettera a Max

Page 9: Riflessioni sul relativismo

9

Born (1882-1970) in cui esprime le sue perplessità sulla meccanica

quantistica. Premesso che Born ha avuto il premio Nobel per la

fisica nel 1954 e che l’ha ricevuto, in particolare, per la sua

interpretazione probabilistica della funzione d'onda nella meccanica

quantistica e che il padre della relatività non amava questa

interpretazione (che è anche quella attualmente maggioritaria),

nella lettera del maggio del 1944 Einstein scrive: “Le nostre

prospettive scientifiche sono ormai agli antipodi tra loro. Tu ritieni

che Dio giochi a dadi col mondo; io credo invece che tutto obbedisca

a una legge in un mondo di realtà obiettive che cerco di cogliere per

via furiosamente speculativa. Lo credo fermamente, ma spero che

qualcuno scopra una strada più realistica – o meglio un fondamento

più tangibile – di quanto non abbia saputo fare io. Nemmeno il

grande successo iniziale della teoria dei quanti riesce a convincermi

che alla base di tutto ci sia la casualità, anche se so bene che i

colleghi più giovani considerano quest’atteggiamento come un

effetto di sclerosi” (Einstein-Born, Scienza e vita. Lettere 1916-1955,

Einaudi, Torino, 1973, pagina 176). Un passo significativo perché

mostra, tramite uno degli scienziati più autorevoli che l’umanità

abbia mai avuto, quanto di passione, carne e sangue vi sia nel

procedere scientifico. Il che non esclude, sia chiaro, il suo

progredire né, come dimostra la storia, che tutte le teorie siano

equipollenti. Oggi sessant’anni di esperienza dicono che la

meccanica relativistica funziona nel macrocosmo, mentre la

quantistica (col suo incedere probabilistico) nel microcosmo. E ci

racconta anche le difficoltà (per il momento non risolte) di unificare

Page 10: Riflessioni sul relativismo

10

le due teorie in una che le comprenda entrambe. Ma questo è un

altro discorso, a noi interessa il procedere scientifico.

La scienza fragile. Secondo il matematico Bruno de Finetti

(1906-1985) quelle che definiamo leggi naturali sono eventi “di cui

attendiamo con certezza pratica il verificarsi” (citato in Giulio

Giorello, ibidem). Ma una legge naturale non si ripete all’infinito?

Per de Finetti quel che si può dire è “io prevedo che il tale fatto

avverrà nel tal modo, perché l’esperienza del passato e

l’elaborazione scientifica cui l’elaborazione dell’uomo l’ha

sottoposta mi fanno sembrare ragionevole questa previsione”

(ibidem). Insomma (e de Finetti, che afferma quanto segue nel

1935, ha di mira il neopositivismo di Carnap) “non si tratta per noi

di porre la Scienza su basi più solide, ma semplicemente di

riconoscere quanto tali basi siano fragili” (Bruno de Finetti,

L’invenzione della verità, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006,

pagina 124). Ma niente disfattismo, tanto meno sottovalutazione

delle scienze. Il problema è che, continua de Finetti, “dobbiamo

inventare il mondo per inquadrarvi le nostre sensazioni, ma non

dovremo mai considerarlo come uno schema rigido e fisso, come

una costruzione definitiva: esso non è che il risultato provvisorio di

uno sforzo di sintesi. Le nostre sensazioni, i nostri concetti

fondamentali, a cominciare da quelli di spazio e tempo, non saranno

mai i protagonisti di una commedia finita ove ciascuno ha la sua

parte e il suo ruolo, saranno sempre i sei personaggi in cerca

d’autore” (Bruno de Finetti, ibidem).

Page 11: Riflessioni sul relativismo

11

Tra congetture e confutazioni. Il bello del procedere

scientifico, si potrebbe dire, sta proprio in questo inventare il

mondo comprendendolo. Si potrebbe dire tramite Congetture e

confutazioni, come titola un libro di Karl Popper del 1969. Ma

questo non deve trarre in inganno, non significa abdicare alla

conoscenza, né sottovalutare il valore delle teorie: “Il nostro scopo,

in quanto scienziati - afferma Popper, uno dei maggiori filosofi della

scienza del XX secolo, considerato anche lui un relativista – è di

scoprire la verità circa il problema in esame; e dobbiamo

considerare le teorie come seri tentativi per trovare la verità” (Karl

Popper, Congetture e confutazioni, il Mulino, Bologna, 1972, pagina

421). Armati quindi non solo – in stile euclideo – di squadra e

compasso, ma di fantasia e spirito critico. Infatti “Non abbiamo

alcun motivo per ritenere la nuova teoria migliore dell’antica – o di

credere che sia più vicina alla verità – fino a che non abbiamo

derivato dalla nuova teoria nuove previsioni, che non potevano

ottenersi dalla vecchia (le fasi di Venere, le perturbazioni,

l’equazione massa-energia) e fino a che non abbiamo riscontrato

che queste nuove previsioni sono valide. Soltanto tale successo,

infatti, mostra che la nuova teoria comportava conseguenze vere

(cioè, un contenuto di verità) mentre le vecchie teorie

comportavano conseguenze false (cioè, un contenuto di falsità)”

(Karl Popper, op. cit., pagina 422).

Le culture. Interessante e funzionale al discorso sul procedere

scientifico è anche il cosiddetto relativismo concettuale.

Semplificando: non si può parlare di stati quantici nel linguaggio

Page 12: Riflessioni sul relativismo

12

della filosofia naturale del rinascimento, così come non è possibile

parlare di simpatia come concetto teoricamente probante nella

fisica moderna. I due sistemi fanno riferimento a una serie di

differenti impalcature concettuali che non includono le proposizioni

accennate. Detta in altri termini: è difficile pensare che la filosofia

naturale rinascimentale sia in grado di acquisire gli stati quantici

senza smantellare la maggioranza delle sue maglie categoriali. Idem

per la fisica moderna in rapporto al concetto di simpatia. Altro

esempio: il concetto di sviluppo è come incastonato nella maggior

parte delle teorie economiche legate all’economia di mercato. Ma

esistono lingue, come la moré, un idioma niger-kordofaniana parlato

dai mossi (è diffuso principalmente nel Burkina Faso, dove si contano

circa cinque milioni di parlanti), dove “non si è trovato un

equivalente” linguistico “per descrivere il concetto in questione

(quello di sviluppo – ndr)” (Marco Aime, Prefazione a Il tempo della

decrescita di Serge Lautouche e Didier Harpagès, elèuthera, Milano,

2011, pagina 17). Anche in questo caso l’inserimento del concetto di

sviluppo nei moré non sarebbe semplicissimo senza, a monte, una

modifica della struttura sociale e, quindi, concettuale del contesto dei

parlanti.

Il progresso debole. “Lo sviluppo delle conoscenze preistoriche e

archeologiche – spiega l’antropologo Lèvi Strauss (1908-209) - tende a

disporre nello spazio forme di civiltà che eravamo propensi a

immaginare come successive nel tempo. Il che significa due cose:

anzitutto che il progresso (se questo termine è ancora adatto a

Page 13: Riflessioni sul relativismo

13

designare una realtà diversissima da quella a cui era stato in un primo

tempo applicato) non è né necessario né continuo; procede a salti, a

sbalzi, o, come direbbero i biologi, per mutazioni” (Lèvi Stauss, Razza e

storia. Razza e cultura, Einaudi, Torino, 2002, pagina 21). Non si vuole

qui entrare nel discorso del relativismo culturale in generale, ma

sottolineare l’apporto che l’etnologia ha dato alla rimodulazione del

concetto di progresso (anch’esso coinvolto nella nozione di verità e di

relativismo). Sebbene in questo ultimo secolo le scoperte scientifiche

siano cresciute in modo spesso esponenziale, le considerazioni che

seguono possono essere considerate funzionali – rendendo Lèvi

Strauss di grande modernità e attualità - anche per il procedere

scientifico nel suo complesso: “L’umanità in progresso non assomiglia

certo a un personaggio che sale una scala, che aggiunge con ogni suo

movimento un nuovo gradino a tutti quelli già conquistati; evoca

semmai il giocatore la cui fortuna è suddivisa su parecchi dadi e che,

ogni volta che li getta, li vede sparpagliarsi sul tappeto, dando luogo

via via a computi diversi. Quel che si guadagna sull’uno, si è sempre

esposti a perderlo sull’altro, e solo di tanto in tanto la storia è

cumulativa, cioè i computi si addizionano in modo da formare una

combinazione cumulativa” (Ibidem). Tornando al relativismo

concettuale, molto presente nella storia delle culture, a ben guardare e

visto che questa impostazione porta a dire non tanto che comunità

umane diverse hanno opinioni (anche scientifiche) diverse, ma che

vivono in mondi diversi in quanto il contesto concettuale crea le

nozioni (o le proposizioni) su cui ci si esprime…; a ben guardare – si

Page 14: Riflessioni sul relativismo

14

diceva – il relativismo concettuale diventa paradossalmente il suo

contrario: una forma di ontologia in quanto crea il suo mondo

concettuale, quindi i suoi possibili stati di realtà. E infatti possibile dire

che la proposizione che il sale serve a conservare i cibi aveva senso (o,

se si preferisce, era vera) nella Grecia di Omero; mentre la

proposizione che il sale è cloruro di sodio, no (esempio specifico

citato da Diego Marconi, op. cit., pagina 62; il relativismo concettuale è

argomentato in maniera precisa da Ian Hacking, Ontologia storica, Ets,

Pisa, 2010).

Gli orizzonti del meticciato. Quanto affermato poco prima, sia

chiaro, non significa affatto che non possano esservi delle valutazioni

(dei gradi) sulla maggiore potenza degli universi concettuali, ma – a

parere di chi scrive - che tutti vanno contestualizzati proprio per

capirne meglio le metodologie e, come potrebbe suggerire Strauss,

forzare le varie maglie categoriali per arrivare a contaminazioni e

meticciati virtuosi (si pensi agli attuali sforzi di coniugare la

meccanica relativistica con quella quantistica o alle contaminazioni tra

matematiche un tempo considerate incommensurabili, come quelle

utilizzate per risolvere l’ultimo teorema di Fermat, in cui problemi

delle curve ellittiche vecchi di secoli sono stati trasportati nelle loro

forme modulari e affrontati con nuovi strumenti matematici).

Insomma niente va considerato statico e chiuso, tanto meno le

riflessioni sulle teorie scientifiche (le metateorie e le implicazioni

contestuali). Infatti “l’evoluzione del sapere - afferma Bellone

commentando gli sforzi galileiani per demolire il principio

Page 15: Riflessioni sul relativismo

15

copernicano secondo cui l’universo è rappresentato da sfere corporee

– ristruttura continuamente l’ontologia, ovvero il repertorio degli enti

necessari affinché le teorie riescano a spiegare o a descrivere i fenomeni

naturali” (Enrico Bellone, op. cit., pagina 109).