277

RIVISTA RTDT A3 TRACCrivistatrimestraledirittotributario.com/images/materiali/fascicoli/... · G. Giappichelli editore – torino Comitato di direzione Fabrizio amatucci, Massimo

  • Upload
    vuquynh

  • View
    215

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

2/2012

G. Giappichelli editore – torino

Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

2/2012

Tax Law Quarterly

© copyright 2012 - Amici della Rivista Trimestrale di Diritto Tributarioregistrazione presso il tribunale di torino, 5 aprile 2012, n. 22

Direttore responsabile: eugenio della Valle

Direzione e Redazionec/o Giuseppe MariniVia dei Monti parioli n. 48 - 00197 romatel. [email protected]

G. Giappichelli editore - 10124 torinovia po, 21 - tel. 011-81.53.111 - Fax 011-81.25.100http://www.giappichelli.it

iSBn/ean 978-88-348-2727-7iSSn 2280-1332

Stampatore: Stampatre s.r.l., di a. rinaudo, G. rolle, a. Volponi & c., via Bologna 220, 10123 torino

le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volu-me/fascicolo di periodico dietro pagamento alla Siae del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.

le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da clearedi, centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali, corso di porta romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Jacques autenne, pietro Boria, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, Gianluca contaldi, daria coppa, Giacinto della cananea, augu-sto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lopez espa-dafor, raffaello lupi, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Francesco pistolesi, Gianni puoti, claudio Sacchetto, Salvatore Sammar-tino, angelo Scala, roman Seer, Maria teresa Soler roch, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, antonio Uricchio, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna can-nizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dorigo, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano pe-ruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di uno dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/Home/riviste.aspx?codice=R10)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori IX Dottrina F. Fichera, Calamità naturali e aiuti di Stato: il caso dell’Abruzzo [Na-

tural Disasters and State Aid: the Case of Abruzzo (Central Italy)] 301 F.A. García Prats, Il patto di stabilità e la governance multi livello. Li-

miti europei e finanza pubblica locale: l’esperienza spagnola (Sta-bility Pact and multi-level Governance. European constraints and lo-cal public finance: the Spanish experience) 323

F. Bilancia, Note critiche sul c.d. “pareggio di bilancio” (Some cri-ticism on the so-called “balanced budget”) 349

V. Guido, L’imposta regionale sulle emissioni sonore: prime appli-cazioni di federalismo fiscale e sperimentazioni di fiscalità am-bientale propria (The regional aircraft noise emission tax: first at-tempts to apply the fiscal federalism and to experiment with regional environmental taxation) 359

M. Logozzo, La scusante dell’illecito tributario per obiettiva incer-tezza della legge (The uncertainty of tax law as a circumstance excluding wrongfulness) 387

F. Paparella, Insinuazione al passivo tardiva dei crediti fiscali: re-centi ordinanze della Suprema Corte tra vecchie questioni e nuo-va disciplina dell’accertamento esecutivo (Late proof of a fiscal credits in a bankruptcy: recent judgments of the Supreme Court, between old issues and the new provisions on the executive assess-ment) 415

INDICE-SOMMARIO RTDT - n. 2/2012

VIII

pag.

G.G. Scanu, La presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali tra ragione fiscale e difesa del contribuente (The presumption of profits distribution in “small” capital companies be-tween fiscal interest and defense of taxpayer) 443

G. Selicato, Profili procedimentali dei rapporti giuridici attivi so-pravvenuti all’estinzione societaria (The tax treatment of extraor-dinary income subsequent corporate extinction) 467

Giurisprudenza

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782 (udienza del 18 maggio 2011) – Pres. Adamo, Rel. Di Domenico, con nota di P.L. Cardella, La bussola delle valide ragioni economiche e l’elusione dell’anti-elusione (The “valid economic reasons” test and the avoidance of anti-avoidance tax rules) 487

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295 (udienza del 19 gennaio 2011) – Pres. e Rel. D’Alonzo, con nota di M. Interdonato, Il “ri-baltamento” obbligatorio di costi e ricavi nei consorzi, tra esaspe-rata valorizzazione della mutualità ed esigenze di contrasto al-l’abuso di diritto (The compulsory “reallocation” of costs and receipts in consortia, from an exacerbated valorization of mutualism and con-trast requirements up to the abuse of law) 510

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956 (udienza del 19 gennaio 2012) – Pres. Teresi, Rel. Amoresano, con nota di G.L. Soana, Confisca per equivalente e sopravvenuto adempimento del debi-to tributario (Confiscation by equivalent and subsequent payment of taxes) 544

GLI AUTORI E I REVISORI

Francesco Bilancia Professore ordinario di Diritto costituzionale, Università di Chieti-Pescara

Pier Luca Cardella Dottorando in Diritto tributario, “Sapienza” Università di Roma

Franco Fichera Professore ordinario di Diritto tributario, Università Suor Orsola di Napoli

Francisco Alfredo García Prats Catedratico de Derecho financiero y tributario, Università di Valencia (E)

Valeria Guido Assegnista di Ricerca, Università di Sassari

Maurizio Interdonato Ricercatore di Diritto tributario, Università di Venezia “Ca’ Foscari”

Maurizio Logozzo Professore straordinario di Diritto tributario, Università Cattolica del Sacro Cuore

Franco Paparella Professore straordinario di Diritto tributario, Università del Salento

Giuseppe Giovanni Scanu Ricercatore di Diritto tributario, Università di Sassari

Gianluca Selicato Ricercatore di Diritto tributario, Università di Bari “Aldo Moro”

Gian Luca Soana Giudice presso il Tribunale di Roma

La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Niccolò Abriani (Pro-fessore ordinario di Diritto commerciale, Università di Firenze); Pietro Boria (Pro-

GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 2/2012

X

fessore ordinario di Diritto tributario, Università di Foggia); Andrea Carinci (Pro-fessore straordinario di Diritto tributario, Università di Bologna); Daria Coppa (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Luigi Ferlazzo Natoli (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Messina); Augusto Fantozzi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università telematica “Giustino Fortunato”); Raffaello Lupi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Roma “Tor Vergata”); Gianni Marongiu (Professore emerito di Diritto tributa-rio, Università di Genova); Dario Stevanato (Professore ordinario di Diritto tribu-tario, Università di Trieste); Giuseppe Tinelli (Professore ordinario di Diritto tribu-tario, Università di Roma Tre).

DOTTRINA

SOMMARIO: F. Fichera, Calamità naturali e aiuti di Stato: il caso dell’Abruzzo [Natural Di-

sasters and State Aid: the Case of Abruzzo (Central Italy)] F.A. García Prats, Il patto di stabilità e la governance multi livello. Limiti europei e

finanza pubblica locale: l’esperienza spagnola (Stability Pact and multi-level Go-vernance. European constraints and local public finance: the Spanish experience)

F. Bilancia, Note critiche sul c.d. “pareggio di bilancio” (Some criticism on the so-called “balanced budget”)

V. Guido, L’imposta regionale sulle emissioni sonore: prime applicazioni di federalismo fiscale e sperimentazioni di fiscalità ambientale propria (The regional aircraft noise emission tax: first attempts to apply the fiscal federalism and to experiment with regional environmental taxation)

M. Logozzo, La scusante dell’illecito tributario per obiettiva incertezza della legge (The uncertainty of tax law as a circumstance excluding wrongfulness)

F. Paparella, Insinuazione al passivo tardiva dei crediti fiscali: recenti ordinanze della Suprema Corte tra vecchie questioni e nuova disciplina dell’accertamento esecutivo (Late proof of a fiscal credits in a bankruptcy: recent judgments of the Supreme Court, between old issues and the new provisions on the executive assessment)

G.G. Scanu, La presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali tra ragione fiscale e difesa del contribuente (The presumption of profits distribution in “small” capital companies between interest tax and defense of taxpayer)

G. Selicato, Profili procedimentali dei rapporti giuridici attivi sopravvenuti al-l’estinzione societaria (The tax treatment of extraordinary income subsequent corporate extinction)

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

300

Franco Fichera

301

Franco Fichera

CALAMITÀ NATURALI E AIUTI DI STATO: IL CASO DELL’ABRUZZO *

NATURAL DISASTERS AND STATE AID: THE CASE OF ABRUZZO (CENTRAL ITALY)

Abstract Nel caso di calamità naturali o di eventi eccezionali che colpiscano un determi-nato territorio, quando si viene a creare una situazione di degrado sociale ed economico, si pone un duplice problema per contribuire al ripristino delle con-dizioni esistenti prima dell’evento: far fronte all’emergenza e stimolare la ripresa delle attività produttive. Su entrambi gli aspetti gli Stati membri dell’Unione europea sono tenuti al ri-spetto delle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE): l’art. 107, par. 2, lett. b), sugli aiuti di Stato compatibili de iure, e l’art. 107, par. 3, lett. a) e/o c), sugli aiuti di Stato a finalità regionali. In questo quadro, il lavoro valuta quanto è avvenuto e sta avvenendo in Abruzzo dopo il terremoto del 6 aprile 2009 quando il legislatore italiano, muovendosi sui due fronti, è intervenuto con il D.L. n. 39/2009 e poi con altri provvedimenti, prevedendo appunto aiuti rivolti a ovviare ai danni causati dall’evento calamitoso e aiuti rivolti allo sviluppo. Parole chiave: calamità naturali, Abruzzo, aiuti degli Stati, aiuti di Stato a finalità regionali, zona franca urbana, regola de minimis

* Testo rielaborato della relazione tenuta in apertura del Convegno di studi “La zona franca urbana per L’Aquila: dall’emergenza alla fiscalità di sviluppo” (L’Aquila 3 dicembre 2011), promosso dal Gruppo di ricerca Prin 2009-Miur “La fiscalità di vantaggio per le aree colpite da calamità naturali”.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

302

In the event of natural disasters or exceptional events that affect a certain territory and that create a situation of social and economic decay, a double problem arises when contributing to restore the conditions existing prior to the event: tackling the emergency and stimulating the recovery of productive activities. On both aspects, the EU Member States are required to comply with the provisions of the Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU): Art. 107, Para. 2, Letter b), on to State aid which is de iure compatible, and Art. 107, Para. 3, Letter a) and/or c), on State aid for regional purposes. In this framework, this analysis evaluates what happened and is happening in Abruz-zo (central Italy) after the April 6th 2009 earthquake when the Italian legislator, on two different directions, through the Legislative Decree No. 39/2009 and then other measures, has granted State aids to compensate the damages caused by the calamity and aid for the development. Keywords: natural disasters, Abruzzo (central Italy), State aid, State aid for region-al purposes, urban free zone, de minimis rule

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il risarcimento dei danni causati dal terremoto del 6 aprile 2009 alle attività produttive. – 3. La fiscalità di sviluppo e la zona franca urbana di L’Aquila. – 4. La regola de mi-nimis. – 5. La ripresa della riscossione con una riduzione del 60% di tributi, contributi e ogni altro onere iscritto a ruolo oggetto di sospensione a seguito del sisma. – 6. Conclusioni.

1. Premessa

Nel caso di calamità naturali il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), art. 107, par. 2, lett. b), prevede che «gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi ecce-zionali» siano compatibili de iure con il mercato interno.

È noto: il Trattato, all’art. 107, par. 1, fissa l’incompatibilità degli aiuti di Stato in quanto «favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza». Un’incompatibilità di principio, però. Sono, infatti, ammessi gli aiuti di Stato che, pur essendo tali, sono compati-bili di diritto, come nel caso di calamità naturali o di eventi eccezionali, art. 107, par. 2, lett. b); e poi deroghe in base alle quali gli aiuti – siano essi di ca-rattere “regionale”, “settoriale”, “orizzontale”, in vista di progetti europei o al-tro –, pur restando tali, possono essere considerati compatibili da parte della Commissione, art. 107, par. 3, varie lettere.

Franco Fichera

303

Si contempera, in tal modo, la salvaguardia del principio della libera con-correnza e la realizzazione del mercato interno con il perseguimento di obiettivi economici e sociali di vario tipo che giustificano le misure nazionali di sostegno e che, del resto, non sono estranei all’ordinamento dell’UE.

Tanto nel rispetto rigoroso delle procedure di cui all’art. 108 del Trattato. Nel caso di calamità naturali o di eventi eccezionali che colpiscano un

determinato territorio, quando si viene a creare una situazione di degrado sociale ed economico, si pone un duplice problema per contribuire al ripri-stino delle condizioni esistenti prima dell’evento: far fronte all’emergenza e stimolare la ripresa delle attività produttive

1. Il primo problema, evidente e immediato, è quello del risarcimento dei

danni subiti dalle attività economiche; questo ai fini di riportare le imprese danneggiate alle condizioni normali di produttività. L’evidenza di tanto rende questi aiuti compatibili de iure, art. 107, par. 2, lett. b) del Trattato. Come potrebbe, infatti, un’impresa colpita dall’evento calamitoso o eccezio-nale riprendere le sue attività senza, appunto, che s’intervenga a compensa-zione dei danni subiti? In questo caso, secondo il rilievo della Corte di giusti-zia, la Commissione è tenuta a dichiarare, «purché rispondano a taluni criteri oggettivi», tali aiuti compatibili «senza disporre di alcun potere discrezio-nale»

2. E nelle procedure previste l’attenzione della Commissione, sempre secondo la Corte, va concentrata sul nesso diretto di causalità tra i danni su-

1 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C (2004) 3344 dell’8 settembre 2004, avente ad oggetto Aiuto di Stato N 147/04 – Italia e relativa alla Revisione della parte della Carta ita-liana degli aiuti a finalità regionali per il periodo 2000-2006 che riguarda le regioni ammis-sibili alla deroga di cui all’art. 87, par. 3, lett. c) del Trattato, punti 10 e 38. Nella decisione che si riferisce al caso degli eventi calamitosi in Molise del 2002 e del 2004, la Commissione al punto 10 rileva che «Le autorità italiane ritengono che a seguito di tali eventi eccezionali i territori interessati abbiano subito un grave degrado della situazione socio-economica. Al fine di poter intervenire in modo adeguato, desiderano concedere, oltre agli aiuti volti a porre rimedio ai danni causati dalle calamità naturali, degli aiuti agli investimenti. Hanno quindi proposto di inserire tutte le aree colpite dalle calamità naturali nella deroga di cui all’art. 87, par. 3, lett. c), del Trattato»; e al punto 38 aggiunge che «Per quanto riguarda questo aspet-to, la Commissione deve in particolare tenere conto del carattere eccezionale delle due cala-mità successive. A tale proposito, i dati relativi all’abbandono dei luoghi di residenza a segui-to delle difficoltà derivanti da tali calamità possono dare un’idea dei rischi di spopolamento. Senza un intervento mediante aiuti a finalità regionale non sarebbe possibile indurre gli inve-stitori a intervenire nelle aree assistite della regione Molise e mantenere così un livello di pre-senza di imprese sufficiente per stimolare la ripresa dell’attività economica in tali aree».

2 V. CGCE, Olympiaki Aeroporia Ypiresies AE c. Commissione, C-268/06, sent. 25 giu-gno 2008, punto 51, ove si richiama il precedente Philip Morris c. Commissione, 730/79, sent. 17 settembre 1980, punto 17.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

304

biti e l’evento calamitoso o eccezionale e sull’appropriato risarcimento 3. Cri-

teri che se non strettamente osservati, porterebbero a una sovracompensa-zione e di nuovo altererebbero la situazione, questa volta in senso inverso, ponendo in una posizione di vantaggio l’impresa beneficiaria, incidendo su-gli scambi tra gli Stati membri e quindi falsando la concorrenza. Si richiede, così, un’esatta compensazione per le imprese e le produzioni colpite, pro-prio per permettere loro di ritornare in posizione di parità sul mercato e competere ad armi pari con le altre, ma rigorosamente non oltre.

E tuttavia c’è un secondo problema, meno evidente e da verificare di vol-ta in volta, nel caso in cui l’evento calamitoso o eccezionale abbia pregiudi-cato in misura talmente grave la situazione socio-economica che il ristoro dei danni subiti dai singoli da solo non è sufficiente ai fini di una ripresa del-le attività nelle aree colpite

4. L’impresa ha bisogno di un contesto sociale ed economico, di un tessuto di servizi e di relazioni vitali, della presenza di per-sone e cose, senza di cui non nasce né può prosperare. Non basta dunque il

3 V., di nuovo, CGCE, Olympiaki Aeroporia Ypiresies AE c. Commissione, C-268/06, cit., punto 52, secondo cui «trattandosi di una deroga al principio generale dell’incompatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune, sancito dall’art. 87, n. 1, CE, l’art. 87, n. 2, lett. b), CE deve formare oggetto di un’interpretazione restrittiva. Di conseguenza possono essere compensati, ai sensi di tale disposizione, solo gli svantaggi economici causati direttamente da calamità naturali o da altri eventi eccezionali. Deve quindi esistere un legame diretto tra i danni causati dall’evento eccezionale e l’aiuto di Stato ed è necessaria una valutazione il più possibile precisa dei danni subiti». Nello stesso senso CGCE, Atzeni e altri c. Regione auto-noma della Sardegna, C-346/03 e 529/03, sent. 23 febbraio 2006, punto 79 e, si tratta di una giurisprudenza consolidata, varie altre: Germania c. Commissione, C-156/98, sent. 19 settem-bre 2000, punto 49 e 54; Germania c. Commissione, C-301/96, sent. 30 settembre 2003, punti 66 e 71 s.; Grecia c. Commissione, C-278/00, sent. 29 aprile 2004, punti 81 e 82; TRIBUNALE DI PRIMO GRADO, Regione autonoma della Sardegna c. Commissione, T-171/02, sent. 15 giugno 2005, punto 165. Conformi a tale giurisprudenza le prassi della Commissione, v. COMMIS-SIONE EUROPEA, decisione C(2004) 3893 del 20 ottobre 2004 relativa al regime di aiuti cui l’Italia ha dato esecuzione a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei co-muni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, in G.U.U.E., L 100 del 20 aprile 2005, punto 45, dove, sviluppando l’argomento, si afferma che «Come del resto confermato dalle autorità italiane nella lettera del 10 settembre 2004, la misura si basa su un’impostazione macroeco-nomica. Tuttavia, alla luce del Trattato stesso e secondo la prassi costante della Commissio-ne, deve esistere un nesso chiaro e diretto tra il fatto che ha provocato il danno e l’aiuto di Stato destinato a risarcirlo, e il nesso deve essere stabilito a livello di impresa e non a livello macroeconomico».

4 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C (2004) 3344 dell’8 settembre 2004, cit., pun-to 9, e, nello stesso senso, ID., decisione 91/175/CEE del 25 luglio 1990, relativa agli aiuti istituiti dalla L. italiana n. 120/1987 a favore di talune zone del Mezzogiorno colpite da calamità naturali, in G.U.C.E., L 86 del 26 aprile 1991, parte IV.

Franco Fichera

305

risarcimento dei danni, ma può essere necessario stimolare la ripresa delle attività economiche, predisporre regimi di aiuto agli investimenti in modo che insediarsi in quelle aree risulti di nuovo appetibile

5. In tal caso, gli aiuti di Stato, pur essendo mirati allo sviluppo di un determinato territorio, “aiuti a finalità regionali” nella qualificazione di diritto europeo, e dunque incom-patibili in via di principio, tuttavia possono essere autorizzati in deroga, in forza dell’art. 107, par. 3, lett. a) e/o c) del Trattato

6. La Commissione, nel-l’esercizio questa volta di “un ampio potere discrezionale” – secondo la sot-tolineatura della Corte di giustizia

7 –, per concedere l’autorizzazione in de-roga deve accertarsi che nelle aree colpite sussistano, rispetto all’insieme dell’UE, difficoltà sufficientemente gravi da giustificare la concessione dell’aiuto e la sua intensità

8. È questo il caso in cui il solo gioco delle forze di mercato non consente alle imprese di adottare un comportamento tale da contribuire alla ripresa delle zone colpite

9. Al contrario, le cose lasciate alla loro dinamica spontanea, rafforzerebbero il degrado. Allora, è lo Stato che può sopperire rendendo, attraverso l’aiuto alle imprese rivolto questa volta allo sviluppo e alla promozione degli investimenti, conveniente impegnarsi in un territorio che di per sé e proprio a seguito dell’evento calamitoso o ecce-zionale non è più attrattivo

10. Come potrebbe, infatti, un singolo decidere di restare in quel territorio e di investirvi ex novo quando le condizioni sono di degrado e di abbandono? L’aiuto in tal senso se efficace e ben mirato, ade-

5 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C (2004) 3344 dell’8 settembre 2004, cit., pun-to 38 e, nello stesso senso, ID., decisione C(2004) 3893 del 20 ottobre 2004, cit., punto 37.

6 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione 91/175/CEE del 25 luglio 1990, cit., parte IV e, ancora, ID., decisione C(2004) 3893 del 20 ottobre 2004, cit., punti 16 e 20 ss.

7 V. CGCE, Atzeni e altri c. Regione autonoma della Sardegna, C-346/03 e 529/03, sent. 23 febbraio 2006, punto 84, dove si rileva che «Per quanto riguarda la valutazione della validità degli aiuti con riferimento alle disposizioni dell’art. 92, n. 3, lett. a) e c), del Trattato, rela-tive agli aiuti destinati a favorire o ad agevolare lo sviluppo economico di talune regioni o di talune attività, occorre ricordare che la Commissione dispone, per l’applicazione di tali disposizioni, di un ampio potere discrezionale il cui esercizio implica valutazioni di ordine economico e sociale che devono essere effettuate in un contesto comunitario e che la Cor-te, nell’effettuare il sindacato di legittimità sull’esercizio di tale libertà, non può sostituire la propria valutazione in materia a quella dell’autorità competente, ma deve limitarsi a stabi-lire se quest’ultima valutazione sia viziata da errore manifesto o da sviamento di potere (v. Francia c. Commissione, causa C-456/00, sent. 12 dicembre 2002, punto 41)».

8 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione 91/175/CEE del 25 luglio 1990, cit., parte IV. 9 V. ivi. 10 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C (2004) 3344 dell’8 settembre 2004, cit., pun-

to 38.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

306

guato allo scopo – “necessario, appropriato e proporzionato”, come richiede l’ordinamento dell’UE

11 – concorrerà in quel territorio al ritorno degli inve-stimenti e, nel contempo, a stimolare la ripresa delle attività produttive, evi-tando il circolo vizioso per cui nessuno investe perché non ci sono le condi-zioni e le condizioni non si creano perché nessuno investe.

In tal senso si può richiamare, per fare un esempio relativo all’Italia, il duplice intervento della Commissione nel 2004 nel caso degli eventi calami-tosi del Molise: una prima volta per approvare gli aiuti alle attività produtti-ve volti a ovviare ai danni causati dal sisma del 2002 e dalla successiva allu-vione del 2004

12, e una seconda volta per approvare aiuti a finalità regionale volti a sostenere gli investimenti per l’insediamento di nuove imprese negli stessi territori colpiti dalle calamità naturali

13. Il primo in forza dell’art. 107, par. 2, lett. b) e il secondo dell’art. 107, par. 3, lett. c).

È questo il quadro della disciplina europea della concorrenza entro cui si muove il legislatore nazionale nel momento in cui, dopo un evento calami-toso o eccezionale, approva misure di aiuto.

Ed è in questo quadro, quindi, che va valutato quanto è avvenuto e sta avvenendo in Abruzzo dopo il terremoto del 6 aprile 2009 – una “catastrofe naturale grave” nella qualificazione dell’evento calamitoso che ha permesso di erogare i contributi del Fondo di solidarietà dell’UE

14 –, quando il legisla-

11 V. sul punto G. TESAURO, Diritto dell’Unione europea6, Padova, 2010, p. 827 s., dove si legge che «Il principio della contropartita (compensatory justification), formulato nel caso Phi-lip Morris (CGCE, Philip Morris c. Commissione, 730/79, sent. 17 settembre 1980, punti 24-26) dalla Commissione e confermato poi dalla Corte, comporta anzitutto che un aiuto va valutato dal punto di vista comunitario piuttosto che nazionale o dell’impresa beneficiaria. L’aiuto potrà considerarsi compatibile quando non sia possibile diversamente realizzare l’o-biettivo d’interesse comune in funzione del quale è stabilita la deroga. La Commissione, per-tanto, non potrà autorizzare aiuti che non siano necessari e proporzionati rispetto all’inte-resse comune perseguito. Ad esempio, non può considerarsi compatibile con il mercato co-mune un aiuto per nuovi investimenti redditizi quando l’impresa avrebbe sufficienti mezzi propri per realizzarli o quando si tratti di aiuti c.d. operativi o di funzionamento, cioè non fi-nalizzati a ridurre i costi o comunque ad elevare la competitività ma solo a far fronte a costi eccessivi (e perdite) di esercizio».

12 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C(2004) 3630 fin., 6 ottobre 2004 avente a og-getto Aiuto di Stato N 174/A/2004 - Italia (Molise). Aiuti relativi ai danni causati da ca-lamità naturali (Molise).

13 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C (2004) 3344 dell’8 settembre 2004, cit. 14 V. Reg. (CE) n. 2012/2002 del Consiglio dell’11 novembre 2002, che istituisce il Fon-

do di solidarietà dell’UE, in G.U., L 311 del 14 novembre 2002, dove, sesto considerando, una volta premesso che si considera “grave catastrofe” … l’evento calamitoso «che provoca danni considerevoli in termini finanziari o di percentuale del reddito nazionale lordo

Franco Fichera

307

tore italiano, muovendosi sui due fronti, è intervenuto con il D.L. n. 39/ 2009 e poi con altri provvedimenti, prevedendo appunto aiuti rivolti a far fronte all’emergenza e aiuti rivolti allo sviluppo.

Sulla base di questa premessa, il lavoro si articola come segue: l’in-tervento delle autorità italiane per l’Abruzzo viene visto, in primo luogo, sotto il profilo del risarcimento dei danni causati dal sisma (par. 2), quindi sotto quello delle misure di fiscalità di sviluppo previste con l’istituzione della zona franca urbana di L’Aquila (par. 3); si continua con la presa in conside-razione della regola de minimis (par. 4) e dell’ulteriore misura di aiuto consi-stente nella riduzione del 60% dei tributi iscritti a ruolo oggetto di sospen-sione a seguito del sisma (par. 5); per chiudere con una breve conclusione (par. 6).

2. Il risarcimento dei danni causati dal terremoto del 6 aprile 2009 alle atti-vità produttive

Le autorità italiane, a seguito del terremoto della notte del 6 aprile 2009, nell’ambito di una serie di interventi volti a far fronte all’emergenza, di cui in particolare il D.L. n. 39/2009 sul terremoto in Abruzzo, art. 3, comma 1, lett. da f) a l)

15, assumono vari provvedimenti a sostegno delle attività pro- (RNL)», si prevede che, art. 2, comma 1, su richiesta di uno Stato membro, il Fondo può intervenire «qualora si verifichi sul territorio di tale Stato una catastrofe naturale grave, con serie ripercussioni sulle condizioni di vita dei cittadini, sull’ambiente naturale o sull’e-conomia di una o più regioni o di uno o più Stati». Sulle decisioni del Fondo a seguito del terremoto in Abruzzo, v. COMMISSIONE EUROPEA, COM(2011) 136 def., Relazione della Commissione. Fondo di solidarietà dell’Unione europea Relazione annuale 2009, in cui, par. 2. Italia (terremoto in Abruzzo), si legge che nell’aprile 2009 la regione Abruzzo «è stata colpita da un forte terremoto che è costato la vita a 300 persone e ha causato ingentissimi danni. Le autorità italiane hanno stimato a 10,212 miliardi di euro il danno diretto totale. Tale importo rappresenta lo 0,67% del PIL italiano e oltre tre volte la soglia normale applicabile all’Italia per la mobilitazione del Fondo di solidarietà, che è pari a 3,4 miliardi di euro» …«L’analisi dei servizi della Commissione ha dimostrato che i metodi utilizzati dall’Italia per stimare le varie categorie di danni erano molto particolareggiati e rigorosi e che i risultati erano plausibili. In effetti, la stima dei danni totali diretti è sembrata addirittura modesta. Il terremoto risponde-va quindi alla definizione di “catastrofe naturale grave” e rientrava nel campo d’applicazione principale del Fondo di solidarietà dell’Unione europea». Con decisione dell’8 giugno 2009 la Commissione proponeva all’autorità di bilancio dell’UE di mobilitare un aiuto finanziario di 493,7 milioni di euro.

15 V. D.L. sul terremoto in Abruzzo del 28 aprile 2009, n. 39, coordinato con la legge di conversione 24 giugno 2009, n. 77 e pubblicato in G.U., 27 giugno 2009, n. 147.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

308

duttive che hanno subito danni con l’obiettivo di ristabilire le condizioni normali di produttività esistenti prima della calamità.

Le misure di aiuto sono rivolte a favore delle imprese, quale che sia il set-tore, con sede nei comuni della regione Abruzzo colpiti dal sisma e sono a risarcimento dei “danni materiali” e dei “danni economici”.

In particolare, il regime contempla per i danni materiali un indennizzo per la ricostruzione e la riparazione dei beni mobili distrutti o danneggiati per effetto degli eventi sismici e per il ripristino delle scorte, e per i danni economici un indennizzo correlato ai danni conseguenti alla sospensione temporanea dell’attività dell’impresa per il tempo richiesto per eseguire i la-vori di riparazione dell’edificio sede dell’attività e per gli interventi necessari a eliminare le cause d’impedimento alla riattivazione dell’attività o, in alter-nativa, per i costi sostenuti per il trasferimento della sede o dell’unità pro-duttiva nell’ambito dello stesso comune o in altra zona colpita dal sisma

16. Su queste misure, notificate seguendo le procedure previste dall’art. 108

del Trattato, interviene la Commissione europea con la decisione del 16 ot-tobre 2009, C(2009)8042 con cui valuta l’intervento compatibile con il mercato interno in conformità all’art. 107, par. 2, lett. b) del Trattato

17. La misura, rileva la Commissione, è certamente un aiuto di Stato e in

quanto tale vietata dal Trattato, art. 107, par. 1: il risarcimento previsto a fa-vore delle attività produttive è concesso mediante risorse statali ed è seletti-vo, riservato come è a un numero limitato di imprese, quelle che hanno sede nei comuni della regione Abruzzo colpiti dal sisma; concede, inoltre, alle imprese beneficiarie «risorse a copertura di costi che sarebbero di norma a loro carico» che conferiscono «un vantaggio che falsa o minaccia di falsare la concorrenza» con il rischio, poiché l’aiuto «riguarda settori e imprese at-tivi negli scambi tra Stati membri», che possa incidere sugli scambi.

E però essa, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b), è compatibile de iure in quanto è rivolta a ovviare ai danni causati dal «terremoto e dalle forti scosse di assestamento che hanno colpito la regione Abruzzo dal 6 aprile 2009 in poi, provocando danni significativi». La Commissione, a riguardo, sottoli-nea che, «a causa dell’impatto devastante provocato dall’entità del sisma e

16 Le stesse tipologie di danni in questa sede elencate come “danni materiali” e “danni economici” in altri contesti sono qualificate dalla Commissione come “danni diretti” e “danni indiretti”, v. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C(2004) 3630 fin., 6 ottobre 2004, cit., punti 11 e 15.

17 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C(2009) 8042, 16 ottobre 2009 sull’Aiuto di Sta-to N 459/A/2009 - Italia (Abruzzo). Aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dal terremoto del 6 aprile 2009 (al di fuori del campo di applicazione dell’allegato I del trattato CE).

Franco Fichera

309

delle scosse di assestamento soprattutto nelle aree urbane, molte attività so-no state sospese per diversi mesi a causa dell’inaccessibilità di singoli edifici o dell’intera area. Questi eventi eccezionali hanno provocato nelle zone col-pite la paralisi totale di tutte le attività per diversi mesi».

A parere della Commissione, poi, il regime di aiuti previsto è «propor-zionale al danno provocato dalla calamità naturale» e il risarcimento dei danni materiali ed economici assicurato ai beneficiari è «una conseguenza diretta e dimostrata del danno stesso».

Inoltre, «per stabilire i danni e dimostrare un chiaro nesso con la calamità naturale, i beneficiari devono presentare alle autorità italiane, insieme alla richie-sta di contributo, una perizia giurata redatta da un professionista specializzato».

Sono le considerazioni che portano la Commissione a concludere nel senso che «il regime provveda a risarcire unicamente i danni provocati dalla calamità naturale e introduca un meccanismo adeguato per escludere sovra-compensazione» e «che l’obiettivo del regime sia riportare le imprese col-pite alla situazione precedente alla calamità naturale, consentendo loro di riprendere l’attività senza concedere un vantaggio aggiuntivo».

Sono i termini di quell’“esatta compensazione” di cui si è parlato nel pa-ragrafo precedente e che la Commissione riscontra nelle misure predisposte dalle autorità italiane nel caso dell’Abruzzo.

3. La fiscalità di sviluppo e la zona franca urbana di L’Aquila

Nel modo visto le imprese delle aree interessate dal sisma godono del ri-sarcimento per compensare i danni subiti a seguito della calamità naturale, aiuti di Stato compatibili de iure, art. 107, par. 2, lett. b).

Ciò non toglie che, come si è detto, per le stesse aree non si possano pre-vedere ulteriori misure di sostegno a favore delle imprese, aiuti a finalità re-gionale in forza dell’art. 107, par. 3, lett. a) e/o c), che per essere considerati compatibili con il Trattato richiedono di essere autorizzati in deroga da par-te della Commissione.

È quanto fanno le autorità italiane che, ai fini di stimolare la ripresa delle attività produttive e rilanciare gli investimenti, propongono l’istituzione di zone franche urbane (allo stato previste in Francia e, sulla scia, in Italia, an-che se in Italia mai attuate, per quartieri urbani degradati delle città per con-trastare il disagio sociale, specialmente giovanile)

18, e solo per il Comune del-

18 Le zone franche urbane in Francia sono state istituite a partire dal 1996 in diverse

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

310

l’Aquila (e per l’intero territorio del Comune e non per una sola sua parte come è proprio delle esperienze in atto di zone franche urbane che pren-dono in considerazione i quartieri delle città caratterizzati da degrado ur-bano al fine di combattere i fenomeni di esclusione sociale e culturale e fa-vorire l’integrazione

19), e non per tutta l’area interessata dal sisma: il c.d. “cratere”, distaccando, a questi fini, la città dell’Aquila dagli altri comuni colpiti. Come si vede, un adattamento, con conseguenze palesemente con-traddittorie, di un istituto nato per tutt’altre esigenze, all’obiettivo di soste-nere lo sviluppo nei territori colpiti da calamità naturale. Ma andiamo con ordine.

L’istituzione di una zona franca urbana per il territorio comunale del-l’Aquila consegue all’art. 10, comma 1 bis, D.L. n. 39/2009 sul terremoto in Abruzzo che autorizza il CIPE all’individuazione e alla perimetrazione, «nell’ambito dei territori comunali della provincia di L’Aquila e di quelli colpiti dal sisma», di zone franche urbane, ai sensi dell’art. 1, commi da 340 a 343, della L. n. 296/2006 e succ. mod., che regola le zone istituite in Italia, e a cui si fa quindi esplicito rinvio. L’individuazione e la perimetra-zione delle zone franche urbane da parte del CIPE, si precisa nella dispo-sizione, deve avvenire «sulla base di parametri fisici e socio-economici dei fenomeni di degrado urbano e sociale e degli effetti provocati dal sisma sul tessuto economico e produttivo, in deroga al requisito demografico ivi previsto», che limita la zona franca a quartieri delle città interessate con versioni; le prime sono state autorizzate dalla Commissione nel 1996, COMMISSIONE EU-ROPEA, caso N 159/96, del 23 aprile 1996 Francia (Zone franche urbane), in G.U., C 215 del 25 luglio 1996, e le più recenti, c.d. di terza generazione, nel 2006, COMMISSIONE EU-ROPEA, decisione C(2006) 2329 def., 22 giugno 2006 sull’Aiuto di Stato N 70/A/2006 - Francia. Prorogation et extension du dispositif des Zones franches urbaines. In Italia le zone franche urbane sono state istituite dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 340 a 343, e succ. mod., in particolare la modifica apportata dall’art. 2, comma 561, della L. 24 dicembre 2007, n. 244, e sono state autorizzate dalla Commissione nel 2009, COMMISSIONE EUROPEA, decisione C(2009) 8126 def. del 28 ottobre 2009, Aiuto di Stato N 346/2009 - Italia. Zone franche urbane. Sulle zone franche urbane nell’esperienza francese e poi in quella italiana, v. BUCCI, Zone franche urbane: quadro normativo e compatibilità comunitaria, in Riv. trib. loc., 2010, p. 141 ss., COPPOLA, Le attuali agevolazioni a favore del Mezzogiorno alla luce dei vincoli del Trattato CE posti a tutela del principio della libera concorrenza tra Stati, in Rass. trib., 2007, p. 1677 ss. e ID., Nuove forme agevolative: la sperimentazione italiana di zo-ne franche urbane, in INGROSSO-TESAURO (a cura di), Agevolazioni fiscali e aiuti di Stato, Napoli, 2009, p. 573 ss.

19 V. art. 1, comma 341 bis, della legge istitutiva delle zone franche urbane n. 296/2006 e succ. modif., a cui il D.L. n. 39/2009 sul terremoto in Abruzzo del 28 aprile 2009 esplici-tamente rinvia.

Franco Fichera

311

un numero di abitanti non superiore a 30.000 20.

In attuazione di tale normativa, la delibera del CIPE del 13 maggio 2010, n. 39 individua la zona franca urbana di L’Aquila, con una dotazione di 45 milioni di euro, poi portata a 90 con la L. 30 luglio 2010, n. 122, e la circo-scrive a tutto (e solo) il territorio del Comune di L’Aquila

21. La delibera, in ossequio all’art. 1, commi da 340 a 343, della L. n. 296/ 2006

e succ. mod., prevede per le piccole e micro imprese 22 che avviano nuove

attività produttive nel territorio identificato come zona franca urbana – quelle che hanno già avviato le attività possono fruire delle agevolazioni solo nei limiti degli aiuti di importanza minore, de minimis

23 –, agevolazioni fi-scali in materia di IRPEF, IRES, IRAP, ICI e sgravi contributivi, per un pe-riodo di 5 anni (per le imposte sui redditi il periodo di godimento può esse-re prolungato), con l’esclusione delle imprese che operano nei settori delle costruzioni di automobili, delle costruzioni navali, della fabbricazione di fibre tessili artigianali o sintetiche, della siderurgia, del trasporto su autostrada.

Le misure di aiuto fiscale e contributivo sono di rilievo. Si concede l’esenzione dalle imposte sui redditi, IRPEF e IRES, per i

primi cinque periodi d’imposta. Per quelli successivi, l’esenzione è limitata, per i primi cinque al 60%, per il sesto e settimo al 40% e per l’ottavo e nono al 20%. Più, a certe condizioni, un’ulteriore agevolazione fiscale per ogni nuovo assunto a tempo indeterminato.

L’esenzione dall’IRAP, per i primi cinque periodi d’imposta, fino a con-correnza, per ciascun periodo, di 300.000 euro del valore della produzione netta.

L’esenzione dall’ICI, a decorrere dal 2009 e fino al 2012, per gli immobili siti nella zona franca urbana e dalle stesse imprese posseduti e utilizzati per l’esercizio delle nuove attività economiche.

L’esonero, a certe condizioni, dal versamento dei contributi sulle retri-buzioni da lavoro dipendente per i primi cinque anni di attività. Per gli anni

20 V. art. 10, comma 1 bis, D.L. sul terremoto in Abruzzo del 28 aprile 2009, n. 39, cit. 21 V. COMITATO INTERMINISTERIALE PROGRAMMAZIONE ECONOMICA (CIPE), Indivi-

duazione e perimetrazione della zona franca urbana del Comune di l’Aquila e assegnazione delle risorse (Legge n. 77/2009), deliberazione del 13 maggio 2010, n. 39.

22 Secondo la definizione di cui alla raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie, G.U., L 124 del 20 maggio 2003.

23 V. art. 1, comma 341 bis, della legge istitutiva delle zone franche urbane n. 296/2006 e succ. modif., a cui il D.L. n. 39/2009 sul terremoto in Abruzzo rinvia.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

312

successivi, l’esonero è decrescente fino al 14° anno. Esonero che spetta, alle stesse condizioni, anche ai titolari di reddito di lavoro autonomo che svol-gono attività all’interno della zona franca urbana.

Il provvedimento d’istituzione della zona franca urbana di L’Aquila è as-sunto sulla base, e trova in questo la sua giustificazione, di un indice compo-sito comunale (ICC) che rappresenta sinteticamente l’effetto del terremoto sul territorio, definito come media di tre indici: quello di intensità sismica, che esprime una misura del danno del terremoto nei diversi comuni pesato con il numero di abitanti di ciascuna località; quello di densità imprendito-riale, che denota la rappresentatività del tessuto imprenditoriale nel comune prima del terremoto, calcolato tenendo conto del numero di addetti delle imprese con meno di 50 dipendenti e della popolazione residente; e, infine, l’indice di popolazione dell’area interessata.

Come si vede, nonostante il rinvio esplicito alla normativa delle zone franche urbane italiane e prima ancora a quelle francesi, la zona franca urba-na di l’Aquila ha tutt’altra giustificazione.

Le prime hanno un obiettivo di sviluppo sociale, sono in vista dell’inclu-sione sociale e culturale, riguardano quartieri di proporzioni limitate delle città, mentre qui la misura ha un obiettivo di sviluppo regionale: è intesa a risolvere una situazione di degrado economico in una determinata area gra-vemente colpita da un evento calamitoso e riguarda l’intera città.

Si ripropone anche per L’Aquila un equivoco già presente nella richiesta italiana per le 22 zone franche urbane, dato dalla coesistenza in quella pro-posta delle esigenze sociali proprie del disagio giovanile e urbano tipico di alcuni quartieri delle città con quelle dello sviluppo di alcune aree, in parti-colare del Mezzogiorno

24. La giustapposizione appare già nell’art. 10, comma 1 bis, D.L. n. 39/2009

sul terremoto in Abruzzo, che prevede l’istituzione delle zone franche urba-ne «sulla base di parametri fisici e socio-economici dei fenomeni di degrado urbano e sociale e degli effetti provocati dal sisma sul tessuto economico e produttivo».

Eppure la questione della mancata distinzione tra aiuto a finalità regiona-le e zona franca urbana era stata causa di non secondari problemi nel caso delle 22 zone franche urbane italiane e solo alla fine a fatica risolta. Si tratta-va, nell’originario intento delle autorità italiane, di regimi a finalità regionale a favore del Mezzogiorno nella veste di interventi di carattere sociale del ti-po delle zone franche urbane francesi. Ci fu, all’epoca, un impegnativo con-

24 V. BUCCI, op. cit., p. 156 ss. e COPPOLA, op. cit., p. 1704 ss.

Franco Fichera

313

traddittorio tra la Commissione e le autorità italiane prima di pervenire, di comune accordo, alle opportune correzioni per espungere ogni profilo di fi-nalità regionale, art. 107, par. 3, lett. a), dalla proposta e convertirla in misu-ra di carattere sociale, rientrante nell’art. 107, par. 3, lett. c), a cui soltanto seguì l’autorizzazione in deroga da parte della Commissione

25 – zone fran-che urbane che poi, sorprendentemente, sono rimaste inapplicate, in quan-to le autorità italiane non hanno apprestato i necessari decreti attuativi.

Nel caso dell’Abruzzo, la delibera del CIPE, in forza della procedura pre-vista dall’art. 108, par. 3, del Trattato, è notificata dalle autorità italiane alla Commissione europea il 12 gennaio 2011.

La risposta, dopo numerosi contatti, si ha con una comunicazione del 16 settembre 2011 con cui la Commissione solleva tutta una serie d’interroga-tivi e rileva carenze di motivazione e documentazione

26. La Commissione, in primo luogo, riprende la distinzione tra aiuti a finali-

tà regionale e zone franche urbane a finalità sociale, e precisa che la misura della zona franca di L’Aquila non è assimilabile al tipo delle zone franche urbane italiane e prima francesi, che hanno finalità diverse. Essa piuttosto si configura come aiuto a finalità regionale di cui all’art. 107, par. 3, lett. a) e/o c), trova la sua ragione nella situazione creatasi dopo il terremoto ed è rivolta a ovviare agli effetti provocati dal sisma sul tessuto economico e produttivo.

Qualificato in tal modo l’intervento, la Commissione non esclude, seb-bene sollevi perplessità a riguardo, che l’aiuto a finalità regionale possa at-tuarsi con l’istituzione di una zona franca urbana limitata al solo territorio del Comune di L’Aquila – sarebbe, tra l’altro, una nuova configurazione ad hoc dell’istituto della zona franca urbana –, ma chiede che ne sia dimostrata la necessità, l’appropriatezza e la proporzionalità.

La necessità, vale a dire che ci sia effettivamente la situazione di svantag-gio economico creata dal terremoto. Le autorità italiane, precisa la Com-missione, devono provare, attraverso dati statistici oggettivi, «l’effettiva gra-vità e criticità della situazione economica dell’area proposta».

L’appropriatezza, cioè che l’intervento sia atto a colmare lo svantaggio economico: occorre dimostrare «come il disegno della misura e l’impatto at-teso rispondano alla necessità di supplire alla situazione di svantaggio eco-nomico della città». E poi occorre spiegare, sotto questo profilo, perché la di-

25 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C(2009) 8126 def. del 28 ottobre 2009, Aiuto di Stato N 346/2009-Italia. Zone franche urbane, cit.

26 V. COMMISSIONE EUROPEA, nota del 12 settembre 2011 sul caso SA.32256 (2011/N) – Zona Franca L’Aquila-Abruzzo-Italia.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

314

sciplina riguarda, da un lato, solo la città di L’Aquila, piuttosto che tutto il ter-ritorio del c.d. “cratere” colpito dal sisma (come sarebbe proprio di un regime a finalità regionale a seguito dell’evento calamitoso), e, dall’altro, tutta la città, piuttosto che singoli quartieri di essa (come sarebbe proprio di un regime a finalità sociale come la zona franca urbana).

La proporzionalità, nel senso che l’ammontare dell’insieme dei benefici fiscali e contributivi che si prevede non sia eccessivo, conferendo un vantag-gio competitivo ai beneficiari, né incida significativamente sugli scambi. Tan-to in termini di durata, di ammontare dell’aiuto concesso, di comparazione tra la difficile situazione economica determinatasi e l’impatto atteso della pro-posta al fine di correggere le condizioni venutesi a creare a seguito del ter-remoto. Come chiarisce la Commissione nella sua nota, «Il vantaggio offer-to ai beneficiari della misura dovrebbe essere proporzionale allo svantaggio creato dalla situazione di disparità economica determinatasi nella città del-l’Aquila per le imprese che a oggi volessero stabilirvisi. Compensando il co-sto aggiuntivo che un’impresa che dovesse insediarsi in L’Aquila dovrebbe sostenere, e fornendo quindi l’incentivo per nuove imprese di stabilirsi al-l’Aquila, la misura dovrebbe colmare lo svantaggio iniziale, senza però con-ferire un vantaggio eccessivo ai beneficiari, né incidere significativamente sugli scambi tra gli Stati membri».

La risposta italiana alla comunicazione della Commissione del 12 set-tembre viene notificata il 23 novembre 2011.

Le obiezioni della Commissione comportano un giudizio negativo. Nel senso che se non si forniscono gli elementi sufficienti l’aiuto richiesto non può essere autorizzato in deroga.

Le autorità italiane hanno sollevato un problema reale: il fatto che la si-tuazione, dopo il terremoto, richiede un intervento che vada oltre l’emer-genza. La condizione di grave degrado e di spopolamento seguita all’evento calamitoso non è superabile con il risarcimento alle singole imprese dei dan-ni conseguenti al sisma, abbisogna di un’azione volta a compensare per le imprese che intendano insediarsi nella città, la ridotta se non nulla capacità di attrazione dell’area, gravemente pregiudicata. Tanto non si dà sempre, ma nel caso della città di L’Aquila – il terremoto dell’Abruzzo, si ricorda, è stato qualificato come “catastrofe naturale grave” ai fini dell’intervento del Fondo di solidarietà dell’UE – è fuori dubbio.

Ma l’hanno mal posto: hanno richiamato un istituto, la zona franca urba-na, costruito appositamente – e proprio per questo molto generoso – per quartieri urbani di disadattamento sociale, inidoneo in principio allo scopo; l’hanno utilizzato per la situazione determinatasi dopo il terremoto, ma solo

Franco Fichera

315

per L’Aquila e per l’intero territorio della città, e non per tutto il “cratere”; e l’hanno sostenuto indipendentemente da un’accurata spiegazione dei termini economici e sociali dell’intervento e da un’adeguata ricognizione dei vincoli di diritto europeo. Mentre era un regime che, proprio per quanto detto, a maggior ragione doveva essere accortamente concepito e motivato.

La Commissione, per parte sua, ha condotto il contraddittorio con le au-torità italiane avendo presente qual’era ed è la situazione della città dopo il terremoto e ha tenuto conto che era ed è ragionevole prevedere un insieme di interventi di aiuto rivolti allo sviluppo dell’area interessata al sisma. Ma ha rilevato, sotto diversi profili, la carenza di motivazione del progetto in vista dell’obiettivo.

In tal modo la Commissione, per la verità, non ha fatto che confermare i precedenti.

Si può richiamare a riguardo il caso, sempre italiano, relativo ad aiuti a seguito di calamità naturali per alcune regioni del Mezzogiorno d’Italia de-ciso dalla Commissione in senso negativo, in cui la stessa ha avuto modo di precisare che «quando a seguito di eventi calamitosi gli aiuti configurati dal-le autorità nazionali non sono destinati a rimediare ai danni causati dalle ca-lamità naturali stesse, la deroga di cui all’art. 92, par. 2, lett. b), non è appli-cabile». Piuttosto, gli aiuti «sono aiuti a finalità regionale che possono esse-re ritenuti compatibili con il mercato comune unicamente qualora possano beneficiare delle deroghe previste all’art. 92, par. 3, lett. a) e/o c)». E dette deroghe «possono essere applicate unicamente quando la Commissione constata che il gioco delle forze di mercato non consentirebbe da sole alle imprese beneficiarie di adottare un comportamento tale da contribuire alla realizzazione di uno degli obiettivi definiti nelle disposizioni derogatorie dell’art. 92»

27. E, ancora, la vicenda, già richiamata, del Molise che subì due successivi

eventi calamitosi: un sisma nel 2002 e un’alluvione nel 2003 e che si vide approvati oltre agli aiuti volti a risarcire i danni causati dalle calamità natura-li

28, quelli relativi agli investimenti 29.

Nel caso del Molise, in ordine agli aiuti agli investimenti, le autorità ita-liane furono in grado di motivare adeguatamente le misure proposte.

In particolare, nel contraddittorio con la Commissione, sottolineavano che i territori interessati, a seguito degli avvenimenti eccezionali, avevano

27 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione 91/175/CEE del 25 luglio 1990, cit., parte IV. 28 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C(2004) 3630 del 6 ottobre 2004, cit. 29 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C(2004) 3344 dell’8 settembre 2004, cit.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

316

subito un grave deterioramento della situazione socio-economica e propo-nevano – anche tenendo conto degli Orientamenti in materia di aiuti di Sta-to a finalità regionale e della Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale per l’Italia allora in vigore – di inserire tutte le aree colpite nella deroga di cui all’art. 107, par. 3, lett. c), del Trattato

30. A tal fine, fornivano una serie di indicatori specifici atti a misurare i cambiamenti intervenuti.

Nella sua decisione la Commissione riteneva che l’insieme dei dati pre-sentati mostrasse che effettivamente nelle aree colpite si era registrato un grave degrado

31. E richiamava, in particolare, quelli relativi ai versamenti Iva che «nei comuni della provincia di Campobasso sono diminuiti del 37,62% nel periodo successivo al sisma, dimostrando quindi che tale calamità ha avuto ripercussioni in tutto il territorio della provincia»; quelli sul livello delle esportazioni della regione Molise che mostrano «un’interruzione del-l’evoluzione registrata negli anni precedenti alle calamità naturali»; quelli re-lativi «all’abbandono dei luoghi di residenza a seguito delle difficoltà derivan-ti da tali calamità» che «possono dare un’idea del rischio di spopolamen-to»

32. E concludeva nel senso che, senza un intervento mediante aiuti a finali-tà regionale, non sarebbe possibile indurre gli investitori a intervenire nelle aree della regione Molise e mantenere così un livello di presenza di imprese sufficiente a stimolare la ripresa dell’attività economica in tali territori

33. Francamente, non si capisce perché le autorità italiane nel caso dell’Abruz-

zo non siano state in grado di costruire una più appropriata proposta di aiuto allo sviluppo e motivarla adeguatamente.

Insomma, un’occasione mancata.

4. La regola de minimis

Non meraviglia, di fronte a queste difficoltà, il ripiegamento da parte del-le autorità italiane sulla regola de minimis, che fa riferimento a interventi de-gli Stati di portata minore.

Le autorità italiane, infatti, si sono orientate a lasciar cadere la proposta della zona franca urbana di L’Aquila e a utilizzare il finanziamento a tal fine previsto nell’ambito della regola de minimis.

30 V. ibidem, punto 10. 31 V. ibidem, punto 26. 32 V. ibidem, punti 27, 34 e 35, 38. 33 V. ibidem, punto 38.

Franco Fichera

317

Il D.L. n. 1/2012, c.d. sulle liberalizzazioni, all’art. 70, con un’evidente correzione di rotta, prevede infatti che la somma dei 90 milioni di euro, già destinata alla zona franca urbana di L’Aquila, possa essere utilizzata per il fi-nanziamento di aiuti de minimis a favore delle piccole e medie imprese loca-lizzate nei «territori comunali della provincia di L’Aquila e di quelli colpiti dal sisma» (e dunque non più per la sola città di L’Aquila) e di aiuti a finali-tà regionali, sempre però nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di importanza minore

34. Deriva dall’esperienza della Commissione, poi trasfusa in un regolamen-

to, la constatazione che «gli aiuti che non superino, nell’arco di tre anni, la soglia di 200.000 euro non incidono sugli scambi tra gli Stati membri e/o non falsano né minacciano di falsare la concorrenza»

35. Ne consegue – e tanto ha trovato riscontro nella giurisprudenza della

Corte di Giustizia 36 – che se un aiuto o una pluralità di aiuti resta nei limiti

34 V. D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, pubblicato in G.U., n. 19 del 24 gennaio 2012 in cui all’art. 70, comma 1, si dispone che «La dotazione del Fondo istituito dall’art. 10, comma 1-bis, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, può anche essere destinata al finanziamento degli aiuti de minimis a favore delle piccole e medie imprese, come individuate dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003, localizzate nelle aree individuate ai sensi del medesimo art. 10, comma 1-bis, e degli aiuti a finalità regionali, nel rispetto del regolamento 1998/2006/CE e del rego-lamento 800/2008/CE».

35 V. COMMISSIONE EUROPEA, Regolamento (CE) 15 dicembre 2006, n. 1998/2006 re-lativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato agli aiuti d’importanza minore («de minimis»), G.U., L 379 del 28 dicembre 2006, ottavo considerando.

36 V. CGCE, Spagna c. Commissione, C-351/98, sent. 26 settembre 2002, dove, punto 51, si afferma che «Occorre rilevare a tal riguardo che, se la Corte ha dichiarato che l’enti-tà relativamente esigua di un aiuto o le dimensioni relativamente modeste dell’impresa be-neficiaria non escludono a priori l’eventualità che vengano influenzati gli scambi tra Stati membri (v. in particolare, Belgio c. Commissione, detta Tubermeuse, causa C-142/87, sent. 21 marzo 1990, punto 43), l’esiguità degli aiuti concessi ad un’impresa nel corso di un dato periodo esclude, in un certo numero di settori economici, che vengano influenzati gli scambi tra Stati membri» e, punto 52, che «La Commissione ha quindi potuto considerare, nel-l’ambito del potere discrezionale di cui essa dispone per valutare i possibili effetti econo-mici delle misure d’aiuto, che, tranne che in determinati settori caratterizzati da particolari condizioni di concorrenza e salvo per quanto riguarda gli aiuti all’esportazione, gli aiuti in-feriori agli importi definiti dalla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato alle PMI e poi dalla comunicazione relativa agli aiuti de minimis (GUUE 1996, C 68, pag. 9), non incidono su-gli scambi e, pertanto, non rientrano nell’ambito di applicazione degli artt. 92 e 93 del Trat-tato. Gli importi presi in considerazione dalla Commissione finora non sono stati contesta-ti». Inoltre, al punto 53, si legge che «Ora, la Commissione è vincolata dalle discipline e

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

318

del de minimis non è aiuto secondo la definizione di cui all’art. 107, par. 1, non è soggetto alla procedura di notifica di cui all’art. 108, par. 3, e non ri-chiede l’intervento della Commissione per essere autorizzato in deroga: si presume, appunto, che non incida sugli scambi tra Stati membri dell’UE

37. Per tale tipologia di aiuti, quindi, le autorità nazionali possono fare da so-

le, sempre che rispettino alcune condizioni dettagliatamente elencate da parte della Commissione

38. Si deve trattare di aiuti concessi per un periodo di tre anni, che siano “trasparenti”, vale a dire calcolabili

39, e che si riferisca-no al totale degli aiuti in qualsiasi forma ottenuti dall’impresa nel periodo indicato

40. Gli Stati membri, per parte loro, sono tenuti a prevedere controlli che ga-

rantiscano che l’importo complessivo degli aiuti de mininis concessi non ecce-da i limiti previsti, e a informare l’impresa dell’ammontare dell’aiuto e della sua natura. Inoltre, prima di concedere l’aiuto, occorre che lo Stato membro ot-tenga dall’impresa una dichiarazione sugli altri aiuti di portata minore ricevuti nell’esercizio finanziario interessato e nei due precedenti, e controlli accura-tamente che il nuovo aiuto non comporti il superamento del massimale

41. Dunque, le misure di aiuto de minimis vanno predisposte e assunte, ma di

tanto è ben avvertito il legislatore del 2012, nel rispetto delle normative so-stanziali e procedurali fissate dall’UE

42. dalle comunicazioni da essa emanate in materia di controllo degli aiuti di Stato, nei limiti in cui queste ultime non derogano a norme del Trattato e vengono accettate dagli Stati mem-bri (sent. 24 febbraio 1987, causa 310/85, Deufil c. Commissione, punto 22; 24 marzo 1993, causa C-313/90, CIRFS e a. c. Commissione, punto 36; sent. 15 ottobre 1996, causa C-311/94, Ijssel-Vliet, punto 43). La Commissione non può quindi rifiutare l’applicazione della regola de minimis agli aiuti concessi ad imprese rientranti in settori che non sono esclusi dal-l’applicazione di tale regola dalle varie discipline applicabili».

37 V. COMMISSIONE EUROPEA, Regolamento (CE) 15 dicembre 2006, n. 1998/2006, cit. 38 V. COMMISSIONE EUROPEA, decisione C(2004) 3893 del 20 ottobre 2004, cit., punto 37. 39 V. COMMISSIONE EUROPEA, Regolamento (CE) 15 dicembre 2006, n. 1998/2006,

cit., tredicesimo considerando. 40 V. ibidem, ottavo considerando, dove si legge che «Per evitare che le intensità massi-

me d’aiuto previste nei vari strumenti comunitari siano aggirate, gli aiuti de minimis non do-vrebbero essere cumulati con aiuti statali relativamente agli stessi costi ammissibili se tale cumulo porta a un’intensità d’aiuto superiore a quella fissata, per le specifiche circostanze di ogni caso, da un regolamento d’esenzione per categoria o da una decisione della Commis-sione».

41 V. COMMISSIONE EUROPEA, Regolamento (CE) 15 dicembre 2006, n. 1998/2006, cit., diciasettesimo considerando.

42 V. l’art. 70 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, cit.

Franco Fichera

319

5. La ripresa della riscossione con una riduzione del 60% di tributi, contributi e ogni altro onere iscritto a ruolo oggetto di sospensione a seguito del sisma

Ma non è finita. La Legge di stabilità 2 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 28

43, prevede a partire dal 1° gennaio 2012 la ripresa della riscossio-ne con una riduzione del 60%, con versamenti in 120 rate, senza applicazio-ne di sanzioni, interessi e oneri accessori, dell’ammontare dovuto per tributi e contributi previdenziali e per ogni altro carico iscritto a ruolo, oggetto di sospensione nel 2009 subito dopo l’evento sismico

44. La misura agevolativa, per quanto riguarda le imprese, si configura come

un aiuto di Stato ex art. 107, par. 1, del Trattato e dunque non c’è dubbio che vada notificata, prima dell’entrata in vigore, alla Commissione in ossequio alle procedure previste dall’art. 108, par. 3, sugli aiuti in via di istituzione.

A riguardo si pongono due problemi. Un problema di procedura, quello appena richiamato, di legalità della

misura, sotto il profilo del rispetto dell’art. 108, par. 3, del Trattato, e un pro-blema di merito, di legittimità della misura, sotto il profilo della sua compa-tibilità con il Trattato e dell’applicazione delle deroghe di cui all’art. 107, par. 2, lett. b) o all’art. 107, par. 3, varie lettere.

43 V. L. 12 novembre 2011, n. 183, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012), pubblicata nella G.U., n. 265 del 14 no-vembre 2011. Entrata in vigore del provvedimento: 1° gennaio 2012. Seguono alcune pre-cisazioni. La presente legge è pubblicata per motivi di massima urgenza, senza note, ai sensi dell’art. 8, comma 3, del Regolamento di esecuzione del Testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 14 marzo 1986, n. 217. In supple-mento ordinario alla G.U. – Serie generale – del 23 novembre 2011 si procederà alla ri-pubblicazione del testo della presente legge corredato delle relative note, ai sensi dell’art. 10, comma 3, del D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092. L. 12 novembre 2011, n. 183 G.U. – Serie generale – del 23 novembre 2011.

44 V. art. 33, comma 28, L. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui «Per consentire il rientro dall’emergenza derivante dal sisma che ha colpito il territorio abruzzese il 6 aprile 2009, la ripresa della riscossione di cui all’articolo 39, commi 3-bis, 3-ter e 3-quater, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, av-viene, senza applicazione di sanzioni, interessi e oneri accessori, mediante il pagamento in centoventi rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di gennaio 2012. L’ammon-tare dovuto per ciascun tributo o contributo, ovvero per ciascun carico iscritto a ruolo, og-getto delle sospensioni, al netto dei versamenti già eseguiti, è ridotto al 40 per cento». La copertura è affidata all’aumento dell’accisa sulla benzina, sulla benzina senza piombo e sul gasolio utilizzato come carburante in modo tale da determinare maggiori entrate per 65 milioni per il 2012.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

320

Per quanto riguarda la legalità della misura, l’art. 108 del Trattato preve-de per gli aiuti di nuova istituzione che essi, prima di entrare in vigore, siano notificati alla Commissione ai fini dell’autorizzazione in deroga. Altrimenti l’aiuto è illegale e non può trovare attuazione. E, se attuato, deve essere re-cuperato dallo Stato membro presso i beneficiari.

Siano chiari i punti di partenza. Qualora uno Stato membro intenda introdurre un regime di aiuto, oc-

corre che rispetti l’art. 108, par. 3, del Trattato, sulle procedure da seguire per una misura in via di istituzione, vale a dire “I progetti diretti ad istituire o modificare aiuti”. Lo Stato membro è tenuto a comunicare la disciplina alla Commissione che se ritiene che il progetto non sia compatibile, attiva senza indugio la procedura. Nel frattempo, lo Stato membro «non può dare ese-cuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale». Se non si segue tale via e, in particolare, non si prov-vede alla notifica, la misura è illegale.

Il progetto, prima di essere approvato dal legislatore – e nel nostro caso è stato già approvato il 12 novembre 2011 ed è entrato in vigore il 1° gennaio 2012 –, andava notificato.

Cosa che non è avvenuta. In conseguenza l’aiuto è illegale. E occorre mettere in guardia le imprese

che si tratta di aiuto fiscale e contributivo di nuova istituzione non notifica-to, per cui se ne godono, nella misura in cui sotto il profilo del merito risul-tasse incompatibile con il Trattato, dovranno poi restituirlo; nel nostro ca-so, versare il 60%, vedersi applicare sanzioni, interessi e ogni altro onere ac-cessorio, perdere la favorevole rateizzazione, nel rispetto delle modalità or-dinarie di riscossione.

Indubitabili i precedenti a riguardo nelle prassi della Commissione 45 e

nella giurisprudenza della Corte di Giustizia 46.

45 V., per un caso che riguarda l’Italia già richiamato, COMMISSIONE EUROPEA, decisione 91/175/CEE del 25 luglio 1990, cit., parte V, dove si legge che «Poiché le autorità italiane non hanno notificato gli aiuti oggetto della presente procedura conformemente all’art. 93, par. 3, del Trattato, la Commissione non è stata in grado di pronunciarsi sulle misure intro-dotte prima della loro applicazione. Di conseguenza gli aiuti di cui sopra sono illegali e, nella misura in cui sotto il profilo del merito sono incompatibili con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, par. 1, essi debbono essere soppressi in modo da ripristinare la situazione an-teriore, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia». E quindi, se già ero-gati, “debbono essere rimborsati”.

46 V. da ultimo CGUE, sent. Commissione/Italia, C-303/09, 14 luglio 2011, secondo cui «La Repubblica italiana, non avendo adottato nei termini stabiliti tutte le misure neces-

Franco Fichera

321

Vi è poi il problema di merito relativo alla compatibilità del regime di aiuto.

La misura è prevista, art. 33, comma 28, L. 12 novembre 2011, n. 183, per «consentire il rientro dall’emergenza derivante dal sisma che ha colpito il territorio abruzzese il 6 aprile 2009». A riguardo, occorre verificare l’appli-cabilità dell’art. 107, par. 2, lett. b). Misure ulteriori, successive all’evento calamitoso, non sono di per sé illegittime, e tuttavia debbono essere giustifi-cate. Soprattutto in questo caso perché si tratta di “aiuti al funzionamento”, sollevano cioè da oneri che normalmente ricadono sull’impresa.

La questione che si pone è la seguente: si tratta di una misura intesa a ri-sarcire i danni materiali e economici provocati dalle calamità naturali o va oltre e comporta una sovracompensazione?

Occorre, come del resto si è già visto, che i regimi di aiuto provvedano a riparare unicamente i danni provocati dalla calamità naturale e introducano meccanismi adeguati per escludere una compensazione eccessiva, secondo l’obiettivo di riportare le imprese colpite alla situazione precedente l’evento, consentendo loro di riprendere l’attività, ma senza concedere un vantaggio aggiuntivo.

È proprio quanto la Commissione, e solo lei, deve accertare una volta che un regime di aiuto in via di istituzione le sia notificato.

Accertamento cui le autorità italiane, non notificando preventivamente la misura, si sono sottratte.

6. Conclusioni

La situazione dell’Aquila e dell’Abruzzo è molto seria. La bussola che deve orientare le autorità nazionali nell’assumere i neces-

sari interventi in caso di calamità naturali o eventi eccezionali sta nel rispet-to del diritto dell’UE.

Su questo, nel caso dell’Abruzzo, vi sono state carenze e vi sono corre-zioni da apportare. sarie a recuperare integralmente presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegale e incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 20 ottobre 2004, 2005/315/CE, relativa al regime di aiuti cui l’Italia aveva dato esecuzione a favore delle imprese che avevano realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calami-tosi nel 2002, è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi del Trattato e degli artt. 2-6 di detta decisione».

2.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

322

Occorre, infatti, rendere edotte le istituzioni dell’UE e in particolare la Commissione della situazione di degrado economico e sociale dell’area in-teressata dall’evento calamitoso o eccezionale e che le varie misure tendono a correggere la situazione per riportarla alla normalità.

Ma occorre, allo stesso tempo, che tanto avvenga tenendo conto delle pro-cedure e delle normative dell’UE.

Francisco Alfredo García Prats

IL PATTO DI STABILITÀ E LA GOVERNANCE MULTI LIVELLO.

LIMITI EUROPEI E FINANZA PUBBLICA LOCALE: L’ESPERIENZA SPAGNOLA

STABILITY PACT AND MULTI-LEVEL GOVERNANCE. EUROPEAN CONSTRAINTS AND LOCAL PUBLIC FINANCE:

THE SPANISH EXPERIENCE *

Abstract L’articolo esplora le misure adottate in Spagna per affrontare le difficoltà di bi-lancio nel finanziamento degli enti locali e la sua idoneità ad invertire il ciclo economico e a creare crescita e occupazione in modo sostenibile. La Spagna ha approvato già dal 2001 numerose misure d’implementazione della stabilità, misure che incidono in modo particolare sugli enti locali. Il lavoro è terminato il 30 novembre 2011 e quindi non include gli emendamenti previsti dalla Ley organica n. 2 del 27 aprile 2012, in materia di Stabilità di bilancio e so-stenibilità finanziaria, pubblicata in Spagna sulla Rivista ufficiale il 30 aprile, ed altre misure riguardanti i debiti degli enti pubblici locali. L’articolo analizza i cambiamenti rilevanti di ordine giuridico e costituzionale, relativi al controllo e alla supervisione delle misure che incidono sul principio di sufficienza che go-verna la cornice costituzionale riguardante il finanziamento degli enti locali e la

* The present text corresponds to a written version of a conference held in the Senate of the Italian Republic in Rome on November 28th 2011 under the title Patto di stabilità e governance multilivello. Vincoli europei e finanza locale nelle esperienze nazionali, orga-nized by the IFEL whose results will be jointly published. The author can be reached at [email protected]. The present article is part of the Research Project granted by the Spanish Ministry of Education under the title El control del ordenamiento tributario español desde la óptica constitucional y comunitaria: análisis y propuestas.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

324

sua legittimità costituzionale alla luce della dottrina della Corte costituzionale spagnola. Parole chiave: finanza pubblica locale, patto di stabilità, stabilità finanziaria, principi costituzionale, debito pubblico, deficit pubblico The article explores the measures taken in Spain to face budgetary difficulties in local entities financing and its suitability to reverse the economic cycle and create growth and employment in a sustainable manner. Spain has approved since 2001 several measures implementing stability measures that affect in a special way Local entities. The article was closed on November 30th 2011 and does not therefore include the amendments included by the Ley Orgánica 2/2012, of April 27th, de Estabilidad Presupuestaria y Sostenibilidad Financiera, published in the Spanish official journal on April 30th and some other measures facing pending debts of public local entities. The article analyzes the relevant legal and constitutional changes made relating to control and supervision measures that affect the sufficiency principle that governs the constitutional framework regarding the financing of local entities and its constitutional validity according to the doctrine of the Spanish Constitutional Court. Keywords: local public finance, stability pact, financial stability, constitutional prin-ciples, public debt, public deficit

SOMMARIO: 1. Introduction: the structural and territorial legal framework of Spain. – 2. The coordination mechanisms of public finances between different territorial levels. – 3. The requirements of the General Law of Budgetary Stability (LGEP). – 4. Formulation of the stability criteria: Establi-shment of the stability objectives. – 5. Specific and exception rules as regards the stability objec-tives. – 5.1. Entities subject to article 111 LHL. – 5.2. Investment programs. – 6. Expense rule. – 7. Surveillance mechanism. – 8. Obligation to submit relevant information. – 9. Consequences of lack of fulfilment. – 10. The new article 135 of the Spanish Constitution. – 11. Final Considerations.

1. Introduction: the structural and territorial legal framework of Spain

The actual economic and financial crisis in some EU countries has shown that the monetary union should be accompanied by a more coordi-nated fiscal policy at the EU level in order to guarantee the sustainability of the European social model as it is actually known. While discussing which measures need to be implemented and the proper mechanisms to put in place to guarantee the mutual equilibrium and satisfaction among Euro Member

Francisco Alfredo García Prats

325

States, there is a need to foresee which measures have been implemented since now in different EU Member States. Obviously, one of the main ac-tors in the configuration of the stability parameters are the local entities which, generally speaking, suffer the budgetary restrictions in the perfor-mance of their functions and the rendering of their public services.

Therefore, it is important to know in detail what type of measures have been taken since now by EU Member Countries, and in particular Spain, to see to which extent they may be also considered in other countries facing the same or similar budgetary difficulties. On the consideration that, finally, the key point of the analysis should be directed to enhance economic and fiscal policy measures that were able to reverse the economic cycle and create growth and employment in a sustainable manner.

Spanish Constitution (hereinafter, CE) recognizes the financial sufficien-cy of Local Entities (art. 142 CE) in order to safeguard the autonomy reco-gnized to municipalities. The Constitution requires that Local Public Fi-nances must dispose of sufficient means for the development of the func-tions attributed to the local Corporations (municipalities and provinces) by law, and recognizes that Local Finances will be basically funded through “own taxes” and participations in the means of the State and the Autono-mous Communities.

As the Local Entities do not dispose of attribution of legal power, the basic legal framework of the Local Public Finances is established by the State through law as derived from article 149.1.14 CE, the Law of Local Pu-blic Finances (hereinafter, LHL, Ley de Haciendas Locales, RDL 2/2004, of 5 March, approving the Consolidated Text of the Law of Local Public Fi-nances). Local revenues do not only come from own taxes, but also and mainly from transfers and subsidies granted by the State and Autonomous Communities, which in any case must be distributed according to objective and reasonable criteria in order to safeguard equality and interdiction of ar-bitrariness of public bodies (Constitutional Court Decision 150/1990, of 4th October).

The Spanish Constitution does not expressly refers to the autonomy on the side of public expenses, but it must be derived from the relationship bet-ween public sufficiency and local autonomy, which involves the full availa-bility by Local Entities of their resources, with undue conditioning and with all its extent to allow the full exercise of own competences and the ability to decide the destiny of the funds without unduly conditions (Constitutional Court Decision 48/2004, of 25th March, fj 10).

However, there is a different grade between the financial autonomy grant-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

326

ed to Autonomous Communities (hereinafter, CCAA), and the institutio-nal autonomy recognized to Local Entities (hereinafter, CCLL)

1. In that respect, the Constitutional Court has recognized that the financial autono-my of the local entities as regards the expenses side may be restricted both by the State and the CCAA «according to limits established by the constitu-tional framework constituted both by the Constitution itself and the Organic Laws that establish the basic framework of competences attributed to the State and the Autonomous Communities» (Decision of the Constitutional Court 31/2010, of 28th June, fj 139).

One of the main limits can be found in the General Law of Budgetary Stability (hereinafter LGEP, RDL 2/2007, of 28th December, approving the Consolidated Text of the General Law of Budgetary Stability), which sub-stitutes the original General Law of Budgetary Stability 18/2001 of 12th De-cember, promoted in Spain as one of the mechanisms to reach the fiscal consolidation required by the European Stability and Growing Pact reached at the political level in Amsterdam in June 1997

2. The law establishes the general framework of relationships between the Central State (Government and Parliament) both with Local Entities and Autonomous Communities (those according to the Organic Law 5/2001 of 13th December, complemen-tary to the General Law of Budgetary Stability). The Constitutional Court has confirmed the constitutionality of the mechanism established by the Central State to coordinate the assumption of deficit levels and the distribu-tion of debt quotas among the different territorial public administrations, according to the coordination competences attributed to it, being respectful with the distribution of competences of between the Autonomous Commu-nities and the State and with the local autonomy and the sufficiency princi-ple constitutionally recognized. The mechanisms of control and supervision established in the LGEP do not violate the financial autonomy of CCAA, or the competences of the CCAA to financially supervise the local entities (De-cisions of the Constitutional Court, STC 134/11 of 20th July and STC 157/2011 of 18th October).

1 SOLER ROCH, Estabilidad presupuetaria y Haciendas Locales, in Revista Valencia de Economía y Hacienda, n. 2, 2001, p. 54.

2 The original Law 18/2001 of budgetary stability has been modified by the Laws 12/2002, of 23rd May, 25/2003, of 15th June, 2/2004, of 27th December, and 15/2006, of 26th May, and all these amendments were consolidated by the Royal Legislative Decree 2/2007, of 28th December. As far as the regulation referred to the CCAA, the Organic Law 5/2001 has been modified by Organic Law 3/2006, of 26th May.

Francisco Alfredo García Prats

327

2. The coordination mechanisms of public finances between different territo-rial levels

The Spanish Constitutional constraints force the State to define the limits under which local entities – both provinces and municipalities – may exercise their financial competences, both as regards resources and expenses. As we have said previously, the basic framework is constituted by the LGEP (RDL 2/2007, of 28th December), developed by Royal Decree 1463/2007, of 2nd November, which approves the Regulation developing Law 18/2001, of 12th December, of Budgetary Stability, in its application to Local Entities.

However, some of the basic constraints regarding the approval, amend-ment and execution of the 3budget of the local entities are contained in the LHL, some of them already in place before the approval of the LGEP. The regulation of the budget and public expenses competences is contained in Title VI of the LHL. Royal Decree 500/1990, of 20th April regulates and de-velops the regime applicable to the local budgets. Local entities may elabo-rate, approve and execute their budget

3 in accordance to the Law. The requirement of stability in the budget is contained both in the LHL

(art. 165) and in the RD 500/1990 (art. 16). Article 165 of the LHL esta-blishes that the local budget must be subject to the accomplishment of the stability principle, formulated in conformity with the terms of the LGEP as a basic general constraint.

The stability criteria inform the initial formulation of the proposal of the budget – initial equilibrium – but also its execution along the fiscal year. This implies that any increase in the budget credits or a decrease of the fore-seen resources must be necessarily compensated at the time of approval.

The RD establishes that the Budget must be approved without initial deficit (16.1 RD 500/1990); none of the local budgets must present deficit along the exercise (16.2). Therefore any increase in the budgetary credits or decrease in the prevision of resources must be compensated in the same act that it is approved.

Appeals against the Local Budget must be previously informed by the Court of Accounts if they are referred to the budgetary leverage (23.2 RD 500/90).

3 Meaning, the Budget of the Local Entity itself, the budgets of the Autonomous Bodies dependent from the Local Entity, and the resources and expenses forecast of commercial companies whose shareholding belongs wholly to the local entity.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

328

In the same line, the budgetary amendments are subject to specific rules that differ from those applicable to the Central State and the CCAA. For ex-ample, some limitations to budget amendments are only applicable to local entities.

It is impossible to process budgetary credits increases according to obliga-tions legally assumed. On the contrary, it is only possible to increase budgeta-ry credits according to the effective collection of the rights and sources linked to the credit if they are connected or related in the execution of the local budget, but not based on credit operations (39.1 RD). A similar rule is found for extraordinary credits and supplementary credits (art. 36 RD), pre-venting a generic prevision of funding, but needing a specific means of fi-nancing among a list.

As regards the possibility to use debt as a means of financing local enti-ties treasuries, the LHL also establishes some general and specific constraints. The LHL distinguishes between short term and long term debt transac-tions.

New long term debt transactions are subject to previous authorization from the Ministry of Finance or from the CCAA if it has competences on the matter, as far as the net savings result of the last term is negative (fi-nancial statements of the liquidation of the budget, the current results, and the results of the ordinary activity). In that case, moreover, the re-quest for authorization must be accompanied by a financial rationalization plan for a three year period approved by the plenary of the local entity in order to establish measures to adjust the negative net savings result to ze-ro. The financial rationalization plan is not required in cases of debt trans-actions that seek to substitute previous debt transactions with the goal to diminish the financial charges or the risk of these transactions, as regards the obligations derived from these transactions pending maturity (art. 53.3 LHL).

Net savings is understood as the difference between liquidated rights of chapters I to V of the budget and obligations of the chapters I, II and IV of the expenses side that have been recognized, minus the amount of a theo-retical depreciation annual quota of the proposed debt transaction plus each of loans and own indebtedness and guaranteed loans to third parties pend-ing reimbursement

4.

4 The following table illustrates the different concepts to be taken into account:

Francisco Alfredo García Prats

329

Moreover, recognized pending obligations derived from amendments of budgetary credits that will be financed with treasury liquid surplus. In that case, net savings determination is referred to the last two exercises if the debt transaction is oriented to home building activities.

According to the LHL (art. 53.1 fourth paragraph) in order to determine the net saving of the local entities, actual pending debt and guarantee re-sponsibilities need to be measured according to the constant depreciation measure (interest + annual capital amount), regardless of the actual condi-tions of reimbursement of the projected and pending debt transaction. More-over, debt transactions guaranteed by immovable mortgage guarantees are not considered/included in that annual theoretical depreciation quota.

As a general rule, the President of the local entity may set up debt trans-actions if:

– for long term transactions, those whose accumulated amount in every economic exercise does not exceed 10% of the ordinary resources foreseen in the budget;

– for short term transactions, those whose accumulated amount as re-gard the pending short term operations including the new ones do not ex-ceed 15% of the ordinary resources liquidated in the previous exercise.

For transactions exceeding these amounts, the Plenary of the local entity has the competence of approval. In any case, the competent public auditor must prepare a report in order to analyse the capacity of the local entity to assume in time the obligations arising from the debt transaction for the local entity. However, and in order to better accomplish with deficit and debt re-quirements, the LHL establishes some specific authorization regimes and some constraints, as follows:

Basic Financial Chart

(+) Current revenues 150(–) Current expenses 125(=) GROSS SAVINGS 125(+) Capital resources 175(=) SELF-FINANCING INVESTMENT 100(–) Capital expenses 125(=) FINANCIAL CAPACITY(+)/NEED(–) 25(–)(+) Financial assets variation 135(=) INDEBTEDNESS NEED 110(+) Amortizations 175(=) GROSS INDEBTEDNESS 185

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

330

Long term debts transactions of any nature, including guarantees, will require in any case previous authorization if the total pending capital of all the pending debt transactions – long term, short term, proposed ones – ex-ceeds 110% of the current liquidated or accrued resources of the previous exercise, or the pre-previous one if the liquidation has not yet been prepared according to the consolidated accounts. In such a case valuation of the pending debt transactions will be made according to the accounting criteria used in their inclusion in the balance.

Local entities of more than 200.000 inhabitants may substitute authori-zation procedure by the presentation of a budget consolidation scenario for the approval of the corresponding body. In that case, the Ministry of Fi-nance has to approve the scenario and not only to authorized it, or present a previous report if approval corresponds to the CCAA. The consolidated budget scenario will include a commitment of the local entity, approved by the plenary of the corporation as regards the maximum limit of non-finan-cial deficit, and the maximum amount of indebtedness for each of the three subsequent exercises.

In 2009, RDL 5/2009 introduced some measures to allow the rationali-zation of the pending payments of local entities. On the one hand, softening the deficit limits and requirements; on the other allowing local entities to incur in new loan transactions with banks devoted to make effective pay-ments on obligations expired, payable and liquidated to certain suppliers and debtors. In that case, the debt up to certain levels and limits did not re-quire of a previous administrative administration, but of a previous control by the Public Accountant and a specific rationalization plan.

For 2011, RDL 8/2010 of 20th May (art. 14.2) established a further re-striction as a measure to reduce public deficit. This article was modified be-fore the entering into force by the Law 39/2010, of 22nd December of Gen-eral State Budget for 2011 (DF 15). According to these provisions, until 31st December 2011, local entities and their dependent entities could not have access to the long term public and private credit, whatever their modalities, for financing their investments, and can neither partially or totally substitute the pre-existing transactions, except those that according to the net actual value may be beneficial for the local entities as they result in a reduction of the financial charge, the term of depreciation or both. Moreover short term transactions approved to cover transitional financing difficulties must be cancelled at 31st December each year.

However the final amendment allowed that local entities and dependent entities that liquidated the 2010 exercise with positive net savings, could en-

Francisco Alfredo García Prats

331

ter into new long term debt transactions for the financing of investments, provided that the pending capital of current debt did not exceed 75% of the current resources liquidated or accrued, according to the consolidated ac-counting statements. Respecting both the LHL and the LGEP. Current debt includes all debt pending transactions at 31st December 2010, plus risk from guarantees, and transactions foreseen in 2011. The rest of local enti-ties were not allowed to enter into long term debt transactions. Local enti-ties of the Basque Country and Navarre will be subject to the corresponding rules of Convention and Concert.

Authorization is required, in any case, in the following debt transactions, either short or longer term, or guarantee concessions or transactions amend-ing contractual conditions or adding additional guarantees, directly or through the intermediation of third parties, in the following cases:

– debt and financial transactions carried out abroad or with financial en-tities non-resident in Spain, whatever the currency of the transaction, in-cluding the assignment of participations owned by resident entities of deb credits given to local entities, to non-resident entities. These situations do not include transactions in euros or made in the territorial scope of the Eu-ropean Union and with entities resident in one of the EU countries; for the-se transactions, previous authorization is substituted by a previous commu-nication to the Ministry of Finance;

– instruments issued through borrowed funds or another form of public credit call (regardless what is established in the LMV).

Commitments for expenses cannot be reached until the local entity does not dispose of the corresponding authorization.

The approval of the authorization by the Ministry of Finance must take into account, preferably, the accomplishment of the requirements of budgetary stability established in the LGEP. Other factors to take into account include the economic situation of the entity, autonomous organism or local com-mercial company, considering the information and the analysis provided, the treasury surplus, the foreseeable movements and the situation of the debt, and also the amortization period, the future economic profitability of the investment or other conditions involved in the debt transaction to be signed or modified.

The LHL establishes that the General Budget Laws of the State may an-nually establish access limits to loan transactions, considering general eco-nomic policy reasons if circumstances of the situation suggest so (art. 53.9 LHL).

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

332

Long term credit/loan transactions made by autonomous organisms and commercial companies will need the previous authorization of the plenary of the local entity and a previous report of the Public Auditor (art. 54 LHL).

Finally, Local Entities must be responsible for their own debts. Accord-ing to the Additional Disposition of the LGEP the central State will not as-sume the obligations contracted by other public Administrations, either CCAA, local entities or associated or dependent entities to them.

3. The requirements of the General Law of Budgetary Stability (LGEP)

The law of stability LGEP was approved as a means to enforce the Stabil-ty and Growing Pact at European Union level, despite the fact that it was done using competences that constitutionally corresponded to the central State. It has been subsequently amended to reflect subsequent amendments of the secondary EU Law approved to implement the political commit-ments reached among the representatives of the Member States, such as the Euro Pact. Recent agreements such as the so-called Six-Pack rule are pend-ing implementation in domestic law. However, it is to be noted that in Sep-tember 2011 it was approved an amendment of article 135 of the Spanish Constitution giving the stability principle a constitutional character which needs to be developed accordingly. The LGEP is based on the following general principles: budgetary stability, plurianuality, transparency and effi-ciency in the assignment of public resources.

According to the actual LGEP, all types of public entities must be invol-ved in the pursuing of the stability scenario. The actual law assigns different parameters and constraints to each of them. The general framework can be described as follows:

– state and CCAA must reach/respect a situation of equilibrium or sur-plus along an economic cycle;

– the Social Security system must respect a situation of equilibrium or surplus according to sustainability criteria;

– municipalities that are capital of province, capital of CCAA or with a population higher than 75.000 inhabitants (hereinafter referred as art. 111 local entities) must reach/respect a situation of equilibrium or surplus along an economic cycle, following an annual decision of the CNAL (Comisión Nacional de Administración Local);

– the rest of local entities must respect a situation of equilibrium of sur-plus (annually considered).

Francisco Alfredo García Prats

333

The local entities so considered also comprise the autonomous orga-nisms, and public entities which depend on local entities that are not pri-marily financed by commercial resources.

– commercial public entities, commercial companies and other public en-tities linked to local entities, CCAA and State when they render services or produce goods that are primarily financed by commercial resources will be subject to specific regulations.

Therefore, it must be established that there are different types of local entities that are subject to different legal constraints as regards the applica-tion of the financial stability criteria: the so-called commercial public local entities, the local entities – and non-commercial dependent local entities – regulated under article 111 LHL, and the rest of local entities and depen-dent local entities, comprising as such autonomous organisms and public bodies dependent from those, if they render services or produce goods that are not mainly financed through commercial resources.

Generally speaking financial stability is described as the situation of equi-librium or surplus calculated, along the economic cycle, in terms of ability of being financed according to the definition contained in the European System of National and Regional Accounts and in the conditions established for each one of the public administrations. The financial stability must be appli-cable to each of the local entities according to the consolidated results, ac-cording to article 6 of RD 1463/2007, of 2nd November. The implications, however, as we have already mentioned, are different for the different groups of local entities.

The elaboration, approval and execution of the budget (including those of local entities) must be made according to the surplus or equilibrium de-rived from the application of the LGEP calculated in terms of capacity of fi-nancing according to the definition contained in the European System of National and Regional Accounts. Moreover, local entities must establish in their regulatory budgetary rules the instruments and procedures necessary to apply the stability principle (artt. 7.7 and 7.8 LGEP).

4. Formulation of the stability criteria: Establishment of the stability objectives

The establishment of the objective of budgetary stability corresponds to the Central Government (art. 8.1 LGEP). The objective of budgetary stabili-ty is established every year by the Government, during the first semester,

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

334

through an agreement of the Council of Ministers and is referred to the follow-ing three years, both for the public sector as a whole and for each of the groups of public entities. Once approved, the objective of budgetary stability is re-ferred to the Parliament with the corresponding reports. The lower Chamber of the Spanish Parliament (Congreso de los Diputados) and the Senate must debate it on the Plenary and must approved or reject it. If only the Senate re-jects it, it will be subject to a new vote in the Congress which may approve it by simple majority vote (art. 8.3 LGEP). The elaboration of the Budget of the public entities must, accordingly be subject to this objective.

The establishment of the stability objective corresponds to the Council of Ministers (7.3 LHL, and 8 LHL). The proposal of the specific stability framework for every sector of the public administration corresponds to the Ministry of Economy and Finance, but as regards the deficit allowed rates corresponds to the CNAL the elaboration of a previous report. One im-portant aspect as regards the establishment of the stability objective is that the LGEP takes into account the economic cycle as a whole for local entities under article 111 LHL and not only a one year period, which in any case applies to the rest of the local entities. This approach finds also support un-der the new article 135 of the Constitution, despite the fact that its concre-tion is pending according to the text of the amendment.

The financial stability principle encompasses the elaboration, the appro-val and the execution of budgets according to equilibrium or surplus

5. How-ever the local entities subject to art. 111 LHL cannot overcome the foreseen growth rate of reference for the Spanish economy. In that respect, it is the Comisión Nacional de Administración Local (National Commission of Local Administration, CNAL) which has to establish every year those Municipali-ties that has to adjust the budgets to the principle of stability along the cycle (art. 19.1 LGEP). If the CNAL does not present a proposal, the Government will determine the local entities subject to these specific rules for determina-tion of the principle of stability. The rest of local entities, must adjust their budget to the stability principle per year basis and not considering the eco-nomic cycle. In this case, the objective of financial stability is determined by the Ministry of Finance for the whole local sector, but it is applicable to each local entity.

5 For a detailed analysis of the determination of the deficit of the local entities, the General Public Auditors of the State (Intervención General del Estado) has elaborated a ma-nual that can be found in the following webpage: http://www.igae.pap.meh.es/sitios/igae/es-ES/ InformesCuentas/Informes/Documents/Manual-AATT/ManualCCLL1Edicion2006b.pdf.

Francisco Alfredo García Prats

335

Taking into consideration the economic cycle as a whole requires the en-tities subject to the rule to accommodate the budgetary result – stability –when the economic cycle is positive – must present a surplus, but, excep-tionally, deficit is allowed under certain legal parameters to face low phases of the economic cycle, when the growth of the national GDP is below the forecasted variation rate of the GDP under the mechanism established un-der article 7.3 LGEP.

The stability objective is fixed for a period of three years and is subject to the surveillance procedure established by EU law (the six-pack legislation), according to the new article 135 of the Constitution that will be briefly ana-lyzed afterwards. The objective is determined every year for a 3-year period, both for the joint public sector and for each one of the different public agents. This objective is based in a report on a cyclic economic position and a 3-year forecast. The report takes into account the estimations of the Sta-tistics National Institute, the Bank of Spain, the European Central Bank and the European Commission.

The following parameters are taken into account: forecast of the evolu-tion of national GDP, differential as regards its potential growth, expected behavior of the financial markets, the labour market and the foreign-exports sector, inflation forecast, indebtedness needs, and projections of public re-venues and expenses as regards the GDP and the sensibility analysis of the prevision.

If the report forecasts an economic growth superior to the variation rate of the national GDP it will imply that the stability objective will necessarily be of surplus for Central State, CCAA and local entities under article 111 LHL. In that case, the objective of budgetary stability will be fixed according to the convergence ratio of the Spanish economy with the EU as regards re-search, development and innovation and as regards the development of the information society.

If the report forecasts an economic growth which will be among the varia-tion rates pre-established by the Council of Minister for the three-year period, the public entities will have to present their budgets following at least budge-tary stability.

If the annual report forecasts an economic growth inferior to the varia-tion rate of the GDP established under article 7.3, in that case the Central State, the CCAA and the art. 111LHL local entities will be allowed to incur in a deficit of 1% GDP divided according to the following parameters: the State up to 0,20%, the CCAA up to 0,75% and the art. 111 LHL local enti-ties the 0,05%.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

336

Objectives of budgetary stability for the period 2012-2014 expressed in GDP% (Council of Ministers 24th June 2011, approved by the Congress on 12th July 2011, evaluated by the EU Commission in June 2011)

Financial Capacity (+)/need(–) in GDP % 2010 2011 2012 2013 2014

Central Administration – 5,7 – 4,8 – 3,2 – 2,1 – 1,5 CCAA (a) – 2,8 – 1,3 – 1,3 – 1,1 – 1,0 Local entities (b) – 0,5 – 0,3 – 0,3 – 0,2 – 0,0 Social Security – 0,2 + 0,4 + 0,4 + 0,4 + 0,4 Total public administrations – 9,2 – 6,0 – 4,4 – 3,0 – 2,1

a) The objective of budgetary stability is subject to the condition of the presentation or update of the Reequilibrium Economic-Financial Plans foreseen in the Organic Law 5/2001 by the CCAA, provided that the mea-sures are approved by the CPFF. If those plans are not presented or upda-ted, taking into account the forecast included in the report on the cyclic po-sition of the Spanish economy, the Stability Objective will have to be that of equilibrium in 2012, 2013, and 2014.

The stability objective cannot be overcome by the exceptional deficit de-rived from productive investments programs.

b) Local entities must present their budgets according to the equilibrium criteria. However, if local entities liquidate their budgets according to the path established under this framework, are exempt to present financial and economic plans of re-equilibrium.

Variation rates of the real national GDP that determine the economic growth

threshold for the purposes of article 7 LGEP. Period 2012-2014 (Variation rates of the real GDP)

2014 2015 2016

Threshold of economic growth above which public enti-ties of article 7.2 LGEP must present surplus 3 3 3 Threshold of economic growth below which public enti-ties of article 7.2 LGEP may exceptionally present deficit 2 2 2

Francisco Alfredo García Prats

337

5. Specific and exception rules as regards the stability objectives

As I mentioned before, generally speaking local entities are subject to a more restrictive stability criteria. Local entities not subject to specific treat-ment must elaborate, approve and execute their budgets according to a situa-tion of equilibrium or surplus. The situation of equilibrium or surplus must be calculated in terms of financial capability according to the definition given by the SEC-95 Regulation

6. All public entities are forced to establish in their respective budgetary rules the instruments and procedures necessary to adapt the application of the stability principle (art. 7.8 LGEP). It is worth to mention that the budgetary balances must be determined for the applica-tion of the present stability rule according to the SEC system (Sistema Eu-ropeo de Cuentas Nacionales y Regionales) with some differences with ac-counting and budgetary rules in force in Spain, forcing the local entities to carry on their budgetary accounts according to the two different rules (or to accommodate their accounts to the SEC system.

5.1. Entities subject to article 111 LHL

As a specific rule, the expenses of the local entities of the article 111 LHL may not increase the growing rate of reference of the Spanish economy (ac-cording to the amendment approved by RDL 8/2010 of 1st July).

As a first exception, in the actual regulation of the LGEP there are local entities that are subject to the same standard of stability foreseen to the State

7. These local entities are the local entities covered by article 111 of the LHL, which are subject to a specific funding resources system, and are the following:

– Capitals of province and capitals of CCAA;

6 Regulation CE 2223/1996 of the Council, of 25th June 1996, amended by Regula-tions 2516/2000, of 7th December 2000, Regulation 359/2002, of woth March 2002, Regu-lation 1392/2007 of 30th December 2007, Regulation 400/2009, of 10th June 2009 and Regulation 715/2010, of 31st August 2010.

7 There was a legislative amendment proposal in July 2011 made by the Popular Party in which local entities where all subject to a strict equilibrium or surplus criteria. The pro-posal did not succeed and was abandoned. At the moment of writing the present report, the General Elections determine a future change in the Government. One of the priorities of the new Government will be the presentation in Parliament of the new Law of Stability according to the new article 135 of the Constitution, but very few details of its concrete regulation are known at present.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

338

– Local Municipalities with a legal population superior to 75.000 inhabi-tants.

The general regime (stability criteria) applicable to these local entities is the following:

These entities may incur in deficit in the exercises in which there is a foreseeable growing inferior to the variation rate of the real national GDP.

However, the approval of the deficit situation is subject to the presenta-tion by the local entity before the Ministry of Economy and Finance of a pluri-annual memory. This memory must demonstrate that the foreseeable evolution of the budgetary balances will guarantee the financial stability along the cycle. In other words, the actual legislation formulates the stability standard not on an annual basis but taking into account the economic cycle.

The establishment of the objective of budgetary stability will depend on the forecast of the report of the real growth of the GDP.

If there is growth higher than the variation rate, the accounts must show a surplus. However, if local authorities liquidate the budget with a negative residual cash, the Plenary must reduce the amount of expenses of the new budget accordingly in an amount equivalent to the residual negative cash (deficit) (art. 193 LHL), or apply a debt resource if certain conditions are met (total annual amount lover than 5% of the current resources of the enti-ty; total debt charges not exceeding 25% of the resources, and cancellation of the loan before the renovation of the Municipality).

If the growth varies between the variation rates, the budget must present equilibrium.

If the growth is lower than the variation rate, the deficit must not be su-perior than the one approved in by the Government.

The Council of Minister will fix the variation rate of the real national GDP for a 3-year period determining, the growing threshold under which local entities may present deficit, or above which must be subject to the surplus or economic rule. The Council of Ministers will approve the rate af-ter the proposal presented by the Ministry of Finance and previous report of the CNAL (art. 20.1 LGEP).

According to article 7.3 of the LGEP, the Council of Ministers of the Spa-nish Government must fix a variation quota/rate of the national GDP that will determine the threshold of economic growth under which the different types of public entities allowed (Central State, CCAA and local entities of art. 111 LHL) will be exceptionally allowed to present deficit in their accounts (see the figures in the precedent paragraph).

Francisco Alfredo García Prats

339

The variation rate cannot be subject to amendment until the end of the 3-year period, unless exceptional circumstances arise (7.4 LGEP). In that case, the Council of Ministries, following the general procedure may amend the variation rate for the pending period until the end of 3-years.

Once it is established this threshold and the allowed deficit ratios, the CNAL (Comisión Nacional de Administración Local) will establish every year those local entities under article 111 that will adjust their Budgets to the budgetary stability understood along the economic cycle and not on a per year basis. The CNAL will establish the list of local entities after proposal made by the different Associations of Local Entities. If the CNAL does not come up with a proposal, the Central Government will decide this list (art. 19.1 LGEP).

5.2. Investment programs

A second important exception to the surplus or equilibrium situation) is the one foreseen for increase in investment programs devoted to productive action programs (art. 7.5 and art. 19.2 LGEP). This possibility allows the State, the CCAA and the local entities subject to art. 111 LHL entering into additional deficit, regardless of the stability objectives foreseen in the previ-ous exception for the same group of public entities. Constraints derived from the Budgetary Law for 2011 need to be taken into account.

The amount of these programs may not annually exceed in total 0,20% of the GDP for the State, 0,75% for the CCAA, and 0,05% for the Local Entities under art. 111 LHL. Moreover, article 19.2 LGEP requires that the amount of deficit cannot exceed the percentage of non financial resources liquidated and consolidated of the previous immediate exercise of the Local Entity esta-blished by the CNAL. If there is not such a proposal, the individual limit of each Local Entity will be assigned by the Government.

In order to benefit from this exception, there is necessary to follow a spe-cific procedure (artt. 19.2 and 7.1 LGEP).

The CNAL will establish the general criteria referring to the allowable investment programs and criteria for distribution of the amount of deficit among the CCLL. The CPFF will do the same as regards autonomic invest-ment programs.

Following those criteria, the Ministry of Economy and Finance has to au-thorize the investment programs. Among the criteria to be used for the selec-tion: the improvement of the productivity of the economy or level of indeb-tedness of the local entity. The programs finally authorized will be communi-cated to the CNAL and the CPFF.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

340

A requisite for the approval of these specific programs enabling deficit is that the investment program must be financed at least by 30% of gross sa-vings of the corresponding public entity.

6. Expense rule

As a result of the Euro Pact of March 2011, Royal Decree Law 8/2011 of 1st July incorporated a new article on the LGEP establishing an expense rule. Following the recommendations approved at a European Union level, the new provision establishes a limitation of the amount of expenses. This rule affects both the Central State (and dependent organisms) and also provinces and local entities – Municipalities of more than 75.000 inhabitants or capi-tals of provinces or CCAA –. It is expected to apply that rule also to CCAA after negotiation in the CPFF.

The rule has a preventive nature. It tries to avoid potential disequilibri-um generated in processes of excessive economic expansion creating the necessary margins to absorb the phases of recession without compromising the public finances. It also tries to accommodate the Spanish legislation to the requirements coming from the EU regarding economic government of public bodies (European Council of 11 March 2011).

According to that rule, the computable expenses of these entities cannot be increased above the mid-term reference growth rate for the Spanish economy.

Computable expenses in that regard are the nonfinancial employments de-fined according the European System of National and Regional Accounts, ex-cluding the interest from debt and the non-discretional expenses on unem-ployment benefits.

The mid-term reference growth rate for the Spanish economy is defined as the medium growth of the Spanish GDP, expressed in nominal terms during 9 years; as the result of the arithmetic mean of the five past years, the current year – according to the stability program – and an estimate for the following three, modulated by an inflation annual rate of 1,75%.

The rule also binds the financial economic plans for re-equilibrium that public entities must present in case of budgetary deficit: in that case the evo-lution of expenses must thoroughly respect the criteria established in the plan (art. 8 bis.4 LGEP).

The rule is modulated by changes in the prevision of collection of re-sources:

– if there are normative changes that generate permanent increases of

Francisco Alfredo García Prats

341

collection of resources, the corresponding computable expense can be cor-respondingly increased; and,

– on the contrary, if there are normative changes resulting in collection reductions, the computable expense amount will have to be accordingly di-minished.

The second rule affects the destiny of surplus resources generated com-pared to the projected and budgeted resources: the excess resources ob-tained by these public bodies will have to be totally assigned to the reduc-tion of the public debt level (art. 8 bis.3 LGEP).

The specific regulation of such expense rule has been critizised consider-ing that the global expense amount is determined from general forecast previ-sions and, therefore, it is possible to modulate or even manipulate in one way or another. Moreover, it is considered that this rule has as a main impact to limit the amount of expenses in the expansive phase of the economic cycle, limiting its effects on the reduction of the deficit in a recession period. Lastly, there are some important exceptions to the rules, both on the subjective sco-pe of application and on the functional side of the expenses. The rule only applies to municipalities subject to article 111 LHL of more than 75.000 in-habitants, leaving aside municipalities that have enormously developed and seriously suffered by the immovable development and posterior crisis. More-over, the rule does not affect unemployment social benefits and financial costs, two important elements of the budget in the actual crisis situation. For 2012, the expense rule amounts to a total of 117.353 million euros.

7. Surveillance mechanism

The surveillance of the application of the stability criteria also corre-sponds to the central Government (art. 7.9 LGEP), respecting the coordi-nating functions of the CPFF.

The surveillance mechanism is based on the establishment of a series of obligations and mandates to submit relevant information to the Ministry of Economy and Finance by all the affected public entities (including local en-tities). The Ministry of Economy and Finance must submit to the Govern-ment a yearly report before 1st October and it is made public for general knowledge. The Ministry also has the obligation to inform both the CPFF and the CNAL of the accomplishment of the objective of budgetary stabili-ty of the corresponding public entities (art. 9 LGEP).

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

342

The surveillance mechanism allows the Government to carefully look at the following objectives:

– the grade of accomplishment of the objective of budgetary stability of the previous immediate exercise;

– the grade of accomplishment of the expenses rule of the immediate exer-cise;

– the grade of real evolution of the economic cycle in order to discover possible deviations from the original forecast.

8. Obligation to submit relevant information

Both the LGEP and the Royal Decree developing it (RD 1463/2007) contained a detailed list of information that must be submitted by the CCAA and the Local entities, in order to accomplish with the transparency princi-ple and to allow the surveillance mechanisms adopted by the Ministry of Finance (art. 21 LGEP, and art. 27-41 of the RD). The obligation to submit information arises both quarterly and annually. General obligation of in-formation exists as regards any of the dependent units that form part of the conglomerate of the local entities (and CCAA), which are included in the so-called Base de Datos General de Entidades Locales (art. 27 RD).

On a quarterly basis, local entities must submit to the Ministry of Fi-nance (Dirección General de Coordinación Financiera con las Entidades Lo-cales) information regarding the liquidation of the budget of resources and expenses as well as balance sheet and results accounts of the commercial lo-cal entities (art. 32 RD).

Every year, the information to submit comprises:

– general budget or initial financial statements of every entity subject to the LGEP (art. 29 RD);

– liquidation of the budget of resources and expenses (art. 30 RD); – functional classification of the expenses; – obligations recognized before third parties, due, settled, liable and not

paid that are not attributed to the budget; – guarantees conferred; – statement of treasury accounts; – debt situation. This information serves the Ministry of Finance to main-

tain the so-called Central de Información de Riesgos de las Entidades Locales which has all the information available regarding loan, credit, debt emissions,

Francisco Alfredo García Prats

343

guarantees and other warrants, leases and any other transactions that may affect the financial future position of the local entities. The RD establishes the constraints to the transparency regime of such information (art. 41). Annually, the Minstry of Economy and finance publishes the outstanding debt of each of the local entities at 31st December of the precedent year;

– detail of the transactions with financial assets, especially financial con-tributions to commercial companies and public entities.

– annual accounts of the commercial companies (art. 31 RD).

This information is included in the so called Base de Datos de Presupue-stos y Liquidaciones de Entidades Locales. In order for the CCAA to exercise their financial surveillance on local entities, they may exercise to such data-base according to the terms of the corresponding Convention of Collabora-tion to be signed with the State.

The RD (art. 35) establishes the obligation of the Ministry of Economy and Finance to inform the CNAL of the local entities that do not accom-plish with the obligation to submit information. No specific sanctions are established in the legislation for these situations.

9. Consequences of lack of fulfilment

The system provides for a mechanism that leaves full responsibility to the public entities (either local, CCAA or state) to return to the path of ac-complishment of the objective of budgetary stability. The State only retains prevention warning mechanisms and ex-post approval mechanisms, but the reorientation and the reformulation of public accounts of the local entities remains under their attribution. No sanctions are foreseen in the current legislation for the entities that do not accomplish the objectives of budgeta-ry stability.

Generally speaking the current LGEP foresees two main types of conse-quences: a priori and a posteriori.

As regards a priori mechanisms, the Government has the capacity to warn the public (local) entities that have a risk not to accomplish the objective of budgetary stability (art. 10 LGEP). The law does neither concrete nor specify any consequence linked to the formulation of the warning, but only the need to inform of that warning to the corresponding coordinating body, either the CPFF or the CNAL. It is considered that the warning has to be made consi-dering the information submitted and the evolution of the economy and the execution of the budget.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

344

Regarding a posteriori mechanisms, the most important consequences of the discovery of the lack of accomplishment of the stability criteria are the need to approve a re-equilibrium economic and financial plan for a 3-year period; and the establishment of further conditions for the authorization of new debt plans.

Generally speaking, all local entities – not subject to the art. 111 LHL regi-me – that do not accomplish the objective of stability must approve an Eco-nomic and Financial Plan in order to restate the public accounts to these objectives. The Plan must be approved by the Plenary of the Local Entity before three months after the approval or liquidation of the Budget or the approval of the General Statements (art. 21 RD). The plan must include the proposed activities and measures to be taken as regards the regulation, exe-cution and management of the resources and the expenses that guarantee a recovery of a budgetary stable situation. Despite the fact that these local en-tities are invariably subject to a surplus or equilibrium requirement, local entities that follow the patterns derived from the objectives of budgetary stability approved by the Government in the liquidation of their budget are not forced to present a new equilibrium financial plan.

As a special rule, local entities subject to the art. 111 LHL regime, must present their Financial and Economic Plan before the Ministry of Economy and Financer for its approval. In that case, the Ministry will be in charge of the surveillance of the development and accomplishment of the Plan, de-spite the fact that, initially it will be for the Public Local Auditors to verify the accomplishment of the approved Plans (22.2 RD). If CCAA have exer-cised the competence of financial surveillance on local entities, it will be for them to approve and control such a Plan, with an obligation to communi-cate to the Ministry the results of this surveillance.

As a second special rule, commercial local entities that incur in losses that affect the stability criteria, must submit a management report before the Plenary of the entity a medium term reorganization plan, with corrective measures.

A second consequence refers to the authorization mechanism on new debt transactions (art. 23 LGEP). IN this case, the authorization is subject to the verification of the accomplishment of the objectives of budgetary sta-bility according to the approved Plan.

As a general consequence, all local entities must be authorized to enter into renegotiation transactions in order to substitute previous long term debt transactions.

Entities under article 111 LHL must request authorization to agree on

Francisco Alfredo García Prats

345

any type of indebtedness transaction, regardless of the term, if they have not presented the Plan or it has not yet been approved. All long term debt trans-actions will require previous authorization by the Ministry of Finance. The request must be accompanied by evaluation reports regarding the accom-plishment of the stability objectives in the previous exercise and the current exercise formulated by the Public Auditor. Lack of fulfilment of the Finan-cial Plan during the last year is sufficient cause to deny the authorization of the indebtedness (25.4 RD).

The rest of local entities are subject to a specific authorization mecha-nism regarding long term debt transactions under 53.1 and 53.2 LHL. Cor-rective measures must be included as a condition for approval.

10. The new article 135 of the Spanish Constitution

On 27th September 2011, the Spanish Official Journal published an im-portant amendment of the Spanish Constitution, the new article 135, as a result of a fast processing before the Spanish Parliament as a result of the consensus reached by the two main political parties, but without the neces-sary debate among the scholars, specialist and the desirable reports of con-sulting bodies of the State. The reform was processed in a time-record of less than two months, despite the fact that the structural deficit constraints will enter into force in 2020. With this amendment, Spain tries to implement the agreement reached on March 2011 at the European Union level by the Council of Ministers, establishing a set of measures that will help to the de-velopment of greater economic governance at the EU/Eurozone level and a major fiscal consolidation.

From a neutral description, without considering the pros and cons and the important implications that such a rule of a constitutional character may have in the consideration of Spain as a social and democratic State, the main contents of the new article 135 of the Constitution are the following ones.

In the first place, the guarantee of the principle of budgetary stability, granting it a constitutional character. The principle of budgetary stability is binding on all Public Administrations, which must subject all their acts to that principle (art. 135.1 CE).

Secondly, the Constitution recognizes the surveillance mechanisms adopted at the EU level for the Member States. In that regard, prevents that the State and the CCAA incur in structural deficit above the margins esta-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

346

blished at EU level. However, the specific maximum structural deficit has to be fixed by an Organic Law, establishing a much more rigid mechanism for the establishment of such a constraint. Local entities are subject to budgeta-ry equilibrium.

Tirdly, the Constitution recognizes absolute priority of the payments of the interest and principal of public debt. Moreover, the Constitution subjects the volume of public debt of the total set of public administrations to the reference value established in the Treaty of Functioning of the European Union. In any case, this legal constraint already derives from primary EU law.

However, the Constitution recognizes certain situations where the para-meters established by the EU regarding deficit, or the reference values as re-gards public debt percentages may be overcome. This is the case of natural catastrophes, economic recession, or situations or extraordinary emergency that escape to the financial situation or the economic or social sustainability of the State. More importantly, the Constitution attributes the competence to determine the existence of these situations to the lower chamber of the Parliament, with absolute majority.

In fourth place, the Constitution attributes to an Organic Law the func-tion to develop the principles enshrined in article 135 and, more importantly, to establish the distribution criteria of the deficit and debt constraints among the different public administration, the methodology and procedure for cal-culating the structural deficit, and the responsibility of each public admin-istration in cases of lack of accomplishment, confirming the coordinating role of the State in economic and financial matters. It is foreseen that this organic law must be approved before 30th June 2012.

11. Final Considerations

Local entities face the new era of budgetary management. Budgetary sta-bility requirements will require local entities to adapt many changes in the following years to come that will require a reconsideration of the functions and public services performed, their financing mechanism and the applica-tion both of new management systems and new ways of financing that will enable them a more efficient application of their sufficient resources.

Spanish new financial stability requirements recently introduced in the Constitution will require a new development in the Law which on the other hand is pending on the developments to be done at the European Union le-

Francisco Alfredo García Prats

347

vel. It is to be seen, however, how the new legal requirements will affect the evolution of local public finances. If a favourable sustainable agreement is not reached at a European level, it may be difficult for local entities to man-age their public interest according to the sufficiency principle. In any case, however, the new system should properly modulate the imbalances between the EU member countries, introducing sufficient solidarity but also provid-ing for accountability before the other members.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

348

Francesco Bilancia

NOTE CRITICHE SUL C.D. “PAREGGIO DI BILANCIO”

SOME CRITICISM ON THE SO-CALLED “BALANCED BUDGET”

Abstract

Il saggio contiene un commento critico a prima lettura dei contenuti della legge di revisione dell’art. 81 della Costituzione italiana nel quadro dell’attuale crisi dei debiti sovrani e nel contesto delle misure contenute nel c.d. Fiscal compact, con riferimento alle opzioni di politica economica ad essa sottese e al regime degli impegni assunti da ciascuno degli Stati membri nel sistema EURO. Parole chiave: debito pubblico, fiscal compact, sistema monetario, pareggio di bilancio, deficit pubblico, vincoli costituzionali This paper originated from a critical analisys of new art. 81 of Italian Constitution which has provided the prescriptive rule of balanced budget, in the frame of comtem-porary crisis of State debt and the comparative analisys of European Fiscal com-pact. Specific criticisms move from the different position of each State in Euro system and their respective equality. Keywords: public debt, fiscal compact, monetary system, balanced budget, public de-ficit, constitutional constraints In questi giorni

1 anche il Parlamento italiano si accinge ad approvare, or-mai in seconda lettura e pressoché all’unanimità, una legge di revisione del-l’art. 81 della Costituzione intitolata “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”. Salvo qualche limitato accenno, il pro-

1 Marzo 2012.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

350

getto di riforma è praticamente assente dalla discussione politica 2 – e, con le

dovute eccezioni, dal dibattito scientifico – incentrati piuttosto sul processo di risanamento finanziario e di contenimento del deficit e del debito pubbli-co in corso di faticosa attuazione per via di legislazione ordinaria. Dell’intro-duzione del c.d. principio del pareggio di bilancio in Costituzione si parla con pressoché esclusivo riferimento agli impegni assunti dall’Italia in sede di Unione europea, al fine di garantire una ritrovata immagine di credibilità del sistema dei bilanci pubblici e del debito italiani al cospetto dei mercati finan-ziari. In questa sede ci si limiterà, invece, ad una rapida lettura dei contenuti del progetto di revisione costituzionale, inquadrandone altresì il significato normativo nel contesto del c.d. Fiscal compact

3, trattato internazionale sot-toscritto, per il momento, al di fuori del contesto dei trattati su cui si fonda l’Unione europea.

Sembrano comunque opportune due brevi premesse. Le osservazioni critiche che seguiranno non devono essere assunte quale obiezione all’indi-spensabile necessità di garantire una finanza pubblica in equilibrio e un de-bito sostenibile. Con la naturale conseguenza di ritenere necessarie azioni per la riduzione dell’ammontare del debito accumulato negli anni, unitamente a politiche di sostegno allo sviluppo funzionali al controllo di un adeguato li-vello del prodotto interno lordo. Elementi del resto assunti ormai anche in via di fatto – oltre che giuridicamente formalizzati in specifici impegni fin dal-l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht – quali criteri di valutazione della affidabilità finanziaria del sistema pubblico dei singoli Paesi e di evidente strumentalizzazione ad opera dei movimenti speculativi nei mercati finanzia-ri. In secondo luogo deve essere, altresì, chiaro che i contenuti della riforma costituzionale in corso di approvazione non sono direttamente funzionali agli scopi ora richiamati, contenendo piuttosto la disciplina di strumenti as-seritamente necessari al fine del consolidamento dei risultati di risanamento finanziario che si presume debbano essere conseguiti nel frattempo e per via di legislazione ordinaria. La revisione dell’art. 81 della Costituzione italiana così come il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nel-l’Unione economica e monetaria hanno lo scopo di definire, quindi, regole di

2 Così come, del resto, accaduto in Spagna, GARCÍA PRATS, Stability Pact and multi-level Governance. European constraints and local public finance: the Spanish experience, in questa Ri-vista, supra.

3 Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, Bruxelles, 2 marzo 2012, la cui versione italiana è consultabile in http:// european-council.europa.eu/media/639226/10_-_tscg.it.12.pdf.

Francesco Bilancia

351

contenimento delle politiche economiche pubbliche, come si suol dire in questi casi, “a regime”, non implicando alcuna conseguenza immediata sul piano delle politiche di risanamento finanziario in corso nei vari Stati euro-pei, se non sull’ineffabile piano della “psicologia dei mercati”.

L’art. 1 del progetto di revisione costituzionale introduce nel secondo com-ma dell’art. 81 della Costituzione italiana la seguente disposizione: «Il ri-corso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioran-za assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali». Il successivo art. 5, comma 1, lett. d) del progetto di riforma, qualifica tali “eventi eccezionali” come: «gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali»

4. Il portato normativo di questa disposizione pare introdurre, quindi, un divieto di indebitamento – salvi i casi, alle condizioni e con le procedure aggravate previste dal testo della legge di riforma – misu-ra ben più pervasiva dell’obbligo di garantire l’“equilibrio tra le entrate e le spese” del bilancio dello Stato con cui si apre invece il primo comma del nuovo art. 81. L’ultimo comma della nuova disposizione rimette, comun-que, ad una legge costituzionale la definizione della normativa di principio nel cui contesto una successiva legge, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, dovrà provvedere a dare attuazione alla riforma. La legge di revisione costituzionale prevede, inoltre, tra le altre cose: a) la riconduzione della materia “armonizzazione dei bilanci pubblici” alla com-petenza esclusiva dello Stato

5; b) una forte revisione dell’art. 119 Cost. con l’introduzione di ulteriori e gravi limiti all’autonomia finanziaria di Regioni

6 ed enti locali

7; c) un ulteriore limite al ricorso all’indebitamento di tutti gli enti di autonomia con l’impegno di questi di concorrere, comunque, «alla sostenibili-tà del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni»

8. Rinviando ad altre sedi e a più rilevanti commenti

9 la dettagliata analisi

4 Rinviandone la definizione di dettaglio ad un’apposita legge, ma v. infra. 5 Art. 3, comma 1, lett. a) del progetto di legge di revisione costituzionale. Non più,

quindi, competenza concorrente, art. 117 Cost. 6 La più grave apparendo la necessità di considerarne l’equilibrio di bilancio come rife-

rito al “complesso degli enti di ciascuna Regione”, con tutte le conseguenze relative all’ob-bligo di tali enti di concorrere ad assicurare insieme allo Stato l’osservanza dei vincoli eco-nomici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’UE.

7 Art. 4, comma 1, lett. b) del progetto di legge di revisione costituzionale. 8 Art. 5, comma 2, lett. b) e c) del progetto di legge di revisione costituzionale. 9 Mi limiterei a citare, in questa sede, i documentati e competenti commenti a prima

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

352

critica del progetto di legge di revisione costituzionale ci si limiterà qui sol-tanto a sollevare alcuni interrogativi, in parte frutto della acritica ed affretta-ta stesura del testo della riforma. Ciò appare, del resto, evidente conseguen-za della conclamata urgenza con cui si è dato avvio al progetto di revisione costituzionale sotto la forsennata pressione delle istituzioni europee, dei go-verni di alcuni Stati membri dell’UE, delle istituzioni finanziarie internazio-nali e dei mercati nella grave crisi di affidabilità del debito pubblico italiano durante i concitati mesi dello scorso autunno. È del tutto evidente, ad esem-pio, la polisemia dell’espressione “equilibrio tra le entrate e le spese” di cui al primo comma dell’art. 81, il che la rende in qualche misura adattabile alle differenti letture connesse alla discrezionalità delle politiche economiche a seconda della congiuntura. Ben maggiori problemi interpretativi porrà, in-vece, nella prassi applicativa la formula “ricorso all’indebitamento”

10 di cui al secondo comma. È un riferimento specifico ai saldi di bilancio? Se sì, con quale declinazione? È possibile convenire di ridurne semanticamente il sen-so quale mero sinonimo di deficit ai sensi dei trattati europei e del Patto di stabilità e crescita? Dobbiamo ritenere che, a regime, la Costituzione italiana vieti il ricorso a soglie anche minime di deficit pubblico se non ai limitati fini e con le procedure di cui al nuovo secondo comma dell’art. 81? Il necessario ricorso alla maggioranza assoluta affinché, al fine di considerare gli effetti del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, si possa procedere alla elaborazione di politiche di spesa pubblica anche se minimamente ido-nee a determinare un deficit di bilancio, inoltre, sottrae la disponibilità di que-sto fondamentale strumento di politica economica a qualunque maggioran-za politica, a qualunque governo – salvi i benefici di un occasionale sistema elettorale ad ampio effetto maggioritario – implicando il necessario coin-volgimento di parte delle opposizioni anche solo per sfruttare gli effetti di una congiuntura economica particolarmente favorevole. A meno di non ri-tenere di voler riservare l’utilizzo di questo strumento a soli governi tecnici, o comunque sostenuti da maggioranze parlamentari bipartisan. Per tacere dei drammatici effetti che la riforma produrrà sull’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali, sembra quindi consolidarsi nel testo della Costituzio-

lettura di BRANCASI, L’introduzione del principio del c.d. pareggio di bilancio: un esempio di revisione affrettata della Costituzione, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/ pdf/documenti_forum/temi_attualita/riforme/ 0003_brancasi.pdf, 10 gennaio 2012 e di DICK-MANN, Le regole della governance economica europea e il pareggio di bilancio in Costituzione, in Federalismi.it, n. 4, 2012.

10 Sul punto, esemplarmente, BRANCASI, op. ult. cit.

Francesco Bilancia

353

ne la scelta (di politica contingente) di eliminare dall’orizzonte del possibile la elaborazione di politiche espansionistiche anche in fasi congiunturali po-sitive. Senza poterci, qui, peraltro impegnare in una disamina delle differenti teorie economiche in relazione agli effetti e ai possibili rimedi dell’interven-to pubblico nell’economia nelle fasi congiunturali avverse

11. Il recente ap-pello al Presidente degli Stati Uniti di ben cinque premi Nobel per l’econo-mia contro l’inserimento dell’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzio-ne per via dei gravi rischi di recessione e di contrazione del PIL, con conse-guente avvitamento in una crisi di sostenibilità del debito pubblico, avrebbe però dovuto indurre ad assumere maggiori cautele prima di cristallizzare in un testo costituzionale gli effetti di una delle possibili dottrine economiche in materia di ruolo dello Stato e della spesa pubblica in economia, a quanto pare anche scarsamente condivisa

12. Tra l’altro il testo della legge di revisione costituzionale italiana nell’indi-

care il divieto, salve le già richiamate rare e modulate eccezioni, di ricorso all’indebitamento tout court si pone in linea distonica tanto con le analoghe iniziative assunte da altri Stati europei, quanto con le più recenti prescrizio-ni del Trattato contenente il c.d. Fiscal compact. Come è noto la legge di re-visione della Costituzione francese non ha compiuto il suo iter e la procedu-ra è attualmente bloccata in attesa dell’esito delle prossime elezioni presi-denziali

13. Ma anche il testo del nuovo art. 135 della Costituzione spagnola non si spinge a vietare acriticamente il ricorso all’indebitamento, né a fissare una soglia percentuale di deficit pubblico, indicando piuttosto l’obbligo di non «incurrir en un déficit estructural que supere los márgenes establecidos, en su caso, por la Unión Europea para sus Estados Miembros» rinviando quindi,

11 Riferisce dettagliatamente sul punto BAGNAI, Crisi finanziaria e governo dell’economia, in http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=406, n. 3, 2011.

12 BAGNAI, op. loc. ult. cit., ricorda che la scienza economica non ha raggiunto il consen-so neanche intorno a nozioni più semplici quali “livello sostenibile del debito”, o “livello ot-timale di inflazione”, cosa che rende vieppiù irragionevole imporre con prescrizioni costi-tuzionali vincolanti i dettami di una specifica teoria economica. Sulla neutralità dell’origina-ria formula dell’art. 81 Cost. insiste, invece, BRANCASI, op. loc. ult. cit.

13 Per un’informata analisi critica dei processi di introduzione di analoghe misure di vincolo di pareggio di bilancio negli ordinamenti degli Stati della zona Euro si v. CIOLLI, I Paesi dell’Eurozona e i vincoli di bilancio. Quando l’emergenza economica fa saltare gli strumenti normativi ordinari, in http://www.rivistaaic.it/articolorivista/i-paesi-dell-eurozona-e-i-vincoli-di-bilancio-quando-l-emergenza-economica-fa, n. 1, 2012. Sul punto si veda, altresì, CO-RONIDI, La costituzionalizzazione dei vincoli di bilancio prima e dopo il patto Europlus, in www. federalismi.it, n. 5, 2012.

3.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

354

per la determinazione in dettaglio dei limiti di deficit strutturale ammissibile, ad una successiva legge organica. Questa formula consente, ad un tempo, un margine di manovra per le politiche espansionistiche nelle fasi in cui la stes-sa Unione europea dovesse consentirle, ponendo contemporaneamente la Spagna in una posizione di pari dignità con gli altri Stati membri quanto alle determinazioni di politica economica, alla sorveglianza sul debito pubblico e alla elaborazione di scelte di politica economica congiunturalmente aperte alla ipotesi di espansione del deficit a sostegno della crescita o a garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini. Il disposto normativo del nuovo testo del-l’art. 81 della Costituzione italiana, invece, pone un divieto di indebitamen-to che alla lettera non contempla analoghi margini di flessibilizzazione.

A fronte di una disciplina di bilancio che, nel testo originario della Costi-tuzione e a prescindere dagli errori e dalla scarsa attenzione all’equilibrio di bilancio imputabili nel tempo al sistema politico, non comprometteva la scel-ta per un determinato modello sociale, l’attuale proposta di revisione de-terminerà radicali mutamenti nella forma di Stato, per i significativi riflessi che la scelta di costituzionalizzazione della opzione di politica economica im-plicata dalle formule normative richiamate determinerà sul sistema delle au-tonomie regionali e locali e sulla garanzia dei diritti fondamentali in effettiva condizione di eguaglianza. La gestione della crisi finanziaria mondiale e di so-stenibilità del debito pubblico italiano, forse in fase di superamento grazie a politiche di bilancio finalmente rigorose e attente, viene pertanto assunta quale strumentale occasione per modificare a regime la forma di Stato ponendo le premesse giuridiche per il superamento, di fatto, dell’impianto sociale dell’e-conomia di mercato.

L’altro fronte del processo di riforma della disciplina dei bilanci pubblici e degli strumenti di contenimento del debito è quindi rappresentato, come accennato, dalla stipula del c.d. Fiscal compact, il Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance nell’Unione economica e monetaria. Si tratta, come è noto, di un trattato internazionale stipulato al di fuori dell’or-dinamento giuridico dell’UE

14 la cui entrata in vigore (indicata nel 1° gen-naio 2013) è subordinata alla ratifica, non più di tutti, ma di soli 12 Stati contraenti

15. Il sistema di procedure atte a contenere e correggere l’indebita-mento dei singoli Stati aderenti all’Euro in una con l’abbattimento struttura-le del debito pubblico eccedente la soglia massima del 60% rispetto al PIL è

14 V. art. 16. 15 Art. 14.

Francesco Bilancia

355

articolato in una serie di potestà, competenze e strumenti giuridici vincolan-ti per la cui declinazione si rinvia direttamente al testo dell’articolato

16. Nel quadro di quanto già esposto con riferimento alle criticità del processo di revisione costituzionale in corso in Italia e proprio in considerazione della na-tura ad esso complementare di fatto assunta dal Trattato – seppur successi-vo all’avvio del richiamato procedimento di revisione costituzionale

17 – qui ci si limiterà ad indicare tre sintomi del superamento del principio di egua-glianza tra gli Stati membri dell’UE e della pari dignità formale, oltre che so-stanziale, dei relativi sistemi di governo. Circostanza che appare in rottura del limite della “condizione di parità con gli altri Stati” al quale l’art. 11 della Costituzione italiana subordina le limitazioni di sovranità necessarie alla co-struzione dell’ordinamento comunitario prima e dell’UE, successivamente.

L’art. 3 del Trattato fissa un limite percentuale di indebitamento soste-nibile con una soglia positiva dello 0,5%. È ovvio che fasi congiunturali av-verse e obbiettivi di abbattimento del livello di debito pubblico possono ge-nerare la necessità, giuridicamente vincolata già in applicazione del Patto di stabilità e crescita, di prevedere un bilancio pubblico addirittura in regime di avanzo primario. Ma alternativamente è possibile che la congiuntura sugge-risca interventi di politica economica in regime di seppur minimo disavan-zo, cosa appunto consentita dal Trattato ma in apparenza impedita dal nuo-vo art. 81 Cost. L’indicazione di un valore di riferimento positivo di un eventuale disavanzo – pur sempre sostenibile – nel testo del Fiscal compact mette a disposizione di tutti gli Stati dell’area Euro

18 uno strumento di in-tervento nell’economia a sostegno della crescita, di cui l’Italia intende invece privarsi – almeno a voler prendere sul serio quanto previsto dal nuovo se-condo comma dell’art 81 Cost. – rinunciando ad un importantissimo ele-mento negoziale in sede di istituzioni europee a difesa delle proprie politi-che pubbliche; e rinunciando altresì ad un fondamentale strumento di poli-tica economica a sostegno della crescita dell’economia reale utile anche al fi-ne di correggere la sproporzione tra debito pubblico e Prodotto interno lor-do. In termini di confronto sul piano della crescita economica ciò significhe-rà avere meno risorse rispetto agli altri Stati membri direttamente concor-

16 Dettagliatamente sul punto DICKMANN, op. cit. 17 Anche se l’obbligo di traduzione dei nuovi vincoli di bilancio decisi in sede europea in

atti normativi statali vincolanti era già presente nel c.d. “Patto Europlus”, adottato a Bruxelles in sede di Consiglio europeo il 25 marzo del 2011. Sul punto CORONIDI, op. cit., spec. 2 ss.; DICKMANN, op. cit.

18 Così come previsto anche dal nuovo art. 135 della Costituzione spagnola.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

356

renti. A ciò deve aggiungersi, proprio sul piano della eguaglianza formale, che l’art. 3, comma 1 lett. d) del Trattato, consente agli Stati membri che abbiano un debito pubblico inferiore alla soglia del 60% del PIL di spingere legittimamente il proprio deficit strutturale fino all’1%, con ciò aumentando anche giuridicamente il divario tra gli strumenti idonei a sostenere la cresci-ta economica a disposizione degli Stati virtuosi rispetto a quelli a disposizione degli altri Stati; e consentendo un più forte differenziale di progresso eco-nomico e sociale che renderà ancora più significativo il tasso di disegua-glianza territoriale nel mercato interno. Diseguaglianza non compensata tra l’altro da adeguate politiche di spesa pubblica a sostegno delle aree depres-se, che negli Stati unitari possono correggere i rischi di creazione di colonie interne a fronte di tassi di sviluppo economico difformi tra le diverse aree del Paese.

Terzo elemento di disparità tra gli Stati aderenti, l’art. 4 del Trattato im-pone agli Stati il cui ammontare di debito pubblico ecceda il limite del 60% del PIL di adottare politiche di risanamento che ne riducano il peso rispetto al differenziale tra effettivo ammontare del debito e 60% del PIL in ragione di un ventesimo per ogni anno a partire dal 2013

19. La fotografia dei punti di partenza dei diversi Stati all’atto dell’entrata in vigore del Trattato deter-minerà, quindi, la disparità nelle chances di crescita in ragione della quantità di risorse che i diversi Stati dovranno matematicamente destinare all’abbatti-mento del debito, dato di mero fatto. Con ciò certificando la disparità nei diritti dei singoli Stati alla promozione di politiche anticongiunturali a so-stegno della crescita, incrementandone la diseguaglianza economica e in-centivando la differenza del tasso di sviluppo a vantaggio di alcuni Stati ma non di altri, i quali ultimi saranno giuridicamente costretti a rinunciare a po-litiche di sostegno dell’economia per un mero meccanismo aritmetico, pur laddove eventualmente gravati da un debito, alto sì, ma sostenibile. Con ciò non soltanto cristallizzando un’opzione di politica economica tra le tante, e rendendola giuridicamente vincolante, ma sancendo altresì una disparità nel diritto alla crescita economica tra i diversi Stati membri

20.

19 Quest’obbligo era peraltro già presente in precedenti atti vincolanti dell’UE, v. infatti i richiami di cui all’art. 4 del Trattato.

20 Devo questa osservazione alle riflessioni a suo tempo dedicate da Giuseppe Guarino già all’analoga disparità nella distribuzione degli impegni di risanamento finanziario gravanti sui singoli Stati in ottemperanza agli obblighi di cui al Trattato di Maastricht, incautamente sottoscritto dal Governo italiano malgrado non modulasse nel tempo tali obblighi di risana-mento finanziario per i diversi Stati a seconda dell’ammontare di risorse effettivamente ne-cessarie allo scopo. Con ciò gettando le basi per un regime di crescita economica diseguale

Francesco Bilancia

357

Ma è con riferimento alla distribuzione degli strumenti giuridici atti a cor-reggere eventuali scostamenti da tali obblighi che il Trattato è più radical-mente portatore di un diritto diseguale tra i diversi Stati membri dell’Unio-ne economica e dell’Euro. Con la stipula di questo accordo gli Stati hanno sottoscritto, infatti, una clausola compromissoria ai sensi dell’art. 273 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, che consente agli Stati membri di ri-mettere alla Corte di Giustizia la competenza a giudicare, con efficacia ob-bligatoria e vincolante, «qualsiasi controversia tra Stati membri in connes-sione con l’oggetto dei trattati, quando tale controversia le venga sottoposta in virtù di un compromesso»

21. Dal che si deduce, in primo luogo, che l’efficacia giuridica delle disposizioni del Trattato sulla Stabilità e degli ulte-riori obblighi che ne deriveranno in caso di assunzione di impegni correttivi di situazioni di disavanzo o di debito pubblico eccessivi, si risolve in vincoli formalmente giustiziabili dinanzi alla Corte di Giustizia. Ma in aggiunta a ciò, e oltre le procedure di sorveglianza multilaterale reciproca tra gli Stati collegialmente gestite nelle sedi istituzionali dell’UE per come disciplinate dai Trattati, dal Patto di Stabilità e Crescita e dalla relativa normativa di at-tuazione, l’art. 8 del Fiscal Compact attribuisce poteri di sorveglianza e di denuncia alla Corte di Giustizia degli Stati eventualmente inadempienti in capo ai singoli Stati contraenti – starei per dire ad alcuni di questi, se non ad uno in particolare –. Compresa la potestà di ulteriore deferimento, in se-conda battuta, alla Corte di quegli Stati che manchino di dare corretta ese-cuzione alle sentenze in materia di violazione del Fiscal compact della stessa Corte di Giustizia, fino a provocare l’adozione delle sanzioni di carattere fi-nanziario previste dal Trattato stesso

22. Salvi gli effetti di eventuali affievolimenti del portato normativo del Trat-

tato in sede di applicazione concreta, pur sempre suscettibile di negoziato politico nei concreti rapporti tra gli Stati membri anche in conseguenza del-la effettiva situazione di equilibrio in cui possano trovarsi i bilanci pubblici degli stessi Stati virtuosi

23, e salva altresì la concreta determinazione che

nelle diverse regioni del territorio del mercato comune. L’Italia, quale Paese maggiormente indebitato in proporzione al proprio PIL, è stata così costretta a distrarre quantità di risorse immensamente superiori a quelle impegnate dagli altri partner europei, risorse altrimenti uti-lizzabili, almeno in parte, al sostegno della crescita economica. Per una recente rielaborazio-ne di tali assunti si v. GUARINO, Ratificare Lisbona?, Firenze, 2008, spec. p. 134 ss.

21 Art. 8, comma 3 del Fiscal compact. 22 Art. 8, comma 2. 23 Il riferimento va al noto precedente conflitto tra Consiglio Ecofin e Commissione eu-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

358

dell’attuale significato del nuovo art. 81 della Costituzione italiana verrà ar-ticolata nella legge costituzionale e nella legge ordinaria di relativa attuazio-ne, sembra pertanto che il nuovo regime giuridico dei bilanci pubblici pre-senti plurime e diffuse incongruenze nei reciproci rapporti tra ordinamento italiano e ordinamento dell’UE; oltre alla paventata rottura della parità di condizioni che sembra andarsi sempre più formalizzando nei reciproci rap-porti tra i diversi Stati aderenti all’Unione economica e monetaria, almeno nella più recente fase del processo di integrazione

24.

ropea poi deciso da CGCE in causa C-27/04, sentenza del 13 luglio 2004. Per la ricostru-zione della vicenda rinvio, tra gli altri, al commento di DIMAN-M. SALERNO, Sentenza Ecofin: gli equilibri della Corte tra tensioni politiche, Costituzione economica europea e soluzioni procedu-rali, in Dir. pubbl. comp. eu., 2004, IV, p. 1842 ss.

24 Per tacere delle importantissime conseguenze che si determineranno sulla sopravvi-venza di un’effettiva residua autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali, tema la cui im-portanza è testimoniata, con riferimento all’ordinamento spagnolo, proprio dalle osservazio-ni contenute nel saggio di GARCÍA PRATS, op. cit.

Valeria Guido

L’IMPOSTA REGIONALE SULLE EMISSIONI SONORE: PRIME APPLICAZIONI DI FEDERALISMO FISCALE

E SPERIMENTAZIONI DI FISCALITÀ AMBIENTALE PROPRIA *

THE REGIONAL AIRCRAFT NOISE EMISSION TAX: FIRST ATTEMPTS TO APPLY THE FISCAL FEDERALISM

AND TO EXPERIMENT WITH REGIONAL ENVIRONMENTAL TAXATION

Abstract La ricerca affronta la questione della nuova qualificazione (contenuta nell’art. 8, comma 1, D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68) dell’“imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili”, che è stata definita, dalla norma menzionata (con de-correnza a partire dal 1 gennaio 2013) come un’“imposta regionale propria”. Lo studio analizza la nuova possibilità conferita alle regioni di istituire un’“impo-sta regionale propria sulle emissioni sonore degli aeromobili”, decidendo tutti gli aspetti (anche quelli essenziali) della fattispecie tributaria. Inoltre, viene esaminata la possibilità che le regioni, nell’istituzione della imposta regionale propria sulle emissioni sonore, rispettino lo schema europeo del “tribu-to ambientale”, nel quale l’indice fisico-scientifico di inquinamento acustico è di-rettamente integrato all’interno della fattispecie legale del tributo. Infine, lo studio dimostra che l’adozione del modello europeo di eco-tributo consentirà più agevolmente alle regioni di rispettare i divieti ed i principi europei posti a tutela del libero mercato e della corretta concorrenza all’interno del terri-torio comunitario.

* Lavoro svolto nell’ambito del Progetto di ricerca di base finanziata dalla L.R. Sardegna n. 7/2007.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

360

Parole chiave: emissioni sonore, aeromobili, imposta regionale, imposta pro-pria, tributo ambientale, vincoli comunitari This research tackles the question of the new characterization (provided for by art. 8(1), Legislative Decree 6/5/2011, n. 68) of the noise emission tax, which has been defined by the mentioned rule, as an “own regional tax”, starting from the 1/1/2013. The study analyzes the new chances for regions to create an “own regional noise emis-sion tax”, defining all the tax elements, included the essential ones. In addition, the research inquiries the possibility that regions, levying their “own re-gional noise emission tax”, have to respect the European model of “eco-taxes”, in which, the noise pollution is the basic element of the tax. Finally, the study shows that the utilization of this model will also prevent regions from violating European constrains and principles aimed at realizing the internal market and fair competition. Keywords: sound emission, aircrafts, regional tax, own tax, eco-tax, community ties

SOMMARIO: 1. Il quadro normativo di riferimento. – 2. La nozione di “tributo proprio” regionale. – 3. La quali-ficazione dell’imposta regionale sulle emissioni sonore come “tributo regionale proprio”. – 4. La ricostruzione dell’imposta regionale sulle emissioni sonore come “tributo ambientale proprio”. – 5. I vincoli del Trattato all’istituzione dell’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromo-bili. – 5.1. Il divieto di dazi doganali e tasse equivalenti. – 5.2. Il divieto di discriminazione fiscale. – 5.3. Il divieto di aiuti di Stato. – 5.4. Il principio “chi inquina paga”. – 6. Conclusioni.

1. Il quadro normativo di riferimento

L’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili ha fatto la prima com-parsa in Italia

1 con l’art. 10 del D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito con modificazioni nella L. 26 giugno 1990, n. 165, che aveva previsto un’im-posta erariale sulle emissioni degli aeromobili a carattere contributivo e par-zialmente di scopo

2, dovuta in aggiunta ai diritti di approdo e partenza, com-

1 Per un’analisi storica dell’istituto e per uno studio comparativo del prelievo nei vari ordinamenti europei, si veda PICCIAREDDA-SELICATO, I tributi e l’ambiente, Milano, 1996, p. 169 ss.

2 Il comma 4 dell’art. 10 prevedeva espressamente che una quota pari al 40% dei ver-samenti risultanti in sede consuntiva fosse assegnata l’anno successivo allo stato di previ-

Valeria Guido

361

misurata alla rumorosità degli aeromobili e graduata, con attribuzione di in-crementi o riduzioni di aliquote, secondo le norme internazionali di certifi-cazione del rumore.

L’imposta sulle emissioni sonore, che si è configurata da subito come un’imposta con evidenti funzioni ambientali (in quanto il relativo gettito era destinato alla realizzazione di opere con finalità ambientale e la riscossione era modulata in base alla effettiva rumorosità), ha trovato compiuta disci-plina solo con il successivo D.P.R. 26 agosto 1993, n. 434, che ne ha stabili-to le aliquote

3 e le modalità di accertamento e riscossione 4.

Qualche anno più tardi, l’art. 18 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 ha previsto, parallelamente al prelievo erariale statuito con D.P.R. n. 434/1993, l’istituzione di un’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobi-li

5, dovuta in misura proporzionale all’entità della rumorosità e dal gettito vincolato alla realizzazione di particolari opere pubbliche.

In base a tale legge, l’ente regionale, in completa autonomia circa l’im-piego del gettito, doveva provvedere ad erogare sovvenzioni ed indennizzi alle amministrazioni ed ai soggetti residenti nelle zone limitrofe agli aero-porti. La legge istitutiva aveva previsto che, entro la fine del 1998, dovesse es-sere emanato, con decreto, un regolamento proposto dal Ministero dell’am-biente, di concerto con il Ministero delle finanze e quello dei trasporti, volto a disciplinare le modalità per l’accertamento, la riscossione ed il versamen-to. Di fatto però tale regolamento non è mai stato emanato ed il tributo non è mai entrato in vigore, impedendo, in alcune regioni, l’effettivo utilizzo (per le finalità di ripristino ambientale ed indennizzo rispetto agli equilibri acustici violati e danneggiati) di ingenti somme legittimamente accantonate negli aeroporti

6. sione del Ministero dei trasporti per essere destinata ad interventi finalizzati al disinqui-namento acustico, con preferenza per le zone aeroportuali, e che una quota pari al 25% fosse assegnata allo stato di previsione del Ministero dell’ambiente per il potenziamento dei servizi tecnici di controllo dello stato dell’ambiente.

3 Tale regolamento (nonostante una probabile violazione dell’art. 23 Cost.) ha previ-sto tre differenti aliquote (20, 15 e 5%) a seconda della tipologia di velivolo.

4 In tema di accertamento e riscossione, sono state richiamate le norme in vigore in tema di diritti aeroportuali di cui al D.P.R. 15 novembre 1982, n. 1085. Per approfondimenti sui prelievi aeroportuali e per un’interpretazione della relativa disciplina favorevole alla natura tributaria degli stessi, si rimanda a GUIDO, La natura giuridica dei diritti aeroportuali tra orien-tamento giurisprudenziale e legislazione sopravvenuta, in Riv. dir. trib., n. 6, 2008, p. 535.

5 Sull’argomento, si veda ALFANO, L’applicazione dei tributi ambientali nel nuovo conte-sto della finanza regionale, in TributImpresa (rivista telematica), n. 3, 2005.

6 A titolo esemplificativo, si veda l’interrogazione a risposta scritta 4/03533, seduta an-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

362

Qualche anno più tardi, con l’art. 90 della L. 21 novembre 2000, n. 342, è stata istituita l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili, che ha sostituito le precedenti

7. Nell’attuale assetto normativo, l’imposta è dovuta alle regioni ed alle

province autonome, per ogni decollo ed atterraggio di aeromobili civili (con esclusione di tutti i voli militari, di Stato, sanitari o di emergenza), dal gesto-re dell’aeromobile (che, se non diversamente individuato, coincide con il proprietario). La base imponibile è determinata in base al numero di atter-raggi e decolli, al peso del velivolo ed alla sua rumorosità attestata in base alle regole di certificazione internazionale.

L’imposta ha un parziale vincolo di gettito a favore di opere di disinqui-namento acustico relativamente al territorio interessato e di risarcimento dei soggetti eventualmente danneggiati dalle emissioni sonore.

La particolarità di tale prelievo consiste nell’ampia sfera di autonomia ri-conosciuta alle regioni nella determinazione delle aliquote e nella graduazio-ne del gettito, attraverso l’attuazione di meccanismi con effetti incentivanti e disincentivanti

8. Più recentemente, l’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, ha

stabilito che, ferma la facoltà per le regioni di sopprimerli, diversi prelievi, fra cui l’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili (e, per citare le fat-tispecie più note, la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e la tassa sulle concessioni regionali), a decorrere dal 1° gennaio 2013, sono tra-sformati in tributi regionali propri, secondo la ben nota definizione di cui nuncio 199 del 8 luglio 2009, presentata dall’Onorevole Fogliardi ai Ministeri dell’econo-mia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti e dell’ambiente e della tutela del ter-ritorio e del mare, in merito alle modalità di trasmissione alla regione Veneto delle somme accantonate dall’aeroporto Catullo di Verona in attesa (8 anni) dell’emanazione del rego-lamento ministeriale.

7 Si veda FICARI, Prime note sull’autonomia tributaria delle regioni a statuto speciale (e della Sardegna in particolare), in Rass. trib., 2001, p. 1308.

8 Ai sensi dell’art. 92, della L. n. 342/2000, l’imposta è determinata, secondo classi di-verse, moltiplicando una determinata cifra per ogni tonnellata e frazione di tonnellata di peso del velivolo e, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, le regioni possono con pro-pria legge elevare il prelievo suddetto «... fino al 15% nel caso che il decollo o l’atterraggio dell’aeromobile avvenga nelle fasce orarie di maggiore utilizzazione individuate dal Mini-stero dei trasporti e della navigazione con proprio decreto». L’art. 93 prevede che le misu-re dell’imposta possano comunque essere variate (probabilmente in diminuzione) con apposita legge delle regioni ... in misura superiore all’indice Istat dei prezzi al consumo per la collettività nazionale (comma 1) e che le regioni possano differenziare il prelievo fino ad un massimo del 10%, in ragione della densità abitativa dell’intorno aeroportuale.

Valeria Guido

363

alla legge delega n. 42/2009 per l’attuazione dell’art. 119 Cost. 9.

L’intervento normativo ora menzionato, pur non avendo rilevanza di ca-rattere sostanziale (non avendo introdotto modificazioni strutturali nella disciplina del tributo esaminato) ha tuttavia destato la nostra attenzione, perché contenuto in uno dei primi e tanto attesi decreti attuativi della rifor-ma fiscale introdotta con la stessa legge delega n. 42. Tale intervento rap-presenta dunque una primissima applicazione di fiscalità regionale propria di carattere ambientale e potrebbe dunque costituire un interessante speri-mentazione di fiscalità ambientale a connotazione territoriale.

Prima però di giungere a frettolose conclusioni, occorre delineare la reale portata della qualificazione come “tributo proprio” del prelievo che ci occu-pa, per individuare il più corretto riparto di competenze, l’effettiva sfera di attribuzioni regionali in materia (anche alla luce dei diversi limiti posti dai vari ordinamenti giuridici di riferimento) e la concreta ricaduta di tali attri-buzioni sul territorio interessato.

2. La nozione di “tributo proprio” regionale

La prima importante definizione della nozione di “tributi regionali pro-pri” e l’ulteriore distinzione fra “tributi regionali propri” e “tributi regionali propri derivati” si deve certamente alla Corte costituzionale

10, la quale, più volte, è stata chiamata a sopperire alla carenza di precisi parametri normativi venutasi a creare a seguito della riforma costituzionale

11 introdotta con L. n. 3/2001

12.

9 Per approfondimenti sulla questione dell’istituzione di tributi “propri” con finalità ambientali, si veda FICARI, “Scintille” di autonomia tributaria regionale e limiti interni e co-munitari in Rass. trib., 2001, p. 1226.

10 Sull’importanza del compito svolto dalla Corte costituzionale in questi anni, vi è in dottrina sostanziale unanimità. Per limitarci ai contributi più recenti, si veda, per esempio, FICARI, Conclusioni: il cammino dei tributi propri verso i decreti legislativi delegati, in Riv. dir. trib., n. 1, 2010, I, p. 89; GIOVANARDI, Il riparto delle competenze tributarie tra giurispruden-za costituzionale e legge delega in materia di federalismo fiscale, in Riv. dir. trib., n. 1, 2010, I, p. 29; RIVOSECCHI, Il federalismo fiscale tra giurisprudenza costituzionale e legge delega n. 42/2009, ovvero: del mancato coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in Riv. dir. trib., n. 1, 2010, I, p. 49.

11 Per approfondimenti di carattere generale sulla riforma del Titolo V della Costituzio-ne, si veda B. CARAVITA DI TORITTO, Il problema dell’attuazione della riforma del titolo V della Costituzione, in AA.VV., Il nuovo titolo V della parte II° della Costituzione, Milano, 2002.

12 La riforma costituzionale del 2001 ha attribuito allo Stato una competenza esclusiva

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

364

La Corte costituzionale ha infatti il merito di aver tracciato con una certa precisione ed esaustività il quadro dell’effettiva autonomia normativa delle Regioni, a statuto ordinario e speciale, in materia tributaria, derivante dal nuovo assetto costituzionale disegnato dalla menzionata riforma, stabilendo che, per quanto riguarda le Regioni a statuto ordinario, occorre distinguere i “tributi propri” dai “tributi propri derivati” delineati dal combinato disposto degli artt. 117 e 119 Cost.

13. I “tributi propri derivati”, secondo la Corte, sono quelli (come l’Irap o

l’imposta di soggiorno) istituiti con legge statale, pur se denominati regio-nali, riscossi nel territorio dell’ente ed il cui gettito è attribuito all’ente stes-so

14. Tali tributi, secondo la Corte, non sono qualificabili come “tributi in materia di “Sistema tributario e contabile dello Stato e perequazione delle risorse finan-ziarie” ed alle regioni una competenza normativa concorrente che comporta prevalente-mente un ruolo di «armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», ed una competenza esclusiva residuale in relazione a tributi “propri”, cioè relativi ad aree e materie fortemente caratterizzate da una strettissima connotazione territoriale, che non siano già state disciplinate con legge statale. Il rove-sciamento operato con la riformulazione dell’art. 117 Cost. ha dunque attribuito allo Stato potestà legislativa esclusiva nelle materie espressamente riservate alla legislazione statale ed ha poi conferito, in relazione agli spazi non occupati dal tale riserva, piena potestà legi-slativa alle regioni, nel rispetto dei principi generali di coordinamento. Sull’argomento, G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, parte generale, Padova, 2009, p. 52 ss.

13 Per una ricostruzione storica e, in particolare, per un’analisi delle diverse fasi (quella centralistica post-unitaria e quella autonomistica di fine anni ’90, improntata ai principi di sussidiarietà, efficienza e responsabilità) che hanno caratterizzato il progressivo e graduale processo di “regionalizzazione tributaria” poi sfociato nella riforma costituzionale del 2001, si vedano, dapprima: MICHELI, Autonomia e finanza degli enti locali, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1967, I, p. 526; DE MITA, Autonomia finanziaria e potestà tributaria delle regioni, in Riv. dir. fin., 1963, p. 506; GALLO, L’autonomia tributaria degli enti locali, Bologna, 1979; RUSSO, Fi-nanza regionale e questione fiscale, in Riv. dir. trib., 1994, I, p. 891; FEDELE, La potestà nor-mativa degli enti locali, in Riv. dir. trib., 1998, I, p. 109; poi: GALLO, Federalismo fiscale e ri-partizione delle basi imponibili fra Stato, Regioni ed Enti locali, in Rass. trib., 2002, p. 2007; MARONGIU, Riflessioni a margine del progetto di “federalismo fiscale”, in Quaderni regionali, 2009, p. 57; MOSCHETTI, Federalismo e procedimento di applicazione del tributo: occasione per un confronto fra diverse culture, in Riv. dir. trib., 2002, p. 227; FANTOZZI, Riserva di legge e nuovo riparto della potestà normativa in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 2005, p. 3; DI PIETRO, Federalismo e devoluzione nella recente riforma costituzionale: profili fiscali, in Rass. trib., 2006, p. 245; PERRONE, La sovranità impositiva tra autonomia e federalismo, in Riv. dir. trib., 2004, I, p. 113; PICCIAREDDA, Autonomia finanziaria e tributaria degli enti locali e attuali-tà del pensiero di G.A. Micheli, in Studi in memoria di G.A. Micheli, Napoli, 2010, p. 227.

14 In realtà, in un recente ed interessante dibattito dottrinario, ci si è chiesti se un tribu-to possa essere definito erariale (oppure regionale) per sue qualità intrinseche. A fronte della posizione maggioritaria, che attribuisce tale qualificazione in ragione dell’identità del-

Valeria Guido

365

propri” ai sensi dell’art. 119 Cost. e, pertanto, non possono essere modificati con legge regionale. Dunque, secondo la Corte, l’istituzione o la modifica dei “tributi propri derivati” può avvenire con legge regionale, solo entro i confini delineati dai principi di coordinamento della finanza pubblica, stabi-liti con apposita legge statale. È dunque indispensabile l’intervento del legi-slatore nazionale, attraverso l’emanazione di un’apposita legge-quadro che definisca e determini gli spazi ed i margini entro cui le regioni possano eser-citare la propria potestà impositiva tributaria.

Diverso il discorso per i cosiddetti “tributi propri”, rispetto ai quali, le Regioni hanno dunque potere esclusivo di autonomia tributaria, pur in as-senza di un’apposita legge quadro statale di coordinamento della finanza pubblica, purché siano rispettati la Costituzione ed i principi costituzionali ed i “principi dell’ordinamento incorporati nel sistema tributario statale”.

Le Regioni a statuto ordinario debbono dunque attenersi ai generali prin-cipi del sistema tributario statale nell’istituzione o modificazione di “tributi propri” ed agli specifici principi di coordinamento della finanza pubblica statuiti con legge nazionale, nell’emanazione di leggi modificative di “tributi derivati”.

Quest’ultima regola (di rispetto ed armonia rispetto ai confini espressa-mente stabiliti da un’apposita legge statale) vale solo ed unicamente per le Regioni a statuto ordinario.

Le regioni a statuto speciale, infatti, nell’esercizio delle loro potestà nor-mative in materia tributaria, debbono unicamente conformarsi ed agire nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento tributario

15. l’ente che ne stabilisce la disciplina e può decidere in ordine alla destinazione del gettito (STEVANATO, I tributi propri delle regioni nella legge delega sul federalismo fiscale, in Dir. prat. trib., 2010, I, p. 395), si è puntualmente osservato che tale posizione presuppone la concezione del tributo come semplice manifestazione di sovranità e contrasta con l’idea (condivisa anche dalla Corte costituzionale) che esso sia invece una necessaria espressione della comunità politicamente organizzata e un istituto funzionale alla ripartizione delle spese fra i consociati dei consorzi umani politicamente organizzati (FRANSONI, Il presup-posto dei tributi regionali e locali. Dal precetto costituzionale alla legge delega, in Riv. dir. trib., n. 3, 2010, I, p. 267).

15 Dall’esame delle vicende processuali già menzionate, in cui la Corte costituzionale ha elaborato i principi suesposti, si evince peraltro che i principi generali incardinati nel sistema tributario sono, a ben vedere, non meno stringenti e vincolanti di quelli che si de-signano come principi di coordinamento della finanza pubblica. Per questa ragione, auto-revole dottrina ha rilevato che, in realtà, la supposta maggiore autonomia delle regioni a statuto speciale si è rivelata «.... apparente ed illusoria, oltre che di difficoltosa gestione e fonte di sprechi». Così FALSITTA, op. cit., p. 56.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

366

Dunque, anche a seguito della ben nota riforma costituzionale, il sistema di ripartizione di competenze in materia tributaria è rimasto fortemente ca-ratterizzato dalla preferenza accordata alla finanza statale, essendo rimasta alle regioni ordinarie una competenza esclusiva circoscritta agli ambiti rien-tranti nella propria sfera che non siano già stati disciplinati con legge statale (con le limitazioni sopra rilevate) ed alle regioni speciali una competenza astrattamente più ampia ma fortemente limitata dai non meno stringenti principi generali dell’ordinamento tributario.

La recente legge delega n. 42/2009 per l’attuazione dell’art. 119 Cost. ha sostanzialmente ricalcato il percorso tracciato dalla Corte costituzionale fin dal 2003, “cristallizzando” la scelta di impedire qualsiasi potere di interven-to delle regioni sui tributi propri derivati al di fuori degli spazi consentiti dalla legge statale e vanificando, di fatto, la spinta più marcatamente auto-nomistica mostrata nei lavori preparatori.

Tale scelta legislativa sarebbe poi stata temperata dall’attribuzione alle regioni del potere (peraltro già pacificamente attribuito dall’art. 117 e 119 Cost.), di istituire tributi propri aventi ad oggetto presupposti non “occupa-ti” dal Legislatore statale, nel rispetto dei principi fondamentali espressi nel-la Costituzione e incardinati nel sistema dell’ordinamento tributario nazio-nale

16. Dunque, il sistema delineato dalla legge delega n. 42 appare piuttosto

prudente nell’individuazione degli spazi da assegnare ai tributi regionali, so-prattutto di quelle a statuto ordinario, alle quali attribuisce unicamente la facoltà di statuire agevolazioni ed esenzioni, detrazioni e deduzioni, in ma-teria di tributi propri derivati, nei limiti tassativamente posti dalla legge sta-tale, e la facoltà di istituire tributi propri aventi ad oggetto presupposti non disciplinati con legge statale e caratterizzati dalla tendenziale corrisponden-za fra prelievo e beneficio arrecato.

Quest’ulteriore precisazione della legge delega (contenuta nell’art. 2, comma 2, lett. p), secondo cui i tributi regionali e locali devono ispirarsi a

16 Sotto questo profilo, va rilevato che la legge delega ha mitigato la rigidità manifestata dalla Corte costituzionale nella sent. n. 37/2004, in cui si era sostanzialmente teorizzato che il legislatore dovesse necessariamente intervenire per fissare i principi e le grandi linee dell’intero sistema tributario per delimitare gli spazi di intervento regionale anche in mate-ria di tributi propri non derivati. Tale orientamento era stato peraltro sostenuto da buona parte della dottrina: A. AMATUCCI, Autonomia finanziaria e tributaria, in Enc. giur. Agg., Roma, 2003, p. 3; FRANSONI, Osservazioni in merito alla potestà impositiva degli enti locali alla luce della riforma del titolo V della Costituzione, in Annali della facoltà di Giurisprudenza di Foggia, Milano, 2005.

Valeria Guido

367

logiche di «tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connes-so alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrisponden-za tra responsabilità finanziaria e amministrativa») ha indotto alcuni autori ad affermare la necessità per le regioni di strutturare i “tributi propri” come entrate commutative o di scopo

17, in ragione dell’indispensabile radicamen-to al territorio dei relativi presupposti

18. Secondo altri autori

19, tale ricostruzione non sarebbe condivisibile per-ché essa non troverebbe alcun riscontro nella carta costituzionale (dalla quale non emerge alcuna correlazione fra il principio di continenza e possi-bili ed eventuali limitazioni per le regioni in ordine alla scelta della particola-re tipologia di tributo da istituire) e perché, senza alcuna ragione di caratte-re sistematico, comporterebbe la categorica esclusione dall’alveo di compe-tenza regionale, di tributi non commutativi o non di scopo (come l’imposta di registro), che pur potrebbero rivestire un ruolo di primo piano nel pro-cesso di regionalizzazione della fiscalità.

Autorevole dottrina 20 ha inoltre puntualmente osservato che la partico-

lare formulazione della menzionata disposizione (che richiede una semplice “tendenziale correlazione” e non una vera e propria commisurazione

21 non

17 Per approfondimenti sulle entrate di tipo commutativo o para-commutativo, si veda DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000; per un’ana-lisi ulteriore sulla classificazione dei tributi e per una profonda analisi dell’evoluzione della teoria della tassa nella dottrina giuridica italiana, si rinvia a FEDELE, La Tassa, ed. provv., Siena, 1974, p. 5 ss.

18 LOVECCHIO (I principi del coordinamento tributario nel disegno di legge delega sul fede-ralismo fiscale, in Comuni d’Italia, 2009, p. 2), qualifica la menzionata disposizione come una forma di «normativizzazione dell’astrattissimo principio di continenza».

19 Così GIOVANARDI, op. cit. 20 FRANSONI, Il presupposto dei tributi regionali, cit. L’autore, inoltre, precisa che il ri-

chiamo alle “funzioni esercitate” sembra evocare il principio di “continenza” come criterio di scelta del presupposto dei tributi locali maggiormente coerente con la natura dei tributi medesimi e come specificazione del principio di “territorialità”, che può essere efficace-mente individuato facendo ricorso al criterio di appartenenza (o riferibilità) di una collet-tività di soggetti all’ente preposto all’espletamento delle funzioni di cui il territorio delimi-ta la sfera degli interessi rilevanti.

21 Autorevole dottrina ha peraltro osservato che la (tendenziale) commisurazione (del-la tassa) al costo del servizio risponde all’unica esigenza di parametrare economicamente l’entità del prelievo con l’attività pubblica prestata, che si configura come un “potere di comando” sull’organizzazione del servizio stesso e risponde unicamente al prevalente inte-resse generale a provvedere ai bisogni da essa sottesi. Sul punto e più in generale sulla ri-conducibilità della tassa nell’alveo di operatività dell’art. 53 Cost., si veda FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, p. 167. Lo stesso autore ha altresì rilevato

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

368

consente l’automatica ed invocata adozione del richiamato principio del beneficio come criterio di riparto alternativo a quello della capacità contri-butiva; tale impostazione sarebbe peraltro esclusa dal disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. l), che prescrive il rispetto del principio di capacità contri-butiva ai fini del concorso alle spese pubbliche.

In effetti, la frequente esclusiva riferibilità del criterio del beneficio a tri-buti commutativi e di scopo si fonda sul presupposto (non condiviso da una parte della dottrina)

22 che il “beneficio” risponda solo ad istanze particolari-stiche (e la solidarietà economica e sociale sia solo “altruistica”). Il rove-sciamento di prospettiva, cioè l’accettazione, in linea teorica, che la soddi-sfazione di un bisogno individuale essenziale possa rispondere anche ad un’esigenza collettiva (e che la realizzazione di un servizio indistintamente riferibile alla generalità dei consociati realizzi in realtà anche bisogni egoisti-ci) consente invece di ricondurre tutti i prelievi tributari nell’ambito di una categoria unitaria, che, al di là della provenienza della specifica istanza, ri-sponde all’interesse generale di realizzare il concorso alle pubbliche spese per il finanziamento di servizi percepiti secondo il senso comune ed il dirit-to vivente come essenziali per la collettività

23. Fatta questa doverosa riflessione sulla sostanziale indifferenza (rispetto

alle disposizioni della legge delega) 24 della particolare classificazione dei

tributi regionali propri, occorre, a questo punto, focalizzare la nostra atten-zione sul prelievo che ci occupa, per studiare la portata ed i possibili riflessi della neo acquisita qualificazione.

che l’art. 53 Cost. non risulta violato nemmeno dalle norme che estendono l’ambito di ap-plicazione di taluni tributi in ragione della incentivazione o disincentivazione di certi com-portamenti (Appunti, cit., pp. 31-32).

22 FEDELE, Appunti, cit., p. 19; MOSCHETTI, La capacità contributiva, in A. AMATUCCI (a cura di), Trattato di diritto tributario, vol. I, Padova, 1994; GALLO, Le ragioni del fisco, Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, 2007.

23 Sul punto, FEDELE, Corrispettivi di pubblici servizi, prestazioni imposte, tributi, in Riv. dir. fin., 1971, II, p. 23 ss.

24 Ma in generale, si ritiene di poter condividere quell’orientamento che apprezza il ca-rattere di unitarietà dei tributi rispetto alla comune e necessaria funzione di realizzare il concorso alla spesa pubblica (FEDELE, Corrispettivi, cit.) e che ne evidenzia la sfumatezza e l’irrilevanza delle sotto-distinzioni (FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, p. 69).

Valeria Guido

369

3. La qualificazione dell’imposta regionale sulle emissioni sonore come “tributo regionale proprio”

Alla luce di quanto detto finora, è chiaro che l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili, nella sua attuale configurazione, si presen-ta come un tributo proprio derivato, perché istituita con legge statale, pur es-sendo denominata “imposta regionale” ed essendo riscossa e gestita nel terri-torio dell’ente. L’esercizio della potestà normativa delle regioni in materia è infatti esplicitamente limitato dalla legge statale all’applicazione di meccani-smi di graduazione del prelievo con effetto incentivante e disincentivante.

L’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, pur avendo disposto, a partire dal 2013, la qualificazione del prelievo studiato come “tributo pro-prio”, non ha però ulteriormente precisato la specifica configurazione come tributo “regionale in senso proprio” oppure “proprio derivato”.

Ad avviso di chi scrive, la prevista facoltà per le regioni di disporre l’abolizione dei prelievi ivi menzionati, lascia supporre che la scelta del Legi-slatore sia orientata verso la futura ricostruzione dell’imposta come tributo proprio non derivato. Infatti, è chiaro che la facoltà riconosciuta alle regioni dall’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, di non istituire l’im-posta regionale sulle emissioni sonore sugli aeromobili, appare difficilmente esercitabile in relazione a quei tributi per definizione istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni ed in relazione ai quali, le regioni, con propria legge, possono solo modificare le aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, nei limiti e secondo criteri fissati dalla le-gislazione statale, nel rispetto della normativa comunitaria

25. Inoltre, la let-tura combinata della norma citata con la disposizione di cui al successivo comma 3 del medesimo articolo (che qualifica come “tributi propri derivati” delle regioni a statuto ordinario gli «... altri tributi ad esse riconosciuti ...») sembra confermare che i tributi elencati nel comma precedente siano invece da qualificare come tributi non derivati.

Infine, se l’intenzione del Legislatore non fosse stata quella di qualificare il prelievo come un tributo proprio in senso stretto ma di conservare l’at-tuale assetto di tributo regionale derivato, non ci sarebbe stata alcuna neces-sità di formulare la precisazione di cui al menzionato art. 8

26.

25 Per approfondimenti sulla nozione di tributo proprio derivato ricavabile dall’art. 7 della legge delega n. 42/2009, si veda PERRONE, I tributi regionali propri derivati, in Rass. trib., n. 6, novembre-dicembre 2010, p. 1597.

26 Altrimenti, si potrebbe supporre l’esistenza di un terzo genere di “tributo proprio”,

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

370

Le considerazioni che precedono ci inducono dunque a ritenere che, a partire dal 1° gennaio 2013, le regioni avranno facoltà di istituire, con legge regionale, l’imposta sulle emissioni sonore (disponendo l’individuazione del presupposto, dei soggetti passivi, la graduazione delle aliquote e le modalità di accertamento e riscossione, oltreché la regolazione di meccanismi dis/in-centivanti) e che, per evitare l’inosservanza del divieto di duplicazione d’im-posta di cui al comma 2 dell’art. 2 della legge delega, tale facoltà sarà ac-compagnata dalla simultanea abrogazione della legge nazionale.

Nel fare questo, le regioni dovranno rispettare i principi fondamentali espressi nella Costituzione e incardinati nel sistema dell’ordinamento tribu-tario nazionale, fra i quali, un posto di rilievo sarà certamente occupato dai principi comunitari rinvenibili nel Trattato e nelle fonti derivate

27, di cui si parlerà oltre.

Nell’istituzione del tributo regionale sulle emissioni sonore, le regioni dovranno altresì rispettare il criterio di tendenziale correlazione fra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate nel territorio, disposto dall’art. 2, comma 2, lett. p)

28. Per esempio, anche al fine di migliorare tale “tendenziale correlazione”,

potranno, costruire l’imposta secondo lo schema del “tributo ambientale definibile per esempio “tributo proprio in via derivativa” ed identificabile come un tributo proprio in senso stretto, ma solo a seguito di una espressa qualificazione in tal senso ad opera di una legge statale. In effetti, in riferimento allo specifico caso esaminato, non si può non rilevare che la preventiva qualificazione dell’imposta regionale sulle emissioni so-nore degli aeromobili ad opera dell’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, rap-presenti una peculiarità ed un’anomalia rispetto al genere dei tributi propri in senso stret-to, generalmente caratterizzati dal fatto di essere oggetto di disciplina esclusiva regionale, in tutti gli aspetti della fattispecie tributaria. La “nostra” imposta infatti si può configurare come tributo proprio in senso stretto solo previa abolizione, ad opera della regione, della disciplina statale “derivata”. Si può allora supporre che, se le regioni non dovessero optare per la soppressione del tributo derivato, il prelievo conservi la precedente configurazione e le regioni rinuncino implicitamente alla propria potestà tributaria, accettando dunque i limiti propri di intervento già presenti nella previgente normativa, perché l’esercizio di tale potestà in assenza di soppressione colliderebbe con il divieto di doppia imposizione.

27 Sul tema, si vedano PAJNO, Il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunita-rio come limite alla potestà legislativa del nuovo Titolo V della Costituzione, in Le istituzioni del Federalismo, 2003, f. 5, p. 30; BILANCIA, Regioni ed attuazione del diritto comunitario, in Le istituzioni del Federalismo, 2002, f. 1, p. 49; PIZZANELLI, Libera prestazione dei servizi, cittadinanza, europea, principio di non discriminazione e responsabilità per inadempimento dello Stato unitariamente considerato: il caso della disciplina italiana sull’ingresso a musei gesti-ti da Regioni ed enti locali, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2003, f. 6, p. 1564.

28 Sul significato della tendenziale correlazione fra prelievo e beneficio, si rimanda alla parte finale del par. 2.

Valeria Guido

371

proprio 29” suggerito in seno all’UE, caratterizzato da una più stringente e

diretta (cor)relazione fra prelievo e deterioramento ambientale assunto a pre-supposto della fattispecie

30 tributaria.

4. La ricostruzione dell’imposta regionale sulle emissioni sonore come “tributo ambientale proprio”

L’attuale assetto della disciplina dell’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, contenuta nell’art. 90 della L. 21 novembre 2000, n. 342, ri-sponde allo schema del “tributo ambientale con funzione ambientale”, in cui la tutela ambientale viene perseguita solo esteriormente alla fattispecie tri-butaria e per via mediata ed indiretta.

La base imponibile del tributo è infatti determinata in base al numero degli atterraggi e decolli, al peso del velivolo ed alla sua rumorosità attestata in base alle regole di certificazione internazionale.

La futura configurazione dell’imposta come un tributo regionale “non derivato” prevista dall’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, do-vrebbe finalmente consentire alle regioni di ricostruire il prelievo secondo il modello del “tributo ambientale proprio” studiato in seno all’UE a partire dagli anni ’80

31. Gli elementi caratterizzanti tale impostazione sono due: la collocazione

della tutela ambientale all’interno del presupposto del tributo, nella parte essenziale e strutturale della fattispecie tributaria e l’attribuzione di un col-

29 Qui, il termine “proprio” ha chiaramente un’accezione diversa da quella finora adot-tata per specificare le varie tipologie di tributi regionali.

30 Per una corretta definizione e distinzione fra le nozioni di “presupposto” e “fattispecie” dell’obbligazione tributaria, si rimanda a FRANSONI, Il presupposto dei tributi regionali, cit.

31 Dopo vari decenni di studi condotti in seno all’OCSE in materia di fiscalità ambien-tale, la nozione di tributo ambientale successivamente elaborata in sede europea ha infatti posto finalmente l’accento sulla relazione causale che deve sussistere fra tributo ed unità fisica che consente la misurazione del danno ambientale e che diviene il presupposto della fattispecie tributaria. Per approfondimenti sul passaggio da una visione “funzionale” della fiscalità ambientale ad una prospettiva di fiscalità ambientale propria e diretta, si vedano GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale in Rass. Trib., n. 1, 1999; GAL-LO, Profili critici della tassazione ambientale, in Rass. trib., n. 2, marzo-aprile 2010; PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, cit.; PICCIAREDDA-SELICATO, I tributi e l’ambiente, cit.; SELICATO, Imposizione fiscale e princi-pio chi inquina paga, in Rass. trib., n. 4, luglio-agosto 2005; VERRIGNI, La rilevanza del princi-pio comunitario “chi inquina paga” nei tributi ambientali, in Rass. trib., fasc. 5, 2003.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

372

legamento causale diretto fra tale presupposto (individuabile tramite misu-razione del suo deterioramento) ed il tributo così concepito.

Quest’ultimo elemento, in particolare, appare maggiormente significati-vo, perché consente di ricostruire in termini di presupposto ambientale il tributo: l’unità fisica che determina il deterioramento ambientale e viene as-sunta a presupposto della fattispecie tributaria deve essere dunque un fatto materiale accertabile e scientificamente misurabile, capace di esprimere ine-quivocabilmente il fenomeno di degradazione ambientale.

Per quanto attiene la nozione di danno ecologico, perché il prelievo si configuri come un “tributo ambientale proprio”, è richiesto che il deterio-ramento (la cui unità fisica di misurazione viene assunta a presupposto) sia contemporaneamente attuale e non meramente ipotetico

32 (perché questa condizione si verifichi è sufficiente che il danno sia certamente individuabile ed oggettivamente misurabile)

33 e reversibile (in modo che il prelievo che lo assume come suo presupposto non si configuri come una sanzione, per-ché, se così fosse, l’imposizione ambientale finirebbe per legittimare indiret-tamente le condotte che comportano un deterioramento irrimediabile)

34. Per ciò che concerne, invece, la particolare relazione causale che deve in-

tercorrere fra l’unità fisica di misurazione del danno ed il presupposto del tributo, sembra che questa debba esprimere la maggiore attitudine alla con-

32 Se il deterioramento ambientale fosse solo una mera eventualità ed il prelievo avesse dunque esclusivamente una funzione preventiva di un pregiudizio ipotetico e fosse dovuto unicamente a fronte dell’erogazione di un servizio pubblico (di prevenzione, appunto), allora la forma più adeguata per tale prelievo sarebbe probabilmente quella della tariffa o del prezzo pubblico. Così GALLO-MARCHETTI, I presupposti, cit.

33 A questo proposito, si è già rilevato che, anche nelle precisazioni della Commissione Eu-ropea (si veda la comunicazione interpretativa Bruxelles, 2 febbraio 2000, COM (2000)1) e della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia, sez. III, 2 dicembre 2004, C 41/02, punto 52) sulla più corretta connotazione del “principio di precauzione”, emerge che, pur potendosi adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità dei rischi, tuttavia, la valutazione del rischio non può comunque fondarsi su considerazioni puramente ipotetiche, né su semplici supposizioni, dovendosi comun-que fondare sui dati scientifici disponibili al momento dell’adozione di tale misura.

34 Dunque, mentre non si può ipotizzare che da un danno ambientale irreparabile sca-turisca un’obbligazione tributaria (potendo tale fatto determinare unicamente l’insorgenza di una sanzione), si può tuttavia pensare che un deterioramento reversibile colpito da tri-buto ambientale sia altresì accompagnato da un prelievo di carattere sanzionatorio, fermo restando che, nonostante la comune riconducibilità nell’alveo delle prestazioni patrimo-niali imposte, solo il tributo è preordinato alla realizzazione del concorso alle spese pubbli-che. Si veda FEDELE, Appunti, cit., p. 37 ss.

Valeria Guido

373

tribuzione del soggetto inquinatore, derivante dalla fruizione del bene am-bientale scarso, che, proprio in quanto scarso, rappresenta certamente un bene “di lusso”

35. L’assunzione a presupposto della fattispecie tributaria dell’unità fisica

indicativa del deterioramento risponde dunque all’esigenza di esprimere la maggiore capacità contributiva

36 del soggetto passivo dell’imposta. L’imminente attribuzione alle regioni di una vera potestà normativa in

materia di imposta sulle emissione sonore dovrebbe consentire loro di su-perare l’attuale impostazione di cui all’art. 90 della L. 21 novembre 2000, n. 342 (che fa ricorso a parametri indiretti e mediati di rumorosità degli aero-mobili, quali il numero dei decolli ed atterraggi ed il peso dei velivoli), uni-formarsi alle indicazioni dell’UE in materia di tributi ambientali e ricostruire la fattispecie tributaria assumendo a presupposto unicamente gli indicatori di rumorosità attestati dalle regole di certificazioni internazionale.

L’istituzione del prelievo secondo lo schema europeo (e dunque, la fede-le conformità agli standards internazionali effettivamente espressivi del de-terioramento acustico) dovrebbe garantire inoltre la tendenziale omogenei-tà del prelievo in ambito nazionale.

Diversamente, l’adesione al tradizionale modello di fiscalità con mera funzione ambientale potrebbe lasciare in capo alle singole regioni la valuta-zione degli indici indiretti di rumorosità, determinando la disseminazione sul territorio di differenti discipline ed esponendo le normative regionali al rischio di sindacato di legittimità rispetto alla Costituzione ed ai principi comunitari.

35 In altre parole, data la scarsità del bene ambientale, tutti gli atti che comportano l’in-quinamento o il consumo del bene ambientale sono suscettibili di valutazione economica e, soprattutto, di manifestare maggiore capacità contributiva rispetto ad attività o condotte che non comportano deterioramento o consumo dello stesso bene.

36 L’assunto su cui si fonda tale ricostruzione è l’opzione, nell’interpretazione del prin-cipio di capacità contributiva, per la teoria del criterio di riparto dei carichi pubblici, che consente di superare quelle impostazioni che inducono a qualificare come presupposto di imposizione tributaria solo situazioni, beni e rapporti aventi uno specifico valore econo-mico-patrimoniale e di assumere come presupposto fiscale anche situazioni, fatti, atti o comportamenti che (come la fruizione ed il consumo dell’ambiente), pur non avendo una specificamente individuabile connotazione economico-patrimoniale, siano comunque in-dicativi dell’attitudine a concorrere alle pubbliche spese. Assumendo dunque la rilevanza economica del criterio di riparto come la misura del potere di modificazione ambientale, quindi anche di modificazione delle condizioni personali di tutti i consociati, anche gli ecotributi possono essere mantenuti nell’area della fiscalità. Sul tema, si veda FEDELE, Ap-punti, cit., p. 23 ss.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

374

Per quanto attiene la legittimità costituzionale, sotto il profilo del rispet-to dell’art. 23 Cost., non dovrebbero comunque sussistere profili di criticità. Appurato infatti che il prelievo è un tributo regionale proprio non derivato il cui presupposto non è oggetto di disciplina statale, è chiaro che le regioni sono libere, nel rispetto dei principi costituzionali e comunitari incardinati nel sistema tributario italiano, di determinare gli elementi essenziali della fattispecie tributaria con piena discrezionalità.

Per quanto attiene invece il rispetto dell’art. 53 Cost., l’opzione per il tradizionale modello di fiscalità con funzione di tutela ambientale indiretta e mediata espone maggiormente a dubbi di legittimità, principalmente sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

Infatti, pur assumendo (conformemente alla concezione della capacità contributiva come mero criterio di riparto fra i consociati) che il presuppo-sto della fattispecie tributaria sia un fatto non immediatamente espressivo di capacità contributiva ma indicativo di idoneità a realizzare il concorso alle spese pubbliche di ripristino ambientale, resta comunque da valutare se la scelta dei parametri indirettamente espressivi di rumorosità e deterioramen-to acustico non determini poi concretamente disparità di trattamento verso soggetti sostanzialmente analoghi; resta cioè da verificare se l’opzione per l’indice “mediato” non si traduca poi, alla fine, nella scarsa significatività del-lo stesso rispetto al fatto oggetto di “interesse fiscale” che deve essere colpi-to col prelievo (l’inquinamento acustico).

Il problema del rispetto del principio di uguaglianza si pone, in misura ancora più incisiva in ambito comunitario, dove esistono diverse disposi-zioni in vario modo ispirate a tale postulato e preordinate alla tutela del mercato e della concorrenza.

5. I vincoli del Trattato all’istituzione dell’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili

L’esercizio della potestà normativa regionale in materia di tributo sulle emissioni sonore degli aeromobili dovrà necessariamente fare i conti, oltre-ché con i principi della Costituzione e del sistema tributario nazionale, an-che con le disposizioni del TUE

37 poste a tutela della concorrenza e della

37 Il problema è stato già ampiamente studiato da autorevole dottrina: DI PIETRO, op. cit.; FANTOZZI, I rapporti tra ordinamento comunitario e autonomia finanziaria degli enti ter-ritoriali, in Dir. e prat. trib. int., 2008, p. 1037; SACCHETTO, Federalismo fiscale tra modelli

Valeria Guido

375

libera circolazione di beni, servizi e persone all’interno del territorio euro-peo, immediatamente precettive e vincolanti per gli Stati membri ed i relati-vi enti territoriali dotati di autonomia normativa

38. Nell’attuale assetto normativo, che configura l’imposta regionale sulle

emissioni sonore come un tributo proprio derivato, eventuali interventi re-gionali disincentivanti (con applicazione di aliquote maggiori) o incentivan-ti (con variazioni in diminuzione), possono rispettivamente determinare ag-gravi penalizzanti per il traffico aereo e misure protezionistiche irragione-volmente limitative della libera circolazione delle merci e delle persone, op-pure introdurre agevolazioni contrarie al divieto di aiuti di Stato

39. Ovviamente, quando, con l’entrata in vigore dell’art. 8, comma 1, del

D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, l’imposta si qualificherà come un tributo pro-prio non derivato, l’esame di compatibilità con i principi comunitari sopra menzionati riguarderà invece la determinazione di tutti gli elementi essen-ziali della fattispecie tributaria.

Com’è stato osservato da autorevole dottrina 40, i principi e le norme co-

munitarie idonee ad influire sull’esercizio della funzione impositiva tributa-ria mostrano confini vasti ed indefiniti ed hanno dunque una sfera di opera-tività potenziale piuttosto ampia.

Occorre dunque, a questo punto, esaminarli e verificare se ed in quale misura essi possano dispiegare efficacia condizionante o limitante l’istituzio-ne dell’imposta regionale sulle emissioni sonore.

5.1. Il divieto di dazi doganali e tasse equivalenti Importanti limitazioni all’esercizio della potestà tributaria degli Stati

membri derivano generalmente dal divieto di introdurre dazi doganali e tas-se equivalenti di cui agli artt. 23-25 del Trattato UE

41, che è chiaramente ri- esteri e vincoli comunitari, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1998, p. 645; F. AMATUCCI, L’impatto dei principi comunitari sulla nuova fiscalità locale, in F. AMATUCCI-SAN LUCA (a cura di), I princi-pi costituzionali e comunitari del federalismo fiscale, Torino, 2008, p. 40; CARINCI, Autonomia tributaria delle regioni e vincoli del Trattato dell’Unione Europea, in Rass. trib., 2004, p. 1201.

38 Come correttamente osservato da MICELI (Federalismo fiscale e responsabilità comu-nitaria degli Enti territoriali: riflessioni e prospettive, in Rass. trib., n. 6, novembre-dicembre 2010, p. 1671), il problema della compatibilità dell’operato degli Enti territoriali con i principi comunitari si pone esclusivamente una volta individuati i relativi spazi di autono-mia e solo nell’ambito degli stessi.

39 Sul punto, si veda ancora FICARI, Prime note sull’autonomia, cit. 40 DI PIETRO, op. cit. 41 Si rammentano, a tale proposito, le questioni affrontate nelle cause: Corte di Giusti-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

376

volto ad interventi normativi che abbiano l’effetto di limitare la circolazione delle merci e dei prodotti sul territorio nazionale

42 e potrebbe trovare appli-cazione, in relazione alla fattispecie esaminata, limitatamente al trasporto aereo di merci e prodotti.

La rinuncia degli Stati membri ad adottare misure fiscali equiparabili a dazi doganali

43 è dunque strettamente funzionale alla realizzazione degli obiettivi fissati dagli artt. 2 e 14 del Trattato di salvaguardia del mercato co-mune e della libera circolazione delle merci. zia, 9 settembre 2004, C-72/03, causa Carbonati-Apuani, che ha dichiarato l’illegittimità della legge dello stato 15 luglio 1911, n. 749 (poi modificata dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449) istitutiva della tassa sul marmo di Carrara; Corte di Giustizia, 21 giugno 2007, C-173/05, causa Commissione contro Italia, che ha stabilito l’incompatibilità comunitaria del tributo ambientale sul tubo della Regione Sicilia che colpiva il gas metano proveniente dall’Algeria; Corte di Giustizia, 17 novembre 2009, C-169/08, che ha dichiarato incompa-tibili con la normativa comunitaria l’imposta sugli scali turistici degli aeromobili e delle unità da diporto di cui all’art. 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4.

42 Per approfondimenti, si vedano: LA SCALA, Il carattere ambientale di un tributo non prevale sul divieto di introdurre tasse ad effetto equivalente ai dazi doganali, in Rass. trib., 2007, p. 1317; CARINCI, L’imposta sugli scali della Regione Sardegna: ulteriori indicazioni della Corte di Giustizia sui limiti comunitari dell’autonomia tributaria regionale, in Rass. trib., 2010, p. 278; ID., Autonomia tributaria, cit.; FICHERA, Federalismo fiscale ed Unione Euro-pea, in Rass. trib., 2010, p. 1538.

43 La nozione di tassa equivalente è stata ampiamente analizzata dalla dottrina (MARE-SCA, Le tasse di effetto equivalente, Padova, 1983; DANIELE, (voce) Circolazione delle merci nel diritto comunitario, in Dig. disc. priv., sez. comm., III, Torino, 1998, p. 107 ss.; ARDIZZO-NE, (voce) Comunità economica europea (disciplina tributaria e valutaria), in Enc. giur. Trec-cani, Roma, VII, p. 5 ss.; ARMELLA, I dazi doganali, in AA.VV., Corso di diritto tributario internazionale, coordinato da V. Uckmar, Padova, 2002, p. 1055; TESAURO, Diritto comuni-tario4, Padova, 2005, p. 379; CARINCI, Autonomia tributaria, cit., p. 1225; ALFANO, Il tribu-to regionale sul passaggio del gas metano attraverso il territorio della regione Sicilia: cronaca di una morte annunciata, in Riv. dir. trib., n. 11, 2007, IV, p. 320) e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia, C-125/94, Aprile Srl), che ne ha individuato il trat-to essenziale e caratterizzante nella idoneità a produrre, direttamente o indirettamente, l’aumento del costo di un prodotto all’atto della sua esportazione o importazione, indi-pendentemente dalla relativa denominazione o struttura, che può anche configurarsi come un semplice sovrapprezzo. La giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha poi individuato ulteriori elementi nella natura pecuniaria del prelievo e nella sua finalità discriminatoria e protezionistica, pur avendo talvolta escluso dal divieto alcuni prelievi teoricamente idonei a generare tali tipi di distorsioni, sottoposti all’esame della Corte di Giustizia: a volte per-ché sostanzialmente coincidenti con la congrua controprestazione spettante per un servi-zio reso (Corte di Giustizia, 26 febbraio 1975, causa C-63/74, punto 8; Corte di Giustizia, 15 dicembre 1993, cause riunite C-277/91, C-318/91 e C-319/91), altre volte, perché ap-plicabili contemporaneamente ai prodotti stranieri e a quelli interni, e perciò inidonei a realizzare discriminazioni e turbative nel mercato comune.

Valeria Guido

377

L’importanza di tale divieto si evince anche dalla estensibilità dello stesso agli scambi interni ai singoli Stati

44 e persino ai rapporti con Paesi terzi ri-spetto alla Comunità

45. Il divieto posto dagli artt. 23-25 del Trattato intende dunque eliminare

qualsiasi effetto lesivo degli scambi e della libera circolazione delle merci all’interno del territorio comunitario, indipendentemente dal reale profitto generato a favore dello Stato e dai reali intenti discriminatori o protezioni-stici

46. Premesso questo, riguardo ai tributi ambientali in generale, ipotesi di di-

scipline ricadenti nel divieto possono essere riscontrate in casi di imposizione tributaria su merci che generano impatto ambientale per il fatto di travalicare

44 Sul presupposto che il mercato interno è uno spazio senza frontiere interne, nel qua-le è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, sen-za alcuna distinzione relativa a frontiere fra gli Stati e frontiere all’interno degli Stati, la Corte di Giustizia, più volte ha esteso il divieto posto dagli artt. 23-25 del Trattato a impo-ste interregionali dall’effetto equivalente a dazi esterni (si vedano per esempio, Corte di Giu-stizia, 9 agosto 1994, cause riunite, C-363/93, C-407/93, C-408/93, C-410/93 e C-411/93 e la già menzionata sentenza Corte di Giustizia, 9 settembre 2004, causa C-72/03 sulla tas-sa applicata ai marmi di Carrara esportati fuori del territorio comunale). In particolare, nella vicenda sui marmi di Carrara, la Corte ha osservato l’illegittimità della tassa sui mar-mi, per contrasto, sia con il divieto di istituire dazi e tasse con effetto equivalente (in rife-rimento a tutto il territorio comunitario), sia con il divieto di discriminazione (in riferi-mento ai prodotti gravati rispetto a tutti gli altri, sia italiani che stranieri). Per approfondi-menti, si veda CARINCI, Autonomia tributaria, cit.

45 Talvolta, sono stati istituiti Accordi di cooperazione con Paesi terzi (come l’Algeria), obbligatori e direttamente applicabili all’interno dei Paesi membri attraverso Regolamenti, la cui violazione può giustificare l’avvio della procedura di infrazione di cui all’art. 226 del Trattato.

46 Un approfondimento a parte merita il caso della già menzionata sentenza della Corte di Giustizia, 21 giugno 2007, causa C-173/05, G.U.C.E., n. 183 del 4 agosto 2007, che ha di-chiarato l’illegittimità della “tassa sul tubo” istituita con legge della Regione Sicilia n. 2, 2002, per violazione degli artt. 23, 25, 133 CE nonché dell’Accordo di cooperazione tra la CEE e la Repubblica democratica popolare d’Algeria. La tassa colpiva l’attraversamento dell’isola da parte del gasdotto costruito per il trasporto del gas dall’Algeria verso l’Italia e altre nazioni della Comunità e aveva lo specifico obbiettivo di finanziare gli investimenti destinati a ridur-re o prevenire i rischi di deterioramento ambientale derivanti dall’attraversamento del ga-sdotto sul territorio siciliano, gravando direttamente sul soggetto proprietario dello stesso, esercente attività di trasporto, distribuzione e vendita del gas. La bocciatura del prelievo in questione per contrasto con il dettato di cui all’art. 25 ha così confermato un orientamento oramai consolidato della Corte di Giustizia, in virtù del quale lo scopo (anche nobile come quello di tutela ambientale) non può mai giustificare l’introduzione di tasse con effetto equi-valente ai dazi doganali e produrre alterazioni della libera circolazione nel territorio comuni-tario. Sulla questione si vedano i già citati ALFANO, Il tributo regionale, cit. e LA SCALA, op. cit.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

378

confini nazionali all’interno del territorio europeo o in casi di imposizione fi-scale su beni provenienti da Paesi stranieri al solo scopo di compensare svan-taggi competitivi derivanti da una normativa ambientale gravante unicamente sul ciclo produttivo di analoghi prodotti nel territorio nazionale.

Con specifico riferimento all’imposta regionale sulle emissioni sonore di prossima istituzione, si ritiene che le Regioni possano ricadere nel divieto, nel caso in cui un eccessivo livello del prelievo (che non trovi alcuna giusti-ficazione nell’esercizio di prestazioni di servizi di ripristino ambientale, né nella compensazione delle diseconomie provocate dall’inquinamento acu-stico) incida significativamente sul costo del trasporto aereo di merci e pro-dotti provenienti da altri Stati membri o da altre Regioni dell’Italia e risulti perciò inspiegabilmente distorsivo della concorrenza.

5.2. Il divieto di discriminazione fiscale

Se il divieto di istituire dazi o tasse equivalenti può operare solo relati-vamente alle importazioni di merci e prodotti, il più generale divieto di di-scriminazione ha una portata maggiore, potendo dispiegare i propri effetti su tutti i tipi di circolazione nell’ambito del territorio comunitario.

L’istituzione dell’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromo-bili, potrebbe dunque astrattamente confliggere con il divieto di discrimina-zione fiscale comunitario, in caso di fissazione di presupposti particolar-mente gravosi a carico di determinati soggetti.

L’art. 90 del Trattato, che postula il divieto di discriminazione nel territo-rio comunitario, comporta l’illegittimità di norme che, introducendo nell’or-dinamento trattamenti fiscali inspiegabilmente differenziati rispetto alla pro-venienza dei destinatari, abbiano l’effetto di condizionare, limitare o inibire la libera circolazione delle merci e delle persone, alterando in generale il corret-to funzionamento del meccanismo della concorrenza intracomunitaria

47. In tutti gli ordinamenti europei, il principio di non discriminazione si è

affermato come corollario di quello di uguaglianza. Anche nell’ordinamento italiano, il divieto è rinvenibile negli artt. 53 e 3 Cost., dalla cui lettura com-binata discende il divieto di applicare un trattamento fiscale uguale a fatti-specie obbiettivamente differenti e differente a situazioni oggettivamente e soggettivamente simili

48.

47 Sul punto, ALFANO, Il tributo regionale, cit.; FICHERA, Federalismo fiscale, cit. 48 Sul punto, la Corte costituzionale ha precisato che l’individuazione di situazioni

identiche o, al contrario, diverse, è demandata unicamente al Legislatore, in virtù della ri-

Valeria Guido

379

Nell’ordinamento comunitario, il principio generale di non discrimina-zione è postulato nell’art. 12 del Trattato, che, al comma 1, stabilisce che «... nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio del-le disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazio-ne effettuata in base alla nazionalità»

49. Tale articolo ha tuttavia un ruolo residuale, trovando applicazione solo quando non vi sia uno specifico divie-to di discriminazione nelle singole aree di codificazione

50. Il divieto di discriminazione si riferisce più specificamente al diverso trat-

tamento fiscale tra merci, capitali, servizi ed imprese estere rispetto a quelle nazionali

51-52. Dunque, la fissazione di livelli di imposizione regionale sulle emissioni

sonore differenziati unicamente in ragione della provenienza del vettore ae-

serva conferita dall’art. 23 Cost., fermo restando che le iniziative legislative sono pur sem-pre suscettibili di declaratoria di illegittimità, per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. La Corte ha altresì precisato che il giudizio sull’eguaglianza deve, in ultima istanza, appellarsi al criterio di ragionevolezza e ai canoni elaborati dalla giurisprudenza, di razionalità siste-matica (coerenza), efficienza strumentale (congruenza, proporzionalità, ecc.) e giustizia-equità. Sull’argomento, si veda FALSITTA, op. cit., parte generale, p. 157.

49 La Corte di Giustizia, similmente a quanto fatto dalla Corte costituzionale in riferi-mento all’art. 53 Cost., ha affermato che si ha discriminazione sostanziale «... sia nel trat-tamento diverso di situazioni simili, sia nello stesso trattamento di situazioni diverse», mentre la disparità di trattamento fra situazioni non comparabili si risolve, per contro, in una di-scriminazione “formale” che non contrasta con il dettato comunitario. Per tutte, si veda Corte di Giustizia, 17 luglio 1963, causa 13/63.

50 Lo stesso Trattato CE prevede (agli artt. 30, 45, 46 e 55) anche talune tassative ipo-tesi di deroga del principio di cui all’art. 12, ammettendo ipotesi di restrizione alla libera circolazione delle merci e delle persone, per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute, ecc.

51 In tal senso, Corte di Giustizia, 15 luglio 1982, causa C-216/81. 52 In un primo momento, il principio è stato affermato limitatamente alla libera circola-

zione delle merci. Successivamente, proprio in ragione dello sviluppo della libera circola-zione delle merci e delle persone, il principio ha assunto una portata ed una valenza più ampia (come applicazione indiretta di ulteriori principi, quali la libera circolazione dei la-voratori, il diritto di stabilimento, la libertà di prestazione dei servizi, la libera circolazione dei capitali). Nell’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia, è dunque emersa un’interpretazione più estensiva del divieto di discriminazione ed una sua graduale identi-ficazione con il più generale divieto di “restrizioni”, che opera su tutte le norme che deter-minano ostacoli alla libera circolazione, pur non operando alcuna distinzione sulla base della nazionalità. Per approfondimenti e per uno specifico e dettagliato riferimento al caso delle cosiddette “tasse sul lusso sarde” e sulla sentenza Corte cost. n. 102/2008, si rimanda a FICHERA, Federalismo fiscale, cit.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

380

reo incorrerebbe evidentemente nell’immediata applicazione del divieto di discriminazione

53. Invece, l’introduzione di misure fiscali agevolative o restrittive, corretta-

mente differenziate in ragione, rispettivamente, della minore o maggiore pre-senza di effetti inquinanti derivanti dalle emissioni sonore prodotte dai vetto-ri aerei di diversa provenienza, non dovrebbe essere censurata per contrasto indiretto con l’art. 90 del Trattato, proprio per l’assenza di effetti discrimi-natori rispetto a situazioni similari.

Difficilmente infatti potranno essere considerate similari le condizioni di volo che producano differenti livelli qualitativi e quantitativi di impatto so-noro sull’ambiente.

È chiaro inoltre che quanto più il presupposto sarà direttamente e scien-tificamente correlato all’inquinamento sonoro, mediante l’individuazione di un indice matematico espressivo dei livelli di deterioramento prodotto (se-condo il modello comunitario di “tributo ambientale proprio”), tanto più sarà facile per il legislatore scongiurare il rischio di incorrere nel divieto di discriminazione.

Pertanto, il divieto posto indirettamente dall’art. 90, a ben vedere, non dovrebbe rappresentare una significativa limitazione alla realizzazione di forme corrette di applicazione dell’imposta sulle emissioni sonore, a patto però che la graduazione del prelievo sia differenziata unicamente in relazio-ne ai diversi effetti inquinanti prodotti dai vettori aerei.

5.3. Il divieto di aiuti di Stato

Al contrario, l’introduzione di misure di imposizione regionale inspiega-bilmente favorevoli per alcuni prodotti o settori dell’economia, potrebbe invece facilmente determinare agevolazioni discriminatorie, configgenti con il divieto di aiuti di Stato di cui agli artt. 87-89 del Trattato

54.

53 Si potrebbe pensare anche ad un’immediata applicazione dell’art. 56 TFUE (ex art. 49 CE) in tema di libera circolazione dei servizi; a questo proposito si veda però quanto affermato nella nota 52 e condiviso dalla dottrina prevalente.

54 Per approfondimenti, si rimanda a FRANSONI, Gli aiuti di Stato fra autonomia locale e capacità contributiva, in Riv. dir. trib., 2006, III, p. 249; DEL FEDERICO, Agevolazioni fiscali nazionali ed aiuti di Stato, tra principi costituzionali ed ordinamento comunitario, in Riv. dir. e prat. trib. int., 2006, p. 19; FICHERA, Aiuti di Stato e Paesi Baschi, in Dir. e prat. trib. int., 2002, p. 425; ID., Federalismo fiscale, cit.; MICELI, op. cit. (anche per un approfondimento circa le conseguenze derivanti dall’inosservanza dei divieti); CARINCI, Autonomia tributa-ria, cit.; FICHERA, Federalismo fiscale, cit.

Valeria Guido

381

Il principio di “divieto di aiuti di Stato” si inserisce nel quadro delle norme per la realizzazione di «un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno», ai sensi dell’art. 3, lett. g) del Trattato

55. Esso vieta l’introduzione, nella misura in cui incidano sugli scambi fra gli

Stati membri, di aiuti concessi dagli Stati sotto qualsiasi forma, che, favoren-do talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la con-correnza nel territorio comunitario.

I requisiti che, secondo l’evoluzione della giurisprudenza comunitaria, sono idonei a fondare la violazione del divieto sono la riferibilità allo Stato, il vantaggio economico, la possibile distorsione della concorrenza e la selet-tività della misura. Quest’ultimo requisito è quello che certamente negli an-ni ha destato maggiore interesse ed attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza, proprio perché più idoneo rispetto agli altri a individuare la natura derogatoria della misura di aiuto.

Si è dunque giunti ad elaborare due importanti e differenti concetti di se-lettività: quella materiale, valutata nell’ambito di un territorio unico ed omogeneo, rispetto al quale solo talune imprese o produzioni fruiscano del-l’aiuto derogatorio; quella territoriale, valutata in riferimento alle misure age-volative applicate solo in una parte del territorio dello Stato.

Dopo una prima fase in cui gli organi comunitari 56 avevano manifestato

la tendenza a considerare selettive tutte le misure di favore che non fossero attuate nell’intero territorio dello Stato, successivamente, nel tempo, alcune pronunce della Corte di Giustizia, superando tale impostazione, hanno in-vece mostrato maggiore disponibilità del sistema comunitario al riconosci-mento delle autonomie territoriali ed hanno dunque rifiutato l’automatica assimilazione dell’applicazione di una misura di favore in un ambito territo-riale con la natura selettiva dell’aiuto.

È stato così messo a punto un “test di autonomia”, che, attraverso il ri-conoscimento dell’autonomia istituzionale, procedurale e finanziaria di un

55 Sull’argomento, si veda anche la Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato alle misure di tassazione diretta delle imprese, in G.U., C 384, 10 dicembre 1998.

56 Un ruolo primario nella definizione degli aiuti di Stato e nell’individuazione delle violazioni del divieto di cui all’art. 87 è stato svolto, negli anni, dalla Commissione euro-pea, che è l’organo deputato in via esclusiva alla disamina degli aiuti esistenti e che esercita il proprio controllo (caso per caso, in ragione degli obbiettivi fondamentali della politica economica europea) mediante un monitoraggio praticamente permanente o su impulso derivante da specifiche segnalazioni da parte dei soggetti che ritengano di essere stati in-giustamente penalizzati.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

382

ente 57, in assenza di forme di “compensazione statale” dell’aiuto statuito

con disposizione regionale, possa consentire di escluderne la selettività ter-ritoriale e l’applicazione del divieto.

Individuata la sussistenza dei requisiti di autonomia in capo ad un ente, l’esame circa la violazione del divieto si sposta necessariamente sul requisito della selettività materiale, cioè sulla discriminazione di certe imprese o di certi settori operanti all’interno dello stesso rispetto agli operatori agevolati dagli aiuti.

Per quanto attiene l’esercizio dell’autonomia tributaria delle Regioni, si ri-tiene dunque che l’istituzione di tributi propri possa agevolmente superare il test di selettività territoriale; resta dubbio l’esito dello stesso test per l’istitu-zione di tributi propri derivati, anche con esclusivo riferimento alla differen-ziazione delle aliquote o alla previsione di esenzioni o agevolazioni

58. Con specifico riferimento all’istituzione dell’imposta regionale sulle e-

missioni sonore, sembra dunque ragionevole supporre che l’applicazione da parte di una regione di uno speciale regime di favore rispetto alle altre re-gioni dello Stato possa tranquillamente passare indenne all’esame di compa-tibilità con il divieto di aiuti di Stato, sempre che tale regime non venga poi compensato da sovvenzioni o contributi trasferiti dallo Stato o da altre re-gioni, sempre che, cioè, la regione si faccia carico di tale scelta e rinunci, im-plicitamente, alla (o ad una parte della) destinazione del gettito riservato per legge alle opere di risanamento e/o risarcimento dell’inquinamento acustico.

Invece, l’applicazione, all’interno del territorio regionale, di regimi di fa-vore specificamente destinati a taluni vettori aerei o a taluni aeromobili, o la previsione di irragionevoli meccanismi di sgravio o esenzione fiscale, po-trebbe certamente determinare la violazione dell’art. 87 del Trattato, a me-no che la misura non trovi giustificazione in una differente incidenza degli effetti inquinanti delle emissioni sonore, che consenta di non incorrere nel divieto di aiuti di Stato di cui all’art. 87 e nel divieto di discriminazione di cui all’art. 90 di cui già si è detto

59.

57 Per approfondimenti, MICELI, op. cit. 58 Si veda CARINCI, Autonomia tributaria, cit., anche a proposito della vicenda giurispru-

denziale in tema di riduzioni di aliquota dell’imposta erariale sul reddito, che ha visto con-trapporsi la repubblica del Portogallo e la Commissione Europea (decisione dell’11 dicem-bre 2002, 2003/442/CE), causa C-88/03, in G.U., C 112, del 15 maggio 2003, par. 11.

59 Questo discorso sembra coerente inoltre con il Regolamento d’esenzione per cate-goria in materia di aiuti di Stato (Reg. CE n. 800/2008) adottato dalla Commissione eu-ropea, DG Concorrenza il 7 luglio 2008.

Valeria Guido

383

5.4. Il principio “chi inquina paga”

Per concludere, una menzione speciale merita il principio “chi inquina paga”

60, che non postula un divieto ma un’imposizione. L’assunto “chi inquina paga” di cui all’art. 174 del Trattato costituisce

contemporaneamente la fonte di legittimazione per l’esercizio delle potestà normative degli Stati membri in materia di fiscalità ambientale e un’impor-tante limitazione, che impedisce ai governi locali di adottare misure con es-so contrastanti.

L’art. 174, paragrafo 2, del Trattato di Roma, nel testo attualmente in vi-gore, stabilisce che la politica della Comunità in materia ambientale «... è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”».

Il principio “chi inquina paga” trova la propria matrice originaria nella Raccomandazione OCSE C (72) 128 del 26 maggio 1972 (secondo cui all’inquinatore devono essere imputati i costi della prevenzione e delle azio-ni contro l’inquinamento, come definite dall’Autorità pubblica, al fine di man-tenere l’ambiente in uno “stato accettabile”), anche se l’esordio enunciativo è probabilmente già rinvenibile nella legge francese 16 dicembre 1964, n. 1245, sulla istituzione delle agences financières de bassin, in cui aveva trovato compiuta espressione la formula “chi inquina paghi e chi depura venga aiutato”.

Nel corso del tempo, al principio sono state attribuite due differenti chiavi di lettura: da un lato, avvalendosi di argomentazioni di tipo giuridico-civili-stico, è stato posto l’accento sul carattere risarcitorio dei prelievi ad esso ispirati

61; dall’altro, sulla scorta degli studi economici pigouviani, ne è stata

60 Per approfondimenti sul tema, si rimanda a GALLO-MARCHETTI, I presupposti, cit., p. 115; GALLO, Profili critici, cit., p. 303; PERRONE CAPANO, op. cit.; PICCIAREDDA-SELICATO, I tributi e l’ambiente, cit.; SELICATO, op. cit., p. 1157; VERRIGNI, op. cit., p. 1, p. 1614.

Al di là dell’ambito strettamente tributaristico, sulla funzione del principio di condi-zionare preventivamente le scelte, promuovendo la cosiddetta “internalizzazione” dei costi ambientali nel processo decisionale, si vedano CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Padova, 2000, p. 127 ss.; DELL’ANNO, Principi del diritto ambientale, Milano, 2004, p. 103 ss.

61 La Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità per danno ambientale risulta essere chiaramente ispirata a tale principio per realizzare politiche ambientali disincentivanti. La Direttiva, pur essendo fortemente orientata (come suggerisce l’elemento testuale del titolo del provvedimento) a finalità meramente risarcitorie, tende in realtà a realizzare il princi-pio in esame, con modalità alquanto diverse che vanno ben al di là della portata risarcito-ria. In primo luogo, essa prevede espressamente la responsabilità dell’operatore non solo

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

384

evidenziata la funzione di internalizzazione delle diseconomie esterne 62.

Nessuna delle due tesi suddette però evidenzia i riflessi fiscali del princi-pio “chi inquina paga”. Entrambe omettono infatti l’adeguata valorizzazione di un elemento tipico del principio, che emerge in modo evidente dalla for-mulazione imperativa di cui all’art. 174 del Trattato: la “coattività”, insita nel dovere dell’inquinatore di contribuire alle spese di protezione e ripristi-no ambientale.

A ben vedere, il principio in esame, per la grande varietà delle applicazio-ni giuridiche che comporta, si presta a coprire una serie piuttosto ampia di in-terventi ambientali, fra i quali però, quelli di carattere fiscale appaiono desti-nati a rivestire nelle politiche comunitarie un ruolo sempre più centrale.

L’attribuzione di contenuti fiscali al principio in questione sembra avva-lorata dalla lettura congiunta dei diversi elementi costituenti l’art. 174 del Trattato.

Se alla parola “nonché” (di cui al secondo periodo della norma citata) si attribuisce funzione congiuntiva piuttosto che disgiuntiva rispetto ai due periodi dell’art. 174, appare facile ed immediato collegare, più che separare, le due parti, in modo da attribuire al secondo postulato un ruolo strumenta-le rispetto al primo

63. In altre parole, chi esercita o pone in essere attività o per un danno già prodotto sull’ambiente ma anche per la semplice minaccia di questo, le-gittimando dunque l’addebito dei costi necessari per la riparazione e per la prevenzione del danno ambientale, conformemente a tutti i principi contenuti nell’art. 174 del Tratta-to. Inoltre, la responsabilità dell’operatore è subordinata alla sola condizione che il danno sia cagionato dal compimento di determinate azioni tassativamente elencate in apposito allegato, a prescindere da qualsivoglia comportamento (attivo od omissivo) doloso o col-poso, secondo uno schema che si discosta non poco dal modello di responsabilità “aqui-liana” di cui all’art. 2043 c.c. Infine, la Direttiva, diversamente da quanto prescritto dall’or-dinamento italiano (il riferimento è all’art. 18 della L. 8 luglio 1986, n. 349 istitutiva del Ministero dell’ambiente), esprime chiaramente un orientamento preferenziale verso for-me di riparazione materiale piuttosto che monetaria, obbligando l’operatore a porre in es-sere una serie di comportamenti di prevenzione, riparazione, ripristino e collaborazione con l’autorità competente ad una costante opera di monitoraggio delle condizioni dell’am-biente inquinato dalle proprie condotte inquinanti. SELICATO, op. cit.

62 Secondo la teoria elaborata da Pigou (si veda PIGOU, The Economics of welfare3, Lon-don, 1929, p. 170 ss.), l’applicazione di un costo a carico del soggetto inquinante, aggiun-tivo rispetto a tutti i costi d’industria, consentirebbe di imputare al soggetto “colpevole” tutti i costi sociali ad esso riferibili connessi con il ripristino delle condizioni ambientali violate, e di correggere il gap fra vantaggi derivanti dall’esercizio di attività distorsive del-l’equilibrio ambientale e costi di riparazione e restituzione, mediante l’internalizzazione di esternalità negative.

63 Così SELICATO, op. cit.

Valeria Guido

385

comportamenti inquinanti deve, non solo “ricompensare” il danno cagiona-to all’ambiente, ma anche contribuire alla rimozione pratica degli effetti pro-dotti e partecipare alle azioni pubbliche volte alla prevenzione di deteriora-menti anche solo eventuali ed ipotetici, purché causalmente e funzional-mente collegabili con la sua condotta

64. Analizzato da questa prospettiva, il principio “chi inquina paga” può essere

considerato la principale fonte di legittimazione per gli Stati Membri ad ema-nare norme di fiscalità ambientale, di carattere impositivo o agevolativo, ol-treché un’importante limitazione all’adozione di misure con esso contrastanti.

Sotto questo duplice profilo, particolare importanza assume, allora, la fa-coltà concessa alle regioni dall’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, di sopprimere l’imposta regionale sulle emissioni sonore, facoltà che, al-la luce dell’imposizione di cui all’art. 174 del Trattato, se esercitata, ben po-trebbe dunque, assumere le sembianze di una grave violazione del principio “chi inquina paga”.

6. Conclusioni

La recente qualificazione e prossima configurazione dell’imposta regio-nale sulle emissioni sonore degli aeromobili come tributo regionale proprio appare dunque davvero un’interessante opportunità di realizzare quel pro-cesso di “regionalizzazione” e “localizzazione” della fiscalità ambientale più volte auspicato dalla dottrina più sensibile all’argomento

65. Come tutte le tematiche e le istanze ambientali, anche le problematiche

legate all’inquinamento acustico, si prestano infatti ad essere fortemente rappresentate negli schemi di fiscalità regionale

66. Essendo la competenza residuale delle regioni fortemente circoscritta

all’area geografica di riferimento, la fiscalità regionale appare dunque depu-tata a realizzare un sistema nuovo di fiscalità ambientale, che tenga conto delle diverse peculiarità e delle specifiche vocazioni delle realtà locali.

Inoltre, il modello di “tributo ambientale proprio” elaborato in seno al-l’UE appare particolarmente idoneo a rappresentare più fedelmente le pro-blematiche ambientali variamente diffuse nel territorio.

Dunque, con specifico riferimento all’imposta regionale sulle emissioni

64 SELICATO, op. cit. 65 GALLO-MARCHETTI, I presupposti, cit.; GALLO, Profili critici, cit. 66 ALFANO, L’applicazione di tributi ambientali, cit.

4.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

386

sonore, sembra decisamente auspicabile che le Regioni, nell’esercizio della neo acquisita potestà normativa, scelgano di adottare meccanismi impositivi orientati verso la realizzazione dello schema del “tributo ambientale proprio”.

L’assunzione, nella fattispecie tributaria, dell’unità fisica indicativa del-l’inquinamento acustico provocato dalle emissioni sonore degli aeromobili, come unico presupposto dell’imposizione, consente infatti di esprimere in modo chiaro e diretto la relazione intercorrente fra il deterioramento pro-vocato dalla condotta umana ed il concorso individuale richiesto per la rea-lizzazione di tutte le attività di ripristino, conservazione e prevenzione am-bientale necessarie per il benessere della collettività.

Infine, fermo restando il divieto di duplicazione di presupposti già ogget-to di tributi erariali ed il rispetto dei criteri di adeguatezza, proporzionalità e coerenza e dei principi fondamentali di coordinamento fissati dallo Stato in materia, sembra che l’adozione del modello europeo di tributo ambientale consenta alle Regioni di superare con più serenità l’esame di compatibilità con i divieti comunitari di dazi e tasse equivalenti, discriminazione, restrizio-ne ed aiuti di Stato.

L’inclusione, nel presupposto dell’imposta, del fatto fisico espressivo del deterioramento acustico permette infatti di oggettivizzare e tendenzialmente uniformare sul territorio comunitario la valutazione dell’impatto ambientale del servizio di trasporto aereo, di scongiurare il rischio di arbitrarietà e, nella verifica di compatibilità comunitaria, di attribuire maggior peso e rilevanza alla finalità di tutela ambientale rispetto ad eventuali effetti discriminatori o distorsivi.

Maurizio Logozzo

LA SCUSANTE DELL’ILLECITO TRIBUTARIO PER OBIETTIVA INCERTEZZA DELLA LEGGE

THE UNCERTAINTY OF TAX LAW AS A CIRCUMSTANCE EXCLUDING WRONGFULNESS

Abstract L’ordinamento tributario esclude l’irrogazione di sanzioni amministrative qualora la normativa da applicare al caso concreto risulti obiettivamente incerta. Tale esimente è presente nel nostro sistema da lungo tempo ed oggi costituisce un principio generale in materia di sanzioni amministrative tributarie, sancito da numerose disposizioni tra cui l’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212/2000). Come affermato dalla dottrina e dalla recente giurisprudenza della Cassazione, l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esen-zione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conse-guito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa. La valutazione dell’obiettiva incertezza spetta al giudice tributario, che applica l’esimente quan-do riconosce la ragionevolezza dell’interpretazione seguita dal contribuente. Le cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza, non essendo questa definibile in astratto, devono essere verificate in relazione all’applicazione della norma al caso concreto: spetta dunque alla giurisprudenza la valutazione della loro sussistenza. Se i presupposti per l’applicazione dell’esimente sono oggi ben delineati, riman-gono aperte alcune problematiche di carattere processuale, fra le quali spicca l’ipotesi di applicazione officiosa della causa di non punibilità da parte del Giudi-ce in assenza di specifica domanda proposta dal contribuente. Parole chiave: diritto interno, principi generali, sanzioni amministrative, cause di non punibilità, obiettive condizioni di incertezza della legge tributaria, cause sintomatiche

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

388

The Italian tax system excludes the infliction of administrative penalties when the tax law appears objectively uncertain. This excuse is part of the legal system since long time and is now considered as a general principle, set inter alia by art. 10 of the Statu-to dei diritti del contribuente. According to the Supreme Court, tax uncertainty is objective when there is no certainty on the content, the object or the recipients of tax rules or when the interpretation is uncertain and ambiguous. The assessment of the objective uncertainty of tax law belongs to Tax Courts, which apply the excuse upon assessment of the reasonableness of the taxpayer’s interpretation. The Supreme Court has indicated some symptomatic causes of the objective uncertainty of tax law, such as the lack of previous decisions by Tax Courts, the existence of conflicting rulings or when the taxpayer acts in accordance with the Tax Authority’s instructions. While the prerequisites of the excuse are well defined, some doubts on procedural rules remain, particularly on the issue concerning the power of Tax Courts to set sanctions aside on the ground of legal uncertainty even in absence of a taxpayer’s specific request. Keywords: domestic law, general principles, administrative fines, excusing causes, tax law’s objective conditions of uncertainty, synptomatic causes

SOMMARIO: 1. L’evoluzione storico-legislativa della scusante dell’obiettiva incertezza nella legge tributaria. – 2. La scusante dell’obiettiva incertezza della legge quale principio generale dell’ordinamento tri-butario. – 3. La valutazione dell’obiettiva incertezza normativa: la ragionevolezza della inter-pretazione erronea quale presupposto per la operatività della scusante. – 4. Le cause sintomati-che dell’obiettiva incertezza della norma tributaria. – 5. La disapplicazione delle sanzioni am-ministrative da parte del giudice tributario.

1. L’evoluzione storico-legislativa della scusante dell’obiettiva incertezza nella legge tributaria

Il problema della conoscenza della legge tributaria da parte del contri-buente non è mai stato estraneo all’ordinamento tributario sotto il profilo della non punibilità dell’illecito.

Tant’è che negli ultimi anni la giurisprudenza, sia delle Commissioni tri-butarie che della Cassazione, ha applicato in numerose circostanze la scu-sante dell’obiettiva incertezza della legge, prevista da più disposizioni del-l’ordinamento tributario, al fine di escludere la punibilità dell’illecito tribu-tario. E, si sa, nell’ambito della tutela, l’aspetto punitivo, in quanto comporta

Maurizio Logozzo

389

l’irrogazione di sanzioni amministrative (pecuniarie e interdittive) partico-larmente onerose, è maggiormente sentito dal contribuente rispetto a quel-lo, prettamente impositivo, della debenza dell’imposta.

Di qui l’esigenza di fare il punto sull’argomento, partendo brevemente dall’evoluzione legislativa della scusante fino ad analizzare gli ultimi approdi della giurisprudenza e della dottrina, che, pur concordando sulla individua-zione del presupposto applicativo (l’equivocità della norma tributaria), tut-tavia divergono quanto all’aspetto soggettivo, sia dell’organo (giurisdiziona-le e/o amministrativo) che può sancire la non punibilità, sia del soggetto cui deve afferire la situazione di incertezza «sulla portata e sull’ambito di appli-cazione della norma tributaria», che vale ad escludere la punibilità (il giudi-ce e/o il contribuente).

L’elemento scusante dell’illecito tributario per inconoscibilità della legge è stato, anzitutto, ricollegato al fenomeno dell’incertezza della legge tributa-ria, fenomeno che, pur essendosi acuito a seguito delle riforme tributarie degli ultimi decenni, ha radici ben lontane.

Fin dagli anni ’20 del secolo scorso, infatti, il legislatore ha avvertito l’esi-genza di non colpire con sanzioni gli illeciti determinati dalla incertezza del-la normativa tributaria, ed è proprio tale stato di incertezza la principale cau-sa dell’errore incolpevole sulla applicazione della legge tributaria.

La “scusante” dell’obiettiva incertezza della legge tributaria, sia pur con forme e sfumature diverse, è presente quindi da lungo tempo nell’ordina-mento tributario, anzi si potrebbe dire che essa costituiva una peculiarità di tale ordinamento, non essendo prevista in altri settori del diritto (in materia penale, ove senz’altro è più avvertita l’esigenza di tutela della libertà, è oc-corsa la sent. n. 364/1988 della Corte costituzionale per ritenere scusabili gli illeciti determinati da oggettiva incertezza della normativa, che conduce all’ignoranza inevitabile della legge).

Non si può non notare che, nonostante la longevità dell’esimente, la sua storia nell’applicazione giurisprudenziale e nella prassi amministrativa è sta-ta scarsa, anche se di recente, rispetto ad un sistema sempre più confuso, è da segnalare una significativa inversione di tendenza.

Traccia dell’esimente è rinvenibile all’inizio degli anni ’20, cioè nel pe-riodo in cui è avvenuto (con la L. 3 dicembre 1922, n. 1601) il primo riordi-namento del sistema tributario

1.

1 Per una ricognizione di carattere storico della materia, cfr. in particolare MARONGIU, La politica fiscale del fascismo, Lungro di Cosenza, 2005, p. 229; v. anche LOGOZZO, L’igno-ranza della legge tributaria, Milano, 2002, p. 113. Altri cenni di carattere storico sono rin-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

390

Con il R.D. 25 marzo 1923, n. 796, veniva, infatti, disposto, all’art. 9, che «il ministero delle finanze è autorizzato ... ad emanare le disposizioni ... per le riduzioni delle pene pecuniarie stabilite in misura fissa o proporzionale». Anziché con decreto, il Ministero si pronunciò con una “circolare riservata”, con la quale, tra l’altro, dispose la riduzione delle pene pecuniarie nei casi di violazioni determinate da «apprezzamenti discordanti o gravi dubbi» sulla normativa applicabile.

Una tale situazione si era riproposta con il D.M. 1° settembre 1931 (“Nor-me per la determinazione della riduzione delle pene pecuniarie”), emanato in esecuzione dell’art. 63 della c.d. legge fondamentale delle sanzioni tribu-tarie (L. 7 gennaio 1929, n. 4), che, per l’appunto, autorizzava il Ministro delle finanze a dettare le norme necessarie a fissare tali riduzioni. Il decreto ministeriale citato, dopo aver disposto (art. 1) in talune circostanze la ridu-zione delle pene pecuniarie per le violazioni in materia di imposte indirette, aveva stabilito che «può essere consentito l’abbandono totale delle pene pecuniarie quando le violazioni si riferiscono a casi dubbi di applicazione dei tributi e, come tali, riconosciuti dalla amministrazione centrale» (art. 5), e quindi con riferimento a tutti i tributi

2. Specificamente in materia di imposte dirette, con l’art. 15 del R.D. 17

settembre 1931, veniva stabilita l’inapplicabilità della sanzione (ammenda o sovrimposta) «quando l’esistenza del reddito era fondatamente contestabi- venibili in GUALA, La facoltà-potere di dichiarare non dovute le pene pecuniarie per violazioni in materia di imposte sui redditi, in Boll. trib., 1977, p. 1761; MAGNANI, La tutela giurisdizionale contro i provvedimenti sanzionatori dell’Amministrazione finanziaria, in AA.VV., Le sanzioni in materia tributaria, Milano, 1979, p. 171; MALINVERNI, Principi di diritto penale tributario, Pa-dova, 1962, p. 209; DUS, Teoria generale dell’illecito fiscale, Milano, 1957, p. 187.

2 Sull’ambito di applicazione del D.M. 1° settembre 1931, v. CORDEIRO GUERRA, Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996, p. 238. Le questioni che riguardavano l’art. 5 del decreto erano sostanzialmente due: la sua riferibilità a tutti i tributi ovvero ai soli tributi indiretti e la sua applicabilità alle violazioni riferibili ai tributi introdotti con la ri-forma tributaria degli anni ’70. In ogni caso era pacifico che il riconoscimento della scusan-te veniva rimesso alla sola valutazione discrezionale dell’amministrazione finanziaria, non integrando “un diritto del trasgressore” (così, SPINELLI, Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, Milano, 1957, p. 51). Sul punto, come osserva MA-RONGIU, op. ult. cit., p. 228, occorre sottolineare che nel periodo fascista la discrezionalità dell’amministrazione, anche con riferimento al potere sanzionatorio (e quindi anche di riduzione o di abbandono delle sanzioni), si inquadrava nell’ottica del fondamento dello Sta-to totalitario. I provvedimenti dell’allora Guardasigilli Alfredo Rocco, emanati tra il 1925 e il 1930, difatti, erano finalizzati «a porre al centro del nuovo regime il potere esecutivo, potere permanente e continuativo dello Stato» nell’intento di far prevalere il potere esecu-tivo sul potere giudiziario e su quello legislativo (MARONGIU, op. ult. cit., p. 228).

Maurizio Logozzo

391

le nel momento in cui chi vi era obbligato doveva fare la dichiarazione». L’inapplicabilità della sanzione, circoscritta alla violazione relativa alla

omessa dichiarazione dei redditi, con il Testo Unico in materia di imposte dirette (art. 248, T.U. 29 gennaio 1958, n. 645) è stata poi estesa alle ipotesi di omessa, tardiva ed incompleta dichiarazione, quando l’obbligo di dichiara-zione era «fondatamente contestabile per obiettiva incertezza sull’esistenza dei presupposti dell’obbligazione tributaria».

Alla “fondata contestabilità”, che poteva far pensare alla rilevanza di opi-nioni soggettive, era stata aggiunta la locuzione “obiettiva incertezza”, che per la prima volta faceva ingresso nell’ordinamento.

L’ignoranza della legge come causa d’inapplicabilità delle sanzioni veniva esclusa, mentre sembrava attribuirsi rilevanza all’errore di diritto determina-to, per l’appunto, dall’obiettiva incertezza della legge.

Nella disciplina pre-riforma va constatata la differenza tra le locuzioni “obiettiva incertezza” e “dubbi applicativi dei tributi” (art. 5, D.M. 1° set-tembre 1931), potendosi pensare che quest’ultima attribuisse rilevanza giu-ridica ad uno stato psicologico del contribuente di disorientamento circa il si-gnificato della disposizione. Una tale conclusione era smentita dallo stesso art. 5, per il quale la “oggettivazione” dell’esimente veniva conseguita median-te il riconoscimento del “dubbio interpretativo” da parte dell’amministra-zione centrale.

L’art. 248, T.U. n. 645/1958, poneva un problema di parità di trattamen-to tra imposte dirette e indirette, giacché il giudice tributario poteva pro-nunciarsi sulla disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza della legge solo in materia di imposte dirette.

Con i decreti emanati a seguito della riforma tributaria del 1971, il potere di disapplicazione delle sanzioni era stato attribuito unicamente agli organi giurisdizionali e limitato agli illeciti puniti con la pena pecuniaria in materia di imposte sui redditi ed IVA.

Le disposizioni contenute negli artt. 55, ultimo comma, D.P.R. n. 600/1973, e 48, ultimo comma, D.P.R. n. 633/1972, conferivano agli organi del con-tenzioso tributario il potere di dichiarare non dovute le pene pecuniarie quando la violazione fosse giustificata da «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma alle quali si riferisce».

L’espresso richiamo alle pene pecuniarie escludeva dall’ambito delle di-sposizioni richiamate la figura della soprattassa, non potendosi in materia sanzionatoria farsi ricorso ad un’interpretazione analogica o estensiva

3.

3 Così COPPA-SAMMARTINO, (voce) Sanzioni tributarie, in Enc. dir., Milano, 1989, XLI,

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

392

L’incongruenza della normativa sembrava superata dalla previsione con-tenuta nell’art. 39 bis, D.P.R. n. 636/1972

4 (e riprodotta ora dall’art. 8, D.Lgs. n. 546/1992 sul processo tributario), la quale, da una parte, estendeva l’esi-mente a tutti gli illeciti tributari afferenti le imposte rientranti nella giurisdi-zione delle Commissioni tributarie, e, dall’altra, riferendosi genericamente alle sanzioni non penali, attribuiva al giudice tributario il potere di dichiara-re l’inapplicabilità anche delle soprattasse in presenza di violazioni giustifi-cate dalle medesime obiettive condizioni di incertezza.

In realtà, però, le fattispecie speciali di inapplicabilità delle sanzioni pre-viste dai citati artt. 55 e 48 (rispettivamente in materia di imposte sui redditi ed IVA) sembravano distinguersi dalla fattispecie generale di cui all’art. 39 bis (e successivamente dall’art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992) sia sotto il profilo oggettivo, essendo la disapplicazione circoscritta alle sole pene pecuniarie (e non anche alle soprattasse e alle “pene accessorie”), sia sotto il profilo sog-gettivo, essendo attribuito il potere in oggetto (apparentemente a carattere discrezionale) a tutti gli organi del contenzioso tributario, compresa, quindi, nel previgente sistema, la Corte d’Appello quale giudice di terzo grado

5. Sui rapporti fra la fattispecie generale di cui all’art. 39 bis del D.P.R. n.

636/1972 (riprodotto dall’art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992) e le citate fattispe-cie speciali erano state prospettate diverse soluzioni

6 sulle quali è inutile dif-fondersi, essendo la questione superata dall’abrogazione espressa dagli artt. 55, D.P.R. n. 600/1973, e 48, D.P.R. n. 633/1972, ad opera della nuova leg-ge sulle sanzioni amministrative in tema di imposte sui redditi e IVA (art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997, ed ora art. 10, comma 3, L. n. 212/2000, Sta-tuto dei diritti del contribuente).

Constatando le scansioni dell’evoluzione legislativa, il principio della scu-sabilità dell’illecito per obiettive condizioni di incertezza della legge tributa-ria pare avere trovato assestamento in una certa logica istituzionale.

p. 239; MANDÒ, Note minime sull’u.c. dell’art. 48 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633, in Boll. trib., 1980, p. 350.

4 Introdotto con la novella sul processo tributario di cui al D.P.R. 3 novembre 1981, n. 739. 5 COPPA-SAMMARTINO, op. cit., p. 449, che rilevano la maggiore estensione dell’ambito

di applicazione degli artt. 48 e 55 rispetto all’art. 39 bis anche sulla base del potere di sin-dacato della Corte d’Appello e della Corte di Cassazione sulla inapplicabilità delle sanzioni amministrative tributarie.

6 V. LOGOZZO, L’obiettiva incertezza della legge nella violazione degli obblighi tributari, in Rass. trib., 1998, p. 977.

Maurizio Logozzo

393

Alcuni punti meritano di essere evidenziati. In primo luogo, si registra un’evoluzione del concetto di “incertezza della legge” giuridicamente rile-vante. Dapprima apparso nella circolare ministeriale n. 1620/1923 con la locuzione “apprezzanti discordanti e gravi dubbi”, è stato in seguito attenua-to con l’espressione “casi dubbi”, per poi essere ancorato «alla fondata con-testabilità per obiettiva incertezza dei presupposti dell’obbligazione tributa-ria» ed infine essere esplicitato come «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria»: il “dubbio”, che è concetto che sottende uno spiccato elemento soggettivo, scompare e cede il passo ad un metro di valutazione di tipo squisitamente oggettivo.

Le espressioni rinvenibili nell’evoluzione legislativa appaiono quindi di-verse, tanto da far pensare, da un punto di vista letterale, ad una portata e ad un significato del concetto di incertezza della legge di diversa ampiezza. Tut-tavia, esse, nella sostanza, esprimono una identità di ratio: quella di evitare la punibilità dell’illecito tributario nell’ipotesi di un’incertezza normativa og-gettivamente apprezzabile.

Il secondo aspetto da mettere in luce è la progressiva estensione dell’esi-mente dell’obiettiva incertezza della legge alla totalità delle violazioni tribu-tarie, con riguardo a tutti i tributi (erariali o locali) esistenti nell’ordinamen-to, e l’attribuzione del potere di applicazione della scusante, oltre che alle Commissioni tributarie, alla stessa amministrazione finanziaria (che può non procedere, quindi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative). Ma il pun-to, come si vedrà, è controverso.

2. La scusante dell’obiettiva incertezza della legge quale principio generale dell’ordinamento tributario

La patologica incertezza del diritto tributario è dimostrata dal fatto che, paradossalmente, lo stesso legislatore, in una “materia riservata” (art. 23 Cost.), prevede lo “stato d’incertezza” come causa di esclusione della puni-bilità.

È proprio tale stato di incertezza della legislazione tributaria che fa da sfondo al principio generale della scusabilità dell’errore di diritto incolpevo-le, principio immanente a qualsiasi settore del diritto punitivo (penale e amministrativo) e che da lungo tempo, come si è visto, è espressamente ri-conosciuto in materia tributaria.

Anzi, potremmo dire che nell’ordinamento tributario v’è ormai un’ab-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

394

bondanza di disposizioni che si riferiscono all’errore determinato dall’obiet-tiva incertezza della legge nelle sue varie manifestazioni.

È noto che lo Statuto dei diritti del contribuente qualifica la scusante del-l’obiettiva incertezza della norma tributaria quale principio generale del-l’ordinamento tributario: le sanzioni tributarie non possono essere irrogate quando «la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria» (art. 10, comma 3, L. n. 212/2000)

7. Analogamente, l’art. 8, D.Lgs. n. 546/1992, attribuisce alle Commissioni

tributarie il potere di dichiarare non applicabili le sanzioni amministrative quando la violazione è giustificata da «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce».

Tale potere di disapplicazione, come si vedrà, compete anche alla Corte di Cassazione, quando si pronunci sul merito della questione ad essa sotto-posta ai sensi dell’art. 384 c.p.c.

L’obiettiva incertezza della legge tributaria è configurata, inoltre, dall’art. 6, D.Lgs. n. 472/1997, come causa di non punibilità: non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incer-tezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si

7 LOGOZZO, L’ignoranza della legge tributaria, cit., p. 152 ss. Sull’esimente dell’obiettiva incertezza, senza pretesa di esaustività, v., tra gli altri RUSSO, La disapplicazione delle san-zioni per l’obiettiva incertezza della norma tributaria, in Statuto dei diritti del contribuente, a cura di A. Fantozzi e A. Fedele, Milano, 2005, p. 560; TINDARI-MENCHINI-MICCINESI, Il nuovo processo tributario, Milano, 2004, p. 113; LOGOZZO, Dichiarazione di non applicabili-tà delle sanzioni, in AA.VV., Il processo tributario, a cura di F. Tesauro, Torino, 1998, p. 151 ss.; MARONGIU, La nuova disciplina delle sanzioni amminsitrative tributarie, in Dir. prat. trib., 1997, I, p. 264; FALSITTA, Rilevanza delle circolari interpretative e tutela giurisdizionale del contribuente, in Studi in onore di E. Allorio, Milano, 1989, II, p. 1819; COLLI VIGNARELLI, Errore scusabile ed abbandono delle sanzioni pecuniarie, in Rass. trib., 1987, II, p. 1138 ss.; ID., La Suprema Corte interviene in tema di “obiettive condizioni di incertezza” della norma tributaria, in Rass. trib., 2008, II, p. 470; BATISTONI FERRARA, Principio di personalità, ele-mento soggettivo e responsabilità del contribuente, in Dir. prat. trib., 1999, I, p. 1515; DEL FE-DERICO, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, p. 494; DELLA VALLE, L’esimente dell’obiettiva incertezza, in AA.VV., La riforma delle sanzioni amministrative e tri-butarie, a cura di G. Tabet, Padova, 2000, p. 115; FICARI, La disapplicazione delle sanzioni amministrative nei procedimenti tributari, in Rass. trib., 2002, II, p. 473; RANDAZZO, L’inap-plicabilità delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza delle norme, in Corr. trib., 1986, p. 3010; GIOVANNINI, Disapplicazione delle sanzioni e processo tributario, in Giur. it., 1997, IV, p. 48; ID., Errore e sanzioni amministrative tributarie: la buona fede oggettiva esclude la pena, in Giust. trib., 1999, p. 616; LOGOZZO, L’obiettiva incertezza, cit., p. 975; MARONGIU, Lo statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2010.

Maurizio Logozzo

395

riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e il pagamento

8. Anche nell’ambito dell’illecito penale tributario, la scusante dell’obiettiva

incertezza è stata prevista dall’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000, il quale stabilisce che al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’art. 47, com-ma 3, c.p. (errore sulla norma extra penale che incide sul fatto che costitui-sce reato), non danno luogo a fatti punibili le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione

9. È interessante rilevare il “passaggio” della scusante dell’obiettiva incer-

tezza dall’ordinamento tributario all’ordinamento penale tributario, e, al con-tempo, l’estensione all’ordinamento tributario della scusante dell’ignoranza inevitabile della legge tributaria, già prevista dall’art. 5, c.p., ad opera dell’art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 472/1997.

Si è verificata così una sorta di “omogeneizzazione” dei due ordinamenti in tema di errore sul precetto, che risulta maggiormente evidente ove si col-ga la portata dell’art. 10, L. n. 212/2000, che prevede, nell’ipotesi di affida-mento legittimo del contribuente in atti formali dell’Amministrazione e di obiettiva incertezza della legge, la non applicabilità delle “sanzioni”, senza alcuna specificazione circa il “tipo” di sanzioni.

La mancanza di qualificazione circa il “tipo” di sanzione e la portata di principio generale fanno ritenere che l’art. 10 dello Statuto si riferisca sia alle sanzioni tributarie amministrative, sia alle sanzioni penali, come peraltro dimostrato dal fatto che nel testo finale dello stesso articolo è scomparso l’inciso “amministrative” riguardante le sanzioni, che appariva nel testo origi-nario

10.

8 AMBROSETTI, Art. 6 D.lgs. n. 472/1997, in Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative, a cura di F. Moschetti e L. Tosi, Padova, 2000, p. 181 ss.

9 Su tale problematica v., tra tutti, SOANA, I reati tributari, Milano, 2005, p. 336 ss.; MU-SCO, Diritto penale tributario, Milano, 2002, p. 360 ss. Si rammenta che l’obiettiva incertez-za della legge tributaria era già considerata dalla giurisprudenza penale quale presupposto dell’applicazione dell’art. 5 c.p. in tema di ignoranza inevitabile della legge.

10 Anche nel settore penale si potrebbe prospettare l’abrogazione tacita da parte del-l’art. 10 Statuto dei diritti del contribuente (come è stato prospettato da parte della dottri-na tributaristica con riguardo all’art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 e all’art. 8, D.Lgs. n. 546/1992) della disposizione che, antecedentemente prevedeva la scusante dell’obiettiva incertezza della legge tributaria (art. 15, D.Lgs. n. 74/2000), perché la nuova legge regola in maniera più specifica la stessa materia già regolata dalla legge anteriore: oltre l’obiettiva incertezza, la scusabilità dell’illecito, anche in campo penale, si estende alle ipotesi di affi-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

396

Le fonti legali della scusante dell’obiettiva incertezza, sono, pertanto, tal-mente numerose che fanno apparire tale causa di non punibilità come un istituto generale dell’ordinamento tributario.

In linea generale, si può affermare che con la locuzione “obiettiva incer-tezza normativa” si intende fare riferimento ad una seria perplessità sul si-gnificato della disposizione tributaria applicabile al caso concreto, che può tradursi nell’ignoranza del suo “vero” contenuto.

L’incertezza normativa è assunta come elemento “obiettivo”, il che signifi-ca che il dato normativo non è “oggettivamente” in grado di assolvere corret-tamente la sua funzione, quella di indicare con precisione e chiarezza il comportamento da tenere nel caso concreto. La norma appare inintelligibi-le nel suo contenuto (“portata”) o nella sua estensione applicativa (“ambito di applicazione”). Ciò comporta l’esistenza di effettive difficoltà di applica-zione della norma perché la volontà legislativa in cui si sostanzia il “precet-to” non è esattamente comprensibile.

In merito alla portata della scusante in esame sono stati elaborati diversi orientamenti.

Un primo indirizzo enfatizza il profilo “oggettivo”, sicché la scriminante opererebbe nei casi di “assoluta oscurità” del testo normativo, in presenza cioè di una formulazione gravemente imprecisa, lacunosa o contraddittoria, tanto da rendere la norma praticamente inapplicabile.

Secondo questo orientamento, l’indagine sull’esistenza delle condizioni di incertezza deve concentrarsi sulla norma violata, al fine di stabilire se tale norma, in sé o in relazione con altre norme, possa definirsi come assoluta-mente incomprensibile

11. Una valutazione, quindi, della conoscibilità della norma in termini astratti ed assoluti, che porta a ritenere che nessuno, nean-che il giudice, sia in grado di ricostruirne l’autentico significato.

L’incertezza della norma si risolverebbe quindi in una pluralità di inter-pretazioni possibili, senza che nessuna di esse riesca ad imporsi come esatta. damento del contribuente in atti ovvero in comportamenti concludenti dell’amministra-zione finanziaria.

11 FLORA, Profili penali in materia di imposte dirette ed IVA, Padova, 1979, p. 237. Questa tesi è stata sviluppata dalla dottrina penalistica in relazione alla fattispecie, indicata dalla Corte cost. n. 364/1988, dell’ignoranza inevitabile della legge derivante dalla “assoluta oscurità del testo legislativo”. La dottrina penalistica è unanime nel ritenere che un’ipotesi di tal genere conduce alla illegittimità della norma per difetto di determinatezza, v. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2004, p. 100 ss., il quale sottolinea che in ipotesi di tal genere non si pone neppure una questione di colpevolezza del singolo, bensì più radicalmente una questione di oggettiva assenza di una regola di condotta.

Maurizio Logozzo

397

Una seconda tesi attribuisce rilievo all’elemento soggettivo, nel senso che la scusante dell’obiettiva incertezza rappresenterebbe una vera e propria giustificazione soggettiva posta a tutela della buona fede del contribuente: essa si risolverebbe nell’applicazione di un principio equitativo di giustizia sostanziale ovvero in un istituto assimilabile alle cause di esclusione della colpevolezza previste dal diritto penale, con ciò giungendo a coprire anche ipotesi di ignoranza pura e semplice

12. I due orientamenti descritti, esasperando l’uno l’astratta oscurità della

legge, l’altro le condizioni soggettive del contribuente, snaturano la funzio-ne dell’esimente.

Il carattere oggettivo dell’esimente dell’obiettiva incertezza della legge tributaria non può essere portato all’estremo di una inconoscibilità assoluta, cioè dell’impossibilità anche per il giudice di cogliere un significato plausibi-le della norma in relazione al caso concreto.

In presenza di una tale situazione, l’incertezza è intrinseca alla norma perché non sono sufficienti a rimuoverla né una piena prova dei fatti su cui verte la controversia, né un’approfondita conoscenza del diritto, né una per-fetta padronanza del linguaggio giuridico. Ed allora a venire in considera-zione non è tanto il tema della colpevolezza, sia pure sotto il profilo della conoscibilità in concreto della legge, quanto piuttosto il canone della “de-terminatezza” della fattispecie normativa (art. 23 Cost.), la cui violazione condurrebbe in simili casi alla illegittimità costituzionale della disposizione.

Una siffatta impostazione è inaccettabile perché restringerebbe entro li-miti troppo angusti, non conformi alla sua ratio, la portata della scusante.

Di contro, la tesi “soggettivistica”, tendendo a giustificare erronee inter-pretazioni soggettive o comportamenti illeciti caratterizzati dall’assenza del-la “volontà di evadere l’imposta”, estenderebbe la scusante ad ipotesi al di fuori della sua portata e che tuttalpiù possono assumere rilevanza sotto il di-verso profilo dell’errore “inevitabile”, cioè di esclusione della colpa in rela-zione all’illecito.

Occorre chiarire, invece, che la scusante va ricostruita in termini oggetti-vi, senza, tuttavia, giungere all’ipotesi estrema (incostituzionalità della di-sposizione legislativa) innanzi delineata.

12 PIGHI, Colpevolezza ed elemento soggettivo nell’illecito penale amministrativo, in AA.VV., L’illecito penale amministrativo, Padova, 1987, p. 58. Secondo parte della dottrina tributa-ria, per l’applicazione della scusante dell’obiettiva incertezza occorre anche la coesistenza del requisito della buona fede soggettiva, v. DEL FEDERICO, Le sanzioni amministrative, Mi-lano, 1993, p. 500; RANDAZZO, op. cit., p. 3012.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

398

L’elemento fondante è dato dal requisito della conoscibilità del significa-to della legge valutato su basi oggettive, requisito costitutivo dell’ampia no-zione di colpevolezza.

La conoscibilità in concreto della legge rappresenta una pre-condizione oggettiva rispetto alla valutazione dell’elemento soggettivo. Questo importa che l’obbligo per il giudice di verificare la sussistenza di insuperabili difficol-tà interpretative, si pone come antecedente rispetto a qualsiasi altro tipo di giudizio: l’esistenza di tali difficoltà è da sola sufficiente ad escludere qual-siasi rimprovero all’agente, senza che vengano in considerazione apprezza-menti di tipo subiettivo.

In altre parole, è la situazione oggettiva di mancanza di chiarezza e siste-maticità dell’ordinamento tributario, che, determinando l’inintelligibilità della norma, rende scusabile la violazione: l’equivocità della previsione nor-mativa, comportando interpretazioni diverse, in un determinato momento, pre-clude l’individuazione del “certo” significato della legge.

In detta prospettiva, l’impossibilità in concreto di avere un’esatta cono-scenza del precetto potrebbe essere paragonata ad una sorta di “forza mag-giore” proveniente direttamente dalla legge, la cui incomprensibilità è causa del comportamento illecito. È “l’impossibilità di agire diversamente” che de-termina l’esclusione della colpevolezza, esclusione prevista “convenzional-mente” dalla legge, senza la necessità di un accertamento che si rifletta sul-l’elemento soggettivo

13. La rilevanza della scusante scatta quindi in presenza di oggettive difficol-

tà di conoscenza dell’ordinamento, che confliggono con i valori di certezza e determinatezza delle fattispecie tributarie desumibili dal dettato costituzio-nale; tali valori assumono una portata autonoma e preliminare rispetto al giudizio di colpevolezza in senso stretto, che interessa l’elemento soggettivo del dolo e della colpa in relazione al fatto.

L’elemento scusante viene, quindi, ad incentrarsi non su un mero dato psicologico, sull’errore di interpretazione del singolo, ma sul dato “oggettivo”

13 V. GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, p. 738 ss., in cui l’Autore definisce la scusante come un «congegno opportunamente sostitutivo del mero accerta-mento». In un sistema caratterizzato dall’incertezza normativa, la non applicazione delle sanzioni risulta più efficace dell’azione di mero accertamento, nel senso che la lite inter-viene solo quando l’amministrazione non ritiene esatta la soluzione data dal contribuente alla questione giuridica: in tal caso, se la norma è incerta, il giudice deve dichiarare la non applicabilità delle sanzioni. Rimane, però, il problema dell’obbligazione accessoria costituita dagli interessi moratori, che sono dovuti assieme all’imposta nonostante l’accertamento giudiziale dell’incertezza della norma tributaria (e ciò diversamente da quanto previsto per la fattispecie di “affidamento” dall’art. 10, comma 2, L. n. 212/2000).

Maurizio Logozzo

399

dell’incertezza normativa derivante o da una difficile ricostruzione del signi-ficato della norma tributaria per l’oscurità del testo legislativo ovvero da elementi “qualificati”, quali l’affidamento nella giurisprudenza consolidata o nelle indicazioni fornite dall’ente impositore.

Situazioni di tal genere danno fondamento ad una previsione legale di assenza di colpevolezza, in quanto non è rimproverabile il soggetto che ha posto in essere un comportamento errato a causa della erronea interpretazio-ne della norma da applicare al caso concreto.

Questa nostra ricostruzione 14 è stata recepita dalla giurisprudenza della

Cassazione con la sentenza del 28 novembre 2007, n. 24670 15 (confermata

dalla successiva sentenza del 21 marzo 2008, n. 7765) 16, che individua l’in-

certezza in quello stato intellettivo del soggetto rapportato ad un dato og-getto, nel caso di specie la norma tributaria, che si colloca in una zona me-diana fra la conoscenza piena e sicura e l’ignoranza, distinguendosi da quest’ultima in quanto non si tratta di totale mancanza di conoscenza, ma di conoscenza insufficiente e insicura, o equivoca.

In altri termini, è orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Cassazione, come dimostrato da recentissime sentenze della Sezione tributaria

17, che l’obiettiva incertezza costituisce principio generale dell’or-dinamento, che conduce alla disapplicazione delle sanzioni amministrative: si tratta di uno dei pochi casi in cui la giurisprudenza, in materia di sanzioni tributarie, ha accolto le tesi avanzate dalla dottrina.

In particolare, l’“incertezza normativa” consiste, secondo la Corte, «nella situazione in cui si viene a trovare un soggetto, quando egli, dopo aver per-corso tutte le fasi proprie del procedimento d’interpretazione normativa, giunge a confezionare più norme, cui si connettono necessariamente più si-gnificati, o a confezionare una norma, alla cui formula linguistica sia possibi-le attribuire più significati, senza avere, in entrambi i casi, la sicurezza che il

14 LOGOZZO, L’ignoranza della legge tributaria, cit., passim. 15 In Rass. trib., 2, 2008, p. 470, con nota di COLLI VIGNARELLI, La Suprema Corte inter-

viene in tema di “obiettive condizioni di incertezza normativa”, cit.; v. anche GIOVANNINI, Po-tere punitivo e incertezza della legge, in Giur. it., 2008, p. 2081.

16 In tale ultima sentenza la disapplicazione delle sanzioni amministrative tributarie sul-la base della scusante dell’obiettiva incertezza è rapportata anche ai principi della buona fede e dell’affidamento: buona fede oggettiva e affidamento si devono intendere come at-tuativi del superiore e più ampio principio del “diritto mite” e dunque funzionali ad impe-dire che possa essere pregiudicato chi abbia ragionevolmente confidato, sulla scorta della comune esperienza e della normale diligenza, nella correttezza del proprio operato.

17 V. Cass., sez. trib., 20 aprile 2012, n. 6259; Cass., sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4685.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

400

risultato conseguito sia l’unico tecnicamente possibile». Dall’incertezza normativa va distinta l’ignoranza, che attiene alla assoluta

non conoscenza della disposizione di legge: quando essa è “inevitabile” per-ché causata da fattori estranei all’agente che impediscono oggettivamente la conoscenza, si esclude la punibilità dell’illecito (art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 472/1997).

Nella stessa sentenza, la Suprema Corte distingue l’incertezza oggettiva da altre forme di conoscenza poste in posizione intermedia tra l’ignoranza e la conoscenza, facendo particolare riferimento alla conoscibilità o cono-scenza potenziale. Quest’ultima, «pur collocandosi in una ... posizione me-diana tra ignoranza e conoscenza tout court, è strutturalmente diversa dal-l’incertezza oggettiva. Infatti, la conoscibilità è lo stato nel quale si trova il soggetto che è ancora ignorante, ma che, impegnandosi nello sforzo di asso-ciarsi alla conoscenza di altri ed adottando un idoneo comportamento, può acquisire la conoscenza resagli possibile e transitare dall’ignoranza alla co-noscenza effettiva; l’incertezza oggettiva, invece, non è più ignoranza, per-ché è conoscenza insicura ed equivoca di qualcosa, ma chi si trova calato in essa non è in grado di addivenire ad una conoscenza effettiva, piena e sicura».

La distinzione è chiara: nel caso di “conoscibilità”, il soggetto con uno “sforzo” è in grado di acquisire una “conoscenza effettiva, piena e sicura”; nel caso di “incertezza oggettiva”, nonostante questo “sforzo”, il soggetto non è in grado di acquisire detta conoscenza, rimanendo in uno stato di cono-scenza “insicura ed equivoca”.

La Corte afferma, quindi, che le sanzioni amministrative non sono, co-munque, irrogabili quando la violazione dipende da incertezza oggettiva della normativa, cioè dal «risultato equivoco dell’interpretazione delle norme tributarie»

18.

3. La valutazione dell’obiettiva incertezza normativa: la ragionevolezza del-la interpretazione erronea quale presupposto per la operatività della scu-sante

La valutazione della obiettiva incertezza si incentra, alla luce di quanto detto, su un procedimento complesso, basato non tanto (o comunque non solo) sulla verifica dell’agevole comprensione della norma da parte del con-

18 In tal senso, v. LOGOZZO, L’ignoranza della legge tributaria, cit., p. 152.

Maurizio Logozzo

401

tribuente, quanto sull’inesigibilità della condotta richiesta dalla norma in presenza di elementi qualificati (prassi giudiziaria e amministrativa, opinioni dottrinali), che possono essere causa di disorientamento circa l’esatta appli-cazione della norma stessa.

Il comportamento esigibile è il comportamento che, sulla base della sin-gola o di più disposizioni, può essere percepito dal contribuente come dove-roso e giudicato dal giudice come dovuto nella situazione concreta (rispet-tivamente ex ante ed ex post). Così si giunge a considerare l’esigibilità come una regola generale di valutazione del comportamento del contribuente ri-spetto all’essere (formulazione) e al manifestarsi (applicazione) della norma secondo l’intendimento del giudice: la ratio dell’esimente può essere rinve-nuta nell’inesigibilità nel caso concreto del comportamento conforme alla legge così come interpretata dal giudice.

Viene quindi in considerazione il principio della buona fede oggettiva in-teso come «possibilità oggettiva di conoscenza del corretto significato della norma tributaria» a cui conformare il proprio comportamento.

Perché si producano gli effetti della scusante occorre una valutazione che accerti non la buona fede soggettiva, intesa come ragionevole convincimen-to del contribuente di porre in essere una condotta lecita, ma la buona fede oggettiva, che si fonda sulla possibilità di conoscenza in concreto della leg-ge. Si può dire, perciò, che l’esimente dell’obiettiva incertezza costituisce una fattispecie di limitata tutela della buona fede soggettiva, poiché questa non è protetta se non in ragione e nei limiti di una maggiore o minore chia-rezza ed univocità della normativa.

Il metro della “esigibilità” è determinato quindi dalla buona fede oggetti-va, che permea, in base allo Statuto dei diritti del contribuente, l’attuazione del rapporto tributario. Oggetto della valutazione è il rapporto tra chiarezza dell’ordinamento e i suoi destinatari: se tale rapporto è incrinato, il compor-tamento corretto diventa inesigibile.

Come è stato giustamente osservato, l’applicazione dell’esimente non impone una valutazione dell’elemento soggettivo, «essendo sufficiente, a mo’ di antecedente logico, una ricognizione obiettiva della difficoltà appli-cativa, giacché l’autore può anche rappresentarsi la possibile, eventuale vio-lazione in esito al comportamento, ma se la previsione calpesta i principi di chiarezza e certezza nessuna sanzione può essere ugualmente irrogata, non essendo egli rimproverabile neppure per mancanza di diligenza e perizia»

19.

19 GIOVANNINI, Potere punitivo, cit., p. 2081 ss.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

402

Il vaglio del giudice tributario in ordine all’esistenza del requisito dell’o-biettiva incertezza non è un giudizio sul significato della disposizione di leg-ge violata. Trattasi, invece, di un giudizio sulla maggiore o minore chiarezza ed univocità della norma violata, tenuto conto non solo del testo della di-sposizione e del complesso normativo in cui essa è inserita, ma anche della presenza di orientamenti interpretativi provenienti da organi amministrativi o giurisdizionali che hanno influenzato l’applicazione della disposizione ope-rata dal contribuente: è l’accertata impossibilità di cogliere con immediatezza il significato della norma tributaria, vuoi per l’oscurità del testo normativo, vuoi per la ricorrenza di qualificati elementi positivi, che legittima il giudice tributario a dichiarare inapplicabili le sanzioni amministrative.

La Suprema Corte ha avuto modo di mettere in rilievo, sotto tale profilo, che l’esimente in parola può trovare applicazione, nelle ipotesi di incertezza normativa, anche in caso di “disobbedienza” del contribuente alle istruzioni contenute negli atti espressivi della c.d. interpretazione ministeriale, conte-nuta in circolari o risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, in quanto questi ultimi sono privi di efficacia normativa vincolante per il contribuente e per il giudice tributario, che è chiamato ad un giudizio sulla “incertezza” delle sole disposizioni aventi efficacia normativa

20. È necessario precisare a tal punto che il giudizio sull’esistenza dell’obiet-

tiva incertezza deve avere per oggetto la situazione di fatto esistente al mo-mento in cui il soggetto era chiamato ad applicare la disposizione violata: l’idoneità di una determinata circostanza impeditiva della corretta com-prensione della legge, va valutata, quindi, esclusivamente mediante un giu-dizio ex ante, essendo irrilevanti eventuali circostanze sopravvenute (quale, ad esempio, il chiaro orientamento della giurisprudenza di legittimità).

È il rapporto di causalità diretta tra incertezza normativa e illecito fiscale che giustifica la non punibilità della violazione. Qui si incentra un motivo di pro-fondo dissenso con quanto sostenuto dalla Cassazione, la quale sembra re-stringere l’obiettiva incertezza solo al giudice tributario, svincolando «la ve-rifica dell’intelligibilità della norma dall’uomo di media esperienza, scienza e diligenza»

21. Si vuole qui affermare che le norme tributarie si indirizzano, oltre che al-

l’Amministrazione ed al giudice, anche ai contribuenti, giacché i presuppo-

20 Sul punto, v. Cass., sez. trib., ord. 28 dicembre 2011, n. 29401, con nota di LOGOZZO, Le istruzioni per le dichiarazioni non escludono l’obiettiva incertezza della legge tributaria, in Corr. trib., 2012, p. 810.

21 GIOVANNINI, Potere punitivo, cit., p. 2081 ss.

Maurizio Logozzo

403

sti d’imposta si verificano nei loro confronti. Difatti, la c.d. fiscalità di massa trova espressione nella concreta applicazione delle imposte, che, nella gene-ralità dei casi, è compito affidato direttamente ai contribuenti. Sicché, l’o-biettiva incertezza, causa dell’erronea interpretazione, riguarda anche (se non soprattutto) il contribuente chiamato ad applicare la legge tributaria. Di qui l’esigenza che il giudice rapporti l’erronea interpretazione alla cono-scenza diligente del contribuente medio, cioè al parametro della “esigibilità” determinato dalla buona fede oggettiva (come esplicitato nel paragrafo suc-cessivo).

Orbene, la valutazione della sussistenza della obiettiva incertezza rientra nel libero apprezzamento del giudice. L’art. 8, D.Lgs. n. 546/1992, nel con-templare l’obiettiva incertezza della disposizione violata come ragione di esonero dalle sanzioni tributarie, riconosce al giudice un’ampia discreziona-lità di valutazione, alla stregua del collegamento della causa di non punibili-tà con l’esito dell’apprezzamento del difetto di “chiarezza” della disposizione violata.

Il giudice tributario, libero nel suo giudizio, non deve perseguire (a diffe-renza dell’amministrazione finanziaria) l’interesse fiscale, ma giudicare uni-camente la conformità della condotta del contribuente alla legge tributaria, dichiarandone l’immunità sanzionatoria ogni qualvolta l’irrazionalità e la complessità della legislazione costituiscono causa della sua inosservanza.

In base a quanto detto, è da condividere l’orientamento recentemente confermato dalla Cassazione in base al quale l’incertezza normativa oggetti-va «postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’og-getto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equi-vocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa»

22. Da ultimo, infatti, la Corte di Cassazione ha rilevato che la “ragionevo-

lezza” di un’interpretazione erronea della norma tributaria, che ha causato l’illecito contestato dall’amministrazione finanziaria, funge da parametro per il riconoscimento di quell’incertezza normativa oggettiva, che costituisce la causa di esclusione della responsabilità amministrativa tributaria del contri-buente. Come giustamente sottolinea la Cassazione, non sono idonee a fon-dare l’esenzione della responsabilità tributaria “ragioni di carattere equitati-vo”. Tale conclusione, del tutto condivisibile, costituisce un’ulteriore evolu-zione circa la precisazione delle condizioni che devono sussistere affinché sia riconosciuta l’applicabilità della scusante.

22 Cass., sez. trib., 25 giugno 2009, n. 14987, in GT-Riv. giur. trib., 2009, p. 1062.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

404

Tuttavia, la Corte riferisce il procedimento d’interpretazione al solo giu-dice, «unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione»

23. L’originalità della posizione da ultimo assunta dalla Cassazione consiste

nell’aver messo per la prima volta in evidenza ciò che emergeva implicita-mente dalla più recente giurisprudenza pronunciatasi sul punto: il giudizio sulla ragionevolezza della interpretazione erronea quale condizione per il rico-noscimento di una situazione di inevitabile incertezza normativa.

Orbene, secondo la Corte, tale giudizio può essere espresso, come si è detto, solo dal giudice, al quale è attribuito il potere-dovere di interpretare la legge, e quindi di valutare la intrinseca ragionevolezza di talune interpreta-zioni che si rivelano erronee a causa di una insicura ed equivoca formulazio-ne della legge

24. Certamente sono da condividere le argomentazioni e le conclusioni a cui è giunta la Cassazione, stimolata anche dalla dottrina, circa la definizione dei presupposti della scusante dell’obiettiva incertezza, che vanno accertati dal giudice.

Tuttavia, preme rilevare che non è il giudice tributario il solo depositario del potere di disapplicazione delle sanzioni amministrative, come sostiene la Cassazione. Difatti, nella sent. n. 24670/2007, la Suprema Corte giunge ad affermare che l’unico soggetto legittimato a dichiarare non dovute la sanzioni amministrative tributarie sarebbe il giudice tributario, in quanto le condizioni di obiettiva incertezza della normativa sarebbero solo a lui giuridicamente rapportabili e conseguentemente le norme dettate in materia dal legislatore avrebbero come unico destinatario lo stesso giudice mentre l’ufficio tributario non avrebbe potestà di disapplicare, di sua iniziativa, le sanzioni.

Non c’è dubbio che se le sanzioni sono state irrogate dall’amministrazio-ne finanziaria o da qualunque altro ente impositore, il giudizio sulla esisten-za della situazione di obiettiva incertezza compete al giudice; ma non si di-mentichi, però, che il potere di irrogazione delle sanzioni amministrative tri-

23 Cass., sez. trib., 25 giugno 2009, n. 14987, cit. 24 La Suprema Corte, anche con la sent. n. 24670/2007 (in Rass. trib., 2, 2008, p. 470),

giunge ad affermare che l’unico soggetto legittimato a dichiarare non dovute le sanzioni am-ministrative tributarie sarebbe il giudice tributario, in quanto le condizioni di obiettiva incer-tezza della normativa sarebbero solo a lui giuridicamente rapportabili e conseguentemente le norme dettate in materia dal legislatore avrebbero come unico destinatario lo stesso giudice mentre l’ufficio tributarlo non avrebbe potestà di disapplicare, di sua iniziativa, le sanzioni. La posizione della Suprema Corte è stata oggetto di critiche dalla dottrina, v. COLLI VIGNARELLI, La Suprema Corte interviene in tema di “obiettive condizioni di incertezza nor-mativa”, cit., p. 470.

Maurizio Logozzo

405

butarie spetta unicamente all’amministrazione finanziaria, la quale può ben decidere, con riguardo a situazioni caratterizzate da un’evidente incertezza normativa (cioè in presenza di quelle cause sintomatiche che la stessa giuri-sprudenza della Cassazione ha delineato), di non irrogare le sanzioni.

Difatti, l’obiettiva incertezza è configurata come causa di non punibilità dalla legge fondamentale sulle sanzioni amministrative tributarie (art. 6, D.Lgs. n. 472/1997), nonché dallo Statuto dei diritti del contribuente (art. 10, comma 3, L. n. 212/2000): il riconoscimento di tale causa di non puni-bilità legittima la stessa amministrazione finanziaria a non applicare le san-zioni tributarie. Difatti, emerge inequivocabilmente dalla formulazione let-terale di dette disposizioni nonché dai lavori preparatori, che il legislatore ha inteso allargare i soggetti legittimati alla non applicazione delle sanzioni amministrative, già in una fase antecedente ed a prescindere dall’eventuale processo. D’altra parte, la potestà punitiva compete all’ente impositore la cui azione deve sempre ispirarsi al principio di buona fede oggettiva e del buon andamento (art. 97 Cost.); il che si traduce anche nel potere di rinun-ciare alle sanzioni, «rinuncia che non nega il potere, ma che lo dirige al su-periore al fine della giustizia, al quale in fondo l’ordinamento tende o do-vrebbe tendere indipendentemente dall’intervento dell’Autorità giudiziaria»

25. D’altra parte, è questo ciò che avviene, sia pur raramente, nella pratica.

4. Le cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza della norma tributaria

Volendo esaminare più da vicino quali siano le situazioni che in concreto consentono il ricorso all’esimente, non si può non tenere presente che il con-cetto di obiettiva incertezza non è, come si è detto, definibile in astratto, ma va verificato in relazione all’applicazione della norma al caso concreto. È quindi alla giurisprudenza che spetta precipuamente il compito di valutare se, nel caso concretamente esaminato, possa ravvisarsi una situazione di obietti-va incertezza. L’orientamento di massima che sembra potersi cogliere dall’e-same della giurisprudenza è che l’esimente sia stata riconosciuta in situazioni nelle quali non è dato ravvisare un elevato grado di chiarezza normativa o, comunque, di una in equivoca interpretazione della norma tributaria.

Dalla casistica elaborata dalla giurisprudenza e dalla dottrina, si possono individuare una pluralità di cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza, va-

25 V. GIOVANNINI, Potere punitivo, cit., p. 2081 ss.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

406

levoli come concreti modelli di riferimento e non certamente come ipotesi tassative a cui ricondurre l’applicabilità della scusante.

Si tratta di cause che coincidono sostanzialmente con quelle desumibili dalla giurisprudenza in tema di ignoranza inevitabile nell’ambito dell’illecito penale e dell’illecito pubblico ed in tema di errore scusabile nel campo del-l’impugnazione degli atti amministrativi

26. In via meramente esemplificativa si possono, quindi, indicare le seguenti

cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza 27.

a) Oscurità, ambiguità e contraddittorietà del testo normativo

Si tratta del più alto grado di oscurità, in quanto si riferisce ad ipotesi di difficoltà interpretative non facilmente superabili a causa di una “terminolo-gia generica del testo normativo” ovvero di una “equivocità della disciplina

26 Particolarmente significativa è la giurisprudenza amministrativa in tema di errore scusa-bile nel campo dell’impugnazione dell’atto amministrativo, ove l’istituto è ricostruito in ter-mini di “obiettiva incertezza della legge”. In dottrina v. GAGLIARDI LA GALA, Provvedimenti de-finitivi impliciti ed errore scusabile, in Riv. amm., 1984, p. 860; vedi anche SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, II, Napoli, 1984, p. 1174; VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della P.A., Milano, 1982, p. 280; MERUSI, L’affidamento del cittadino, Milano, 1970, p. 139.

27 La recente sentenza della Cassazione del 28 novembre 2007, n. 24670, cit., individua, a titolo esemplificativo, l’obiettiva incertezza nelle seguenti situazioni: 1) la difficoltà d’in-dividuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge (Cass., sez. trib., 8 marzo 2000, n. 2604); 2) la difficoltà di confezione della formula di-chiarativa della norma giuridica (Cass., sez. trib., 2 aprile 2007, n. 8187; 3 ottobre 2006, n. 21328); 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata (Cass., sez. trib., 25 ottobre 2006, n. 22890); per alcune ipotesi di riconoscimento di piena chiarezza del risultato dell’interpretazione normativa Cass., sez. trib., 4 maggio 2007, n. 10262; 1° dicembre 2006, n. 25614; per l’esclusione che, ad integrare un’obiettiva incertezza sulla portata di una norma, sia sufficiente di per sé una sua formulazione letterale non assolu-tamente chiara (Cass., sez. trib., 23 agosto 2001, n. 11233); 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurispruden-ziali (Cass., sez. trib., 5 settembre 2006, n. 19115; Cass., sez. trib., 23 agosto 2001, n. 11233); 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti (Cass., sez. trib., 24 agosto 2007, n. 18039; Cass., sez. trib., 14 maggio 2007, nn. 11051 e 11052; Cass., sez. trib., 21 feb-braio 2007, n. 4044; Cass., sez. trib., 23 giugno 2006, n. 14670), magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costitu-zionale (Cass., sez. trib., 12 gennaio 2007, n. 533; Cass., sez. trib., 20 dicembre 2006, n. 27216; Cass., sez. trib., 17 febbraio 2006, n. 3510); 8)la formazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass., sez. trib., 27 ottobre 2006, nn. 23228 e 23229); 9) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 10) il contrasto tra opinioni dottrina-li; 11) l’adozione di norme d’interpretazione autentica o meramente esplicative di norma im-plicita preesistente (Cass., sez. trib., 3 agosto 2007, n. 17105; 10 novembre 2006, n. 24064).

Maurizio Logozzo

407

legislativa”. Ciò è in contrasto col principio in base al quale le norme tributa-rie, essendo norme di diritto pubblico, «debbono essere improntate al prin-cipio della massima chiarezza, affinché i destinatari siano consapevoli del lo-ro contenuto». In tale prospettiva è particolarmente eloquente la massima fissata dalla giurisprudenza di legittimità in base alla quale «per escludere l’incertezza sulla portata della norma, occorre che la sua formulazione lette-rale sia assolutamente chiara», in modo da essere immediatamente com-prensibile

28.

b) Mancanza di precedenti giurisprudenziali ovvero contrastanti orientamenti giurisprudenziali

Quando la disposizione non sia formulata in modo chiaro, la mancanza, in relazione ad essa, di un orientamento giurisprudenziale al quale il contri-buente possa conformare la propria condotta, costituisce presupposto per la non applicazione delle sanzioni, specialmente se all’epoca in cui è stata com-messa la violazione non fosse neppure intervenuta una circolare da parte dell’amministrazione

29. Sotto tale aspetto, occorre rilevare lo svuotamento della funzione della

giurisprudenza quale fonte della corretta interpretazione della legge tributa-ria. Ciò dipende dalla mutevolezza dell’ordinamento tributario, sicché quan-do a distanza di anni dall’entrata in vigore di una disposizione, la giurispru-denza di legittimità interviene nel fornire la più autorevole delle interpreta-zioni, la disposizione è ormai modificata o abrogata.

Quando sia intervenuta un’unica pronuncia nota al momento della viola-zione, alla quale il contribuente ha conformato il proprio comportamento, si potrebbero ravvisare i presupposti della scusante, non potendosi pretendere dallo stesso contribuente che la sua diligenza si spinga fino al punto da sot-toporre a verifica di “esperti” la decisione giudiziaria.

28 Da ultimo, CTR Marche, sez. II, 24 giugno 2011, n. 44, in GT-Riv. giur. trib., 2011, 899, con nota di TUNDO, Ancora controverso il concetto di stabile organizzazione tra obiettiva incertezza, personalità giuridica e cooperazione internazionale; in tale sentenza la CTR esclu-de le sanzioni per l’incertezza della definizione legislativa di stabile organizzazione. V. an-che Cass., 9 giugno 1990, n. 5642, in Corr. trib., 1990, p. 2906. Ad un’ipotesi di “difetto di chiarezza della disposizione legislativa”, fa riferimento Cass., 11 marzo 1995, n. 2820, in Banca dati IPSOA, ed ancora Comm. centr. 3 novembre 1992, in Il Fisco, 1993, 5045. Alla scarsa “chiarezza, non univocità ed inintelligibilità della norma tributaria”, quali presuppo-sti della scusante, si riferisce Comm. centr. 9 aprile 1991, n. 2772.

29 In tal senso Cass., 7 settembre 1990, n. 9240, in Boll. trib., 1991, p. 408; Cass., 9 giu-gno 1990, n. 5642.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

408

Bisogna, tuttavia, chiarire che se le decisioni discordanti sulla questione giuridica risultano emesse da giudici del medesimo grado, l’incertezza andrà certamente riconosciuta, mentre se le decisioni provengono da giudici di gra-do diverso, varrà il criterio della sovraordinazione, essendo di regola più af-fidabile l’orientamento delle Corti superiori. Nel caso di orientamento conso-lidato della giurisprudenza, ovviamente, l’incertezza normativa è da esclu-dersi.

c) Novità legislativa che determini, nel periodo di prima applicazione, serie per-plessità interpretative L’errore in cui il contribuente è incorso nel primo periodo di applicazio-

ne di una nuova norma costituisce presupposto della disapplicazione delle sanzioni amministrative quando la nuova disposizione “presenti incertezze formulative in senso obiettivo” ovvero quando la nuova disciplina sia estre-mamente complicata da giustificare la scarsa conoscenza di essa da parte dei contribuenti, attesa anche la mancanza di circolari interpretative e di prece-denti giurisprudenziali

30. L’esimente dell’obiettiva incertezza trova applica-zione in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistono orien-tamenti contraddittori.

Neanche il decorso di un certo periodo di tempo dall’entrata in vigore di una norma può essere considerato valido motivo per presumere superata ogni difficoltà interpretativa in mancanza di orientamenti giurisprudenziali

31. Tanto più che il continuo succedersi di disposizioni tributarie negli ambiti settoriali più diversi, la ristrettezza dei termini per adempiere agli obblighi fi-scali introdotti dalle nuove disposizioni, nonché il laborioso iter delle leggi di conversione dei decreti legge (con le connesse modifiche normative), sono tutte situazioni che legittimano l’esistenza di un’obiettiva incertezza.

d) Emanazione di una disposizione di interpretazione autentica

L’obiettiva incertezza è “ufficialmente” riconosciuta dallo stesso legisla-tore ogni qualvolta venga emanata una disposizione di interpretazione au-tentica di una precedente disposizione. È dimostrato in tale ipotesi come

30 V. Comm. centr. 8 febbraio 1994, n. 3148, in Riv. dir. trib., 1995, II, p. 112, che ha ri-tenuto applicabile l’esimente sulla base della considerazione che nel periodo di prima ap-plicazione della complessa normativa IVA il contribuente non fosse in grado di compren-dere che la richiesta di rimborso era alternativa al riporto a nuovo del credito d’imposta.

31 Cass., sez. trib., 7 settembre 1990, n. 9240.

Maurizio Logozzo

409

l’obiettiva incertezza poggia sugli elementi contenutistici dell’enunciato nor-mativo, dal momento che, con la disposizione di interpretazione autentica, è il legislatore che sceglie, rendendolo cogente, un significato ricompreso nel-la gamma di quelli logicamente desumibili dal testo normativo interpretato.

È evidente che il contribuente che abbia adeguato la propria condotta ad uno dei significati possibili del testo normativo, diverso comunque da quel-lo scelto dal legislatore con la norma di interpretazione autentica, rimane immune da sanzioni, giacché è lo stesso ordinamento, che con l’introduzio-ne della norma di interpretazione autentica, riconosce oggettivamente l’in-certezza della normativa violata

32.

e) Rimessione di una questione di diritto alla Corte di Giustizia ovvero alle Se-zioni Unite della Cassazione

Le condizioni di applicabilità della scusante devono riconoscersi allor-quando sulla disposizione normativa che si assume violata sono stati espres-si contrastanti indirizzi giurisprudenziali, che allo stesso tempo sono causa di disorientamento interpretativo e conferma di un significato obiettivamente incerto della stessa disposizione. Analogamente, la rimessione di una que-stione di diritto alla Corte di Giustizia ovvero alle Sezioni Unite della Cas-sazione potrebbe ritenersi sintomo di obiettiva incertezza

33. Così da ultimo la Cassazione ha giustamente riconosciuto l’esimente nel-

l’ipotesi di pronuncia di una sentenza interpretativa della Corte di Giustizia. Osserva la Cassazione che «proprio la necessità di richiedere un’inter-

pretazione della Corte di Giustizia comunitaria, dimostra l’esistenza di un’o-biettiva incertezza circa l’applicazione del regime agevolato e, in particolare, la sua compatibilità col diritto comunitario»

34. In altri termini, il ricorso alla pregiudiziale comunitaria, «che non si è conclusa con una pronuncia di irri-cevibilità o di restituzione al giudice di rinvio per esistenza di precedenti giurisprudenziali»

35, costituisce presupposto per la diretta disapplicazione delle sanzioni amministrative da parte della medesima Corte.

32 Cass., sez. trib., 3 agosto 2007, n. 17105. 33 Comm. centr., sez. un., 11 febbraio 1976, n. 2136, in cui si afferma che la rimessione

della decisione alle Sezioni Unite della Cassazione per il permanere di due orientamenti giurisprudenziali contrastanti è sintomo di obiettiva incertezza.

34 Cass., sez. trib., 13 marzo 2009, n. 6105, con nota di BATISTONI FERRARA, La remis-sione di questione pregiudiziale interpretativa alla Corte di giustizia CE attesta l’esistenza di obiet-tiva incertezza sul significato della norma tributaria, in GT-Riv. giur. trib., 2010, p. 243 ss.

35 Cass., sez. trib., 13 marzo 2009, n. 6105, cit.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

410

L’assunto conferma come debba escludersi l’obiettiva incertezza nel caso di un consolidato orientamento giurisprudenziale e, per converso, che essa deb-ba essere riconosciuta in presenza di orientamenti giurisprudenziali difformi.

f ) Conformità del comportamento del contribuente agli orientamenti interpreta-tivi e alle indicazioni dell’amministrazione Si tratta dell’ipotesi di affidamento del contribuente nelle determinazioni

dell’amministrazione, ipotesi rispetto alla quale è configurabile tanto la buo-na fede del contribuente, quanto l’incertezza del testo normativo (qualora venga interpretato dal giudice in modo diverso da come interpretato dall’am-ministrazione). L’ipotesi in esame, che era ricompresa pacificamente nell’am-bito dell’obiettiva incertezza, è ora configurata dallo Statuto del contribuen-te come una scusante autonoma.

g) Conflitto tra l’orientamento interpretativo dell’amministrazione finanziaria e quello espresso dalla giurisprudenza con decisioni difformi

h) Costanti ed autorevoli opinioni dottrinali che confortino l’operato del contri-buente o che evidenzino le difficoltà interpretative della norma

Specialmente quando viene introdotta nell’ordinamento una nuova di-sposizione, l’affidamento nelle autorevoli opinioni dottrinali, in assenza del-la usuale circolare, è la “via maestra” per cercare di applicare esattamente la norma. Qualora la giurisprudenza accolga un’interpretazione diversa, se non si dovesse ritenere sussistente l’obiettiva incertezza, potrebbe farsi valere la scusante dell’errore di diritto inevitabile.

È bene precisare che l’art. 10, comma 3, dello Statuto dei diritti del con-tribuente esclude che possa essere qualificata «in ogni caso» come causa di obiettiva incertezza «la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria», in altri termini, una questione di costituzionalità, sollevata innanzi alla Corte costituzionale, non può costituire causa per l’ap-plicazione della scusante dell’obiettiva incertezza in quanto il giudizio attie-ne alla conformità ai principi costituzionali della medesima norma. A ciò va aggiunto la considerazione che l’applicazione della scusante potrebbe dar luogo ad abusi in caso di sussistenza di un giudizio di costituzionalità (tenu-to anche conto che buona parte di questi giudizi si conclude con una pro-nuncia di inammissibilità).

Peraltro, occorre sottolineare che, anche in presenza di circolari o, co-munque, di istruzioni ministeriali, l’obiettiva incertezza non può dirsi dissi-pata. Difatti, come da ultimo affermato dalla Cassazione, «le istruzioni mi-

Maurizio Logozzo

411

nisteriali per la dichiarazione dei redditi non costituiscono elemento suffi-ciente ad escludere la ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992»

36, in quanto l’obiettiva incertezza deve essere riferita dal giudice all’interpretazione “equivoca” delle norme tributarie e può sussistere anche nel caso dell’interpretazione “ufficiale” dell’amministrazione finanziaria.

In conclusione, la scusante dell’obiettiva incertezza costituisce una “fatti-specie aperta”, con la conseguente impossibilità di elencazioni esaustive.

L’individuazione delle fattispecie in cui possa trovare applicazione l’esi-mente è affidata, attraverso la ricognizione caso per caso, al prudente apprez-zamento del giudice tributario.

È l’evoluzione della giurisprudenza che arricchisce la casistica delle fatti-specie in cui sia ravvisabile un’obiettiva incertezza della norma tributaria.

5. La disapplicazione delle sanzioni amministrative da parte del giudice tri-butario

Una ulteriore questione è quella della disapplicazione “d’ufficio” delle sanzioni non penali da parte del giudice tributario nell’ipotesi di obiettiva incertezza della legge.

Afferma la Cassazione che l’onere di allegare la ricorrenza di elementi di confusione normativa o comunque l’esistenza di una equivocità del contenu-to delle disposizioni tributarie, grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esi-mente né, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad og-getto «la mancata pronuncia d’ufficio sul punto»

37. Come si può notare, si tratta di affrontare più questioni. La prima concerne la possibilità per le Commissioni tributarie di dichia-

rare non applicabili le sanzioni amministrative senza che vi sia una esplicita richiesta in tal senso da parte del ricorrente.

Il potere-dovere di disapplicazione delle sanzioni è riconosciuto alle Commissioni tributarie direttamente dall’art. 8, D.Lgs. n. 546/1992 («La commissione tributaria dichiara non applicabili ...»), senza bisogno di ulte-riori mediazioni: la legge, cioè, non lo subordina ad alcuna richiesta di parte.

Al giudizio sulla valutazione del parametro dell’obiettiva incertezza si contrappone la natura vincolata della dichiarazione di inapplicabilità delle

36 Cass., sez. trib., 6 dicembre 2011, n. 29401. 37 Cass., sez. trib., 25 giugno 2009, n. 14987, cit.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

412

sanzioni non penali: la Commissione tributaria, una volta accertato che la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della disposizione violata, è tenuta a dichiarare non dovute le sanzioni amministrative a prescindere da qualsiasi valutazio-ne di opportunità o richiesta di parte.

L’applicazione d’ufficio dell’esimente non costituisce una deroga all’art. 112 c.p.c., in quanto il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pro-nunciato è rispettato anche quando il giudice, nel ritenere fondata la pretesa dell’amministrazione finanziaria, non provvede all’annullamento dell’atto di irrogazione delle sanzioni: il giudice, pur riconoscendo l’esistenza di un ille-cito, esclude nel caso concreto la sua punibilità per la presenza delle condi-zioni di operatività dell’esimente dell’obiettiva incertezza della legge, anche in assenza di una esplicita richiesta da parte del contribuente.

Anche la giurisprudenza riconosce rilievo officioso alla sussistenza della fattispecie scriminante, rilevando che «il potere-dovere della Commissione tributaria presenta un carattere sostanziale che storicamente si riannoda all’origine puramente amministrativa dell’organo decidente», con l’ulterio-re specificazione che «in considerazione del carattere sostanziale del potere e della sua origine storica, ne discende che il giudice tributario, cui quel po-tere è stato dall’ordinamento attribuito, non è di regola vincolato al principio della domanda nell’esplicazione del potere medesimo, il cui esercizio deve ritenersi, quindi, possibile anche ex officio»

38. A ben vedere, a seguito della riforma del sistema sanzionatorio tributario,

l’ambito di operatività dell’art. 8, D.Lgs. n. 546/1992, sembra essere circo-scritto alla sola ipotesi di disapplicazione ex officio delle sanzioni non penali, in quanto il contribuente può espressamente richiedere al giudice di pro-nunciarsi sulla esistenza della causa di non punibilità costituita dall’obiettiva incertezza della norma tributaria.

Il potere di disapplicazione delle sanzioni, non trovando nella legge alcu-na delimitazione, deve ritenersi esercitabile in qualsiasi grado del processo davanti alle Commissioni tributarie, quindi anche nel giudizio di rinvio.

Sotto il profilo formale, la dichiarazione di inapplicabilità delle sanzioni deve essere congruamente motivata dal giudice. L’obbligo di motivazione del provvedimento giurisdizionale, sancito in via generale dall’art. 111, com-ma 6, Cost., e in specie dall’art. 36, D.Lgs. n. 546/1992, risponde all’esigen-za di trasparenza del procedimento logico-giuridico seguito dal giudice nel-

38 Cass., sez. trib., 10 aprile 1990, n. 2981, in Corr. trib., 1990, p. 1664; Cass., sez. trib., 6 lu-glio 1990, n. 7154, ivi, 1990, p. 3334; Cass., sez. trib., 1° luglio 1994, n. 6256, in Cod. II.DD. IPSOA, sub art. 39-bis; Cass., sez. trib., 11 marzo 1995, n. 2820, in Corr. trib., 1995, p. 1422.

Maurizio Logozzo

413

l’applicazione della scriminante, in quanto consente di verificare in concreto l’esistenza dei criteri oggettivi in base ai quali il giudice ha riscontrato l’o-biettiva incertezza della norma violata.

Nell’ipotesi di domanda di parte, giustamente la Cassazione 39 afferma che

è onere del contribuente indicare le ragioni che giustificano l’obiettiva incer-tezza, quindi l’esistenza di una di quelle cause sintomatiche, che sono state individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (supra, par. 4).

In tale ipotesi, il disconoscimento dei presupposti per l’inapplicabilità delle sanzioni deve, comunque, essere motivato dal giudice. Sicché, la manca-ta pronuncia della Commissione tributaria sul punto consente al contribuen-te di impugnare la sentenza facendo valere la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c.

La congruità (come anche l’omissione o la contraddittorietà) della moti-vazione sulla sussistenza o meno degli elementi di incertezza che caratteriz-zerebbero la fattispecie normativa violata può essere oggetto di sindacato di-nanzi alla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. La Corte, può comunque essere investita, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., della questione relativa alla violazione delle disposizioni che prevedono l’esimente della obiettiva incertezza quale causa di non punibilità.

Ove la Suprema Corte verifichi l’esistenza di un error in iudicando, che de-termini un’ingiustizia della sentenza impugnata, può seguire, in forza del-l’art. 384 c.p.c., due strade. Se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, essa decide la causa nel merito, giudicando sulla legittimità o meno dell’applicazione delle sanzioni, perché non vi è necessità di un giudizio di rinvio. Se, invece, quegli accertamenti sono necessari, allora deve essere di-sposto il rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale, af-finché provveda ad emettere una decisione in merito all’esistenza o meno delle condizioni per l’applicabilità dell’esimente.

Tale conclusione è ormai pacifica. La Cassazione, difatti, ha rilevato co-me la verifica delle condizioni per l’applicabilità della scusante «è censura-bile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudi-zio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito»

40. Ciò che la Cassazione non può fare è dichiarare ex officio la non applica-

bilità delle sanzioni tributarie amministrative.

39 Cass., sez. trib., 25 giugno 2009, n. 14987, cit. 40 Cass., sez. trib., 25 giugno 2009, n. 14987, cit.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

414

Franco Paparella

INSINUAZIONE AL PASSIVO TARDIVA DEI CREDITI FISCALI: RECENTI ORDINANZE

DELLA SUPREMA CORTE TRA VECCHIE QUESTIONI E NUOVA DISCIPLINA

DELL’ACCERTAMENTO ESECUTIVO *

LATE PROOF OF A FISCAL CREDITS IN A BANKRUPTCY: RECENT JUDGMENTS OF THE SUPREME COURT,

BETWEEN OLD ISSUES AND THE NEW PROVISIONS ON THE EXECUTIVE ASSESSMENT

Abstract Due recenti ordinanze della Corte di Cassazione si sono occupate dell’ammis-sione al passivo dei crediti tributari, affrontando questioni nuove, mai esaminate in giurisprudenza, che assumono un rilievo particolare anche in relazione alle re-centi novità intervenute nel settore della riscossione. Con tali provvedimenti è stato affermato che, in analogia agli obblighi e agli oneri a carico di qualsiasi cre-ditore, la pretesa fiscale non gode di particolari prerogative ai fini della presenta-zione della domanda di insinuazione al passivo mentre non sembra fondata la questione riguardante la legittimazione residuale dell’Amm. Fin. rispetto alla competenza primaria dell’agente della riscossione. Inoltre, i due provvedimenti prospettano conclusioni opposte in merito alla notifica della cartella di pagamen-to ma la questione è da considerare superata alla luce della nuova disciplina dell’ac-certamento esecutivo.

* Al momento di licenziare le bozze dell’articolo è intervenuta la sentenza della Corte Cass., sez. un., 15 marzo 2012, n. 4126, sollecitata dall’ord. 27 giugno 2011, n. 14116. Evi-dentemente talune questioni esaminate nel saggio sono state ulteriormente affrontate dalle Sezioni Unite della Suprema Corte per cui la Direzione della Rivista ha ritenuto meritevole di un commento anche tale ultimo provvedimento, che sarà pubblicato nel prossimo fascicolo.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

416

Parole chiave: fallimento, crediti tributari, insinuazione al passivo, cartella di pa-gamento, legittimazione dell’amministrazione finanziaria, accertamento esecutivo Two recent judgments of the Supreme Court dealt with the matter of the proof of fis-cal credits in a bankruptcy. In these judgments the Court went through new aspects, never examined before by the jurisprudence, which gain particular importance within the latest changes in the field of collection of taxes. Both the mentioned judgments state that, similarly to what happens for the obligations and duties of any creditor, the fiscal credit does not benefit from any privilege in terms of submission of the claim in the bankruptcy procedure – Moreover, the matter of the residual legal capacity of the Tax Administration to file the claim with respect to the primary capacity of the collec-tor agency seems groundless. Furthermore, the judgments got to opposite conclusions with regard to the serving of the tax collection notice, but the issue has to be considered overcome by the new regulation concerning the executive assessments. Keywords: Bankruptcy, fiscal credits, proof of debt, executive assessment, collection notice, legal capacity of the fiscal administration

SOMMARIO: 1. Le questioni esaminate dalla Suprema Corte. – 2. Il sistema normativo di riferimento: l’iniziativa imprescindibile del concessionario e la centralità del ruolo. – 3. Il rapporto tra la di-sciplina fallimentare e le norme tributarie sui termini per l’esercizio delle attività amministrati-ve di riscossione: l’equiparazione dell’Erario agli altri creditori ai fini della presentazione della domanda di ammissione al passivo. – 4. L’impossibilità di riconoscere la legittimazione ad agire all’Amm. Fin. nell’ipotesi di domanda di ammissione al passivo fondata su una sentenza favo-revole passata in giudicato. – 5. Un aspetto critico della sentenza: l’importanza della cartella di pagamento. – 6. Conclusioni.

Recentemente sono intervenute due ordinanze della Corte di Cassazione sul regime fiscale delle procedure concorsuali e, precisamente, sugli atti e sul procedimento ai fini dell’ammissione al passivo dei crediti tributari. In en-trambi i casi si tratta di questioni nuove, sulle quali non constano precedenti di legittimità

1, che meritano di essere approfondite anche per altri motivi. In primo luogo, perché le due fattispecie sono caratterizzate da un aspet-

to comune che riguarda il procedimento (in punto di rispetto dei termini) e

1 La circostanza è posta in risalto anche dall’ordinanza della Suprema Corte n. 14116/2011 che fonda su detto argomento la qualificazione della questione tra quelle di “massima impor-tanza” ed il conseguente rinvio degli atti al Primo Presidente.

Franco Paparella

417

le facoltà (dal punto di vista della legittimazione ad agire) di cui dispone l’Amm. Fin. allo scopo di opporre i crediti tributari alla massa fallimentare anche alla luce delle univoche indicazioni legislative che da tempo attribui-scono dette competenze all’agente della riscossione.

Inoltre, poiché il problema esaminato dall’ord. 11 ottobre 2011, n. 20910 si fonda su una questione di coordinamento normativo, dovuto alla diffe-renza dei termini previsti dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (generalmente de-finita legge fallimentare) e dall’ordinamento tributario seppur a fini diversi ma per adempimenti che sono legati da un vincolo di strumentalità e pro-pedeuticità, assume rilievo il complesso tema, mai completamente risolto, dei rapporti tra le norme appartenenti ai due settori dell’ordinamento e del-l’incerto giudizio di valore dovuto alla ponderazione tra interessi privatistici dei creditori, interesse fiscale ed altri interessi diffusi a causa della difficoltà di individuare un loro coordinamento sistematico idoneo ad esprimere un sistema razionale ed equilibrato

2. Infine, un terzo motivo di interesse è riconducibile soprattutto all’ord. 27

giugno 2011, n. 14116 dal momento che il profilo in diritto si articola sulla possibilità di prescindere dall’iscrizione a ruolo in netto contrasto con le in-dicazioni dell’art. 87 del D.P.R. n. 602/1973; essa però interviene nel mo-mento in cui è appena entrata in vigore la riforma di cui all’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito con la L. 30 luglio 2010, n. 122), che no-toriamente ha soppresso detto adempimento, seppur limitatamente a talune (ma rilevanti) fattispecie, riconoscendo la natura di titolo esecutivo all’av-viso di accertamento e al provvedimento di irrogazione delle sanzioni ed an-ticipando il sopraggiungere di nuove disposizioni che dovranno adeguare ai principi della riforma tutto il sistema delle entrate riscosse a mezzo ruolo in una prospettiva di immediato perseguimento di un obiettivo ritenuto non ulteriormente procrastinabile

3.

2 Acutamente sollevati da MICHELI, Recensione a Pajardi, in Riv. dir. fin., 1971, I, p. 169, che ha rilevato «la difficoltà del tema “fallimento e Fisco” sta proprio qui: nel coordinare due “corpi” di norme eterogenee dei quali l’uno (quello tributario) è privo di qualsiasi struttura sistematica». Più recentemente, la stessa prospettiva è condivisa da FANTOZZI, Considera-zioni generali sui profili fiscali delle procedure concorsuali e sul rapporto tra par condicio credi-torum, interesse fiscale ed altri interessi diffusi, in GHIA-PICCININNI-SEVERINI (diretto da), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, VI, Torino, 2012, p. 417; PAPARELLA, Il regime fiscale dell’amministrazione straordinaria: la necessità di distinguere le fattispecie sulla base della natura e della finalità della procedura, ivi, V, Torino, 2011, p. 511; MAURO, Imposizione fiscale e fal-limento, Torino, 2011, pp. 6 e 303.

3 Per una prima analisi della nuova disciplina, al momento, v. GAFFURI, Aspetti critici della

5.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

418

Pertanto, posto che la questione è stata ritenuta “di massima importanza” ed è stata sottoposta alla valutazione del Primo Presidente della Suprema Corte affinché valuti l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, con le con-siderazioni successive sarà necessario verificare altresì l’attualità del proble-ma allo scopo di individuare gli effetti nell’attuale contesto normativo

4. In sintesi, quindi, i provvedimenti de quibus sollecitano diversi motivi di

interesse e ciò impone di passare immediatamente all’esame dei fatti.

1. Le questioni esaminate dalla Suprema Corte

Dal punto di vista temporale è intervenuta prima l’ord. n. 14116/2011, che si caratterizza per la circostanza che la domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare è stata presentata direttamente dall’Amm. Fin. in quanto il titolo del credito per IVA era costituito da una sentenza di merito passata in giudicato. La specificità della fattispecie, quindi, ha indotto l’Ufficio a ri-tenere superflui l’intervento del concessionario e l’iscrizione a ruolo

5 ma questa soluzione non è stata accolta dal giudice fallimentare in quanto sia il Tribunale, che la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda.

Avverso dette sentenze è stato proposto ricorso dinanzi alla Suprema Corte, la quale, nel porre in risalto l’orientamento di legittimità che «di re-gola ha affermato la necessità della previa iscrizione a ruolo e notifica della cartella al curatore del fallimento», ha colto un profilo mai esaminato in pre- motivazione relativa agli atti d’imposizione e l’esecutività degli avvisi di accertamento, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 597; GLENDI, Notifica degli atti “impoesattivi” e tutela cautelare ad essi correlata, in Dir. prat. trib., 2011, I, p. 482; ID., Atti “impoesattivi” e tutela cautelare, in Corr. trib., 2011, p. 2681; GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, p. 22; CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo” ex DL 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 159; ID., La concentrazione della riscossione nell’accerta-mento, in GLENDI-UCKMAR (a cura di), La concentrazione della riscossione nell’accertamento, Padova, 2011, p. 45, nonché gli altri contributi raccolti nel volume; TUNDO, L’avviso di ac-certamento quale atto della riscossione, in Corr. trib., 2010, p. 2653; INGRAO, Il difficile inse-rimento sistematico di una evoluzione strutturale, in Dialoghi trib., 2010, p. 565.

4 Per un esame più ampio sugli effetti dell’accertamento esecutivo rispetto all’ammissione al passivo dei crediti tributari, sia consentito di rinviare ai nostri Gli effetti della soppressione del ruolo e del nuovo accertamento esecutivo ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare dei crediti fiscali, in GHIA-PICCININNI-SEVERINI (diretto da), op. cit., p. 643, ove ulteriori ri-ferimenti di dottrina, e L’ammissione al passivo fallimentare dei crediti fiscali a seguito della soppressione del ruolo, in Dir. prat. trib., 2011, I, p. 1193.

5 In realtà, dal provvedimento della Suprema Corte non è dato desumere se l’intervento dell’Ufficio sia dovuto all’inerzia del concessionario oppure a circostanze diverse.

Franco Paparella

419

cedenza, ritenendolo una questione “di massima importanza”, e cioè se, no-nostante le indicazioni legislative che individuano nel concessionario l’uni-co soggetto legittimato a svolgere le attività della fase della riscossione, l’Uf-ficio possa comunque agire direttamente in presenza della difficoltà di con-ciliare detta prospettiva «con la indispensabilità, anche nel caso di azione di-retta, della previa iscrizione del credito a ruolo».

A distanza di qualche mese è intervenuta l’ord. n. 20910/2011, resa dalla VI sez. civ., a seguito del ricorso promosso dalla curatela fallimentare con il quale è stata sollevata un’unica questione non accolta nei precedenti gradi di merito e cioè se, ai fini della valutazione della tardività della domanda di ammissione al passivo, assumono rilievo solo i tempi utilizzati dal concessionario per pre-sentare la domanda oppure anche quelli necessari all’Amm. Fin. per accertare il titolo del credito e predisporre i ruoli. In questa prospettiva, quindi, la que-stione di diritto si risolve nella possibilità di considerare un’esimente di fonte legislativa i termini previsti dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/ 1973, anche in punto di impossibilità per causa di forza maggiore o per altre circostanze non impu-tabili al creditore, e ciò implica un’interpretazione sistematica volta a coordi-nare il termine annuale previsto dall’art. 101 L. fall. per la generalità dei credi-tori ai fini della presentazione della domanda di insinuazione al passivo con quelli più ampi previsti dalla norma tributaria per la formazione del ruolo.

Sul punto, la posizione della Suprema Corte è stata perentoria, avendo concluso «che l’Amministrazione finanziaria, come tutti gli altri creditori, debba in linea di principio rispettare il termine annuale di cui alla L. Fall., art. 101, per la presentazione delle istanze tardive senza che i diversi e più lunghi termini previsti per la formazione dei ruoli e la emissione delle cartelle possa-no costituire una esimente di carattere generale dal rispetto del citato termine di cui alla L. Fall., art. 101», aggiungendo «una volta che l’amministrazione finanziaria abbia avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento, la stessa deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insi-nuazione dei propri crediti al passivo in termini inferiori a quelli massimi at-tribuiti dalla legge per l’espletamento di tali incombenze» e censurando l’im-pianto della sentenza impugnata nel punto in cui ha omesso «di valutare il comportamento dell’Amministrazione finanziaria nella fase di predisposizio-ne dei ruoli al fine di accertare se la stessa, una volta avuta cognizione della di-chiarazione di fallimento, si sia attivata per accelerare le procedure».

Tali sono le fattispecie esaminate e risolte con i provvedimenti in com-mento, le quali si fondano sullo stesso impianto normativo che è opportuno passare brevemente in rassegna prima di scendere nel dettaglio delle questio-ni giuridiche.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

420

2. Il sistema normativo di riferimento: l’iniziativa imprescindibile del conces-sionario e la centralità del ruolo

Analogamente a quanto avviene per i creditori comuni, anche i crediti tributari concorsuali

6 soggiacciono alla disciplina generale dell’ammissione al passivo dinanzi al Giudice Delegato ai sensi degli artt. 93 ss. L. fall.

7. Tali norme però non sono esaustive in quanto il Capo IV del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – espressamente rubricato “Procedure concorsuali” – prevede altre disposizioni che integrano la disciplina generale

8. In particolare, a seguito della riforma di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n.

46 esse pongono in posizione di centralità il ruolo, quale unico titolo che le-gittima «la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici anche previdenziali» secondo il disposto dell’art. 17 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 e si fonda-no sulla distinzione tra i crediti fiscali contestati o meno. Infatti, in merito al fallimento ed alla liquidazione coatta amministrativa, l’art. 87 del D.P.R. n. 602/1973 dispone che l’agente della riscossione, per conto dell’Agenzia del-le Entrate, chiede l’ammissione al passivo “sulla base del ruolo” mentre l’arti-

6 Nell’interpretazione dominante, affinché si possa evocare il carattere concorsuale dei crediti fiscali, è sufficiente che il presupposto del tributo si manifesti prima dell’apertura della procedura, indipendentemente dalla data di formazione e di notifica dell’atto (della fase di accertamento o della riscossione) che determina l’ammontare della pretesa; tra i tanti, v. TE-SAURO, Appunti sugli adempimenti fiscali del curatore fallimentare, in Rass. trib., 1990, p. 242; MICCINESI, Fallimento nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez comm., V, Torino, 1992, p. 471; QUATRARO, I rapporti tra le procedure concorsuali ed il fisco, in Dir. fall., 2008, I, p. 515.

7 Dal punto di vista procedimentale, quindi, l’Erario non gode di particolari prerogative in quanto l’interesse alla rapida e sicura riscossione dei tributi è subordinato alle regole di ac-certamento concorsuali ed al principio generale della par condicio creditorum. Tale equipara-zione però non sussiste dal punto di vista sostanziale, in quanto le norme del codice civile e la disciplina dei singoli tributi riservano ai crediti fiscali un titolo preferenziale, che si atteggia, nei vari casi, quale privilegio generale sui beni mobili (art. 2752 c.c.), come privilegio speciale su determinati beni mobili (artt. 2758 e 2759 c.c.) oppure come privilegio sui beni immobili (art. 2772 c.c. e l’ormai abrogato art. 2771). Su questi profili, sui privilegi tributari e sulla re-lazione tra le norme del codice civile e quelle previste nella disciplina dei singoli tributi si ve-da il nostro Gli effetti della soppressione del ruolo, cit., ove ulteriori riferimenti di dottrina.

8 Ai fini rilevanti in questa sede è sufficiente ulteriormente specificare che trattasi di un complesso di norme aventi il fine di coniugare razionalmente l’esigenza di accertare il pas-sivo concorsuale, secondo regole omogenee ed applicabili indistintamente a tutti i creditori, con la specificità dei crediti fiscali (già riconosciuta in punto di titolo di preferenza) e, soprat-tutto, con la scansione procedimentale che caratterizza la fase di attuazione, variabile da tri-buto a tributo, e la pluralità di situazioni giuridiche soggettive passive del contribuente na-scenti dagli atti della fase di accertamento e della riscossione.

Franco Paparella

421

colo successivo disciplina il caso in cui sussistano contestazioni “sulle somme iscritte a ruolo”, disponendo l’ammissione del credito con riserva, anche in ipotesi di domanda tardiva

9. Già questi brevi riferimenti normativi dovrebbero essere sufficienti per

confermare il rilievo decisivo del ruolo quale unico titolo che legittima l’am-missione al passivo fallimentare dei crediti tributari

10 e l’attività che deve svolgere, anche tempestivamente, l’agente della riscossione in sostituzione del-l’ente impositore

11. A ciò consegue che analoga importanza è da riconoscere alla cartella di pagamento per soddisfare esigenze sistematiche poste in risal-to anche dalla giurisprudenza di legittimità: infatti, dal momento che il ruo-lo è un atto meramente interno, la notifica della cartella è l’adempimento partecipativo imprescindibile perché esso acquisti rilevanza nei confronti del destinatario

12, in qualità di precetto, consentendogli di sollevare eventuali

9 Lo scioglimento della riserva è disposto con decreto del giudice delegato, su istanza del curatore o dell’agente, nel caso in cui l’atto diventi definitivo per l’infruttuoso decorso dei ter-mini per proporre il ricorso oppure a seguito della definizione del giudizio. Avverso il prov-vedimento del giudice delegato, il creditore può proporre reclamo al Tribunale fallimentare nei dieci giorni successivi, il quale, sentite le parti, decide in camera di consiglio con decreto motivato. Ai sensi dell’art. 26 L. fall., la legittimazione a proporre il reclamo sembra riservata al solo agente della riscossione ma è condivisibile quanto rilevato in dottrina sull’estensio-ne dell’analogo diritto al curatore o al commissario (per conferma, si veda MONTANARI, L’ac-certamento fallimentare dei crediti d’imposta dopo la riforma, in Fall., 2007, p. 1129). L’impor-tanza sistematica dell’ammissione con riserva, anche ai fini della verifica dei crediti tributari, è un profilo generalmente evidenziato dalla dottrina; per conferma, tra i tanti, v. DEL FE-DERICO, Profili di specialità ed evoluzione giurisprudenziale nella verifica fallimentare dei credi-ti tributari, in Fall., 2009, p. 1378.

10 In senso analogo, v. QUATRARO, I rapporti tra le procedure concorsuali ed il fisco, cit., p. 524; PIERRO, L’insinuazione dei crediti da sanzioni tributarie e la rilevanza del ruolo, in Corr. trib., 2010, p. 2371; POLLIO-PAPALEO, La fiscalità delle nuove procedure concorsuali, Milano, 2007, p. 180. In giurisprudenza, tra le tante, v. Corte d’Appello di Milano, 8 aprile 2003, n. 1205, in Dir. fall., 2003, II, p. 908, con nota adesiva di QUATRARO-DOMINICI, L’ammissione al passivo fallimentare dei crediti tributari richiede l’iscrizione a ruolo; Cass. 6 luglio 2001, n. 9180, in Giust. civ., 2002, I, p. 2558. Sul ruolo, quale unico titolo che legittima la presentazio-ne della domanda di ammissione al passivo anche per i crediti da sanzioni tributarie, si ve-da Cass. 10 febbraio 2006, n. 2994, in Fall., 2006, p. 968; Cass., sez. un., 4 marzo 2009, n. 5165, in Corr. trib., 2009, p. 1555.

11 In questo senso si veda l’art. 33 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112. 12 Tale conclusione è pacifica in dottrina; per conferma, tra i tanti, v. MICHELI-TREMONTI,

Obbligazioni (dir. trib.), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, p. 447; COPPA, La prescrizione del credito tributario, Torino, 2006, p. 58; BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della riscossione dei tributi, in COMELLI-GLENDI (a cura di), La riscossione dei tributi, Padova, 2010, p. 48.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

422

contestazioni ed opporre la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice tributario 13.

In questo modo, ad eccezione dei dubbi relativi ai ruoli straordinari ex art. 11 del D.P.R. n. 602/1973

14, il sistema è equilibrato dal momento che anche i crediti fiscali sono soggetti alle regole comuni a tutti i creditori, agli

13 Tra le tante, v. Tribunale di Milano, 11 ottobre 2004, in Fall., 2005, p. 468; Corte d’Appello di Milano, 8 aprile 2003, n. 1205, cit., p. 908; Tribunale di Palermo, 16 giugno 2006, in Giur. merito, 2006, p. 2189; Tribunale di Reggio Calabria, 23 marzo 2007, in Fall., 2007, p. 1353; Cass. 27 maggio 2011, n. 11736, in Riv. giur. trib., 2011, p. 971; Cass. 17 giugno 1998, n. 6032, in Dir. fall., 1999, II, p. 285, nonché in Fall., 1999, p. 283, con nota di STESURI, Notificazione della cartella esattoriale quale presupposto per l’ammissione al passi-vo del credito fiscale. In senso opposto, tuttavia, occorre segnalare qualche decisione recente che tende a ridimensionare l’importanza della cartella; per conferma, si consulti Tribunale di Roma, 4 novembre 2010; Cass. 26 febbraio 2008, n. 5063, in Fall., 2008, p. 716; Cass. 31 maggio 2011, n. 12019, in Fall., 2011, p. 1477, ma, soprattutto, infra il par. 5.

14 Infatti, un consolidato orientamento della prassi amministrativa (v. Nota Min. n. 17 marzo 1982, 15/2109 e Ris. Min. 7 maggio 2007, n. 87 entrambe in Fisconline) e della giu-risprudenza di legittimità ritiene che la dichiarazione di fallimento integra gli estremi del periculum in mora e, quindi, soddisfa il requisito del “fondato pericolo per la riscossione” ri-chiesto dall’art. 11 del D.P.R. n. 602/1973 e ciò consente di iscrivere nei ruoli straordinari l’ammontare complessivo del tributo, delle sanzioni e degli interessi anche se l’atto di ac-certamento non è definitivo (v. Cass. 9 gennaio 2009, n. 242, in Dialoghi trib., 2010, p. 577; Cass. 1° giugno 2007, n. 12887, in Fisconline; Cass. 27 aprile 2002, n. 6138, in Riv. giur. trib., 2002, p. 904, con commento di CALISI, Iscrizione a ruolo straordinaria anche nei confronti del condebitore solidale; Cass. 7 settembre 2001, n. 11508, in Fisconline; Cass. 27 maggio 2011, n. 11736, in Riv. giur. trib., 2011, p. 971, con nota di CARINCI, Autonomia e indipenden-za del procedimento di iscrizione a ruolo rispetto alla formazione della cartella di pagamento). Sulla legittimità delle iscrizioni a ruolo straordinarie nell’ambito del concordato preventivo, Cass. 19 luglio 1999, n. 7654, in Fall., 2000, p. 1325, con nota di POLLIO, Validità dell’iscri-zione a ruolo delle imposte nei ruoli straordinari.

Ma, nonostante l’autorevole fonte, il fondamento di simile conclusione è, in via di princi-pio, assai dubbio in presenza di una procedura che si svolge secondo regole e modalità fis-sate dalla legge, sotto la vigilanza del giudice delegato e che preclude al fallito di disporre dei beni in danno dei creditori al punto che il rischio del periculum in mora, al più, dovrebbe sussistere nella fase che precede l’apertura della procedura concorsuale (conforme MAURO, L’inadeguato coordinamento normativo tra prerogative erariali e le finalità del fallimento: le criticità in tema di riscossione dei crediti e delle relative sanzioni, in Dialoghi trib., 2010, p. 574). Inoltre, stante la natura cautelare dell’iscrizione nei ruoli straordinari e l’impossibilità di adottare iniziative analoghe per gli altri creditori, la possibilità di insinuarsi al passivo per l’intera pretesa si pone oggettivamente in contrasto con la natura concorsuale della proce-dura e si risolve in un favor di dubbia razionalità (in senso analogo, v. DEL FEDERICO, Gli accertamenti esecutivi e le procedure concorsuali, in GLENDI-UCKMAR (a cura di), op. cit., p. 179). In senso contrario, tuttavia, si veda VIGNOLI, Prior in tempore potior in iure: la procedura concorsuale trasforma il Fisco in un creditore come gli altri, in Dialoghi trib., 2010, p. 573; IN-GRAO, “Concentrazione della riscossione nell’accertamento” e riflessi sull’ammissione al passivo fallimentare, in GLENDI-UCKMAR (a cura di), op. cit., p. 157.

Franco Paparella

423

organi della procedura è garantito il diritto di contestazione e l’accesso alla tutela giurisdizionale mentre le controversie relative al fondamento della pre-tesa sono devolute al giudice tributario in considerazione della specialità della materia. Al giudice fallimentare, infatti, è attribuita una cognizione sui credi-ti tributari che è limitata a due profili:

a) l’accertamento sull’esistenza e sulla natura concorsuale del credito e, quindi, la verifica in merito all’anteriorità del presupposto del tributo rispet-to all’apertura della procedura;

b) l’accertamento del titolo di privilegio invocato dall’Erario, sulla base della documentazione prodotta a supporto della domanda di insinuazione al passivo

15. Qualche motivo di perplessità è dovuto alle pronunce della Corte di Cas-

sazione che pongono in dubbio l’applicazione dell’art. 87 del D.P.R. n. 602/ 1973 per i crediti riferiti alle imposte indirette. È il caso, ad esempio, della sentenza, resa a Sezioni Unite, del 4 marzo 2009, n. 5165 con la quale è stata riconosciuta la possibilità di insinuare al passivo il credito IVA sulla base dell’invito al pagamento di cui all’art. 60 del D.P.R. n. 633/1972

16. Oppure dell’isolata pronuncia del 29 maggio 2006, n. 12777 che ha ravvisato un tito-lo idoneo nell’avviso di liquidazione ai fini dell’imposta di registro

17. Ma in senso opposto è ragionevole addurre altre pronunce della Suprema

Corte di avviso contrario 18 e, soprattutto, che le esigenze di semplificazione

15 L’estratto dell’iscrizione a ruolo o la copia corredata della dichiarazione di conformi-tà all’originale, la cartella di pagamento e la prova della notifica.

16 In Corr. trib., 2009, p. 1555, con nota di MAURO, La problematica ammissione al passi-vo fallimentare del credito IVA. In senso analogo, ma con riferimento all’assetto normativo ormai superato, v. Cass. 14 luglio 2004, n. 13027, in Giur. it., 2005, p. 1755, con nota di ALBERTINI, Presupposti dell’ammissione al passivo concorsuale dei crediti fiscali derivanti dalle dichiarazioni IVA; Cass. 20 luglio 2007, n. 16120, in Corr. trib., 2007, p. 3352, con nota di ZENATI, Ammissione al passivo fallimentare del credito IVA su invito al versamento da parte degli Uffici; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2994, in Fall., 2006, p. 1451.

17 In Fisconline. Tuttavia, con tale pronuncia la Corte si è limitata a riconoscere l’am-missione al passivo con riserva.

18 Ad esempio, si consulti Cass. 18 agosto 1996, n. 7579, in Giur. it., 1997, I, p. 602, con nota di TURCHI, Crediti tributari contestati e tutela dell’Amministrazione finanziaria; Corte d’Appello di Milano, 8 aprile 2003, n. 1205, in Riv. giur. trib., 2004, p. 491, con commento di FERRARIO, Limiti all’insinuazione dell’Amministrazione finanziaria nel fallimento. In dottrina, in senso conforme v. MARTELLI, Profili IVA: compensazione dei crediti Iva della procedura e problematiche relative all’ammissione al passivo del credito erariale, in TOSI (a cura di), Proble-matiche fiscali del fallimento e prospettive di riforma, Padova, 2005, p. 73; MAURO, L’inadeguato coordinamento normativo tra prerogative erariali e le finalità del fallimento, cit., p. 574.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

424

cui si ispirano tali sentenze non sono assistite da valide ragioni sistematiche 19

ma si pongono in aperto contrasto con l’ordinata scansione procedimentale degli atti impositivi e degli atti della riscossione

20. D’altro canto, nel caso dell’invito al pagamento ai fini IVA, non è secondaria la circostanza che si tratta di un atto non impugnabile

21 di modo che la sua eventuale idoneità ai fini dell’ammissione al passivo preclude la tutela giurisdizionale che invece garantisce l’iscrizione a ruolo

22. Invece, non sussistono dubbi nei casi, molto residuali, in cui la riscossione

di taluni tributi non erariali è perseguita con l’ingiunzione fiscale di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639. In queste ipotesi, infatti, detto atto è il titolo che legittima l’ammissione al passivo in considerazione della sua pacifica assimi-lazione con il ruolo

23 ed in senso favorevole depone l’art. 36 del D.L. 31 di-cembre 2007, n. 248 (convertito con la L. 28 febbraio 2008, n. 31) posto che all’ingiunzione fiscale si applicano “in quanto compatibili” le disposizioni del Titolo II del D.P.R. n. 602/1972 ovvero la categoria di norme nel cui ambito sono collocati gli artt. 87 ss.

24. Restano da chiarire i motivi che hanno indotto il legislatore ad attribuire

al ruolo la funzione di costituire l’unico titolo che consente all’Amm. Fin. di partecipare alla formazione dello stato passivo 25. Ed al riguardo, dovendo

19 Ad esempio, sull’impossibilità per l’Amm. Fin. di utilizzare gli atti prodromici all’iscri-zione a ruolo per consentire il rispetto dei termini di presentazione della domanda di am-missione al passivo, si consulti infra il paragrafo successivo.

20 Conforme DEL FEDERICO, Profili di specialità, cit., p. 1376, che sottolinea il rischio “di incertezze e di pregiudizi per lo stesso Fisco”.

21 Per conferma, si veda la sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte 26 luglio 2007, n. 16428, in Il Fisco, 2007, 1, p. 4633. Peraltro, la stessa giurisprudenza che riconosce la possibilità di presentare la domanda di ammissione al passivo sulla base dell’invito al paga-mento nega espressamente l’autonoma impugnabilità dell’atto. Per conferma, v. Cass., sez. un., 4 marzo 2009, n. 5165, cit., p. 1555; Cass. 14 luglio 2004, n. 13027, cit., p. 1755; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2994, cit., p. 1451.

22 Il punto è colto da INGRAO, “Concentrazione della riscossione nell’accertamento”, cit., p. 153, nota 22.

23 Per conferma, si veda MICHELI, Sulla natura dell’ingiunzione per il pagamento delle en-trate patrimoniali, in Giur. it., 1949, I, p. 590; DOLFIN, Ingiunzione fiscale, in Nov. Dig. it., App., IV, Torino, 1983, 259.

24 Conforme DEL FEDERICO, Gli accertamenti esecutivi e le procedure concorsuali, cit., p. 175, anche nota 35 per una lettura restrittiva di tale rinvio.

25 Sulle partizioni teoriche volte ad evidenziare l’idoneità del ruolo ad assolvere a di-stinte funzioni, v. FALSITTA, Il ruolo di riscossione, Padova, 1972, passim; DE MITA, Le iscri-zioni a ruolo delle imposte sui redditi, Milano, 1979, passim; LA ROSA, Riscossione delle impo-ste, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 2000; BASILAVECCHIA, Ruolo d’imposta, in Enc. dir.,

Franco Paparella

425

escludere la sua attitudine funzionale all’avvio della esecuzione forzata, stan-te il noto divieto alla prosecuzione delle procedure esecutive e delle azioni cautelari di cui all’art. 51 L. fall., la soluzione deve essere individuata pro-vando a coniugare la concorsualità della procedura con la scansione proce-dimentale della pluralità degli atti conseguenti al verificarsi del presupposto.

Infatti, allo scopo di evitare una situazione vantaggiosa per il Fisco, in via di principio, occorreva individuare l’atto del procedimento recante il diritto dell’Erario più assimilabile a quello degli altri creditori e la soluzione che è stata preferita è quella che esprime il miglior equilibrio tra interessi contrap-posti e che presenta l’ulteriore pregio di salvaguardare il sistema della tutela giurisdizionale, preservando l’ordinaria scansione procedimentale dell’azio-ne amministrativa

26 ed imponendo, quindi, all’Amm. Fin. di notificare tutti gli atti che precedono l’iscrizione a ruolo.

In questo senso, il rilievo dell’iscrizione a ruolo ai fini dell’ammissione al passivo può essere ragionevolmente giustificato con l’esigenza di far parte-cipare al concorso solo l’atto, di natura provvedimentale

27, recante la prete-sa più certa e stabile

28 che si colloca nella fase più avanzata del procedimen-to di attuazione del tributo al fine di mantenere inalterati gli strumenti di tu-tela nei confronti degli atti prodromici e ad esso funzionalmente collegati; tale considerazione induce a concludere che, sempre limitatamente all’am-missione al passivo, il ruolo assolve essenzialmente ad una funzione ricogniti-va del credito fiscale, improduttiva di effetti ai fini dell’esecuzione esattoriale.

In tale contesto sistematico si inquadra la nuova disciplina dell’accerta-mento esecutivo, che esprime un nuovo assetto procedimentale con il quale si sovverte la scansione tradizionale dal momento che si passa dalla funzione impositiva riconosciuta all’atto della riscossione alla funzione esattiva con-naturata all’atto di accertamento

29. XLI, Milano, 1989, p. 178; RINALDI, Riscossione dei tributi, in CASSESE (diretto da), Diz. dir. pubblico, V, Milano, 2006, p. 5341. Più recentemente, v. CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, Pisa, 2008, p. 154, ove ulteriori riferimenti di dottrina; BOLETTO, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, Milano, 2010, p. 45.

26 Tale aspetto è colto da DEL FEDERICO, Gli accertamenti esecutivi e le procedure concor-suali, cit., p. 177.

27 V. LA ROSA, I procedimenti tributari, fasi, efficacia e tutela, in Riv. dir. trib., 2009, I, p. 821; BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento, cit., p. 57.

28 La stabilità e la certezza della pretesa nell’ottica di non pregiudicare i diritti degli altri creditori è un altro profilo evidenziato da DEL FEDERICO, Gli accertamenti esecutivi e le pro-cedure concorsuali, cit., p. 177.

29 Conforme CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo”, cit., p. 161, ma per una chiara indagine evolutiva nel senso della concentrazione della fase dell’ac-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

426

Detto risultato è stato conseguito con la concentrazione degli atti ed at-tribuendo al provvedimento impositivo una pluralità di funzioni sconosciu-te fino ad ora, posto che cumula la natura di atto impositivo, di titolo esecu-tivo e di precetto ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA e dell’IRAP

30. Pertanto, superando una tradizione normativa risalente quantomeno al Te-sto Unico del 1958, l’intervento del legislatore espunge il ruolo dalla fase di attuazione del tributo e modifica un’impostazione consolidata che collocava detto atto alla base di tutto il sistema della riscossione

31. Tuttavia, nonostante la ratio del provvedimento esprima la chiara volon-

tà del legislatore di perseguire un obiettivo ritenuto non ulteriormente pro-crastinabile

32, la riforma ha un ambito di applicazione limitato 33 e delinea un

sistema dichiaratamente provvisorio nell’attesa del riordino complessivo del-le modalità di riscossione dei tributi e dell’applicazione del nuovo procedi-mento a tutte le entrate riscuotibili a mezzo ruolo.

Tale impostazione favorisce pacificamente la conclusione che, nell’attesa degli ulteriori sviluppi legislativi, medio tempore la riscossione si fonderà su due sub sistemi, fondati su distinti procedimenti di attuazione del tributo, in aggiunta al rilievo residuale dell’ingiunzione fiscale: certamento con quella della riscossione si veda FALSITTA, Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in COMELLI-GLENDI (a cura di), op. cit., p. 7.

30 In coerenza con il contenuto minimo del precetto, tali atti devono recare l’intima-zione ad adempiere nonché l’avvertimento che, decorsi ulteriori trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme è affidata agli agenti della riscossione, con le modalità stabilite dal D.Dir. dell’Agenzia delle Entrate del 30 giugno 2011, i quali, però, a seguito delle ultime modifiche legislative, potranno avviare l’esecuzione forzata solo dopo il periodo di sospensione legale di 180 giorni, meglio qualificabile in termini di con-dizione di procedibilità.

31 In particolare, la nuova scansione procedimentale sembra caratterizzata da una esigen-za minimale e cioè che, contestualmente o precedentemente alla formazione del titolo che legittima l’avvio dell’espropriazione forzata, al contribuente sia notificato almeno un atto, autoritativo e di natura provvedimentale, avente le caratteristiche dell’atto d’imposizione oppure un provvedimento giudiziale.

32 Come risulta dal ricorso alla decretazione d’urgenza. 33 Sulla delimitazione della nuova disciplina sotto tre versanti – e cioè per i periodi di im-

posta in corso alla data del 31 dicembre 2007, limitatamente alle imposte sui redditi, all’IVA, all’IRAP e alle relative sanzioni e con esclusione delle ipotesi nelle quali l’Amm. Fin. agisce sulla base di atti endoprocedimentali privi dei caratteri propri del provvedimento di accerta-mento o degli avvisi di liquidazione recanti una pretesa impositiva – non sussistono dubbi a seguito delle modifiche intervenute con il D.L. 31 maggio 2011, n. 70 e con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (v. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo, cit., p. 28; CARINCI, Prime considera-zioni sull’avviso di accertamento “esecutivo”, cit., p. 163).

Franco Paparella

427

a) per i tributi principali e le relative sanzioni la notifica dell’accertamento esecutivo (oppure l’intervento del provvedimento giudiziale) esaurisce le at-tività dell’Amm. Fin. e consentirà di procedere con la riscossione coattiva;

b) negli altri casi, invece, resta ferma la scansione procedimentale tradi-zionale ed il ruolo conserva la sua fondamentale funzione.

L’esistenza di distinti procedimenti di formazione del titolo esecutivo de-termina che anche ai fini dell’insinuazione al passivo dei crediti fiscali dovran-no coesistere tre regimi posto che l’istanza di ammissione:

a) potrà essere fondata sull’atto di accertamento e sul provvedimento di irrogazione delle sanzioni nonché sulle sentenze rese dal giudice tributario con riferimento alle pretese aventi ad oggetto le imposte sui redditi, l’IVA e l’IRAP. In questi casi, tuttavia, non è sufficiente la formazione dell’atto ma l’agente della riscossione potrà agire solo dopo che ha ricevuto in affidamento le somme dall’ente impositore, ai sensi del D.Dir. dell’Agenzia delle Entrate del 30 giugno 2011, dal momento che la norma equipara all’iscrizione a ruo-lo solo detto adempimento

34; b) mentre resterà subordinata all’iscrizione a ruolo ed alla notifica della

cartella di pagamento per le pretese avanzate in forza di provvedimenti di-versi dai predetti atti nonché per gli altri tributi ai quali la nuova disciplina è inapplicabile;

c) infine, l’ingiunzione fiscale continuerà a rivestire una funzione sostitu-tiva del ruolo soprattutto per il sistema delle entrate degli enti locali.

Da cui consegue che sono diversi anche gli atti che l’agente della riscossio-ne dovrà produrre a supporto della domanda ai fini dell’assolvimento del-l’onere della prova: mentre nella ipotesi in cui il ruolo conserva la sua efficacia occorrerà produrre l’estratto del ruolo oppure la copia autenticata

35, la cartella di pagamento e la prova della notifica, nei casi di accertamento esecutivo sarà sufficiente la copia dell’atto (di accertamento e di irrogazione della sanzione)

36,

34 Conforme GAFFURI, op. cit., p. 617. 35 Sull’irrilevanza, ai fini probatori, dei prospetti riepilogativi dei crediti tributari elaborati

dall’agente della riscossione le indicazioni giurisprudenziali sono univoche. Tra le tante, si veda Tribunale di Roma del 5 febbraio 1997, in Dir. fall., 1998, II, p. 1004, con commento di DI GRAVIO, Le denegate ammissioni al passivo di imposte e contributi previdenziali.

36 Ma, ai fini dell’espropriazione forzata, la lett. e) dell’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 richiede “l’estratto dell’atto”.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

428

completo della prova della notifica 37, nonché la documentazione attestante l’af-

fidamento delle somme da parte dell’ente impositore 38 in alternativa alla sen-

tenza favorevole resa dal giudice tributario. In linea di principio, quindi, anche in ambito fallimentare si applicheran-

no medio tempore tre procedure diverse ed altrettanti saranno i titoli che le-gittimano la presentazione della domanda di ammissione al passivo

39 al punto che, come rilevato in altra sede, non è comprensibile perché, in presenza di un regime dichiaratamente provvisorio, non si è preferito mantenere il si-stema preesistente nell’attesa del riordino complessivo della materia

40.

3. Il rapporto tra la disciplina fallimentare e le norme tributarie sui termini per l’esercizio delle attività amministrative di riscossione: l’equiparazione dell’Erario agli altri creditori ai fini della presentazione della domanda di ammissione al passivo

Allo scopo di approfondire le questioni oggetto dell’ord. n. 20910/2011 è necessario precisare i profili esaminati dalla Suprema Corte. A nostro avvi-so, i punti qualificanti sono due ed assumono una diversa connotazione si-stematica in quanto:

a) il primo attiene alla valutazione della condotta dell’Amm. Fin dal mo-mento che «la stessa deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione», l’eventuale ritardo «non può valutarsi esclu-sivamente in relazione alla scusabile non conoscenza della procedura falli-

37 Sull’importanza della notifica nel nuovo sistema dell’accertamento esecutivo e per i riflessi in punto di onere della prova, anche alla luce delle previsioni legislative sulle moda-lità di comunicazione degli “atti successivi”, v. GLENDI, Notifica degli atti “impoesattivi”, cit., pp. 485 e 491.

38 Qualche problema di natura probatoria, anche ai fini della verifica del rispetto dei ter-mini, potrebbe porsi dal momento che il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 30 giugno 2011 prevede che il trasferimento dei flussi di carico all’agente della riscossione avviene per via telematica. In questo senso un documento significativo (anche in punto di estratto conforme all’originale) è il «riassunto in due esemplari dei carichi», di cui al comma 1 dell’art. 4 del provvedimento attuativo, anche per l’equiparazione «ai cari-chi affidati a seguito di iscrizione a ruolo».

39 Analoga è la critica di DEL FEDERICO, Gli accertamenti esecutivi e le procedure concor-suali, cit., p. 190, e di CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo”, cit., p. 165.

40 Sul punto sia consentito di rinviare al nostro Gli effetti della soppressione del ruolo, cit., p. 688.

Franco Paparella

429

mentare» ed, infine, al giudice compete «di accertare se la stessa, una volta avuta cognizione della dichiarazione di fallimento, si sia attivata per accele-rare le procedure volte a tal fine»

41; b) il secondo, invece, è una specificazione del primo ma presenta una di-

mensione più ampia in quanto, come chiarito in via introduttiva, la preclusio-ne a considerare “una esimente di carattere generale” i maggiori termini previsti dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 per la notifica della cartella di pagamento

42 presuppone una valutazione riguardante il coordinamento tra norme di setto-ri diversi dell’ordinamento, la quale, a sua volta, è espressione di un giudizio di meritevolezza o di valore tra finalità e rationes di distinta natura.

Ciò posto, quanto al primo profilo, è la stessa ordinanza che enuncia il principio generale che porta agevolmente a ribadire l’equiparazione, in via di principio, tra le diverse categorie di creditori sul piano procedimentale; pertanto, anche l’Amm. Fin. è soggetta agli oneri ed ai termini previsti dalla disciplina fallimentare, senza che possano invocarsi specialità o prerogative di alcun tipo, e ciò consente di attrarre alla cognizione del giudice fallimen-tare il giudizio sull’eventuale inerzia dell’Amm. Fin. oppure su altri elementi di colpevolezza ai fini della “tardività” o della “ultratardività” della doman-da

43 in assenza di adeguati mezzi di prova sulla circostanza che il ritardo è

41 In precedenza, nella giurisprudenza di merito, in senso conforme si veda Tribunale di Roma, 4 novembre 2010.

42 Di due, tre o quattro anni secondo i casi. Sull’impianto dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, a seguito del doppio intervento della Corte costituzionale del 2004 e del 2005, v. GLENDI, Nuovi scenari sui termini di decadenza dei ruoli, in Riv. giur. trib., 2006, p. 5; BASI-LAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento, cit., p. 53; CARINCI, Termini di notifica della cartella di pagamento e funzioni del ruolo: perplessità applicative e dubbi sistematici in merito al nuovo art. 25 del DPR n. 602/1973, in Rass. trib., 2005, p. 1669; ID., Il ruolo tra pluralità di atti ed unicità della funzione, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 263; ALLENA, I termini della riscos-sione: moniti della Corte Costituzionale ed interventi del legislatore, in Riv. dir. trib., 2005, II, p. 659; MICCIO, Appunti in tema di verifica dei crediti tributari, in Documenti dell’incontro di studio presso il Cons. Superiore della magistratura sul tema L’accertamento del passivo concorsuale, Roma, 15-17 maggio 2006.

43 In particolare, la legge fallimentare prevede distinte qualificazioni delle domande avan-zate dai creditori, secondo i termini di presentazione, alle quali corrispondono effetti diversi: infatti, ai sensi dell’art. 93, si considerano tempestive le domande presentate entro i trenta giorni che precedono l’udienza fissata per l’esame dello stato passivo; ai sensi dell’art. 101, comma 1, si considerano “tardive” quelle presentate oltre il termine delle tempestive e, co-munque, non oltre 12 mesi dall’esecuzione dello stato passivo; infine, ai sensi dell’art. 101, comma 4, si considerano “ultratardive” quelle presentate dopo il decorso del termine delle tardive e fino a quando non sono esaurite le ripartizioni dell’attivo a condizione che il credi-tore dimostri che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

430

dipeso da una causa non imputabile al creditore secondo l’art. 101 L. fall. 44.

Tale conclusione non è priva di effetti ai fini delle prospettive di soddi-sfazione del credito fiscale in quanto:

a) mentre per le domande tardive non sussiste un problema di ammissi-bilità posto che il creditore non partecipa alle ripartizioni parziali ma ha «il diritto di prelevare le quote che sarebbero loro spettate nelle precedenti ri-partizioni se assistiti da causa di prelazione o se il ritardo è dipeso da causa ad essi non imputabile» ai sensi dell’art. 112 L. fall.;

b) una disciplina analoga non è prevista per le domande ultratardive per cui, nonostante il titolo di preferenza, sussiste il rischio concreto che la do-manda sia considerata inammissibile se la presentazione tardiva è dovuta ad una causa imputabile all’agente della riscossione

45.

44 Il ritardo nella presentazione dell’istanza da parte del creditore determina effetti di di-versa intensità per le domande tardive e per quelle ultratardive al punto che, nei casi di iner-zia colpevole prolungata, non assistita da valide ed oggettive ragioni indipendenti dalla vo-lontà del creditore, il sistema prevede il rimedio più grave ovvero l’inammissibilità della do-manda. In particolare, in dottrina si ritiene che «il riscontro negativo in punto di incolpevo-lezza del ritardo non si risolve, dunque, in una mera pronuncia di inammissibilità, ossia di rigetto in rito, dell’istanza di insinuazione proposta oltre i termini di legge, bensì in un’au-tentica declaratoria di infondatezza, ossia di rigetto nel merito» (così MONTANARI, Le insi-nuazioni tardive, in JORIO-FABIANI, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006, p. 430) e che il particolare rigore previsto dall’art. 101 L. fall. esprima una presunzione relativa di inammissi-bilità delle domande ultratardive superabile solo con la prova della non colpevolezza del ri-tardo (in questo senso v. QUATRARO-DIMUNDO, La verifica dei crediti nelle procedure concor-suali. Contratti bancari, parabancari e del mercato finanziario, Milano, 2011, p. 91). Infine, in merito al concetto di incolpevolezza nel ritardo, la dottrina è dell’avviso che in ambito falli-mentare si applichi la disciplina di cui all’art. 1218 c.c. in tema di inadempimento del debito-re (v. MANENTE, Commento all’art. 101 l. fall., in Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, p. 590; FERRARO, Art. 101: domande tardive di cre-diti, in NIGRO-SANDULLI (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Torino, 2006, p. 583; NARDECCHIA, La domanda del creditore “supertardivo”, in Fall., 2009, p. 453) per cui il termi-ne può essere derogato solo se la causa del ritardo è estranea alla posizione creditoria e di-pende da forza maggiore, caso fortuito o errore incolpevole (Tribunale di Macerata, 11 no-vembre 2008, in Fall., 2009, p. 453) mentre sono a carico del creditore le conseguenze del ri-tardo nell’ipotesi di incuria, negligenza, trascuratezza o malafede (così Corte d’Appello di Torino, 11 giugno 1985, in Fall., 1986, p. 306).

45 Sulle preclusioni nei confronti delle domande di ammissione al passivo ultratardive v. STAUNOVO POLACCO, Il ritardo non imputabile nell’insinuazione al passivo “supertardiva”, in Fall., 2010, p. 75; NARDECCHIA, La domanda del creditore “supertardivo”, cit., p. 456; RI-NALDI, Creditori tardivi, riparto finale e responsabilità del curatore, in Fall., 1995, p. 420; BOZZA, Ritardo per causa non imputabile al creditore nell’insinuazione tardiva del credito di restituzione, in Fall., 2005, p. 426. Per i profili fiscali, invece, si veda ANNI, Insinuazione tar-

Franco Paparella

431

Il principio enunciato dalla Suprema Corte è condivisibile in quanto non sussistono particolari ragioni idonee a giustificare l’esercizio delle attività amministrative dell’Amm. Fin. (propedeutiche alla presentazione della do-manda di ammissione al passivo) negli stessi termini adottati per la generali-tà dei contribuenti

46. Piuttosto, è ragionevole affermare il contrario e, cioè, che l’intervento della procedura concorsuale dovrebbe indurre autonoma-mente l’Amm. Fin. a riservare un’attenzione particolare ai contribuenti falli-ti anche alla luce dei rischi connessi al “fondato pericolo della riscossione” di cui alla disciplina dei ruoli straordinari ex art. 11 del D.P.R. n. 602/1973

47. Pertanto, posto che l’Amm. Fin. viene rapidamente a conoscenza dell’a-

pertura della procedura concorsuale, non vi è ragione perché non promuova una rapida ricognizione dei debiti fiscali, già contestati oppure in via di con-testazione, semplicemente per non arrecare pregiudizio ai propri interessi ed all’ulteriore scopo di consentire una rapida definizione del passivo in vi-sta della soddisfazione delle pretese dei creditori.

Il tema della tempestività delle attività necessarie ai fini dell’ammissione al passivo dei crediti tributari offre l’occasione per verificare se la nuova di-sciplina dell’accertamento esecutivo produca effetti positivi sotto questo punto di vista dal momento che l’obiettivo conclamato della riforma è quel-lo di “velocizzare tutti i processi di riscossione coattiva”. Sotto questo profilo, in teoria, l’abolizione del ruolo dovrebbe velocizzare la presentazione della domanda di insinuazione al passivo, ridurre il numero delle “tardive”

48, de-terminare la scomparsa delle “ultra tardive” ed evitare la duplicazione dell’i-scrizione a ruolo a seguito della sentenza definitiva favorevole all’Amm. Fin. Tale situazione sarebbe oggettivamente meritevole di apprezzamento so-prattutto se essa si rivelasse proficua per eliminare l’ampio ed ingiustificato utilizzo dell’iscrizione ai ruoli straordinari.

Ma per chiunque abbia esperienze di procedure concorsuali sarà agevole convenire che i termini ristretti per la presentazione delle istanze “tempesti- diva di crediti d’imposta e spese relative, in Fall., 1997, p. 61; TURIS, Insinuazione tardiva al passivo dell’Amministrazione finanziaria e termini per accertamento/riscossione, in Il Fisco, 2011, p. 6548.

46 Per una recente indagine contraddistinta dall’impostazione che tende ad equiparare il diritto dell’Erario a quello degli altri creditori nel rispetto del carattere pubblicistico della pre-tesa fiscale v. MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, cit., pp. 10 e 303.

47 Retro alla nota 14. 48 Questa prospettiva è condivisa da INGRAO, “Concentrazione della riscossione nell’accer-

tamento”, cit., p. 156, che valuta favorevolmente la riforma ritenendo che in questo modo si eliminino “inutili duplicati procedurali”.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

432

ve” determineranno che gran parte delle domande continueranno ad essere “tardive”

49, mentre potrebbero trovare soluzione gli inconvenienti conse-guenti alle sole domande “ultratardive” al punto che, come rilevato in altra sede

50, sarebbe più razionale introdurre un procedimento rapido di ricogni-zione dei debiti fiscali, entro termini scanditi in via legislativa, sul modello previsto per la transazione fiscale dall’art. 182 ter L. fall.

Come rilevato, una dimensione sistematica più ampia presenta la secon-da questione già acutamente sollevata nel passato da un autorevole Mae-stro

51: quella, cioè, che attiene al rapporto tra le norme del diritto fallimen-tare e quelle tributarie, il quale è preso in esame nella sentenza in rassegna dal punto di vista della possibilità di individuare un punto di equilibrio raziona-le tra i termini previsti dall’art. 101 L. fall. e quelli, più ampi, di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973. Essa, infatti, assume un rilievo che va oltre il mero coordinamento di norme appartenenti ad ambiti diversi dell’ordinamento giu-ridico in quanto le soluzioni adottate nei settori di appartenenza sono espres-sione di rationes distinte al punto che, nell’impossibilità di adottare una so-luzione interpretativa razionale (idonea a salvaguardare le rispettive finali-tà), l’eventuale giudizio di prevalenza si risolve nell’individuazione di una precisa gerarchia di valori.

Anche su questo delicato aspetto la posizione della Suprema Corte è sta-ta netta dal momento che sono state ritenute prevalenti le finalità che assol-vono i minori termini ai fini dell’accertamento del passivo (con l’evidente scopo di assicurare che la procedura concorsuale si esaurisca entro termini ra-gionevoli a tutela degli interessi dei creditori) rispetto a quelle che, da tem-po, hanno orientato il legislatore fiscale a disciplinare lo svolgimento delle attività che scandiscono la fase di attuazione del tributo.

Tale prospettiva non è una novità assoluta in quanto anche in altre fatti-specie i principi espressi dalle norme tributarie sono stati collocati in posi-zione subordinata rispetto alle regole desumibili dal sistema del diritto fal-limentare. Basti pensare alla questione riguardante i compensi dei conces-sionari, che è stata risolta nel senso di non ravvisare nell’art. 117 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 una deroga all’art. 101 L. fall. talché si è ritenuto ap-plicabile il principio generale che pone a carico del creditore l’onere delle spe-

49 Di avviso contrario è GAFFURI, op. cit., p. 617, che rileva «verosimilmente, consideran-do i ritmi consueti della dinamica fallimentare, vi è sufficiente agio per chiedere tempestiva-mente la partecipazione alla procedura concorsuale».

50 Si veda il nostro L’ammissione al passivo fallimentare dei crediti fiscali, cit., p. 1126. 51 Per conferma, si consulti la nota 2.

Franco Paparella

433

se in ipotesi di domanda tardiva salvo che il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile

52. Oppure al problema che attiene all’applicazione della compensazione “fi-

scale” nelle procedure concorsuali 53; in proposito, infatti, recentemente so-

no sopraggiunti importanti chiarimenti ministeriali 54 che hanno riconosciu-

to la prevalenza della particolare fattispecie di compensazione di cui all’art. 56 L. fall. rispetto alla pluralità di vincoli previsti dalle leggi tributarie

55 ed alla stessa conclusione dovrebbe pervenirsi anche rispetto alla norma gene-rale di cui all’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, sebbene in dot-trina sia stato autorevolmente rilevato che la ragionevolezza della soluzione sul piano applicativo non consente di concludere che essa «si possa razio-nalmente giustificare con la prevalenza assoluta dei principi previsti dalle norme fallimentari rispetto ai fini, ai precetti costituzionali ed agli obiettivi perseguiti dalla legislazione fiscale se non a costo di individuare una gerar-chia di valori che colloca in posizione subordinata l’interesse fiscale»

56. In definitiva, sembra potersi affermare che l’ordinanza in rassegna si col-

lochi nella prospettiva che, a proposito del rapporto tra i principi della di-sciplina fallimentare ed il diritto tributario, tende ad escludere qualsiasi pro-filo di specialità, per sua natura, della nostra materia idonea a giustificare la prevalenza dell’interesse fiscale rispetto all’interesse primario dei creditori e

52 Per conferma, si veda Cass. 19 giugno 1996, n. 5662, in Fall., 1997, p. 61, ma sul pun-to sia consentito di rinviare al nostro Gli effetti della soppressione del ruolo, cit., p. 648.

53 Sul tema, si veda MESSINA, La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006, p. 118 e 132; ID., La compensazione tributaria in sede fallimentare, in Corr. trib., 2010, p. 2383; P. ROSSI, I nuovi limiti alla compensazione fiscale introdotti dal D.L. n. 78/2010 e il fallimen-to, in Il Fisco, 2011, 1, p. 3715; MANDRIOLI, La compensazione fiscale nel fallimento, in Corr. trib., 2001, p. 284.

54 V. Circ. Agenzia delle Entrate n. 13/E dell’11 marzo 2011, in Il Fisco, 2011, 1, p. 2063, che richiama la Ris. Agenzia delle Entrate 12 agosto 2002, n. 279. Sui tratti peculiari della compensazione disciplinata dalla legge fallimentare, si veda FOSCHINI, La compensazio-ne nel fallimento, Napoli, 1965, passim, e, più recentemente, RAGO, La compensazione e le procedure concorsuali, in Dir. fall., 2004, I, p. 1003.

55 In primo luogo, quelli introdotti dall’art. 31 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con la L. 30 luglio 2010, n. 122. Sul tema, si veda la Circ. del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli esperti contabili n. 23/R del 10 maggio 2011, in Il Fisco, 2011, 1, p. 23.

56 Così FANTOZZI, Considerazioni generali sui profili fiscali delle procedure concorsuali, cit., 440. Sulla prevalenza del principio della par condicio rispetto alla disciplina della com-pensazione tributaria v. MESSINA, La compensazione in sede fallimentare, cit., p. 2386; MAU-RO, Imposizione fiscale e fallimento, cit., p. 120, che rileva «nel fallimento la compensazione tributaria è asservita al principio della par condicio creditorum».

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

434

alle regole del concorso 57. Tale conclusione può essere ragionevolmente ac-

colta per le questioni che attengono ai profili procedimentali dell’ammis-sione al passivo oppure, più in generale, agli aspetti che non riguardano l’am-montare del debito d’imposta in senso stretto ed il grado di partecipazione al concorso delle spese pubbliche ma, viceversa, solleva perplessità nei casi in cui l’applicazione della disciplina fallimentare incide sui profili sostanziali dell’obbligazione tributaria.

È il caso, ad esempio, delle disposizioni sugli istituti volti a prevenire l’irreversibilità della crisi dell’impresa oppure a risolverla ed, in primo luogo, dell’art. 182 ter L. fall. in tema di transazione fiscale

58; in proposito, già la collocazione della norma all’interno della legge fallimentare sembra espri-mere l’esigenza di adattare (rectius: subordinare) i principi della nostra ma-teria a quelli del settore del diritto in cui è accolta, a cui si aggiunge quanto è stato autorevolmente rilevato sulla incerta «possibilità di giustificare razio-nalmente l’applicazione dei criteri di votazione e di formazione della volon-tà del ceto creditorio rispetto alla possibile decurtazione che subiscono i crediti assistiti da titoli “particolari” in quanto espressione di interessi diffusi e costituzionalmente rilevanti»

59.

57 Sul rilievo subordinato di altri interessi rispetto a quello primario dei creditori nel di-ritto fallimentare e sulla dimensione teorica e sulla sfera applicativa del principio dalla parità di trattamento e della par condicio creditorum, da ultimo, v. PAJARDI, Radici e ideologie del fal-limento, a cura di Gualdi, Milano, 2002, p. 29, ove ampi riferimenti alle tesi di Rescigno, Jae-ger, Schlesinger e di altri autorevolissimi studiosi; DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, pp. 24 e 76.

58 Sul tema, senza alcuna pretesa di completezza, si consulti FALSITTA, Funzione vincola-ta di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Giust. trib. e tirannia fiscale, Mila-no, 2008, p. 185; LA ROSA, Accordi e transazione nella fase di riscossione dei tributi, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 313; TOSI, La transazione fiscale, in Rass. trib., p. 1086; MAGNANI, La tran-sazione fiscale, in SCHIANO DI PEPE (a cura di), Il diritto fallimentare, Padova, 2007, p. 683; DEL FEDERICO, Art. 182-ter. Transazione fiscale, in IORIO (diretto da), Il nuovo diritto falli-mentare, II, Bologna, 2007, p. 1574; FICARI, Riflessioni su transazione fiscale e ristrutturazio-ne dei debiti tributari, in Rass. trib., 2009, p. 68; MARINI, La transazione fiscale, in Rass. trib., 2010, p. 193; MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazione della norma tributaria, Milano, 2007, p. 338; RANDAZZO, Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 825; QUATRARO, La transazione fiscale, in Boll. trib., 2008, p. 1569.

59 In questo senso si veda FANTOZZI, Considerazioni generali sui profili fiscali delle proce-dure concorsuali, cit., p. 429. Sulla natura convenzionale dei contratti sulla crisi dell’impr-esa, sulla antinomia tra accordo e concorso e sulla insussistenza di un interesse pubblico alla valutazione dell’accordo per effetto del primato della scelta maggioritaria, v. DI MARZIO, op. cit., pp. 139 e 270.

Franco Paparella

435

D’altro canto, nelle imposte sui redditi (IRES ed IRAP) sussistono nor-me sostanziali, di importanza fondamentale nel sistema del diritto tributario delle procedure concorsuali, che dispongono una deroga alle regole ordina-rie allo scopo di postergare le ragioni dell’Erario agli interessi dei creditori: si allude principalmente al criterio di determinazione della base imponibile di tipo patrimoniale di cui all’art. 183 TUIR, a proposito del quale è agevole riscontrare un filone dottrinale critico sulla base del giudizio di valore tra in-teresse fiscale e interessi privatistici dei creditori espresso dalla soluzione le-gislativa adottata con il Testo Unico del 1986

60.

4. L’impossibilità di riconoscere la legittimazione ad agire all’Amm. Fin. nel-l’ipotesi di domanda di ammissione al passivo fondata su una sentenza fa-vorevole passata in giudicato

Il tema esaminato dall’ord. n. 14116/2011, invece, riguarda il riparto delle competenze tra Amm. Fin. e concessionario

61 ai fini degli adempimenti pro-pedeutici all’insinuazione al passivo dei crediti tributari, con particolare ri-ferimento, all’eventuale iniziativa dell’Ufficio «senza l’intervento del con-cessionario cui per legge è affidata l’azione esecutiva» e ciò allo scopo di ve-rificare se «la previsione di legge dell’espletamento dell’attività di riscossio-ne mediante concessionario non priva il titolare del credito tributario della legittimazione ad agire direttamente».

In realtà, a parere della stessa Corte, la questione è stata sollevata con ri-ferimento ad una pluralità di norme in larga parte “non più vigenti” in quanto il sistema normativo di riferimento era quello precedente alla riforma di cui al D.Lgs. n. 46/1999.

60 Sul punto, sia consentito ancora di rinviare al nostro Il regime fiscale dell’amministra-zione straordinaria, cit., p. 511, anche per ulteriori considerazioni e riferimenti di dottrina, ma in senso analogo si è espresso FANTOZZI, Considerazioni generali sui profili fiscali delle procedure concorsuali, cit., p. 423. Inoltre, per una valutazione critica sulla struttura sistema-tica dell’art. 183 del TUIR, si veda FALSITTA, Problematiche fiscali nelle procedure concorsuali, in AA.VV., Società commerciali e procedure concorsuali, Milano, 1995, p. 58, che evidenzia «In definitiva con il Testo Unico è venuta meno la possibilità che, nel 99% delle procedu-re concorsuali, sorga un debito d’imposta»; RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 1999, p. 691, che sottolinea «con il testo unico scompare dalle procedure concorsuali il prelievo sul reddito d’impresa»; MICCINESI, Il fallimento delle società: alcuni aspetti fiscali, in Fall., 2000, p. 33; MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, cit., pp. 207 e 245.

61 Sul nuovo rapporto tra ente impositore e agente della riscossione, v. ATTARDI, Accer-tamento esecutivo e ruolo dell’agente della riscossione, in Corr. trib., 2010, p. 3766.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

436

Pertanto, poiché, come rilevato al paragrafo 2, quest’ultima ha collocato in una posizione di rilievo l’iscrizione a ruolo e l’attività del concessionario, ad una prima analisi, si potrebbe concludere che il problema può considerarsi su-perato dal momento che il sistema attuale sembra attribuire una competen-za esclusiva al concessionario. Ma, se si esamina la questione alla luce delle recenti novità legislative, essa merita almeno una precisazione anche per la particolarità della fattispecie: infatti, il caso preso in esame dalla Corte non è fondato sull’ordinaria scansione procedimentale degli atti dell’accertamento e della riscossione bensì su una sentenza di merito passata in giudicato ed in queste circostanze, effettivamente, l’iscrizione a ruolo ai fini dell’insinuazio-ne al passivo può risultare un adempimento superfluo giustamente soppres-so con la riforma recata dall’art. 29 del D.L. n. 78/2010.

Tuttavia, anche nel nuovo sistema dell’accertamento esecutivo il pro-blema della legittimazione ad agire (residuale) dell’ente impositore nel caso della domanda di ammissione fondata su una sentenza passata in giudicato non seguita dall’iscrizione a ruolo non sembra meritevole di accoglimento.

In linea di principio, infatti, se si esamina la questione dal punto di vista della scansione degli atti, in senso favorevole indubbiamente depone la so-pravvenuta abolizione del ruolo ma in senso opposto depongono gli argo-menti fondati sulla tipicità del procedimento previsto dall’art. 29 del D.L. n. 78/2010 oltre a considerazioni di carattere sistematico. Invero, il tenore della norma pare attribuire una competenza esclusiva dell’agente ai fini della “ri-scossione delle somme richieste” talché egli non è più tenuto a formalizzare al-cun atto ma è chiamato comunque a svolgere tutte le attività e le funzioni che la legge gli riconosce in dipendenza del titolo esecutivo, ivi incluse quel-le preordinate all’ammissione al passivo, dal momento che anche il proce-dimento fallimentare è comunque una forma di esecuzione collettiva sul pa-trimonio del debitore nell’interesse dei creditori secondo la concezione lar-gamente utilizzata in dottrina

62. Inoltre, sul piano sistematico, il riconoscimento della legittimazione ad

agire dell’ente impositore sulla base della sentenza determina una commi-stione ed una duplicazione di attività che non pare giustificabile nemmeno nel caso di inerzia dell’agente della riscossione

63 posto che il suo intervento resta indispensabile quantomeno per le ipotesi in cui il ruolo conserva la sua tradizionale funzione, accresce immotivatamente di nuove funzioni l’attività

62 Per conferma, tra i più recenti, v. DI MARZIO, op. cit., pp. 7 e 63. 63 Tale aspetto è puntualmente colto da DEL FEDERICO, Gli accertamenti esecutivi e le

procedure concorsuali, cit., p. 190.

Franco Paparella

437

ordinaria degli Uffici ed, infine, trascura che la sentenza definitiva giunge dopo che l’agente della riscossione ha già chiesto di essere ammesso al pas-sivo sulla base dei titoli precedenti (e, verosimilmente, ottenuto l’ammissio-ne con riserva).

5. Un aspetto critico della sentenza: l’importanza della cartella di pagamento

Infine, l’esame congiunto dei due provvedimenti solleva un’ulteriore que-stione in quanto essi si esprimono in senso opposto sullo stessa tema: quel-lo, cioè, del rilievo della cartella di pagamento. Infatti, mentre l’ordinanza ha ribadito «la necessità della previa iscrizione a ruolo e notifica della cartella al curatore del fallimento ... con la finalità di consentire al curatore, proponen-do impugnazione avverso il ruolo, di sottoporre al giudice competente le proprie eventuali difese avverso quella pretesa, delle quali il giudice fallimen-tare non può conoscere (v. tra le tante Cass. n. 6032/1998; Cass. n. 23001/ 2004)» nella sentenza si legge «ai fini della presentazione della istanza di insinuazione al passivo, è sufficiente l’esistenza del ruolo, che costituisce ti-tolo valido attestante il credito, senza dover attendere la formazione e la noti-fica della cartella esattoriale (Cass. 12019/2011)».

La contrapposizione è netta e sembra porre in discussione il consistente orientamento giurisprudenziale, di legittimità e di merito, che riconosce nella notifica della cartella un adempimento imprescindibile ai fini della insinua-zione al passivo

64, il quale, nonostante l’art. 87 del D.P.R. n. 602/1973 ri-chieda espressamente la sola iscrizione a ruolo, a nostro avviso, merita di es-sere confermato per le seguenti ragioni

65. Infatti, in detto ambito, la notifica della cartella di pagamento assolve ad

una funzione parzialmente diversa da quella tipica nella fase di attuazione del tributo posto che non può ritenersi decisiva la finalità meramente in-formativa dell’avvenuta iscrizione a ruolo, nei confronti degli organi del fal-limento, in quanto tale funzione è assolta, più compiutamente, dall’istanza di ammissione al passivo dal momento che il suo contenuto è sicuramente più ampio. Negli stessi termini, non può nemmeno dubitarsi che, limitata-mente alla fase endofallimentare, l’eventuale assenza di detti atti non pregiu-dica il diritto del curatore di opporsi alla domanda presentata dall’agente della riscossione e di contestare la pretesa: a queste esigenze assolve l’am-

64 Per conferma, si consulti il par. 2 e la giurisprudenza richiamata alla nota 13. 65 Conforme MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, cit., pp. 93 e 102.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

438

missione con riserva di cui l’art. 88 del D.P.R. n. 602/1973, per cui qualsiasi eccezione di merito, di legittimità o, anche semplicemente, di ordine proce-dimentale e di carattere probatorio, preclude l’ammissione immediata e de-termina l’esigenza di attendere lo scioglimento della riserva ad opera del giudice delegato.

Il punto di fondo è un altro e, cioè, che l’ammissione con riserva è sicu-ramente idonea a “paralizzare” la domanda presentata ai fini della formazione del passivo concorsuale ma preclude al giudice fallimentare di esaminare e decidere sul merito della contestazione in quanto, come visto, la giurisdizione è riservata in via esclusiva al giudice tributario. Così stando le cose, è agevo-le ribadire l’importanza dell’iscrizione a ruolo (e della cartella di pagamen-to) ed è altresì comprensibile il motivo per cui tale adempimento deve logi-camente e razionalmente precedere la domanda di insinuazione al passivo in quanto l’iscrizione a ruolo e la domanda di ammissione al passivo sono atti che assolvono a distinte finalità:

a) il primo è l’unico veicolo che consente di accedere alla cognizione e-sclusiva del giudice tributario dal momento che, nonostante il progressivo ampliamento degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, non è ipotizzabile che il curatore si possa rivolgere al giudice tributario sulla base della domanda di insinuazione al passivo;

b) quest’ultima, invece, sulla base delle vicende relative agli atti dell’Amm. Fin., assolve alla più limitata funzione, di natura strettamente endofallimen-tare, di consentire la formazione del passivo concorsuale e di rendere un’ade-guata informativa ai creditori.

Da ciò consegue l’irrazionalità della soluzione che potrebbe indurre a ri-tenere superflua l’iscrizione a ruolo, nel presupposto che la domanda di am-missione al passivo possa fondarsi su altri titoli preliminari di diversa natura, in quanto, come si spera di aver chiarito, detto percorso determina una vio-lazione del diritto di difesa per l’impossibilità di adire il giudice tributario in presenza di atti pacificamente non impugnabili

66. Ovviamente, diversa è l’i-potesi in cui resta fermo il doppio adempimento con l’unica variante che la domanda di ammissione al passivo può essere presentata in anticipo perché fondata su un atto precedente all’iscrizione a ruolo che non pregiudica l’ac-cesso alla tutela giurisdizionale: è questo uno degli aspetti centrali del nuo-vo sistema dell’accertamento esecutivo, sul quale è doveroso riservare qual-che considerazione con riferimento al rapporto tra esercizio dei poteri auto-

66 Analogamente MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, cit., p. 102.

Franco Paparella

439

ritativi dell’Amm. Fin., trasparenza del procedimento impositivo e tutela giu-risdizionale del contribuente.

Infatti, come rilevato in precedenza e, più diffusamente, in altra sede 67,

nel sistema precedente, un punto di equilibrio era assicurato dalla cartella di pagamento in quanto tale atto consentiva di portare a conoscenza del cura-tore dell’avvenuta iscrizione a ruolo, mettendolo in condizione di sollevare eventuali contestazioni. Invece, la scansione procedimentale che sarà utiliz-zata in futuro non è una novità di poco conto posto che, salvo i casi previsti dalla legge, l’unico atto che sarà notificato al contribuente è l’avviso di accer-tamento o il provvedimento di irrogazione delle sanzioni e, quindi, la loro im-pugnazione costituirà l’unica occasione in cui potrà essere esercitata la tutela giurisdizionale

68. I riflessi applicativi della nuova impostazione sono abbastanza gravosi per

le procedure concorsuali dal momento che occorrerà prestare particolare attenzione agli atti notificati prima dell’apertura della procedura, fermo re-stando un problema più ampio riguardante l’ipotesi dell’omessa o dell’irri-tuale notifica degli atti esecutivi

69. In dette circostanze, infatti, il rimedio fisiologico per il soggetto destina-

tario di un atto contraddistinto da un vizio di notifica era costituito dall’im-pugnazione del primo atto successivo all’avviso di accertamento (general-mente la cartella di pagamento) ma nella scansione procedimentale desu-mibile dalla nuova disciplina potrebbero sopraggiungere direttamente gli atti dell’esecuzione forzata salvo che non siano preceduti dall’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50 del D.P.R. n. 602/1973 (se l’esecuzione è av-viata con un ritardo superiore all’anno), dagli atti di “rideterminazione degli

67 V. PAPARELLA, Gli effetti della soppressione del ruolo, cit., p. 662. 68 La mancata comunicazione di atti o adempimenti che determinano rilevanti effetti

nella sfera patrimoniale del contribuente è un aspetto sottolineato anche da INGRAO, “Con-centrazione della riscossione nell’accertamento”, cit., p. 187.

69 Tale questione assume un rilievo fondamentale nel sistema del nuovo accertamento esecutivo in quanto si pone il problema se il vizio di notifica costituisca un elemento che im-pedisce l’esistenza dell’atto oppure un mero requisito di efficacia. Sul tema, v. CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo”, cit., pp. 169 e 177, che perviene alla conclusione che detto vizio pregiudichi l’esistenza dell’atto in quanto la norma subordina espressamente alla notifica la qualità di titolo esecutivo, attribuendo a tale adempimento un’idoneità che va oltre il tradizionale effetto di consentire la conoscenza al destinatario. Inoltre, si veda GLENDI, Notifica degli atti “impoesattivi”, cit., pp. 488 e 496, testo e note, ove ampi riferimenti alla concezione dell’atto ricettizio che ravvisa nella notificazione (non una condizione di un atto già perfetto bensì) una componente intrinseca per il suo perfe-zionamento, la cui assenza determina l’inesistenza dell’atto medesimo.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

440

importi dovuti” (nei soli casi previsti dalla legge) 70 oppure da altri atti o co-

municazioni di carattere facoltativo 71.

Ma nel caso degli atti dell’esecuzione e dell’intimazione ad adempiere l’e-ventuale giudizio è sottratto alla cognizione del giudice tributario – per effetto del comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992, che esclude dalla giurisdizione tributa-ria «soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tribu-taria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602» – e sareb-bero applicabili le norme del D.P.R. n. 602/1973, il cui art. 57 preclude l’op-posizione all’esecuzione (ad eccezione di quelle aventi ad oggetto la pignora-bilità dei beni) di cui all’art. 615 c.p.c., sebbene in dottrina siano state formu-late interessanti soluzioni sistematiche che ipotizzano il ricorso al giudice tri-butario nelle ipotesi in cui potrebbe determinarsi un vuoto di tutela

72. Tale preclusione era già molto discussa in presenza della possibilità di

impugnare la cartella di pagamento dinanzi agli organi di giustizia tributaria ma diventa di difficile giustificazione con l’abolizione dell’ultimo atto (esat-tivo) attratto alla cognizione del giudice tributario in quanto oggettivamen-te si determina un indebolimento degli strumenti di difesa del contribuente. In particolare, il profilo che merita una riflessione attiene alla possibilità di conciliare, con equilibrio, la nuova e più ridotta scansione procedimentale con la concentrazione degli strumenti di tutela dinanzi al giudice tributario solo in occasione del primo atto (id est: l’atto di accertamento “impoesatti-vo”), lasciando poi che l’ulteriore iter si svolga senza che ne abbia conoscen-za il soggetto destinatario degli effetti prodotti da tale attività

73 oppure che

70 Di cui all’ultimo periodo della lett. a) del comma 1 dell’art. 29 in esame. 71 La possibilità che al contribuente siano inviati atti o comunicazioni non previsti dalla

legge è riconosciuta da CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo”, cit., p. 176, che richiama l’esperienza, introdotta dalla prassi, della comunicazione prece-dente al preavviso di fermo.

72 Ad esempio, sulla possibilità di impugnare il pignoramento dinanzi al giudice tributario a seguito della soppressione dell’avviso di mora v. LA ROSA, La tutela del contribuente nella fase di riscossione dei tributi, in Rass. trib., 2001, p. 1192; RANDAZZO, Le problematiche di giurisdi-zione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. dir. trib., 2003, II, p. 923; ID., Esecuzione forzata tributaria: il raccordo tra giudizio tributario e tributario per una efficace tutela, in Corr. trib., 2011, p. 2745, ove ulteriori indicazioni di dottrina.

73 In senso critico si sono espressi FANTOZZI, Nuove prospettive dell’accertamento tributa-rio, Relazione tenuta al Convegno di Torino del 11 novembre 2011 su La riforma dell’ordina-mento tributario, p. 16 del dattiloscritto, ove si legge «in definitiva la nuova centralità della riscossione e l’accertamento esecutivo moltiplicano le occasioni di “solve et repete” e di pa-gamenti non conformi alla capacità contributiva», aggiungendo che la nuova disciplina pro-

Franco Paparella

441

la tutela sia rinviata al momento in cui l’esecuzione esattoriale è irrimedia-bilmente avviata.

In questa prospettiva, il sistema sembrerebbe razionale nei soli casi in cui l’Amm. Fin. è costretta a notificare gli atti di rideterminazione degli importi dovuti (rinnovando obbligatoriamente la diffida ad adempiere) oppure qua-lora facesse un utilizzo sistematico delle comunicazioni non obbligatorie prima di avviare l’esecuzione forzata posto che solo in queste ipotesi il con-tribuente non sarebbe privato dei rimedi a fronte di un procedimento pre-giudizievole per la sua sfera patrimoniale.

Peraltro, tale problema assume una connotazione particolare nel caso in cui, successivamente alla notifica dell’atto impoesattivo, l’Ufficio ritenga che sussista il “fondato pericolo per il positivo esisto della riscossione”, di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 29 in esame, ovvero in presenza della fattispecie equiparabile ai ruoli straordinari

74. Anche in questi casi, infatti, a fronte della decisione dell’Amm. Fin. non è previsto alcun atto da indirizzare al contri-buente e ciò determina l’impossibilità per la curatela di attivare una tutela im-mediata, che appare ulteriormente ingiustificata dal momento che il giudi-zio sulla sussistenza del periculum è espressione di una valutazione unilatera-le riservata all’ufficio ed all’agente della riscossione al punto che in dottrina sono stati sollevati dubbi di natura costituzionale per violazione degli artt. 24 e 97 della Cost.

75.

6. Conclusioni

In definitiva, le questioni esaminate dalla Suprema Corte prospettano so-luzioni complessivamente ragionevoli anche se non tutte condivisibili per ragioni di ordine sistematico oppure perché superate dall’evoluzione del si- duce «problemi e incertezze applicative e riduce, in definitiva, la tutela del contribuente»; GLENDI, Atti “impoesattivi”, cit., p. 2682; ID., Notifica degli atti “impoesattivi”, cit., p. 502, che sottolinea «il deficit quantitativo di tutela», mentre CARINCI, Prime considerazioni sul-l’avviso di accertamento “esecutivo”, cit., pp. 162, 178 e 181, evidenzia il rischio di un «grave pregiudizio per talune insopprimibili garanzie del contribuente»; DE MITA, L’accertamento esecutivo deroga ai principi, Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2010, p. 19.

74 L’assimilazione della nuova norma con i ruoli straordinari è condivisa da GAFFURI, op. cit., p. 611; GIOVANNINI, Fondato pericolo per la riscossione ed esazione straordinaria nell’ac-certamento esecutivo, in questa Rivista, 2012, p. 121, e CARINCI, Prime considerazioni sull’av-viso di accertamento “esecutivo”, cit., p. 172.

75 Per conferma, v. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo, cit., p. 33.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

442

stema di diritto positivo. Alla luce della nuova disciplina dell’accertamento esecutivo, in linea di principio, dovrebbe ormai considerasi risolta la querelle sulla notifica della cartella di pagamento sebbene la soluzione adottata dal le-gislatore non sia esente da critiche per il vuoto di tutela che si determina nei confronti del contribuente in dipendenza dell’avvio dell’esecuzione forzata.

Invece, in una prospettiva evolutiva ed in considerazione della tendenza a rendere più celere la fase della riscossione, è da accogliere la posizione che tende ad equiparare il diritto dell’Amm. Fin. a quello degli altri creditori sul piano degli adempimenti, dei termini di presentazione e dei documenti probatori da produrre a supporto della domanda di ammissione al passivo dei crediti tributari dal momento che tale impostazione non pregiudica l’in-teresse fiscale ma, anzi, tende a garantirlo maggiormente a fronte del ritardo ingiustificato nel compimento delle attività da parte dell’agente della riscos-sione

76.

76 Di avviso analogo è DEL FEDERICO, Gli accertamenti esecutivi e le procedure concorsuali, cit., p. 169, che rileva «residuano talune peculiarità ma la tendenza è chiaramente quella di evitare che la specialità tributaria possa prevalere sulle regole del concorso».

Giuseppe Scanu

LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI NELLE “PICCOLE” SOCIETA DI CAPITALI

TRA RAGIONE FISCALE E DIFESA DEL CONTRIBUENTE

THE PRESUMPTION OF PROFITS DISTRIBUTION IN “SMALL” CAPITAL COMPANIES BETWEEN FISCAL

INTEREST AND DEFENSE OF TAXPAYER

Abstract Il lavoro analizza le problematiche che la presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali solleva in relazione al principio di giusta imposi-zione e cerca di tracciare una linea che contemperi le contrapposte esigenze del-l’accertamento e della difesa del contribuente. Stabilito che la ristretta base societaria può costituire un mero indizio della di-stribuzione degli utili e che il fatto certo non può che rintracciarsi nell’eventuale reddito d’impresa accertato in capo alla società, il punto focale della questione è calibrare correttamente il riparto dell’onere della prova e, sostanzialmente, si ri-solve nel quesito «chi (e cosa) prova cosa». Posto che il ragionamento induttivo si presta a non poche obiezioni e che l’onere della prova in ordine all’accertamento del reddito societario debba ricadere in capo all’ufficio, la possibilità di neutralizzare la presunzione de qua dipende dalla capacità del contribuente di valorizzare ogni elemento di segno opposto, anche solo presuntivo, utile a vincere la presunzione e non limitarsi ad invocare l’il-legittimità della rettifica perché implicante una duplice presunzione o una proba-tivo diabolica. Parole chiave: presunzione, distribuzione degli utili, onere probatorio, “piccole” società, difesa del contribuente, ragione fiscale This paper analyzes the problems raised by the presumption of profit distribution in “small” companies with regard to the principle of fair taxation and tries to reconcile the requirements of the tax assessment with the taxpayer’s protection.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

444

Given that the restricted number of shareholders is a mere clue of the distribution of profits and that the only certain circumstance is the business income assessed by the Tax Administration, the main point remains the allocation of the burden of proof between the taxpayer and the Revenue Agency. Provided that inductive reasoning is open to many objections and that the Tax Ad-ministration should bear the burden of proof concerning the assessment of business in-come, the chance to neutralize the presumption in question lies on the taxpayer’s abili-ty to bring out such circumstances, even just presumptive, useful to overcome the pre-sumption, not limiting his defence to the illegality of the tax assessment because it in-volves a double presumption or a probatio diabolica. Keywords: presumption, profits distribution, burden of proof, small companies, tax-payer protection, interest tax

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La s.r.l. quale prototipo (non necessariamente coincidente) della “picco-la” società di capitali. – 3. La nozione di “piccolezza” nell’esperienza italiana. – 4. Il fatto noto, presunzioni a catena e difesa del contribuente. – 5. Profili procedimentali e processuali delle “piccole” società senza opzione per la trasparenza. – 6. Un auspicio per il futuro.

1. Introduzione

Il tema della presunzione della distribuzione degli utili extrabilancio in capo ai soci di società di capitali “piccole”

1, connotate dalla ristretta base proprietaria o familiare – ormai un topos nella giurisprudenza ed in dottri-na

2 – è ben lungi dall’essere pervenuto ad un approdo pienamente soddisfa-

1 Si premette che, in assenza di una puntuale definizione di “piccola società” (se si esclude la fattispecie opzionale per la trasparenza fiscale delle società a ristretta base pro-prietaria ex art. 116 TUIR e, in ambito societario, della piccola società cooperativa ex art. 21, della L. n. 266/1997), l’espressione è adoperata in senso atecnico.

2 Per un’ampia analisi ricostruttiva, si veda MUFFATO, La presunzione di distribuzione di utili occulti nel caso di rettifiche a società di capitali a base ristretta o familiare, in Riv. dir. trib., 1999, II, p. 324, ove ampi riferimenti giurisprudenziali e di dottrina, PAPARELLA, La pre-sunzione degli utili nelle società di capitali a ristretta base sociale, in Dir prat. trib., II, 1995, p. 453; MULEO, Alcune perplessità in ordine a recenti orientamenti in tema di imputazione ai soci dei maggiori utili accertati in capo a società a ristretta base sociale, in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 714 in nota a Cass., sez. trib., 29 gennaio 2008, n. 1906 ed, ivi, p. 70; CERIANA, La pre-sunzione di distribuzione degli utili in presenza di società a ristretta base azionaria, in Dir. prat.

Giuseppe Scanu

445

cente che davvero contemperi le contrapposte esigenze dell’accertamento e della difesa del contribuente.

Ed, invero, le questioni sollevate sono molteplici e assai delicate inve-stendo il riparto dell’onere della prova e l’obbligo di motivazione della pre-tesa impositiva, nonché l’inopponibilità al fisco dello schermo societario e, in ultimo, la stessa tenuta del principio di giusta imposizione ex art. 53 Cost. in esito ad un giusto processo ex art. 111 Cost. – e, ancor prima, di un corret-to contraddittorio procedimentale – che non risulti condizionato dalla pre-minenza della ragione fiscale.

Le ricadute possono rivelarsi dirompenti se si considera che il tessuto im-prenditoriale italiano è fatto, in gran parte, di piccole e medie imprese, spesso a carattere familiare e che il margine che si offre alla prova della mancata percezione (o alla diversa destinazione) degli utili appare, in molti casi, affie-volirsi avvicinandosi ad una probatio diabolica.

2. La s.r.l. quale prototipo (non necessariamente coincidente) della “piccola” società di capitali

Una volta emesso l’atto impositivo nei confronti di una società di capitali a ristretta compagine sociale e liquidato le imposte a carico della stessa, co-stituisce prassi degli uffici quella di emettere distinti avvisi di accertamento (c.d. avvisi singolari) a carico di ognuno dei soci della medesima imputando

trib., 2004, II, p. 1451 ss. ed, ivi, p. 1458; BENAZZI, Sulla attribuzione ai soci di società di capi-tali a ristretta base azionaria del maggior reddito accertato nei confronti della società, in GT-Riv. giur. trib., 2001, p. 326; PICCARDO, Sul valore meramente indiziario della ristretta base azionaria ai fini della prova della distribuzione ai soci del maggior reddito accertato a carico di un società, in Dir. prat. trib., 2000, II, p. 1122, ed ivi, 1131; ID., Ancora in tema di presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili accertati a carico di una società di capitali a ristretta base azionaria, in Dir. prat. trib., 1998, p. 26; DELLA VALLE, Presunzione di riparto di utili occulti nelle società a ristretta base azionaria, in Le Società, 1991, p. 827; MONTESANO, Pre-sunzione di distribuzione ai soci di maggiori utili accertati in via presuntiva, (in nota a Cass., sez. I, 15 giugno 1995, n. 67445), in Le Società, 1992, p. 1558; VOGLINO, Appunti critici sul-la presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili accertati a carico della società a ristret-ta base familiare od azionaria, in Boll. trib., 1996, p. 476; FANELLI, Quando gli utili extrabi-lancio sono tassabili in capo ai soci, in Corr. trib., 2000, p. 2129; BATISTONI FERRARA, Presun-zione di distribuzione ai soci del maggior reddito accertato nei confronti di una società familiare a ristretta base azionaria: una pronuncia non convincente, in Riv. dir. trib., 2005, II, p. 720; FICARI, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci e imputazione di costi fittizi, in Corr. trib., 2008, p. 1054.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

446

pro quota il reddito d’impresa accertato in capo alla società da assoggettarsi, quindi, a tassazione ex art. 47 del D.P.R. n. 917/1986 quale reddito di capi-tale ex art. 44, lett. e) in misura corrispondente agli utili che si presumono esser stati occultamente percepiti nello stesso periodo d’imposta nel quale son stati accertati

3. In sostanza, l’attribuibiltà ai soci degli utili extrabilancio si fonda unica-

mente sull’argomento presuntivo (i.e. presunzione semplice) secondo il qua-le, nell’ambito delle società di capitali a ristretta base partecipativa, dal vin-colo di solidarietà e reciproco controllo connaturato ai pochi soci non può che inferirsi, salva la prova contraria che il socio sia in grado di fornire (anche in ordine all’assenza o alla diversa misura del reddito distribuibile), la celata distribuzione del maggior utile accertato a carico della società.

Una prima questione attiene alla individuazione dei possibili criteri discre-tivi dimensionali e, quindi, alla delimitazione dell’ambito tipologico congenia-le alla “piccola” società la cui ristrettezza, ad avviso della giurisprudenza, avreb-be in sé quella complicità

4 che darebbe sostanza alla presunzione de qua 5.

In assenza, almeno fino alla recente riforma fiscale 6, di una nozione di

“piccola” società di capitali nel nostro panorama normativo, la giurispruden-

3 Mentre l’accertamento societario attiene all’IVA, IRAP e relative sanzioni, l’accerta-mento emesso a carico dei singoli soci riguarda l’Irpef e l’addizionale regionale, oltre che l’irrogazione delle sanzioni. In sostanza, gli utili presuntivamente percepiti concorreranno alla formazione del reddito imponibile nella misura del 49,72% (cosi elevata, dal 40%, dal D.M. 2 aprile 2008) nel caso di socio persona fisica che detenga, non in regime di impresa, una partecipazione qualificata (cioè, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c), TUIR, con per-centuale di diritto di voto esercitabile nell’assemblea ordinaria o una partecipazione al ca-pitale o al patrimonio superiore, rispettivamente, al 20% o al 25%); gli utili relativi a parte-cipazioni non qualificate (e non detenute in regime d’impresa) subiscono, invece, una rite-nuta alla fonte a titolo d’imposta nella misura del 12,50% del loro ammontare ex art. 27 del D.P.R. n. 600/1973.

4 Terminologia assai ricorrente, v., ex plurimis, Cass., sez. trib., 24 luglio 2009, n. 17358; Cass., sez. trib., 10 giugno 2009, n. 13338; Cass., sez. trib., 4 dicembre 2008, n. 28789; Cass., sez. trib., 29 ottobre 2008, n. 25939, consultabili nella Banca dati fisconline.

5 Si rimanda, sul punto, ai contributi di FEDELE, Le “piccole” società di capitali nel diritto tributario e COSSU, Le “piccole” società chiuse, in AA.VV., Studi in tema di forma societaria, servizi pubblici locali, circolazione della ricchezza imprenditoriale, Torino, 2007, p. 159.

6 Si allude alla disciplina dell’imposizione “per trasparenza” per le società di capitali di cui agli artt. 115 e 116 TUIR introdotta dal D.Lgs. n. 344/2003 per la cui analisi si rinvia a FICARI, Profili applicativi e questioni sistematiche dell’imposizione “per trasparenza” delle società di capitali, in Rass. trib., 2005, p. 38 ss.; CARINCI, L’accertamento nel regime di trasparenza delle società: responsabilità, garanzie e tutele per la società e per i soci, in Rass. trib., 2006, p. 171; FEDELE, La nuova disciplina Ires: i rapporti fra soci e società, in Riv. dir. trib., 2004, I, p. 485; SALVINI, La tassazione per trasparenza, in Rass. trib., 2003, p. 1504.

Giuseppe Scanu

447

za ha ravvisato sufficientemente ristretta una compagine sociale composta da uno fino a cinque consociati

7, ancor più se tra loro legati da rapporti di coniugio, parentela o affinità

8. Il numero dei soci (e la disciplina applicabile) appare il parametro più

persuasivo – seppur, come si dirà, non pienamente soddisfacente – per cer-care di delineare la categoria delle “piccole” società, dovendosi riconoscere che il concorso di pochi all’indirizzo dell’attività sociale può consentire (con maggiore probabilità) di influire sulle scelte riguardanti la destinazione dei risultati economici dell’attività

9. In tal senso, la disciplina della s.r.l. appare maggiormente confacente ad

identificare la “piccola” società rivelando una naturalmente vocazione verso un modello economico di società “chiusa”

10: difatti, normalmente i soci si scelgono per cooptazione, o comunque “a trattativa privata” e, non di rado, può assistersi ad una coincidenza tra soci e amministratori e ad un affievo-limento dei controlli interni

11.

7 È significativo notare come, nella prassi, l’Agenzia delle Entrate abbia proceduto alla rettifica anche nei confronti di soci detentori di una partecipazione minoritaria dello 4,69% del capitale o, addirittura, infinitesimale pari allo 0,4825%, v., CERIANA, op. cit., p. 1451 ss. ed, ivi, p. 1458.

8 Si veda l’ampia casistica citata da MUFFATO, op. cit., p. 343, nota 2. 9 Così FEDELE, Le “piccole” società di capitali nel diritto tributario, cit., p. 8 il quale osserva

che il parametro dell’entità del volume d’affari e il rapporto tra struttura organizzativa e ap-porto personale dei soci è di scarso aiuto ai fini della individuazione della categoria generale di “piccole” società di capitali e che, (p. 13) seppur “piccole” per numero di soci, queste so-cietà «ben possono essere “grandi” quanto a struttura organizzativa e attività svolta».

10 Il par. 11 della Relazione di accompagnamento alla legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 afferma a chiare lettere che la disciplina delle s.r.l. «(...) intende offrire agli operatori eco-nomici uno strumento (...) imperniato su una considerazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali».

11 Così COSSU, op. cit., p. 172 ss. la quale (p. 173) intravede nella s.r.l. il «tipo natural-mente pensato per le società a vocazione privata e chiuse, talvolta anche piccole».

Più in particolare, alla ristrettezza della compagine sociale possono più facilmente ac-compagnarsi i) processi deliberativi non collegiali e presi non in ambito assembleare, come avviene per le decisioni dei soci (art. 2479, comma 3, c.c.) e per le scelte gestorie mediante consultazione scritta o sulla base di consenso espresso per iscritto (art. 2475, commi 3 e 4, c.c.); ii) un più blando controllo interno, la cui funzione può essere affidata ai soci piuttosto che al collegio sindacale (obbligatorio, ex art. 2477, comma 2, c.c., solo se capitale minimo uguagli quello richiesto per la s.p.a.) o, ancora, al revisore persona fisica piuttosto che ad una società di revisione (art. 2477, comma 1, c.c.); iii) la chiusura convenzionale della compagine societaria sulla base di accordi statutari o parasociali che limitino (o escludano) la circolazio-ne delle partecipazioni (art. 2469, commi 1 e 2, c.c.); iv) il divieto istituzionale di ricorso alla raccolta presso il pubblico del capitale di rischio (art. 2468 c.c.).

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

448

Deve peraltro avvertirsi che il medesimo vincolo di solidarietà e recipro-co controllo può ravvisarsi anche in società di dimensioni affatto piccole, ad esempio allorché il medesimo risultato di accentrare il potere decisionale nelle mani di un ristretto centro di interessi sia conseguibile attraverso la sti-pula di patti parasociali e/o sindacati di voto tali

12. In questa, prospettiva, seppur non possa affermarsi che la società a re-

sponsabilità limitata sia, di per sé, una “piccola” società 13, gli elementi di in-

tersezione (in particolare quelli di stampo soggettivistico) appaiono ricon-durre alla s.r.l. quale prototipo più vicino alla nozione di “piccola” società di capitali

14.

3. La nozione di “piccolezza” nell’esperienza italiana

Se si condivide l’approdo cui s’è giunti, occorre fin da subito segnalare che non è ravvisabile nel diritto tributario italiano una disciplina puntuale che definisca la categoria generale di “piccola” società di capitali.

Il più contiguo riferimento normativo riporta alla disciplina della “traspa-renza fiscale” secondo il regime della fattispecie opzionale previsto per le società a ristretta base proprietaria ex art. 116 TUIR, ove assume rilevanza il criterio discretivo dimensionale del numero dei soci, combinato con l’ulte-riore parametro dell’entità del volume d’affari

15.

12 Un possibile profilo di incostituzionalità dato dalla disparità di trattamento rispetto alle società medio-grandi è segnalato da FANELLI, op. cit., p. 2131 e PICCARDO, Sulla presun-zione di distribuzione degli utili extrabilancio da una società di capitali a ristretta base azionaria, in Dir. prat. trib., 1998, II, p. 394 (in nota a CTP Reggio Emilia, sez. VII, 1° dicembre 1997, n. 284) ed, ivi, p. 397; DELLA VALLE, op. cit., p. 827.

13 Invero, ai sensi dell’art. 2477, comma 2, c.c., la s.r.l. può costituirsi con un capitale pari o superiore a quello richiesto per la s.p.a. (cioè centoventimila euro, art. 2327 c.c.); per converso, osserva PERONE, Il tipo di società: profili di rilevanza del dato numerico, in AA.VV., La rilevanza dei numeri nel diritto commerciale, Milano, 2001, p. 82 ss., non è infrequente che imprese dotate di patrimoni consistenti e con attività articolate in più mercati mostri-no una concentrazione del capitale nelle mani di pochi soggetti: ciò è riscontrabile anche nell’esperienza italiana laddove talune holding familiari sono poste al vertice dei più impor-tanti gruppi industriali.

14 Per questa lettura, che si condivide, si veda COSSU, op. cit., p. 161 e PERONE, op. cit., p. 94 ss.

15 L’art. 135, lett. c), TUIR n. 645/1958 non poneva distinzioni tra partecipazioni in società di persone o di capitali; per un’ampia rassegna giurisprudenziale nella vigenza del T.U. n. 645/1958, si rinvia a BERLINGERI, La tassazione dei redditi derivanti da partecipazio-ni nelle cosiddette società a ristretta base azionaria, in Dir. prat. trib., 1968, II, p. 767.

Giuseppe Scanu

449

L’accesso alla tassazione per trasparenza è infatti consentito per le società a responsabilità limitata, anche consortili e cooperative, il cui volume d’affari non ecceda le soglie previste per l’applicazione degli studi di settore

16, e la cui compagine sociale sia costituita solo da persone fisiche in numero non superiore a dieci o venti, nel caso di società cooperativa.

Il medesimo criterio dimensionale rappresentato dal numero dei soci condiziona anche l’ammissibilità dell’opzione per l’analogo regime previsto ex art. 115 TUIR per le società di capitali, di qualsiasi tipo, partecipate da altre società di capitali, a condizione che ciascuno dei soci detenga una par-tecipazione che, in termini di diritto di voto e di quota agli utili, sia non infe-riore al 10% (e non superiore al cinquanta per cento), il che è come dire che i soci non possono essere più di dieci

17. Il tratto connotante la disciplina – il cui default si riviene nell’art. 5 TUIR

dettato in materia di società di persone 18 – è rintracciabile nella dissociazio-

ne tra il soggetto in capo al quale si realizza e si determina la base imponibile (i.e. la società) e colui che realizza il presupposto d’imposta (i.e. il socio), al quale il reddito della società trasparente è ipso iure imputato pro quota a pre-scindere dall’effettiva percezione

19. In sostanza, la società partecipata assumerebbe i tratti di un centro di

imputazione di effetti rispetto al quale, pur permanendo la titolarità di situa-zioni giuridiche rilevanti, si assiste al trasferimento del peso dell’imposizio-ne diretta in capo ai soci (e, nella fattispecie ex art. 115 cit., al trasferimento delle perdite in favore di questi)

20.

Solo con la riforma tributaria di cui alla legge delega n. 825/1971 il legislatore ha sepa-rato l’imposizione dei redditi societari sottoponendo a Irpeg i redditi prodotti dalle società di capitali e ad Irpef quelli prodotti dalle società di persone. Per un excursus sulla disciplina previgente, v. BENAZZI, Sulla attribuzione ai soci di società, cit., p. 326.

16 Attualmente pari ad € 5.164.568,99. 17 Così FEDELE, Le “piccole” società di capitali nel diritto tributario, cit., p. 10 il quale rin-

viene nella probabile maggior facilità di controllo da parte dei soci sull’attività sociale e sul-la destinazione degli utili la comune ratio alla fattispecie di cui all’art. 116 cit.

18 V., BORIA, Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, Milano, 1996. 19 Ciò, come detto, solo ai fini IRPEF (e addizionali) secondo l’aliquota marginale pro-

pria di ciascun socio; ai fini IVA e IRAP il soggetto passivo resta la società. Osserva BORIA, op. cit., p. 281 che la dissociazione tra soggettività passiva del tributo e

soggetto tenuto alla dichiarazione consente il superamento del modello di imputazione-or-ganizzazione e di ricondurre alla società gli adempimenti strumentali della tenuta della con-tabilità e della presentazione della dichiarazione, trasferendosi sui soci la titolarità del reddito della società.

20 V., FICARI, L’evoluzione delle vicende processuali dei rapporti tra soci e società trasparenti, in Rass. trib., 2007, p. 1132.

6.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

450

Sia la presunzione de qua che la trasparenza fiscale paiono quindi intrec-ciarsi intorno al medesimo presupposto logico-probabilistico; difatti, l’esten-sione opzionale anche alle s.r.l. a ristretta base proprietaria trova giustifica-zione nell’obiettivo di rimuovere la disparità di trattamento fiscale con le società di persone alle quali si applica di diritto, ciò ancor più in ragione del diverso trattamento dei dividendi in capo alle persone fisiche introdotto con la riforma del 2003

21. Peraltro, la particolare finalità ispiratrice e la natura tendenzialmente

agevolativa impediscono di ricavarne una valenza di inquadramento genera-le della categoria della “piccola” società di capitali

22. Ciò nondimeno, la generalizzata applicazione del principio di trasparen-

za, anche in assenza di esplicita opzione in tal senso, determina uno stravol-gimento del principio cardine delle società di capitali che consente la sepa-razione del patrimonio della società da quello dei soci, così travalicandosi lo schermo societario ed introducendo gravi incertezze nel sistema

23. La società partecipata è, infatti, una società di capitali con una propria

autonomia giuridica e patrimoniale rispetto alla quale gli utili eventualmente maturati – costituenti redditi di capitale ex art. 44, lett. e), D.P.R. n. 917/1986 – concorrono a formare il reddito complessivo del socio per il periodo d’impo-sta in cui sono stati percepiti, così come previsto dall’art. 45, D.P.R. n. 917/ 1986

24. Ne discende che presupposto indefettibile perché un determinato reddi-

to di capitale concorra alla formazione del reddito complessivo del socio per-cipiente è la reale distribuzione dei dividendi e l’effettivo incasso da parte del socio.

Presumerne la distribuzione sulla scorta del mero argomento della com-pattezza societaria significa, in buona sostanza, disconoscere la stessa fun-zione storica della previsione normativa del tipo s.r.l. inaugurando l’esten-sione (ormai dilagante) del divieto dell’abuso del diritto anche alla presun-zione de qua

25.

21 Si veda l’art. 4, lett. h), della legge delega n. 80/2003. 22 Così FEDELE, op. ult. cit., p. 12 ss. 23 PICCARDO, Ancora in tema di presunzione di distribuzione, cit., p. 26; PAPARELLA, op.

cit., p. 455; MULEO, Alcune perplessità, cit., p. 707. 24 Così, se le società di persone subiscono la tassazione per trasparenza, per le società di

capitali è, invece, adottato il criterio dell’imputazione-organizzazione. 25 Si veda, sul punto, la giurisprudenza che ritiene non neutralizzabile attraverso lo scher-

mo societario la presunzione di distribuzione degli utili giudicandosi elusivo l’utilizzo della

Giuseppe Scanu

451

4. Il fatto noto, presunzioni a catena e difesa del contribuente

Occorre intanto specificare che la presunzione non pare opponibile se la ripresa a tassazione dipende dall’indeducibilità di oneri contabilizzati o dalla diversa imputazione all’esercizio per ragioni di competenza 26.

In tali casi, si assiste ad una semplice rideterminazione della base impo-nibile in capo alla società senza che si possa automaticamente presumere la distribuzione di utili in quanto non è ravvisabile alcun reddito da distribuire ai soci

27. Peraltro, il maggior imponibile accertato può aver riflessi negativi soltanto in capo alla società e non anche nei confronti dei soci, i quali nulla hanno evaso poiché, ai fini civilistici, tale maggior reddito non può essere affatto ripartito “in nero” tra i soci

28. Potrà semmai parlarsi di utili occulti

29, solo in presenza di ricavi non con-tabilizzati né dichiarati

30 o di deduzioni di costi inesistenti perché fittizi 31-32.

personalità giuridica, v. da ultimo, Cass., sez. trib., 27 luglio 2011, n. 16431; Cass., sez. trib., 5 maggio 2011, n. 9849 e, già prima, Cass., sez. trib., 10 giugno 2009, n. 13338, tutte consultabili in Banca dati fisconline, secondo cui «tale presunzione è applicabile anche in ipotesi di sussistenza di una partecipazione mediata dall’intermediazione di altra persona giuridica».

26 Si pensi, ad esempio, ai costi indeducibili per sanzioni, all’errata imputazione e deter-minazione di quote di ammortamento, o all’accantonamento di costi in misura superiore a quella consentita e alla differente valutazione delle rimanenze, la plusvalutazione di costi o la minusvalenza di ricavi, v., MUFFATO, op. cit., p. 346; BENAZZI, Giudici di merito in contra-sto con la Cassazione sulla presunzione di distribuzione ai soci del maggior reddito di società a ri-stretta base azionaria, in GT-Riv. giur. trib., 2007, p. 893 e, ivi, p. 897; PICCARDO, Sul valore meramente indiziario, cit., p. 1131; DELLA VALLE, op. cit., p. 827; MONTESANO, op. cit., p. 1558.

27 STEVANATO, La presunzione di distribuzione ai soci del maggior reddito societario, in Corr. trib., 2004, p. 1011.

28 PICCARDO, Sulla presunzione di distribuzione degli utili, cit., p. 401. 29 Cioè non risultanti dal bilancio e ripartiti tra i soci in assenza di una formale delibera

di distribuzione ex art. 2433 c.c. Per la nozione di utile occulto, v., FALSITTA, Utili e divi-dendi (imposizione su), in Enc. giur., 1994, vol. XXXII, p. 2.

30 Sulla legittimità della rettifica nel caso in cui la società abbia omesso di contabilizzare delle plusvalenze, v., Cass. 16 aprile 1983, n. 265 in Rass. trib., 1983, II, p. 163.

31 In tal caso, i costi non realmente sostenuti dalla società si presterebbero a coprire un’occulta erogazione di utili ai soci, v., Cass., sez. trib., 29 gennaio 2008, n. 1906 e CTR Roma, sez. I, 29 settembre 2010, n. 574 consultabili in Banca dati fisconline.

32 Nella ricostruzione del reddito d’impresa societario assumono rilevanza i c.d. “costi ne-ri”, ammessi in deduzione se rispettato il criterio di inerenza e risultino da elementi certi e precisi ed anche in misura percentuale forfetaria; v., Circolare 21 ottobre 1997, n. 271/E, in Boll. trib., 1997, p. 1623 e Circolare 19 ottobre 2006, n. 32/E, in Boll. trib., 2006, p. 1617 secondo cui «in caso di ricostruzione del reddito d’impresa sulla base del predetto metodo

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

452

A questo punto dell’analisi, occorre vagliare il percorso argomentativo che la giurisprudenza della Corte di Cassazione offre in questi termini: po-sto che il fatto noto è costituito dalla ristrettezza della base partecipativa, il vincolo di solidarietà e reciproco controllo che normalmente caratterizza la gestione sociale è circostanza che racchiude in sé i requisti di gravità, preci-sione e concordanza, tanto da ritenersi presumibile secondo l’id plerumque accidit la ripartizione degli utili occulti con inversione in capo al socio del-l’onere della prova contraria

33. Il ragionamento induttivo si presta a non poche obiezioni, non ultima

quella di utilizzare una presunzione di secondo grado 34 in violazione degli

artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. (c.d. praesumptum de praesumpto non admittitur), nonché del principio di giusta imposizione sancito dagli artt. 3 e 53 Cost.

Se può condividersi l’assunto circa la verosimiglianza della ristretta base partecipativa a dimostrare, in via presuntiva, l’attribuzione di utili extrabilan-cio nel senso sopra chiarito, si ritiene che detta circostanza non valga ad in-dividuare il fatto noto sulla base del quale ricavarsi il fatto ignoto, cioè l’oc-culta ripartizione sotto forma di utili del reddito societario

35. Pare di potersi affermare che il fatto noto debba, semmai, rintracciarsi nel-

l’eventuale reddito d’impresa accertato in capo alla società e che la ristretta base o il carattere familiare della compagine altro non sia che uno degli ele-menti che, unitamente ad ulteriori riscontri anche solo presuntivi, possono soddisfare quei requisiti di gravità, precisione e concordanza posti a fonda-mento del modello induttivo ex art. 38 e 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973

36.

(ex art. 39, D.P.R. n. 600/1973), l’Ufficio non può non tener conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati».

Così, Cass., sez. trib., 21 gennaio 2004, n. 942 (in Banca dati fisconline) e, in dottrina, TAGLIONI, La determinazione del reddito dei soci di una società di capitali a ristretta base so-cietaria, in Boll. trib., 2009, p. 1304.

33 V. ex plurimis, Cass., sez. trib., 8 luglio 2008, n. 18640. 34 È un ragionamento presuntivo che ricava una presunzione da un’altra presunzione. 35 In questo senso, v. Cass., sez. trib., 2 marzo 2011, n. 5076, cit.; Cass., sez. trib., 22

aprile 2009, n. 9519; Cass., sez. trib., 2 aprile 2002, n. 4695; Cass., sez. trib., 16 maggio 2002, n. 7174, consultabili nella Banca dati fisconline.

36 VOGLINO, op. cit., p. 476 il quale rileva che, in assenza della prova dell’effettiva perce-zione, la ristretta base non prova l’esatto ammontare degli utili occulti, in quanto non neces-sariamente ripartibili pro quota.

Così anche CERIANA, op. cit., p. 1454.

Giuseppe Scanu

453

Un fatto è noto se la sua esistenza risulta provata oppure non è bisogne-vole di prova in quanto notorio

37 o non contestato 38; ecco allora nell’itera-

zione tra fatto noto e ignoto deve procedersi con grande cautela, ciò in con-siderazione del fatto che la ristretta base, come riconosce la stessa Cassazio-ne, costituisce una presunzione semplice

39. In definitiva, il dibattito intorno all’archetipo di prova sufficiente (o suffi-

cientemente certa) non può che svilupparsi sullo sfondo di un generale cano-ne di prudenza che non svilisca il diritto di difesa del contribuente per per-venire davvero ad una giusta imposizione

40. Invero, l’accertamento che coinvolge l’ente societario si pone in rapporto

di pregiudizialità logico – giuridica rispetto all’accertamento singolare emesso “per trasparenza” quale atto presupposto che ne condiziona la legittimità. Ne discende che, stante l’identità della ricchezza ripresa a tassazione (e, quin-di, l’unicità della base imponibile), soltanto la definitività dell’accertamento del reddito extra bilancio della società partecipata può costituire il presup-posto logico giuridico imprescindibile su cui poggiare il ragionamento di ti-po presuntivo

41. Così in assenza di un giudicato manca il fatto economico per la ripresa a

tassazione nei confronti del socio 42 e la ristretta base retrocede, se non ad

37 Costituisce fatto notorio ogni nozione di fatto che rientri nella comune esperienza pur-ché il fatto acquisito alle conoscenze della collettività sia comunemente apprezzabile con tale grado di certezza da apparire incontestabile e, in ossequio al principio dispositivo, sia stato allegato in giudizio dalla parte che intende avvalersene; v., sul punto, Cass., sez. trib., 28 feb-braio 2008, n. 5238; Cass., sez. trib., 25 novembre 2005, n. 24959; Cass., sez. trib., 22 gen-naio 2007, n. 1294; Cass., sez. trib., 25 febbraio 2002, n. 2698; Cass., sez. I, 9 luglio 1999, n. 7181, in Banca dati fisconline.

38 L’onere di contestazione (col relativo corollario del dovere, per il giudice, di ritenere non bisognevole di prova quanto non espressamente contestato) è principio generale sancito dall’art. 115 c.p.c. che informa il sistema processuale e perciò anche il processo tributario in vir-tù dell’espresso richiamo dell’art. 1, del D.Lgs. n. 546/1992 alla disciplina processual-civilisti-ca; per l’applicabilità del “principio di non contestazione” anche nel processo tributario, v., Cass. 30 novembre 2009, n. 25136; Cass. 24 gennaio 2007, 1540, in Banca dati fisconline.

39 V., sentenza 8 luglio 2008, n. 18640, cit. 40 La concatenazione tra fatto noto e ignoto può configurarsi come conseguenza uni-

voca e necessaria o alla stregua di un canone di probabilità desumibile secondo l’id quod plerumque accidit; v. MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, Milano, 2010, p. 161 ss.; ID., Le presunzioni nel diritto tributario: dalle stime agli studi di settore, To-rino, 2010, p. 207 ss. anche per ulteriori riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.

41 Cass., sez. trib., 5 maggio 2011, n. 9849 e Cass., sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8207, in Banca dati fisconline; Cass., sez. trib., 3 aprile 2000, n. 3980, in Corr. trib., 2000, p. 2125, con nota di FANELLI, op. cit., p. 2129; MUFFATO, op. cit., p. 351.

42 V., da ultimo, Cass., sez. V, 16 novembre 11, n. 2409 e Cass., sez. trib., 11 aprile 2011,

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

454

una illazione o congettura, ad un mero indizio della occulta ripartizione 43.

Ecco allora che la “complicità” 44 che più facilmente consente la forma-

zione di una volontà univoca foriera di un’evasione d’imposta, necessita di ulteriori riscontri probatori.

Intanto, l’asserita distribuzione occulta può essere una delle possibili de-stinazioni del reddito accertato in capo alla società, ma non l’unica poiché con pari verosimiglianza il reddito non dichiarato ben potrebbe essere stato ac-cantonato per far fronte alle più svariate esigenze d’impresa

45. Il punto focale della questione è calibrare correttamente il riparto dell’o-

nere della prova e, sostanzialmente, si risolve nel quesito «chi (e cosa) pro-va cosa»

46. Se si condivide l’assunto che il fatto noto non possa che rintracciarsi nel-

la definitività dell’accertamento in capo alla società, va da sé che l’onere del-la prova debba ricadere in capo all’ufficio, quale attore sostanziale nel con-tenzioso tributario

47. n. 8209 e, nella giurisprudenza di merito, CTR Cagliari, sez. staccata di Sassari, sez. 8, 10 giugno 2011, n. 127, in Riv. giur. sarda, 2012, p. 193 con nota di SCANU, La presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio alla luce di una illuminata giurisprudenza sarda e CTR Roma, sez. I, 29 settembre 2010, n. 127, CTP Reggio Emilia, 1° dicembre 1997, n. 284, cit. consultabili in Banca dati fisconline.

Così anche FICARI, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci, cit., p. 1049 e, ivi, p. 1055. Ma in senso contrario, v. Cass., sez. trib., 2 marzo 2011, n. 5076, in Banca dati fisconline e Cass., sez. trib., 11 novembre 2003, n. 16885 in Dir. prat. trib., 2004, II, p. 1449 con nota di CERIANA, op. cit., p. 1451.

43 FANELLI, op. cit., p. 2130 e, nella giurisprudenza, Cass., sez. trib., 11 ottobre 2007, n. 21415, in Corr. trib., 2008, p. 211; Cass., sez. trib., 8 marzo 2000, n. 2606, cit. e, in giuri-sprudenza, CTR Puglia, sez. XXIII, 13 aprile 2007, n. 66, in GT-Riv. giur. trib., 2007, p. 891, con nota di BENAZZI, Giudici di merito, cit., ivi, p. 893; MONTESANO, op. cit., p. 1558.

44 L’espressione ha più valenza sociologica che giuridica, così CERIANA, op. cit., p. 1462. 45 Ad esempio, come osserva MUFFATO, op. cit., p. 361 per retribuire manodopera assunta

“in nero” per lavori stagionali come accade per le imprese nei periodi di maggior afflusso di vacanzieri o pagare le ore di straordinario non assoggettandole a tassazione, oppure ancora, di disporre di liquidità. Neppure è da escludere che siano stati effettivamente sostenuti ma, per loro tipologia, non fossero documentabili: di qui la copertura con documenti fittizi, v. FANELLI, op. cit., p. 2129. Secondo Cass., 24 aprile 1979, n. 2328, in Giust. civ., 1979, I, p. 1400 «nessuno (...) può essere presunto a preferenza degli altri, giacché ciascuno di essi ugualmente accettabile o ugualmente contestabile».

46 FICARI, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci, cit., p. 1054 il quale ri-leva l’incompiuta funzione nomofilattica della Cassazione in ordine alla prova del maggior utile in capo alla società.

47 Nel solco dell’orientamento interpretativo che attribuisce natura sostanziale all’avvi-so di accertamento, v. Cass., sez. trib., 11 ottobre 2007, n. 21411; Cass., 21 aprile 2001, n.

Giuseppe Scanu

455

Ed invero, non si comprende come da un’unica presunzione semplice possa scaturire una prova, per così dire, bivalente, sia in ordine all’esistenza dell’utile extrabilancio che alla sua ripartizione atteso che il mero riferimen-to alla ristrettezza della base non spiega sulla base di quali elementi concreti il giudice possa ritenere fondato l’accertamento

48. L’argomento evocato pecca di autoreferenzialità se non suffragato da ul-

teriori elementi di prova diretta o almeno presuntivi (“fatti indice”) purché gravi, precisi e concordanti, così come richiesto dall’art. 2729 c.c.

Detto riscontro può riguardare sia il versante dell’accertamento societa-rio che quello dei soci.

Sotto il primo profilo, può assumere rilevanza i) il rinvenimento in sede di verifica di una contabilità parallela discordante da quella ufficiale o, all’opposto, ii) la mancata tenuta della contabilità così come la mancata pre-sentazione della dichiarazione, omissioni che rendono, per necessità, deter-minabile il reddito d’impresa unicamente per via induttiva o, ancora, le mo-vimentazioni rilevate sui conti intestati alla società stante il valore di presun-zione legale ex art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, nonché iii) l’emissione di fat-ture che documentino operazioni inesistenti

49. Sul lato della ricerca di fatti indice di erogazione in relazione al singolo

socio, può aversi riguardo all’acquisto di immobili nel medesimo contesto temporale o all’effettuazione di operazioni finanziarie, sottoscrizione di po-lizze o rendite vitalizie, nonché ai rapporti bancari e, più in generale, al teno- 5924, in Foro it., 2001, I, p. 2524, Cass., 3 dicembre 2001, n. 15234, in Rass. trib., 2002, p. 1082 e, in dottrina, BEGHIN, Osservazioni in tema di motivazione dell’avviso di accertamento ex art. 42, D.P.R. n. 600/1973, alla luce dell’art. 7 dello “Statuto dei diritti del contribuente”, in Riv. dir. trib., 2004, p. 709 e MULEO, Sulla motivazione dell’accertamento come limite alla ma-teria del contendere nel processo tributario, in Rass. trib., 1999, p. 515.

48 V., il revirement, rimasto finora isolato, della sentenza 17 giugno 2009, n. 14046 della Cassazione (consultabile in Banca dati fisconline) ha affermato che la presunzione de qua «si risolve in una affermazione apodittica che costituisce solo una motivazione apparente in quanto non spiega sulla base di quali elementi concreti il giudice abbia ritenuto fondato l’ac-certamento». Piuttosto che di presunzione semplice pare affacciarsi all’orizzonte una presun-zione complessa da cui scaturisce la prova di due elementi ignoti, l’esistenza dell’utile e la sua distribuzione.

49 Ove l’Amministrazione finanziaria contesti la natura fittizia dell’operazione ed indichi gli elementi indiziari sui quali si fonda il rilievo, incombe a carico del contribuente l’onere della prova di dimostrare l’effettività dell’operazione, v., Cass., sez. trib., 6 ottobre 2010, n. 20721 (consultabile in Banca dati fisconline) secondo cui «l’onere della prova non può es-sere raggiunta attraverso i normali mezzi di pagamento ordinariamente utilizzati per rendere apparentemente reali anche le operazioni inesistenti».

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

456

re di vita del contribuente 50. L’inattendibilità del reddito dichiarato può al-

tresì trovare corroborante riscontro negli strumenti presuntivi del reddito-metro e degli studi di settore ma, soprattutto, nella loro iterazione

51. Solo a questo punto può correttamente parlarsi di prova contraria da

parte del contribuente (oltre che della società) 52.

Detto dei limiti di una difesa impostata sulla generica inapplicabilità della presunzione, gli elementi utili a vincere la presunzione possono riguardare argomenti presuntivi di segno opposto all’invocata distribuzione degli utili

53 e più precisamente:

– il carattere minoritario della partecipazione e l’assenza di potere deci-sionale

54; – l’estraneità ad ogni attività gestoria e l’autonoma regìa del socio di

maggioranza e/o amministratore 55;

– l’omissione di qualsiasi resoconto e informativa sulla gestione sociale; – la situazione di grave dissidio esistente con l’amministratore

56;

50 PICCARDO, Sul valore meramente indiziario, cit., p. 1131. 51 L’inconciliabilità del reddito dichiarato col tenore di vita può manifestarsi, ad esem-

pio, col possesso di autovetture o altri mobili registrati, la disponibilità colf o il trascorrere le vacanze in località turisticamente rinomate, v., MARCHESELLI, Accertamenti tributari, cit., p. 172 ss.; MUFFATO, op. cit., p. 362.

52 Così anche BEGHIN, Rapporti partecipativi, elusione della società e conseguente evasione dei soci. Osservazioni critiche tra “funambolismo” degli uffici fiscali e il “torpore” dei giudici, in Boll. trib., 2007, p. 1765; VOGLINO, op. cit., p. 478.

53 Non può quindi condividersi l’opinione che limita la facoltà del contribuente di offri-re la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione per essere stati, invece, reinvestiti dalla società ovvero da essa accantonati, v., Cass., sez. trib., 6 ottobre 2010, n. 20721, in Banca dati fisconline.

Si segnala che è stato giudicato “comportamento inusuale” il mancato ritiro degli utili sebbene l’assemblea abbia deliberato la loro distribuzione, tanto da presumersi che le somme non ritirate costituiscano ipotesi finanziamento fruttifero in favore della società, con conse-guente imputazione in capo ai soci degli interessi al tasso legale ex artt. 43 (oggi art. 46) e 95 TUIR, v., Cass. 29 aprile 2009, n. 10030, in Corr. trib., 2009, p. 2284, con nota di BEGHIN, Dividendi non corrisposti ai soci e presunzione di finanziamento nelle società a “ristretta base”.

54 Così, CTP Reggio Emilia, 1° dicembre 1997, n. 284, cit. che annullato la rettifica a carico di un socio detentore di una quota pari al 3% del capitale sociale di una s.r.l.

55 Cass., sez. trib., 29 gennaio 2007, n. 3980, in Corr. trib., 2008, p. 1049. 56 V., Cass., sez. trib., 7 novembre 2005, n. 21573 (in Banca dati fisconline) secondo cui

«qualora il socio di una società a ristretta base azionaria deduca di aver presentato una penale contro l’amministratore, sul cui conto personale sono stati rinvenuti gli utili occultati, il giudi-ce di merito deve valutare se questi elementi indiziari siano tali da vincere la presunzione se-condo cui gli utili occulti di una società a ristretta base azionaria vengono percepiti dai soci».

Giuseppe Scanu

457

– l’impugnazione del bilancio 57 o proposizione dell’azione sociale di re-

sponsabilità nei confronti dell’amministratore 58;

– il rinvenimento di una contabilità parallela da cui risulti una specifica destinazione degli utili diversa dalla distribuzione tra i soci

59; – l’esibizione di dichiarazioni di terzi attestanti la destinazione degli utili

per pagamenti non documentati o non documentabili 60;

– la protratta permanenza all’estero per motivi di lavoro 61;

– l’accertamento, in sede penale, dell’estraneità del socio di minoranza alla gestione aziendale

62.

È invece insufficiente a vincere la presunzione la deduzione che l’eser-cizio sociale si sia concluso con perdite contabili

63. In sostanza, la neutralizzabilità della presunzione attiene al piano dell’in-

formazione (o meglio, all’incolpevole ignoranza) sulle dinamiche interne alla società e al rilievo che la centralità del contraddittorio con l’Ammini-strazione finanziaria dovrebbe assumere nella verifica della reale situazione reddituale del socio.

L’assioma secondo cui i soci sono pochi e, quindi, non possono non sapere 64

57 FANELLI, op. cit., p. 2131. 58 Cass. 17 ottobre 2005, n. 20078, in Riv. dir. trib., 2005, II, p. 720, con nota di BATI-

STONI FERRARA, op. cit., p. 726 il quale rileva che il rimedio dell’azione di responsabilità ex art. 2392 c.c. si presta ad essere strumentalizzato al fine di escludere la responsabilità tribu-taria del socio.

59 MONTESANO, op. cit., p. 1558. 60 FANELLI, op. cit., p. 2132. Per l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da terzi quale

elemento avente valenza indiziaria, v., da ultimo, Cass., sez. trib., 10 giugno 2011, n. 12763, in Banca dati fisconline.

61 CTR Puglia n. 40/6/11, Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2011, con nota di CARNIMEO, L’estraneità alla gestione evita la presunzione sugli utili occulti.

62 Cass. 17 ottobre 2005, n. 20078, cit. ha ritenuto non dirimente la circostanza che il so-cio maggioritario, unico gestore, avesse patteggiato la condanna per distrazione di beni socie-tari, non essendo essendo stata intrapresa dal socio di minoranza l’azione civilistica di re-sponsabilità contro l’amministratore ex art. 2932 c.c e Cass., 29 gennaio 2008, n. 1906, cit. nonostante il giudizio penale nei confronti dell’amministratore si fosse estinto per prescri-zione.

63 Circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando né accan-tonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci, v., Cass., sez. trib., 2 marzo 2011, n. 5076 e Cass., sez. trib., 24 luglio 2009, n. 17358 e Cass., sez. trib., 8 luglio 2008, n. 18640, cit., consultabili in Banca dati fisconline.

64 V., Cass., sez. trib., 15 febbraio 2007, n. 3896, in Banca dati fisconline e Cass., sez. trib., 29 gennaio 2008, n. 1906, cit.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

458

non tiene conto che il singolo può solo visionare il libro soci e il libro delle assemblee ma non può azionare indagini di controllo interno né l’ispezione giudiziale se non in possesso di un quorum qualificato

65. È comunque auspi-cabile che il socio pretermesso documenti i fatti impeditivi della piena co-noscibilità, come ad esempio, il mancato riscontro dell’amministratore alle richieste di chiarimenti e informazioni circa la situazione economico-finan-ziaria della società.

L’attendibilità della presunzione de qua non può prescindere da ulteriori riscontri preferibilmente da ricercarsi, come affermato da una recente giuri-sprudenza di merito

66, incrociando i dati dell’accertamento bancario e pa-trimoniale le cui risultanze, da valutarsi in contraddittorio con il socio, ben possono manifestare la capacità contributiva del socio e la conciliabilità con quanto questi ha dichiarato.

5. Profili procedimentali e processuali delle “piccole” società senza opzione per la trasparenza

Occorre innanzitutto chiedersi se, sulla scorta delle conseguenze poste dalla nota sentenza 4 giugno 2008, n. 14815 delle Sezioni Unite della Cassa-zione

67, anche l’accertamento di maggiori utili in capo ai soci di una s.r.l. a

65 Così MULEO, Sulla motivazione dell’accertamento, cit., p. 515 il quale rileva il rischio di una surrettizia responsabilità tributaria oggettiva e che la tutela del socio di minoranza si sposta nel riconoscimento del diritto di recesso o nell’esperimento dell’azione di respon-sabilità che ben si presta a facili strumentalizzazioni.

66 Ciò quand’anche si trattasse di s.r.l. unipersonale, CTR Cagliari, sez. staccata di Sas-sari, sez. VIII, 10 giugno 2011, n. 127, cit. In senso conforme, v., CTP Sassari, sez. I, 3 marzo 2007, n. 44 (la sentenza è inedita) la quale ha accolto il ricorso del contribuente, pensiona-to e socio di una s.r.l. al 90%, (unitamente alla moglie) sul rilievo che questi avesse documen-tato di non possedere alcun immobile e che dagli estratti conto bancari risultassero solo en-trate di natura pensionistica, senza che l’Ufficio avesse offerto ulteriori riscontri anche solo indiziari.

67 Come noto, la Corte, rilevata la mancata partecipazione al giudizio della società e/o di uno dei soci di società di persone, ha sancito la rimessione al primo giudice del ricorso per l’integrazione del contraddittorio. Per una panoramica in ordine alle problematiche sot-tese alla soluzione litisconsortile, v. GLENDI, Le SS.UU. della Suprema Corte s’immergono ancora nel gorgo del litisconsorzio necessario, in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 993; NUSSI, A pro-posito di accertamento del reddito delle società di persone e litisconsorzio necessario (verso un processo tributario sulle questioni?), in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 771; COPPA, Accertamento dei redditi in forma associata e litisconsorzio necessario, in Rass. trib., 2008, p. 978; BASILA-VECCHIA, L’accertamento unitario trova un assetto stabile, in Corr. trib., 2008, p. 2270; ID.,

Giuseppe Scanu

459

base ristretta o familiare debba seguire la regola dell’accertamento unitario ex art. 40 del D.P.R. n. 600/1973, anche in assenza dell’opzione per la tra-sparenza ex art. 116 TUIR e del comma 10 dell’art. 115 TUIR

68. Nella sequenza procedimentale, l’unitarietà dell’accertamento (o, più cor-

rettamente, l’unitarietà della base imponibile) condiziona la posizione giu-ridica dei soci in ragione dell’imputazione pro quota del reddito accertato in capo alla società, secondo un modello di dipendenza logica e strumentale

69 che vincola l’A.F. a conformare l’accertamento singolare in coerenza con quel-lo unitario

70. Se si condivide questo approccio, è certamente auspicabile che l’ammini-

strazione finanziaria proceda alla rettifica della dichiarazione presentata dal-la società (seppur non abbia optato per la trasparenza) con un unico atto idoneo a definire – nel medesimo contesto – il reddito prodotto dalla socie-

Effettività e relatività del giudizio unitario, in Dialoghi trib., 2008, p. 41; LUPI, Rettifiche del reddito di società di persone e unitarietà del giudizio, in Dialoghi trib., 2008, p. 36; BACCAGLINI, Si allargano i confini del litisconsorzio necessario nel processo tributario. L’unitarietà dell’accer-tamento nelle dichiarazioni dei redditi ai fini Ilor e Irpef è imposta anche sul piano processuale, in Corr. giur., 2008, p. 1701; nonché se si vuole, SCANU, Accertamento unitario dei redditi pro-dotti in forma associata: il litisconsorzio è davvero necessario?, in Riv. dir. trib., 2009, I, p. 757.

68 L’orientamento favorevole al simultaneus processus (confermato dalle successive pro-nunce della sezione tributaria della Suprema Corte 15 ottobre 2008, n. 29437; 14 novem-bre 2008, n. 27176; 5 marzo 2009, n. 5262; 6 marzo 2009, n. 5549; 6 aprile 2009, n. 8253 e, da ultimo, 18 maggio 2009, n. 11466, (consultabili in Banca dati fisconline) ha di recente subito un ripensamento in favore del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., v., da ultimo, Cass., sez. trib., 18 febbraio 2010, n. 3830, in Banca dati fisconline e Cass., sez. trib., 20 gennaio 2011, n. 1213 in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 493, con nota di BACCAGLINI, L’accertamento dei redditi in forma associata: un criticabile ritorno alla pregiudi-zialità-dipendenza, con inammissibili ricadute sulla “res giudicata”, ed, ivi, p. 496 e MUSCARÀ, L’eterogenea vicende del litisconsorzio necessario: urgenze organizzative delle Commissioni tri-butarie e primi “ravvedimenti operosi” della Cassazione ai fini della decongestione dello scatu-rente contenzioso, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 3.

Per l’esclusione del litisconsorzio necessario tra soci e società di persone se il ricorso è sulle sole sanzioni, v. Cass., sez. trib., 20 settembre 2009, n. 19456, in GT-Riv. giur. trib., 2010, p. 615, con nota di SCANU, Sanzioni per infedele dichiarazione, definitività dell’accerta-mento e litisconsorzio necessario, ed, ivi, p. 617.

69 Osserva BORIA, op. cit., p. 277, che lo schema della “successione-dipendenza” inter-corre tra gli atti e non tra i rapporti sottostanti.

70 Cosi TESAURO, Profili sistematici del diritto tributario, Padova, 1980, p. 101 e, dello stesso autore, L’accertamento “unitario” dei redditi delle società di persone, in Boll. trib., 1979, p. 437 e NUSSI, op. cit., p. 776 il quale osserva che «ormai, l’atto notificato alla società non crea alcun effetto obbligatorio in assenza di soggettività passiva societaria nel campo delle imposte sui redditi».

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

460

tà e le imposte da questa dovuta 71 e, per altro verso, i redditi di partecipa-

zione dei singoli soci 72.

Si segnala che in questa direzione muove la nuova disciplina della rettifica delle dichiarazioni dei soggetti aderenti al consolidato nazionale dettata dal-l’art. 40 bis, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973

73, ove espressamente previsto che la rettifica «del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che par-tecipa al consolidato» è effettuata «con un unico atto» da notificarsi sia alla consolidante che alla consolidata, ciò nell’ottica di migliorare l’efficenza del-l’azione amministrativa, in un’ottica di un giusto processo che abbia una ragio-nevole durata e soddisfi l’obiettivo di sistema della giusta imposizione.

Si deve peraltro osservare che l’accertamento unitario non riveste un’au-tomatica efficacia nei confronti dei soci e non impegna questi ultimi se non nei limiti del riparto proporzionale tra quanto dichiarato dalla società e il corrispondente reddito (o la perdita) imputata

74. Qualora l’auspicata unitarietà dell’accertamento non sia stata soddisfatta

nella fase procedimentale i rimedi possono individuarsi nella riunione dei pro-cedimenti

75 o nell’integrazione del contraddittorio al fine di assicurare il ne-cessario litisconsorzio

76, fatta salva invalicabilità dei limiti soggettivi del giudi-

71 L’unitarietà è, quindi, funzionale alla semplificazione ed all’imparzialità dell’agire am-ministrativo, v., NUSSI, op. cit., p. 775.

72 Per una ricostruzione, in senso sostanziale, di atto di liquidazione, e non propria-mente di accertamento, v., BORIA, op. cit., p. 299.

73 Introdotto dall’art. 35, comma 1 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito con modifi-che dalla L. n. 122/2010 applicabile dal 1 gennaio 2011. V. DAMI, I rapporti di gruppo nel dirit-to tributario, Milano, 2011, p. 146 ss.; FICARI, Holding, impresa di gruppo e consolidato: profili procedimentali, di prossima pubblicazione in questa Rivista, 2012; BEGHIN, sub art. 40 bis., in AA.VV., Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di F. Moschetti, tomo II, 2011, p. 254 ss.

74 V. Cass., sez. trib., 11 marzo 2003, n. 16885, in Dir. prat. trib., 2004, II, p. 1449. Peral-tro, recentemente la Cassazione ha affermato che la definizione del reddito della società per adesione sostituisce titolo per l’accertamento nei confronti del socio, salve le specifiche ragioni personali che questi possa opporre; v., Cass., sez. trib., 3 novembre 2011, n. 22778, in Banca dati fisconline.

In tal senso, si esprime anche l’A.F. con la circolare dell’Agenzia delle Entrate, 22 no-vembre 2004, 49/E, in Boll. trib., 2004, così superando alcuni risalenti pronunciamenti, v. circolare del Min. Fin., 30 aprile 1977, n. 7/1496, in Boll. trib., 1977, p. 1273.

75 Peraltro, l’affidamento del simultaneus processus all’istituto della riunione è soddisfa-cente soltanto se tutte le parti hanno proposto ricorso e questi siano pendenti davanti alla medesima Commissione tributaria.

76 In quest’ordine di idee si vedano le sentenze della CTR di Cagliari, sez. staccata di Sas-sari, sez. VIII, 10 giugno 2011, n. 127 e della CTP di Sassari, sez. 1, 13 marzo 2007, n. 44, quest’ultima inedita.

Giuseppe Scanu

461

cato stabiliti dall’art. 2909 c.c. e del riconoscimento della regola della pregiu-dizialità secundum eventum litis ex art. 1306 c.c. alla stregua di principio di si-stema applicabile anche al di fuori dell’ambito proprio della solidarietà

77. Altra questione riguarda il ricorso all’accertamento parziale ex art. 41 bis

del D.P.R. n. 500/1973, sovente richiamato dagli uffici all’atto della rettifica della dichiarazione del singolo socio in caso di ristretta base partecipativa

78. Invero, l’art. 41 bis consente un’attività di accertamento parziale (suscet-

tibile di essere seguita da una ulteriore) a condizione che l’ufficio proceda al-l’accertamento utilizzando «elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato» solo se questi risultino da «accessi, ispezioni e verifiche nonché dalle segnalazioni effettuate (...) dalla Guardia di Finanza».

Nel caso della ristretta base, la ripresa a tassazione non si fonda affatto su una “prova diretta” ma su un elemento presuntivo (semplice) del tutto avul-so dalla previsione ex art. 41 bis

79. Quanto alla questione circa l’individuazione del periodo d’imposta cui

imputare i presunti dividendi, diversamente dagli utili esposti in bilancio, la giurisprudenza è incline a ritenere che la distribuzione deve reputarsi avve-nuta nello stesso periodo d’imposta nel quale gli utili avrebbero dovuto es-

Per un’esaustiva panoramica sulle fattispecie aperte di litisconsorzio necessario, v. FI-CARI, Il litisconsorzio necessario tra novità giurisprudenziali e fattispecie tributari, in Giust. trib., n. 2, 2009, p. 143.

77 Così Corte cost., 2 ottobre 1995, n. 473, in Fin. loc., 1996, p. 633, ove si afferma che l’art. 1306 c.c. esprime un «principio di più ampia portata» idoneo ad assicurare «il rispetto dei principi costituzionali contenuti negli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione» e, da ultimo, Cass., 21 novembre 2009, n. 27619 consultabile in Banca dati fisconline.

E ciò non senza limiti potendo opporsi il giudicato favorevole soltanto in via d’eccezio-ne e sempre che non si sia formato un giudicato di segno contrario nei confronti del socio pretermesso, v., TESAURO, Profili del giudicato tributario, in Boll. trib., 2008, p. 869 ed, ivi, p. 877, il quale esclude che il giudicato favorevole possa invocarsi in via d’azione per ottenere la ripetizione di quanto già pagato; CASTALDI, Il giudicato tributario, in AA.VV., Il processo tributario, a cura di E. Della Valle-V. Ficari-G. Marini, Padova, 2008, p. 412; NICCOLINI, in AA.VV., Il processo tributario, cit., p. 431. Contra, v. COPPA, op. cit., p. 1007 ss. e, per ulteriori riferimenti, SCANU, Accertamento unitario dei redditi prodotti in forma associata, cit., p. 757.

78 Per l’ammissibilità dell’accertamento parziale ex art. 41 bis del D.P.R. n. 500/1973 fondato sull’intervenuta definizione del reddito da parte della società, v. Cass., sez. trib., 6 luglio 2011, n. 14926 e Cass., sez. trib., 3 novembre 2011, n. 22778, cit., entrambe consul-tabili in Banca dati fisconline. Di segno opposto, CTP Macerata, 11 settembre 2009, n. 203, in Boll. trib., 2009, p. 1783, con nota di TAGLIONI, L’accertamento parziale e l’accertamento per presunzioni: un binomio in contrasto.

79 Sull’inutilizzabilità di presunzioni nell’accertamento parziale, v., CTR Puglia 16 di-cembre 2002, n. 32, in Banca dati fisconline.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

462

sere contabilizzati; ciò in quanto si presume che gli utili occulti vengano di-stribuiti senza attendere l’approvazione del bilancio e, quindi, prima della chiusura dell’esercizio sociale

80. D’altro canto, è altrettanto plausibile l’imputazione al periodo d’imposta

successivo alla loro realizzazione quando i soci, “conti alla mano” 81 e solo in

presenza di risultanze contabili positive, possono aver proceduto alla remu-nerazione degli utili “in nero”.

Ne deriva che, in assenza della prova dell’effettivo incasso, l’identità del periodo d’imputazione con quello della presunta realizzazione rivela un cri-terio d’imputazione arbitrario

82. Occorre inoltre rilevare che gli utili presuntivamente accertati e imputati

pro quota in capo ai soci concorrono alla formazione del reddito imponibile nella misura del 49,72 del loro ammontare e saranno assoggettati a tassazio-ne secondo l’aliquota marginale propria del singolo socio

83, ciò al fine di at-tenuare gli effetti della doppia imposizione economica (c.d. regime di esen-zione).

Infine, deve escludersi, in caso di rettifica nei confronti del socio oltre le soglie di punibilità ex art. 4, del D.Lgs. n. 74/2000

84, che ciò possa compor-

80 Cass., sez. trib., 15 febbraio 2008, n. 3896; Cass., sez. trib., 11 ottobre 2007, n. 21415; Cass., sez. trib., 15 maggio 2003, n. 7564; Cass., sez. trib., 7 novembre 2005, n. 21573; Cass. n. 5729/1995, tutte in Banca dati fisconline e Cass., sez. I, 15 giugno 1995, n. 6745, in Le So-cietà, 1995, 1558; contra, CTR Lazio, sez. I, 4 maggio 2006, n. 94, in Banca dati fisconline.

81 L’espressione è di MUFFATO, op. cit., p. 366; nello stesso senso v., Cass., 16 aprile 1983, n. 2625, e, in dottrina, DELLA VALLE, op. cit., p. 828 e MULEO, Alcune perplessità, cit., p. 716.

82 Si veda però Cass., sez. trib., 29 dicembre 2003, n. 19803 cit. la quale rivendica l’ap-plicazione del principio di cassa quale criterio di imputazione del dividendo proprio sulla scorta dalla presunzione de qua.

83 In tal senso dispone l’art. 116, comma 2, TUIR ove previsto che «gli utili di cui al-l’articolo 89, commi 2 e 3, concorrono a formare il reddito imponibile nella misura indica-ta, rispettivamente, nell’articolo 58, comma 2, e nell’articolo 59».

Rileva, FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2010, p. 170, co-me il trattamento tributario risulta complessivamente deteriore rispetto a quello applicabi-le ante riforma del 2003 allorquando, in luogo dell’abbattimento del 49,72%, al socio spet-tava il riconoscimento del credito d’imposta, oggi abolito, funzionale alla neutralizzazione dell’imposizione subita dalla società erogante (c.d. imputation system).

84 Il recente D.L. n. 138/2011, conv., con modificazioni, dalla L. n. 148/2011, ha modi-ficato le soglie di rilevanza penale dei reati tributari (estendendo così l’ambito di applica-zione), reso più stringente la fruibilità dei benefici (il patteggiamento è accessibile solo in caso di integrale pagamento del debito tributario e la sospensione condizionale non potrà

Giuseppe Scanu

463

tare, di per sé, la sussistenza del reato di dichiarazione infedele. La (tendenzia-le) autonomia tra il giudizio penale e quello tributario fa sì che non sia con-sentita «la trasmigrazione delle regole probatorie»

85, con la conseguenza che gli strumenti presuntivi di accertamento del reddito operanti in ambito tribu-tario non possono automaticamente trovare accesso in sede penale

86. Ciò non esclude che il giudice penale, sulla base di elementi di fatto non

considerati dal giudice tributario e che rendano maggiormente attendibile la quantificazione oltre soglia del tributo dovuto, possa pervenire ad un con-vincimento diverso e ritenere nondimeno superata la soglia di punibilità ri-levante ai fini dell’infedeltà della dichiarazione

87. A fortiori, appare scevro da conseguenze penalmente rilevanti il richiamo

– a dire il vero inconferente, seppur ricorrente nella giurisprudenza tributa-ria in relazione alla fattispecie de qua

88 – all’utilizzo elusivo dello schermo societario. Infatti, i principi di “giusta imposizione” ex art. 53 Cost. e di abu-so del diritto sono senz’altro recessivi rispetto al principio di legalità e di tas-satività delle fattispecie penalmente rilevanti

89. essere concessa per i reati più gravi) e, infine, prolungato i termini prescrizionali. Si veda, al riguardo, IORIO, Gli effetti dell’abbassamento delle soglie di rilevanza penale per le violazioni fiscali, in Corr. trib., 2011, p. 3281; ID., Reati tributari: attenuanti, patteggiamento e condizio-nale, in Corr. trib., 2011, p. 3357; CORSO, Le sanzioni penali come strumento di contrasto all’evasione fiscale: effettiva garanzia di recupero?, in Corr. trib., 2011, p. 3071; CAPOLUPO, Accertamento con adesione e responsabilità penale, in Corr. trib., 2011, p. 4018.

85 L’espressione è di CORSO, La trasmigrazione delle regole probatorie non è consentita, in Corr. trib., 2009, p. 744, in nota a Cass., sez. III pen., 6 febbraio 2009, n. 5490 la quale ha sancito la non operatività in sede penale della presunzione legale di imponibilità delle ri-sultanze delle indagini finanziarie ex art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973, ciò in quanto «spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che puo veni-re a sovrapporsi o anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario» (...) atteso che «ai fini dell’accertamento in sede penale, de-ve darsi prevalenza al dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario». V., in senso conforme, Cass., sez. III pen., 26 feb-braio 2008, n. 21213, in Banca dati fisconline.

Osserva, l’A. citato che «ogni infedeltà nella dichiarazione costituisce illecito tributa-rio, ma non ogni infedeltà integra illecito penale» (p. 745).

86 V., SANTORIELLO, Precisazioni della Cassazione in tema di definizione dell’imposta eva-sa nel processo penale, in Riv. dir. trib., 2011, III, p. 248, in nota a Cass., sez. III, 15 luglio 2011, n. 28053, ed, ivi, p. 256; CORSO, La trasmigrazione delle regole probatorie non è con-sentita, cit., p. 745.

87 Così Cass., sez. III pen., 14 febbraio 2012, n. 5640, in Banca dati fisconline. 88 Si veda la giurisprudenza citata alla nota n. 24 e, infra, alla nota n. 91. 89 Per l’esclusione della rilevanza penale dell’elusione fiscale, si veda, da ultimo, Cass.,

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

464

Inoltre, appare difficilmente ravvisabile il richiesto dolo specifico di eva-sione alla luce del principio per cui, ai sensi dell’art. 51 c.p., «l’esercizio di un diritto esclude la punibilità»

90. E quindi da escludere che la fattispecie in esame, possa annoverarsi tra

quelle elusive ricorrendo, semmai, un’ipotesi di evasione considerato che evasione, elusione e risparmio d’imposta sono categorie concettuali ben di-stinte e non sovrapponibili

91.

6. Un auspicio per il futuro

L’auspicio è che la giurisprudenza di legittimità possa dare un seguito al revirement, rimasto finora isolato, secondo cui la presunzione de qua «si ri-solve in una affermazione apodittica e in una motivazione apparente»

92. sez. II pen., 28 febbraio 2012, n. 7739, in Corr. trib., 2012, p. 1080, con nota di CORSO, Una elusiva sentenza della Corte di cassazione sulla rilevanza penale dell’elusione, ove affermato il principio secondo cui «non qualunque condotta elusiva ai fini fiscali può assumere rilevanza in sede penale, ma solo quella che corrisponde ad una specifica ipotesi di elusione espressa-mente prevista dalla legge».

In senso conforme, v. Cass., sez. V, 7 luglio 2006, n. 34780, in Corr. trib., 2006, p. 3045 e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Trento, GUP, 29 settembre 2011, n. 571 e Trib. Catania, sez. III pen., GUP, 29 maggio 2010, n. 2741 in Banca dati fisconline In dottrina, v. MUSCO-ARDITO, Diritto penale tributario, Bologna, 2010, p. 166 ss.; CORSO, L’operazione elusiva non è inesistente né costituisce reato, in Corr. trib., 2012, p. 418, in nota a Trib. pen. Trento, GUP, 29 settembre 2011, n. 571; VALENTE-CARACCIOLI, Rischi penal-tributari po-tenzialmente configurabili nel «transfer pricing», in Corr. trib., 2011, p. 2616; GALLO, Rile-vanza penale dell’elusione, in Rass. trib., 2001, p. 321; MUCCIARELLI, Abuso del diritto, elusio-ne fiscale e fattispecie incriminatrici, in MAISTO (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tribu-tario, Milano, 2009, p. 402; MARCHESELLI, Elusione, buona fede e principi di diritto punitivo, in Rass. trib., 2009, p. 401.

Ma, in senso contrario, Cass., sez. III pen., 7 luglio 2011, n. 26723, la quale ha confer-mato «la misura cautelare applicata al contribuente indagato per il delitto di dichiarazione infedele allorquando il quadro probatorio ed indiziario sia sufficiente ad integrare il fumus boni iuris della fattispecie incriminatrice in relazione all’adozione di atti e comportamenti elusivi o connotati da abuso del diritto», consultabile in Banca dati fisconline.

Si segnala che, nelle intenzioni del legislatore (si veda l’art. 6, lett. d) del Disegno di legge delega al Governo per la revisione del sistema fiscale del 16 aprile 2012), tra i criteri direttivi che dovranno informare la disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale, dovrà pre-vedersi l’esclusione della rilevanza penale dei comportamenti ascrivibili a fattispecie abusive.

90 Così VALENTE-CARACCIOLI, op. cit., p. 2621. 91 V. MUSCO-ARDITO, op. cit., p. 175 e Tribunale di Trento, GUP, 29 settembre 2011, cit. 92 V., Cass., sez. trib., 17 giugno 2009, n. 14046, cit.

Giuseppe Scanu

465

L’impressione è che l’ormai dilagante estensione del divieto dell’abuso del diritto, quale principio generale antielusivo, a tutti i gradi di organizza-zione societaria ove si riscontri la ristrettezza della compagine sociale

93 e al-cuni paradossi cui è giunta di recente la Cassazione

94, pongono più che una perplessità: ciò significherebbe disconoscere la stessa validità delle società di capitali e, in particolare, delle “piccole” s.r.l. il cui carattere “di comodo” pa-re ben lungi dall’essere dimostrato

95. L’inversione del trend non può prescindere dalla spinta della giurispruden-

za di merito la cui maggior sensibilità dimostrata nel contemperare le con-trapposte esigenze della ragione fiscale

96 e della difesa del contribuente di-pende dalla capacità di quest’ultimo di valorizzare ogni elemento di segno opposto, anche solo presuntivo, utile a vincere la presunzione e non limitarsi ad invocare l’illegittimità della rettifica perché implicante una duplice presun-zione o una probativo diabolica

97.

93 Cass., sez. trib., 10 giugno 2009, n. 13338, in Banca dati fisconline, secondo cui «tale presunzione è applicabile anche in ipotesi di sussistenza di una partecipazione mediata dall’intermediazione di altra persona giuridica», nel caso di specie, s.r.l. le cui quote erano detenute al 90% da una S.p.a. (con partecipazioni ripartite tra due coniugi in misura del 95% (il marito) e 5% (la moglie) e per il restante 10% da quest’ultima.

94 V., Cass., sez. trib., 10 giugno 2011, n. 12763, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 1053, con nota critica di NUSSI, L’attività di supplenza del giudice tributario oltre i limiti dell’atto impositi-vo (nuovi paradossi nell’accertamento del reddito di società di persone), ivi, p. 1059 la quale ha affermato che neppure l’accertata inesistenza della società (di fatto) impedisce l’imputazione dei redditi ai soci.

95 Sulle problematiche relative all’elusione della società ed evasione dei soci si vedano, tra gli altri, BEGHIN, Rapporti partecipativi, elusione della società e conseguente evasione dei soci, in Boll. trib., 2007, p. 1765; PROCOPIO, L’ormai improcrastinabile soluzione legislativa dell’abuso del diritto, in Dir. prat. trib., 2011, p. 23; ROSSI, Società a ristretta base azionaria e presunzione di distribuzione di utili ai soci, in relazione al problema dell’elusione fiscale, in Dir. prat. trib., 1991, p. 549 il quale propende per l’applicazione delle maggiori imposte e l’irro-gazione delle sanzioni alla sola società e non anche ai soci e, da ultimo, Cass., sez. trib., 27 luglio 2011, n. 16431 in Banca dati fisconline.

96 Per “ragione fiscale” si intende l’interesse dello Stato all’agevole e costante percezio-ne delle entrate tributarie, così BORIA, L’interesse fiscale, Torino, 2002, p. 202 ss., concetto da tenersi distinto dall’“interesse fiscale”, da intendersi in riferimento «all’interesse “ordi-namentale” alla corretta attuazione del riparto dei carichi pubblici», in ossequio al princi-pio di sistema della “giusta imposizione” ex art. 53 Cost.; v. FEDELE, Concorso alle spese pubbliche e diritti individuali, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 32 e, dello stesso Autore, Appunti delle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, pp. 15 e 158.

97 Il riferimento è alle citate sentenze 10 giugno 2011, n. 127 della CTR Cagliari, sez. staccata di Sassari, sez. VIII e 13 marzo 2007, n. 44 della CTP Sassari, sez. I.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

466

Gianluca Selicato

PROFILI PROCEDIMENTALI DEI RAPPORTI GIURIDICI ATTIVI SOPRAVVENUTI ALL’ESTINZIONE SOCIETARIA

THE TAX TREATMENT OF EXTRAORDINARY INCOME SUBSEQUENT CORPORATE EXTINCTION

Abstract Argomentando sulla base della novella dell’art. 2495 c.c. la Suprema Corte ha fatto chiarezza sulle principali conseguenze fiscali della cancellazione delle società di ca-pitali dal registro delle imprese. Numerosi dubbi, però, permangono sui profili procedimentali della successiva attività degli Uffici finanziari, in parte alimentati dall’assenza di indicazioni normative sui riflessi di tale evento sul versante dei rap-porti attivi preesistenti o sopravvenuti all’estinzione societaria. Su questi aspetti è recentemente intervenuta la Direzione normativa dell’Agenzia delle entrate con una risoluzione che offre l’occasione di ricostruire e valorizzare i profili sistematici della materia nel supremo interesse della certezza dei rapporti giuridici. Parole chiave: registro delle imprese, cancellazione società, estinzione società, sopravvenienze attive, crediti fiscali, rimborso Grounding its decision on new Article 2495 of the Civil Code, the Italian Supreme Court (ISC) clarified the main tax consequences of the deregistration of limited liabi-lity companies from the Companies House. Many doubts, however, remain on certain procedural aspects related to the subsequent activities of Tax Authorities, which are partly caused by the absence of clear provisions on the tax treatment of income pro-duced once the company has ceased its activity. The Law Department of the Italian Tax Authority has recently intervened on this issue through a resolution, which offers the opportunity to restructure and enhance the sy-stematic aspects of the entire subject in the light of the supreme interest of certainty in legal relationships. Keywords: register of companies, deregistration, corporate extinction, extraordinary income, tax credits, refunds

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

468

SOMMARIO: 1. Le questioni aperte sull’estinzione societaria per effetto della cancellazione dal registro delle imprese. – 2. La ricostruzione dei rapporti giuridici attivi sopravvenuti all’estinzione societaria secondo differenti modelli teorici. – 3. La delega (facoltativa) all’ex liquidatore delle procedure di rimborso: pregi e difetti di un’originale soluzione operativa.

1. Le questioni aperte sull’estinzione societaria per effetto della cancellazione dal registro delle imprese

L’estinzione societaria per effetto della cancellazione dal registro delle im-prese continua ad offrire interessanti spunti di riflessione anche a seguito dell’intervento chiarificatore della Suprema Corte. L’importante contributo del Giudice di legittimità alla ricostruzione degli effetti della riforma del di-ritto societario sul novellato art. 2495 c.c.

1 non ha infatti rimosso ogni dubbio sulle conseguenze di questo meccanismo di estinzione giuridica dell’ente.

La norma in questione individua i criteri di riparto delle obbligazioni pas-sive che residuano all’estinzione delle società di capitali, ponendole a carico dei soci nel limite delle somme da loro riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e dei liquidatori ove il mancato pagamento sia dipeso da colpa di questi ultimi

2. Rispetto alla precedente formulazione 3, la disposizione

esordisce con l’inciso “ferma restando l’estinzione della società” che impedisce di coltivare ulteriormente la tesi, di conio prevalentemente giurisprudenzia-le, che subordinava la dissoluzione del soggetto giuridico all’esaurimento dei rapporti tributari pendenti o alla definizione di ogni sua controversia giudiziale

4. Come confermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con tre

1 L’attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366, ad opera del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ha determinato la sostituzione dell’art. 2456 c.c. con l’art. 2495 c.c.

2 Il principio, già contenuto nell’art. 2456, comma 2, c.c., è stato ribadito dalla riforma del diritto societario che ha trasfuso nel comma 2 dell’art. 2495 c.c. la medesima regola di riparto della responsabilità per le obbligazioni sociali rimaste insoddisfatte all’estinzione della società.

3 Sul sistema antecedente la riforma del diritto societario si veda diffusamente STEVA-NATO, Inizio e cessazione dell’impresa nel diritto tributario, Padova, 1994. Sull’attuale sistema si consulti, ex multis, SPERANZIN, L’estinzione delle società di capitali in seguito all’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, in Riv. soc., 2004, p. 514 ss.

4 Fra le tante, v. Cass., sez. lav., sent. 1° luglio 2000, n. 8842 (in Giust. civ. Mass., 2000, p. 1478), Cass., sez. trib., sentt. 15 gennaio 2007, n. 646, e 23 maggio 2006, n. 12114 (en-trambe in Banca dati fisconline). Secondo NICCOLINI, La liquidazione volontaria delle società tra passato e presente, in ADAMO-NICCOLINI (a cura di), Le liquidazioni aziendali, Torino,

Gianluca Selicato

469

distinte sentenze del 22 febbraio 2010 5, dunque, la cancellazione della so-

cietà di capitali dal registro delle imprese, negli odierni assetti, costituisce vi-cenda sufficiente a determinare l’estinzione dell’impresa a prescindere dal-l’esistenza di eventuali rapporti non ancora definiti.

Gli effetti del comma 2 dell’art. 2495 c.c., sorretti dall’esigenza di pari trattamento dei terzi creditori, travalicano la disciplina delle società di capi-tali e finiscono per ripercuotersi sulle società di persone. Ragioni logiche e sistematiche puntualmente esposte nel percorso argomentativo del Supre-mo collegio inducono infatti a rimuovere le principali conseguenze della dif-ferente efficacia che l’iscrizione della cancellazione nel registro assume nella disciplina delle società di capitali (efficacia costitutiva) e in quella delle so-cietà di persone (efficacia dichiarativa)

6. In entrambi i casi, secondo le Se- 2010, p. 35: «così orientandosi, la giurisprudenza “conteneva”, limitandone ed anzi preci-sandone la portata (si parlava di una presunzione juris tantum di estinzione), la talora af-fermata efficacia costitutiva della cancellazione, indirizzandosi verso una soluzione che va-lorizzava, rispetto al dato formale offerto dall’adempimento pubblicitario (la c.d. liquidazio-ne formale), il dato sostanziale dell’effettiva definizione dei rapporti – di tutti i rapporti – sor-ti nell’esercizio dell’attività comune o dall’attività comune comunque derivati (c.d. liquida-zione sostanziale)».

5 Le decisioni hanno avuto ad oggetto la capacità giuridica e la legittimazione proces-suale di una società in nome collettivo cancellata dal Registro delle imprese a seguito del de-posito del bilancio finale di liquidazione (sent. n. 4060/2010), il valore (asseritamente) di-chiarativo, anziché costitutivo, della cancellazione di una società di capitali dal suddetto Registro avvenuta in epoca antecedente all’entrata in vigore delle nuove regole del diritto societario (sent. n. 4061/2010) e l’esistenza giuridica di una cooperativa la cui cancella-zione era avvenuta in epoca successiva a tale riforma ma la cui legittimazione processuale veniva comunque invocata in relazione ad un’azione giudiziale di recupero crediti promos-sa prima dell’iscrizione della sua cancellazione (sent. n. 4062/2010). Per un commento degli effetti di queste pronunce si v. FICARI, Cancellazione dal registro delle imprese delle so-cietà di capitali, “abuso della cancellazione” e buona fede nei rapporti tra amministrazione fi-nanziaria e contribuente, in Riv. dir. trib., 2010, p. 1037 ss.; DALFINO, Le sezioni unite e gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, in Società, 2010, p. 1004 ss.; SALAFIA, Estensione alle società di persone del nuovo art. 2495, ivi, p. 565 ss.; sia consentito altresì rinviare a G. SELICATO, I riflessi fiscali della cancellazione delle società dal registro delle imprese, in Rass. trib., 2010, p. 868 ss.

6 Argomentando sulla base di inequivocabili indicazioni della Consulta che, da tempo, ri-vendicavano la parità di trattamento tra imprese individuali e imprese collettive ai fini della dichiarazione di fallimento (Corte cost., sent. 21 luglio 2000, n. 319), con la sent. 22 feb-braio 2010, n. 4062, le Sezioni Unite hanno ritenuto che «... anche per le società di perso-ne può presumersi che la cancellazione dell’iscrizione nel registro delle imprese di esse comporti la fine della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analo-go effetto si produce per le società di capitali e le cooperative, anche se in precedenza per esse si era esattamente negata in passato la estinzione della società e della capacità di essa,

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

470

zioni Unite, la cancellazione determina comunque l’estinzione societaria o per il venir meno della persona giuridica ovvero – nell’impresa collettiva – per la perdita della capacità e della legittimazione.

La Suprema Corte si è anche premurata di disconoscere la natura inter-pretativa dell’intervento normativo che non impedisce di ritenere comun-que estinte, con l’entrata in vigore della riforma del diritto societario, anche le società cancellate prima di tale data.

Per quanto sia stata definitivamente accolta la tesi favorevole alla natura costitutiva della cancellazione delle società di capitali dal registro delle im-prese, permangono dubbi, però, sulle interferenze che la previsione codici-stica produce sull’articolato regime delle responsabilità per i debiti fiscali della società delineato dall’art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602

7. I profili procedimentali dell’attività degli Uffici finanziari successiva all’estin-zione dell’ente alimenta ulteriori incertezze che hanno reso necessari appro-fondimenti scientifici sugli effetti, per la società e il liquidatore, della manca-ta approvazione del bilancio finale di liquidazione

8, sui riflessi dell’estinzio-ne societaria sugli accordi eventualmente raggiunti tra l’ex rappresentante legale e l’Amministrazione finanziaria

9, sulle sorti degli atti impositivi che, all’epoca dell’estinzione, erano in fase di formazione

10. Il regime della noti-fica degli atti alla società estinta

11 e le conseguenze dell’estinzione in sede processuale individuano ulteriori campi di indagine che meriterebbero più puntuali interventi giurisprudenziali

12.

fino al momento della liquidazione totale dei rapporti facenti ad essa capo, in difetto di una espressa previsione dell’effetto estintivo per le società di capitali». È stata in tal modo sostenuta un’applicazione generalizzata del comma 2 dell’art. 2495 c.c. (sebbene norma collocata nel Capo VIII del Titolo V del codice civile) ad ogni tipo societario, oltre che all’impresa individuale.

7 V. STEVANATO, L’estinzione della società preclude l’attivazione del meccanismo di responsabilità dei rappresentanti previsto dall’art. 36 del d.p.r. n. 602/73?, in Dialoghi trib., n. 2, 2008, p. 156 ss.

8 Il tema è trattato da FANTI, Omesso deposito del bilancio annuale di liquidazione ed estinzione della società, in Società, 2011, p. 399 ss.

9 L’argomento è affrontato da FICARI, La cancellazione dal registro delle imprese e l’accer-tamento con adesione: dall’inesistenza dell’accordo all’impugnabilità del diniego di revoca, in Boll. trib., 2011, p. 326 ss.

10 Si veda BRUZZONE, Per le sezioni unite la cancellazione estingue tutte le società, in Corr. trib., 2010, p. 1295 ss.

11 Si veda CANCEDDA, Cass., n. 25472 del 20 ottobre 2008: notificazione di atti tributari riguardanti società cancellate dal registro delle imprese e riforma del diritto societario, in Fisco, 2009, pp. 1-56 ss.

12 GLENDI, Cancellazione delle società, attività impositiva e processo tributario, in Giust. Trib.,

Gianluca Selicato

471

Tutte le questioni, a ben vedere, ruotano attorno alla previsione civilisti-ca che consente ai creditori della società estinta di agire esclusivamente nei confronti dei soci o dei liquidatori entro i limiti precedentemente ricordati. La difettosa trasposizione del precetto nella materia dei tributi discende, almeno in parte, dalla fisionomia dei rapporti tra Fisco e contribuente il cui accertamento avviene generalmente in prossimità della scadenza dei termini indicati dall’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

13. Peraltro, con-centrandosi sulle conseguenze dell’estinzione dell’ente sulle (sole) obbliga-zioni passive, l’art. 2495 si rivela asimmetrico poiché omette di disciplinare i riflessi dell’evento sull’opposto versante dei rapporti attivi preesistenti o eventualmente ad esso sopravvenuti

14. Tale impostazione rivela limiti non ancora affrontati dalla Suprema Cor-

te ma ben percepiti dall’Amministrazione finanziaria che, in un recente do-cumento di prassi

15, ha inteso chiarire i profili procedimentali dell’estinzio-ne sui crediti d’imposta che la società già vantasse nei confronti del Fisco e 2010, p. 49 ss. (che si sofferma sui profili processuali dell’estinzione societaria); ID., Can-cellazione-estinzione delle società e cessazione della materia del contendere nei giudizi in corso, ivi, 2011, p. 512 ss., che segnala la diversità di giudicati delle Corti di merito in riferimento a distinti giudizi di impugnazione di atti impositivi emessi dall’Agenzia delle entrate nei confronti di società a responsabilità limitata cancellate dal Registro delle imprese.

13 La norma stabilisce i termini per l’accertamento precisando che: «Gli avvisi di accer-tamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto an-no successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presen-tazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposi-zioni del titolo I l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata . In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione ...».

14 Come segnalato da BONAVERA, Sopravvenienze attive di società estinta in seguito alla cancellazione dal registro delle imprese, in Società, 2011, p. 276, la sorte delle sopravvenienze attive emerse successivamente alla cancellazione della società dal registro delle imprese resta dubbia, in quanto «... il legislatore della riforma del diritto societario non ha ritenuto ... di disciplinare specificamente la questione, diversamente da quanto ha fatto invece per le sopravvenienze passive, sebbene la legge delega n. 366/2001 contenesse, all’art. 8, la di-rettiva per il legislatore delegato di regolare gli effetti della cancellazione della società dal Re-gistro delle imprese, senza alcun riferimento alle eventuali sopravvenienze, passive o attive che fossero».

15 Si tratta della Ris. 27 luglio 2011, n. 77/E, resa dalla Direzione normativa dell’A-genzia delle entrate in riscontro ad una richiesta di parere formulata da una sua Direzione regionale.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

472

ha indirizzato la condotta degli Uffici nelle ipotesi in cui dovessero emerge-re sopravvenienze attive solo dopo l’estinzione societaria.

La scelta di muovere dall’interpretazione sistematica del quadro norma-tivo cui è giunta la Cassazione e di tenere nella dovuta considerazione i dif-ferenti schemi teorici evocati dalla dottrina nella ricostruzione dei rapporti tra società, ex liquidatore ed ex soci rende particolarmente apprezzabile l’intervento della Direzione normativa dell’Agenzia delle entrate, nel su-premo interesse della certezza dei rapporti giuridici, prima ancora che per le esigenze operative degli Uffici finanziari. La “dissoluzione giuridica” del tito-lare dei diritti di rimborso e delle sopravvenienze attive, infatti, impone di individuare con sufficiente chiarezza modalità e soggetti cui assegnare le e-ventuali somme non attribuite “in vita” alla società e la cui permanenza nella sfera patrimoniale del Fisco determinerebbe conseguenze inaccettabili, già sul piano del diritto costituzionale.

2. La ricostruzione dei rapporti giuridici attivi sopravvenuti all’estinzione so-cietaria secondo differenti modelli teorici

Muovendo dal già accennato effetto “espansivo” che la Cassazione ha ri-conosciuto all’art. 2495 c.c. in riferimento alla cancellazione delle società di persone dal Registro, i termini della questione possono essere efficacemente inquadrati con l’ausilio della sent. 16 luglio 2010, n. 16758, resa dalla I Se-zione civile della Cassazione

16, che aveva prospettato la possibilità di rap-portare la fattispecie in esame al regime dell’“eredità giacente” in alternativa alla “cancellazione della cancellazione” (in quanto intervenuta in assenza del-le condizioni richieste dalla legge) ovvero a quello della “comunione tra ex soci” per quote coincidenti a quelle della procedura di liquidazione.

Si tratta di soluzioni proposte dalla dottrina tra le quali non sembra po-tersi condividere anzitutto quella che fa riferimento alla “cancellazione della cancellazione”

17, per quanto accolta dalla Cassazione nella sent. n. 8426 resa,

16 In Banca dati fisconline. 17 A favore di questa tesi, SPOLIDORO, Seppellimento prematuro. La cancellazione delle socie-

tà di capitali dal Registro delle imprese ed il problema delle sopravvenienze attive, in Riv. soc., 2007, p. 837 ss. Secondo l’A. la legge non stabilisce l’irreversibilità degli effetti della cancella-zione, ma prevede soltanto che l’estinzione “resta ferma” anche in presenza di creditori in-soddisfatti. Alcuna previsione interesserebbe, di contro, le attività sopravvenute a seguito di cancellazione che potrebbero dunque consentire la ripresa della liquidazione nell’interesse

Gianluca Selicato

473

a Sezioni Unite, il 9 aprile del 2010. Nel tentativo di difendere l’interesse pubblico alla percezione di ingenti somme dovute da una società fittiziamen-te trasferita all’estero e frettolosamente cancellata dal registro delle imprese (al solo fine di impedire l’applicazione delle disposizioni del rito fallimenta-re) il Giudice supremo, in quell’occasione, aveva infatti giustificato la scelta dell’Ufficio di far tornare in vita l’ente con una motivazione che impedisce di stabilire proficue connessioni con i precedenti interventi delle Sezioni Unite nella stessa materia. Sulla base del mancato adempimento, da parte «di chi aveva interesse a riaffermare la fine dell’impresa collettiva», dell’o-nere di provare l’assenza «di qualsiasi attività d’impresa ... da oltre un anno dalla istanza di fallimento», la Cassazione ha circoscritto, in tal modo, la va-lenza sistematica delle precedenti statuizioni ammettendo una “reviviscenza” societaria di cui non sembrerebbe esservi traccia nel codice civile e che è sta-ta fatta discendere da una tardiva presa di coscienza del Giudice del registro dello svolgimento di attività sociale e dall’assenza di prova contraria da parte del ricorrente

18. A soluzioni sostanzialmente analoghe è approdata, in alcune decisioni e

con un orientamento tutt’altro che consolidato, anche la giurisprudenza di merito che, proprio in riferimento alle sopravvenienze attive, ha contemplato la possibilità di riportare in funzionamento la società estinta attraverso la «cancellazione della cancellazione dal registro delle imprese» sulla base dell’art. 2191 c.c.

19. tanto dei soci quanto dei terzi. Sull’argomento si veda anche Tribunale di Como, 24 aprile 2007 (annotata da D’ALESSANDRO, Cancellazione della società e sopravvivenze attive: opportu-nità e legittimità della riapertura della liquidazione), in Società, 2008, p. 889 ss., e Tribunale di Treviso, decr. 19 febbraio 2009 (annotato da ZAGRA, Effetti irreversibili della cancellazione di società di capitali dal Registro delle imprese, in Società, 2010, p. 355 ss., che condivide il rischio di un utilizzo strumentale, da parte dei soci, del meccanismo estintivo e della eventuale revi-viscenza societaria). Con riferimento al sistema antecedente la riforma del diritto societario, il tema è stato affrontato da MIRONE, Cancellazione delle società dal registro delle imprese – So-pravvenienze attive e passive – Estinzione, in Riv. soc., 1968, p. 516 ss.

18 Sul percorso argomentativo della Suprema Corte può vedersi G. SELICATO, Estinzio-ne e reviviscenza di società cancellate dal registro delle imprese tra certezza dei rapporti giuridici e tutela del credito erariale, in Boll. trib., 2010, p. 1339 ss.

19 Si tratta del decr. 26 aprile 2010 del Tribunale di Napoli, segnalato nel Documento del 14 giugno 2011, n. 11/IR dell’Istituto di ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esper-ti Contabili, dal titolo La procedura della liquidazione: aspetti controversi e spunti per la sempli-ficazione. Il Giudice del Registro di Treviso, con decr. 19 febbraio 2009, cit., ha invece rifiuta-to la “cancellazione della cancellazione” richiesta, ai sensi dell’art. 2191 c.c., in ragione di un rapporto giuridico non definito nella precedente e conclusa fase di liquidazione della società (il credito scaturiva dal rimborso di spese legali riconosciuto a favore della società).

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

474

Fatto sta che, oltre che nel mondo delle persone fisiche, le “resurrezioni” alimentano perplessità anche nel sistema delle persone giuridiche dal quale sarebbe comunque opportuno espungerle

20. Non fosse altro che, una volta rifiutata dai massimi Giudici la possibilità che la resistenza o la mera soprav-venienza di rapporti di credito o debito o di contenziosi determini la prose-cuzione della capacità giuridica della società cancellata dal registro delle im-prese, ammettere la reviviscenza dei rapporti giuridici in capo all’ente estin-to equivarrebbe, io credo, ad eludere un dettato normativo preordinato alla tutela della certezza dei rapporti giuridici

21. Né tale forzatura sembra condur-re a risultati appaganti, dal momento che i limiti e le condizioni cui il nuovo art. 2495 c.c. subordina l’azione dei creditori sociali rimasti insoddisfatti non incidono affatto sul regime delle responsabilità per negligenza dell’ex liquidatore né sembrano poter escludere, per altra via, la responsabilità degli ex amministratori e degli ex soci per atti fraudolenti

22. Il collegamento dell’estinzione giuridica di ogni tipo societario alla can-

cellazione dal registro delle imprese e, quindi, al compimento dell’attività li-quidatoria induce a rifiutare anche il modello del “patrimonio alla ricerca di un titolare” che, se accolto, condurrebbe alla nomina di un curatore speciale deputato al completamento delle attività non ultimate prima della cancella-zione. Per quanto funzionale alla soluzione di alcuni problemi

23, l’assimila-

20 In senso contrario alla tesi qui criticata si veda il Provv. del 2 marzo 2011 del conser-vatore del registro delle imprese del Tribunale di Padova, con nota adesiva di LAMEDICA, Cancellazione della società e diritti dei creditori, in Corr. trib., 2011, p. 1541, secondo cui «... l’estinzione della società – causata dalla cancellazione della stessa dal registro delle im-prese – potrebbe configurare ... lo strumento attraverso il quale si è pensato – per finalità non confessate – di chiudere ogni discorso con predeterminati creditori ...».

21 È dello stesso avviso NICCOLINI, La liquidazione volontaria delle società tra passato e presente, cit., p. 53.

22 Secondo GLENDI, Cancellazione delle società, cit., p. 751, che esclude espressamente la successione di qualsiasi genere (sia a titolo universale, sia a titolo particolare) nei rapporti attivi tra società, ex soci, ex amministratori e liquidatori, «... dall’estinzione della società sorge per i creditori una nuova azione contro gli ex soci, i liquidatori e gli amministratori del-la società estinta. Si può discutere sulla sua natura giuridica. In ogni caso, trattasi di azione nuova e diversa da quella proposta o proponibile tra terzi creditori e società. Diversa è la fat-tispecie costitutiva, diverso è l’obiettivo conseguibile, diverse ne sono le modalità di attiva-zione e di gestione».

23 In favore di questa tesi SALAFIA, Sopravvenienza di attività dopo la cancellazione della società dal Registro imprese, in Società, 2008, p. 931, che fa notare come l’applicazione per analogia della disciplina dell’eredità giacente consentirebbe di rimettere al curatore le deli-cate questioni relative alla confluenza degli interessi degli ex soci e degli eventuali creditori rimasti insoddisfatti nella distribuzione del residuo attivo, ma anche le formalità collegate al-

Gianluca Selicato

475

zione dei meccanismi di imputazione dei crediti d’imposta e delle sopravve-nienze attive emerse successivamente all’estinzione della società allo sche-ma tipizzato dell’eredità giacente (di cui all’art. 187 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) evidenzia alcuni limiti che meritano di essere segnalati.

Già sul piano teorico, la contaminazione della disciplina degli enti inter-medi con un meccanismo d’imputazione dei redditi concepito per le perso-ne fisiche

24 costituisce un’inutile forzatura che si aggiunge all’equivoco di con-siderare equivalenti le situazioni a confronto. L’applicazione del modello di tassazione-imputazione dei redditi rivenienti dall’eredità giacente contem-pla, infatti, l’avvenuto perfezionamento di un presupposto che attende di es-sere ricondotto ad un soggetto in via definitiva

25. Non a caso, la tassazione provvisoria dei flussi reddituali cui l’art. 187 TUIR fa riferimento ben si a-datta a situazioni contigue in cui non sia ancora certa l’identità dei titolari-possessori dei redditi

26. Circostanza, questa, che non ricorre nelle ipotesi di estinzione societaria precedute dalla predisposizione di un piano di riparto tra soci dell’eventuale attivo residuo.

Anche sul piano procedimentale la tesi è destinata ad infrangersi sull’as-senza di un meccanismo che subordini la successione degli ex soci nel resi-duo attivo societario a manifestazioni di volontà postume rispetto alla disso-luzione dell’ente; la volontà dei soci si manifesta, piuttosto, in epoca ante-cedente alla sua estinzione giuridica, con la deliberazione sul bilancio finale di liquidazione. Tale circostanza segna una differenza pregiudiziale all’appli-cazione – sia pure in via analogica – della disciplina fiscale dell’eredità gia-cente la quale richiede, di contro, di verificare la concorrenza di due distinte condizioni: a) che il chiamato all’eredità non l’abbia ancora accettata; b) che lo stesso non sia nel possesso dei beni ereditari

27. La mancanza di un at- l’eventuale trasferimento di beni annotati su pubblici registri. Questi stessi temi vengono puntualmente affrontati, nella ben diversa prospettiva della comunione tra ex soci, dal Con-siglio Nazionale del Notariato nello Studio n. 38-2006/I del 15 giugno 2006, dal titolo So-cietà cancellata dal registro delle imprese e sopravvenienze attive.

24 V. NUSSI, L’eredità giacente: profili ricostruttivi di diritto tributario, in Riv. dir. fin., 1991, I, p. 139 ss.

25 Così PAPARELLA, Possesso di redditi ed interposizione fittizia, Milano, 2000, p. 120. 26 È il caso, per esempio, del sequestro giudiziario, cui la giurisprudenza (v. Tribunale

di Taranto, provv. 29 luglio 2002) e la prassi (v. Ris. nn. 195/E/2003 e 62/E/2007) han-no già ritenuto applicabile in via analogica la disciplina dell’eredità giacente.

27 In tal senso PESSINA, Eredità giacente: imposte sui redditi, in Fisco, 2002, p. 1-4346 ss., che richiama le previsioni dell’art. 528 c.c. Come ricorda GALLO, La soggettività tributaria nel pensiero di G.A. Micheli, in Rass. trib., 2009, p. 619, l’adesione alla tesi civilistica perva-deva già il pensiero di G.A. Micheli, che nello studio dei profili fiscali dell’eredità giacente

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

476

to equivalente all’accettazione dell’eredità – che peraltro giustifica la fun-zione dell’istituto sul piano civilistico

28 – costituisce un ulteriore elemento di debolezza della tesi.

Pur non formulando analoghi rilievi, anche la Direzione normativa del-l’Agenzia delle entrate è giunta a queste conclusioni atteso che, nel suo re-cente parere, non solo ha definito “irreversibile” l’estinzione – implicitamente rifiutando la “cancellazione della cancellazione”

29 – ma ha espresso una chiara preferenza per l’istituto della comunione ordinaria, in questo caso stabilita tra gli ex soci, ai sensi degli artt. 1100 ss. c.c.

30. Si tratta di un’indicazione risalente

31, alquanto dibattuta nella giurispru-denza di merito

32, che valorizza l’effetto costitutivo della cancellazione dal non riconosceva alcuna rilevanza soggettiva al patrimonio che la compone, in linea con la tesi civilistica «secondo cui l’eredità giacente ha sempre un titolare che sarebbe, con effet-to retroattivo, colui il quale accetterà o, in mancanza di questi, lo Stato».

28 In tal senso PEPE, art. 187, in FANTOZZI (a cura di), Commentario breve alle leggi tributa-rie, III, 2010, p. 933, cui si rinvia per approfondimenti sulla disciplina tributaria dell’istituto.

29 La tesi della “cancellazione della cancellazione” è criticata da ZAGRA (op. cit., p. 365) che ritiene superata, in quanto incompatibile con la tesi sull’efficacia costitutiva, l’impostazio-ne favorevole ad una gestione della società da parte dei suoi ex liquidatori sia pure limita-tamente alle attività emerse successivamente. Questa soluzione, che passa attraverso lo sche-ma della “cancellazione della cancellazione” aveva raccolto alcuni consensi prima della ri-forma consentendo di «risolvere ad esempio il problema della dismissione di una soprav-venienza attiva e della cancellazione di un’ipoteca iscritta a favore della società mediante l’intervento in atto di un ex liquidatore». Secondo l’A., invece, nell’attuale sistema occor-rerebbe l’intervento di tutti gli ex soci nell’eventuale atto di dismissione del cespite.

30 In senso analogo il Tribunale di Bologna (v. decr. 30 settembre 2010, in Società, 2011, p. 107) secondo cui, in tema di sopravvenienze attive, si determina «un fenomeno di successione in capo ai soci non diverso da quello che d’ordinario segue alla chiusura del-la liquidazione quando residui un attivo patrimoniale, ovvero che esso residuo andrà ripar-tito tra i soci in regime di comunione ordinaria ai sensi degli artt. 1100 ss. in misura pro-porzionalmente corrispondente al conferimento». La sentenza, annotata da BONAVERA (op. cit., p. 271 ss.), merita attenzione anche perché conduce al rigetto dell’istanza dell’ex socio della società cooperativa cancellata dal Registro delle imprese di nominare un cura-tore speciale ex art. 78 c.p.c. che potesse curare la riscossione di una sopravvenienza attiva costituita da un credito erariale ignota all’epoca dell’estinzione dell’ente.

31 V. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, p. 31 ss., nonché, più di recente, DE MARCHI-SANTUS, Scioglimento e liquidazione delle società di capi-tali, in AA.VV., Il nuovo ordinamento delle società, Milano, 2003, p. 345 ss.

32 Per un suo accurato esame si veda NICCOLINI, La liquidazione volontaria delle società tra passato e presente, cit., p. 45 ss. Ulteriori riferimenti a pronunce di merito si rinvengono in BONAVERA, op. cit., nota 14, il quale riporta un significativo passaggio del decr. 19 feb-braio 2009 del Tribunale di Treviso, cit., secondo cui: «... la sopravvenienza (o sopravvi-venza) attiva, in mancanza di una specifica disposizione normativa – che pure era stata ri-

Gianluca Selicato

477

registro delle imprese prospettando una vicenda acquisitiva “nuova” in capo agli ex soci, evidentemente non riconducibile al numerus clausus dei modi di acquisto a titolo originario della proprietà. L’acquisto delle sopravvenienze attive avviene quindi a titolo derivato a prescindere dalla loro mancata iscri-zione nel bilancio finale di liquidazione, potendosi condividere l’osservazio-ne secondo cui «la liquidazione consiste, nella sua fase finale, nella generica “assegnazione” dell’attivo residuo ai soci, come tale idonea a ricomprendere l’intero attivo ancorché non espressamente enunciato»

33. Nell’imputazione degli elementi patrimoniali attivi non compresi nel bi-

lancio di liquidazione, in quanto non conoscibili a quella data, gli ex soci del-la società estinta andrebbero considerati, secondo l’Agenzia delle entrate, alla stregua degli “eredi” i quali vantano la titolarità di un diritto alla percezione, pro quota, delle relative somme

34. Sebbene l’assimilazione del subentro degli ex soci nei rapporti giuridici

della società estinta 35 alla successione mortis causa sia stata più volte criti-

chiesta al legislatore delegato dall’art. 8, comma 1, lett. a) della legge delega – non può che comportare un’attribuzione patrimoniale agli ex soci, in regime di comunione ordinaria ex art. 1100 c.c. per quote corrispondenti a quelle risultanti dalla liquidazione».

33 Così il Consiglio Nazionale del Notariato (CNT) nello Studio n. 38-2006/I, cit., p. 8, che aggiunge: «... si deve ritenere che, nel momento in cui viene definito nel bilancio finale il residuo attivo della società, esso includa non solo quanto espressamente enunciatovi, ma anche le eventuali sopravvenienze taciute: e questo costituisce il titolo per l’instaurazione di un regime di contitolarità-comunione pro quota in capo al singolo socio dei beni residui e del conseguente diritto alla divisione. La materiale divisione di detti beni fra gli ex soci costituisce poi una mera attività di esecuzione in cui si concretizza detto trasferimento».

34 V., in dottrina, VAIRA, La cancellazione della società (art. 2495), in Il nuovo diritto so-cietario, Commentario, a cura di G. Cottino-G. Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti, III, Bo-logna, 2004, p. 2146, cui si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici. Per opportuni ap-profondimenti sulla riferibilità del reddito in caso di successione mortis causa si veda FAN-TOZZI, Successione nel debito d’imposta, in Noviss. Dig. it., XVIII., Torino, 1988, p. 594 ss., nonché BORIA, Il sistema tributario, Torino, 2008, p. 516 ss.

35 Ci si riferisce ai soli rapporti giuridici suscettibili di effettivo trasferimento. La lettura della sent. Cass. 16 luglio 2010, n. 16758, cit., induce a prestare particolare attenzione a tale circostanza segnalando che ci si dovrebbe sempre domandare se, ed eventualmente in qual misura, «spetti ai singoli soci la legittimazione a far valere in giudizio diritti o azioni la cui titolarità competeva alla società prima della sua cancellazione». Viene risolto in senso negativo, ad esempio, il caso di alcuni soci di un società regolarmente cancellata dal regi-stro delle imprese che pretendevano di far valere l’atto dissimulato sottostante un’opera-zione societaria che ha arrecato loro pregiudizio. E ciò non solo perché non si sarebbe trat-tato di sopravvenienze o residui attivi suscettibili di apprensione da parte dei soci, bensì perché si sarebbe trattato di una «pretesa giudiziaria volta ... a far accertare la simulazione di un negozio risolutivo di cui la società cancellata era parte». Secondo la Cassazione, in questo caso, è da ritenersi dubbio «che l’azione, ora esercitata solo da alcuni degli ex soci,

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

478

cata 36, il riferimento allo schema ereditario anziché alla comunione ex art.

1100 rileva su un piano squisitamente teorico, rispetto al quale andrebbe segnalata anche la possibile ricostruzione della fattispecie in termini di mec-canismo d’imputazione della titolarità di beni appartenuti ad una sovrastrut-tura ormai estinta

37. L’attività operativa degli Uffici finanziari, invece, resta indifferente a tali ricostruzioni beneficiando di un intervento chiarificatore suscettibile di prevenire contrapposizioni con i contribuenti in virtù della precisa individuazione dei soggetti legittimati al recupero dei crediti di na-tura fiscale che avrebbero dovuto far capo alla società e delle procedure di rimborso da essi attivabili.

3. La delega (facoltativa) all’ex liquidatore delle procedure di rimborso: pre-gi e difetti di un’originale soluzione operativa

La descritta soluzione, che può ritenersi pacificamente applicabile anche alle ipotesi di rimborsi non ancora liquidati all’epoca dell’estinzione societa-ria

38, postula che eventuali questioni relative alla spettanza o quantificazio-ne delle somme debbano essere affrontate in via diretta dagli ex soci, secon-do le regole sostanziali e processuali che attengono i diritti in comunione, non potendosi pretendere l’esercizio di funzioni residue da parte degli ex-amministratori o degli ex liquidatori ormai privi di qualsivoglia potere di rappresentanza

39. corrisponda ad una posizione giuridica loro trasmessa dalla società estinta: perché, se è indiscutibile che la società medesima sarebbe stata legittimata all’esercizio di una simile azione, sta di fatto che non la ha esercitata e che, con la decisione di porsi in liquidazione e cancellarsi dal registro ... ha evidentemente scelto di non farlo».

36 V. NICCOLINI, La disciplina dello scioglimento, della liquidazione e dell’estinzione delle società di capitali, in AMBROSINI (a cura di), La riforma delle società. Profili della nuova disci-plina, Torino, 2003, p. 193 ss.; nonché GLENDI, Cancellazione delle società, cit., p. 751.

37 Ipotesi, questa, non adombrata dall’Agenzia delle entrate ma cui aveva fatto riferi-mento il CNT, cit., p. 9, secondo cui: «... non si tratta, beninteso, di una comunione che ha il suo titolo nella legge (ex art. 1100 c.c.), ma semmai di un fenomeno inverso: posto che si estingue la sovrastruttura cui era imputato il bene residuo la sua eliminazione impli-ca la necessaria attribuzione di quel bene residuo ai soci, non essendovi altri possibili de-stinatari, nonché l’instaurarsi del regime di comunione sul bene».

38 Proprio in riferimento ai rimborsi d’imposta la Risoluzione della Direzione normati-va dell’Agenzia delle entrate evidenzia la simmetria tra crediti e debiti d’imposta nell’impu-tazione per trasparenza ai soci tipica delle società di persone e ne riconosce la possibilità d’impiego anche nei rapporti tra Fisco ed ex soci delle società di capitali estinte.

39 La questione è del tutto speculare a quella relativa all’identificazione dei soggetti aventi

Gianluca Selicato

479

La recisione del rapporto funzionale tra l’ex liquidatore e i (pur residui) rapporti attivi riconducibili alla sfera giuridica societaria riceve ulteriore conferma da un altro passaggio del parere reso sui riflessi fiscali della novella codicistica

40. Richiamando il contenuto dell’art. 5 del D.M. 26 febbraio 1992 (Procedure semplificate di riscontro finalizzate alla sollecita esecuzione dei rim-borsi dell’imposta sul valore aggiunto), che individua il liquidatore quale “rap-presentante legale della società in fase di estinzione” e lo autorizza a ricevere il rimborso IVA spettante alla società “in fase di liquidazione”, la Risoluzione chiarisce, infatti, che nell’attuale sistema di diritto «con l’irreversibile estin-zione della società ... viene a mancare il soggetto al quale ... l’Ufficio potreb-be eseguire il rimborso, in quanto non può esservi rappresentante legale di un soggetto estinto».

L’impatto della riforma del diritto societario sulle funzioni del (ex) liqui-datore appare in tal modo accettato anche nell’ambito di una disciplina, qual è quella tributaria, che per lungo tempo ha cercato di affermare la spe-cialità dei crediti fiscali rispetto alla generalità delle altre obbligazioni

41 e titolo per opporsi agli atti emanati dall’amministrazione finanziaria, rispetto alla quale il ci-tato Documento dell’Istituto di ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Conta-bili precisa che: «liquidatori ed amministratori non potranno stare in giudizio e non po-tranno, quindi, nemmeno rilasciare procura alle liti, per le liti sorte prima dell’estinzione della società: ciò in quanto, una volta estinta la società, vengono meno i poteri di rappre-sentanza a suo tempo attribuiti a tali soggetti. Qualora, invece, successivamente all’estinzione di una società, un atto impositivo veda come destinatario della pretesa il soggetto societa-rio estinto, ma venga notificato ai liquidatori (o ai soci), non potrà che essere rilevata l’irritualità della pretesa. L’atto di accertamento non può essere intestato infatti ad un sog-getto che non esiste. Quindi, i soggetti a cui risulta notificato l’atto impositivo potranno eccepire il difetto di legittimazione passiva, in considerazione della estinzione della socie-tà» (argomenti tratti dalla Cass., ord. 13 ottobre 2010, n. 21195, che ha dichiarato inam-missibile il ricorso presentato dal liquidatore di una società, già cancellata dal registro im-prese alla data di proposizione del ricorso stesso).

40 Si segnala la suggestiva proposta di LUPI, La liquidazione come «evento traumatico» della persona giuridica, in Dialoghi trib., 2010, p. 219 ss. (in risposta al dialogo proposto da COVINO, Liquidazione di società, debiti fiscali e soci), che egli stesso definisce un “espedien-te”, di riconoscere al liquidatore «una marginale rappresentanza residua, per quanto attie-ne alla comunicazione a terzi, emittenti di atti autoritativi, che la liquidazione è stata chiusa e la società è estinta». Si tratta di un’originale soluzione per la rimozione dei rischi correlati a un’astratta azione del Fisco rivolta, pur dopo l’estinzione della società, esclusivamente al suo liquidatore. Rischi che, in verità, appaiono fugati dalla Ris. n. 77/E/2011, cit., ancor più che dagli interventi della Cassazione, atteso che la stessa Amministrazione finanziaria, in questo documento di prassi, dimostra di aver ben colto il senso dell’intervento in-terpretativo delle Sezioni Unite.

41 V. GLENDI, In tema di accertamenti notificati dopo la liquidazione e la cancellazione del-

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

480

che non mancherà di porre ulteriori problemi in riferimento a questioni non ancora affrontate dall’Amministrazione finanziaria

42. Eppure, proprio il do-cumento di prassi vorrebbe assegnare a tale soggetto taluni compiti, sia pure di carattere residuale, che ne definiscono un ruolo sostanzialmente ausilia-rio dell’attività del Fisco e sul quale vale la pena di soffermarsi brevemente.

Evocando il contenuto di una sua precedente circolare (sebbene er-roneamente indicata, si ritiene che la Direzione centrale si riferisse alla n. 225/ E-253446 del 5 dicembre 2000, anziché alla n. 255/2000), l’Agenzia delle entrate ribadisce la già riconosciuta possibilità di delegare alla riscos-sione del rimborso un solo socio della società di persone ormai estinta. Tale indicazione viene però estesa, adesso, anche alle società di capitali, rispetto alle quali, la ricorrente circostanza di una compagine societaria “costituita da un numero considerevole di soci”, renderebbe possibile il conferimento della delega anche ad un terzo (oltre che ad un socio), previa comunicazione del-la stessa all’ufficio competente e con previsione espressa della possibilità di affidare l’adempimento all’ex liquidatore.

Il richiamo al precedente amministrativo, se da un lato consente agli ex soci di avvalersi del potere di delega anche in riferimento ai rimborsi delle imposte dirette, dall’altro dovrebbe indurli a non disattendere la procedura prevista dalla Circolare n. 225/2000, che subordina il rimborso alla produ-zione di «un’apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio da cui risulti-no: 1) i soggetti destinatari del rimborso; 2) le quote di partecipazione al capitale sociale spettanti a ciascun socio alla data di cessazione; 3) la data di cessazione dell’attività, se non risultante, o in contrasto con i dati in posses-so dell’Amministrazione finanziaria».

Per quanto priva di agganci al dato normativo la prospettata soluzione può condurre ad un’apprezzabile semplificazione – al tempo stesso – delle attività degli Uffici preposti al rimborso e di quelle, speculari, degli ex soci il cui dialogo con l’Amministrazione finanziaria deve comunque svolgersi al-l’interno di un procedimento che richiede una sufficiente conoscenza delle le società, in Dir. prat. trib., 1975, II, p. 539 ss.; nonché STEVANATO, Inizio e cessazione dell’impresa ..., cit., p. 22.

42 Sempre ZAGRA, op. cit., p. 365, segnala le prevedibili difficoltà correlate all’intervento di tutti gli ex soci all’eventuale atto di dismissione di un cespite dopo alcuni anni dalla can-cellazione della società. Segnala, altresì, difficoltà relative ad una “postuma” cancellazione di un’ipoteca «dato che appare francamente difficile configurare una comunione tra i soci nella titolarità del dovere di prestare l’assenso alla cancellazione e l’unica soluzione sembre-rebbe essere quella di aspettare lo scadere del ventennio».

Altre questioni dubbie sono state già indicate in nota 5.

Gianluca Selicato

481

regole della materia. Non a caso è stato efficacemente osservato come l’istan-za di rimborso afferisca ad un modello partecipativo di rapporti tra Fisco e contribuente, incardinando «un rapporto di restituzione in cui il contri-buente “dialoga” e “coopera” con l’Amministrazione finanziaria in una pro-spettiva realmente ed efficacemente collaborativa»

43. Va opportunamente chiarita, in questa prospettiva, la natura meramente

facoltativa della delega che dovrebbe indurre a valutare, dal lato degli ex so-ci, anche gli eventuali profili economici dell’incarico conferito all’ex liquida-tore, soggetto ormai slegato da ogni rapporto con la società e, quindi, con loro stessi. Ove conferita, la delega all’incasso e successivo riparto delle som-me tra i soci non può che costituire, in altri termini, un’attività autonoma e del tutto estranea all’ufficio del liquidatore le cui funzioni si considerano pa-cificamente cessate con l’estinzione della società, con la sola eccezione delle ipotesi in cui patologie ne avessero inficiato l’operato

44. Va da sé che, una volta accolto il principio per cui la delega può essere

conferita ad un socio o “a un terzo”, tra cui l’ex liquidatore della società, sa-rebbe stato forse opportuno stabilire requisiti soggettivi minimi del sogget-to delegato (in riferimento, ad es., alla sua esperienza professionale) dal momento che, in assenza di criteri di collegamento con le vicende societa-rie

45, un estraneo, per di più ignaro delle procedure di rimborso, potrebbe essere chiamato ad interloquire con l’Amministrazione finanziaria in rela-zione ad adempimenti di natura tecnica

46. Le medesime esigenze di spedi-

43 Così MISCALI, L’istanza di rimborso ad Ufficio incompetente esclude il rifiuto di restitu-zione impugnabile ma impedisce la decadenza dal rimborso, in Giust. Trib., 2006, p. 64 ss., che, nel commentare la sent. Cass. 6 maggio 2005, n. 9407, si sofferma sulle conseguenze di un’istanza di rimborso indirizzata ad un organo diverso da quello competente. Sullo stesso argomento, si veda anche il commento alla successiva sent. Cass. 7 ottobre 2005, n. 19605, di GRASSOTTI, Istanza di rimborso a Ufficio fiscale incompetente, sempre in Giust. Trib., 2006, p. 129 ss.

44 Secondo il codice civile, infatti (ci si riferisce sempre al comma 2 dell’art. 2495), do-po la cancellazione della società, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.

45 Che potrebbero essere verificati con esclusivo riferimento agli ex soci, ex ammini-stratori, ex sindaci, ex liquidatori e, forse, ex consulenti in materia giuridica o economica.

46 A ben vedere, si tratta di una soluzione differente da quella che l’art. 5, comma 2, del D.M. del 1992 (emanato in attuazione dell’art. 38 bis del D.P.R. n. 633/1972) adotta in riferimento al soggetto terzo cessionario del credito d’imposta ceduto al momento della ces-sazione dell’attività. Ed infatti, la norma appena richiamata si limita a prevedere la mera

7.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

482

tezza e semplificazione che hanno stimolato la soluzione in esame avrebbe-ro dovuto probabilmente indurre l’Agenzia delle entrate a richiedere garan-zie minime in ordine alla qualificazione del delegato all’adempimento, come generalmente accade nell’assolvimento delle obbligazioni fiscali

47. Un profilo di ulteriore criticità di questa soluzione attiene, poi, alla pos-

sibile sperequazione tra società di capitali e società di persone che potrebbe discendere dall’applicazione delle istruzioni operative fornite dall’Ammini-strazione finanziaria. Se pure condivisibile, infatti, l’osservazione secondo cui le società di capitali sono generalmente composte da un maggior nume-ro di soci non è vera in assoluto. Non di rado società di persone presentano un numero di soci significativamente maggiore di piccole società di capitali le quali, peraltro, per espressa previsione normativa, potrebbero anche esse-re istituite e composte da un unico socio.

La scelta di rimettere alle sole società di capitali la facoltà di delegare un terzo (in luogo dell’ex socio) all’adempimento in questione appare perciò affetta da un vizio logico se connessa – come accade nel caso di specie – ad una generica valutazione di natura statistica anziché ad un puntuale accer-tamento nel caso concreto. Ed ove pure tale soluzione fosse stata ancorata al dato normativo si sarebbe comunque profilato nuovamente il rischio di le-sione del principio di uguaglianza tra imprese che, nello svolgimento della loro attività, avessero legittimamente scelto di adottare forme giuridiche di-verse

48.

intestazione diretta al cessionario del titolo di spesa e non già la sua immissione nella pro-cedura di rimborso del credito medesimo.

47 Proprio in tema di rimborso dell’IVA già assolta negli Stati comunitari, del resto, l’A-genzia delle entrate fornisce inequivocabili istruzioni che, a partire dal 1° gennaio 2010, impongono l’inoltro delle istanze per (esclusiva) via telematica. Di modo che, ove l’istanza non sia prodotta direttamente dal soggetto passivo interessato al rimborso, non potrà che farsi riferimento ad un intermediario “abilitato”, munito di apposita delega. Non è dunque possibile, in questa ipotesi di rimborso (cui l’Agenzia delle entrate, nel parere in questione, faceva riferimento), delegare un soggetto terzo non abilitato ad operare attraverso il canale Entratel o Internet (fisconline).

48 Il pensiero corre alle preoccupazioni espresse dalla Corte costituzionale nella sent. 12 marzo 1999, n. 66, in cui veniva eccepita l’irrazionalità della scelta di un differente dies a quo da cui far decorrere il termine annuale per la dichiarazione di fallimento in funzione della dif-ferente forma giuridica adottata dall’impresa. In quel caso i dubbi di legittimità costituzionale riguardavano una norma; stavolta una risoluzione, di cui appare tuttavia possibile proporre una rilettura attraverso il canone della ragionevolezza che dovrebbe condurre ad un’ap-plicazione generalizzata dell’indicazione operativa agli ex soci di qualsiasi società (sia pure di persone) che prima dell’estinzione fosse dotata di larga base sociale.

Gianluca Selicato

483

Pur con i limiti appena evidenziati, i profili operativi dei rapporti giuridici attivi sopravvenuti all’estinzione societaria appaiono adesso più limpidi. La scelta di vincolare la condotta degli uffici finanziari e di orientare quella dei contribuenti su modelli procedimentali predefiniti valorizza gli sforzi attraver-so cui si era cercato, fino ad oggi, di prevenire sterili contrapposizioni con il Fisco e segna una profonda differenza tra questa e le altre questioni ancora aperte nell’interpretazione e applicazione dell’art. 2495 c.c.

DOTTRINA RTDT - n. 2/2012

484

GIURISPRUDENZA

SOMMARIO: Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782 (udienza del 18 maggio 2011) –

Pres. Adamo, Rel. Di Domenico, con nota di P.L. Cardella, La bussola delle valide ragioni economiche e l’elusione dell’anti-elusione (The “valid econo-mic reasons” test and the avoidance of anti-avoidance tax rules)

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295 (udienza del 19 gennaio 2011) – Pres. e Rel. D’Alonzo, con nota di M. Interdonato, Il “ribaltamento” obbliga-torio di costi e ricavi nei consorzi, tra esasperata valorizzazione della mutua-lità ed esigenze di contrasto all’abuso di diritto (The compulsory “realloca-tion” of costs and receipts in consortia, from an exacerbated valorization of mu-tualism and contrast requirements up to the abuse of law)

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956 (udienza del 19 gennaio 2012) – Pres. Teresi, Rel. Amoresano, con nota di G.L. Soana, Confisca per equiva-lente e sopravvenuto adempimento del debito tributario (Confiscation by equivalent and subsequent payment of taxes)

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

486

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

487

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782 (udienza del 18 maggio 2011) – Pres. Adamo, Rel. Di Domenico Fusione di società – Riporto delle perdite – Test di vitalità – Assunzione di un di-pendente – Manipolazione – Elusione – Abuso del diritto – Condotte tipiche – Operazioni atipiche – Depotenziamento struttura produttiva – Presunzione di operatività.

Il mancato sostenimento, nei due anni precedenti un’operazione di fusione, di costi per lavoro e oneri previdenziali inibisce il riporto delle perdite sofferte dalla società incorpora-ta e, al contempo, pone un problema di deduzione della funzione economica dell’assun-zione di un dipendente in tutti i casi in cui una società, non avendo sostenuto costi per la-voro negli anni precedenti, ad un certo momento, senza nulla mutare nell’oggetto e nel-l’attività, decide di assumere un dipendente sopportandone il relativo costo.

Non è fondato il rilievo secondo cui l’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973 prevede una serie di ipotesi tipiche e l’assunzione di un dipendente, non rientrando tra queste, non può di per sé essere considerata operazione elusiva.

Non vi è alcuna incompatibilità logico-giuridica tra il riconoscimento della funzione economica di una fusione e l’individuazione di un atto prodromico e collegato che renda elusiva non la fusione, ma il riporto delle perdite sofferte dalle società partecipanti alla fusione.

Al fine di escludere il riporto delle perdite, non è necessario un depotenziamento del-la struttura produttiva giacché il legislatore dà una lettura statica del test di vitalità esi-gendo che non vi sia una riduzione a meno del 40% delle spese per il personale ossia che la società abbia una qualche residua efficienza operativa.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La X s.p.a. in proprio e quale incorporante la Y s.p.a. ha proposto ricorso per cassa-

zione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia dep. il 27/06/ 2006 che aveva, accogliendo parzialmente l’appello dell’Ufficio, riformato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, ritenendo l’indeducibilità, per l’an-nualità 1998, delle perdite della Y per carenza dei requisiti di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 123, comma 5 (T.U.I.R.).

La CTR, premesso che la fusione per incorporazione corrispondeva ad esigenze economiche diffuse (trattasi della fusione per incorporazione della società X s.p.a. in-corporante, e Y s.p.a. Z s.p.a. ed V s.p.a., incorporate), rilevava però che la assunzione di un unico dipendente nella persona dell’A.D. della società ricorrente da parte della Y

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

488

era finalizzata a consentire l’utilizzo delle perdite pregresse della Y a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 123, comma 5, che, a tal fine, esigeva che le spese per prestazioni di lavoro subordinato, fossero superiori del 40% di quello risultante dalla media dei due anni precedenti, per cui riteneva che la perdita fiscale della Y non potesse essere riportata dall’incorporante.

La ricorrente fonda il ricorso su sette motivi. L’Agenzia si è difesa con controricorso. La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza e la contribuente ha pre-

sentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE Col primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp.

att. c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, che impongono al giudice di esporre i motivi in fatto e in diritto. Nullità per omessa motivazione circa la fittizietà e strumen-talità della assunzione dell’amministratore delegato dell’incorporante e contradditto-ria motivazione rispetto al riconoscimento della validità delle ragioni economiche del-la fusione per incorporazione.

Il primo profilo è palesemente infondato in quanto la CTR da sufficiente contezza delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione, come emergerà dalla suc-cessiva esposizione.

In ordine al secondo profilo (sul rapporto tra fittizietà e strumentalità) dalla lettura della sentenza emerge che correttamente la CTR ha operato una lettura dei fatti sotto la prospettiva della inopponibilità del risultato negativo per il fisco, laddove la fittizietà (che potrebbe anche essere relativa) o la effettività dell’operazione degradano ad ante-fatto non rilevante. In caso analogo Cass. n. 21221/2006.

Su tale prospettiva, la impostazione della CTR che non coinvolge, nella lettura dei fatti, alcuna ipotesi di simulazione assoluta (cioè inesistenza dell’assunzione del lavo-ratore contro una diversa apparenza) rende improprio ogni richiamo a simulazione o a fittizietà.

Col secondo motivo la società deduce contraddittorietà della motivazione per ave-re contestualmente ritenuta la fittizietà e strumentalità delle assunzione.

Valgono le ragioni esposte sotto il primo motivo. Col terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 123, comma 5 del

cit. T.U.I.R., non essendo ammissibile sindacare in relazione all’art. 23 Cost., la validi-tà delle ragioni economiche dell’assunzione e/o considerare questa fittizia in quanto la norma speciale antielusiva di cui all’art. 123, predetta limita l’efficacia generale di quel-la generale di cui all’art. 37 bis.

Col quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 123, comma 5 cit. T.U.I.R., per non avere la CTR considerato, in ordine al requisito di operatività della Y, che attesa la natura di subholding delle società incorporate che avevano come oggetto

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

489

sociale il possesso e la gestione di partecipazioni, le stesse non avevano spese per per-sonale (o erano esigue) e che, nel caso in esame essendo tale costo pari a zero nel biennio precedente la fusione, non si poteva ritenere un depotenziamento della socie-tà anzi vi era stato un incremento di costi in tale campo.

Col quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, in quanto tale disposizione prevede ipotesi tipiche e l’assunzione di un dipendente non poteva considerarsi operazione elusiva.

Col sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis e artt. 1414, 1417 e 2697 c.c., e vizio motivazionale per avere la CTR, conte-stualmente, ritenuto corrispondente a valide ragioni economiche la fusione e però ri-tenuto strumentale all’evasione l’atto di assunzione del dipendente, laddove l’indagine andava effettuata sulla complessiva operazione, senza considerare che tale operazione era stata effettuata un anno prima della fusione onde non era possibile ritenere la pre-ordinazione e che comunque l’operazione d’assunzione corrispondeva ad interesse previdenziale del Dr. V.

I motivi per la stretta connessione logica giuridica devono essere esaminati con-giuntamente.

I motivi sono infondati alla stregua dei principi affermati da questa Corte, anche a Sezioni Unite, sull’abuso del diritto.

Questa Corte (Cass. n. 2008/25374) ha, invero, ritenuto che, pur in assenza di esplicita enunciazione come nell’ordinamento tedesco, la nozione di abuso del diritto di matrice comunitaria o costituzionale si impone anche nell’ordinamento italiano (così anche Cass. n. 2008/10257 e n. 2006/21221).

“La giurisprudenza comunitaria e nazionale hanno costantemente ritenuto che co-stituiscono abuso del diritto quelle pratiche che, pur formalmente rispettose del diritto interno o comunitario, siano mirate principalmente ad ottenere benefici fiscali contra-stanti con la ratio delle norme che introducono il tributo.

Si può quindi ritenere formata una clausola generale antielusiva, sia nell’ambito del diritto comunitario in relazione ai cosiddetti tributi “armonizzati” o comunitari quali l’IVA, le accise e i diritti doganali, sia in relazione ai tributi che esulano dalle imposte comunitarie, quali le imposte dirette (SS.UU. n. 30005/2008 e n. 30007/2008 che ri-cavano il principio dall’art. 53 Cost.).

Il rango comunitario o costituzionale di tale principio importa, altresì, la necessità della sua applicazione d’ufficio in base alla superiore giurisprudenza.

Spetta alla Amministrazione fornire una seria prospettazione, individuando e pre-cisando gli aspetti e le particolarità, e non effettuare una mera affermazione, che l’uti-lizzo di forme giuridiche inusuali, anche medianti negozi giuridici collegati, fa “ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio d’imposta” e dovrà il contribuente dare prova che la forma giuridica corrisponde ad un reale scopo economico diverso dal mero risparmio del tributo.

La vicenda processuale presenta, poi, evidenti analogie con quella elaborata da

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

490

questa Corte in tema di operazioni inesistenti, in cui prospettato dall’Ufficio un serio quadro indiziario tale da fare presumere, in base all’id quod plerumque accidit, che le operazioni sono inesistenti (o melius che non possono essere esistenti) si sposta a cari-co del contribuente l’onere di dare la prova della esistenza (Cass. n. 21953/07).

Osserva testualmente la Corte (Cass. n. 21221/2006) “la nozione di abuso del dirit-to prescinde, pertanto, da qualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta di un’operazione, nel senso di una prefigurazione di comportamenti diretti a trarre in erro-re o a rendere difficile all’ufficio di cogliere la vera natura dell’operazione. Come ha riba-dito la sentenza Halifax al punto 2) del dispositivo, il proprium del comportamento abu-sivo consiste proprio nel fatto che, a differenza dalle ipotesi di frode, il soggetto ha posto in essere operazioni reali, assolutamente conformi ai modelli legali, senza immutazioni del vero o rappresentazioni incomplete della realtà. Tale concetto, che prescinde total-mente dal concetto di frode, in quanto il suo presupposto è proprio la validità degli atti compiuti, è proprio anche di altre tradizioni giuridiche europee continentali ...

Una rigorosa applicazione del principio dell’abuso del diritto, in tal modo definito, comporta, quindi, che l’operazione deve essere valutata secondo la sua essenza, sulla quale non possono influire ragioni economiche meramente marginali o teoriche, tali, quindi, da considerarsi manifestamente inattendibili o assolutamente irrilevanti, ri-spetto alla finalità di conseguire un risparmio d’imposta”.

Orbene la disciplina tributaria delle fusioni, al fine di evitare strumentalizzazioni di sorta (cosiddetto commercio delle bare fiscali), impone delle precise limitazioni alla possibilità di riporto delle perdite (art. 84 cit. T.U.I.R.) da parte delle società parteci-panti alla fusione (ossia tanto dell’incorporata, quanto dell’incorporante).

Al riguardo è da evidenziare in via preliminare che, ratione temporis era applicabile l’art. 123, comma 5, cit. T.U.I.R. ante D.Lgs. n. 344 del 2003 riprodotto, salve trascurabili modificazioni di coordinamento legislativo, dall’attuale art. 172, comma 7, cit. T.U.I.R.

In concreto (come anche la dottrina ha sintetizzato) la riportabilità delle perdite in esito a una fusione deve essere valutata alla stregua di tre criteri:

1) il limite del patrimonio netto delle singole società (senza tenere conto dei ver-samenti e dei conferimenti eventualmente effettuati nel corso dei 24 mesi precedenti all’intervenuta fusione) come risultante dall’ultimo bilancio ovvero, se inferiore, dalla situazione patrimoniale predisposta nell’ambito del procedimento di fusione (art. 2501 quater cod. civ.); tale valore deve essere considerato quale limite massimo entro cui è consentito il riporto delle perdite e ciò al fine di evitare che si possa procedere alla fu-sione di una società sana con una società scarsamente patrimonializzata e carica esclu-sivamente di perdite pregresse;

2) le condizioni di operatività delle imprese partecipanti alla fusione rappresentate dal conseguimento da parte delle stesse nell’esercizio anteriore alla deliberazione della fusione di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e di spese per lavoro dipendente non inferiori a una determinata percentuale (40%) rispetto alla media dei due periodi d’imposta immediatamente anteriori (con il che si vuole evitare di permettere la fu-

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

491

sione di scatole vuote o cariche solo di perdite da portare “in dote” all’incorporante, ma ormai svuotate di ogni concreta operatività);

3) le precedenti svalutazioni sulla partecipazione alla società incorporata effettuate da parte dell’incorporante o dall’impresa che l’ha ceduta a quest’ultima (ossia all’in-corporante) dopo l’esercizio di realizzazione della perdita astrattamente riportabile (in tal modo s’intende impedire che la società incorporante abbia a trarre un duplice beneficio dalla perdita in argomento: in un primo momento fruendo della svalutazio-ne ingenerata dalla perdita di periodo conseguita dalla partecipata e in una seconda occasione previo utilizzo della medesima perdita acquisita in esito alla fusione).

Delle tre condizioni di cui sopra nel caso in esame è in discussione solo la seconda che sarebbe stata realizzata secondo l’Ufficio con l’operazione elusiva dell’assunzione quale lavoratore subordinato da parte della Y dell’amministratore della società incorporante.

La circostanza che la società avesse nei due anni precedenti (e così si esamina in par-ticolare anche il quarto motivo) costi zero per lavoro e oneri previdenziali la metteva evidentemente fuori dal campo di operatività del riporto dei debiti; l’operazione in esa-me (assunzione di un dipendente) la rimette nel campo di operatività (consentendo il riporto del debito) e pone correttamente, un problema di deduzione della funzione eco-nomica dell’operazione, in quanto la contribuente avrebbe dovuto spiegare (come era suo onere in base alla superiore giurisprudenza) perché una società che per gli anni pre-cedenti non aveva sostenuti costi per lavoro, senza nulla mutare nell’oggetto e attività, ad un certo momento decida di assumere un dipendente e sopportare il relativo costo per lavoro. L’affermazione che l’assunzione corrispondeva ad un interesse previdenziale del dipendente è, in sostanza, negare che esistesse un interesse o una ragione economica della società (e conseguentemente della società nata dalla fusione) a tale operazione.

Il problema rilevante era invece la dimostrazione che l’assunzione corrispondeva ad un interesse economico non marginale della società (e, sicuramente marginale, in ogni caso, era la esigenza previdenziale del Dr. V.) tanto più evidente ove si consideri che dalle stesse deduzioni della parte risulta – come sopra s’è visto – che la società per gli anni precedenti aveva avuto costi zero per dipendenti, onde la deduzione delle ra-gioni economiche dell’operazione, si appalesava necessariamente rigorosa. Prova non solo non fornita ma nemmeno dedotta.

Né è fondato il rilievo di cui al quinto motivo con cui la società deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, in quanto tale disposizione prevederebbe ipotesi tipiche e l’assunzione di un dipendente non poteva considerarsi operazione elusiva.

Omissis La norma distingue tra condotte (atipiche) con cui viene realizzata l’elusione (atti,

fatti, negozi anche collegati tra loro di cui al comma 1) e operazioni (tipiche) indicate dalla lettera a alla lett. f quater del comma 3 dell’art. 37 bis predetto.

Pertanto correttamente l’assunzione del lavoratore è considerata la condotta (ati-pica) di cui al comma 1, laddove la fusione è “l’operazione” (tipica) di cui al comma 3, lett. a della norma in esame.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

492

Di poi le Sezioni Unite di questa Corte (n. 30055/2008) hanno affermato che non contrasta con l’individuazione nell’ordinamento di un generale principio antielusione la constatazione del sopravvenire di specifiche norme antielusive, che appaiono anzi – co-me questa Corte ha osservato – mero sintomo dell’esistenza di una regola generale (Cass. 8772/08).

Né è fondato il sesto motivo con cui si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis e artt. 1414, 1417 e 2697 c.c. e vizio motivazionale per avere la CTR ritenuto corrispondente a ragioni valide economiche la fusione e però rite-nuto strumentale all’evasione l’atto di assunzione, laddove l’indagine andava effettuata sulla complessiva operazione, senza considerare che tale operazione era stata effettuata un anno prima della fusione onde non era possibile ritenere la preordinazione e che co-munque l’operazione d’assunzione corrispondeva ad interesse previdenziale del Dr. V.

Non è dato riscontrare, per quanto di nuovo possa ritrovarsi nel motivo in relazione a quanto sopra sostenuto, alcuna incompatibilità logica-giuridica tra il riconoscimento della funzione economica di una fusione di società e la individuazione di un atto pro-dromico e collegato (non è necessaria la preordinazione come sopra rilevato) che renda elusiva non la fusione ma il riporto del debito delle società oggetto di fusione.

La manipolazione in esame concerne solo il requisito della operatività della società e, pertanto, deve essere necessariamente anteriore alla fusione, operando sul requisito costo lavoro, onde infondato è lo specifico rilievo sul punto.

Analogamente infondato è il rilievo che sarebbe necessario, al fine di escludere il relativo passivo, un depotenziamento oltre il 60% (circostanza inesistente nel caso in esame in cui vi sarebbe anzi un potenziamento) in quanto il legislatore da invece una lettura statica del requisito e cioè esige che non vi sia riduzione a meno del 40% e cioè che la società abbia una qualche residua efficienza, costituendo il superiore limite una presunzione di legge di operatività, rendendo irrilevanti ai presenti fini depotenzia-menti contenuti in tali limiti, ma non certo esigendo un depotenziamento.

Col settimo e ultimo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 5, che prevede un previo contraddittorio.

Nell’avviso non vi sarebbe traccia della richiesta dell’Ufficio e delle giustificazioni (evidentemente non date in mancanza di richiesta).

Il motivo è inammissibile perché nuovo. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con ogni conseguenza in tema di spese.

P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorren-

te alle spese che liquida in Euro 10.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

493

La bussola delle valide ragioni economiche e l’elusione dell’anti-elusione

The “valid economic reasons” test and the avoidance of anti-avoidance tax rules

Abstract A giudizio della Suprema Corte, in assenza di un interesse specifico del datore di lavoro, l’assunzione come lavoratore dipendente, ad opera della società incorpo-rata, dell’amministratore delegato della società incorporante deve reputarsi fun-zionale alla strumentalizzazione del requisito di operatività costituito dall’impu-tazione al conto economico, relativo all’esercizio precedente a quello in cui è sta-ta deliberata la fusione, di un ammontare di spese per prestazioni di lavoro su-bordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 c.c., superiore al 40% di quello risultante dalla media dei due esercizi anteriori. Appurato che il test di vitalità, al pari di molte altre disposizioni antielusive specifiche, può essere oggetto di aggi-ramento, la Corte di Cassazione esclude l’esistenza di ostacoli alla possibilità di scrutinare l’operazione (di fusione, nel caso di specie) nell’ottica dell’indebito vantaggio fiscale e dell’assenza delle valide ragioni economiche. Muovendo da queste basi, la Corte giunge a conclusioni piuttosto discutibili: ed invero, l’opera-zione di fusione, essendo sorretta da valide ragioni economiche, viene giudicata non elusiva. È ritenuto elusivo, invece, il riporto delle perdite ossia la posizione soggettiva che, parafrasando il comma 8 dell’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, viene limitata allo scopo di contrastare comportamenti elusivi. Parole chiave: fusione di società, riporto delle perdite, test di operatività, elusio-ne, abuso del diritto, valide ragioni economiche The Italian Supreme Court (ISC) considered that, in absence of a specific interest of the employer, hiring the chief executive officer of the absorbing company by the mer-ged one is a behaviour aimed at dodging the effectiveness requirement represented by the imputation in the profit and loss account of the tax period preceding the one where the merger was decided, for an amount of labour costs and social contributions higher than 40% of the average of the two previous tax periods (according to Art. 2425 Civil Code). Provided that the effectiveness test – like many other specific anti-avoidance rules – may be dodged, the ISC excluded the existence of obstacles to the possibility of analysing the transaction (merger, in this case) under the perspective of the undue tax benefit and of the absence of sound economic reasons. Leaving from such grounds, the ISC reached questionable conclusions, since the merger made in presence of sound economic reasons is not considered expression of tax avoidance, while it considered

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

494

abusive the loss carry forward, i.e. the subjective position of the taxpayer that, para-phrasing Art. 37 bis, para. 8, Presidential Decree No. 600/1973, is limited in order to prevent tax avoidance. Keywords: merger, loss carry forward, effectiveness test, tax avoidance, abuse of right, sound economic reasons

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il test di operatività: ratio e ambito applicativo.– 3. La strumentalizzazione del requisito di operatività: un pendolo che oscilla tra la disposizione antielusiva specifica e l’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973. – 4. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Il tema su cui interviene la Suprema Corte con la sentenza in rassegna riguarda i profili di elusività connessi alla “manipolazione” di una delle condizioni cui è su-bordinato il riporto delle perdite sofferte da una società partecipante ad un’opera-zione di fusione per incorporazione: ivi si statuisce in particolare che, laddove manchi un interesse specifico del datore di lavoro, l’assunzione come lavoratore dipendente, ad opera della società incorporata, dell’amministratore delegato della società incorporante deve reputarsi funzionale alla strumentalizzazione del requisi-to di operatività costituito dall’imputazione al conto economico, relativo all’eserci-zio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, di un ammontare di spe-se per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 c.c., superiore al 40% di quello risultante dalla media dei due esercizi anteriori.

Ed invero, il mancato sostenimento di costi per il personale avrebbe determina-to, stando alla lettura della sentenza, l’inibizione del riporto delle perdite pregres-se; l’assunzione di un dipendente, invece, capovolge la prospettiva e pone un pro-blema di «deduzione della funzione economica dell’operazione» dovendosi al-l’uopo dimostrare che la stessa corrisponde «ad un interesse non marginale della società». L’assenza di tale dimostrazione o, meglio, l’inconferenza di una dimo-strazione che pone l’accento sull’interesse «previdenziale» del dipendente spiega la decisione del Supremo Collegio che, in modo piuttosto discutibile, reputa elusi-vo il riporto delle perdite e non l’operazione di fusione in sé e per sé considerata.

Almeno due sono gli spunti di riflessione offerti dalla sentenza: per un verso, consente di mettere a fuoco la ratio e la portata applicativa del test di operatività cui il comma 7 dell’art. 172 TUIR subordina il riporto delle perdite sofferte dalle so-cietà partecipanti ad un’operazione di fusione; per un altro verso ed in termini più

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

495

generali, induce a svolgere qualche considerazione su un tema quasi esoterico da mistero dei Templari, ossia la corretta declinazione del rapporto tra la disposizione antielusiva specifica cui s’è poc’anzi fatto cenno e la clausola antielusiva generale contenuta nell’art. 37 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 1.

2. Il test di operatività: ratio e ambito applicativo

Com’è noto, il riporto delle perdite patite da una delle società partecipanti ad un’operazione di fusione 2 è ammesso allorquando si verificano determinate con-dizioni indicative, in via di prima approssimazione, della vitalità economica di tale soggetto (limiti relativi all’an) e sempreché sia soddisfatto un parametro quantita-tivo legato all’entità del suo patrimonio netto (limiti relativi al quantum) 3.

Assai semplice è il criterio messo a punto dal legislatore per verificare l’esisten-za, o meno, di vitalità economica del soggetto che partecipa ad un’operazione di fusione avendo patito perdite pregresse: affinché tali perdite siano riportabili è ne-cessario che dal conto economico, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica 4 ed un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 c.c., superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori 5.

1 Merita sottolineare la novità del precedente in rassegna: a quanto consta, infatti, è la prima vol-ta che la Suprema Corte ha modo di affrontare in maniera organica l’argomento.

2 Per un inquadramento sistematico della disciplina delle perdite nell’ambito delle operazioni di fusione di società, v. diffusamente LUPI, Riporto delle perdite e fusione di società, in Rass. trib., 1988, I, p. 279 ss.; ID., Profili tributari della fusione di società, Padova, 1989, p. 293 ss., e, più di recente, ZIZZO, Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, in Rass. trib., 2008, p. 943 ss.

3 Più nel dettaglio e sulla scorta di quanto previsto dalla prima parte del comma 7 dell’art. 172 TUIR, le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, pos-sono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto (sulla ratio e sulle distorsioni prodotte dal limite del patrimonio netto, v. ampiamente LUPI, Riporto delle perdite e fusione di società, cit., p. 281 ss.).

A quest’ultima restrizione se ne affianca un’altra, sempre di tipo quantitativo, dedicata alle fu-sioni con annullamento e tesa, in sostanza, ad evitare che l’utilizzo delle perdite in sede, appunto, di fusione venga a cumularsi con una precedente svalutazione della partecipazione intervenuta in capo all’incorporante o ad altra società partecipante all’operazione (v. il terz’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 172 TUIR).

4 In occasione del passaggio all’IRES, il vecchio riferimento ai «ricavi, di cui all’art. 2425 bis, parte prima, n. 1, del codice civile» (recato dal previgente art. 123, comma 5, TUIR) è stato sosti-tuito con quello più generico ai «ricavi e proventi dell’attività caratteristica [...] di cui all’articolo 2425 del codice civile».

5 Il riferimento alla media biennale e lo scostamento del 60% dovrebbero, ma il condizionale è

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

496

Almeno due sono le opzioni disponibili per spiegare la valenza sistematica di tale condizione.

Secondo quella che appare essere la corrente di pensiero maggioritaria 6, essa mira ad arginare, sic et simpliciter, il commercio delle c.d. bare fiscali evitando che la società titolare delle perdite sia una mera “scatola vuota” priva, appunto, di vitalità economica 7.

Altra dottrina, invece, ritiene non debba trascurarsi il dato testuale che, per par-te sua, associa il riporto delle perdite pregresse a due precisi elementi: a) la crisi della società, segnalata dalla forte contrazione nell’ammontare dei ricavi e delle spese per il personale; b) la collocazione temporale della crisi medesima, che deve manifestarsi nell’ultimo esercizio prima della fusione 8. Ebbene, se si assume che la d’obbligo, far sì che l’eventuale flessione dei livelli occupazionali non sia inquinata da fattori di tipo congiunturale: l’esperienza dei giorni nostri dovrebbe, tuttavia, indurre a riflettere sull’opportunità di continuare a considerare un orizzonte temporale che, atteso lo sviluppo della crisi che attanaglia da ormai quattro anni il nostro sistema economico, appare piuttosto angusto.

6 V., tra gli altri e senza pretesa di esaustività, ANDRIOLA, Limiti al «commercio delle perdite» nel passaggio dall’Irpeg all’Ires: stabilità e mutamento delle strategie di pianificazione fiscale, in Rass. trib., 2005, p. 811; BARBIERI-STEVANATO, Dubbi infondati in tema di disapplicazione dei limiti al riporto delle perdite in caso di fusione, in Dialoghi trib., 2004, p. 649 s.; BORIA, Le operazioni straordinarie di impre-sa, in FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, p. 923; ID., Il sistema tributario, Torino, 2008, p. 578; PANSIERI, Fusione di società, II, Fusione di società ed enti – dir. trib., in Enc. giur. Treccani, Roma, vol. XVI, 2007, p. 5 s.; PAPARELLA, Sub art. 172, in AA.VV., Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, a cura di G. Tinelli, Padova, 2009, p. 1511; STEVANATO, La fusione tra società del gruppo elude il divieto di compensazione intersoggettiva delle perdite?, in Corr. trib., 2002, p. 1642, e TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Torino, vol. II, 2008, p. 228.

Sulla scia della dottrina prevalente anche l’Agenzia delle entrate ritiene che la ratio della previsione in discorso vada individuata nella necessità di «contrastare la realizzazione di fusioni con società prive di capacità produttiva poste in essere al fine di attuare la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali di una società con gli utili imponibili dell’altra, introducendo un divieto al riporto delle stesse qualora non sussistano quelle minime condizioni di vitalità economica previste dalla norma» (così, testualmente, la Circolare 9 marzo 2010, n. 9/E, reperibile in Il Fisco, 2010, fasc. n. 1, p. 1868).

7 Di tale ricostruzione si trova traccia anche nella sentenza annotata: la Corte di Cassazione, pas-sando in rassegna le condizioni cui è subordinato il riporto delle perdite nell’operazione di fusione, ha infatti modo di precisare che il test di operatività risponde alla necessità di evitare «la fusione di scatole vuote o cariche solo di perdite da portare “in dote” all’incorporante, ma ormai svuotate di ogni concreta operatività».

8 Val la pena di ricordare che l’Agenzia delle entrate, seppur incidentalmente, ha avuto modo di precisare che i requisiti minimi di vitalità economica devono essere soddisfatti non solo nel periodo precedente la fusione, ma anche nella frazione di esercizio in cui la stessa è stata deliberata (v., in particolare, la Ris. 24 ottobre 2006, n. 116/E, reperibile in Dialoghi trib., 2007, 118, con nota critica di STEVANATO-LUPI, Fusione, riporto delle perdite ed elusione tributaria).

Sotto questo profilo ed a prescindere dalla risoluzione di una serie di problemi applicativi legati all’individuazione del “biennio precedente” ed all’eventuale ragguaglio a giorni dell’ammontare dei ricavi e delle spese per il personale registratesi nella frazione d’esercizio considerata (per alcune indica-zioni in ordine al comportamento da tenersi per operare il ragguaglio a periodo, v. la risoluzione dell’Agenzia delle entrate 10 aprile 2008, n. 143/E, reperibile in banca dati I Quattro Codici della Rifor-ma Tributaria Big, Ipsoa), occorre capire se una simile lettura sia conforme al precetto normativo.

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

497

crisi economica della società sia elevata dalla norma ad indice rivelatore dell’esi-stenza di perdite, si deve concludere che essa «ad altro non miri se non a vietare il riporto laddove un ammontare (presumibilmente) elevato di perdite, se rapporta-to al consueto giro di affari della società, si sia prodotto proprio nell’ultimo eserci-zio chiusosi anteriormente alla delibera di fusione» 9.

Questa seconda chiave di lettura sembra trovare una precisa conferma nella particolare struttura del test messo a punto dal legislatore che, non prevedendo so-glie minime di ricavi e di spese per il personale, tende ad intercettare, più che la “vi-talità” della società in perdita, l’assenza di un recente depotenziamento della strut-tura produttiva 10.

È peraltro interessante notare come la Suprema Corte, nel precedente in rasse-gna, prenda posizione sul punto rilevando, in maniera invero apodittica, che il legi-slatore predilige una «lettura statica» della condizione in discorso (il test si limite-rebbe ad esigere che «la società abbia una qualche residua efficienza») ed esclu-dendo, al contempo, la necessità di un vero e proprio depotenziamento della strut-tura produttiva 11.

Ora, a parte il fatto che il depotenziamento non è di per sé incompatibile con la

Per la negativa depongono due argomenti tra loro legati. Innanzitutto, va tenuto nella giusta considerazione il dato letterale che, riferendosi «all’esercizio

precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata», sbarra la strada alla possibilità di spingere la verifica fino alla frazione di esercizio che si chiude con la deliberazione della fusione (in questo stes-so senso, v. anche la Circolare ASSONIME del 31 maggio 2007, n. 31).

In secondo luogo, devesi sottolineare che il legislatore, laddove ha ravvisato l’opportunità di at-tribuire un qualche rilievo alla frazione compresa tra l’inizio del periodo d’imposta e la data dell’atto di fusione, ha adottato delle disposizioni specifiche, quali – ad esempio – quelle dedicate alla retro-datazione, le quali confermano, seppur indirettamente, l’impossibilità di estendere in via interpreta-tiva l’arco temporale cui si deve guardare per verificare la vitalità della società (per un approfondi-mento sul punto, v. COMMITTERI-ALONZO, La vitalità economica delle società partecipanti ad una fu-sione, in Corr. trib., 2010, p. 374; PIAZZA, Riporto delle perdite nelle fusioni. Applicazione del test di vita-lità economica, in Il Fisco, 2009, fasc. 2, p. 7987, e la norma di comportamento n. 176 dell’Associazio-ne italiana dottori commercialisti).

9 Così, testualmente, ZIZZO, Le riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi, Milano, 1996, p. 259; nello stesso senso si orientano DONESANA, Il riporto delle perdite nelle operazioni di fusione, in LUPI-STEVANATO, La fiscalità delle operazioni straordinarie d’impresa, Milano, 2002, p. 667, e ZOPPINI, Disapplicazione dei limiti al riporto delle perdite fiscali nelle operazioni di fusione e scissione, in Rass. trib., 2004, p. 646 s.

10 Alcuni riferimenti al depotenziamento della struttura produttiva si rinvengono anche nella prassi amministrativa: v. in particolare la già citata risoluzione dell’Agenzia delle entrate 24 ottobre 2006, n. 116/E ove l’estensione del test di vitalità alla frazione di esercizio che precede la fusione viene spiegata osservandosi che la disposizione de qua «verrebbe privata della sua portata antielusiva qualora fosse consentito il riporto delle perdite fiscali ad una società che è stata completamente depotenziata nell’arco di tempo intercorrente fra la chiusura dell’esercizio precedente alla fusione e la deliberazione del-l’operazione medesima»; nello stesso senso, v. anche la più recente Circolare 9 marzo 2010, n. 9/E, cit.

11 Tra le righe della sentenza si legge addirittura che il test di vitalità finirebbe con il fissare una vera e propria «presunzione di legge di operatività» la cui latitudine, però, appare tutt’altro che chiara.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

498

conservazione di una «qualche residua efficienza», non sembra potersi dubitare del fatto che la variazione della consistenza di alcune voci economiche registrate in un orizzonte temporale pluriennale implica, per forza di cose, uno sviluppo dina-mico del test di operatività; opposte, ovviamente, sarebbero state le conclusioni se il legislatore, anziché percorrere la strada della variazione su base triennale, avesse fissato delle soglie di ricavi e di costi per il personale agganciandole, ad esempio, a valori di origine patrimoniale (consistenza del patrimonio netto; delle disponibili-tà liquide; ecc.) da rilevarsi, a loro volta, in relazione al medesimo periodo di rife-rimento.

Ad ogni modo e ferma restando la presa di posizione della Corte sul punto, un dato appare certo: l’indagine intorno alla matrice della disposizione è legata a dop-pio filo al criterio scelto dal legislatore per identificare le situazioni in cui il riporto delle perdite è precluso e, in quest’ottica, si deve prendere atto del fatto che il ri-corso al confronto con i dati economici riferiti al biennio precedente non sempre è in grado di segnalare l’esistenza di una “scatola vuota” ovvero il manifestarsi di un effettivo stato di depotenziamento della struttura produttiva 12.

Ed invero, si possono immaginare dei casi in cui l’andamento dei dati economi-ci (ricavi e spese per il personale) sia tale da consentire il riporto delle perdite mal-grado non si possa escludere, a priori, che la società portatrice delle medesime sia una “scatola vuota” priva, volendo mutuare l’espressione utilizzata dai Supremi Giu-dici, di «una qualche residua efficienza».

Al riguardo, basta considerare l’ipotesi in cui ricavi e spese per il personale, seppur di importo irrisorio, mostrino nell’esercizio di riferimento un andamento costante o, com’è avvenuto nel caso portato all’attenzione del Supremo Collegio, addirittura crescente rispetto al biennio precedente: da questo punto di vista infat-ti, se è vero che il sostenimento di (maggiori) costi per il personale può essere in teoria indice di vivacità della struttura produttiva, è anche vero che il verificarsi, in termini meramente quantitativi, della condizione in parola nulla garantisce in or-dine all’(in)esistenza di una società il cui unico appeal sia costituito dalla disponi-bilità di perdite riportabili.

Detto altrimenti, l’apprezzamento di una «qualche residua efficienza» in seno all’apparato produttivo presupporrebbe, comunque, un’indagine di tipo qualitati-vo. A nessuno sfugge, infatti, che un conto è il sostenimento di costi per personale addetto alla produzione, all’amministrazione o alla ricerca, altro è il sostenimento di costi per personale addetto esclusivamente alla custodia degli impianti e/o degli uffici: in entrambi i casi la condizione può risultare soddisfatta, ma è estremamente probabile che nel secondo, a differenza di quanto può accadere nel primo, ci si tro-

12 Sull’inadeguatezza degli indici di vitalità scelti dal legislatore, v. diffusamente ANDRIOLA, op. cit., p. 818 ss.; DELLA VALLE, Perdite fiscali e recessione, in Corr. trib., 2009, p. 990 s., e GARBARINO, Ri-porto delle perdite ed elusione, in Riv. dir. trib., 2001, I, p. 123 ss.

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

499

vi al cospetto di costi sostenuti a fronte di maestranze impiegate in strutture pro-duttive oramai decotte.

Quanto al depotenziamento della struttura produttiva, se è vero che la mancata indicazione di livelli minimi di ricavi e di costi per il lavoro dipendente sembra se-gnalare la volontà del legislatore di porre l’accento sul declino dell’apparato pro-duttivo, è altrettanto vero che quest’ultimo può manifestarsi anche in assenza di una contrazione dei ricavi e del costo del personale: in altre parole, una condizione di depotenziamento potrebbe essere palesata, non solo da una più o meno conte-nuta riduzione dei ricavi e dei livelli occupazionali, ma anche dal taglio della spesa per investimenti e/o dalla riduzione delle spese per ricerca e sviluppo, dall’abban-dono di determinati mercati, dalla chiusura di alcuni siti produttivi e via dicendo.

Così come, del resto, non si può escludere che, malgrado gli indici considerati mostrino un andamento negativo, la società sia vitale e tutt’altro che depotenziata: si pensi, solo per fare un esempio, al caso in cui al taglio dei livelli occupazionali corrispondano intensi processi di outsourcing.

Ciò precisato in ordine ai limiti “congeniti” del test regolato dal comma 7 dell’art. 172 TUIR, occorre tornare alla sentenza focalizzando l’attenzione su quello che, solo a prima vista, potrebbe apparire un obiter dictum privo di apprezzabile rilievo: ci si riferisce, in particolare, all’affermazione secondo cui «la circostanza che la Società avesse nei due anni precedenti [...] costi zero per lavoro e oneri previdenziali la met-teva evidentemente fuori dal campo di operatività del riporto dei debiti» 13.

Par di capire, insomma ed a prescindere dall’improprio riferimento al «riporto dei debiti», che a giudizio della Suprema Corte l’assenza di costi per il personale (ma lo stesso discorso vale, mutatis mutandis, per l’eventuale mancanza di ricavi) nel biennio anteriore comporta l’automatica sterilizzazione del diritto al riporto delle perdite pregresse.

In buona sostanza, la tecnica utilizzata dal legislatore per accertare la vitalità eco-nomica del soggetto che ha patito le perdite legittimerebbe l’automatica operatività del divieto in tutti i casi in cui il raffronto con la media del biennio precedente risulti impedito da circostanze di tipo oggettivo quali, ad esempio, la recente costituzione della società 14 o, come avviene nel caso di specie, l’assenza di costi per il personale.

13 Nella prospettiva della Corte di Cassazione, come si vedrà di qui a poco, l’assunzione del di-pendente è finalizzata a precostituire le condizioni che consentono il riporto delle perdite altrimenti precluso dalla pura e semplice assenza di costi per il personale.

14 Sembra quasi superfluo rilevare che l’esistenza, prima, e l’apprezzamento, poi, di una condi-zione involutiva (vuoi in termini di perdita di vitalità economica, vuoi in termini di depotenziamen-to della struttura produttiva) presuppone, per definizione, uno sviluppo temporale mancando il quale è semplicemente impossibile indagare sulla vitalità del soggetto che ha patito le perdite. Avuto poi riguardo alle società neocostituite, c’è da fare i conti con un ulteriore dato: queste società non possono perdere vitalità economica, né possono dirsi depotenziate rispetto ad un passato in cui semplicemente non esistevano (in questi termini ed in maniera del tutto condivisibile, DOMINICI, I

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

500

Ebbene, se si muove dall’idea secondo cui la messa a punto del test di operativi-tà è il frutto del tentativo di individuare un criterio selettivo valevole per la genera-lità dei casi, si deve escludere che, in tutte le ipotesi in cui il criterio prescelto non risulti applicabile, si manifesti automaticamente una condizione di carenza di vita-lità economica o, a seconda della prospettiva adottata, di depotenziamento della struttura produttiva.

E ciò per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, non può non rilevarsi la scarsa solidità dell’assunto secondo cui

la mancanza di personale equivale, sempre e comunque, alla non operatività del sog-getto che ha patito le perdite: sotto questo profilo ed anche a voler trascurare il clas-sico caso delle società immobiliari o quello delle holding 15, non può sottovalutarsi l’esistenza di una discreta gamma di attività economiche che, al giorno d’oggi, pos-sono essere svolte senza il necessario impiego del fattore lavoro. Di conseguenza, postulare che, ai fini del riporto delle perdite in occasione di un’operazione di fusio-ne, sia indispensabile l’esistenza di un “costo lavoro” significa semplicemente ignora-re l’evoluzione o, a seconda dei punti di vista, l’involuzione del sistema produttivo.

A ciò aggiungasi che, da un punto di vista strettamente matematico, l’applica-zione del test, basata sull’impiego di dati pari a zero, conduce ad un risultato inde-terminato e, come tale, privo di significatività 16.

Di qui la necessità di adottare un approccio duttile al test di operatività che, di-versamente da quanto indicato dalla Corte di Cassazione, non può risolversi nel- fattori di vitalità economica influenzano il riporto delle perdite nella fusione, in Corr. trib., 2003, p. 247, e GIANNANTONIO, Ancora sulla riportabilità delle perdite in caso di fusione in assenza di costi per presta-zioni di lavoro dipendente, in Boll. trib., 2004, p. 663).

Nella medesima direzione, v. anche la Ris. dell’Agenzia delle entrate 29 ottobre 2002, n. 337/E, reperibile in Boll. trib., 2003, p. 526, ove, in particolare, si legge che «il depotenziamento [...] va in-dividuato sulla base del raffronto tra parametri economici che fanno riferimento a successivi periodi storici. In sostanza solo nel passaggio da un periodo d’imposta ad un altro è possibile vedere se vi sia stato un depotenziamento. Va da sé che quando la società è neocostituita non può essersi depoten-ziata rispetto ad un passato in cui ancora non esisteva. Pertanto, la mancanza di periodi da raffronta-re con quello immediatamente precedente l’esercizio di delibera della fusione escluderebbe la pos-sibilità di indagare sulla vitalità del soggetto».

La risoluzione da ultimo citata sembrerebbe, dunque, avallare la tesi secondo cui la norma è di-sapplicabile in tutti i casi in cui non è possibile «indagare sulla vitalità del soggetto le cui perdite so-no riportabili (per mancanza di dati)»: così, testualmente, GIANNANTONIO, op. cit., p. 663; nello stesso senso, v. ZOPPINI, op. cit., p. 646, nota 14. Contra, FERRANTI-IZZO-MIELE-RUSSO, Disciplina del-le perdite, Milano, 2007, p. 124.

15 Nel caso portato all’attenzione del Supremo Collegio viene totalmente obliterata la natura della società incorporata che, come si evince dalla ricostruzione della vicenda processuale, aveva per oggetto sociale il possesso e la gestione di partecipazioni.

16 In tal senso, v. GIANNANTONIO, op. cit., p. 663 s., il quale, ricorrendo ad un esempio numerico, dimostra il carattere indeterminato della costruzione matematica su cui si basa il test di vitalità in ipotesi di assenza di costi per il personale. A conclusioni analoghe giunge anche DONESANA, op. cit., p. 669.

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

501

l’automatica applicazione di parametri numerici o, peggio ancora, nella mera con-statazione dell’assenza di tali parametri, ma deve guardare alla specifica struttura del soggetto che ha patito le perdite oggetto di riporto verticale 17.

3. La strumentalizzazione del requisito di operatività: un pendolo che oscilla tra la disposizione antielusiva specifica e l’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973

Venendo ai profili connessi alla supposta strumentalizzazione del requisito di operatività, occorre innanzitutto individuare le coordinate del ragionamento se-guito dalla Suprema Corte.

Il dato di partenza va colto nell’assunto, errato come s’è cercato di dimostrare, secondo cui il mancato sostenimento di costi per il personale inibisce, a priori, il riporto delle perdite sofferte dalle società partecipanti alla fusione; l’assunzione di un dipendente, per parte sua, rimetterebbe la palla in gioco ponendo «un problema di deduzione della funzione economica dell’operazione, in quanto la contribuente avrebbe dovuto spiegare [...] perché una società che per gli anni precedenti non aveva sostenuto costi per lavoro, senza nulla mutare nell’oggetto e attività, ad un certo momento decida di assumere un dipendente e sopportare il relativo costo per lavoro».

In buona sostanza, la società si sarebbe dovuta far carico di dimostrare, dedu-cendone le ragioni economiche, che l’assunzione del dipendente rispondeva ad un suo (della società e non, ovviamente, del dipendente) 18 «interesse economico non marginale» 19.

Sotto questo profilo e per meglio inquadrare la questione, conviene ricordare che la società, impugnando la sfavorevole sentenza della Commissione tributaria regionale, aveva, tra l’altro, eccepito che non può essere sindacata la validità delle

17 Un’apertura in questo senso sembra potersi cogliere nella già citata risoluzione dell’Agenzia delle entrate 29 ottobre 2002, n. 337/E ove, tra l’altro, ci si chiede se, mancando i parametri di cui al comma 7 dell’art. 172 TUIR, sia «possibile desumere la vitalità aziendale da altri fattori».

18 La Corte esclude che, ai fini che qui interessano, possano assumere rilievo le esigenze di co-pertura previdenziale del lavoratore; sotto questo profilo, peraltro, non sembra fuori luogo rilevare come la copertura previdenziale non costituisca un optional di cui i lavoratori e/o i datori di lavoro possono liberamente disporre: la debenza dei contributi, infatti, è il naturale portato dell’instaura-zione di un rapporto di lavoro subordinato.

19 Nulla autorizza ad escludere che l’assunzione, ad opera della società incorporata, dell’ammini-stratore delegato della società incorporante rispondesse ad una politica imprenditoriale unitaria: ed invero, appartenendo tanto la prima quanto la seconda società al medesimo gruppo di imprese, l’assunzione di una risorsa qualificata poteva essere considerata strumentale al perseguimento di un comune interesse economico; sulla possibilità di ergere l’interesse sociale di gruppo a fattispecie di pari rango rispetto a quello delle singole società ed imprese del gruppo, v. le articolate considerazio-ni di V. FICARI, Reddito d’impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, p. 253 ss.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

502

ragioni economiche sottese all’assunzione del dipendente e ciò a motivo del fatto che la norma speciale antielusiva di cui al comma 7 dell’art. 172 TUIR limita l’ef-ficacia di quella generale di cui all’art. 37 bis; aveva, inoltre, rilevato che l’art. 37 bis contiene un elenco tassativo di fattispecie che possono essere sindacate dal Fisco e tra queste, com’è noto, non figura l’assunzione del dipendente; aveva, infine, la-mentato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 37 bis per avere il Giudice del gravame ritenuto, per un verso, «corrispondente a valide ragioni economiche la fusione» e, per un altro verso, «strumentale all’evasione l’atto di assunzione» 20.

Le diverse questioni erano state dunque sollevate adottando, quale prospettiva di riferimento, quella dell’elusione tributaria; la Suprema Corte, per parte sua, rifa-cendosi alla sua più recente giurisprudenza, ha rigettato tutti i motivi articolati dal-la società nel proprio ricorso reputandoli, con un giudizio piuttosto tranciante, «infondati alla stregua dei principi [...] sull’abuso del diritto» 21.

A ben vedere, tuttavia, il copioso richiamo alla giurisprudenza in materia di abuso 22 trova un diretto ed immediato riscontro solo sul piano dell’onere probato-rio gravante sul contribuente coinvolto nella vicenda che ne occupa: osserva, infat-ti, la Corte che costui avrebbe dovuto spiegare «perché una società che per gli an-ni precedenti non aveva sostenuto costi per lavoro, senza nulla mutare nell’oggetto e attività, ad un certo momento decida di assumere un dipendente e sopportare il relativo costo per lavoro» 23.

20 A scanso di equivoci, merita ricordare che la Corte di Cassazione non dubita della “genuinità” del rapporto di lavoro intercorrente tra la società incorporata e l’amministratore delegato della so-cietà incorporante: pertanto, non ricorrendo alcuna ipotesi di simulazione, si deve escludere che la vicenda per cui è causa possa essere ricostruita in termini di evasione-non evasione. Sulla corretta declinazione dei concetti di abuso del diritto, elusione e simulazione, v. diffusamente BEGHIN, Fatti economici «apparenti» e obbligazione tributaria: l’abuso del diritto entra nel «recinto» della simula-zione, in Riv. giur. trib., 2010, p. 221 ss.; FEDELE, Assetti negoziali e «forme d’impresa» tra opponibilità simulazione e riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 1093 ss., e FRANSONI, Abuso di diritto, elusio-ne e simulazione: rapporti e distinzioni, in Corr. trib., 2011, p. 17 s.

21 Se si muove dall’assunto secondo cui l’inopponibilità delle condotte abusive è rilevabile d’uffi-cio, anche in sede di legittimità, è ovviamente privo di qualsivoglia rilievo ostativo il riferimento alla prospettazione delle diverse questioni operata dalle parti nei rispettivi atti processuali. Per un appro-fondimento sul punto, v. CANTILLO, Profili processuali del divieto di abuso del diritto: brevi note sulla rilevabilità d’ufficio, in Rass. trib., 2009, p. 481 ss.

22 Centrale è, nella prospettiva adottata dalla Corte, il richiamo a Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055, reperibile in Riv. giur. trib., 2009, p. 216 ss., ed ivi nota di LOVISOLO, L’art. 53 Cost. come fonte della clausola generale antielusiva ed il ruolo delle «valide ragioni economiche» tra abuso del diritto, elusione fiscale ed antieconomicità delle scelte imprenditoriali.

23 La deduzione della funzione economica dell’operazione costituisce, perciò, un onere gravante sul contribuente e, sotto questo profilo, è interessante rilevare come, a giudizio della Suprema Cor-te, la vicenda processuale de qua presenti «evidenti analogie» con quella avente ad oggetto le c.d. «operazioni inesistenti» (v. Cass., sez. trib., 19 ottobre 2007, n. 21953, reperibile in Riv. giur. trib., 2008, p. 99, ed ivi nota di LUNELLI, La Corte di cassazione chiarisce e puntualizza le proprie posizioni sugli «spostamenti» dell’onere della prova in caso di operazioni inesistenti), sicché, «prospettato dal-

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

503

Fuori da questo contesto, tuttavia, il percorso motivazionale seguito dalla sen-tenza si snoda lungo i tradizionali, se così si può dire, sentieri dell’elusione tributa-ria e della corretta interpretazione dell’art. 37 bis lasciando così intendere che il concetto di abuso del diritto (evocato in termini generalissimi e quasi a mò di val-vola di sicurezza) e quello di elusione tributaria sono, almeno in questo specifico caso, tendenzialmente sovrapponibili 24.

Prova ne è, del resto, lo stereotipato richiamo alle assai note pronunce delle Se-zioni Unite del 2008 che, affinando la nozione di abuso, hanno avuto modo di pre-cisare che «non contrasta con l’individuazione nell’ordinamento di un generale principio antielusione la constatazione del sopravvenire di specifiche norme antie-lusive» (tali sarebbero, a detta del Supremo Collegio, quelle recate dall’art. 10 della L. n. 408/1990 e, per ciò che qui interessa, dall’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973) le quali, a loro volta, sarebbero sintomatiche dell’esistenza di una regola generale 25.

Il fugace riferimento alla compatibilità tra l’affioramento di un generale princi-pio antielusione e la previsione di «specifiche norme antielusive» sembra, peral-tro, fuorviante giacché sposta l’attenzione da quella che è la questione centrale af-frontata, ancorché implicitamente, dalla sentenza in commento ossia la possibilità di disconoscere, invocando la disciplina antielusiva regolata dall’art. 37 bis, il ripor-to delle perdite pregresse in presenza di un’operazione di fusione caratterizza dal-l’apparente, pieno rispetto delle condizioni e dei limiti dettati dal comma 7 dell’art. 172 TUIR.

La Corte di Cassazione infatti, ponendo l’accento sulla potenziale strumenta-lizzazione del test di operatività, si orienta verso il disconoscimento della premi-nenza della disposizione antielusiva specifica rispetto alla clausola generale 26 ed adotta una soluzione che, come vedremo di qui a poco, presenta dei corollari piut-tosto discutibili.

Ma procediamo con ordine. Innanzi tutto, per meglio inquadrare il tema, conviene ricordare che almeno

due sono in dottrina gli orientamenti formatisi in ordine alla corretta ricostruzione dei rapporti intercorrenti tra le norme antielusive specifiche e generali.

Secondo una prima corrente di pensiero, deve escludersi che l’Amministrazio-

l’Ufficio un serio quadro indiziario tale da far presumere, in base all’id quod plerumque accidit, che le operazioni sono inesistenti (o melius che non possono essere esistenti) si sposta a carico del contri-buente l’onere di dare la prova della esistenza».

24 Per un accurato approfondimento sul punto, v. BEGHIN, Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema impositivo nazionale, in AA.VV., Elu-sione ed abuso del diritto tributario, a cura di G. Maisto, Milano, 2009, p. 40 ss.

25 V. Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055, cit. 26 Manca, peraltro, una netta presa di posizione su tale rilevante questione e, da questo punto di

vista, si tratta di una vera e propria occasione persa giacché la Corte era stata puntualmente solleci-tata da uno dei motivi di ricorso.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

504

ne finanziaria, attraverso la norma antielusiva generale, possa intervenire sulla fat-tispecie costituente oggetto della norma correttiva, imponendo, per finalità antie-lusive, limitazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle espressamente individuate dalla norma specifica: se, in particolare, «il legislatore modifica la disciplina di una determinata fattispecie “correggendola” a fini antielusivi, esso discrimina, rispetto a quella specifica fattispecie, i comportamenti leciti da quelli illeciti; e l’art. 37 bis non può certo essere utilizzato per disarticolare e rimettere in discussione tale scel-ta espandendo l’area dell’illecito a danno di quella del lecito» 27.

A conclusioni diverse giungono quanti escludono l’esistenza di un rapporto anti-nomico tra le due normative rilevando, in specie, che «la prima (quella antielusione in senso lato) alimenta, con nuovi obblighi e nuovi divieti, l’insieme degli obblighi e dei divieti che regolano l’attività di determinazione dell’imponibile e dell’impo-sta; la seconda (quella antielusione in senso stretto) non incide su tale insieme, ma si colloca al suo esterno con funzione di salvaguardia dell’effettività degli obblighi e dei divieti che lo compongono» 28.

In buona sostanza, il rapporto tra la clausola generale antielusiva contenuta nell’art. 37 bis e la previsione recata dall’art. 172, comma 7, TUIR dovrebbe essere ricostruito negli stessi identici termini che caratterizzano il rapporto tra la prima e qualsiasi altra disposizione dedicata alla determinazione della base imponibile e/o dell’imposta 29.

A ben vedere, tuttavia, le due ricostruzioni non sembrano essere totalmente in-conciliabili: appurato, per un verso, che attraverso la clausola generale antielusiva non si possono aggiungere limitazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dalla norma specifica e riconosciuto, per un altro verso, che tra la prima e la secon-da norma non ricorre alcun rapporto antinomico 30, sembra esservi spazio per con-venire con quanti ritengono che, risultando soddisfatte le condizioni di cui all’art. 172, comma 7, TUIR, il riporto delle perdite non potrà essere disconosciuto, a

27 Così, testualmente, LAROMA JEZZI, Il riporto delle perdite pregresse tra norme antielusive «specia-li» e «generali», in Rass. trib., 2002, p. 212.

A conclusioni ancor più radicali giungono quanti ritengono che, ove «esiste una norma antielu-siva specifica, le operazioni che non ricadono nella norma stessa non possono mai essere considera-te elusive (altrimenti la regola generale cancellerebbe quella speciale)»: in questi termini, MORELLO, Il problema della frode alla legge nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 1991, I, p. 39; nella stessa dire-zione, v. CIPOLLINA, La legge civile e la legge fiscale, Padova, 1992, p. 236, e NUZZO, Elusione, abuso dello strumento negoziale, fraudolenza, in Rass. trib., 1996, p. 1320.

28 Così, testualmente, ZIZZO, Prime considerazioni sulla nuova disciplina antielusione, in AA.VV., Commento agli interventi di riforma tributaria, a cura di M. Miccinesi, Padova, 1999, p. 441.

29 In senso conforme, v. LA ROSA, Nozione e limiti delle norme antielusive analitiche, in Corr. trib., 2006, p. 3095; STEVANATO, Riporto delle perdite ed elusione tributaria, in Riv. dir. trib., 2000, I, p. 1135, e ZOPPINI, op. cit., p. 639, nota 1.

30 Chiara è, sul punto, la posizione di LAROMA JEZZI, op. cit., p. 211.

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

505

meno che non si dimostri che il contribuente abbia tradito lo spirito della norma specifica 31-32.

A questo punto e sempreché si condivida tale ricostruzione, occorre chiedersi se l’assunzione di un dipendente in epoca anteriore alla fusione ed il sostenimento del relativo costo possa, di per sé, essere considerato alla stregua di un tradimento e/o di un aggiramento del test di operatività.

Per cercare di rispondere al quesito conviene scrollarsi di dosso le peculiarità del caso portato all’attenzione del Supremo Collegio: ed invero, l’assunzione di un dipendente nella persona dell’amministratore delegato della società incorporante e l’incapacità, almeno stando alla ricostruzione della vicenda operata dalla senten-za, di dimostrare che tale assunzione risponde ad un interesse oggettivo della so-cietà incorporata, contribuiscono a sfocare i contorni della vicenda colorandola di tinte grigie.

Se, tuttavia, la società incorporata avesse assunto, in luogo dell’amministratore delegato, un’anonima impiegata addetta alla cura degli adempimenti contabili ed amministrativi (mansioni che, sia detto per inciso, ben potevano essere svolte da chi, in altra società, ricopre l’incarico di amministratore delegato) nessun dubbio sarebbe sorto in ordine alla deduzione delle ragioni economiche sottese all’assun-zione in discorso: malgrado ciò, non v’è alcuna certezza in ordine al fatto che tale assunzione non sia, di per sé, strumentale all’aggiramento delle disposizioni recate dal comma 7 dell’art. 172 TUIR.

Il nodo della questione è tutto qui: appurato che il test di operatività, al pari di molte altre disposizioni antielusive specifiche, può essere oggetto di aggiramento, deve ammettersi comunque la possibilità di scrutinare l’operazione (di fusione, nel

31 A questa conclusione perviene ZIZZO, Le vicende straordinarie nel reddito d’impresa, in FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2012, p. 640, nota 83; nello stesso senso si orien-ta POGGIOLI, L’inafferrabile asistematicità del trasferimento intersoggettivo delle perdite fiscali, tra dispo-sizioni antielusive analitiche e clausola generale, in Riv. dir. trib., 2007, II, p. 403, il quale osserva che è «proprio del modo d’essere della clausola generale il rimanere “sullo sfondo”, il costituire un’inin-terrotta “linea di sbarramento”, ubiqua e flessibile, in grado d’intercettare (pur con le limitazioni tradizionalmente impostegli dal numerus clausus delle operazioni sindacabili elencate nell’art. 37 bis, comma 3) le condotte elusive diverse ed ulteriori rispetto a quelle che le singole, puntuali norme “correttive” sono preordinate a sterilizzare».

32 Riflettendo sul punto, LAROMA JEZZI, op. cit., p. 213, dopo aver sottolineato che la disposizione recata, in materia di interpello disapplicativo, dal comma 8 dell’art. 37 bis tende a «rimediare alla incapacità delle disposizioni correttive di discriminare le condotte che, pur corrispondendo al para-digma da esse configurato, nondimeno non producono un vantaggio fiscale disapprovato dall’ordi-namento», pone l’accento sulla necessità di adottare un approccio analogo «laddove si volesse con-sentire all’Amministrazione di disapplicare la norma antielusiva a proprio favore»; il chiaro Autore, peraltro, non manca di precisare che, ove si decidesse di percorrere questa seconda strada, si do-vrebbe valutare a fondo l’opportunità di mantenere in vita questa tipologia di norme antielusive vi-ste anche le complicazioni provocate.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

506

caso di specie) nell’ottica dell’indebito vantaggio fiscale e dell’assenza delle valide ragioni economiche 33-34.

Ed è proprio sotto questo secondo profilo che la sentenza annotata suscita le maggiori perplessità giacché l’operazione di fusione, essendo pacificamente sorret-ta da valide ragioni economiche, è giudicata non elusiva; è ritenuto elusivo, invece, il riporto delle perdite ossia la posizione soggettiva che, parafrasando il comma 8 dell’art. 37 bis, viene limitata al precipuo scopo di contrastare comportamenti elu-sivi.

A tal riguardo e volendo mettere in ordine le diverse tessere del mosaico, si de-ve innanzitutto sottolineare l’inesistenza di dubbi circa il fatto che, nel caso di spe-cie, oggetto del sindacato fosse l’operazione di fusione: nitida è, da questo punto di vista, la presa di posizione del Supremo Collegio il quale, pronunciandosi sull’in-fondatezza di uno dei motivi di ricorso, rileva che «l’assunzione del lavoratore è considerata la condotta (atipica)» di cui al comma 1 dell’art. 37 bis, laddove «la fusione è “l’operazione” (tipica)» di cui alla successiva lett. a), comma 3 del mede-simo art. 37 bis.

Fermo ciò ed a prescindere da ogni ulteriore considerazione circa la presenza o meno di un vantaggio indebito, occorreva verificare se l’operazione fosse sorretta, o meno, da ragioni idonee a toglierle il manto di elusività e, anche sotto questo profilo, non sussistono dubbi di sorta essendo pacifico ed incontestato l’assunto per cui la fusione è «corrispondente a valide ragioni economiche» 35.

33 Sul piano dell’inquadramento sistematico, ZIZZO, Elusione ed evasione tributaria, in AA.VV., Di-zionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, vol. III, 2006, p. 2178, rileva che, nell’ordi-namento italiano, la clausola generale antielusiva non opera soltanto da chiusura del sistema, ma «altresì da modulatore del suo funzionamento. Le norme antielusive in senso improprio (come, per citarne alcune, quelle previste dagli art. 88, comma 5, 123, comma 2, 172, comma 7, 173, comma 10, 175, comma 2, TUIR 1986), che concorrono con la clausola alla formazione del sistema, nell’inte-grare o modificare la disciplina di altre norme al fine di fermarne o prevenirne l’elusione, senza tut-tavia a questa riferirsi in modo espresso, sollevano infatti sia [...] un problema di sottocopertura, al quale la clausola sopperisce colpendo le condotte elusive atipiche, sia un problema di sopracopertu-ra, perché idonee ad intercettare anche comportamenti in concreto privi di carattere elusivo»; nello stesso senso, v. CIPOLLINA, Elusione fiscale, in Dig. IV, disc. priv., sez. comm., Torino, 2007, Agg. ***, p. 382.

34 In senso conforme, v. la norma di comportamento n. 165 dell’Associazione italiana dottori commercialisti ove, in particolare, si sottolinea che «la disposizione sul riporto delle perdite di cui all’art. 172, comma 7, non può comunque sottrarsi al superiore principio generale che vieta di abu-sare della legge, sotteso alla finalità antielusiva del legislatore, nel caso in cui il diritto al riporto delle perdite fiscalmente rilevanti, risulti fondato su una azione di costruzione artificiosa dei predetti pa-rametri di vitalità, diretta unicamente a legittimare l’esercizio di questo diritto»; per un commento alla norma di comportamento testé citata, v. SCAFATI, Parametri di vitalità nel riporto delle perdite in caso di fusione, in Corr. trib., 2006, p. 3555 ss.

35 Sulla rilevanza delle valide ragioni economiche v., tra i contributi più recenti, BEGHIN, Sub art. 37 bis, in AA.VV., Commentario breve alle leggi tributarie, tomo II, Accertamento e sanzioni, a cura di F. Moschetti, Padova, 2011, p. 224; FRANSONI, Appunti su abuso di diritto e «valide ragioni economi-

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

507

A questo punto il cerchio sembrerebbe chiudersi: acclarato che l’operazione di fusione non presenta profili di elusività, il riporto delle perdite deve essere consen-tito e ciò, evidentemente, a prescindere dall’esito e/o dalla sussistenza dei presup-posti per applicare il test di operatività (vuoi, cioè, che lo stesso sia applicabile, vuoi che non sia applicabile, vuoi ancora che non offra risultati attendibili perché, ma-gari, “manipolato”).

Di avviso contrario è, tuttavia, la Suprema Corte che, condividendo in toto il ra-gionamento del Giudice del gravame, ritiene che non vi sia «alcuna incompatibili-tà logico-giuridica tra il riconoscimento della funzione economica di una fusione di società e la individuazione di un atto prodromico e collegato [...] che renda elu-siva non la fusione ma il riporto del debito (leggi: delle perdite) delle società ogget-to di fusione».

Tale conclusione non convince. Seguendo, infatti, il ragionamento della Su-prema Corte si finisce con il sovrapporre, in maniera del tutto impropria, l’opera-zione che, nell’ambito dello schema elusivo, viene concretamente utilizzata con l’ef-fetto che la condotta elusiva osteggiata mira a raggiungere ossia il riporto delle per-dite e ciò, evidentemente, a prescindere dal carattere tassativo (piuttosto che esem-plificativo) dell’elenco delle operazioni di cui al comma 3 dell’art. 37 bis 36.

Detto altrimenti, un conto è affermare che il superamento dello sbarramento imposto dal test di operatività non sempre assicura un salvacondotto sul versante dell’elusione, altro è ritenere che laddove l’operazione risulti assistita da valide ra-gioni economiche sia, comunque, possibile mettere in discussione il riporto delle perdite così prescindendo dalla conclamata inesistenza di profili di elusività.

E, sotto questo secondo profilo, la correttezza della conclusione raggiunta sembra confermata da una sorta di “prova del nove”: il contribuente, trovandosi al cospetto di una disposizione, l’art. 172, comma 7, TUIR, che limita «una posi-zione soggettiva altrimenti ammessa dall’ordinamento», avrebbe infatti potuto chiederne la disapplicazione dimostrando che, nel caso concreto, gli effetti elusi-vi che hanno indotto il legislatore ad introdurla non possono verificarsi. Avreb-be, cioè, potuto dimostrare che il comportamento adottato nel caso di specie «è diverso da quello tenuto presente dal legislatore nella introduzione della norma antielusione “correttiva”, perché insuscettibile di essere qualificato elusivo in ba-

che», in Rass. trib., 2010, p. 932, e MASTROIACOVO, L’economicità delle valide ragioni (note minime a margine della recente evoluzione del principio dell’abuso del diritto), in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 449 ss.

36 Nel senso della tassatività si esprimono, tra gli altri, MANZONI-VANZ, Il diritto tributario, Tori-no, 2008, p. 500; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, p. 227, e TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, Padova, 2010, p. 134 ss.; per l’orientamento favorevole all’abbandono della linea della tassatività, v. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2010, p. 212.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

508

se ai criteri descritti al comma 1 dell’art. 37 bis 37, e perciò incapace di colorare di elusività gli effetti prodotti» 38.

4. Considerazioni conclusive

La vicenda portata all’attenzione del Supremo Collegio mette a nudo uno dei principali limiti delle disposizioni antielusive specifiche: ed invero, definite le co-ordinate di un determinato comportamento elusivo, il contribuente può, più o meno agevolmente, evitare l’offside adottando “accorgimenti” tali da disinnescare l’ope-ratività della singola previsione antielusiva 39 (si pensi, solo per fare un esempio in relazione al test di cui all’art. 172, comma 7, TUIR, allo splitting di contratti per forni-ture di beni e/o servizi in modo da garantire un sufficiente livello di ricavi ovvero all’assunzione di dipendenti per assicurare congrui costi per il personale). È una continua schermaglia tra norma antielusiva e contribuente che ricorda dappresso le oscillazioni del pendolo di Foucault.

Trattasi di oscillazione tanto più frequente quanto più rigido è il criterio messo a punto dal legislatore per selezionare le situazioni sintomatiche di condotte po-tenzialmente elusive. Con ciò, evidentemente, non si vuole sottovalutare la neces-sità di una verifica intorno alla vitalità e/o al depotenziamento della struttura pro-duttiva del soggetto che riporta le perdite, si vuole semplicemente porre l’accento sulla opportunità di un approccio più flessibile alla questione che, muovendo ma-gari dall’osservazione di una pluralità di parametri (si potrebbe, ad esempio, guar-dare ai costi di acquisto delle materie prime, alle lavorazioni esterne, alle spese per energia e per i servizi di telecomunicazione, alle spese per ricerca e sviluppo e via dicendo), consenta di escludere l’esistenza di intenti elusivi evitando, al contempo, di dover discutere, com’è avvenuto nel caso di specie, di questioni (l’interesse pre-

37 La sussistenza delle valide ragioni economiche è il perno attorno al quale ruotano molte delle valutazioni operate dal non più operante Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antie-lusive in materia di riporto delle perdite e fusione di società: a mero titolo esemplificativo, si vedano i pareri nn. 31 e 32 del 14 ottobre 2005 ed il parere n. 34 del 18 dicembre 2006, tutti reperibili in banca dati I Quattro Codici della Riforma Tributaria Big, Ipsoa.

38 In questi termini, ZIZZO, Prime considerazioni sulla nuova disciplina antielusione, cit., p. 470. Sul rapporto tra il c.d. “interpello negativo” e la sussistenza delle valide ragioni economiche, v. PISTOLESI, Gli interpelli tributari, Milano, 2007, p. 88, il quale non manca di precisare che, «al fine di pervenire alla disapplicazione delle norme analitiche antielusive, non sono richieste le condizioni che lo stesso art. 37 bis individua per impedire all’Amministrazione finanziaria di tacciare di “elusività” gli atti e le operazioni ivi indicati. In particolare, non occorre dar conto della presenza di “valide ragioni eco-nomiche” e dell’inesistenza dell’intento di ottenere un indebito beneficio fiscale».

39 Assai efficace è la metafora utilizzata da LAROMA JEZZI, op. cit., p. 209, il quale osserva che la le-gislazione, per impedire i comportamenti elusivi, «spara sempre nello stesso punto e coloro i quali si vorrebbe fossero colpiti lo sanno bene».

Cass., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21782

509

videnziale del dipendente) che nulla hanno a che fare con la disciplina delle perdi-te fiscali.

Esigenza di flessibilità che è ancora più forte in un contesto di prolungata reces-sione economica: il riferimento ad uno scostamento del 60% rispetto ad una me-dia biennale solleva, infatti, più di qualche dubbio in ordine alla significatività della verifica di operatività non potendosi invero ritenere che il test, per come è concepi-to, riesca sempre a sterilizzare l’impatto della congiuntura negativa 40.

Pier Luca Cardella

40 In questi termini anche DELLA VALLE, op. cit., p. 991.

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295 (udienza del 19 gennaio 2011) – Pres. e Rel. D’Alonzo Iva – Accertamento – Consorzi – Finalità mutualistiche – obbligo in ogni caso di ribaltamento sulle consorziate – sussiste – compensazione costi e ricavi – viola-zione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, art. 6, art. 13 e art. 21 – sussiste

La società consortile, per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un pro-prio interesse economico né produce un reddito proprio, di talché, nei rapporti interni, essa si appalesa sempre e soltanto come uno strumento operativo per cui le operazioni poste in essere dalla stessa sono per il fisco operazioni proprie delle consociate che l’hanno costituita.

Ne discende l’obbligo per il consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 cod. civ. di ribaltare sulle imprese consorziate – nel rispetto del principio di inerenza e dei criteri legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi – tutte le operazioni eco-nomiche da esso eseguite, sia nel caso in cui siano realizzate da una o più imprese con-sorziate, sia nell’ipotesi in cui siano realizzate dal consorzio stesso con strutture proprie o con impiego di imprese terze.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla M. Società Consortile per i Servizi Integrati per azioni,

l’agenzia delle entrate – premesso che con avvisi di accertamento e di contestazione di sanzioni il suo Ufficio, sulla scorta dei “rilievi” operati dalla Guardia di Finanza, aveva re-cuperato a tassazione “un maggior importo di corrispettivi (...) non dichiarati” ai (soli) fini dell’IVA (“avendo il Consorzio provveduto alla definizione automatica (...) ai fini II.DD. e IRAP prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9”), essendo stato rilevato che il “Consorzio M.” aveva “di fatto” operato come una impresa commerciale (non avendo utilizzato “le metodologie contabili e fiscali proprie dei consorzi”) in quanto per le “com-messe” acquisite ed affidate alle consorziate “fatturava al committente il prezzo inte-grale pattuito e ... alle consorziate versava (e si faceva fatturare) una somma inferiore” (“decurtazione imputata alla copertura dei costi di gestione del consorzio”) mentre per le “commesse eseguite direttamente ... ometteva di ribaltare formalmente sulle consorziate, in proporzione alla quota consortile di ciascuna, gli utili e i costi” “tale man-cato ribaltamento ... avveniva attraverso una forma di compensazione reciproca degli uti-li spettanti alle consorziate, e dei costi a cui le stesse dovevano partecipare” per cui “veni-va occultato attraverso lo strumento della compensazione, così sfuggendo agli obblighi di fatturazione e autofatturazione e ai conseguenti obblighi impositivi (IVA)” –, in forza

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

511

di cinque motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 31/01/08 della Commissione Tribu-taria Regionale del Piemonte (depositata il primo dicembre 2008) che, previa riunione, aveva respinto gli appelli dell’Ufficio avverso le decisioni (93/16/06 e 96/16/06) della Commissione Tributaria Provinciale di Torino la quale aveva accolto i ricorsi della con-tribuente.

Nel proprio controricorso la società consortile instava per il rigetto dell’impugna-zione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale ha disatteso il gravame dell’Ufficio rite-

nendo “regolare” la “seguente ... procedura” seguita dal Consorzio M.: – “fatturazione al committente, al termine della commessa stante la sua acquisizio-

ne diretta, delle prestazioni effettuate e ricevimento della fattura dei corrispettivi do-vuti alla impresa o alle imprese consorziate che avevano eseguito la commessa ovvero che aveva o avevano partecipato all’esecuzione della stessa con la propria struttura aziendale ... (naturalmente fatture di valore inferiore rispetto a quella della commessa fatturata dal Consorzio al committente onde coprire con la differenza i costi di gestione propri nonché il funzionamento della organizzazione consortile)”;

– “nei limitati casi ... di commesse affidate anche a terzi, le imprese consorziate re-stavano evidentemente estranee ai relativi rapporti economici”.

Lo stesso giudice (“per completezza di trattazione”), a conforto, richiama “il con-cetto ... espresso in sede penale” dal Tribunale di Ivrea secondo cui “sul piano delle commesse ricevute direttamente dal Consorzio, è ben possibile che quest’ultimo con-tragga con i committenti ad un prezzo diverso al correlativo contratto intercorso con il medesimo Consorzio e la singola impresa consorziata, nel quale il compenso stabilito per quest’ultima può essere inferiore a quello convenuto con la committenza”: “tale differenza rappresenta il vantaggio economico che il Consorzio ritrae per sé dall’affare e concorre, quale componente positivo, a formare il proprio reddito d’impresa e solo tale importo differenziale deve essere assoggettato ad IVA, in applicazione di quanto disposto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), per le prestazioni rese dal mandatario senza rappresentanza”.

2. L’ Agenzia – esposto che “il presente giudizio ha ad oggetto un avviso di accerta-mento e un atto di contestazione (irrogativo della sanzione prevista per i comportamenti rilevati nell’avviso di accertamento medesimo, per il medesimo periodo d’imposta del 2001) con cui l’Amministrazione Finanziaria accerti nei confronti di una società consor-tile senza scopo di lucro soggettivo, che costituisca organizzazione comune di più im-prenditori per lo svolgimento in comune di determinate fasi delle rispettive imprese, la mancata fatturazione e autofatturazione di costi e utili ribaltati sulle consorziate non at-traverso la loro formale fatturazione ma occultando tale ribaltamento con lo strumento della compensazione” – chiede di cassare la decisione per cinque motivi.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

512

A. Con il primo la ricorrente – premesso che “costi e utili sono connessi a due tipo-logie di commesse: quelle assegnate dal consorzio alle imprese consorziate e quelle eseguite direttamente dal consorzio con la propria struttura aziendale (o comunque con affidamento a soggetti terzi non consorziati)” – denunzia “violazione e falsa appli-cazione dell’art. 2602 c.c., e segg., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, dell’art. 1241 c.c., e segg., nonché del principio generale del divieto dell’abuso del diritto desumibile dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis” chiedendo (“quesito di diritto”);

“se sia errata, per violazione dell’art. 2602 c.c., dell’art. 1241 c.c., dei principi in ma-teria di abuso del diritto, la sentenza del giudice tributario che annulli” gli atti imposi-tivi, “qualora la sentenza neghi, a dispetto della natura mutualistica del consorzio, dell’assenza di un suo scopo di lucro e dalla neutralità dello stesso (non contestati in giudizio), e sulla sola base del fatto che non tutte le consorziate partecipassero alle commesse distribuite dal consorzio e che non vi sia prova della formale ripartizione tra le consorziate dei costi (circostanze queste del tutto irrilevanti rispetto all’obbligo di tutte le consorziate, partecipanti o meno alle commesse, di far fronte ai costi, e rispetto alla circostanza, eccepita dall’Amministrazione, che il consorzio compensasse costi e utili) che il consorzio avesse un obbligo di ribaltare sulle consorziate (con conseguen-te fatturazione e autofatturazione per ciascuna consorziata) tutti i costi generali di ge-stione e i costi specifici relativi alle singole commesse, e che la mancata fatturazione di tale ribaltamento, come anche del ribaltamento degli utili (mai distribuiti alle consor-ziate), postulando un ribaltamento di costi e utili realizzato in maniera occulta con il meccanismo della compensazione, costituisca violazione degli obblighi di fatturazione e autofatturazione, ed evasione delle relative imposte (nella specie IVA, avendo il con-tribuente definito le altre imposte ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9) realizzato anche attraverso l’abusivo ricorso alla struttura consortile, così applicando il giudice tributario la norma inesistente secondo cui non sono soggette ad obbligo di fattura-zione e auto fatturazione gli utili e i costi spettanti pro quota alle imprese partecipanti a un consorzio senza scopo di lucro soggettivo quando essi non siano formalmente ri-baltati sulle imprese (e dunque non vi sia prova del ribaltamento) e il consorzio non operi con una ripartizione delle commesse tra tutte le imprese, e non applicando inve-ce la norma, ricavabile dalle disposizioni riportate in rubrica, secondo cui nell’attività di una società consortile senza scopo di lucro soggettivo, che costituisca organizzazio-ne comune di più imprenditori per lo svolgimento in comune di determinate fasi delle rispettive imprese, il consorzio, per le commesse eseguite dalle consorziate deve ribal-tare integralmente i costi e i ricavi alla consorziata che abbia partecipato all’esecuzione della commessa, senza applicare alcuna detrazione (che dal punto di vista del commit-tente equivale ad un ricarico) da incamerare in proprio; e per le commesse eseguite in proprio (o attraverso l’affidamento a terzi non consorziati), deve poi ribaltare alle con-sorziate, che costituendo il fondo consortile partecipano al consorzio, tutti i costi e i proventi, nella misura della quota consortile: e ciò in quanto il ribaltamento dei costi, non formalizzato, non può essere realizzato con una compensazione occulta con gli utili, che dunque sono anch’essi da fatturare”.

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

513

B. Nella seconda doglianza l’Agenzia – “con riferimento alle violazioni accertate in relazione alle commesse acquisite dal Consorzio e poi distribuite alle consorziate per la loro esecuzione, rispetto alle quali la sentenza impugnata abbia accertato che la dif-ferenza tra il prezzo percepito dal consorzio e quello poi riversato alle consorziate an-dasse a coprire i costi di gestione e organizzazione della struttura consortile, integran-do il vantaggio economico ricavato dal consorzio dall’affare” – denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2602 c.c., e segg., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, art. 6, comma 3, art. 13, commi 1 e 2 e art. 21, comma 1, dell’art. 1241 c.c., e segg., dell’art. 1705 c.c., e segg., nonché del principio generale del divieto di abuso del diritto desumibile dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis”, sintetizzate nel “quesito di diritto”:

“se sia errata, per violazione dell’art. 2602 c.c., dell’art. 1241 c.c., dei principi in ma-teria di abuso del diritto, la sentenza del giudice tributario che annulli” gli atti imposi-tivi, “qualora la sentenza neghi, a dispetto della natura mutualistica del consorzio, dell’assenza di un suo scopo di lucro e dalla neutralità dello stesso (non contestati in giudizio), e sulla sola base del fatto che non tutte le consorziate partecipassero alle commesse distribuite dal consorzio e che non vi sia prova della formale ripartizione tra le consorziate dei costi (circostanze queste del tutto irrilevanti rispetto all’obbligo di tutte le consorziate, partecipanti o meno alle commesse, di far fronte ai costi, e rispetto alla circostanza, eccepita dall’Amministrazione, che il consorzio compensasse costi e utili) che il consorzio avesse un obbligo di ribaltare sulle consorziate (con conseguen-te fatturazione e auto fatturazione per ciascuna consorziata) tutti i costi generali di ge-stione e i costi specifici relativi alle singole commesse eseguite dalle consorziate, e che la mancata fatturazione di tale ribaltamento, come anche del ribaltamento del maggior prezzo percepito dal committente, postulando un ribaltamento di costi e utili realizza-to in maniera occulta con il meccanismo della compensazione, costituisca violazione degli obblighi di fatturazione e auto fatturazione, ed evasione delle relative imposte (Iva) realizzato anche attraverso l’abusivo ricorso alla struttura consortile, così appli-cando il giudice tributario la norma inesistente secondo cui non sono soggette ad ob-bligo di fatturazione e autofatturazione gli utili e i costi spettanti pro quota alle impre-se partecipanti a un consorzio senza scopo di lucro soggettivo quando essi non siano formalmente ribaltati sulle imprese (e dunque non vi sia prova del ribaltamento) e che il consorzio non operi una ripartizione delle commesse tra tutte le imprese, pur decur-tando il consorzio, dal prezzo ricavato attraverso la commessa eseguita dalle consor-ziate e acquisite dal consorzio in veste di mandatario senza rappresentanza, una som-ma destinata proprio alla copertura dei costi di gestione e amministrazione, e non ap-plicando invece la norma, ricavatile dalle disposizioni riportate in rubrica, secondo cui nell’attività di una società consortile senza scopo di lucro soggettivo, che costituisca organizzazione comune di più imprenditori per lo svolgimento in comune di determi-nate fasi delle rispettive imprese attraverso lo strumento giuridico del mandato senza rappresentanza, il consorzio, per le commesse eseguite dalle consorziate, deve ribalta-re formalmente (con emissione di fattura e, ove necessario, di auto fattura) e integral-

8*.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

514

mente i costi e i ricavi alla consorziata che abbia partecipato all’esecuzione della com-messa, senza applicare alcuna detrazione (che dal punto di vista del committente equiva-le ad un ricarico) da incamerare in proprio: e ciò in quanto il mancato ribaltamento (formale) dei costì e degli utili non può essere realizzato con una loro compensazione occulta”.

C. Con il terzo motivo la ricorrente – esposto che: (1) “la quantificazione dei costi e degli utili il cui ribaltamento non è stato fatturato

si è fondata sui dati contabili aggregati risultanti dalla contabilità del consorzio, man-cando nella contabilità del consorzio le fatture e le autofatture, in considerazione del ricorso, ad opera del consorzio medesimo, allo strumento della compensazione”;

(2) “i dati contabili aggregati del Consorzio su cui si è basata la verifica” (“che con-sentivano di stabilire l’esistenza di operazioni che avrebbero dovuto essere assoggetta-te ad imposizione e che ... non sono state fatturate né autofatturate”) “non sono mai stati contestati dal consorzio medesimo” – assunto affermarsi “nella sentenza in epi-grafe ... che la quantificazione delle maggior imposte dovute dal consorzio da parte del-l’Amministrazione Finanziaria si sarebbe fondata su dati aggregati presuntivi senza la prova dell’effettiva ripartizione (ribaltamento) dei costi e degli utili tra le varie consor-ziate”, denunzia “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, comma 1, nonché del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5 e art. 55, commi 1 e 2, nn. 2) e 3)”, con-clusa con il “quesito di diritto” “se alla ... descritta fattispecie si applichi o meno la norma giuridica, ricavata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, comma 1, nonché dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 5, e 55, commi 1 e 2 nn. 2) e 3), secondo cui l’Agenzia delle Entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche non-ché dalle segnalazioni effettuati dalla Guardia di Finanza risultino elementi che con-sentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non di-chiarati può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggio-re imposta dovuta nonché l’imposta o la maggiore imposta non versata ed è onere del contribuente dimostrare il diverso ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile che sono stati determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha emesso le fatture per una parte rilevante delle opera-zioni ovvero non ha conservato, ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all’i-spezione, totalmente o per una parte rilevante, le fatture emesse e quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni o annotazioni accertate, ovvero le irregolarità formali dei registri e delle altre scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibile la contabilità del contribuente; e ciò anziché la diversa ed inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale, anche di fronte all’incompletezza della documentazione fornita agli accertatovi dell’Amministrazione (nella specie le fatture e auto fatture non emesse per le opera-zioni in considerazione), è onere dell’Amministrazione dimostrare il diverso ammon-tare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile che sono stati determinati sulla

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

515

base dei dati e delle notizie analiticamente raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio in base alla verifica fiscale”.

D. Con il quarto motivo l’Agenzia – affermato che: “la motivazione si limita a richiamare la realtà dei rapporti tra consorzio e consor-

ziate, ad affermare che non vi sarebbe prova della ripartizione dei costi, tutte circostan-ze che non possono far venir meno l’assenza di finalità di lucro e l’obbligo di ribaltare utili e costi sui consorziati” – denunzia “insufficiente motivazione” assumendo che: “ciò non basta a spiegare le ragioni che hanno condotto la CTR a maturare il convin-cimento di escludere che il ribaltamento (in ogni caso non vietato dallo Statuto) ve-nisse comunque effettuato in via occulta, attraverso lo strumento della compensazio-ne, non spiegando, la motivazione, le ragioni del convincimento per i cui i costi di ge-stione del consorzio non venissero ribaltati (neanche con lo strumento della compen-sazione) sulle consorziate (anche quelle che non avevano eseguito alcuna commessa ...) mediante l’incameramento degli utili realizzati con per le commesse eseguite diret-tamente dal consorzio o delle somme percepite come ricarico sul prezzo delle com-messe eseguite dalle consorziate, utili a loro volta non ribaltati sulle consorziate, nono-stante risultassero pacificamente i seguenti fatti: che lo Statuto consortile prevede che le consorziate partecipano ai costi del consorzio; che il consorzio ha dovuto affrontare dei costi di gestione e organizzazione che non è stato formalizzato alcun ribaltamento dei costi dal consorzio al/e consorziate; che il consorzio ha ottenuto dei ricavi nello svolgimento dell’attività (sia nella qualità di mandatario senza rappresentanza per con-to delle consorziate, sia nella gestione ed esecuzione diretta – o comunque attraverso soggetti terzi – di altre commesse; che il consorzio non ha formalizzato alcun ribalta-mento di tali ricavi sulle consorziate; che lo Statuto consortile (oltre alle norme civili e fiscali che lo regolano) prevede che il consorzio agisce senza scopo di lucro”.

E. Con la quinta (ultima) doglianza l’Agenzia sostiene che la “motivazione” della sentenza impugnata in ordine al “fatto” (“decisivo e controverso del giudizio”) concer-nente la “omessa fatturazione e autofatturazione di parte delle somme corrisposte dal consorzio alle consorziate per le commesse eseguite da quest’ultime, e dei costi di ge-stione e organizzazione ribaltati attraverso lo strumento della compensazione con la maggior somma dovuta dal consorzio in relazione a dette commesse” è “contraddittoria” perché (“sintesi, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.”) “da un loto afferma che l’Ufficio non avrebbe fornito alcuna prova di tale riaddebito, e dall’altro lato, in altro passaggio, affer-ma espressamente che per dette commesse, il consorzio, agendo come mandatario senza rappresentanza, percepiva dal committente il prezzo della commessa, che ribaltava sulle consorziate che l’avevano eseguito decurtato di una parte, proprio alfine di coprire i costi di gestione propri nonché il funzionamento della organizzazione consortile”.

3. Il Consorzio – il quale dichiara (a) di essere stato costituito “nel 1993 con ogget-to l’attività di manutenzione in global service di complessi immobiliari civili ed industria-li”, (b) di operare “a livello nazionale” e (e) di avere “in portafoglio numerose commesse ... sulle quali agiscono contemporaneamente più soggetti consorziati, i terzi fornitori e

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

516

la stessa struttura del Consorzio” (“all’epoca ... costituita da circa 400 operai”) – alle pagine 31 e del suo controricorso sintetizza così l’attività da esso esercitata:

– “la finalità mutualistica ... si concretizza sostanzialmente nell’offerta di opportu-nità di lavoro per i soggetti consorziati, i quali esplicano l’attività di competenza sulle commesse acquisite dal Consorzio stesso”;

– “il Consorzio, per espressa previsione statutaria, non persegue scopo di lucro”: “considerata la sua natura di Consorzio con attività esterna (art. 2612 c.c., e segg.)”, esso “deve essere annoverato tra quei gruppi con autonomia patrimoniale” costituenti, per l’“ordinamento positivo”, “centri autonomi di rapporti giuridici”, senza che “la na-tura imprenditoriale dell’attività svolta” si ponga “in contrasto, né formale né sostan-ziale, con la carenza di finalità di lucro”;

– “il Consorzio ha sempre operato ... in forza di mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c.), pienamente compatibile con l’organizzazione consortile, realizzata dai soggetti consorziati soprattutto quale strumento di collaborazione generale tra impre-se diverse, idoneo a realizzare le più razionali ed opportune sinergie”: le “imprese ... consorziate ... hanno inteso e intendono soprattutto acquisire opportunità di lavoro”; “è il consorzio che acquisisce e sottoscrive, avvalendosi della sua autonomia patrimo-niale, i vari contratti dai committenti; è il Consorzio che, in applicazione dell’apposito regolamento consortile, assegna l’esecuzione delle varie commesse ad una o più delle imprese consorziate; è ancora il Consorzio che emette fattura nei confronti del com-mittente sulla base del valore delle prestazioni, come è il Consorzio che riceve dai ... consorziati, esecutori dei lavori, la fattura per le prestazioni eseguite; sul Consorzio (e solo su di esso) gravano le spese generali”; “questa metodologa contabile risulta ... conforme alle previsioni della risoluzione ministeriale n. 399932 del 5 gennaio 1985”;

– “analizzando i bilanci del Consorzio, emerge una situazione di sostanziale pareggio”. 4. Il ricorso dell’Agenzia – i cui motivi, per la loro intima connessione, vanno esa-

minati congiuntamente – deve esser accolto perché fondato. A. In via preliminare va ribadito (Cass., trib., 28 ottobre 2009 n. 22790, la quale ri-

chiama “Cass. n. 8910/2007”) che “il potere di organizzazione dell’impresa”, siccome “esercizio della libertà d’iniziativa economica” (art. 41 Cost.), consente (art. 2602 cod. civ. sostituito dalla L. 10 maggio 1976, n. 377, art. 1, per il cui primo comma “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”; art. 2615 ter cod. civ.: “le società previste nei capi 3° e seguenti del titolo 5° possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602”) che “un certo numero di società commerciali possa istituire, per mutuo accordo fra loro, un consorzio, dandogli la forma legale di società di capitali ed assegnandogli il compito di provvedere ad un cer-to ordine, concordato, di attività e di spese generali, genericamente utili all’intero gruppo ed a ciascuna consorziata, la cui gestione unitaria sia considerata economicamente van-taggiosa sotto gli aspetti dell’efficienza e della convenienza”.

Nella medesima decisione si è, altresì, rettamente statuito:

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

517

(1) che “... in materia tributaria, l’assunzione di obbligazioni consistenti, essen-zialmente, nel demandare al consorzio, in esecuzione dei patti consortili, la gestione esclusiva di determinati affari d’interesse comune (...) e nel sopportarne la spesa pro quota, non spoglia l’impresa consorziata della propria soggettività giuridica e fiscale in ispecie” e;

(2) che “la parte di spesa affrontata da ciascuna società, in base al patto consortile, per assicurarsi i vantaggi derivanti dall’istituzione del consorzio, non ha in se stessa, indefettibilmente, la connotazione d’inerenza, ai sensi ed ai fini dell’art. 75, comma 5, cit. T.U.I.R., essendo ... ogni consorziata tenuta a dimostrare se ed in quale misura, tale spesa sia stata effettivamente sostenuta dal consorzio e si riferisca (anche) ad attività o beni propri (inerenza), da cui siano derivati ricavi od altri proventi che abbiano con-corso a formarne il reddito (Cass. n. 10257/2008) ”: “in mancanza di tale dimostra-zione, la spesa non sarà deducibile”.

Questa Corte – precisato che “la presenza di una società (consortile o meno) costi-tuita nelle forme di una società di capitali (e, come tale, soggetto passivo d’imposta ai fini IRPEG: D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87) non esclude necessariamente la riferibilità alle singole società sode delle attività poste in essere per il suo tramite”, inol-tre, ha chiarito (Cass., trib., 18 giugno 2008 n. 16410 che “i costi della società consorti-le ... costituiscono costipropri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse con-sorziate per mezzo del consorzio” perché la “società consortile ..., per sua natura e fun-zione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico né produce un red-dito proprio”: “la società consortile”, infatti, “nei rapporti interni”, “è sempre e soltan-to uno strumento operativo” per cui “le sue operazioni”, “nei confronti del fisco”, “so-no operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”. “Allo stesso modo” (è stato specificato) “la società consortile non affronta costi propri perché tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della società consortile, sono a carico delle so-cietà consociate”.

L’“adempimento dell’obbligo nascente dalla regolamentazione dei rapporti inter-ni” – “che trova la sua fonte giuridica ed il suo fondamento nel contratto costitutivo della società consortile, assunto nello stesso da ciascuna impresa soda nei confronti della società, oltre che nei rapporti reciproci tra imprese sode, di fornire ... alla società consortile le risorse finanziarie necessarie per l’esecuzione dei lavori” –, come noto, si ottiene, propriamente, con l’“operazione” detta di “riaddebito (o ribaltamento)”.

B. Dalla possibilità (“possono”), riconosciuta dal cit. art. 2615 ter cod. civ. (inseri-to dalla medesima L. n. 377 del 1976, art. 4), per “le società previste nei capi 3° e se-guenti dei titolo 5°” (quindi anche per una società di capitali quale il Consorzio M.), di “assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602”, come già messo in luce nella sentenza 27 novembre 2003 n. 18113 (prima sezione), “sono derivate incer-tezze applicative ogni qual volta si è delineato un contrasto tra regole proprie del fe-nomeno consortile (ad esempio, in tema di recesso ed esclusione di un consorziato) e la disciplina corrispondente al tipo di società voluto dalle parti; contrasti non facil-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

518

mente risolubili, soprattutto quando si tratti di società per azioni o a responsabilità li-mitata, per l’organizzazione ed il funzionamento delle quali è prevista dal codice una disciplina assai puntuale e spesso inderogabile”: in tale decisione si è affermato il prin-cipio secondo cui “se non può escludersi che a determinati affetti l’inserimento della causa consortile in una certa struttura societaria possa comportare un’implicita deroga ad alcune disposizioni altrimenti applicabili a quel particolare tipo di società, quando l’applicazione di quelle disposizioni si rivelasse incompatibile con aspetti essenziali del fenomeno consortile, di certo non si può ammettere che ne vengano stravolti i conno-tati fondamentali del tipo societario prescelto, al punto da renderlo non più riconosci-bile rispetto al corrispondente modello legale”.

Siffatta affermazione, tenuto conto della natura pubblicistica (fiscale) dell’oggetto della controversia, va condivisa (e, perciò, ribadita) nei limiti in cui “i connotati ... del tipo societario prescelto”, ritenuti “fondamentali”, non finiscano per eliminare od an-che solo per eludere, nella sostanza, la “causa consortile” (od “aspetti essenziali del fe-nomeno consortile”) atteso che il volontario inserimento della “causa consortile” nella struttura societaria adottata, da parte dei consorziati, introduce necessariamente co-munque una autolimitazione, almeno interna, delle disposizioni applicabili al “partico-lare tipo di società” prescelto: quella “consortile” (nel senso indicato dall’art. 2602 cod. civ.), infatti, costituisce non solo “scopo” (come pure “oggetto”) della convezione negoziale, ma vera e propria “causa” giuridica del “contratto”, ovverosia il “requisito” (richiesto dall’art. 1325 cod. civ.) la cui non rispondenza (originaria o sopravvenuta) alla concreta, realtà effettiva può assumere rilievo, in particolare, ai sensi del successivo art. 1344 (“si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”) se tesa a violare norme tributarie, attesa l’imperatività propria di queste.

C. Con le sentenze Cass. nn. 30055, 30056 e 30057/2008– i cui principi sono stati condivisi da questa sezione nelle decisioni 9 dicembre 2009 n. 25726 e 13 gennaio 2011 nn. 686-690, tra le molte, infatti, le sezioni unite di questa Corte dichiaratamente aderendo “all’indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza della sezione tribu-taria (..., da ultimo, Cass. nn. 10257/08, 25374/08)” hanno confermato l’“esistenza” nel vigente ordinamento fiscale, di un “generate principio antielusivo” la cui “fonte”, “in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano”, condivisibilmente osservando che “i principi di capacità contributiva ... e di progressività dell’imposizione” di cui all’art. 53 Cost. “costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essen-do anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi” per cui “non può non” (quindi deve) “ritenersi insito nell’ordinamento, co-me diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contri-buente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contra-

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

519

stante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”: “né”, si è aggiunto, “siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizio-ne di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconosci-mento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applica-zione di norme fiscali”.

Nelle medesime decisioni, inoltre, si è precisato che “il tema relativo all’esistenza, validità e opponibilità all’amministrazione del negozio” da cui deriva, nella sostanza, la pretesa fiscale “è acquisito al processo per effetto dell’allegazione da parte del contri-buente” e che da tanto discende la “sicura rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità all’amministrazione del contratto stesso” “sempre che, ov-viamente, ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno even-tualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di in-dagini di fatto”).

D. Per il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 13, comma 1 (il cui disposto è richia-mato, sia pure indirettamente, dal giudice a quo con la dichiarata condivisione del “concetto ... espresso in sede penale” che si rifà alla norma), ancora, “la base imponibi-le delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare com-plessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrat-tuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati ai cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni diretta-mente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”; il comma 2 dello stesso ar-ticolo precisa che “agli effetti del comma 1 i corrispettivi sono costituiti ... b) per i pas-saggi di beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committen-te, di cui al numero 3) dell’art. 2, comma 2, rispettivamente dal prezzo di vendita pat-tuito dal commissionario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto pattui-to dal commissionario, aumentato della provvigione; per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza, di cui al terzo periodo dell’art. 3, comma 3, rispettivamente dal prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, dimi-nuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione”.

L’analisi della norma evidenzia che “per i passaggi di beni dal committente al commissionario o dai commissionario al committente” “di cui al numero 3) del com-ma 2, dell’art. 2” e “per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rap-presentanza” la “provvigione” spettante al mandatario – il quale quando “agisce in no-me proprio ma nell’interesse di altro soggetto” (“mandatario senza rappresentanza”), giusta anche l’“art. 6, quarto paragrafo, direttiva CEE 77-388 del 17 maggio 1977”, de-ve essere considerato (Cass., trib., 27 agosto 2001 n. 11267) quale “operatore in pro-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

520

prio” – costituisce sempre una componente da aggiungere o da sottrarre, a seconda del caso, al “prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario” e/o al “prezzo di ac-quisto del servizio ricevuto dal mandatario”: discende che per la norma il “prezzo” (“di vendita”; “di acquisto”; “di fornitura del servizio”; “di acquisto del servizio”) eventual-mente pattuito dal mandatario con il committente va considerato integralmente come “prezzo” dell’operazione economica, con la necessaria conseguenza logica che nessuna parte di questo può andare mai a beneficio e/o a danno del “mandatario”.

Il rilievo importa l’ulteriore corollario per il quale, come intuitivo, la “provvigione” del mandatario (quando effettivamente dovuta), a fini fiscali, acquista giuridica evi-denza solo se ha una sua univoca e chiara rappresentazione, prima contabile e poi fi-scale, come tale, nelle scritture del mandatario e del mandante. Peraltro e comunque di “provvigione” e, correlativamente, di applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, può parlarsi solo in ipotesi di avvenuta corresponsione di una “provvigione”: è ben vero, infatti, che per l’art. 1709 cod. civ. “il mandato si presume oneroso”, ma è anche vero (Cass., 2°, 16 aprile 1987 n. 3774) che tale presunzione, siccome iuris tantum (Cass., 2°, 27 maggio 1982 n. 3233), può bene essere vinta dal complessivo compor-tamento della parti: comunque, attesa la posizione di terzo dell’erario, si deve sempre allegare e provare che vi è stata richiesta ed effettiva corresponsione di una provvigio-ne al Consorzio, almeno da parte della impresa consorziata interessata dall’esecuzione di opere acquisite dallo stesso.

E. I principi richiamati (che vanno ribaditi perché non contrastati da argomenta-zioni contrarie) e le osservazioni che precedono rendono evidente – attese (1) la ne-cessità di salvaguardare, per la sua assoluta preminenza, il perseguimento dello scopo mutualistico proprio della pattuita “causa consortile” e (2) l’assenza di qualsivoglia fi-nalità lucrativa propria del Consorzio di cui all’art. 2602 cod. civ. (a) l’erroneità (in diritto, giusta il principio richiamato al punto A secondo cui le “operazioni” della “so-cietà consortile”, “nei confronti del fisco”, “sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”, sicché tale “società”, per sua natura, scopo e funzione, deve in defettibilmente operare, nei rapporti con le imprese consorziate, per “trasparenza”) (al) della tesi (sostenuta dal Consorzio e recepita dai giudici del merito) della legitti-mità dell’emissione, da parte della consorziata esecutrice della commessa, di “fatture di valore inferiore rispetto a quella della commessa fatturata dal Consorzio al commit-tente onde coprire con la differenza i costi di gestione propri nonché il funzionamento della organizzazione consortile” e, di implicito (ma necessario converso, essendosi al medesimo punto A ribadito che “la società consortile non affronta costi propri perché tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della società consortile, sono a ca-rico delle società consociate”), (a 2) della (tesi della) insindacabilità della scelta del Presidente del Consorzio di non addebitare costi dell’ente alle imprese consorziate, nonché (b) l’illegittimità (con gli afferenti riflessi fiscali per tutte le parti coinvolte ed interessate) dell’omesso integrale ribaltamento economico (bl) dell’operazione ese-guite da una o più imprese consorziate e, parimenti, (b2) dei componenti positivi e

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

521

negativi (b2a) delle operazioni economiche eseguite in proprio dal Consorzio e (b2b) di quelle affidate all’esecuzione di terzi. Il Consorzio (quale la M.) nato dallo specifico contratto per le finalità (“organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”) previste dall’art. 2602 cod. civ., invero, diversamente da quanto affermato (richiamando il “concetto” che assume espresso “in sede penale”) dalla Commissione Tributaria Regionale, non può e non deve avere (se vuole mantenere la qualità, soprattutto a fini fiscali) nessun “vantaggio economico ... per sé” (cfr., supra, ancora sub A: “la società consortile ..., per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico”) perché tali vantaggi (come gli eventuali svantaggi) appartengono (in aderenza alla convenuta finalità ne-goziale) unicamente, sempre e solo, alle “imprese” consorziate.

F. In linea generale, ancora, va osservato che, a fini fiscali, la misura del ribaltamen-to, come naturale, deve considerare non solo le peculiarità del tipo societario adottato e, conseguentemente, le afferenti previsioni statutarie, ma anche tenuto conto della indefettibilità della “connotazione di inerenza” richiamata al n. (2) del punto A la sua legittimità fiscale alla luce del principio di “inerenza” alla consorziata della operazione ribaltata, dovendosi, peraltro, ritenere (giusta le osservazioni che precedono) sempre sussistente tale requisito in ipotesi di operazioni economiche eseguite o direttamente dal Consorzio o con l’ausilio di imprese terze, essendo queste ultime evidentemente (sempre per lo scopo mutualistico perseguito) inerenti a tutte le consorziate, anche in considerazione del corrispondente obbligo legale di ognuno di sopportare i costi ge-stionali del Consorzio.

G. La (ormai incontestabile, essendo ritenuta corretta anche dalla contribuente) riconduzione di tutta l’attività economica e giuridica svolta dal Consorzio in esecuzio-ne dello “scopoconsortile” ad un rapporto di “mandato senza rappresentanza”, confe-rito in via generale da ciascuna impresa consorziata, importa – in base al principio (Cass., 1°, 8 maggio 2009 n. 10590, la quale richiama la “giurisprudenza consolidata di legittimità, a far tempo da Cass. 18 aprile 1957 n. 1331; 28 luglio 1958 n. 2724 – cui più recentemente hanno fatto riscontro Cass. 28 luglio 1988 n. 2724; 29 maggio 1993 n. 6024; 28 settembre 1994 n. 7899; 14 ottobre 1995 n. 10.768; 23 giugno 1998 n. 6246; 27 novembre 1999 n. 13.261; 1 aprile 2003 n. 4886; 27 luglio 2004 n. 14.094”) secondo cui nel “nel rapporto fiduciario concorrono due negozi, il patto di fiducia e il mandato senza rappresentanza, l’uno dispositivo e l’altro, conseguente, di natura obbli-gatoria, distinti ma collegati funzionalmente, ognuno dei quali produce gli effetti suoi propri; collegamento in forza del quale il primo, di carattere esterno, determina il trasfe-rimento di diritti ovvero la insorgenza di situazioni giuridiche in capo al fiduciario, men-tre il secondo, di carattere interno, crea a carico di quest’ultimo l’obbligo di ritrasferire al fiduciante o al terzo il diritto” – che la eventuale mancata conoscenza (1) da parte dell’impresa consorziata esecutrice dei lavori dell’effettivo importo pattuito dal Consor-zio con il committente esterno e (2) da parte di tutti i consorziati dell’ammontare com-plessivo delle commesse eseguite dal Consorzio mediante proprie strutture o con l’affi-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

522

damento a imprese terze estranee al Consorzio, come (3) delle eventuali diverse e/o maggiori spese generali gestionali (in particolare quanto all’applicazione della norma del “quartultimo comma dell’art. 6 dello statuto consortile” per il quale “le spese generali vengano ripartite in capo ai consorziati solo nel caso in cui il presidente ne decida la ri-partizione stessa, previa convocazione dell’assemblea”), afferisce unicamente all’esatto adempimento del mandato da parte del mandatario (id est, la società consortile) e, quindi, relega la questione ai rapporti “interni” tra consorzio ed imprese consorziate per-ché queste, tenuto conto della ineludibilità del più volte richiamato principio di “ineren-za”, nei confronti del fisco rispondono sempre e comunque di tutta l’attività economica riconducibile a ciascuna.

H. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata perché affetta dai vizi evidenziati e la causa va rinviata a sezione della Commissione Tributaria Regionale diversa da quella che ha pronunciato la decisione annullata affinché la stessa (1) rin-novi l’esame dell’appello facendo applicazione degli enunciati principi in ordine al ob-bligo del Consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 cod. civ. di ribaltare sulle imprese consorziate – secondo i criteri di leggi (specie quanto all’“inerenza”) o quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi (nel senso precisato al punto C.) delle norme fiscali – tutte le operazioni economiche da esso conseguite, che siano realizzate da una o più imprese consorziate oppure con strutture proprie o con impie-go di imprese terze, e (2) provveda anche a regolare tra le parti le spese di questo giu-dizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche

per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

523

Il “ribaltamento” obbligatorio di costi e ricavi nei consorzi, tra esasperata valorizzazione della mutualità

ed esigenze di contrasto all’abuso di diritto

The compulsory “reallocation” of costs and receipts in consortia, from an exacerbated valorization of mutualism

and contrast requirements up to the abuse of law

Abstract La sentenza della Corte di Cassazione 17 giugno 2011, n. 13295 nella quale si af-ferma che una società consortile, essendo caratterizzata dallo scopo mutualistico, sarebbe soggetta in ogni caso all’obbligo di ribaltare sulle imprese consorziate tutte le operazioni economiche da essa eseguite, sembra fondarsi sull’imposta-zione (datata) secondo cui lo scopo lucrativo e quello mutualistico sono fra loro incompatibili. Detto assunto finisce con l’inficiare l’intera sentenza e porta i giu-dici a non distinguere tra le commesse procacciate dalla società consortile e rea-lizzate da una o più imprese consorziate e quelle eseguite direttamente dalla stes-sa società consortile con strutture proprie o indirettamente con impiego di im-prese terze non consorziate e ad affermare che, in entrambe le fattispecie, il man-cato ribaltamento dei ricavi e costi genera un’evasione dell’IVA. Invero, per l’attività marginalmente e/o occasionalmente svolta in proprio dal consorzio (e non funzionale all’attività delle consorziate) non sembra corretto procedere al ribaltamento dei relativi costi e ricavi, né a ben vedere si potrebbe individuare un criterio mutualistico adeguato per operare tale ribaltamento. Sot-to il profilo IVA, poi, salvo talune situazioni in cui le consorziate patiscono limi-tazioni all’esercizio della detrazione nelle quali si potrebbe verificare un abuso di diritto, l’omesso ribaltamento dei costi e ricavi afferenti a tale attività non altera il meccanismo di funzionamento dell’IVA essendo la stessa liquidata dalla società consortile in luogo delle consorziate. Viene infine proposta una breve riflessione su due profili marginalmente affron-tati dalla sentenza, vale a dire se la scelta della forma consortile possa configurare un abuso del diritto e fino a che punto il requisito dell’inerenza possa essere uti-lizzato per disconoscere i costi ribaltati dalla società consortile sulle imprese con-sorziate. Parole chiave: consorzio, ribaltamento, IVA, scopo mutualistico, inerenza, abu-so di diritto

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

524

The decision of the Italian Supreme Court (ISC) No. 13295 of June 17, 2011, which established that a consortium – having a mutual aim – shall be subject in any case to the duty of shifting on the associated companies all its economic operations, seems to be based on the (traditional) approach that considered incompatible lucrative and mutualistic aims. This assumption i. risks to undermine the entire decision and brings the judges to confuse the orders gathered by the consortium and processed by one or more associated companies, with the ones processed directly by the consortium through its structures or indirectly relying on third non-associated companies, and ii. leads to consider that, in both cases, the absence of shifting profits and costs generates a VAT evasion. Indeed, whether the activity is marginally and/or occasionally performed by the con-sortium itself (and it is not functional to the associated companies’activity), it does not seem correct to shift costs and profits on associated companies nor an adequate mutual-istic criterion is easily identifiable. Under the VAT perspective – with the exception of certain situations where the associated companies suffer limitations to the right of de-duction, which may realise an abuse of law – the absence of shifting profits and costs concerning such activity does not alter the VAT functioning mechanism, since the tax is paid by the consortium instead of the associated companies. Finally, two marginal aspects of the decision should be analysed: if the choice of the consortium is capable of setting up an abuse of law and to which extent the inherence principle shall be used for denying the legitimacy of costs shifted to the associated companies. Keywords: consortium, shifting of costs, VAT, mutual aim, inherence, abuse of law

SOMMARIO: 1. Il caso esaminato dalla Corte. – 2. La rilevanza fiscale della distinzione tra attività assunte dal consorzio e svolte dalle consorziate e attività autonomamente svolte ed eseguite dal consorzio. Possibile estraneità di quest’ultime allo scopo mutualistico principalmente perseguito dal con-sorzio e conseguente erroneità del “ribaltamento” di costi e ricavi. – 3. La Corte sembra non escludere la rilevanza fiscale della provvigione riconoscibile al consorzio in base agli artt. 3, comma 3 e 13 del decreto IVA. Tale norma appare tuttavia inconferente per le attività auto-nomamente svolte dal consorzio. – 4. Il ribaltamento deve avvenire nel rispetto del divieto di abuso del diritto e del principio di inerenza. L’assunzione della forma consortile non può con-figurare di per sé un abuso del diritto.

1. Il caso esaminato dalla Corte

Nella sentenza in rassegna la Corte di Cassazione viene chiamata a decidere

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

525

sulla legittimità del comportamento di una società consortile per azioni, la quale, acquisite le commesse da terzi, in taluni casi, le affidava alle consorziate per l’ese-cuzione, in altri, provvedeva ad eseguirle direttamente con la propria struttura or-ganizzativa o, comunque, tramite affidamento a soggetti terzi non consorziati.

Nel primo caso, la società consortile emetteva fattura nei confronti del commit-tente per l’intero importo pattuito, ma ribaltava solo una parte degli importi incas-sati sulle consorziate che avevano eseguito i lavori. La differenza, trattenuta a titolo di provvigione dal mandatario senza rappresentanza, veniva imputata dalla società consortile alla copertura dei propri costi di gestione e, a detta dell’Agenzia, com-pensata sotto il profilo IVA con tali costi che, a loro volta, non venivano rifatturati dalla società consortile alle consorziate.

Quando, invece, la società consortile, assumeva ed eseguiva autonomamente le commesse, non provvedeva a ribaltare sulle consorziate i relativi costi e ricavi, ma compensava gli stessi (nella loro sintesi dell’utile) con i costi generali a cui le con-sorziate dovevano partecipare 1, realizzando, ancora una volta per l’Agenzia, una compensazione inaccettabile sotto il profilo IVA.

A seguito dei rilievi della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate recupera-va nei confronti del consorzio solamente 2 la maggiore IVA relativa agli importi ri-baltati in modo occulto sulle consorziate (tramite la compensazione), ma non fat-turati alle stesse.

Adite le vie giudiziarie il consorzio vedeva riconosciuta la legittimità della pro-cedura seguita, tanto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino, quanto da quella Regionale del Piemonte.

L’Agenzia delle Entrate rimetteva la questione al Giudice di legittimità chie-dendo la cassazione della decisione della Commissione Tributaria Regionale prin-cipalmente:

a) per violazione e falsa applicazione dell’art. 2602 c.c., dell’obbligo di fattura-zione di cui all’art. 21, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e del principio generale del divieto di abuso del diritto desumibile dall’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 laddove, accertato che la società consortile applicava le procedure sopraccitate, negava che la stessa, per sua natura mutualistica, priva di scopo di lucro e neutrale, avesse l’ob-bligo di ribaltare (con relativo obbligo di fatturazione) sulle consorziate tutti i co-sti generali di gestione e i costi specifici relativi alle singole commesse;

1 In alcuni punti il testo della sentenza non risulta particolarmente chiaro. Ciò accade anche nell’esposizione dei fatti in causa, laddove in merito al modo di operare della società consortile nel caso di commessa autonomamente eseguita, la sentenza si limita a dire che la medesima «ometteva di ribaltare formalmente sulle consorziate (...) gli utili e i costi (...) attraverso una forma di compen-sazione reciproca degli utili spettanti alle consorziate e dei costi a cui le stesse dovevano partecipare». La parola utili sembra usata, infatti, impropriamente nel senso di ricavi.

2 Avendo la società consortile provveduto alla definizione automatica delle imposte dirette e dell’IRAP ai sensi dell’art. 9 della L. 27 dicembre 2002, n. 289.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

526

b) per violazione e falsa applicazione dell’art. 2602 c.c., dell’art. 3, comma 3 e dell’art. 13, comma 1 e 2, nonché dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 e del princi-pio del divieto di abuso del diritto avendo la società consortile trattenuto indebi-tamente la “provvigione” sulle commesse svolte dalle consorziate senza ribaltare interamente i proventi della commessa sulle stesse (ma trattenendone una parte) ap-plicando falsamente il regime IVA del mandatario senza rappresentanza.

Negli altri tre motivi di doglianza, in verità consequenziali ai primi due, l’Agen-zia contestava, da un lato, l’erroneo rovesciamento da parte dei giudici di secondo grado sull’Agenzia dell’onere probatorio del ribaltamento specifico dei costi tra le consorziate (non potendo, per i giudici, la stessa Agenzia procedere per dati con-tabili aggregati) e, dall’altro, l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sen-tenza della Commissione Tributaria Regionale che, in un primo momento, affer-mava non esservi prova degli specifici ribaltamenti e, in un secondo momento, ne descriveva invece dettagliatamente il meccanismo di funzionamento.

Per parte sua, la società consortile invocava a sostegno della correttezza del pro-prio agire l’autonoma soggettività della società consortile e la natura imprenditoriale della sua attività. Richiamava, inoltre, la procedura contabile suggerita dalla Nota Dir. TT. AA. 5 gennaio 1985, n. 399932 ancorché quest’ultima, ad un’attenta lettura, indichi una procedura in parte diversa da quella seguita dalla società consortile 3; in particolare per quanto riguarda le spese generali che nel caso di specie, a differenza di quanto suggerito dalla Nota, sembrerebbero gravare solo sulla società e che ver-rebbero coperte dai minori importi rifatturati dalle consorziate alla società stessa.

La Corte di Cassazione analizza congiuntamente i motivi di ricorso ed accoglie le doglianze dell’Agenzia delle Entrate condividendo la tesi secondo cui la società consortile, attraverso la compensazione tra componenti attive e passive relative alle consorziate, ha posto in essere un ribaltamento occulto e ha, conseguentemen-te, evaso l’imposta sul valore aggiunto connessa agli importi compensati.

Per risolvere in tal modo il caso di specie, la Corte di Cassazione finisce con l’affermare, in ogni caso, la trasparenza dei consorzi 4, ovvero l’obbligo per ogni

3 In tale nota, infatti, l’Amministrazione specifica che nel caso di consorzio che agisce come man-datario senza rappresentanza per l’assunzione di commesse che vengono poi eseguite dai consorzia-ti, ciascuna impresa consorziata deve emettere fattura con applicazione dell’IVA nei confronti del consorzio in ragione dell’utilizzo del servizio consortile, mentre il consorzio, per i compensi che ri-ceve dagli associati al fine della copertura delle spese sostenute, deve emettere regolare fattura as-soggettata ad IVA. Di contro, specifica ancora l’Amministrazione nella seconda parte della nota, laddove il consorzio agisca come mandatario con rappresentanza – e non è il caso della società con-sortile in parola –, ciascuna impresa consorziata emetterà fattura direttamente nei confronti del committente dei lavori, mentre eventuali attribuzioni alle consorziate da parte del consorzio nel-l’ambito del rapporto di mandato con rappresentanza, non sono operazioni rilevanti ai fini IVA, co-stituendo le stesse semplice ripartizione di somme.

4 Nel commento si userà in modo intercambiabile il termine consorzio e società consortile, po-

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

527

consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 c.c. di ribaltare sulle impre-se consorziate tutte le operazioni economiche da esso eseguite, sia nel caso in cui siano realizzate da una o più imprese consorziate, sia nell’ipotesi in cui siano realiz-zate dal consorzio stesso direttamente con strutture proprie o indirettamente con impiego di imprese terze.

Interessanti, sotto il profilo sostanziale che ci occupa, sono anche i richiami del-la decisione della Corte:

a) al principio affermato in precedenti pronunce 5 per il quale le spese ribaltate non hanno “indefettibilmente” il requisito dell’inerenza di cui all’art. 75 TUIR (oggi art. 109 TUIR) dovendo ogni consorziata dimostrarne il riferimento all’atti-vità svolta;

b) all’ulteriore questione se, nel caso di specie, il ricorso alla struttura consortile possa configurare un abuso del diritto come esplicitamente affermato dall’Agenzia nei primi due motivi di doglianza.

Entrambe le questioni non trovano uno spazio autonomo nella sentenza, pur-tuttavia non vengono affatto accantonate dalla Corte di Cassazione la quale, dopo aver affermato l’obbligo per il consorzio del ribaltamento dei costi e dei ricavi sulle consorziate, lo sottopone ai soli limiti per le consorziate (e non per il consorzio) dell’inerenza e della non abusività del ricorso alla struttura consortile.

2. La rilevanza fiscale della distinzione tra attività assunte dal consorzio e svolte dalle consorziate e attività autonomamente svolte ed eseguite dal consorzio. Possibile estraneità di quest’ultime allo scopo mutualistico principalmente per-seguito dal consorzio e conseguente erroneità del “ribaltamento” di costi e ricavi

La Corte fonda l’obbligo del ribaltamento attraverso i richiami ad altri assunti affermati in precedenti pronunce.

In primo luogo, afferma che la soggettività del consorzio non esclude necessa-riamente la riferibilità alle consorziate delle attività poste in essere per il suo tramite.

In secondo luogo, che i costi della società consortile costituiscono costi propri delle consorziate affrontati dalle medesime per mezzo dello strumento consortile e sto che, ai fini della valutazione dell’impatto della mutualità sul regime impositivo, i due istituti non presentano, a parere di chi scrive, sostanziali differenze, esistenti invece sotto altri aspetti. La stessa sentenza sottolinea, infatti, che «il volontario inserimento della “causa consortile” nella struttura societaria adottata, da parte dei consorziati, introduce necessariamente comunque una autolimita-zione, almeno interna, delle disposizioni applicabili al “particolare tipo di società” prescelto: quella “consortile” (...), infatti, costituisce non solo “scopo” (come pure “oggetto”) della convenzione ne-goziale, ma vera e propria “causa” giuridica del “contratto”».

5 Cass. 28 ottobre 2009, n. 22790, in Banca dati fisconline.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

528

ciò perché la società consortile per sua natura e funzione non persegue un proprio interesse economico, non produce un reddito proprio, è sempre e soltanto uno stru-mento operativo delle consorziate. Nei confronti del fisco le operazioni del con-sorzio sono operazioni delle consorziate e i relativi costi, anche quelli per il mero funzionamento della struttura, sono tutti costi a carico delle consociate 6.

Se è vero che l’indubbia soggettività tributaria delle società consortili e dei con-sorzi esterni 7 non appare rilevante per escludere la riferibilità del presupposto alle consorziate piuttosto che al consorzio stesso, analoghe considerazioni non posso-no farsi per lo scopo mutualistico normalmente perseguito dalle strutture consortili.

Alla causa consortile viene normalmente attribuita, dalla dottrina commerciale, natura mutualistica 8. La mutualità consortile, partendo dall’art. 2602 c.c., consiste-rebbe nello svolgimento o nella disciplina in comune di una o più fasi delle consor-ziate al fine di conseguire direttamente nelle economie delle stesse un vantaggio di natura economica concretizzantesi normalmente in maggiori entrate o minori spe-se per le imprese sode. Il vantaggio economico, che le consorziate non consegui-rebbero senza la struttura consortile, non viene normalmente raggiunto dal con-sorzio e in un secondo momento distribuito alle consorziate sotto forma di utile, ma viene realizzato direttamente da queste ultime nella propria gestione quale mi-glioramento del proprio risultato economico 9. Si è utilizzato volutamente l’avver-bio “normalmente” posto che un tema ancora (in parte) controverso in dottrina è quello della compatibilità dello scopo mutualistico perseguito (principalmente e normalmente) dai consorzi con lo scopo lucrativo.

Se è vero che in passato si è ritenuto che la causa mutualistica fosse incompati-bile con lo scopo lucrativo 10, oggi tale assunto appare superato, ancorché con di-verse sfumature, e ciò anche alla luce del dato normativo. Se infatti l’art. 4 della L. n. 240/1981 ha previsto per i consorzi e le società consortili, per poter fruire di una determinata agevolazione fiscale, l’obbligo di prevedere il divieto statutario di di-

6 Così Cass. 18 giugno 2008, n. 16410, in Banca dati fisconline. 7 Mi sia consentito sull’argomento della soggettività dei consorzi rinviare al mio INTERDONATO,

Il regime fiscale dei consorzi tra imprenditori, Milano, 2004, p. 35 ss. 8 Nel senso che i consorzi siano caratterizzati dallo scopo mutualistico perseguito v. PAOLUCCI, I

consorzi per il coordinamento della produzione e dello scambio, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1983, pp. 434 e 448; BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu-F. Messineo, Milano, 1985, p. 95 ss.; VOLPE PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico economico, diretto da F. Galgano, Padova, 1981, p. 327; MINERVINI, La nuova disciplina dei consorzi, in Giur. comm., 1982, I, p. 873. Per ulteriori riferimenti bibliografici si rinvia a INTERDONATO, op. cit., p. 174, nota 8.

9 Sul punto v. CAPURSO, Agevolazioni ai consorzi e alle società consortili, in Giur. comm., 1982, I, p. 873 e BORGIOLI, op. cit., p. 95.

10 Così VOLPE PUTZOLU, op. cit., p. 345; BELVISO, Intervento, in Giur. comm., 1978, I, p. 329; COT-TINO, Diritto commerciale, I, tomo II, Padova, 1999, pp. 677 e 678.

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

529

stribuzione sotto qualsiasi forma di utili alle imprese consorziate, significa che tale divieto non consegue di per sé dalla causa mutualistica e che, pertanto, un utile può essere prodotto dal consorzio 11. Da qui alcuni ritengono lo scopo lucrativo perse-guibile solo in via secondaria 12, altri sempre in via accessoria, ma comunque non in senso soggettivo 13; infine, altri ancora ritengono possibile il perseguimento dell’u-tile solo in via occasionale e solo per attività riferibili a quelle mutualistiche 14.

La Corte nell’affermare l’esclusività dello scopo mutualistico (“è sempre e sol-tanto uno strumento operativo” delle consorziate) sembra invece escluderne la compatibilità con lo scopo lucrativo (ancorché possibile, si è detto, per la maggio-ranza degli Autori perlomeno limitatamente alle operazioni accessorie e/o occa-sionali).

La rigidità e la non attualità di tale interpretazione, su cui si fonda l’intera senten-za, appare così il principale neo della medesima, ancorché limitarsi a tale constata-zione possa risultare superficiale e rendere del resto accettabile la facile controbie-zione secondo la quale tale interpretazione era comunque nelle opzioni della Corte.

A parere di chi scrive, la tesi della compatibilità dei due scopi (con i limiti evi-denziati) invece sembra la più fondata soprattutto se si analizzano sotto il profilo fiscale le conseguenze derivanti dalla sua applicazione al caso dei consorzi che as-sumono ed eseguono in proprio attività che esauriscono l’intero ciclo produttivo e non connesse ad altre attività mutualistiche. Nel caso sottoposto alla Corte vengo-no esaminate congiuntamente due distinte tipologie di commesse assunte dalla società consortile, tipologie che, come si vedrà tra breve, occorre invece tenere ben distinte: da un lato, le commesse assunte dalla società consortile e assegnate alle consorziate per l’esecuzione, dall’altro quelle assunte ed eseguite direttamente dal-la società consortile con propria struttura organizzativa o, comunque, tramite l’affi-damento ad imprese terze non consorziate.

Nel primo caso il consorzio svolge una fase del processo produttivo (coinci-dente con lo stadio iniziale del procacciamento e della sottoscrizione delle com-messe), nel secondo l’attività consortile coincide con (ed esaurisce tale) processo.

Sotto il profilo civilistico non vi sono oramai più dubbi sulla possibilità che un consorzio possa svolgere non solo “determinate fasi” delle imprese consorziate 15,

11 Così BORGIOLI, op. cit., p. 135. 12 V. BORGIOLI, op. cit., p. 137. 13 Per MASARÀ, Le “società” senza scopo di lucro, Milano, 1984, p. 218, l’attività con i terzi può es-

sere esercitata «soltanto nella misura necessaria a conferire il massimo grado di economicità alla gestione del servizio».

14 Così MOSCO, I consorzi tra imprenditori, Milano, 1988, p. 116, in particolare nota 117, ove l’Autore, portando alcuni esempi, ritiene possibile il perseguimento di uno scopo lucrativo nella mi-sura in cui l’attività con i terzi sia comunque fondamentale per il perseguimento dell’oggetto consor-tile, coincidendo con la realizzazione della fase imprenditoriale affidata al Consorzio.

15 Com’è noto l’art. 2602 c.c., nel definire il contratto di Consorzio, parla di un’organizzazione

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

530

ma l’intero ciclo produttivo. Benché sul punto si registrino, ancorché datate, voci contrarie 16, la dottrina più attenta 17 ritiene possibile che la “fase” comprenda l’in-tero ciclo produttivo o consista nel compimento di un unico affare. D’altro canto, la stessa legislazione speciale sugli appalti pubblici sembra consentirlo (artt. 94 e 277 del D.P.R. n. 207/2010 e, nel previgente regime, l’art. 10 della L. n. 109/1994). Pos-siamo osservare che quando il consorzio si limita al procacciamento delle com-messe l’attività consortile integra perfettamente lo scopo mutualistico svolgendo il consorzio in chiave mutualistica una fase (preliminare) del processo produttivo delle consorziate. Di contro, laddove il consorzio procacci la commessa e vi dia au-tonoma esecuzione, anche tramite soggetti terzi non consorziati (e, addirittura, – par di capire dalla sentenza – senza nemmeno darne conto alle imprese consorzia-te, ancorché il dato non appaia rilevante) 18, il fine mutualistico non sembra imme-diatamente percepibile.

Anche in questa ipotesi occorre fare un’ulteriore distinzione. Non si vuol sostenere, infatti, che, ogniqualvolta un consorzio svolga autono-

mamente una attività, assumendosi l’intero processo produttivo, detta attività, in quanto svolta senza l’ausilio delle consorziate, esuli dalla causa mutualistica, po-tendo ben accadere che il consorzio svolga tale attività per avvantaggiare comun-que le imprese socie procurando direttamente nelle loro economie un vantaggio, in termini di contenimento dei costi e/o di conseguimento di maggiori ricavi 19.

Si pensi, ad esempio, al consorzio di imprese edili che per completare un’offerta di gara ed aggiudicarsi una commessa (o per l’esatto adempimento della stessa) acquisisca esternamente, o provveda autonomamente a rendere, un servizio com-plementare richiesto nel capitolato (ad esempio, il servizio di impiantistica) che nessuna delle imprese consorziate fornisce. In tal caso, è evidente come l’attività direttamente curata dal consorzio (il servizio di impiantistica, nel nostro esempio), soddisfi perfettamente lo scopo mutualistico perseguito dallo stesso poiché, in sua comune per la disciplina o lo svolgimento di “determinate fasi” delle imprese coinvolte. Sul punto v. GALGANO, Diritto civile e commerciale. L’impresa e le società, vol. III, tomo 1, Padova, 2004.

16 Così BORGIOLI, op. cit., pp. 91 e 92. 17 V. GALGANO, Le “fasi dell’impresa” nei consorzi fra consorzi fra imprenditori, in Contr. e impresa,

1986, p. 11 ss.; ID., Diritto civile e commerciale, cit., p. 228 ss. e SARALE, Consorzi e società consortili, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, vol. III, Padova, 2004, p. 440 ss.; PAOLUCCI, Consorzi e società consortili nel diritto commerciale, in Dig. it., Torino, 1988, p. 443. Si v. anche VOLPE PUTZOLU, op. cit., p. 332 ss. (in part. nota 47), per la quale il consorzio può compiere un unico affare purché l’oggetto dell’attività assuma le dimensioni di una vera e propria organizzazione.

18 Così la stessa Corte di Cassazione, la quale, al punto G della sentenza, relega ai rapporti “interni”, irrilevanti per i terzi e, quindi, anche per l’Agenzia delle Entrate, «la eventuale mancata conoscenza da parte dell’impresa esecutrice dei lavori dell’effettivo importo pattuito dal Consorzio con il committente esterno e da parte di tutti i consorziati dell’ammontare complessivo delle commesse eseguite dal Con-sorzio mediante proprie strutture o con l’affidamento a imprese terze estranee al Consorzio».

19 In questo senso, esplicitamente, MOSCO, op. cit., p. 116 e in part. nota 117.

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

531

assenza, il consorzio non avrebbe potuto partecipare alla gara e conseguire la commessa della quale, per la gran parte, hanno beneficiato le consorziate fornendo i loro servizi e conseguendo le utilità direttamente nelle loro economie: come si vede, dunque, perfettamente in linea con lo scopo mutualistico.

Diversa è l’ipotesi in cui la commessa acquisita ed eseguita dal consorzio non sia riferibile in alcun modo all’attività delle consorziate ed esaurisca l’intero ciclo produttivo. In tal caso, l’attività posta in essere dal consorzio (attività completa, organizzata da propri organi o tramite soggetti terzi, della quale il consorzio so-stiene tutti i relativi costi e spese) non può essere qualificata come un’attività di servizio all’attività delle consorziate. Essa non ha alcun effetto diretto sulle consor-ziate. Nella fattispecie in parola, dunque, lo “scopo mutualistico” finisce col ridursi ad una mera aspettativa alla distribuzione del risultato economico conseguito dal consorzio stesso.

L’impostazione testé richiamata trova un’innegabile conferma laddove ci si chieda, nel caso in parola, quale debba essere il criterio mutualistico in base al qua-le il consorzio “ribalta” sulle consorziate i costi e i ricavi delle operazioni poste in essere 20.

Invero, quando il consorzio si limita ad assumere le commesse che poi verran-no eseguite dalle consorziate, i componenti positivi e negativi potranno essere ri-baltati sulle consorziate in proporzione al quantum di utilizzo del servizio consorti-le da parte di ciascuna di esse, vale a dire secondo un criterio mutualistico. Del pa-ri, anche laddove il consorzio esegua autonomamente una o più attività estranee alle attività delle consorziate, ma comunque facenti parte di un processo produtti-vo più ampio e per la maggior parte svolto dalle consorziate, non sembra scorretto ripartire e ribaltare anche i componenti positivi e negativi afferenti le attività auto-nomamente poste in essere dal consorzio secondo il medesimo criterio mutualisti-co di utilizzo del servizio consortile (criterio sicuramente utilizzabile per la mag-gior parte del processo produttivo) 21.

Tuttavia, quando si affronta il caso del consorzio che assume ed esegue auto-nomamente le commesse, senza che quest’ultime possano essere ricondotte alla causa consortile (non potendo essere qualificate, nemmeno in ipotesi, come attivi-tà al servizio delle imprese consorziate), non si riesce ad individuare un criterio mutualistico per la ripartizione tra le consorziate dei componenti positivi e negati-vi dell’attività posta in essere dal consorzio. In tal caso, a meno di ricorrere a criteri

20 Per questa impostazione mi sia consentito rinviare amplius a INTERDONATO, op. cit., p. 191 ss. 21 Lo stesso GALGANO, Diritto civile e commerciale, cit., p. 231, ritiene che «il rischio relativo agli

appalti, che non si possano o non si vogliano affidare in esecuzione alle imprese consorziate, dovrà comunque essere trasferito su di esse: ad una o più di esse, se accettano di assumerlo per intero (as-sumendo ciascuna una data percentuale di partecipazione agli utili e alle perdite); altrimenti a tutte le imprese consorziate, fra le quali si ripartiscono utili e perdite dell’affare».

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

532

del tutto arbitrari, l’unica soluzione appare la ripartizione di dette componenti tra le imprese consorziate in ragione della loro partecipazione al fondo consortile.

Se così è, però, non si vede, nel caso di specie, in cosa l’organizzazione consorti-le si distingua dalle società lucrative e, tantomeno, si comprende perché il risultato economico realizzato dal consorzio nelle commesse anzidette debba subire, dal pun-to di vista tributario, un trattamento differente rispetto al risultato economico di una società non consortile 22.

Trasposte tali considerazioni al principio affermato dalla Corte di Cassazione, emerge agevolmente che la sentenza in commento finisce col trattare congiunta-mente fattispecie che devono essere invece tenute distinte ed impone l’obbligo del “ribaltamento” anche ad attività occasionali e/o accessorie interamente ed unita-riamente svolte dal consorzio senza l’ausilio delle consorziate, con propria orga-nizzazione di mezzi e personale, esterne e svincolate da ogni altra attività mutuali-stica esercitata dal consorzio.

E ciò senza, tra l’altro, che l’art. 2602 c.c. invocato dagli stessi imponga sul pia-no civilistico il “ribaltamento” tecnico integrale di costi e ricavi, potendo la richie-sta assunzione del rischio di impresa da parte delle consorziate, anche nei consorzi che assumono ed eseguono l’intera attività, avvenire mediante le compensazioni (tra utili e costi generali) denegate dai giudici, purché il risultato economico emer-ga nelle economie delle consorziate e si azzeri o riduca nella stessa misura in capo al consorzio.

Tale interpretazione non contrasta col principio richiamato dalla Corte attra-verso un suo precedente 23 secondo il quale «la società consortile per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico né produce un reddito proprio» 24. L’attività principale del consorzio non può infatti che esse-

22 E ciò in particolare per le imposte dirette, ancorché la valenza dell’affermazione riproduca i suoi effetti anche ai fini IVA, oggetto della materia del contendere. Sul regime tributario applicabile ai consorzi ai fini delle imposte dirette, qui tralasciato non essendo trattato nella sentenza per l’ope-rare del condono, sia consentito rinviare a INTERDONATO, op. cit., p. 184 ss.

23 Cass. 18 giugno 2008, n. 16410, cit. 24 Peraltro, sembra opportuno porre in evidenza che il precedente giurisprudenziale al quale si

rifà la Corte, vale a dire Cass. n. 16410/2008, aveva ad oggetto un gruppo di imprese che, ottenuto l’appalto per la realizzazione di un’opera pubblica, aveva scelto, ai sensi dell’allora vigente art. 96, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (oggi abrogato e, per quanto di interesse, sostanzialmente sostitui-to nel contenuto dall’art. 93 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207), di costituire una società consortile per l’esecuzione dei lavori. La fattispecie all’esame della Corte era, dunque, quella particolare di una società consortile costituita per l’esecuzione di opere pubbliche. Nella citata sent. n. 16410/2008, è la stessa Corte di Cassazione a sottolineare come l’art. 96 del D.P.R. n. 554/1999, nella parte in cui prevede che la società consortile eventualmente costituita tra le imprese aggiudicatici subentra nell’esecuzione del contratto «senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto e senza necessità di autorizzazione o approvazione», ha l’effetto di non far assumere alla società consortile la posizione di appaltatore – che rimane propria delle imprese riunite – ma «il più

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

533

re mutualistica, ciò che esclude il perseguimento di un interesse economico/lu-crativo in via principale. Si è detto, tuttavia, che, per parte della dottrina, tale interes-se può essere comunque perseguito in via marginale e/o occasionale e di fatto può accadere che un consorzio, in ciò autorizzato dallo statuto, svolga siffatta attività.

A questa stregua e solo in queste ipotesi (avvallate anche dalla legge) sarebbe il-logico far derivare dall’assenza di interesse economico l’obbligo di ribaltamento dei singoli costi e ricavi dell’attività autonomamente e occasionalmente svolta dal consorzio. Non solo perché mancherebbe la premessa (l’interesse economico pro-prio, infatti, sussisterebbe), ma perché non si rinvenirebbe alcun criterio mutuali-stico, discendente dall’esclusivo (e non più principale) scopo mutualistico perse-guito, sulla base del quale operare il rovesciamento dei costi e dei ricavi. Se l’as-senza di mutualità e di criteri mutualistici esclude di per sé, sotto il profilo giuridi-co, l’estensione a tali marginali attività autonomamente poste in essere dai consor-zi delle conclusioni raggiunte dalla Corte per tutte le attività consortili, è anche ve-ro che, sotto il profilo tecnico-economico, la mancata estensione non genera alcun salto di imposta.

Sul piano delle imposte reddituali, infatti, se corollario della mutualità (e per-tanto, mutatis mutandis, dell’assenza di interesse economico) è l’azzeramento del reddito (“non produce reddito proprio”), non si vede a cosa osti, per ottenere tale risultato, il mancato ribaltamento dei costi e ricavi dell’attività autonoma margi-nalmente e/o occasionalmente svolta (pari all’“utile” della stessa) e dei costi gene-rali del Consorzio sostenuti tout court per lo svolgimento della propria attività: per questi ultimi il mancato ribaltamento non sarebbe imposto dalla normativa civili-stica potendo statutariamente essere coperti anche da quote consortili (deducibi- modesto rilievo di una struttura operativa al servizio di tali imprese». Il principio richiamato dai Giudici, in altri termini, si riferisce ad una fattispecie particolare in cui specifiche disposizioni legisla-tive portano a concludere che le situazioni giuridiche attive e passive del rapporto (diritti, obblighi, ecc.), in tal caso sono e restano riferibili alle sole consorziate, ancorché sia loro concesso per una migliore organizzazione dei lavori di assumere la forma di società consortile. Si è pertanto di fronte ad un consorzio che opera su basi indubbiamente mutualistiche e non svolge in proprio alcuna atti-vità, nemmeno marginalmente. Per la dottrina, v. GALGANO, Diritto civile e commerciale, cit., pp. 230-231. Una conferma che la stessa Cassazione tende a distinguere i consorzi sotto il profilo fiscale in ragione della natura mutualistica dell’attività svolta, si rinviene in un passo non riportato dell’altra sentenza (sent. n. 22790/2009) citata dagli stessi Giudici. Infatti, è vero che la Corte di Cassazione in tale sentenza affermava che «in materia tributaria, l’assunzione di obbligazioni consistenti, essen-zialmente, nel demandare al consorzio, in esecuzione dei patti consortili, la gestione esclusiva di de-terminati affari d’interesse comune (...) e nel sopportarne la spesa pro quota, non spoglia l’impresa consorziata della propria soggettività giuridica e fiscale in specie» (affermazione contenuta in Cass. n. 22790/2009 e richiamata al punto A della sent. n. 13295/2011 in commento), ma, immediata-mente dopo, continuava chiarendo altresì che «né, d’altra parte, attribuisce al consorzio una natura puramente neutrale, ossia “il più modesto rilievo di una struttura operativa al servizio di tali impre-se”, come invece si verifica nel diverso caso (...) del consorzio d’imprese per l’esecuzione in appalto di opere pubbliche, laddove è previsto il riaddebito (o ribaltamento) alle consorziate dei costi sop-portati dal consorzio (Cass. n. 16410/2008)» (v. Cass. n. 22790/2009).

9.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

534

li) versate dalle consorziate o anche da utilità prodotte autonomamente dal Con-sorzio.

Sotto il profilo tecnico-economico, che la contrapposizione dell’“utile” del-l’attività autonoma con i costi generali avvenga in capo al Consorzio, piuttosto che in capo alle consorziate non genera comunque alcun salto di imposta.

Sotto l’identico profilo, analogo discorso vale per l’IVA, tranne precise ipotesi per le quali, come si vedrà, potrebbe ricorrere l’abuso di diritto. Invero, in ipotesi di imprese consorziate che non patiscono limiti all’esercizio del diritto di detrazio-ne (art. 19, D.P.R. n. 633/1972) l’omesso ribaltamento dei costi e ricavi afferenti l’attività marginalmente e/o occasionalmente svolta in proprio dal consorzio (al di fuori di qualsivoglia logica mutualistica) 25 non altera il meccanismo di funziona-mento dell’IVA essendo la stessa liquidata dal consorzio (IVA a debito sui compo-nenti positivi derivanti dall’attività in oggetto al netto dell’IVA a credito sui costi afferenti all’attività e dell’IVA sui costi generali), anziché dalle consorziate, le quali, in caso di ribaltamento dei ricavi propri dell’attività direttamente svolta, dei relativi costi e dei costi generali, opererebbero complessivamente identica liquidazione del tributo. Non si vuol con ciò affermare che le considerazioni appena riportate in tema di imposte dirette e di IVA siano da sole idonee a legittimare le compensa-zioni denegate dalla Corte per le attività autonomamente svolte dai consorzi, ma semplicemente confermare che sotto il profilo sostanziale tali operazioni, tranne eventuali fattispecie abusive, non sono in grado di generare nell’ambito del sistema Consorzio/consorziate salti di imposta.

Pertanto, nel caso esaminato non si può ravvisare alcun «ribaltamento di costi e utili realizzato in maniera occulta con il meccanismo della compensazione», ne tantomeno l’«evasione delle relative imposte (nella specie IVA ...) realizzato an-che attraverso l’abusivo ricorso alla struttura consortile».

Rimane, invece, corretto il principio generale affermato dalla Corte con riferi-mento alla normale e preponderante attività mutualistica svolta dal consorzio.

3. La Corte sembra non escludere la rilevanza fiscale della provvigione riconoscibile al consorzio in base agli artt. 3, comma 3 e 13 del decreto IVA. Tale norma ap-pare tuttavia inconferente per le attività autonomamente svolte dal consorzio

Si è visto come, per la Cassazione per effetto del principio di mutualità (art. 2602 c.c.) ogni costo e ricavo sostenuto dal consorzio debba essere ribaltato sulle consorziate e come gli stessi Giudici affermino tale principio a valere per ogni atti-vità svolta dal consorzio o società consortile anche nell’ipotesi in cui l’attività mar-

25 Ci si riferisce al caso di attività non collegate anche indirettamente ad un’attività mutualistica.

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

535

ginalmente e/o occasionalmente svolta dalla struttura consortile non sia propria-mente mutualistica. Così ragionando i Giudici finiscono erroneamente, a parere di chi scrive, col dichiarare applicabile automaticamente il suddetto principio a qua-lunque soggetto per il solo fatto di aver assunto struttura consortile, ovvero, e più precisamente, ritengono estensibile il principio a qualunque attività svolta dal sog-getto consortile, anziché alle sole attività mutualistiche principali svolte da tale soggetto.

Dalla sentenza emerge, inoltre, come l’Agenzia delle entrate abbia contestato che le rilevate compensazioni occulte siano avvenute anche in violazione dell’art. 3, comma 3, e dell’art. 13, comma 1 e 2, del decreto IVA, posto che l’organizzazio-ne consortile, «attraverso lo strumento giuridico del mandato senza rappresentan-za», è obbligata a ribaltare formalmente i costi e i ricavi sulle consorziate 26.

26 Com’è noto, la disciplina dell’Imposta sul Valore Aggiunto prevede, all’art. 3, comma 3 del D.P.R. n. 633/1972, che «le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentan-za sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario» e, cor-relativamente, all’art. 2, comma 2, n. 3 del citato D.P.R. n. 633/1972, che costituiscono cessione di beni «i passaggi dal committente al commissionario o dal commissionario al committente di beni venduti o acquistati in esecuzione di contratti di commissione». L’art. 3 concerne il mandato avente ad oggetto la prestazione di servizi ed, in tal senso, per BELLI CONTARINI (Profili tributari del contratto di mandato senza rappresentanza, in Riv. dir. trib., 1997, I, p. 521) introdurrebbe ai fini IVA in rapporto al contratto di commissione (vale a dire al mandato avente ad oggetto la compravendita di beni), la figura del “commissionario di servizi”, categoria non direttamente contemplata dal diritto civile. Tali norme hanno l’effetto di qualificare come presupposti autonomi dei rapporti che, altrimenti, risulterebbero “neutrali” ai fini dell’applicazione dell’IVA. In sostanza, ai fini IVA per l’operare delle citate norme, nel mandato senza rappresentanza (e lo stesso avviene nei contratti di commissione) i rapporti mandante-mandatario e mandatario-terzi vengono considerati come due rapporti distinti ed autonomi. In altri termini, attraverso una fictio iuris, ai fini IVA l’operazione viene duplicata e considerata come se fossero due distinte operazioni: una tra il commissionario/mandatario e il terzo; l’altra tra il committen-te/mandante e il commissionario/mandatario. Il successivo art. 13 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, lett. b) del comma 2, prevede che nelle operazioni tra il mandante e il mandatario – come pure in quel-le tra il committente e il commissionario – la base imponibile venga quantificata nel prezzo pattuito dal mandatario/commissionario con il terzo aumentato (in caso di mandato a comprare) o diminuito (in caso di mandato a vendere) dell’eventuale provvigione spettante al mandatario/commissionario. Per necessario converso, l’art. 3, comma 4, lett. h), del D.P.R. n. 633/1972 esclude che le prestazioni dei commissionari e dei mandatari di cui all’art. 13 possano considerarsi prestazioni di servizi. Sul punto, si veda CASTALDI, Le operazioni imponibili, in TESAURO (diretta da), Giurisprudenza sistematica di diritto tributario – L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, p. 63, secondo cui tale configurazione esalte-rebbe «l’esatta configurazione giuridica dei rapporti tra mandante-mandatario e terzo sotto il versante sostanziale, al contempo escludendo l’autonoma rilevanza impositiva alle prestazioni di servizio rese dal mandatario». Per un commento all’art. 13, D.P.R. n. 633/1972, ex multis, si rinvia a ZIZZO, Art. 13 (Commento), in CENTORE (a cura di), Codice IVA nazionale e internazionale, Milano, 2010, p. 447 ss.; PORTALE, Imposta sul valore aggiunto, Milano, 2009, p. 465 ss.; STANCATI, Art. 13 (Commento), in FAL-SITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie – IVA e im-poste sui trasferimenti, Padova, 2011, IV, p. 173; G. MANDÒ-D. MANDÒ, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 2010, pp. 326-327. In definitiva, posto che le prestazioni eseguite tra mandatario e terzi saranno assoggettate ad IVA per il prezzo pattuito, il citato art. 13 altro non fa, se non assoggettare

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

536

Su questo punto, tuttavia, la sentenza (in verità non molto chiara sul piano mo-tivazionale nel connettere il proprio pronunciamento di cui al punto D della sen-tenza all’eccezione sollevata in merito dall’Agenzia) non sembra accogliere la tesi agenziale ancorché giunga alla fine alle medesime conclusioni.

Infatti, la Corte afferma che:

1. la provvigione spettante al mandatario senza rappresentanza per le presta-zioni da lui rese o ricevute «costituisce sempre una componente da aggiungere o da sottrarre, a seconda del caso, al prezzo di acquisto del servizio pattuito dal man-datario»;

2. «il “prezzo” (...) eventualmente pattuito dal mandatario con il committente, va considerato integralmente come “prezzo” dell’operazione economica»;

3. nessuna parte del prezzo «può andare mai a beneficio e/o a danno del “man-datario”»;

4. «la provvigione del mandatario (...), ai fini fiscali, acquista giuridica evidenza solo se ha una sua univoca e chiara rappresentazione, prima contabile e poi fiscale, come tale, nelle scritture del mandatario e del mandate»;

5. è vero che per l’art. 1709 c.c. il mandato si presume oneroso, ma intanto si può parlare di provvigione e di applicazione dell’art. 13 citato, in quanto sia stato provato all’Erario, terzo estraneo, che sia stata richiesta e corrisposta effettivamen-te la provvigione al consorzio quale mandatario;

6. se si riconduce il rapporto tra consorziate e consorzio ad un rapporto fiducia-rio si identificano due distinti negozi collegati funzionalmente tra loro: il primo (il patto di fiducia) di natura dispositiva ed a carattere esterno che determina il trasfe-rimento di diritti o l’insorgenza di situazioni giuridiche in capo al fiduciario (con-sorzio), il secondo (il mandato senza rappresentanza) di carattere obbligatorio ed interno che obbliga il fiduciario a trasferire al fiduciante (consorziate) i diritti o le situazioni giuridiche acquisite. La natura interna del secondo rapporto rende irri-levanti fiscalmente la mancanza di conoscenza da parte delle consorziate dei detta-gli dei contratti stipulati dal consorzio con la committente o con imprese terze esecutrici o fornitrici, dovendo comunque le consorziate rispondere al fisco per tutte le attività a loro riconducibili. ad IVA per differenza le provvigioni percepite dal mandatario. Ciò avviene in modo del tutto analogo anche nel contratto di commissione. Solo per completezza espositiva, si evidenzia che nei rapporti di mandato con rappresentanza, invece, la disciplina summenzionata non trova applicazione e l’IVA viene applicata solo sul compenso percepito dal mandatario. Tale differenza di trattamento si spiega con la circostanza che, per effetto del combinato disposto degli artt. 1388 e 1704 c.c., nel mandato con rap-presentanza gli effetti giuridici degli atti posti in essere dal mandatario si producono direttamente nella sfera giuridica del mandante (v. GRAZIADEI, (voce) Mandato, in Dig. disc. priv., Torino, 1994, par. 3), ciò che, sotto un profilo pratico – ma, indubbiamente, chiarificatore – si traduce nell’emissione delle fatture da parte del terzo direttamente nei confronti del mandante (o viceversa) e nell’emissione della fattura da parte del mandatario per la sola provvigione a lui spettante.

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

537

Orbene, se si tiene conto di quanto affermato sub 4) e 5), la Corte non esclude che tra consorziate e consorzio possa essere pattuita una provvigione e che la stes-sa possa essere utilizzata, ad esempio, a ripiano dei costi generali del consorzio. Pone solo il limite della chiara rappresentazione e formalizzazione della provvigione e della sua provabilità di fronte ai terzi, fra i quali l’Erario. Ciò non appare in contra-sto con l’art. 3, comma 3 e l’art. 13 invocati dall’Agenzia ed è dunque probabile che la Corte censuri la “compensazione occulta” solo perché il diritto alla provvigione non era stato adeguatamente provato nella fase di merito, con ciò lasciando aperta la possibilità che il ribaltamento parziale dei corrispettivi pattuiti con la commit-tente per coprire le spese di gestione sia di norma possibile. D’altro canto, la natura fiduciaria del rapporto evidenziata dalla Corte (sub 6)) e la rilevanza solo interna della carenza di informazioni eccepite dalla difesa del consorzio non sembrano, co-munque, in generale precludere la rilevanza fiscale della provvigione laddove pat-tuita e formalizzata.

Se per l’attività mutualistica svolta dal consorzio il richiamato art. 13 del decreto IVA potrebbe, a dispetto di quanto sostenuto dall’Agenzia, autorizzare un “ribal-tamento” anche solo parziale (ribaltamento comunque necessario) il richiamo a detto articolo per le attività marginali e/o occasionali autonomamente svolte dal consorzio e svincolate totalmente dalla principale attività mutualistica appare, a pa-rere di chi scrive, assolutamente inconferente 27; ancorché, anche in questo caso, la Corte non sembri fare, nei passi appena esaminati della sentenza, alcun distinguo 28.

Invero, mentre nel caso dell’attività mutualistica svolta dal consorzio lo stesso agisce in nome proprio, ma per conto delle singole consorziate che poi eseguono la commessa, nel secondo caso il consorzio agisce indistintamente per conto di tutte le consorziate, ciò che non consente tra l’altro di individuare criteri mutualistici per la ripartizione dei vantaggi economici conseguiti dal consorzio diversi dalla quo-

27 Oltre a quanto si dirà infra nel testo, si osservi che, quantunque il vincolo consortile non possa essere ricondotto sic et simpliciter alla figura del mandato, mentre nel caso della mera assunzione di commesse la cui esecuzione viene poi demandata alle consorziate, l’attività posta in essere dal con-sorzio si traduce nel compimento di atti giuridici, vale a dire in un’attività che per definizione costi-tuisce l’oggetto del contratto di mandato (art. 1703 c.c.), altrettanto non accade nell’ipotesi in cui il Consorzio assuma le commesse e vi dia esecuzione in modo autonomo tramite strutture proprie e/o imprese terze svolgendo, in tal caso, un’attività materiale. Per un approfondimento sul tema, nonché per i principali riferimenti bibliografici, si rinvia a INTERDONATO, op. cit., p. 197 ss. In argomento, si vedano inoltre BELLI CONTARINI, op. cit., p. 517 ss.; CASTALDI, op. cit., pp. 61-63.

28 E così anche la prassi. Si v. Risoluzione Min., 29 novembre 1988, n. 550253, in Il Fisco, 1989, p. 233, dove, contrariamente alla precedente Risoluzione Min., 4 agosto 1987, n. 460437, in Il Fisco, 1987, p. 6813, è stata ritenuta corretta la rifatturazione dalle imprese consorziate al consorzio della parte di corrispettivi di loro spettanza e, viceversa, dal consorzio alle consorziate, dei costi sopportati dal primo. In questo senso anche PERRONE, Consorzi e società consortili nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., III, 1999, p. 453; CAPOLUPO, Consorzi e società consortili, una pronuncia che non convince, in Il Fisco, 1987, p. 7136 s.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

538

ta di partecipazione al fondo consortile. Ma a confermare l’inconferenza del richia-mo agli artt. 3, comma 3 e 13 del decreto IVA è proprio il tenore di quest’ultima disposizione. Per la stessa, infatti, la base imponibile, per le prestazioni rese dal mandatario senza rappresentanza, è costituita, nel rapporto mandante/mandata-rio, dal prezzo della fornitura del servizio (come inteso dalla sentenza in commen-to e riportato infra sub 2)) pattuito dal mandatario ridotto della provvigione. Ma se è vero questo, l’ipotesi contemplata dalla norma è quella del mandatario chia-mato a stipulare con il committente, in nome proprio e per conto del mandante un contratto per la fornitura, ad esempio, di un servizio, che ovviamente non verrà re-so dallo stesso, ma dal mandante che ne sopporterà i relativi costi, oltre alla prov-vigione 29.

Orbene, nel caso delle attività svolte marginalmente e/o occasionalmente dal consorzio in autonomia, senza l’impiego delle consorziate, le norme dei citati artt. 3 e 13 non dovrebbero trovare applicazione venendo il servizio reso direttamente e autonomamente dal consorzio.

4. Il ribaltamento deve avvenire nel rispetto del divieto di abuso del diritto e del principio di inerenza. L’assunzione della forma consortile non può configura-re di per sé un abuso del diritto

Vi sono due aspetti trattati, ancorché non approfonditamente, dalla sentenza che meritano attenzione. Il primo, finora non esaminato dalla giurisprudenza di le-gittimità, attiene al rapporto tra consorzio e abuso del diritto.

Nei primi due motivi di doglianza l’Agenzia delle Entrate solleva, infatti, la que-stione se il ricorso alla forma consortile possa configurare un abuso del diritto quan-do il consorzio o la società consortile non effettuino il ribaltamento dei costi e dei ricavi così come imposto dall’intento mutualistico perseguito. La Corte, dopo aver richiamato in modo asettico, al punto C della sentenza, la propria giurisprudenza in tema di abuso del diritto, non trae nell’immediato alcuna conclusione con rife-rimento al consorzio e al caso di specie, tornandovi solo nelle conclusioni dove, dopo aver affermato l’obbligo per tutti i consorzi di ribaltare sulle imprese consor-ziate le componenti positive e negative afferenti le operazioni poste in essere, so-stiene che tale ribaltamento deve avvenire secondo i criteri di legge e quelli legit-timamente fissati dallo statuto «se non elusivi (nel senso precisato al punto C) delle norme fiscali».

Non si può non evidenziare come tra le eccezioni sollevate dall’Agenzia e il

29 Da qui forse l’imprecisione nell’utilizzo del termine “rese” posto che il mandatario non rende alcuna prestazione che verrà invece erogata dal mandante.

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

539

pronunciamento dei Giudici, in verità, sussista uno iato significativo. L’Agenzia sembra inquadrare, invero, come abusivo il semplice ricorso ad una

struttura consortile che non pratichi il ribaltamento integrale dei costi e ricavi. La Corte, dal canto suo, non si pronuncia direttamente sull’eccezione sollevata,

ma si limita a richiamare la definizione di abuso ricavabile dai suoi precedenti e ad affermare, tuttavia, che il ribaltamento deve avvenire secondo criteri non elusivi.

Se si cerca di leggere tra le righe della sentenza e si applicano i principi generali af-fermati dalla Corte nei richiamati precedenti ai consorzi, si giunge alla conclusione che i criteri di ribaltamento non devono essere «privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti» 30. Detta in termini di abuso di diritto, tali criteri non devono rappresentare un «utilizzo distorto, pur se non con-trastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifi-chino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale» 31.

30 V. art. 37 bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. 31 V. ex multis Cass. 21 aprile 2008, n. 10257, in banca dati fisconline. Non sembra questa la sede

opportuna per una disamina articolata del divieto di abuso del diritto, ciò non di meno, in merito, possiamo brevemente ricordare che la prima affermazione nel nostro ordinamento del summenzio-nato principio quale clausola generale antielusiva in materia tributaria si ha, com’è noto, con le sentt. della Cassazione n. 20398 del 21 ottobre 2005; n. 20816 del 26 ottobre 2005 e n. 22932 del 14 no-vembre 2005, in Dir. prat. trib., 2006, II, rispettivamente pp. 235, 249, e 252, e la relativa nota di CORASANITI, La nullità dei contratti come strumento di contrasto alle operazioni di dividend washing nella recente giurisprudenza della Suprema Corte, in Dir. prat. trib., 2006, II, p. 275 ss. Nelle citate sen-tenze la Suprema Corte riprendeva il concetto di abuso di diritto estrapolandolo dalla sent. della Corte UE n. C-255/02 del 21 febbraio 2006 – Halifax, reperibile in banca dati fisconline. Successi-vamente le sezioni unite della stessa Corte di Cassazione, con le sentt. nn. 30055, 30056 e 30057, del 23 dicembre 2008, precisarono che la fonte del divieto di abuso del diritto per i tributi non ar-monizzati doveva essere individuata nei principi costituzionali, in quanto “non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contri-buente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel ri-sparmio fiscale”. Peraltro, sia prima che dopo tali sentenze, la Corte di Cassazione, con varie pronun-ce (in parte richiamate anche al punto C della sentenza in rassegna, si v. le decisioni n. 25726 del 9 dicembre 2009 e nn. 686-690 del 13 gennaio 2011, tutte reperibili in banca dati fisconline) ha, via via, definito i contorni del principio, ad esempio, stabilendo che l’onere di dimostrare l’abuso spetta all’Amministrazione finanziaria e che tale dimostrazione non può limitarsi ad un’affermazione gene-rica, ma deve dar conto delle ragioni per le quali l’operazione posta in essere si appalesa priva di un reale contenuto economico diverso dal risparmio d’imposta (v. sent. n. 25374 del 17 ottobre 2008, in banca dati fisconline). Ciò che, come riportano i Giudici odierni, non implica che la questione del-l’opponibilità del negozio al Fisco debba essere necessariamente introdotta in giudizio dall’Am-ministrazione, poiché la generalità del divieto di abuso di diritto comporta la rilevabilità d’ufficio delle cause di inopponibilità o invalidità del negozio posto in essere (così già le citate sentt. nn. 20398, 20816 e 22932 del 2005, ma, più di recente, l’affermazione è stata ribadita nella citata sent. n.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

540

686/2011). Nella sent. n. 3584 del 13 febbraio 2009, in banca dati lex24, la Corte di Cassazione ha specificato ulteriormente che all’Amministrazione finanziaria spetta l’onere di mettere a confronto il comportamento fisiologico con quello, asseritamente abusivo, posto in essere dal contribuente, in modo da porre in evidenza l’anomalia dell’operazione rispetto ad una normale logica economica. La dottrina ha sollevato non poche perplessità sul citato principio di divieto di abuso di diritto, tanto sotto il profilo del rispetto del principio di legalità, quanto sotto quello di tutela dell’affidamento del contribuente. Tra gli innumerevoli contributi sul tema, a favore o contro, possiamo ricordare LUPI-STEVANATO, Tecniche interpretative e pretesa immanenza di una norma antielusiva, in Corr. trib., 2009, p. 409; BASILAVECCHIA, Elusione e abuso del diritto: una integrazione possibile, in GT-Riv. giur. trib., 2008, pp. 741-742; FALSITTA, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausola imma-nente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali, in MAISTO (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario – Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del diritto ai fini dell’imposizione tributaria, Milano, 2009, p. 3 ss.; ID., Spunti critici e ricostruttivi sull’errata commistio-ne di simulazione ed elusione nell’onnivoro contenitore detto “abuso del diritto”, in Riv. dir. trib., 2010, II, p. 352 ss.; ID., Natura delle disposizioni contenenti “norme per l’interpretazione di norme” e l’art. 37-bis sull’interpretazione analogica o elusiva, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 536 ss.; BEGHIN, Alla ricerca di punti fermi in tema di elusione fiscale e abuso del diritto, in Boll. trib., 2009, p. 408 ss.; ID., Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema impositivo nazio-nale, in MAISTO (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario – Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del diritto ai fini dell’imposizione tributaria, cit., p. 29 ss.; ID., Abuso del diritto, giustizia tributaria e certezza dei rapporti tra Fisco e contribuente, in Riv. dir. trib., 2009, II, p. 419 ss.; CARPEN-TIERI, L’ordinamento tributario tra abuso e incertezza del diritto, in Riv. dir. trib., 2008, I, 1055; ZIZZO, L’abuso dell’abuso di diritto, in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 465 ss.; ID., Pratiche elusive e abuso del dirit-to, in Il Fisco, 2008, p. 1-3095; MANCA, Abuso del diritto e principi costituzionali, in Il Fisco, 2009, p. 1-366; PALUMBO-STEVANATO, Elusione, abuso del diritto e riqualificazioni «a sorpresa» degli imponibili dichiarati, in Dialoghi trib., 2009, pp. 253-254; FICARI, Clausola generale antielusiva, art. 53 della Co-stituzione e regole giurisprudenziali, in Rass. trib., 2009, p. 394; ATTARDI, L’evoluzione dell’abuso di di-ritto quale principio antielusione dall’ordinamento comunitario a quello nazionale, in Il Fisco, 2008, p. 1-5251; FICARI, Elusione ed abuso del diritto comunitario tra “diritto” giurisprudenziale e certezza norma-tiva, in Boll. trib., 2008, p. 1777 ss.; ZOPPINI, Abuso del diritto e dintorni (ricostruzione critica per lo studio sistematico dell’elusione fiscale), in Riv. dir. trib., 2005, I, p. 809 ss. Per quanto di nostro interes-se, poi, sulla questione specifica se la scelta di una forma giuridica possa configurare un abuso del diritto si veda TONDINI, L’abuso delle forme societarie nell’imposizione sul reddito, in MAISTO (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario – Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del dirit-to ai fini dell’imposizione tributaria, cit., p. 115 ss., la quale, dopo aver evidenziato che «il concetto di abuso della forma giuridica o, per quanto qui interessa, della forma societaria, non coincide con l’abuso del diritto» (ivi, p. 119), conclude nel senso che, in tema di forma societaria, l’abuso del di-ritto potrebbe operare «solo ed esclusivamente laddove lo schema negoziale tipico venga talmente asservito allo scopo del privato da restare “svuotato” dei suoi elementi tipici». Sulla stessa linea sembrerebbe porsi STEVANATO, «Abuso» delle forme giuridiche ed elusione tributaria nelle società coo-perative, in Dir. prat. trib., 2011, I, p. 763. Vale, infine, la pena ricordare che nelle ordinanze di rinvio alla Corte di Giustizia UE nn. 3030 e 3033 dell’8 febbraio 2008, in banca dati fisconline, si poneva il problema “se il ricorso ad una tipologia societaria possa essere considerato abuso di diritto, con con-seguente inopponibilità all’amministrazione finanziaria dello speciale regime fiscale agevolativo, al di là delle ipotesi di frode o di simulazione, quando tale utilizzazione sia avvenuta al solo o prevalen-te scopo di conseguire un risparmio d’imposta, e cioè senza che siano concretamente perseguiti reali scopi economici, e cioè quando le condizioni alle quali beni e servizi sono offerti siano identiche a quelle praticate dalle normali imprese societarie”. Peraltro, la Corte di Giustizia UE nella sent. dell’8 settembre 2011, cause da C-78/08 a C-80/08 (reperibile in banca dati fisconline), si è dichia-

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

541

Se questa è la corretta applicazione al caso di specie dei principi generali a cui la Corte ha inteso riferirsi, la sentenza coglie nel segno. Si pensi al caso in cui il manca-to ribaltamento di costi generali, spesati attraverso il parziale ribaltamento (espres-samente contemplato nello statuto) dei corrispettivi nell’ambito dell’attività mu-tualistica, comporti che il consorzio, anziché le consorziate, detragga l’IVA sugli acquisti afferenti tali attività. Se le consorziate sopportano limiti al diritto alla de-trazione (ad esempio, pro-rata, limiti oggettivi e/o soggettivi, ecc.) il mancato ri-baltamento potrebbe, in assenza di ragioni economiche, costituire un aggiramento degli obblighi di fatturazione e delle norme disciplinanti il diritto alla detrazione, volto a massimizzare l’IVA detraibile conseguendo un vantaggio in termini di ridu-zione del carico tributario.

Non, quindi, il semplice mancato ribaltamento genera abuso, ma il suo impiego distorto destinato a conseguire, in assenza di valide ragioni economiche, un inde-bito risparmio di imposta.

Da qui l’erroneità del quesito dell’Agenzia che intravede nella compensazione occulta attuata attraverso il consorzio sempre e comunque una fattispecie abusiva, a prescindere dalla presenza o meno di valide ragioni economiche e a prescindere, soprattutto, dall’esistenza di un risparmio di imposta.

L’ultimo aspetto che merita attenzione nella sentenza in commento attiene all’inerenza. In questo caso la stessa non presenta profili di originalità limitandosi a richiamare i principi già espressi in altri pronunciamenti (Cass. 28 ottobre 2009, n. 22790).

La Corte ribadisce che la parte di spesa sostenuta da ciascuna consorziata per effetto del ribaltamento «non ha in se stessa, indefettibilmente, la connotazione dell’inerenza» e l’impresa consorziata dovrà di volta in volta dimostrare se, ed in quale misura, tale spesa sia stata effettivamente sostenuta dal Consorzio e sia ine-rente alle attività che hanno concorso a formare il reddito. Tralasciando il caso in cui la spesa sostenuta dal consorzio risulti inesistente (caso esaminato nella prece-dente sent. 18 giugno 2008, n. 16410) perché riguardante una fattispecie diversa da quella di specie e di carattere sicuramente patologico, ci si chiede fino a che punto l’Agenzia possa utilizzare la leva dell’inerenza per disconoscere in tutto o in parte i costi ribaltati dal consorzio sulle consorziate.

Orbene, in primo luogo, è possibile affermare, concordemente con i precedenti richiamati dalla sentenza, che l’Agenzia delle Entrate possa disconoscere diretta-mente in capo alle consorziate l’inerenza delle quote di costi ribaltati, non tanto perché le consorziate sono dotate di soggettività autonoma e distinta dal consor- rata non competente a pronunciarsi sulla questione poiché, nel caso di specie, la stessa non atteneva all’interpretazione del diritto dell’Unione, ma ad una norma agevolativa interna del D.P.R. n. 601/1973. Per un commento a quest’ultima sentenza si veda INGROSSO, La pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia sulle agevolazioni fiscali alle cooperative italiane, in Rass. trib., 2012, p. 529 ss.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

542

zio, quanto perché tali quote di costo rappresentano l’espressione economica del “servizio” reso dal consorzio a ciascuna consorziata, servizio che dovrà oggettiva-mente essere riferibile all’attività svolta dalla consorziata; dovrà, in altre parole, es-sere inerente alla stessa.

Se, per ipotesi, il consorzio ribaltasse sulla consorziata quote di costi la cui utili-tà non è riferibile in alcun modo, nemmeno indirettamente, all’attività di que-st’ultima, sarebbe evidente la violazione del principio di inerenza.

Diverso è il caso in cui vi sia oggettiva riferibilità, ma il criterio mutualistico di riparto possa non corrispondere all’effettivo quantum di servizio consortile utiliz-zato da ciascuna impresa socia.

La sentenza afferma che, di per sé, il ribaltamento non comporta inerenza, ov-vero che il ribaltamento imposto dal patto consortile non esclude l’ulteriore giudi-zio di inerenza non potendo le imprese consorziate trincerarsi dietro l’obbligo pat-tizio di refusione delle quote ribaltate. Ma se questo appare coerente con quanto appena affermato in merito al rapporto tra servizio consortile ed attività delle con-sorziate, è anche vero che l’inerenza non dovrebbe attenere a criteri quantitativi, bensì alla riferibilità, sotto il profilo qualitativo, del costo all’attività svolta 32.

Certo, l’abuso del patto consortile potrebbe generare spostamento di quote di costi da consorziate che non hanno bisogno, perché, ad esempio, in perdita, ad al-tre che potrebbero così migliorare il proprio carico tributario. Il criterio di riparto, in presenza di tutti i requisiti per ritenere esistente l’abuso, potrebbe quindi venir utilizzato in chiave elusiva.

Non sempre, tuttavia, è facile nei consorzi definire un criterio che misuri, sem-pre oggettivamente, il quantum del servizio consortile utilizzato dalle singole con-sorziate. Si pensi al caso del consorzio che svolge attività pubblicitarie per un pro-dotto commercializzato da più consorziate, nel quale può risultare difficile stabilire quale è il ritorno del servizio pubblicitario consortile per ciascuna impresa socia rispetto ad altri fattori attrattivi connessi alle singole realtà aziendali consorziate. In queste ipotesi, in assenza di prove specifiche, appare difficile contestare l’abusi-vo ricorso a criteri di riparto di comodo.

Un’ultima considerazione. Se l’attività è parametro dell’oggettiva inerenza, qua-

32 Non sempre la giurisprudenza ha dato rilevanza al solo profilo qualitativo. Ad esempio per i compensi erogati agli amministratori aveva sostenuto la contestabilità anche sotto il profilo quanti-tativo degli stessi (v. Cass. 27 settembre 2000, n. 12813; Cass. 30 ottobre 200, n. 13478, entrambe in Banca dati fisconline); orientamento tuttavia mutato nelle più recenti pronunce (v. Cass. 31 otto-bre 2005, n. 21155; Cass. 9 maggio 2002, n. 6599, entrambe in Banca dati fisconline) secondo cui «il problema non può essere risolto sul piano dell’inerenza poiché in questa materia dell’inerenza) a fini impositivi rileva tendenzialmente il profilo della “qualità” del costo piuttosto che quello della “quan-tità”, proprio perché l’ordinamento riconosce all’imprenditore la libertà di impostare la sua strategia d’impresa» (Cass. n. 6599/2002, cit.).

Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13295

543

lora il consorzio svolga un’attività in modo autonomo e svincolato da logiche mutua-listiche, come è possibile giustificare in termini di inerenza in capo alle consorziate il ribaltamento di tutti i costi e ricavi relativi a tale attività riferibili solo al consorzio? 33 A parere di chi scrive, proprio il riferimento all’inerenza convince, ancora una volta, a ritenere non assimilabili sotto il profilo fiscale le attività mutualistiche normalmente e principalmente svolte dal consorzio con quelle che lo stesso autonomamente e marginalmente (se non occasionalmente) può svolgere. Sotto questo profilo, la sen-tenza in commento appare, ancora una volta, sicuramente non precisa.

Maurizio Interdonato

33 Ed invero, assunta la trasparenza “in ogni caso” dei consorzi, i Giudici odierni si trovano co-stretti a «ritenere (...) sempre sussistente tale requisito in ipotesi di operazioni economiche eseguite o direttamente dal consorzio o con l’ausilio di imprese terze, essendo queste ultime evidentemente (sempre per lo scopo mutualistico perseguito) inerenti a tutte le consorziate» (v. punto F della sent. n. 13295/2011 in commento). Le riflessioni sinora svolte dovrebbero rendere evidente l’in-sostenibilità dell’assunto. A questa stregua, infatti, se nella citata sent. n. 22790/2009 si affermava che le spese rigirate dal consorzio sulle consorziate non hanno in sé stesse, indefettibilimente, la connotazione d’inerenza – dovendosi verificare se tali spese si riferiscano o meno all’attività svolta dalle imprese consorziate –, ci si trova di fronte all’assurda conclusione secondo cui, nel caso in cui il consorzio procacci le commesse e le affidi alle consorziate per l’esecuzione (ipotesi in cui, in linea di massima, i costi saranno sostenuti per un’attività strumentale all’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa consorziata e, perciò, una volta ribaltati, anche inerenti all’attività svolta dalla stessa), si dovrebbe procede ad una verifica dell’inerenza del costo, mentre, nel caso del consorzio che assume ed esegue una commessa (ipotesi in cui l’attività svolta potrebbe essere diversa o più ampia di quelle delle consorziate e, vieppiù, potrebbe essere, si è detto, ancorché marginalmente un’operazione che nulla ha a che fare con lo scopo consortile) l’inerenza del costo ribaltato sulle consorziate dovrebbe ritenersi “sempre sussistente”.

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956 (udienza del 19 gennaio 2012) –, Pres. Teresi, Rel. Amoresano Reati tributari – Confisca per equivalente – Versamento imposta evasa – Effetto preclusivo

La sanatoria della posizione debitoria con l’amministrazione finanziaria fa venir meno lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca per equivalente. Con-seguentemente, non è possibile procedere al sequestro, prima, ed alla confisca per equiva-lente, poi, nei casi in cui dopo la commissione del reato tributario venga versata al-l’Erario l’imposta evasa.

OSSERVA 1) Con ordinanza in data 19.9.2011 il Tribunale di Genova, in accoglimento

dell’appello proposto dal P.M., avverso l’ordinanza con cui il GIP presso il Tribunale di Genova aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo nei confronti di B.S., in-dagato per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, disponeva il sequestro di somme di denaro su conti correnti intestati o cointestati al B. e/o alla società DPS srl, nonché dei libretti di risparmio, titoli, azioni, fondi, beni mobili e immobili e di qual-siasi altro bene avente valore economico, fino alla concorrenza dell’importo di Euro 50.200,00.

Rilevava il Tribunale che la documentazione prodotta dalla difesa, in mancanza di riferimenti alla causale, non era idonea ad escludere la sussistenza del fumus. Assume-va, poi, che il profitto era rappresentato dall’ammontare dell’IVA evasa e che nell’im-possibilità di procedere al sequestro in forma specifica, occorreva disporre il sequestro di beni di valore corrispondente, di cui l’indagato, rappresentante legale della società, aveva la disponibilità (compresi quelli della DPS srl).

2) Ricorre per cassazione B.S., a mezzo dei difensori, denunciando, con il primo motivo la violazione di legge in relazione all’art. 321 c.p.p., comma 2, e art. 240 c.p., com-ma 1, per insussistenza del presupposto dell’impossibilità di procedere al sequestro finalizzato alla confisca“diretta”.

In ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, il profitto deve ritenersi coincidente con l’importo dell’IVA incassata, confluita nei conti correnti della società DPS srl. e non versata allo Stato.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge per inosservanza del princi-pio per cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non può es-sere mai superiore al profitto derivato dal reato.

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956

545

Il ricorrente non ha mai sostenuto, contrariamente a quanto affermato dal Tribu-nale, che la somma pagata ad Equitalia escluderebbe il fumus del reato, ma solo che, come affermato dalla Corte di Cassazione che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, e la restituzione all’Erario del profitto derivante dal reato esclude lo stesso oggetto su cui dovrebbe incidere la confisca.

3) Il ricorso è infondato. 3.1) Secondo la giurisprudenza di questa Corte “... nei casi in cui il profitto consiste

nel denaro, appare difficile sostenere l’applicabilità di quella giurisprudenza che su-bordina l’operatività del sequestro alla verifica che il profitto del reato sia confluito ef-fettivamente nella disponibilità dell’indagato (Cass. sez. 5, 3 luglio 2002 v n. 32797, P.M. in proc. Silletti; Cass. sez. 3, 20 marzo 1996 n. 1343, P.M. in proc. Centofanti), in quanto trattandosi di sequestro per equivalente, tale necessità deve ritenersi superata. Subordinare l’operatività del sequestro (o la confisca) per equivalente a tale condizio-ne vorrebbe dire negare la stessa funzionalità della misura e ristabilire la necessità di un nesso pertinenziale tra res e reato che la legge non richiede. In questo tipo di confi-sca il denaro oggetto di ablazione non è necessariamente il denaro proveniente dal de-litto, ma una somma di denaro che equivale a quella, cioè il tandundem, che corrispon-de solo per valore al prezzo o al profitto del reato. In conclusione, nel caso dell’art. 322 ter c.p., la confisca per equivalente non presuppone la dimostrazione del nesso perti-nenziale tra reato e somme confiscate (o sequestrate) e, inoltre, viene meno la necessi-tà di verificare, preliminarmente, se il bene sia entrato o meno nel patrimonio dell’in-dagato per tentarne il recupero. Sono infatti assoggettabili alla confisca di cui all’art. 322 ter c.p., beni nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quel-lo relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. sez. 6, 27 gennaio 2005 n. 11902, Bal-das)” – cfr. Cass. sez. 6 n. 31692 del 5.6.2007; conf. Cass. sez. 3 n. 25129 del 17.4. 2008; Cass. sez. 2 n. 24167 del 16.5.2003.

L’esclusione della necessità di un nesso di pertinenzialità tra i beni da confiscare ed il reato addebitato è confermato da Cass. sez. 6a n. 31692 del 5.6.2007, Cass. sez. 6a n. 11902 del 27.1.2005 cit.; Cass. sez. 6a n. 7250 del 19.1.2005.– Sono quindi assoggetta-bili a confisca beni nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato.

In ogni caso, non vi è prova che le somme evase siano confluite sui conti correnti intestati alla società.

Correttamente, quindi, il Tribunale ha disposto il sequestro di somme di cui l’inda-gato aveva la disponibilità fino alla concorrenza dell’ammontare dell’IVA evasa.

3.2) Quanto al secondo motivo, come ha ricordato il ricorrente, questa sezione ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 322 ter c.p., ed L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, per la parte in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contrasterebbe, nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione finanziaria, con gli artt. 23 e 25 Cost., in quanto la restituzione al-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

546

l’Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confi-sca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria” (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 10120 dell’1.12.2010).

Pur nell’erroneo (ma irrilevante) riferimento al fumus del reato, il Tribunale ha ri-tenuto che non vi fosse la prova dell’avvenuta sanatoria. Con accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, ha rilevato che “nelle attestazioni dei pagamenti effettuati dal B. manca qualsiasi riferimento alla causale degli stessi”.

Non vi è stata quindi alcuna violazione del principio secondo cui il sequestro per equivalente non può mai essere superiore al profitto derivato dal reato, essendo stato il sequestro medesimo disposto fino alla concorrenza dell’importo di Euro 50.200,00 (corrispondente all’ammontare dell’IVA evasa) e mancando la prova di un versamen-to, in sanatoria, della somma sopra indicata.

Confisca per equivalente e sopravvenuto adempimento del debito tributario

Confiscation by equivalent and subsequent payment of taxes

Abstract L’introduzione – nel 2008 – della confisca per equivalente anche nel diritto pe-nale tributario ha portato ad un importante aumento delle decisioni della Su-prema Corte in materia a seguito dei numerosi sequestri intervenuti e delle con-seguenti impugnazioni. In questo ambito, la Cassazione si è trovata a dover ap-plicare un istituto pensato per altre fattispecie penali affrontando, tra l’altro, il rapporto tra il profitto che può essere oggetto di sequestro e le imposte oggetto del reato. In particolare, nella decisione in esame si è affermata la rilevanza del successivo pagamento delle imposte dopo la commissione del reato; pagamento che, pur non determinando l’estinzione del reato, esclude la possibilità di proce-dere alla confisca dei beni del reo. Parole chiave: sequestro, confisca, pagamento successivo, imposte, profitto, danno The introduction in 2008 of the confiscation by equivalent also in criminal tax law has led to an important increase of decisions on this issue by the Italian Supreme Court (ISC), as a result of the great amount of seizures ordered and of their appeals.

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956

547

In this field, the ISC adopted an instrument originally devised for other criminal of-fences and addressed, inter alia, the relationship between the profit that may be sub-ject to seizure and the taxes involved by such offence. In particular, the commented de-cision remarks the relevance of the subsequent payment of taxes once the offence has been committed, which – although it does not extinguish the offence itself – excludes the possibility to display the seizure of the offender’s properties. Keywords: seizure, confiscation, subsequent payment, taxes, profit, damage

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La possibile irrilevanza ai fini della confisca del tardivo pagamento dei tributi evasi. – 3. La natura della confisca per equivalente. – 4. La necessaria presenza di un profitto per procedere a confisca. – 5. I limiti di valore alla confisca. – 6. Il valore del profitto e la confi-sca a carico del concorrente nel reato. – 7. La conseguente rilevanza dell’intervenuto pagamen-to dell’imposta dovuta. – 8. I limiti all’applicazione di questo principio: rilevanza del giudicato penale e dell’accertamento in sede tributaria.

1. Premessa

La Suprema Corte affronta per la seconda volta 1 – e con lo stesso esito – una questione che aveva sollevato diverse perplessità in relazione all’introdotta appli-cazione della confisca per equivalente in materia di reati tributari.

Si fa riferimento alla possibilità o meno di procedere a confisca in quei casi ove, dopo la commissione del reato tributario, il contribuente venga ad eliminare gli ef-fetti negativi della sua condotta illecita attraverso il versamento delle imposte sot-tratte all’Erario. Il tutto sia con riguardo ai casi nei quali, prima di questo pagamen-to, sia già intervenuto un sequestro preventivo sia a quelli ove un tale provvedi-mento cautelare venga attivato successivamente.

2. La possibile irrilevanza ai fini della confisca del tardivo pagamento dei tributi evasi

In particolare – subito dopo l’introduzione di questo istituto nel diritto penale tributario – alcuni autori 2 hanno osservato come vi potesse essere la possibilità di

1 La prima si è avuta con Cass., sez. III, 1° dicembre 2010-11 marzo 2011, n. 10120, in Italgiure. giustizia.it, rv. 249752.

2 MEOLI, Confisca per equivalente nei reati tributari. Applicazione retroattiva?, in Il Fisco, 2008, 1971;

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

548

un’interpretazione giurisprudenziale per la quale un tale pagamento non potesse escludere il sequestro, prima, e la confisca, poi, di beni per un valore corrisponden-te all’imposta evasa anche laddove questa fosse stata, poi, versata per intero al-l’Erario.

Possibilità interpretativa che – in assenza di una norma esplicita sul punto – po-teva trovare la sua ragione nella differenza tra i presupposti che fanno sorgere l’obbligazione tributaria e quelli dai quali trae origine la confisca in materia penale.

Differenze queste che possono – in linea terorica – consentire un’ablazione pena-le anche in presenza di un intervenuto successivo pagamento dell’imposta in sede tributaria; il tutto senza che questo doppio pagamento possa determinare un’assunta violazione del principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.

Al riguardo, infatti, la situazione che legittima l’ablazione patrimoniale propria alla confisca penale ed, in particolare, a quella per equivalente non è data, come, invece, avviene per l’obbligazione tributaria, nella manifestazione di richezza costi-tuente espressione di una capacità contributiva, ma nella trasgressione di una norma alla quale consegue, in una visione sanzionatoria, anche l’applicazione di questa misura patrimoniale 3. Sanzione che, allora, può – per sua natura – avere un valore nettamente superiore al profitto conseguito o, nel caso di specie, all’imposta evasa 4.

Principi questi che, peraltro, si inseriscono nell’ambito di un sistema penale tri-butario ove il pagamento successivo dell’imposta non determina l’estinzione del reato 5 e nel quale vige la regola dell’autonomia tra l’accertamento dell’imposta com-piuto in sede tributaria e quello in sede penale 6. COVINO-STEVANATO-TERRACINA-LUPI, Confisca per equivalente per i reati fiscali e possibili duplicazioni rispetto al pagamento del tributo, in Dialoghi trib., 2008, p. 63.

3 COPPA, Confisca nel diritto tributario, in Dig. comm., vol. III, Torino, 1988, p. 412 ove, nell’indi-carsi questi principi si evidenzia, innanzitutto, come solo per i tributi e non anche per le altre presta-zioni patrimoniali l’art. 53 Cost. istituisca il collegamento tra dovere di concorso alle spese pubbli-che e la capacità contributiva del soggetto passivo del prelievo; collegamento assente nel caso della confisca, alla stregua di ogni altra sanzione, essendo questa giustificata con l’esigenza di ripristinare l’assetto normativo violato essendo, tra i due istituti, diversa la finalità di pubblico interesse perse-guita, il presupposto ed il parametro a cui si commisura il trasferimento della ricchezza del singolo all’ente pubblico.

4 Sul punto possono richiamarsi le sanzioni previste in materia di contrabbando – artt. 282 ss., D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 – ove la multa irrogata è fissata nella misura da due a dieci volte i dirit-ti di confine illecitamente non pagati.

5 Questo, infatti, determina unicamente l’applicazione di un’attenuante che in materia tributaria è regolata dall’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000 ed in termini generali dall’art. 62, n. 6, c.p.

6 Autonomia dalla quale discende l’indipendenza tra i due procedimenti che possono giungere anche a conclusioni diverse ed opposte in ordine sia alla presenza di un’evasione d’imposta sia alla sua entità, tenendo anche conto dei criteri non coincidenti sui quali si basa, nelle due sedi, questo accertamento. Principi confermati in ultimo sia dalla giurisprudenza tributaria che penale; v. Cass., sez. trib., 6 maggio 2011, n. 10036 ove si giunge a conclusioni opposte a quelle avutesi per lo stesso

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956

549

3. La natura della confisca per equivalente

Questa possibile interpretazione – avversata da parte della dottrina 7 – corret-tamente, non è stata condivisa dalla Suprema Corte con una motivazione coerente con l’esatta natura dell’istituto qui in esame per come lo stesso è stato delineato, nel tempo, dal giudice di legittimità.

Sul punto, in vero, la natura sanzionatoria della confisca per equivalente 8 deriva dalla circostanza che questa non ha – a differenza della confisca regolata dall’art. 240 c.p. – una funzione di prevenzione speciale rispetto al bene oggetto di seque-stro 9, costituendo, invece, una forma di prelievo pubblico a compensazione di pre-lievi illeciti 10. Con essa, infatti, si colpisce un bene che non ha alcun rapporto con il reato commesso e che, indi, non può essere valutato come pericoloso ai fini della commissione di futuri reati.

Ne deriva che la stessa ha una funzione ripristinatoria della situazione econo-mica, per come questa è stata modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito attraverso, quindi, l’imposizione di un sacrificio patrimoniale a carico del responsabile del reato 11 di corrispondente valore al vantaggio economico con- accertamento in sede penale evidenziandosi «la differente finalità del giudizio penale e l’etero-geneità del relativo regime della prova». In modo analogo Cass. pen., sez. III, 28 maggio 2008, n. 21213, DE CICCO, in Corr. trib., 2008, p. 2524. V. anche nota 33.

7 MUSCO-ARDITO, Diritto penale tributario, Milano, 2010, p. 74. 8 Natura che porta a distinguere questo istituto dalla confisca regolata, in termini generali, dal-

l’art. 240 c.p. e che ha, invece, una funzione di prevenzione speciale – v. nota 9 – rispetto alla perico-losità del bene oggetto del sequestro; funzione quest’ultima assente nella confisca per equivalente ove il bene oggetto del provvedimento abaltorio non può essere pericoloso essendo del tutto svin-colato dal reato commesso non avendo con esso alcun rapporto di pertinenzialità.

9 In linea generale la confisca – in particolare quella regolata dall’art. 240 c.p. – come tutte le mi-sure di sicurezza, non ha una funzione sanzionatoria ma preventiva essendo diretta ad evitare la «possibilità che la cosa, qualora sia lasciata nella disponibilità del reo venga a costituire per lui un incentivo a commettere ulteriori illeciti, una volta che egli sia certo che il prodotto del reato non gli verrà confiscato» (IACCARINO, La confisca, Bari, 1935; MASSA, Confisca, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 80); prevenzione che avviene attraverso l’espropriazione delle cose attinenti al reato perché serviro-no o furono destinate a commetterlo o perché ne sono il prodotto o il profitto (MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, Padova, 2009, p. 838); sulla natura – in linea generale e con l’eccezione qui evidenziata – preventiva e non sanzionatoria della confisca anche: Cass., sez. IV, 27 gennaio 2009, n. 9986, FAVE, in Riv. pen., 2009, p. 655; Cass. pen., sez. I, 8 novembre 2007, n. 7116, LIBONI, in CED Cassazione, rv. 239302; Cass. pen., sez. I, 29 marzo 1995, in proc. Gianquitto, in Mass. Cass. pen., 1995, fasc. 8, p. 114.

10 Cass., sez. un., 25 ottobre 2005, n. 41936, in Cass. pen., 2006, p. 1382 ed in Giur. it., 2006, p. 2402. 11 Cass., sez. VI, 18 febbraio 2009, n. 13098, MOLON, in CED Cassazione, rv. 243127; in modo

identico: Cass., sez. III, 26 maggio 2010, n. 29724, CASTAGNARA, in CED Cassazione, rv. 248109; Cass., sez. III, 14 gennaio 2010, n. 6293, in Riv. dir. trib., 2010, II, p. 72; Cass., sez. III, 24 settembre 2008, n. 39172, CANISTO, in Giur. it., 2009, p. 2761 ed in Riv. dott. comm., 2009, p. 604; decisioni queste alle quali ha aderito anche la Corte costituzionale che ha confermato la natura sanzionatoria

10.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

550

seguito a seguito della condotta illecita. Ciò tenendo conto che l’art. 322 ter c.p. fa riferimento, per quel che qui interessa, alla confisca di un valore corrispondente al profitto del reato che è dato proprio dall’utile da esso derivato 12.

Funzione che, allora, fa si che questa forma di confisca abbia una natura da va-lutarsi come poliedrica in quanto vi è sia un elemento sanzionatorio – dato dallo spostamento del vincolo dalla res che è in connessione con il reato con una quota del patrimonio – sia una finalità di recupero, con riferimento all’ipotesi di impossi-bilità di applicare la misura sul diretto profitto o prodotto del reato 13.

In relazione a quest’ultimo aspetto deve, in vero, evidenziarsi che la confisca per equivalente è stata introdotta nel nostro ordinamento penale con riferimento a reati ove il soggetto attivo agisce, in via principale, per conseguire un illecito vantaggio pa-trimoniale e nei quali l’esperienza, concreta, aveva evdienziato una frequente diffi-coltà od impossibilità a rinvenire, nella sfera giuridico patrimoniale del reo, il prezzo od il profitto del reato 14. Mancato reperimento che può trovare la sua origine in di-verse circostanze 15 e che nel caso dei reati tributari trova la sua ragione nel fatto che questi – nella gran parte dei casi – si risolvono in un illecito risparmio economico di imposta che in quanto tale non può esserre assoggettato a confisca 16. di questa confisca mancando in essa ogni rapporto di pertinenzialità tra il reato ed i beni oggetto di questa misura e con esso, allora, l’assenza di una loro pericolosità che possa giustificare la misura ablatoria: Corte cost., 20 novembre 2009, n. 301, in Giur. cost., 2009, p. 4587; Corte cost., 2 aprile 2009, n. 97, in Foro it., 2009, I, 2596 e Il Fisco, 2009, p. 2576).

12 Principi questi affermati da Cass., sez. II, 16 novembre 2011, n. 45054 in un caso analogo a quello qui in esame in materia di confisca per equivalente nel delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato; sentenza che richiama per la nozione di profitto i principi affermati da Cass., sez. un., 27 marzo 2008, n. 2654, in Foro it., 2009, II, p. 36 ed in Riv. trim. dir. pen. economia, 2008, p. 1082.

13 Cass., sez. III, 7 giugno 2011, n. 28731, in Riv. giur. trib., 2011, p. 944, con nota di VANNINI. 14 Impossibilità a reperire il prodotto od il prezzo del reato che costituisce un presupposto ne-

cessario per l’applicabilità della confisca per equivalente potendo quest’ultima intervenire solo quando non sia possibile reperire i beni – laddove esistenti – che costituiscono il diretto profitto o prezzo del reato contestato (Cass. pen., sez. III, 5 maggio 2009, n. 30930, in Quaderni dir. e politica ecclesiastica, 2009, p. 913; anche Cass., sez. un., n. 41936/2005, cit.).

15 Ad esempio perché il profitto od il prezzo del reato non è transitato nella sfera giuridico/patri-moniale del reo o è transitato in minima parte o è stato appreso da altri o comunque non è stato re-perito.

16 In ultimo Cass., sez. III, 1° dicembre 2010-8 marzo 2011, n. 8972, in Il Fisco, n. 1, 2011, p. 2223; sul punto si richiama l’ulteriore e consolidata giurisprudenza della Cassazione avutasi prima della introduzione della confisca per equivalente nei reati tributari che ha, da sempre, osservato come in tema di reati tributari non poteva essere assoggettato a sequestro preventivo, nella prospettiva di una successiva confisca, il saldo liquido di un conto corrente in misura corrispondente all’imposta evasa laddove non sussista la prova del necessario rapporto di derivazione diretta tra l’evasione dell’imposta e le disponibilità del denaro non essendo sufficiente affermare che la disponibilità li-quida sia frutto dell’indebito arricchimento per una somma equivalente all’imposta evasa (Cass., sez. III, 15 marzo 2006, n. 13244, CHIAROLLA, in Il Fisco, 2006, p. 5827; anche Cass., sez. V, 26 gen-naio 2010, n. 11288, NATALI, in CED Cassazione, rv. 246361; Cass., sez. III, 20 marzo 1996, n. 1343,

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956

551

Profitto oggetto del provvedimento abaltorio qui in esame che nel caso dei rea-ti tributari coincide con l’ammontare dell’imposta evasa che viene allora recupera-ta a mezzo della confisca per equivalente di una somma corrispondente 17.

Da questa finalità dell’istituto qui in esame deriva, allora, in modo logico, la ne-cessaria connessione tra questa confisca e la presenza di un profitto attuale – dato anche da un illecito risparmio fiscale – conseguito dal contribuente in danno del-l’Erario.

4. La necessaria presenza di un profitto per procedere a confisca

Principi quelli appena richiamati che determinano, allora, alcune logiche con-seguenze dalle quali, poi, in finale, consegue, in modo inevitabile, l’interpretazione qui affermata dalla Suprema Corte.

Innanzitutto, non vi potrà essere confisca per equivalente laddove, pur in pre-senza di un delitto tributario, il contribuente non abbia conseguito alcun profitto ed, indi, con esso alcun concreto vantaggio economico a seguito della condotta il-lecita sanzionata dalla norma penale 18. Non vi può, infatti, essere alcun ripristino o recupero in favore dello Stato in assenza di un profitto conseguito.

Da quanto sopra deriva, allora, che prima di procedere ad un sequestro per equi-valente è necessario verificare che, in concreto, dalla condotta illecita sanzionata dal D.Lgs. n. 74/2000 sia conseguito un profitto, inteso quale vantaggio economi-co – dato nei reati dichiarativi dal risparmio fiscale – che possa, allora, essere og-getto di futura confisca 19. Il tutto tenendo conto che vi sono reati tributari 20 che sono delineati quali reati di pericolo che possono, pertanto, realizzarsi anche lad-dove, in concreto, nessun danno per l’Erario ed, indi, nessuna evasione (o sottra-zione) di imposta si sia verificata.

In questi ultimi casi è, allora, evidente che, in assenza di una concreta evasione di imposta ed, indi, in mancanza di un profitto derivante dalla condotta illecita, non potrà aversi confisca per equivalente. CENTOFANTI, in CED Cassazione, rv. 205466; Cass., sez. III, 7 dicembre 1992, MIATTO, in Il Fisco, 1993, p. 4261; Cass., sez. III, 3 ottobre 2001, in Impresa, 2001, p. 1965).

17 Cass., n. 10120/2011, cit. 18 Cass., sez. VI, 25 ottobre 2001, TOMAT, in Cass. pen., 2002, p. 2102; Cass., sez. VI, 26 gennaio

1995, RUFFINATTO, in Mass. Cass. pen., 1995, fasc. 9, p. 47: entrambe in materia di istigazione alla corruzione ove si è indicato che laddove questa non venga accolta ed ove il danaro rimanga nella disponibilità dell’istigatore questo non può costituire né profitto, né prodotto, né prezzo del reato e come tale non è confiscabile

19 Cass., sez. III, 1° dicembre 2010-8 marzo 2011, n. 89729. 20 Ad esempio le fattispecie di cui agli artt. 2, 8 ed 11 che possono essere anche commesse pur in

assenza di una avvenuta evasione (o sottrazione) di imposta.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

552

5. I limiti di valore alla confisca

Una volta accertata la presenza del profitto, la confisca deve essere relativa ad un valore corrispondente o, comunque, non superiore al profitto conseguito in mi-sura tale da chiedere, fin dal momento della costituzione del vincolo cautelare (in-di anche in fase di indagini preliminari), una valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni sequestrati e l’entità del profitto 21.

Profitto che – si ribadisce – è dato unicamente dall’imposta evasa secondo la nozione di essa presente nell’art. 1, lett. f), D.Lgs. n. 74/2000 senza che, chiara-mente, nessuna influenza su questo elemento possono avere le sanzioni e gli inte-ressi che vengono applicati in sede tributaria 22. Il tutto in misura tale da rendere necessario che il Giudice prima di disporre il sequestro e di procedere alla confisca valuti la presenza, per lo meno, di una equivalenza tra il valore dei beni oggetto del proprio provvedimento ed il profitto conseguito con la condotta illecita sanzionata non potendosi imporre il vincolo cautelare per un valore ad esso eccedente 23.

Valutazione questa che deve attenere al valore oggettivo del sequestro senza che, invece, sia necessario che il Giudice, nell’emettere il provvedimento cautelare, individui i singoli beni oggetto della misura essendo sufficiente che lo stesso fissi la somma fino alla concorrenza della quale il sequestro deve essere eseguito lascian-do, poi, all’organo demandato all’esecuzione – Pubblico Ministero o polizia giudi-ziaria – la loro concreta individuazione 24.

6. Il valore del profitto e la confisca a carico del concorrente nel reato

Gli elementi indicati assumono rilevanza anche nell’ipotesi di concorso di per-sone nel reato tributario.

Al riguardo, si è correttamente ritenuto come, nel caso di concorso di più per-sone nel reato, sia legittimo il sequestro eseguito in danno di un solo concorrente fino a coprire l’intero importo relativo al prezzo od al profitto accertato 25 anche

21 Cass., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 41731, GIORDANO, in CED Cassazione, rv. 248679 che ri-chiama le affermazioni contenute in Cass., sez. V, 9 ottobre 2009-18 gennaio 2010, n. 2101, SORTINO, in CED Cassazione, rv. 245727.

22 Il bene giuridico protetto per questi reati è infatti l’interesse dell’erario a percepire per intero il tributo dovuto e questo costituisce, allora, il profitto conseguito sul quale può intervenire la confi-sca. Non rientrano, invece, in questa nozione quegli accessori – sanzione ed interessi – che trovano la loro conseguenza nel mancato o tardivo pagamento del tributo.

23 Anche Cass., sez. VI, 23 novembre 2010, n. 45504, in CED Cassazione, rv. 248956. 24 Cass., sez. III, 25 febbraio 2010, n. 12580, BARUFFA, in CED Cassazione, rv. 246444; Cass., sez.

II, 27 gennaio 2010, n. 6974, LIGUORI, in CED Cassazione, rv. 246479. 25 Cass., sez. V, 24 gennaio 2011, n. 13277, FARIOLI, in CED Cassazione, rv. 249839; Cass., sez.

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956

553

laddove le somme illecite siano state incamerate, in tutto od in parte, da altri coin-dagati 26.

Si è, infatti, osservato che nel caso di illecito plurisoggettivo si debba applicare il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e, pertanto, una volta perduta l’indivi-dualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato 27, salvo, poi, l’eventuale riparto tra i mede-simi concorrenti che costituisce fatto interno a questi ultimi e che non ha rilievo penale 28.

Tuttavia, si è aggiunto che l’unico limite che è presente in queste ipotesi deriva dalla circostanza che il sequestro preventivo non può mai essere duplicato od ec-cedere, in relazione alla totalità dei soggetti ai quali è imposto, l’ammontare del suddetto profitto.

Da ciò deriva che la somma del valore dei beni complessivamente sequestrati ai vari concorrenti nel reato – ed anche eventualmente all’ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio – non può mai superare il profitto conseguito complessi-vamente dal reato stesso 29.

In questi casi, infatti, una diversa interpretazione porterebbe al venire meno della funzione sanzionatoria e ripristinatoria di questa forma di confisca a mezzo di una acqusizione da parte dello Stato di un valore superiore al profitto conseguito ed, indi, per l’Erario, al danno subito.

7. La conseguente rilevanza dell’intervenuto pagamento dell’imposta dovuta

Quanto fino ad ora indicato ha portato, in modo conseguenziale, già nella pre-cedente sentenza n. 10120/2011 qui citata, a dare rilevanza all’intervenuto paga- III, 11 novembre 2010, n. 42462, RAGOSTA, in Il Fisco, 2010, p. 7490; Cass., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 41731, GIORDANO; Cass., sez. III, 1° dicembre 2010-13 gennaio 2011, n. 662, CAVANA.

26 Cass., sez. III, 25 febbraio 2010, n. 12580, BARUFFA, in CED Cassazione, rv. 246444; Cass., sez. VI, 28 gennaio 2009, n. 5401, DI FAZIO, in CED Cassazione, rv. 242777; Cass., sez. II, 21 febbraio 2007, ALFIERI, n. 9786; Cass., sez. II, 14 giugno 2006, GRASSI, in Foro it., 2007, II, p. 265.

27 Cass., sez. III, 23 settembre 2011, n. 39239 che cita sul punto sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Foro it., 2009, II, p. 36 ed in Cass. pen., 2008, p. 4544; in modo identico anche Cass., sez. III, 18 maggio 2011, n. 36290.

28 Cass., sez. II, 20 dicembre 2006-14 marzo 2007, n. 10838, in Foro it., 2007, II, p. 265 ed in Riv. pen., 2008, p. 136.

29 Cass., n. 13277/2011, cit.; Cass., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 41731, GIORDANO che richiama sez. un., n. 26654/2008, cit.; Cass., sez. 6, 6 marzo 2009, n. 18536, PASSANTINO, in CED Cassazione, rv. 243190; Cass., sez. 5, 3 febbraio 2010, n. 10810, PERROTTELLI, in CED Cassazione, rv. 246364; Cass., sez. III, 11 novembre 2010, n. 42462; Cass., sez. III, 11 novembre 2010, n. 42462; Cass., n. 662/2011, cit.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

554

mento del debito tributario dopo la commissione del reato ma prima della confisca per equivalente.

In particolare, nel giudizio da cui ha tratto origine la sentenza n. 10120/2011 la difesa, proprio partendo dall’interpretazione poi non accolta, aveva eccepito l’ille-gittimità costituzionale dell’art. 322 ter c.p. e dell’art. 143, comma 1, L. n. 244/2007 nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria per equivalente anche per i reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74/2000, in riferimento agli artt. 23 e 25 Cost., sot-to il profilo della violazione del principio di legalità e della duplicità della sanzione perché, costituendo la confisca obbligatoria per equivalente una sanzione penale, qualora il danno erariale venga meno a seguito del pagamento delle imposte evase, si determinerebbe il contestuale operare di due sanzioni per il medesimo illecito.

In questa occasione, in modo logico, la Suprema Corte ha, innanzitutto, evi-denziato come lo scopo della confisca per equivalente sia quello di impedire che l’impiego economico dei beni di provenienza delittuosa possa consentire al colpe-vole di garantirsi il vantaggio che era oggetto specifico del disegno criminoso in mi-sura tale da far si che la determinazione del profitto suscettibile di confisca coinci-da con l’ammontare della imposta evasa.

In tale ambito, allora, si è proseguito indicando che «la sanatoria della posizione debitoria con l’amministrazione finanziaria fa venir meno lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca. Ne consegue che la restituzione all’erario del profitto derivante dal reato elimina in radice lo stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca. In caso contrario si avrebbe appunto una inammissibile dupli-cazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato dal reato».

Conclusioni queste che sono in armonia con la ricostruzione complessiva dell’istituto della confisca per equivalente e che portano ad affermare che l’interve-nuta sanatoria della posizione tributaria impedisce l’adozione di questa misura e determina, laddove questa sia già stata adottata, la sua revoca 30. Ciò tenendo conto che un’opposta valutazione porterebbe a confiscare un profitto non più conseguito e con esso consentirebbe che una misura avente funzione riparatoria venga a sana-re una situazione che già è stata riparata.

Indicazioni queste, peraltro, conformi a quanto ritenuto con riferimento a delitti diversi da quelli tributari per i quali è prevista, da più tempo, la confisca per equiva-lente.

Per essi, infatti, si è indicato che una «confisca parametrata non sul profitto “at-tuale” al momento della sua applicazione, e dunque al netto delle restituzioni, ma all’utile derivato dal reato al momento della sua consumazione ... verrebbe a colpi-

30 Corrette conclusioni a cui si giunge senza alcun riferimento alla capacità contributiva dell’im-putato – che come detto non ha rilevanza per questo istituto – ma a mezzo di un chiaro riferimento alla necessaria attualità, al momento della confisca, del profitto conseguito e non restituito.

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956

555

re non l’accrescimento patrimoniale frutto dell’illecito, ma una parte del patrimo-nio in quanto tale, dando così vita ad un effetto sanzionatorio illegittimo, in quanto non previsto dalla legge» 31.

8. I limiti all’applicazione di questo principio: rilevanza del giudicato penale e del-l’accertamento in sede tributaria

Nella applicazione del principio di cui alla sentenza in commento si deve tenere conto di alcune difficoltà che, in concreto, possono prospettarsi.

Innanzitutto, è necessario osservare come la successiva sanatoria del debito fi-scale per avere qui rilevanza debba intervenire prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna con la quale viene diposta la confisca per equivalente nei confronti di valori sequestrati al condannato.

Infatti, dopo questo momento non è più possibile revocare l’avvenuta ablazione in favore del soggetto condannato.

Ciò tenendo conto che in sede esecutiva può farsi questione sulla formazione del titolo esecutivo, sull’applicazione della confisca obbligatoria non disposta in sede di merito, sulla proprietà delle cose confiscate se non appartenenti al condannato o se rivendicate da un terzo, sull’estensione e modalità esecutive della confisca stes-sa, ma non può riconoscersi al giudice dell’esecuzione il potere di vanificare il giu-dicato stesso rimuovendo, in favore del condannato, il provvedimento di confisca non più soggetto a impugnazione 32 facendo questo stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al giudizio di cognizione 33.

Più delicata è la questione relativa alla possibile rilevanza di un pagamento che avvenga in misura inferiore a quanto contestato in sede penale ma in conformità alla diversa e minore determinazione dell’imposta evasa decisa dal giudice tributa-rio o dall’Amministrazione finanziaria anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione previste dalle norme tributarie.

Sul punto sembrano entrare in conflitto due principi. Il primo per il quale in materia di reati tributari è competenza esclusiva del giu-

dice penale accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, mediante una

31 V. Cass., sez. II, 16 novembre 2011, n. 45054, BENZONI, in CED Cassazione, rv. 251070 con ri-ferimento alla confisca per equivalente di cui all’art. 640 quater c.p. prevista per la truffa ai danni del-lo Stato indicando l’inammissibilità del sequestro per equivalente laddove l’utilità economica ricava-ta dalla truffa sia stata restituita al soggetto danneggiato.

32 Cass., sez. IV, 20 aprile 2000, n. 2552, in CED Cassazione, rv. 216491; anche Cass., sez. I, 3 lu-glio 2002, n. 30713, MERLO.

33 Cass., sez. III, 18 gennaio 2008, n. 7475 in un caso ove è stato rigettato la richiesta di restitu-zione in fase esecutiva con riferimento ad un bene erroneamente confiscato in sede di cognizione; in modo analogo Cass., sez. V, 24 settembre 2001, n. 34705.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

556

verifica che può sovrapporsi o essere anche in contraddizione con quella effettuata dal giudice tributario 34. Il tutto in misura tale da rendere, allora, indifferente l’ac-certamento tributario laddove questo non trovi riscontro in sede penale essendo, allora, possibile confiscare la maggiore imposta accertata.

Il secondo per il quale ai fini dell’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000 il debito tributario si consideri estinto anche laddove il pagamen-to dello stesso avvenga sulla base dell’imposta determinata «a seguito delle specia-li procedure conciliative o di adesione previste dalle norme tributarie».

Sul punto si deve ritenere che, essendo collegato il profitto che può essere og-getto di confisca alla posizione debitoria con l’amministrazione finanziaria, la sana-toria della stessa con quello che è valutato essere il soggetto passivo del reato fa, comunque, venire meno la possibilità di procedere alla confisca per equivalente non essendovi più un profitto attuale conseguito nei confronti dell’Erario.

Conclusione questa che non fa venire meno, chiaramente, il potere del giudice penale di disattendere la misura dell’accertamento stabilito in sede tributaria e di valutare come superiore l’imposta effettivamente evasa ma che non consente in queste ipotesi di assoggettare quel surplus alla misura cautelare reale qui in esame.

Gian Luca Soana

34 V. anche nota 6; Cass. pen., sez. III, 26 novembre 2008, n. 5490, in Riv. giur. trib., 2009, p. 242 ed in Cass. pen., 2010, p. 1126. Principio questo particolarmente rilevante quando sulla base della ridotta imposta accertata in sede tributaria verrebbe meno l’esistenza del reato non superando que-sta la soglia di punibilità prevista dalla fattispecie contesta. In questi casi, il giudice penale non è vin-colato da questa valutazione potendo ritenere invece superata detta soglia in relazione all’imposta dallo stesso accertata. Principio questo che, poi, nella pratica ha portata limitata tendendo i giudici di merito ad adeguarsi alle decisioni avvenute in sede tributaria; v. sul punto Tribunale di Milano, 5 febbraio 2009, in Riv. dir. trib., 2009, III, p. 142, ove, nel confermarsi il principio appena indicato, si è però stabilito che «deve essere assolto il contribuente imputato ... qualora l’evasione, pur origina-riamente accertata dagli uffici finanziari in misura eccedente la soglia minima di rilevanza penale prevista da tale norma, risulti poi determinata, all’esito di un procedimento di accertamento con adesione che non si palesa caratterizzato da vizi logici apprezzabili dal giudice penale, in misura infe-riore alla stessa soglia». Sulla natura autonoma della nozione penalistica di imposta evasa e sulla circostanza che questa non coincide totalmente con quella presente nel diritto tributario, v.: IMPE-RATO, in CARACCIOLI-GIARDA-LANZA (a cura di), Diritto e procedura penale tributaria, Padova, 2001, p. 67; TONCI, Le soglie di punibilità nel diritto penale tributario: la determinazione dell’imposta evasa, in Dir. prat. trib., 2006, p. 381; ANNUNZI, Imposta evasa ed imposta effettivamente dovuta nel d.lgs. n. 74/2000, in Il Fisco, 2000, p. 11456; CAROTENUTO, L’imposta evasa: una svolta nel sistema penale tributario, in Il Fi-sco, 2003, p. 5688).

Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4956

557

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

558

Finito di stampare nel mese di luglio 2012 nella Stampatre s.r.l. di Torino – Via Bologna, 220

 

Cedola di sottoscrizione

2012 Abbonamento (4 fascicoli cartacei) € 90,00 ISBN 978-88-348-2725-0

Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 24,50

Condizioni di pagamento

Versamento su c.c.p. n. 18001107 (allegare copia del bollettino, indicando sulla stessa nome/ragione sociale, indirizzo e causale del versamento)

Bonifico bancario - Intesa San Paolo S.p.a. ag. n. 13 - codice IBAN IT05 R030 6909 2081 0000 0012 548 (allegare copia del modulo disposizione bonifico, indicando sulla stessa nome/ragione sociale, indirizzo e causale del versamento)

Oppure tramite sito internet www.giappichelli.it/rtdt.html (anche con carta di credito) : è inoltre possibile acquistare la Ri-vista direttamente tramite la Rete di vendita diretta o le Librerie.

Cognome Nome / Ragione Sociale

Indirizzo N.

Cap Città Prov.

Telefono E-mail

Part. IVA Cod. Fisc.

Firma del Cliente

Inviare il presente modulo all’Editore:

Vi informiamo che i Vostri dati personali usati per finalità di carattere pubblicitario vengono trattati in rispetto del Codice in materia dei dati personali e ne viene garantita la sicurezza e la riservatezza. Per i nostri trattamenti ci avvaliamo di responsabili ed incaricati il cui elenco è costantemente aggiornato e può essere richie-sto rivolgendosi direttamente alla Società titolare (G. Giappichelli Editore srl) al numero di telefono 011.8153538. In qualsiasi momento potrete fare richiesta scritta alla Società titolare per esercitare i diritti di cui all’art. 7 del D.lgs. 196/2003 (accesso correzione, cancellazione, opposizione al trattamento, ecc.). Diritto di recesso: decorso il termine di 10 gg. lavorativi dalla data di sottoscrizione della presente proposta d’ordine senza che il cliente abbia comunicato mediante raccomandata A/R, telefax o telegramma (confermati con raccomandata con ricevuta di ritorno entro le successive 48 h) inviata a G. Giappichelli, sede di Torino, la propria volontà di revoca, la proposta si intenderà impegnativa e vincolante per il cliente medesimo.

G. Giappichelli Editore - Via Po 21 - 10124 Torino 011.8153111 011.8125100 [email protected] 

 

 

Tax Law Quarterly

Subscription coupon

2012 Subscription (4 issues-printed version) € 90,00 ISBN 978-88-348-2725-0

Each issue costs € 24,50

Payment conditions

Payment to post account no. 18001107 (please attach a copy of the coupon, indicating name/company name, address and reason for payment)

Telegraphic transfer to Intesa San Paolo S.p.a. ag. No. 13 - IBAN IT05 R030 6909 2081 0000 0012 548 (please attach copy of the transfer order, indicating name/company name, address and reason for payment)

Otherwise, go to www.giappichelli.it/rtdt.html (even with credit card) : you can also buy the Tax Law Quarterly directly through the direct sale net or in bookstores.

Name / Company Name

Address No.

Zip code City Prov.

Tel. E-mail

VAT No. Fiscal

Code

Signature

Send this coupon to the Editor:

We inform you that your personal data, used for advertising purposes, will be treated according to the Code on personal data and we guarantee that they will be used on a private and confidential basis. We make use of people entrusted and responsible for the data whose list is being updated constantly. You can request a copy of it to the Editor (G. Giappichelli Editore srl) by calling +39 011.8153538. You can request in writing to the Editor in order to enforce the rights mentioned in art. 7, Legislative Decree No. 196/2003 (access correction, cancellation, opposition to the treatment, etc.). Withdrawal: after 10 days from the subscription of this order proposal without the client having informed G. Giappichelli Editore, Turin head office, by certified letter, tele-fax or telegram (confirmed by certified letter within the following 48 hours) about their will to withdraw, the proposal shall be considered legally binding for the client.

G. Giappichelli Editore - Via Po 21 - 10124 Torino 011.8153111 011.8125100 [email protected] 

 

Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuenteStudi in onore del prof. Gianni Marongiu

a cura diAndrea Bodrito, Angelo ContrinoAlberto MarcheselliPrefazione di G. Marongiu. - Dalla prevalenza dell’“interesse fiscale” all’affermazione del “principio democratico”. - Attivi-tà legislativa fiscale e regole ispirate al principio della “certez-za del diritto”. - Regole e principi statutari e produzione nor-mativa tributaria delle autonomie locali. - L’attuazione delle norme tributarie e il modello procedimentale dell’interpello.

- La democratizzazione del rapporto tra “cittadino-contribuente” e pubblica ammi-nistrazione. - Il passaggio da un’amministrazione di tipo oppositivo a un’amministra-zione “giustiziale”. - Amministrazione giustiziale, “spirito di dialogo” e contradditto-rio procedimentale. - Sulle conseguenze dei vizi del contraddittorio e delle violazio-ni sostanziali e formali. - Collaborazione e forme di tutela diretta o indiretta del con-tribuente nel procedimento. - Processo tributario, riscossione coattiva e sanzioni pe-nali-tributarie: aspetti sistematici.

pp. XII-692 - € 77,00 - ISBN 978-88-348-2758-1

Commentario al T.U.F.

a cura di Francesco VellaUn commento per ciascun articolo dei Decreti legislativi 24 febbraio 1998, n. 58 e 27 gennaio 2010, n. 39, con in appendice il commento al d.lgs. 39/2010.

Un’opera ricostruttiva che aiuta l’interprete a districarsi e a compiere i corretti collegamenti fra le norme di quel-lo che, ancora oggi, rappresenta la principale fonte di regolamentazione del mercato mobiliare italiano.

Due tomi indivisibili in edizione cartonatapp. 2.200 ca. - € 230,00 - ISBN 978-88-7524-222-0

novità

IN EVIDENZA

iscriviti alla Newsletter e ai feed RSS per essere informato sulle novità editoriali www.giappichelli.it

Volumi aggiornatialle Delibere Consobnn. 18210 e 18214

del 9 maggio 2012

novità

CONSULTAZIONE DELL’OPERA ON-LINE INCLUSA NEL PREZZO

attraverso il sito www.giappichelli.it sarà possibile visualizzarel’Opera sul proprio pc, IPad e smartphone

versione on-line costantemente aggiornata:verranno via via corretti i commenti e i necessari riferimenti normativi(aggiornamento garantito fino al 31 dicembre 2013)

on-line

L’avviamento nel diritto tributarioa cura diEugenio Della ValleValerio FicariGiuseppe MariniParte Prima: Profili extra-tributari. – I. L’avviamento: natura e rilevanza nel diritto societario (D.U. Santosuosso). – II. Circolazione dell’azienda, tutela dell’avviamento e divieto di concorrenza (E. Marchisio). – III. L’avviamento nella disciplina del codice civile e dei principi contabili

nazionali e nel sistema IAS/IFRS: brevi considerazioni critiche (E. Laghi). – IV. L’avviamento nei suoi aspetti economici e tecnico contabili (M.T. Bianchi). – Parte seconda: Profili di Diritto tributario sostanziale. – V. L’avviamento nell’ordinamento tributario: Considerazioni di sintesi (E. della Valle). – VI. L’avviamento nel sistema di determinazione del reddito d’impresa (G. Ferranti). – VII. Il riallineamento dell’avviamento ex articolo 15, commi 10-bis e 10-ter del D.L. n. 185/2008 (come modificato dal D.L. n. 98/2011) (G Bizioli). – VIII. Il trattamento fiscale dell’avviamento in dipendenza di operazioni aventi ad oggetto il conferimento di azienda ex art. 176 del D.P.R. n. 917/1986 (A. Garcea). – IX. L’avviamento derivato dalla acquisizione di una azienda: presupposti generatori delle perdite d’avviamento e profili fiscali (A. Di Dio). – X. La disciplina fiscale dell’avviamento negativo (M. Di Siena). – XI. La deducibilità dell’avviamento nelle imposte sui redditi (M. Baldacci). – XII. L’avviamento nel transfer pricing (M. D’Avossa). – XIII. L’avviamento nell’imposta sul reddito delle persone fisiche (P.L. Cardella). – XIV. L’imposizione indiretta del passaggio generazionale dell’azienda tra regimi agevolati e criticità di sistema (V. Mastroiacovo). – XV. L’avviamento dell’azienda nel sistema dell’IVA (M. Giorgi). – Parte terza: Profili tributario-procedimentali. – XVI. Azienda ed avviamento tra accertamento, “prezzi” e “autonomia” del contribuente (V. Ficari). – XVII. L’accertamento di maggior valore dell’avviamento nell’imposta di registro: eventuali effetti ai fini delle imposte sui redditi (G. Marini). – XVIII. Operazioni straordinarie e potere di ingerenza dell’Amministrazione finanziaria nella valorizzazione degli assets acquisiti (E. D’Alfonso). – XIX. Profili procedimentali e motivazione dell’atto di accertamento nella rideterminazione induttiva dell’avviamento (G. Selicato). – XX. Critiche e spunti di riflessione sulla determinazione dell’avviamento in sede di accertamento (G. Tortora).

n. 1 | pp. XIV-438 - € 47,00 - ISBN 978-88-348-2760-4

Collana diretta da

Fabrizio Amatucci, Massimo Basilavecchia, Roberto Cordeiro Guerra, Lorenzo Del Federico, Eugenio Della Valle, Valerio Ficari, Maria Cecilia Fregni, Alessandro Giovannini, Maurizio Logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco Paparella, Livia Salvini, Loris Tosi

Diritto Tributario Italiano ed Europeo

novità

IN EVIDENZA

iscriviti alla Newsletter e ai feed RSS per essere informato sulle novità editoriali www.giappichelli.it