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1 Ricerca ’90 Rough Science Rough Science di Luciano Drusetta Ricerca ’90 ra che l’uomo, sia pure indirettamente, ha messo piede addirittura su Titano (una delle lune di Saturno della quale da tempo vado di- cendo che ha caratteristiche molto simili a quelle della Terra e che pertanto potrebbe teoricamente ospitare anche forme di vita “evolute” o “superiori”), non appare forse tanto campata per aria l’idea di voler “espor- tare” la nostra Astrologia geocentrica su altri corpi celesti, basan- doci sul principio secondo il quale le stelle “accompagnano” l’esse- re umano ovunque esso si trovi nell’Universo, e che il tutto funzioni come un sistema di proiezioni al cui centro si trova l’individuo: e che pertanto se l’individuo si sposta, si deve spostare con lui anche il sistema di riferimento. Nel caso dell’Astrologia, il sistema di riferimento con cui lavoria- mo noi astrologi è dato da semplici ma poco conosciuti elementi di geografia astronomica, che ho già avuto modo di illustrare e spiega- re in alcuni miei articoli: per esempio nella mia Astronomia per astrologi (apprezzata anche da alcuni scettici, i quali, non volendo credere che un astrologo potesse conoscere così bene la materia astronomica, mi hanno semplicemente accusato di avere scopiazza- to qua e là giusto per fare “bella figura”); oppure nel mio studio sulle Rivoluzioni Solari degli astronauti in orbita. Mi riferisco a concetti fondamentali quali la volta celeste, l’orizzonte razionale, e soprat- tutto a quel sistema di coordinate geografiche – latitudine e longitu- dine – che ci serve tantissimo in fase di domificazione. Relazione presentata al XII convegno annuale di Astrologia di Vico Equense, Hotel Aequa 3, 4 e 5 giugno 2005.

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di Luciano DrusettaPubblicato su Ricerca '90 n. 64Dove si spiega come costruire un sistema di coordinate geografiche con mezzi di fortuna.La serie "Rough Science" è poi stata doppiata ed è andata in onda sulla Rai col titolo di "Scienziati alla prova"

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di Luciano Drusetta

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ra che l’uomo, sia pure indirettamente, hamesso piede addirittura su Titano (una dellelune di Saturno della quale da tempo vado di-cendo che ha caratteristiche molto simili aquelle della Terra e che pertanto potrebbeteoricamente ospitare anche forme di vita“evolute” o “superiori”), non appare forsetanto campata per aria l’idea di voler “espor-

tare” la nostra Astrologia geocentrica su altri corpi celesti, basan-doci sul principio secondo il quale le stelle “accompagnano” l’esse-re umano ovunque esso si trovi nell’Universo, e che il tutto funzionicome un sistema di proiezioni al cui centro si trova l’individuo: eche pertanto se l’individuo si sposta, si deve spostare con lui ancheil sistema di riferimento.

Nel caso dell’Astrologia, il sistema di riferimento con cui lavoria-mo noi astrologi è dato da semplici ma poco conosciuti elementi digeografia astronomica, che ho già avuto modo di illustrare e spiega-re in alcuni miei articoli: per esempio nella mia Astronomia perastrologi (apprezzata anche da alcuni scettici, i quali, non volendocredere che un astrologo potesse conoscere così bene la materiaastronomica, mi hanno semplicemente accusato di avere scopiazza-to qua e là giusto per fare “bella figura”); oppure nel mio studio sulleRivoluzioni Solari degli astronauti in orbita. Mi riferisco a concettifondamentali quali la volta celeste, l’orizzonte razionale, e soprat-tutto a quel sistema di coordinate geografiche – latitudine e longitu-dine – che ci serve tantissimo in fase di domificazione.

Relazione presentata alXII convegno annualedi Astrologia di VicoEquense, Hotel Aequa3, 4 e 5 giugno 2005.

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Quando nell’aprile dell’anno 2001 presentai a Roma la mia idea diAstrologia Extraterrestre in occasione del primo incontro primave-rile della mailing list Convivio Astrologico (per la cronaca, fu an-che una delle mie prime RSM), un noto astrologo del quale non de-sidero fare il nome obiettò che non è possibile domificare su uncorpo celeste che non sia la Terra, per la mancanza di un sistema dicoordinate geografiche da cui partire per i normali calcoli di domi-ficazione.

L’obiezione è infondata. Esistono già mappe precise dei principalicorpi celesti del nostro sistema solare, con tanto di meridiani e pa-ralleli; basta acquistare un qualsiasi atlante del nostro sistema sola-re per accertarsene. Ma anche ipotizzando di trovarci su un corpoceleste sconosciuto, chiunque, con un po’ di ingegno e qualche sem-plice strumento “fatto in casa”, può essere in grado di determinarecon una buona approssimazione le coordinate geografiche del luogoin cui si trova.

Come? L’ho scoperto da un programma TV. La nostra maltrattata ebistrattata TV ogni tanto ci può riservare piacevoli sorprese, speciese si sa dove (e quando) guardare... E questa volta l’informazioneilluminante mi è venuta da un simpatico programma che mi capitò divedere un paio di volte sul canale satellitare BBC World, dove andòin onda per la prima volta nel marzo 2001 diventando subito un pro-gramma “cult”.

La serie televisiva in questione si intitola Rough Science, che po-tremmo tradurre come “Scienza grezza”, “Scienza alla buona”, maanche “Scienza applicata alla vita quotidiana”. In Rough Science ven-gono messi alla prova cinque scienziati di diversa estrazione cultu-rale (un chimico, un biologo, un fisico, un botanico, un biologo ma-rino). Essi vengono spediti, a guisa di “survivor” o di moderni Ro-binson, in un’isola misteriosa e inabitata dove si trova una ex prigio-ne in cui possono reperire diversi materiali utili: corde, cavi elettri-ci, pentolame, assi di legno, attrezzi da bricolage e da giardinaggio.Su quest’isola gli scienziati, coi limitati mezzi a loro disposizione efacendo perno soprattutto sulle proprie conoscenze scientifiche,devono risolvere una serie di problemi o compiti che vengono loroaffidati (per esempio, accendere un focolare o produrre energia elet-trica). Penserete al solito reality show, ma vi assicuro che si trattadi un godibilissimo documentario di divulgazione scientifica.

Nella prima puntata gli scienziati, sbarcati sull’isola misteriosa sen-

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za avere la minima idea di dove si trovino, hanno il compito di indi-viduare con la massima approssimazione possibile la latitudine e lalongitudine dell’isola che li ospita. Questa prima puntata di RoughScience ha dimostrato che calcolare la latitudine del luogo in cui cisi trova non è poi impresa così difficile. La latitudine di un luogo èinfatti la sua distanza angolare dall’equatore; ovviamente tale di-stanza la possiamo anche misurare dal Polo, e in questo caso otter-remmo l’angolo complementare alla latitudine. Cioè, se con i nostrimezzi (che poi vedremo) stabiliamo di trovarci per esempio a 15° didistanza dal Polo Nord, sapremo anche di essere a 90 - 15 = 75° didistanza dall’equatore, e quindi a una latitudine nord di 75°.

Nel nostro caso, i cinque baldi scienziati inglesi capirono subito,osservando il cielo notturno, di trovarsi nell’emisfero boreale; in-fatti il cielo del nostro emisfero presenta costellazioni diverse daquelle dell’emisfero australe. Tra le costellazioni che popolano ilcielo boreale, l’Orsa maggiore è quella più facilmente riconoscibi-le nelle notti di cielo sereno, e questo anche perché si trova in unazona di cielo relativamente “pulita”, cioè povera di stelle, e soprat-tutto perché è una costellazione sempre visibile in qualsiasi stagio-ne (sempre che il cielo sia sereno, ovviamente...).

Partendo dunque dall’Orsa maggiore, con un piccolo trucchetto èpossibile riconoscere la costellazione dell’Orsa minore, simile mapiù piccola, che si trova in posizione rovesciata e speculare rispettoalla... sorella maggiore. Il trucchetto consiste nel congiungere conuna linea ideale le due stelle che formano il lato del carro opposto al“manico” del Carro (o alla “coda” dell’Orsa) maggiore, e immagi-nando di prolungare di 5 volte questa linea, arriveremo a individuarecon una certa facilità la Stella Polare, che è la stella all’estremo del“manico” o “coda” dell’Orsa minore. È possibile, con un trucchettosimile, arrivare all’Orsa minore anche partendo da altre costellazio-ni, come per esempio quella di Orione, che è un’altra costellazionefacilmente individuabile nel nostro cielo stellato.

Individuata la Stella Polare, non dobbiamo far altro che misurarnel’ascensione retta, cioè la distanza angolare misurata perpendico-larmente al nostro orizzonte. Al Polo Nord la Stella Polare si trovaallo zenit (90°), e man mano che scendiamo di latitudine anche laStella Polare si “abbassa”, fino a toccare l’orizzonte (0°) all’equato-re. Se dunque ci troviamo a 40° di latitudine nord, la stella polare ciapparirà a 90 - 40 = 50° sopra l’orizzonte. Se siamo a 45° di lat. nordla stella polare ci apparirà a 90 - 45 = 45° dall’orizzonte.

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Se non riusciamo ad individuare la Stella Polare, o se ci troviamo inun luogo per noi del tutto “alieno”, l’alternativa che ci rimane è quelladi restare ad osservare il cielo stellato per alcune ore, in modo dapoter riuscire a percepirne l’apparente movimento rotatorio attornoa un punto solo: quel punto costituisce il polo celeste dal qualepotremo misurare appunto la nostra latitudine.

Per calcolare l’angolo della latitudine i nostri cinque scienziati do-vettero costruirsi un rudimentale goniometro. Per fare un goniome-tro sufficientemente accurato non è necessario avere a disposizionechissà quali strumenti di precisione: basta piegare un foglio di carta.Prima di tutto, dal foglio rettangolare bisogna farne un quadrato, epoi questo quadrato va piegato ripetutamente in diagonale per crearesuccessivi angoli di 90°, 45°, 22°30’, 11°15’ e così via a secondadel livello di precisione che desideriamo ottenere. Poi basta trac-ciare questi angoli su una tavoletta di legno e legare la tavoletta a unfilo a piombo.

Con questo sistema gli scienziati di Rough Science calcolarono ditrovarsi a circa 43° di latitudine nord. E grazie all’osservazione del-la vegetazione e della fauna marina, capirono anche di trovarsi in unaqualche isola mediterranea.

I nostri cinque rappresentanti della scienza ufficiale sarebbero riu-sciti ugualmente nell’impresa anche se si fossero trovati su un cor-po celeste sconosciuto? Certamente sì. Infatti il polo celeste, comedetto, può essere determinato tramite una semplice osservazioneprolungata del cielo, perché è quel punto della volta celeste attornoal quale apparentemente ruota tutto il cielo.

Esiste anche un metodo empirico molto semplice per sapere se ci sitrova nell’emisfero nord o sud di un qualsiasi corpo celeste. Perfarlo ci viene in aiuto la cosiddetta forza di Coriolis, che regola ilmoto dei fluidi sulla superficie dei corpi celesti dotati di una rota-zione attorno al proprio asse. Ci basta allora aprire un rubinetto enotare in che direzione va il mulinello che l’acqua fa scendendo perlo scarico del lavandino o della vasca. Ma trovandoci in un’isola dareality show senza particolari comfort, possiamo anche prendereuna bacinella con un piccolo foro sul fondo, riempirla d’acqua e sta-re a vedere in che direzione ruota il mulinello che si scarica dalfondo, magari aiutandoci visivamente appoggiando una pagliuzza agalleggiare in superficie. Se il mulinello (e la pagliuzza) gira in sen-so orario ci troviamo all’emisfero nord, se gira in senso antiorario

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ci si troviamo all’emisfero sud. Provare per credere… E se ci sitrova esattamente all’equatore? In questo caso, se non ci sono altreforze in gioco, l’acqua dovrebbe scendere dal foro linearmente, senzacreare nessun mulinello.

Individuare la longitudine si rivela invece un compito molto piùcomplesso. La longitudine di un luogo viene infatti definita come lasua distanza angolare dal meridiano fondamentale. Il problemaè che, mentre l’equatore è, per così dire, un fattore esistente, unarealtà unica e indiscutibile per ciascun corpo celeste dotato di unmoto di rotazione attorno al proprio asse, i meridiani sono tutti ugua-li, equivalenti; e pertanto il meridiano fondamentale (chiamato an-che meridiano primo) è determinato esclusivamente in base a unaconvenzione.

Nel caso concreto, e a causa della convenzionalità del meridianoprimo, per calcolare la longitudine della loro isola misteriosa i pro-tagonisti di Rough Science dovettero innanzitutto attendere il mez-zogiorno vero locale, il momento cioè in cui il sole culmina sulmeridiano locale. Come possiamo determinare anche noi questomomento? Basterebbe una bussola; ma in mancanza di questa, dopoaver determinato il Nord geografico in base alla posizione della StellaPolare, dovremmo fissare due paletti sulla direzione Nord-Sud, etracciare sul terreno una linea retta che unisca questi due paletti. Poidovremmo (e così fecero i cinque scienziati dell’isola) restare inpaziente attesa che l’ombra di uno dei paletti si sovrapponga esatta-mente a questa linea. Quando ciò avviene, il sole si trova esattamen-te al culmine del suo tragitto diurno (al Medio Cielo, diremmo noiastrologi).

Abbiamo detto che, mentre i paralleli sono fissati in modo naturalea partire dall’equatore, che è l’unico circolo massimo orizzontale diun pianeta, i meridiani (che sono tutti quanti circoli massimi verti-cali) partono arbitrariamente da un meridiano di riferimento, chequi sulla Terra è il Meridiano di Greenwich: quel circolo massimomeridiano (“verticale”) passante attraverso l’Osservatorio Reale diGreenwich, in Inghilterra.

Si tratta, come accennato, di una semplice convenzione frutto di unaccordo internazionale stipulato in un’epoca in cui era probabilmentepiù facile di adesso mettersi d’accordo su alcune questioni interna-zionali di basilare importanza. Nell’ottobre 1884 a Washington DC,negli Stati Uniti, si tenne la Conferenza Internazionale dei Meridia-

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ni alla presenza del Presidente degli Stati Uniti e di 41 delegati di 25paesi, che tra le altre cose decisero l’adozione di un unico sistemadi meridiani a livello mondiale, in sostituzione dei vari sistemi loca-li esistenti all’epoca. Stabilirono anche che il primo meridiano sa-rebbe stato quello passante per l’Osservatorio di Greenwich, e chetutte le longitudini, sia ad Est che ad Ovest, sarebbero state calcola-te a partire da questo meridiano con angoli da 0 a 180°; che tutti ipaesi avrebbero adottato la data universale; e che il giorno universa-le sarebbe iniziato alla mezzanotte di Greenwich e misurato su unorologio di 24 ore. Di conseguenza, da quel momento la linea dicambio data veniva a cadere sul meridiano opposto a quello di Gre-enwich.

Ovviamente non tutti furono d’accordo e, per esempio, la Franciaadottò il meridiano di Greenwich solo nel 1911. Prima di questarisoluzione fondamentale per lo sviluppo e l’armonizzazione dei tra-sporti e delle telecomunicazioni a livello mondiale, venivano adot-tati diversi meridiani di riferimento. Per esempio, la maggior partedelle Marine dell’Europa continentale usava il meridiano di El Hier-ro (Isole Canarie), definito per convenzione come il meridiano 20°a Ovest di Parigi (17° 39’ 46" a Ovest di Greenwich). Altri meridianidi riferimento usati in passato erano quelli di Roma (12° 27’ 08.04"a Est di Greenwich), Copenaghen, Gerusalemme, San Pietroburgo(Meridiano di Pulkovo, 30° 19’ 42.09" a Est di Greenwich), Pisa,Parigi (2° 20’ 14" a Est di Greenwich) e Philadelphia.

Dopo questa necessaria divagazione torniamo ai nostri due palettiinfissi nel terreno in direzione Nord-Sud: nel momento esatto in cuiil sole fa coincidere le ombre dei due paletti, il nostro compito nonè che all’inizio; proprio a causa di questa arbitrarietà nel concetto dimeridiano primo, per conoscere la nostra longitudine non è suffi-ciente definire il momento del mezzogiorno vero, ma dobbiamo an-che cercare di sapere che ore sono “ufficialmente” nel posto in cuici troviamo (in altre parole, dobbiamo conoscerne l’ora civile), ecome ultimo passo dobbiamo riportare il tutto all’ora universale invigore sul meridiano primo. Dato che i perfidi ideatori del program-ma della BBC non avevano lasciato loro nemmeno uno straccio diorologio, i cinque studiosi sull’isola di Rough Science dovetterocrearsi un rudimentale apparecchio radio (altra affascinante paren-tesi sulla quale non mi dilungo, per non uscire dallo scopo del pre-sente articolo) e restare in fervente attesa di un segnale orario o diun qualsiasi programma che annunciasse l’ora.

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Nel frattempo si costruirono anche un rudimentale orologio. Fece-ro un pendolo con una corda lunga 4 metri, sapendo (anche in questocaso vi risparmio i dettagli) che ogni sua oscillazione completa (avan-ti e indietro) sarebbe durata 4 secondi. Il periodo di oscillazione diun pendolo, infatti, è costante nel tempo e dipende soltanto dallalunghezza del filo e non dall’ampiezza dell’oscillazione. Sapevanoanche che ogni 4 minuti di differenza tra il segnale orario e il mez-zogiorno reale corrispondono a un grado di longitudine. Non furonomolto fortunati: captato da una radio italiana il segnale orario delle12:24, fecero partire il pendolo e, dopo ben 841 oscillazioni pari acirca 56 minuti di paziente attesa, l’ombra di uno dei paletti toccò laretta immaginaria che univa i due paletti, indicando l’arrivo del mez-zogiorno locale vero.

Il calcolo che fecero allora i nostri cinque scienziati fu:

- Segnale orario: 12:24 ora italiana, pari alle 10:24 GMT(qui i nostri scienziati “bararono” un pochino, nel senso che l’avercaptato una radio in lingua italiana e l’aver capito di trovarsi in un’iso-la del Mediterraneo li portò fin troppo facilmente a dedurre di tro-varsi nel fuso orario dell’Europa Centrale, per di più in un periodo incui si stava adottando l’ora legale estiva che porta a +2 la differenzaoraria tra i due fusi).- Numero di oscillazioni tra il segnale orario e il mezzogiornolocale: 841 = 56 minuti- Ora locale: 10:24 GMT + 0:56 = 11:20 GMT(non facciamo noi lo stesso calcolo come primo passo per la deter-minazione del Tempo Siderale?).- Differenza tra il mezzogiorno GMT e il mezzogiorno locale:12:00 – 11:20 = 40 minuti

Ora, considerando la rotazione media della Terra pari a 360° in 24ore, 4 minuti di tempo corrispondono a 1° di longitudine, pertantol’isola misteriosa si trova a una longitudine oraria di 40 minuti,pari a una longitudine di 10°. Dieci gradi, a Est o ad Ovest di Gre-enwich? Beh, su Greenwich il sole culmina alle ore 12 esatte; a Estdi Greenwich il sole culmina un po’ prima delle ore 12 di Greenwich;a Ovest di Greenwich il sole culmina un po’ dopo le ore 12 di Gre-enwich. Se fossero stati più fortunati, i nostri avrebbero potuto in-tercettare un segnale orario in lingua inglese, magari espresso diret-tamente nell’ora di Greenwich; ancora, avrebbero potuto attendereprima la culminazione del sole (mezzogiorno vero), e quindi farpartire il pendolo e mettersi in ascolto della loro radio primitiva

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fino a captare un segnale orario. Il risultato finale, invertendo alcunifattori, non sarebbe poi cambiato di molto.

Per la cronaca, nel giro di poco più di 48 ore i baldi protagonisti diRough Science calcolarono di trovarsi a 43°N e 10°E, corrispon-denti all’italianissima Isola di Capraia. Ovviamente il risultato non èaccuratissimo, e il metodo illustrato potrebbe portare a errori diquasi 15 minuti a seconda della latitudine e del periodo dell’anno incui vengono fatte le misurazioni; ma in questo caso specifico, il ri-sultato fu di tutto rispetto.

Perché vi racconto queste cose e cosa c’entrano con l’Astrologia?Beh, innanzitutto perché vedere questo programma fa capire comela latitudine sia un valore assoluto, astronomico, dunque facilmentedeterminabile su qualsiasi corpo celeste. Invece la longitudine è unvalore relativo calcolato in base a una mera convenzione: qui sullaTerra, abbiamo detto che la longitudine viene calcolata a partire dalmeridiano di Greenwich; sulla Luna, si parte dal meridiano che passaper il centro della faccia lunare visibile dalla Terra, e che passaanche vicino al Cratere Bruce.

Su Marte, il calcolo della longitudine fa riferimento al cosiddettomeridiano Airy-0, dal nome dell’astronomo inglese Sir GeorgeBiddel Airy che nel 1850 costruì il “circolo di transito” nell’Osser-vatorio di Greenwich, che pochi anni dopo fu scelto come riferi-mento per la longitudine terrestre. Il meridiano primo di Marte fudefinito per la prima volta dagli astronomi tedeschi W. Beer e J. H.Mädler negli anni 1830-32, usando una struttura circolare che sivedeva con regolarità sulla superficie del Pianeta Rosso, che venivausata come riferimento visivo per calcolare il periodo di rotazionedel pianeta, e che essi chiamarono “A”. Giovanni Schiaparelli utiliz-zò la stessa “macchia” come punto zero di longitudine nella sua mappadi Marte del 1877. In seguito il francese Camille Flammarion bat-tezzò tale struttura circolare Sinus Meridiani. Col progredire del-le tecniche fotografiche e delle esplorazioni spaziali, venne scoper-to all’interno del Sinus Meridiani un grande cratere che fu dedicatoall’astronomo Airy. Nel 1972 la sonda Mariner IX fotografò all’in-terno del grande cratere Airy un cratere più piccolo, del diametro di500 metri, che venne chiamato Airy-0 e che fu presto scelto dal-l’Unione Astronomica Mondiale per indicare il meridiano primo diMarte. Tra parentesi, si tratta di una struttura difficilmente indivi-duabile: dopo il Mariner IX, solo il Viking 1 riuscì a fotografarloancora, mentre la pur modernissima Mars Global Surveyor riuscì a

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fotografarlo nel 2001 dopo nove tentativi.

Dunque, per conoscere la nostra longitudine anche qui sulla Terradobbiamo appoggiarci a dati assolutamente arbitrari o convenziona-li quali, nell’esempio che abbiamo illustrato, l’ora civile del luogo.Ovviamente se ci trovassimo su un pianeta sconosciuto una radiopotrebbe non servirci nulla; non capiremmo la lingua degli abitantidel posto, sempre che il pianeta fosse abitato e dotato di stazioniradiofoniche; ma anche nei casi più disperati nessuno ci vieterebbedi scegliere un meridiano fondamentale qualsiasi da cui far partirela nostra ora Zero (o grado Zero) e da qui tutto il sistema di coordi-nate geografiche Est – Ovest.

E infatti, è proprio quello che hanno fatto gli astronomi quando han-no deciso di disegnare le mappe e i mappamondi della Luna, di Mar-te e degli altri corpi celesti del nostro sistema solare.

Un’ultima nota: il sistema di coordinate “alla terrestre”, quello cioèche misura la latitudine e la longitudine con angoli che vanno da 0 a180° nelle due direzioni a partire dai due circoli fondamentali(l’equatore nel caso della latitudine e il meridiano primo nel casodella longitudine) viene chiamato planetocentrico. Ma per le map-pe dei corpi celesti extraterrestri si è affermato anche un altro si-stema, detto planetografico, in cui le coordinate sono espresse inangoli da 0 a 360° che aumentano verso Est. Entrambi i sistemi sonostati approvati dall’Unione Astronomica Internazionale nell’anno2000 e sono comunemente usati nelle missioni spaziali della NASAe dell’ESA.