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San Bonaventura Newsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum Editoriale Di fronte agli orrori mediterranei La tragedia dei migranti che a migliaia annegano nel nostro Mediterraneo ci provano e ci provocano. Può anche darsi che le immagini quotidiane di tanti drammi rischiano di lasciarci indifferenti. Ma come possiamo ancora guardarci negli occhi se chi sta affo- gando non ci interpella? Con l’ultimo naufragio dei circa 950 morti, la più gra- ve sciagura del mare dal dopoguerra, stiamo un po’ naufragando anche noi. In mezzo a tante discussioni, al balbettio dell’Europa e all’assenza dell’Onu, manca un forte punto di vista che permette di vedere cosa stia realmente accadendo. Fra le tante cose lette, dette e ascoltate in questi giorni, le parole che indicano il vero punto di vista sono quelle di papa Francesco al Regina Coeli del 19 aprile: «Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore (…). Cercavano la felicità». Il punto di vista per comprendere e agire con risolutez- za è metterci al posto loro, immaginare di essere noi quei ragazzi, quei padri, quelle donne incinte che attra- versano il mare in cerca di felicità. Il papa ci ha ricordato che le vittime sono come noi, persone che cercano la felicità. Solo tale punto di vista forte, che ha in Gesù Cristo l’appoggio divino e la vera prospettiva, può risvegliare la vera forza umana che è la fraternità , il vero antidoto all’egoismo e all’indifferenza. Le parole di Papa Francesco non sono derubricabili a un facile buonismo, ma ci riportano a quel che siamo davvero. Qual è la vera forza dell’Europa e dell’Onu? Occorre una visione, un nuovo umanesimo che ricono- sca la vocazione trascendente di ogni persona, per non illudersi di risolvere il problema dei migranti affondan- do le barche degli scafisti. Domenico Paoletti (OFMConv) Preside della Facoltà APRILE 2015 Focus del mese: la fede e la speranza dinanzi alla persecuzione dei cristiani pag. 2 santa sede: la questione gender e l’amore nell’alterità pag. 4 testimoni del vangelo: p. kolbe e papa francesco, testimoni di povertà PAG. 6 morale e società: RIFLESSIONI SUL RAPPORTO tra religione e violenza pag. 8 ETICA FRANCESCANA: GRATUITÀ e fratellanza: due stili di vita da recuperare Pag. 11 teologia morale: la memoria di gesù pag. 14 tra le righe: la solidarietà per costruire una nuova democrazia pag. 17 cineforum: scia di applausi per la 51a stagione pag. 19 appuntamenti: convegni, arte e lettura francescana dell’evangelii gaudium pag. 21 Francescanamente parlando: seminario sulla missione francescana et alia pag. 24 ANNO III - Nº 27 informa 1 In questo numero:

San Bonaventura - seraphicum.org · di ascolto e iniziamo a fare i conti con la nostra coscienza: ci interroghiamo e guardiamo gli altri, noi stessi e il mondo che ci circonda con

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San BonaventuraNewsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum

Editoriale

Di fronte agli orrori mediterranei

La tragedia dei migranti che a migliaia annegano nel nostro Mediterraneo ci provano e ci provocano. Può anche darsi che le immagini quotidiane di tanti drammi rischiano di lasciarci indifferenti. Ma come possiamo ancora guardarci negli occhi se chi sta affo-gando non ci interpella? Con l’ultimo naufragio dei circa 950 morti, la più gra-ve sciagura del mare dal dopoguerra, stiamo un po’ naufragando anche noi. In mezzo a tante discussioni, al balbettio dell’Europa e all’assenza dell’Onu, manca un forte punto di vista che permette di vedere cosa stia realmente accadendo. Fra le tante cose lette, dette e ascoltate in questi giorni, le parole che indicano il vero punto di vista sono quelle di papa Francesco al Regina Coeli del 19 aprile: «Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore (…). Cercavano la felicità». Il punto di vista per comprendere e agire con risolutez-za è metterci al posto loro, immaginare di essere noi quei ragazzi, quei padri, quelle donne incinte che attra-versano il mare in cerca di felicità. Il papa ci ha ricordato che le vittime sono come noi, persone che cercano la felicità. Solo tale punto di vista forte, che ha in Gesù Cristo l’appoggio divino e la vera prospettiva, può risvegliare la vera forza umana che è la fraternità, il vero antidoto all’egoismo e all’indifferenza.Le parole di Papa Francesco non sono derubricabili a un facile buonismo, ma ci riportano a quel che siamo davvero. Qual è la vera forza dell’Europa e dell’Onu? Occorre una visione, un nuovo umanesimo che ricono-sca la vocazione trascendente di ogni persona, per non illudersi di risolvere il problema dei migranti affondan-do le barche degli scafisti.

Domenico Paoletti (OFMConv)Preside della Facoltà

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Focus del mese: la fede e la speranza dinanzi alla persecuzione dei cristiani pag. 2santa sede: la questione gender e l’amore nell’alteritàpag. 4testimoni del vangelo: p. kolbe e papa francesco, testimoni di povertàPaG. 6 morale e società: riFlESSiONi SUl raPPOrTO trareligione e violenza pag. 8ETiCa FraNCESCaNa: GraTUiTà e fratellanza: due stili di vita da recuperarePag. 11

teologia morale: la memoria di gesùpag. 14

tra le righe: la solidarietà per costruire una nuova democrazia pag. 17cineforum: scia di applausi per la 51a stagione pag. 19

appuntamenti: convegni, arte e lettura francescana dell’evangelii gaudiumpag. 21

Francescanamente parlando: seminario sulla missione francescana et aliapag. 24

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in questo numero:

I CRISTIANI PERSEGUITATI E UCCISI “IN ODIUM FIDEI”:COME RAFFORzARE lA FEDE E RAvvIvARE lA SPERANzA

di Tomislav Mrkonjić*

Negli ultimi tempi i cristiani sono perseguitati proprio come una volta. Come il nemico segnava le loro abitazioni o incideva sulla loro pelle i segni indelebili per rendere riconoscibile la loro appartenenza a Cristo, anche oggi le loro case vengono segnate col nome di Gesù per riconoscerli e cancellare ogni traccia di quella presenza nella terra pretesa dal persecutore. Sono odiati perché seguono Cristo e sono uccisi perché il persecutore odia la loro fede. In odium fidei quindi è il marchio che segna la morte di ogni cristiano ucciso e per questa ragione ognuno di loro è un vero martire, un vero testimone di Gesù Cristo.La palma del martirio, quindi, loro l’hanno conquistata e si potrebbe anche trionfare. Tuttavia, la loro morte è sempre uno scontro con il male che, come vediamo, vince. Il dolore e la morte dell’innocente, specialmente del bambino, si sa, non ha spiegazione e mette a dura prova la nostra fede in Dio perché, giusto e onnipotente, rimane assente. E questa “assenza di Dio” oggi viene ancora potenziata da alcuni mezzi di informazione.Ultimamente però, specialmente in questo periodo forte di Quaresima e di Pasqua su alcuni media, oltre alle quotidiane notizie di persecuzione e di morte dei cristiani, sono apparsi anche articoli e filmati che ci aiutano a superare i dubbi, a rafforzare la nostra fede e a ravvivare la nostra speranza.Il Corriere della sera ha ripreso, in traduzione italiana, un testo di Joseph Ratzinger, “Una riflessione vertiginosa in risposta al grido degli ultimi: Dove sei, Dio, se hai potuto creare un mondo così?”.Riguardo al male, Ratzinter teologo ci ricorda che “si tratta al fondo di una domanda che non è possibile dominare con parole e argomentazioni”, “che Gesù non constata l’assenza di Dio, ma la trasforma in preghiera” e che “Gesù ha veramente preso parte alla sofferenza dei condannati, mentre in genere noi, la maggior parte di noi, siamo solo spettatori più o meno partecipi delle atrocità di questo secolo”. Non è così per quelli che veramente soffrono: “Per coloro che invece in quelle atrocità sono immersi, l’effetto non di rado è opposto: proprio lì riconoscono Dio. Ancora oggi, in questo mondo, le preghiere si innalzano dalle fornaci ardenti degli arsi vivi, non dagli spettatori dell’orrore”.

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FOCUS DEL MESE

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Rosario Sorrentino, medico neurologo, offre un pensiero simile. È sorprendente che la “logica di Dio” sia impressa anche nel nostro cervello, contro la logica umana: “Quando soffriamo ci scopriamo

spesso più sensibili ed empatici, cambia radicalmente la nostra postazione di ascolto e iniziamo a fare i conti con la nostra coscienza: ci interroghiamo e guardiamo gli altri, noi stessi e il mondo che ci circonda con occhi diversi, spingendoci a riconsiderare le priorità e le vere ragioni della nostra esistenza. È proprio questo il momento in cui avvertiamo forte il bisogno di aggrapparci a qualcosa che va oltre, qualcosa di sfuggente che però ci consola e ci trasmette coraggio. Una scelta e una decisione che meritano sempre un grande rispetto”.

Alberto Melloni propone una riflessione su uno scritto di Hans Urs von Balthasar del 1966 intitolato Cordula, ovverosia il caso serio, (‘Ernstfall’), “un pamphlet tagliente e lucido ispirato alla leggenda della martire Cordula”. Anche se con questo testo Balthasar prese la posizione contro la deriva mondana della religione, le sue riflessioni ci ripropongono gli stessi pensieri di prima e ci aiutano a capire “il collegamento fra le tragedie di oggi e il sacrificio delle origini”. Il Cristianesimo è quindi “un caso serio”, vale a dire che il cristiano rimane sempre esposto al martirio e, se vuol veramente seguire Cristo, non può sottrarsi alla Croce.Papa Francesco nella predica a Santa Marta avverte che l’umiliazione porta il cristiano verso l’umiltà, quindi verso il vero amore sull’esempio di Gesù.Il papa ci ricorda che di fronte a due atteggiamenti, “quello di chiusura che ti porta all’odio, all’ira, a voler uccidere gli altri”, e “quello dell’apertura a Dio sulla strada di Gesù, che ti fa prendere le umiliazioni, anche quelle forti, con questa letizia interiore, perché sei sicuro di essere sulla strada di Gesù”, come cristiani dobbiamo deciderci sempre per quest’ultima.In un filmato intitolato Myriam’s Story and Song (disponibile su YouTube, ndr) possiamo vedere che le verità cristiane proposte nelle riflessioni dei teologi sono davvero vissute dai cristiani attualmente perseguitati. Pur trattandosi di una bambina che magari non conosce e non ha consapevolezza di tutte le atrocità del momento, qualcuno deve avere insegnato a Myriam i pensieri che ci trasmette. Nel filmato, solo per un istante, si vede anche una donna anziana che piange e prega. Magari sarà lei la sua maestra di vita. Quindi le lacrime e la preghiera, come scrive Ratzinger, sono la soluzione al problema del male e lo stesso ci insegna la piccola Myriam.Così anche a noi, se accettiamo la verità della croce, si apre l’immenso orizzonte di speranza e di vita, anzi di certezza illuminata dalla fede in Gesù che il male vince solo apparentemente. E Dio, come un abile cambiavalute, convertirà in oro vero tutte le nostre lacrime.

* OFMConv, docente di Storia della Chiesa e Latino, responsabile della Academia Cardinalis Bessarionis

l’UOMO E lA DONNA SONO IMMAGINE DI DIO:lA qUESTIONE GENDER E lA STRADA DEll’AMORE NEll’AlTERITÁ

di Giulio Cesareo*

“La differenza sessuale è presente in tante forme di vita, nella lunga scala dei viventi. Ma solo nell’uomo e nella donna essa porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio: il testo biblico lo ripete per ben tre volte in due versetti (26-27): uomo e donna sono immagine e somiglianza di Dio. Questo ci dice che non solo l’uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l’uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio. La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio”.

Papa Francesco (La catechesi integrale)

L’intervento del Santo Padre Francesco nella catechesi di mercoledì 15 aprile, affrontando il tema dell’uomo e della donna, così come ci sono presentati dalla rivelazione giudeo-cristiana, ha giustamente posto l’accento su una realtà essenziale eppure purtroppo spesso dimenticata nel nostro contesto culturale e sociale contemporanei. Si tratta del fatto che l’uomo e la donna insieme sono immagine di Dio chiamati a raggiungerne la somiglianza nella crescita nell’amore. E l’amore è, in qualche modo, il cemento che lega le differenze, che unisce stabilmente coloro che sono altro l’uno per l’altro. In questo senso è l’alterità della donna che rende l’uomo autenticamente virile e al contempo è l’alterità dell’uomo che rende la donna veramente se stessa nella sua femminilità.

santa sede

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Ciononostante “alla luce del vangelo e dell’esperienza umana” (Concilio ecumenico Vaticano II, Optatam totius, 16) non possiamo non mettere in guardia - sulla scia di papa Francesco - dal rischio che il presunto rimedio non sia altro che l’oscillare del pendolo nella direzione opposta alla precedente e niente di più, purtroppo. La questione, invece, dell’identità di genere e del suo senso nella radicale indisponibilità

di essa va proprio cercata nella realtà della comunione tra persone, dell’unità fondata sull’amore: l’amore infatti è quell’unica forza in grado di unire senza fare violenza e senza mutilare, perché l’amore non chiede all’altro di cambiare dal momento che chi ama veramente modifica se stesso, il proprio modo di essere per stringersi all’altro. L’amore - detto in altri termini - non modifica la realtà, non la cambia prima di amarla, ma amandola, accogliendola

la trasfigura ed è nell’accoglienza dell’altro, nella sua irriducibilità, che l’uno e l’altro diventano uno nella libertà e in questo modo davvero inaugurano una porzione del mondo nuovo, perché vi si comincia a vivere - con tante povertà certo - la vita eterna di Dio: la comunione personale nell’amore.

*OFMConv, docente di Teologia morale, Metodologia e Teologia trinitaria Direttore dell’Istituto “Mulieris dignitatem per studi sull’unidualità uomo-donna”

All’argomento la Facoltà aveva dedicato, nel novembre del 2013, un Convegno interdisciplinare di studio dal titolo “La questione gender tra natura e cultura”, al quale avevano partecipato come relatori Francesco D’Agostino dell’Università Tor Vergata, Livio Melina Preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Maria Beatrice Toro dell’Università Lumsa, Roberto Tamanti del Seraphicum.Gli atti del convegno sono pubblicati sulla rivista Miscellanea francescana (n. 114/I del giugno 2014).

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PADRE MASSIMIlIANO kOlbE E PAPA FRANCESCO: TESTIMONI DEl vANGElO, TESTIMONI DI POvERTà

di Elisabetta Lo Iacono*

La povertà come legame tra padre Massimiliano Kolbe e papa Francesco, per riflettere su uno stile di vita che non è privazione fine a se stessa ma scelta di ricchezza evangelica.Verte dunque sulla povertà il tema individuato dalla Cattedra Kolbiana della Facoltà “San Bonaventura” che sarà affrontato nel corso del convegno annuale in programma il pomeriggio di sabato 9 maggio, nella biblioteca del Seraphicum, dal titolo “Da Kolbe a papa Francesco: una povertà per l’uomo”.Una chiave di lettura che permette di riscoprire il vero senso della povertà in p. Massimiliano Kolbe, il santo martire di Auschwitz, ravvedendo un diretto legame con papa Francesco e con quella povertà che ha ispirato la scelta del suo nome, il desiderio di “una Chiesa povera e per i poveri”, un atteggiamento di attenzione verso chi, sotto questa etichetta affibbiata dalla società, finisce per essere relegato ai margini di una quotidianità opulenta, sospettosa

ed egoistica.“Credo che p. Kolbe andrebbe molto d’accordo con papa Francesco - commenta fra Raffaele Di Muro, direttore della Cattedra Kolbiana della Facoltà -, si tratta di due personaggi molto concreti, abituati a vivere tra i poveri, dando loro tanto amore”.

Il convegno sarà come un’onda che attraverserà la storia, attingendo alla spiritualità dei santi, esaminando da una parte Kolbe e dall’altra Bergoglio, sino a rilevarne i punti in comune e la loro vera ricchezza.Il passaggio dal frate martire al papa sarà quindi una sorta di coincidenza naturale per due testimoni del Vangelo che hanno fatto dell’attenzione ai poveri una priorità di vita e di apostolato. Vite trascorse tra la gente, come dimostra la fotografia in bianco e nero che ritrae p. Kolbe in un momento di preghiera comunitaria, sfumando in una delle immagini a colori di papa Francesco circondato dalla folla.

testimoni del vangelo

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“La povertà di p. Kolbe - spiega fra Di Muro - vuole modellarsi su quella di Cristo e di san Francesco: sono i suoi assoluti punti di riferimento. Tuttavia profeticamente vive ed insegna uno stile povero che tiene conto anche della situazione culturale e spirituale della Chiesa e dell’Ordine dei frati minori conventuali. P. Kolbe, pur restando in questa linea di povertà voluta dal fondatore dell’Ordine e tramandata dalla tradizione francescana, contribuisce a una innovazione nel suo modo di praticarla. La vita del religioso deve essere povera e sobria, sempre tesa alla ricerca della presenza e della volontà di Dio, tuttavia per predicare il Vangelo

e l’avvento del Regno bisogna dare il massimo e utilizzare, se la Provvidenza lo consente, tutte le risorse possibili per un annuncio che sia il più possibile efficace e all’avanguardia”. Ecco l’esperienza di Niepokalanów con “L’Immacolata come fine, la povertà come capitale”, una delle tracce che seguirà il convegno assieme a quella del ruolo della povertà nella santità cristiana e al passaggio dalla cultura dello scarto al primato dell’essere umano. Percorrendo l’insegnamento di san Kolbe e di papa Francesco per la riscoperta, come recita il titolo del convegno, di una povertà per l’uomo.

I precedenti convegni della Cattedra Kolbiana avevano affrontato i temi de “L’affidamento all’Immacolata” (2010), il “70° anniversario del martirio di San Massimiliano” (2011), “L’antropologia di Kolbe” (2012), “La missione di San Massimiliano” (2013) e, l’anno scorso, “La mariologia di padre Kolbe”.

* Giornalista e docente di Mass media @eliloiacono

Il programma dettagliato del convegno è a pag. 21Info e aggiornamenti qui

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MORALE E SOCIETÁ

RElIGIONE E vIOlENzA: SPUNTI DI RIFlESSIONE PER COMPRENDERE UN TEMA DI GRANDE ATTUAlITà

di Germano Scaglioni*

Non pochi oggi si chiedono: la religione è fonte di pace o causa di conflitti? La questione è tutt’altro che semplice. Da un lato, non mancano situazioni nelle quali la religione è strettamente associata a esplosioni di violenza. Abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini dell’attacco terroristico a Parigi e dell’uccisione di tanti uomini e donne il Venerdì Santo nel Garissa University College, in Kenya. Ha destato scalpore non solo la crudeltà e l’efferatezza di ciò che è avvenuto, ma soprattutto il fatto che si sia trattato di azioni riconducibili ad una violenza di chiara matrice religiosa. In altre parole, gli attentatori hanno seminato il terrore e la morte, esercitando consapevolmente “la violenza in nome di Dio”, cioè trovando nella loro fede religiosa le motivazioni per giustificare e attuare il piano omicida.

D’altro canto, però, allargando lo sguardo si scopre che in varie parti del mondo sono in atto processi di pace e riconciliazione proprio a partire da motivazioni di ordine religioso. In non pochi casi, la soluzione dei conflitti passa non solo attraverso i consueti canali diplomatici, sulla cui imparzialità si nutrono, spesso a ragione, non poche riserve, ma nella fiducia riposta in nuove figure di mediazione che si presentano come super partes, avvertite come “affidabili” proprio perché animate da alti ideali religiosi.

La rivista Credere Oggi ha dedicato uno dei suoi fascicoli monografici allo studio del rapporto “Religione e violenza”, secondo l’approccio multidisciplinare che la contraddistingue.

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A diversi studiosi è stato chiesto di approfondire il nesso “religione-violenza”, ciascuno a partire dal proprio ambito di competenza. Ne è scaturito un quadro articolato, variegato, in cui emergono varie dimensioni del problema che rendono intrigante il confronto con questi temi. Tra i contributi recenti che più hanno suscitato dibattiti e reazioni vi è sicuramente la teoria di Jan Assmann, per il quale il monoteismo avrebbe indiscutibili responsabilità in merito alla violenza religiosa. Secondo questo autore, l’affermazione cardine su cui si reggono le religioni monoteistiche - “Non avrai altro Dio” - sarebbe all’origine dell’ostilità e dell’intolleranza nei confronti della religione dell’altro, atteggiamenti che hanno contribuito ad alimentare la cosiddetta “sindrome del nemico”, ispirando la violenza a sfondo religioso nei confronti di coloro che ancora si trovano in una condizione di non-verità. A questa posizione ha ribattuto anche la Commissione Teologica Internazionale, intervenuta per contestare in diversi punti la tesi di Assmann, mediante un’attenta riflessione sulle vere radici della violenza connotata religiosamente.Un altro punto su cui vari autori richiamano l’attenzione è che nessuna delle grandi tradizioni religiose si è dimostrata immune dal contagio fondamentalista: la storia lo dimostra, senza alcuna possibilità di smentita. Una panoramica sulla situazione attuale dimostra però che all’interno delle religioni mondiali è in atto un processo di ripensamento e di riflessione, nella consapevolezza che la strada della violenza conduce solo in un vicolo cieco.In ambito cattolico, il Concilio Vaticano II ha segnato un punto di non ritorno, ponendo

le condizioni per una riflessione ampia sul rapporto “religione-violenza”: dalla Dignitatis humanae (1965) fino a Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza (2013), l’ultimo documento della citata Commissione Teologica Internazionale.

Oltre a ciò, nuove prospettive ermeneutiche, insieme allo studio più accurato dei testi biblici, da parte di specialisti ebrei e cristiani, consentono di comprendere meglio alcune pagine problematiche dei testi sacri. Il Dio della rivelazione giudeo-cristiana “non vuole la morte del peccatore”, desidera piuttosto la liberazione dell’uomo da tutte le forme di costrizione. Nella logica dell’Alleanza, infatti, l’uomo è chiamato ad aderire alla proposta di comunione che Dio gli rivolge in una relazione di libertà, perché come afferma un noto testo conciliare “la verità non si impone che per la forza della verità stessa” (Dignitatis humanae, n. 1).

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Non mancano dunque segnali incoraggianti nella direzione di una sana autocritica nei confronti di certe posizioni intransigenti assunte in passato da parte delle grandi religioni mondiali, come attestano anche i numerosi incontri finalizzati a promuovere il cosiddetto “dialogo interreligioso”, in cui i vari leader prendono sempre più coscienza del ruolo che la religione può esercitare nel favorire la pace e sconfiggere la violenza, soprattutto nei confronti di coloro per i quali quest’ultima assume il carattere di un “obbligo” sacro.Restano tuttavia non pochi motivi di preoccupazione, soprattutto per il mondo islamico, attualmente il più provato dalle letture fondamentaliste dell’esperienza religiosa.Un ulteriore motivo di riflessione è che il rapporto “religione-violenza” non riguarda soltanto l’esperienza dei credenti, ma pone anche diverse domande alla coscienza dell’uomo contemporaneo, ancora sorpreso dal ritorno delle religioni sulla scena mondiale, dopo che per molti anni si era parlato della “morte di Dio” o della “diaspora del sacro”. Il “dopo 11 settembre 2001” ha evidenziato l’inconsistenza delle analisi formulate durante gli anni della secolarizzazione imperante: le religioni non sono affatto destinate a scomparire dall’orizzonte dell’umanità, anzi il loro ruolo sembra consolidarsi. Esse hanno ancora molto da dire e da offrire, soprattutto in ordine alla purificazione del cuore, il “luogo” privilegiato dove l’uomo si decide per la violenza o per la riconciliazione.Queste sono soltanto alcune delle suggestioni emerse dalla ricerca di Credere Oggi. Nell’intento di ampliare ulteriormente la riflessione, la Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” e la rivista Credere Oggi propongono un incontro di approfondimento, in cui si chiederà a due “lettori” qualificati di presentare una loro lettura del tema “Religione e violenza”, a partire dagli stimoli offerti dal suddetto fascicolo monografico. Il primo intervento, che illustra il punto di vista dei mass media, è affidato a Stefania Falasca, editorialista di Avvenire, mentre il secondo sarà presentato da Emanuele Rimoli OFMConv, docente di Antropologia teologica. L’incontro si terrà il 15 maggio, ore 16, presso la Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” - Seraphicum. La partecipazione è aperta a tutti (a pag. 21 la locandina con il programma).

*OFMConv, docente di Nuovo Testamento e direttore di Credere Oggi

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GRATUITà E FRATEllANzA: DUE STIlI DI vITA DA RIADOTTARE NEllA SFERA SOCIAlE ED ECONOMICA

di Oreste Bazzichi*

La fonte ispiratrice dell’etica francescana è la gratuità, che esprime l’etica dell’alterità, via privilegiata del valore socio-economico della relazione - accanto al classico valore economico d’uso e di scambio - e della libertà divina e umana, che garantisce uno spazio adeguato alla vita nelle sue due principali espressioni: spirituali e sociali.Rimettere questi valori dello “spirito” francescano al centro della profonda crisi economico-finanziaria, che da oltre sette anni tiene sotto scacco della decrescita l’Occidente “opulento”, non è una prospettiva di poco conto oggi, nell’era delle globalizzazioni economiche, finanziarie, tecnologiche, telematiche, televisive, ecc. L’enciclica Caritas in veritate (2009) propone il concetto dinamico di “dono”, che supera quello generico di solidarietà, ma come paradigma per realizzare la rivoluzione sociale dello sviluppo dei popoli indica due valori squisitamente francescani: fraternità e gratuità. Lo sviluppo, “se vuole essere autenticamente umano” - recita infatti l’enciclica - “deve fare spazio al principio di gratuità”.La gratuità è un concetto estremamente difficile da definire nelle sue declinazioni economiche e sociali. È anche questa difficoltà che spiega perché nella letteratura socio-economica non troviamo una riflessione sistematica sulla gratuità. Si incontrano parole confinanti come dono, altruismo, reciprocità, filantropia, carità, ma la gratuità resta indefinita anche nella dottrina sociale della Chiesa. Si avvicina all’antico concetto di agape, che però non la esprime compiutamente. La gratuità, la cui etimologia viene dal greco charis (grazia o “ciò che dà gioia” o la “perfetta letizia”), ha molto a che fare anche con la parola carisma. La gratuità, dunque, fa la gioia di chi la compie e di chi la riceve. In questa prospettiva il concetto di solidarietà quasi si smarrisce, e fa bene l’enciclica ad arricchirlo di due nuovi concetti: quello della fraternità, che significa amare l’umanità senza il do ut des, che punta all’eliminazione delle disuguaglianze, al contrario della solidarietà che mira a mitigarle; e quello della gratuità, che esprime l’etica dell’apertura all’altro e della libertà creativa. Spesso ci siamo chiesti come mai i pensatori francescani del Duecento, del Trecento e del Quattrocento, che hanno scelto volontariamente “Madonna Povertà”, abbiano avuto un così spiccato senso e interesse per i problemi socio-economici del proprio tempo.

etica francescana

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Non vi è dubbio che, oltre alla Regola dei “pauperes”, dei “pellegrini e forestieri di questo mondo”, l’attento spirito di osservazione di questi frati, sotto i cui occhi andavano trasformandosi la società, la politica e l’economia, si compie l’eccezionale elaborazione di un linguaggio socio-economico, dando vita, nella logica del bene comune, ad una organizzazione di un giusto uso dei beni nella società civile.Può sembrare paradossale che i maestri francescani, conciliando attività speculativa con la pratica

pastorale del vivere quotidiano vicino alla gente e rigettando il denaro dalla propria vita, si siano scoperti dei teologi sociali di notevole valore, che hanno saputo anticipare alcune acquisizioni teoriche fondamentali.Ma il paradosso è attenuato dalla considerazione per cui l’impegno francescano per lo sviluppo di istituzioni pre-capitalistiche era finalizzato non solo a non rigettare l’economia, ma a viverla in un orizzonte di sobrietà e nella logica della promozione del bene comune.

Ed è proprio dall’analisi della parola paupertas che nasce nei francescani l’opportunità di occuparsi delle pratiche economiche e di contribuire alla formazione del vocabolario economico occidentale. Essi, attraverso un’azione parenetica e pratica molto efficace sul popolo, riuscirono brillantemente a dare una forte accelerazione al sistema sociale e allo sviluppo economico e civile, i cui fondamentali principi conservano ancora oggi, nell’epoca della globalizzazione, tutta la loro attualità.Dunque, difesa della proprietà privata, ma uso sociale di essa. Il possesso dei beni è naturale se lo è per tutti, perché tutti devono avere diritto a possedere qualcosa, e, quindi, nessuno può avere il diritto a possedere in proprio qualcosa in senso assoluto, proprio per il fatto che l’accesso alle risorse necessarie alla vita riguarda tutti, in quanto legato ad un uso e non ad un possesso.La riflessione dei francescani ha creato, cioè, le condizioni per lo sviluppo dei principi etici insiti nell’attuale economia sociale di mercato, contribuendo alla formazione di una mentalità diffusa in cui il mercato ha trovato un valido appoggio per gli sviluppi successivi. In tale prospettiva il pensiero economico della Scuola francescana appare come la causa concretamente induttiva della nascita di istituzioni capitalistiche, quali i Monti di Pietà, prodromi dell’odierne Casse di Risparmio e delle organizzazioni del credito cooperativo.In particolare, la felice intuizione dei Monti di Pietà, ideata e diffusa da Bernardino da Feltre, Giacomo della Marca, Alberto da Sarteano, Giovanni da Capestrano e da molti altri frati, fu un’istituzione cittadina, dedita all’assistenza, ma anche un’iniziativa di carattere economico-creditizio, che agì da ammortizzatore sociale in un contesto economico statico e soggetto a rapidi tracolli. Secondo l’enciclica Caritas in veritate questo metodo originale offre spunti e parametri per un rinnovato rapporto tra credito e cittadini anche oggi.

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Il modello socio-economico civile, proposto dal pensiero francescano e dagli Umanisti, verrà ripreso nel Settecento, in Italia, dalla Scuola economica soggettivista napoletana (Genovesi e Galiani) e da quella milanese (Muratori, Beccaria e Verri), e in Scozia, dalla Scuola di Glasgow (Hutcheson, Hume e Smith). Al centro delle loro analisi pongono l’individuo e la sua aspirazione a realizzare il benessere personale, come motore dell’agire economico. Per gli economisti civili il mercato, l’impresa, l’economico sono in sé luoghi anche di amicizia, reciprocità, gratuità, fraternità. L’economia civile come scienza della “felicità pubblica”, frutto delle virtù civiche (amicizia, fiducia, prudenza, giustizia, ecc.), legata al bene comune, perché o si è felici tutti in una nazione o non lo è nessuno; come strumento delle relazioni interpersonali; come impegno civile perché fondato sulla relazionalità; come fattore di benessere di ciascuno e della collettività attraverso la cooperazione, il commercio equo e solidale, banca popolare etica, imprese sociali, organizzazioni no profit, microcredito.La parola chiave che oggi esprime meglio di ogni altra l’esigenza del bene comune è quella di fraternità:

parola presente, viva e inculcata nella visione francescana del mondo, ma che oggi è stata cancellata dal lessico socio-economico. Una società nella quale venga meno il senso di fraternità - come da più parti ed a più riprese insiste Papa Francesco - è una società incapace di progredire: una società in cui esiste solo il “dare per avere” o “il dare per dovere” è una società senza futuro. Esiste solo una chiara direzione da percorrere: più fraternità nella vita sociale ed economica. Ecco perché la nozione di fraternitas non permette di rinchiuderci nel nostro privato, nel nostro gruppo,

nella nostra città, nella nostra nazione. Ci chiede di occuparci del bene comune, del bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini; ci chiede di prenderci cura delle sorti dell’uomo e dei luoghi dove si decidono le sorti dell’uomo; ci chiede di occuparci della sfera pubblica nella consapevolezza che solo una cittadinanza a dimensione universale può rendere ragione dell’originaria fraternità umana, che chiama a sé la gratuità come principio di organizzazione sociale, che ritrova la fiducia reciproca verso l’altro. Difatti, lo sviluppo, se vuole essere autenticamente e integralmente umano deve fare spazio alla gratuità”, che diventa principio fondativo per umanizzare il mercato, le istituzioni pubbliche e la stessa società. Introducendo in tutte queste sfere rapporti di reciprocità, che traducano in atto il principio di fraternità francescana, si riconosce il volto dell’altro: un “tu” con cui relazionarsi e non un alter ego da cui guardarsi e difendersi.

* Docente di Filosofia sociale ed etico-economica

S. Elisabetta d’Ungheria di Marcos Da Cruz

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lA “MEMORIA DI GESÙ” NEllA TEOlOGIA MORAlE ATTUAlE

di Francesco Targoński*

Con la scolastica la morale cristiana si è formata come un sistema razionale dell’accertamento del dovere finalizzato al guidare l’individuo e la società verso una correttezza etica del vivere e dell’agire nelle svariate situazioni esistenziali. I legami con la sua sorgente, Cristo sono diventati più formali che reali. Cristo appariva più un testimone di fronte a Dio delle capacità dell’uomo di darsi delle soluzioni etiche che colui che le ispirava.Soprattutto nel XX secolo sono stati fatti molti tentativi, da parte di teologi e pastori, per ridare alla morale cristiana un volto coerente e credibile. Si imponeva il superamento di un’etica legalistica, legata alla contabilità delle opere e dei singoli atti. Occorreva riagganciare decisamente la morale alle sue radici bibliche e patristiche e reinserirla nell’alveo liturgico. Diveniva sempre più necessario ascoltare anche l’apporto illuminante delle scienze umane e sociali. Il Concilio Vaticano II, all’inizio degli anni Sessanta, ha accolto queste istanze e ha posto le premesse per una riforma che non è ancora arrivata a risultati definitivi. Più che a formulare nuove teorie etiche, il concilio ha spinto la Chiesa (e l’umanità) verso un ethos della solidarietà universale. La costituzione Gaudium et spes, per esempio, sottolinea la necessità di «formare la coscienza veramente universale della responsabilità della solidarietà» (n. 90) e di collaborare a rendere «il mondo più conforme all’eminente dignità dell’uomo» ad aspirare «a una fratellanza universale e superiore» (n. 91). Recenti prese di posizione del Magistero su l’uno o l’altro dei grandi problemi morali (sessualità, lavoro e economia, pace e guerra, aborto e eutanasia, ecc.) ribadiscono la centralità della coscienza, fanno appello alle responsabilità personali e collettive, invitano a un’analisi ragionata dell’atto umano e delle sue conseguenze. Uno sforzo di sintesi aggiornata come guida autorevole ai fedeli è stato offerto sia attraverso il recente Catechismo della Chiesa cattolica (1992), sia con l’enciclica Veritatis splendor (1993), che affronta «alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa». È il primo testo del Magistero ecclesiale sulla Teologia Morale. Il Concilio Vaticano II non ha prodotto alcun documento esplicitamente dedicato a questa disciplina.La scristianizzazione della società e la conseguente crisi della morale cristiana stimata un ragionevole sistema etico legato però al suo tempo, quindi incapace di fronteggiare nuovi problemi, hanno in qualche modo aiutato i cristiani a ritornare alla religione interiore insegnata da Gesù (1Cor 6,19: «Non sapete che voi siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio dimora in voi?») e ad un’etica superiore che nobilitava più sentimenti e pensieri che non regolamentava gli atti umani.

teologia morale

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Grazie soprattutto alle spinte rinnovatrici date dal Concilio Vaticano II, la vita morale del cristiano è stata intesa fondamentalmente come vita in Cristo, imitazione e sequela di Cristo, vissuta nel dono dello Spirito e nel tentativo continuo di annullare la distanza che separa dalla perfezione assoluta di Dio Padre. La stessa vita sacramentale del cristiano non può non sfociare in una coerente vita morale: Gesù ha sempre fatto ciò che era gradito al Padre, vivendo in comunione con lui; allo stesso modo i credenti sono invitati a vivere sotto lo sguardo del Padre. Tutta la dimensione della vita morale si colloca quindi nella prospettiva di una vita vissuta in Cristo da cui proviene ogni grazia: la somiglianza del cristiano a Cristo (Rm 6,5) come conseguenza della somiglianza di Cristo all’uomo (Eb 2,17; 4,15; Fil 2,7), rende il cristiano capace di vivere come lui, di avere gli stessi sentimenti (Fil 2,5) e di realizzare nella propria vita quanto Cristo realizzò nella sua (Fil 3,10). Per questo motivo la norma morale che Cristo dà al credente non è e non può essere considerata in primo luogo una norma esteriore: Cristo, piuttosto, comunica la capacità di vivere la qualità del suo stesso amore. Come per Cristo, anche per il cristiano la vita morale, quale cammino verso l’autenticità, è un continuo morire a se stessi per risorgere con lui e l’operare di Cristo diventa la fonte della vita morale davanti ad ogni prova o scelta della vita.

L’evento di Gesù, come possiamo notare da queste sottolineature, ha segnato fin dai primissimi tempi l’annuncio degli apostoli e gli ha conferito un fortissimo interesse, tanto che si può leggere la vita morale nella prospettiva della risurrezione di Gesù. In chiave morale, la risurrezione mostra all’uomo che esiste una verità su di sé; gli rivela che egli fa parte di un disegno divino capace di conferire all’esistenza uno spessore di eternità. È Cristo, l’uomo nuovo, che fa nascere una umanità nuova: da una antropologia forte, quindi, nasce un’etica forte. La risurrezione, come pieno compimento dell’esistenza umana, vigila su ogni tentativo di ridurre il cristianesimo ad una «morale» e libera il cristianesimo stesso dall’idea del «merito», aprendolo alla logica della

gratitudine e del «rendimento di grazie», soprattutto nella dimensione sacramentale. Da qui scaturisce, nella prospettiva dell’agire morale, una dinamica dell’accoglienza e non dello sforzo: il mistero della risurrezione e tutto ciò che ne viene, difatti, sono e rimangono sempre un dono di Dio, un atto infinito della sua misericordia. Inoltre il significato escatologico della risurrezione non può prescindere dall’impegno nella storia, perché la vicenda umana, compresa la corporeità, viene assunta in un processo di trasformazione e di nuova creazione in Cristo. Ne deriva la strada tracciata dalla risurrezione di Gesù per il compimento definitivo: il totale affidamento a Dio come via di accesso alla realtà ultima (Fil 2,15), imitando la stessa disponibilità che fu di Cristo. Il radicalismo evangelico può sembrare difficilmente compatibile in un mondo dove bene e male si confondono, ma dalla tomba vuota di Cristo giunge la conferma della fedeltà di Dio che permette ad ogni cristiano di muoversi eticamente nella storia tra radicalità e fragilità, tra compiutezza e futuro.

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Discesa agli inferi e Resurrezione di p. Marko Ivan Rupnik e artisti Centro Aletti

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Qui si aprono le prospettive storiche e sociali dell’agire morale dove risaltano il carattere comunitario della vocazione umana e la realizzazione del bene comune quale criterio dei rapporti tra il singolo, la società e l’autorità. La creazione tutta, il mondo e la società non sono soltanto il luogo in cui il cristiano vive la sua moralità, ma anche l’oggetto verso cui orienta il proprio impegno morale. La dignità della persona umana, o in altri termini, la capacità dell’uomo di vivere moralmente mediante l’uso della ragione e della volontà, risiede nel suo essere a immagine e somiglianza di Dio; l’azione dello Spirito educa alla libertà spirituale e questa si fonda sul dono della grazia salvifica, senza però togliere nulla alla responsabilità del soggetto che collabora con il dono ricevuto da Dio in Cristo, mediante lo Spirito. In questo ambito si colloca la riflessione sulle intenzioni, sulla moralità degli atti umani, sulla coscienza, sulle virtù e sul peccato (come atteggiamento opposto alla docilità e all’obbedienza di Gesù).La moralità del cristiano si nutre nella dimensione liturgica, nella preghiera, nella vita sacramentale ed in modo particolare nell’Eucaristia, da cui sempre attinge i doni divini. Ma anche il Magistero della Chiesa, attraverso la predicazione e la catechesi, propone le verità da credere e le modalità della loro applicazione nel tessuto esistenziale, quale via minima ad una ben più convinta adesione al messaggio evangelico. In sintesi, potremmo dire che la vita morale cristiana possiede una dimensione trinitaria, in quanto obbedienza al Padre, imitazione del Figlio e dono dello Spirito. Possiede ancora una dimensione teologale, come obbedienza che scaturisce dalla fede, si nutre della speranza e si esplica nella carità. Da ultimo, la vita morale ha una dimensione ecclesiale, come vita vissuta all’interno di una comunità che si mette in ascolto della parola di Dio, si riunisce attorno ai segni della Vita e, sotto la guida dei pastori, si muove alla ricerca del bene.

* OFMConv, docente di Teologia morale speciale

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Storia e rinnovamento della morale religiosa e Morale biblica e Teologia morale del prof. Targonski

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lA SOlIDARIETÁ COME PRESUPPOSTO PER UNA NUOvA DEMOCRAzIA

Orlando TODISCO, La solidarietà nella libertà. Motivi francescani per una nuova democraziaCittadella Editrice, Assisi 2015, pp. 287 - € 18,00

Recensione a cura della Redazione

È la libertà, pensata e vissuta come apertura e disponibilità a ricevere e a dare in una dialogicità strutturale, il luogo francescano della solidarietà. Da qui sia l’interrogativo intorno al come e al perché la solidarietà vada pensata e vissuta oggi, all’alba del terzo millennio, e sia la risposta, secondo cui tale solidarietà è da riporre nella libertà come capacità di liberare spazi di crescita dall’anima dominatoria e possessiva, da cui per lo più è contratta o inquinata. E non è questa libertà l’anima della povertà francescana, se è vero che questa impedisce per un verso di assolutizzare e per l’altro di disprezzare alcunché? Il che significa che la solidarietà si risolve nell’itineranza, intesa come anima della libertà creativa, sollecitata dalla consapevolezza che, essendo noi al mondo per un gesto di liberale gratuità, dobbiamo a nostra volta dar luogo a qualcosa che confermi e illumini la nostra gratitudine per quella voce che ci ha chiamato all’essere. Si impone allora la logica oblativa, secondo cui la dignità non si misura in base a ciò che si ha, ma in base a ciò che si dà. Il presupposto è che, se un tempo non si era e ora si è, ognuno è frutto di un gesto creativo del tutto gratuito, la cui consapevolezza spinge a dire e a fare in fedeltà alla logica del nostro essere o logica del dono. Non allora il proprio io al primo posto in una sorta di piega autoreferenziale, con un taglio rivendicativo, ma l’altro - Dio, i genitori, la società - cui guardare con riconoscenza, operosa e illuminata.

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TRA LE RIGHE

Quale allora la fatica della democrazia nell’ottica francescana? Prima che nel sostenere la pari dignità dei cittadini, la fatica sta nell’apprestare le condizioni perché ognuno possa dare ciò che sa e ciò che può, secondo modalità diversificate, ma sempre dignitose e insieme gratificanti. Come in una grande famiglia, dove nessuno è parassita e nessuno è protagonista, ma ognuno è servo e padrone al tempo stesso, con il compito di dare come e finché può.Non c’è tristezza più corrosiva di quella che nasce dalla consapevolezza che non c’è più spazio per le nostre idee e per le nostre azioni, ritenute inutili o ingombranti. La società è povera non perché non ci siano progetti o risorse, ma perché non è nata né si è sviluppata in modo tale che ognuno possa dare ciò che sa e ciò che può. È il sistema al centro, all’interno del quale è lecito fare solo ciò che è anticipatamente predisposto. Si impone, forse, una sorta di ripensamento della qualità della convivenza democratica, muovendo dal primato dell’altro, non del sistema, ridando cioè peso e senso alla sua interiorità come alle sue rappresentazioni, e non solo alle procedure che garantiscono la sopravvivenza del sistema. Se vien meno la creatività si spegne la solidarietà, con la solidarietà si eclissa la libertà, con la libertà muore la democrazia.

Dello stesso autore, si segnala la recente pubblicazione dal titolo

Nella libertà la verità - Lettura francescana della filosofia occidentale

Collana Studi francescani - Edizioni Messaggero Padova 2014

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PEllICOlE DI qUAlITà, GRANDI OSPITI E PUbblICO ENTUSIASTA: TANTE SODDISFAzIONI DAllA 51a EDIzIONE DEl CINEFORUM SERAPHICUM

di Emanuele Rimoli*

All’inizio dell’anno c’eravamo proposti di raccontare l’umanità nelle sue molteplici sfaccettature. Quella dei piccoli passi e delle cadute, delle vittorie quotidiane e degli arrancamenti della fine del mese. Quella delle con-quiste tecnologiche, politiche e intellettuali e dei sapori tradizionali. Ebbene, arrivati ormai alla fine della rassegna - pur consapevole che l’uomo è inesauribile - posso dire con tanta gratitudine che il bilancio del Cineforum Seraphicum è assolutamente positivo. A giudicare, infatti, dai commenti, dagli interventi in sala e dalle schede di valutazione (quest’anno numerosissi-me), della rassegna è stato apprezzato il tono leggero e mai banale, la varietà di ospiti e le iniziative straordinarie rispetto al ciclo delle proiezioni. Siamo partiti con una strepitosa pole position (il paradosso è voluto) L’ultima ruota del carro, la “normale” storia di Ernesto Fioretti (ospite in sala col regista Giovanni Veronesi).

E a fine anno siamo approdati nelle case degli italiani per sederci a tavola e gustare la “cucina cinematografica” dell’ultimo secolo: L’appetito vien guardando (Edo-ardo Zaccagnini) ci ha, infatti, servito un menù fatto di storia, drammi, risate, aromi, colori, sapori e canzoni sulla cu-cina italiana attraverso un’abbondante e meditata filmografia. Tra questi due poli si è sviluppata l’in-tera rassegna 2014-2015 costellata, an-

cora di più della scorsa, di ospiti che hanno decisamente innalzato la qualità del forum dopo la proiezione del sabato pomeriggio. Dopo il già citato Veronesi - che ci ha intrattenuti con aneddoti sul backstage del film e ancora più divertenti gag sull’amico Fioretti - altri registi hanno calcato il nostro palco; è il caso dell’amico e ormai habitué del Cineforum Daniele Ciprì, con il suo simpatico e grottesco La buca, e di due giovani campani: il salernitano Sydney Sibilia col suo brillante Smetto quando voglio - rivelazione dell’anno 2014 e Globo d’oro come miglior

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Cineforum

Edoardo Zaccagnini

Franceswco Marcolini e Roberto Sbriccoli

commedia 2014 - e il fumettista napoletano Alessandro Rak che ha debuttato col suo introspettivo L’arte della felicità - miglior film d’animazione all’European Film Awards. Assieme ai registi sono stati ospiti numerosi critici: Mario Dal Bello (Città Nuova) per il profondo e te-nero Still life, Anna Maria Pasetti (Il fatto quotidiano) per Le meraviglie; e per la sezione di film storici: Franco Olearo (familycinematv.it) per The Butler, Alessandro Portelli (La Sapienza) per lo strapremiato 12 anni schiavo, Lucetta Scaraffia (La Sapienza, Osservatore Romano) per Hannah Arendt e, infine, per Il capitale umano Enrico Magrelli - grazie al quale il Cineforum è stato ospite alla trasmissione radiofonica Hollywood party di Radio3. Tra gli ospiti più ragguardevoli abbiamo avuto Piotr Nowina-Konopka, am-basciatore polacco presso la Santa Sede, per commentare l’omonimo film su Lech Walesa, del quale è stato stretto collaboratore e portavoce. Merita una speciale menzione la collaborazione con l’originale ed eccentri-co Federico Pontiggia (Il fatto quotidiano, MovieMag), il quale ha commen-tato - con un notevole apprezzamento da parte del pubblico - ben tre tra i più singolari film della rassegna (Father and son, Her, Lunchbox), sviscerando a più livelli il tema della relazione.Ma il Cineforum non è solo proiezione e dialogo, è anche approfondimento per una maggiore conoscenza della settima arte e dei suoi grandi personaggi. Infatti, in occasione del 55° anniversario dall’uscita de La dolce vita, abbiamo proposto, in collabo-razione con Edoardo Zaccagnini, il tour-laboratorio Per Roma con Federico, un itinerario cittadino e cinematografico alla scoperta della Roma di Federico Fellini. Avendo l’iniziativa riscosso enorme successo tra i tesserati, sarà ripresa nella prossima rassegna con una formula più abbondante della sola visita guidata, con proiezioni, approfondimenti e il tour romano nei luoghi, posso già anticiparlo, di Alberto Sordi. L’anno che viene già si presenta ricco di ricorrenze, titoli e auspici. Le proposte di iniziative e film da parte dei tesserati sono numerose e la fase di programmazione è prossima a cominciare. Siamo, inoltre, in fase di ristrutturazione e revisione del sito internet e dei profili social del Cineforum per facilitare la comunicazione con i nostri tesserati e, ci auguriamo, con i futuri tesserati.Ricominciamo a ottobre, con l’augurio di una rassegna altrettanto vivace e fruttuosa!

* OFMConv, Docente di Antropologia teologica e direttore del Cineforum Seraphicum @fratemanu

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L’ambasciatore Nowina-Konopka

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appuntamenti

CONvEGNO kOlbIANO

“Da Kolbe a papa Francesco: una povertà per l’uomo” è il tema dell’annuale convegno, promosso dalla Cattedra Kolbiana, che si terrà sabato 9 maggio. Il programma prevede alle ore 15.30 l’introduzione di fra Raffaele Di Muro, direttore della Cattedra Kolbiana; alle 15.45 “Il ruolo della povertà nella santità cristiana” di Jesus Manuel Garcia (SDB), direttore dell’Istituto di Spiritualità della Pontificia Università Salesiana; alle ore 16.30 “Le Niepokalanów kolbiane: L’Immacolata come fine, la povertà come capitale (SK 299)” di Massimo vedova (OFMConv), docente di Spiritualità al Seraphicum e all’Antonianum. Alle 17.45 sarà la volta di S.E. Mons. Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno sul tema “Papa Francesco: Poveri e povertà - Dalla cultura dello scarto... al primato dell’essere umano” e alle 18.30 le conclusioni di fra Domenico Paoletti, Preside della Facoltà.

Modera il convegno Anna Maria Calzolaro (MIPK), docente della Cattedra Kolbiana.

Per aggiornamenti e approfondimenti sull’evento.

INCONTRO SU RElIGIONE E vIOlENzA

La Facoltà, assieme al bimestrale di aggiornamento teologico Credere Oggi (Edizioni Messaggero Padova), propone venerdì 15 maggio alle ore 16, un incontro di approfondimento sul tema “Religione e violenza”. Alla luce dei contributi raccolti nel numero monografico di Credere Oggi (n. 205 - gennaio/febbraio 2015), dedicato appunto a questo argomento, saranno Stefania Falasca, editorialista di Avvenire, e fra Emanuele Rimoli (OFMConv), docente di Antropologia teologica, a portare ulteriori riflessioni all’analisi di un tema di grande attualità e complessità, quale appunto il binomio tra religione e violenza.A moderare l’incontro sarà fra Germano Scaglioni, biblista, docente di Nuovo Testamento e direttore di Credere Oggi che presenta l’niziativa a pag. 8 di questo numero di “SBi”.

Per informazioni: [email protected]

NOvITÁ EDITORIAlI

l’EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO lETTA DAI FRANCESCANI

L’Evangelii gaudium letta attraverso occhi francescani. È questo l’obiettivo di Evangelii gaudium - Riflessioni francescane” la nuova pubblicazione a cura di fra Giulio Cesareo, frate minore conventuale

e docente di Teologia morale al Seraphiucum.Il libro, della Edizioni Messaggero Padova, mette al centro l’esortazione apostolica di papa Francesco sulla gioia del Vangelo, rileggendola attraverso i contributi di diversi frati del Seraphicum.“Con la Evangelii gaudium - si legge nella quarta di copertina - papa Francesco ha riportato all’attenzione della Chiesa il tema della bella notizia come causa della nostra gioia. A partire da questo invito, a tornare al cuore del Vangelo, un gruppo di frati francescani, docenti presso la Pontificia Facoltà Teologica ‘San Bonaventura’ di Roma, ha pensato di riflettere teologicamente e da fratelli sul tema della gioia credente, secondo le competenze di ciascuno, affinché la diversità delle voci e degli accenti manifesti la bellezza dell’armonia e della comunione. La gioia credente,

in effetti, consiste nello scoprirsi-Chiesa, una-cosa-sola – nelle relazioni interpersonali – per l’azione dello Spirito che, versando nei nostri cuori l’amore del Padre (cf. Rm 5,5), ci unisce a Cristo e in lui gli uni agli altri”.Un percorso comune che, attingendo alle giornate vissute in comunità e alla condivisione della docenza, aiuta a dare un timbro unitario al lavoro. “Così nasce questo semplice testo che - scrive fra Roberto Tamanti nell’introduzione - propone alcune riflessioni, o meglio diremmo delle meditazioni, che nascono dalla vita e dall’attività della Facoltà francescana in cui gli autori vivono e operano, con una connotazione comunitaria: non si tratta, infatti, di singoli studi in qualche modo indipendenti l’uno dall’altro, quanto piuttosto di pennellate di colori e sfumature diverse che vorrebbero alla fine dipingere un quadro ricco e variopinto, in cui l’unità della proposta e della lettura di Evangelii gaudium si sostanzia delle singole partiture che ognuno degli autori ha cercato di suonare con originalità e competenza”. Nel testo si trovano, dopo lo sguardo d’insieme proposto dall’introduzione di fra Roberto Tamanti, gli interventi su “La teologia della gioia e il suo fondamento nell’Evangelii gaudium” di fra Dinh Anh Nhue Nguyen; “La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” di fra Emanuele Rimoli; “La gioia è comunione d’amore” di Domenico Paoletti; “La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia” di fra Francesco Scialpi; “Maria Madre della gioia” di fra Felice Santi Fiasconaro; “La gioia negli scritti di san Francesco d’Assisi e nella Evangelii gaudium” di fra Dinh Anh Nhue Nguyen; “Con gioia sono pronto a tutto con l’aiuto dell’Immacolata” di fra Tomasz Szymczak.

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APPUNTAMENTI SUllA lITURGIA

In programma due importanti appuntamenti per il corso di Liturgia, tenuto dal professor Francesco Scialpi. Mercoledì 6 maggio alle ore 9.00 si terrà una lezione sull’architettura liturgica con la partecipazione di una equipe del Centro Aletti, presieduto da p. Marko Ivan Rupnik.

Secondo appuntamento nel pomeriggio del 13 maggio con la visita degli studenti del Seraphicum alla Sacrestia pontificia e alla Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico. A guidare la visita sarà S.E. mons. Piero Marini, Presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali.

SAN FRANCESCO ATTRAvERSO TRACCE, PAROlE, IMMAGINI

Sarà visitabile sino al 31 maggio, tutti i giorni dalle 10 alle 17.30, la mostra “Frate Francesco: tracce, parole, immagini”, allestita nel Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco in Assisi.Un’occasione unica per vedere i più antichi manoscritti e documenti riguardanti san Francesco,

risalenti al XIII e XIV secolo, di ritorno dall’esposizione allestita nella sede ONU a New York e al Brooklyn Borough Hall. In mostra tredici codici e sei documenti d’archivio, provenienti dal Fondo Antico della Biblioteca comunale di Assisi presso la Biblioteca del Sacro Convento di Assisi. Tre le sezioni dell’esposizione: le Tracce lasciate da Francesco con la

documentazione ufficiale, tra cui una lettera papale del 1220 dove frater Franciscus è nominato per la prima volta in un documento ufficiale. Grande attenzione è richiamata dal Codice 338 che contiene la più antica raccolta degli scritti di Francesco tra cui i dodici capitoli della Regula fratrum minorum approvata nel 1223 da Papa Onorio III e il Cantico delle Creature, il più antico testo poetico in lingua volgare al quale si attribuisce l’inizio della letteratura italiana.La sezione Parole contiene alcune delle più importanti biografie del santo tra le quali un frammento della più antica biografia, la Vita beati Francisci o Vita prima di Tommaso da Celano, del 1229; uno dei tre esemplari superstiti del Memoriale in desiderio animae o Vita seconda dello stesso autore, risalente al 1247; un esemplare in volgare dei Fioretti, la più diffusa e conosciuta tra le raccolte agiografiche francescane.La sezione Immagini, infine offre una selezione di codici miniati dei secoli XIII e XIV nei quali è raffigurato san Francesco; un antifonario, un breviario francescano, un messale e una bibbia - tradizionalmente detta “di Giovanni da Parma” - contenente una delle prime immagini del Santo.

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lE SFIDE DEllA MISSIONE FRANCESCANAIN UN SEMINARIO DI STUDIO Al SERAPHICUM

di Raffaele Di Muro*

La missione della Chiesa è il prolungamento di quella di Cristo che consiste nel rivelare l’amore di Dio per l’umanità. Ogni vita cristiana autentica è missionaria per natura perché ogni battezzato condivide questa dimensione vitale della Chiesa. Attualmente la teologia sottolinea molto il valore della missione all’interno dell’universo cristiano che ha bisogno di essere sempre rivitalizzato. Una grande importanza riveste ancora oggi la generosità di chi lascia il proprio Paese per portare l’annuncio del Vangelo dove non è conosciuto. La missione evangelica francescana ingloba tutte le attività missionarie tipiche della Chiesa portando avanti in ogni tempo e luogo le intuizioni evangeliche e missionarie di san Francesco attualizzandole nel tempo. Si tratta di “sentire” come Francesco: per lui la vita è missione e viceversa. Ci sono molti riferimenti all’attività missionaria nei suoi scritti. Il mandato e gli atteggiamenti apostolici hanno un’importanza capitale nell’esperienza del Poverello e della prima fraternità francescana: essi si percepiscono inviati in missione proprio come accadeva nella prima Chiesa. Nella Regola bollata, Francesco insiste su azioni di carattere missionario, sia in ambito cristiano che in quello islamico. Il francescano si preoccupa di donare uno stile: l’annuncio evangelico va unito alla testimonianza di pace e di unità, in spirito di totale affidamento a Dio. L’azione missionaria francescana si abbina armoniosamente con quella della preghiera. L’ “andare” dei frati va senza dubbio favorito e sostenuto dall’orazione secondo un fare sempre squisitamente penitenziale. L’osservanza del Vangelo è molto ricorrente nelle Regola bollata: essa rappresenta un importante criterio ermeneutico per capire questa composizione. In sostanza possiamo affermare che osservare il Vangelo è la vita, è il cuore della missione francescana. Anche per il francescano di oggi si rende necessario un continuo approfondimento del testo evangelico per le sfide di oggi. La povertà, la mitezza, l’umiltà e la capacità di seminare pace rappresentano elementi preziosi dell’apostolato francescano che possono essere strategici nello stile missionario serafico nell’oggi.

*OFMConv, docente di Teologia spirituale e direttore della Cattedra Kolbiana @raf_frate

La versione integrale del testo e gli atti del seminario, finalizzato a fornire un contributo in vista della revisione delle Costituzioni dei Frati minori conventuali, saranno oggetto di una pubblicazione che uscirà nel mese di settembre

francescanamente parlando

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Il Ministro generale fra Marco Tasca con fra Raffaele Di Muro

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FRA Brćina OrDinaTO PrESBiTErO Da PaPa FranCESCO

Fra Stjepan Brćina è stato ordinato presbitero domenica 26 aprile, nel corso della Santa Messa nella Basilica vaticana, presieduta da papa Francesco.Fra Brćina, nato nel 1981, è un frate minore conventuale appartenente alla Provincia di San Girolamo della Croazia, fa parte della Comunità del Seraphicum ed è studente di Teologia spirituale all’Antonianum.Proprio al Seraphicum ha dato vita, assieme ad altri confratelli, all’esperienza della “Sveglia francescana”, il gruppo di evangelizzazione di strada che porta e testimonia il messaggio di Cristo nelle strade delle città, attraverso canti, balli, preghiere, incontri, dialoghi, adorazione eucaristica.

IN vISTA DEl GIUbIlEO, UN lIbRO SUI lUOGHI DEllA RICONCIlIAzIONE

Luoghi di riconciliazione. Il mestiere dell’architetto è il titolo del libro di Paolo Bedogni presentato il 23 aprile al Seraphicum. “Lo studio di Paolo Bedogni e la documentazione che esso offre, presenta un quadro completo e ragionato dell’evoluzione del luogo della penitenza sacramentale lungo la storia, esplicita le esigenze architettoniche e artistiche del nuovo rito, offre linee feconde di riflessione per l’attuazione, e presenta alcuni tra gli esempi più significativi di tale ricerca dopo il Vaticano II” (dalla quarta di copertina).Sono intervenuti alla presentazione il Preside fra Domenico Paoletti, Manlio Sodi (SDB) e lo stesso architetto Paolo Bedogni, autore del libro edito da IF Press, moderati da fra Francesco Scialpi, docente di Liturgia.

IN PAROlE FRANCESCANE

(Francesco) fu liberato dalla prigione poco tempo dopo e divenne più compassionevole con i bisognosi. Propose anzi di non respingere nessun povero, chiunque fosse e gli chiedesse per amor di Dio.

TOMMASO DA CELANO, Vita Seconda, II, 5: FF 585

PONTIFICIA FACOlTÁ TEOlOGICA “SAN bONAvENTURA” SERAPHICUMVia del Serafico, 1 - 00142 RomaSan Bonaventura informa è a cura dell’Ufficio Stampa del Seraphicum Responsabile: Elisabetta Lo Iacono ([email protected])

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