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I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE

Sant'Ambrogio - Exameron. I Sei Giorni Della Creazione

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D I  
S A N T ’A M B R O G I O
edizione bilingue  a cura della Biblioteca Ambrosiana
promossa dal cardinale  GIOVANNI COLOMBO arcivescovo di Milano
in occasione del XVI centenario  dell’elezione episcopale di Sant’Ambrogio
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rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
abate di S. Ambrogio
dell’Università di Roma
dell’Università di Milano
 ANGELO PAREDI
per il testo latino
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PRESENTAZIONE
 Il proposito di promuovere la presente edizione di tu tti gli  scritti di S. Ambrogio è nato nel nostro animo durante Vanno del   X V I centenario della elevazione del santo Dottore alla cattedra   episcopale di Milano. Mentre la ricorrenza ci induceva a ripen sare alla sua figura dolce e forte, all'azione provvidenziale da lui   svolta nella nostra terra, all’attualità del suo pensiero e del suo   esempio, si moltiplicavano le ragioni persuasive dell'opportunità   di questa lunga e difficile impresa.
 In primo luogo è stato il desiderio di compiere un'opera di  cultura che rendesse più vicino e accessibile uno scrittore della  statura di Ambrogio. Ovviamente il compito di attendere a questo   impegno spettava a quella Chiesa che va altera di chiamarsi am brosiana; essa lo ha sentito come un gesto di pietà filiale dovuto  
alla memoria di un padre ancora cosi presente e vivo tra noi.
 Inoltre, e piti profondamente, è maturata in noi la consape volezza che oggi gli Italiani hanno bisogno dell’insegnamento di  questo maestro in cui i valori della romanità e della rivelazione si   sono fusi in modo originale e armonioso; egli è maestro di uma nità, per un’epoca che si fa sempre più violenta e crudele;  è mae stro di libertà, che ammonisce a non vendere il bene massimo della   coscienza a nessun principe, antico o nuovo che sia; è maestro   di fede, che con l’altissima ispirazione religiosa delle sue pagine,   può rein fondere un’anima vigorosa e nuova a una società desolata   dall’assenza dei valori, inaridita dalle prospettive secolaristiche.
Ci ha stimolato infine l’ansia pastorale di rispondere secondo   un disegno ampio e meditato alle necessità della Chiesa di Milano  
in un difficile momento della sua storia. Milioni di persone, arri vate tra noi da ógni angolo della penisola nel breve arco di due  decenni, hanno fatto della nostra terra un crogiuolo di stirpi, di
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tradizioni, di dialetti diversi. I problemi umani che ne derivano  sono ardui, numerosi e certo non risolvibili a breve scadenza-
8 PRESENTAZIONE
 Di fronte a questo rivolgimento storico, qualcuno, mosso da  una visione più generosa che illuminata, ritiene che la Chiesa di  
 Milano debba attenuare le sue note caratteristiche, perché i nuovi  arrivati possano adattarvisi più agevolmente. Il contrario è vero:  quanto più è imponente l'ingresso tra noi di genti lontane tanto   più la nostra Chiesa deve saper offr irsi con la sua inconfondibile  identità, deve andar loro incontro col suo volto chiaro e ricono
scibile: solo cosi potrà improntare e animare di sé il popolo nuovo   che nascerà da questa lunga e travagliata fusione. Diversamente,  accolti in una società anonima e grigia, tutti conserverebbero le   proprie diversità e continuerebbero a sentirsi irreparabilmente   stranieri e senza speranza. Gli ospiti nuovi si accolgono non de molendo la nostra casa, ma irrobustendola, ampliandola e ren dendola accogliente si, ma nel rispetto della sua originaria ar
chitettura e della sua primitiva spiritualità.
 In questo disegno assume una chiara significazione la rina scita  — sempre più vigorosa e caratterizzata — della liturgia am brosiana.
 In questo disegno s'inquadra la salvaguardia e il rinnovamen to delle nostre tipiche forme di pastorale.
 In questo disegno il pensiero e la parola di S. Ambrogio   —
che stanno all’origine della nostra specifica identità ecclesiale   —
sono proposti alla lunga meditazione del clero e del laicato della   Chiesa di Milano, perché il ritorno alle sorgenti ci aiuti a rispon dere agli interrogativi del mondo di oggi con la forza interiore  di chi sa di avere nella sua storia una ricchezza che non teme  
confronti.
Proprio perché siamo un albero molto cresciuto ed esposto   a bufere, sentiamo il bisogno di avere radici robuste e profonde.
 L ’alta impresa è affidata alla Biblioteca Ambrosiana, sede 
 prestigiosa di studi severi, che è chiamata non solo a custodire  ma anche a rendere eloquenti e attuali i tesori di cultura della   nostra storia religiosa e civile. Siamo certi che il glorioso istituto
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 federiciano non deluderà le nostre attese e che in un breve giro  di anni una serie di volumi agili e sobriamente eleganti ci offrirà   tutte le pagine di Ambrogio, nel loro testo originale accuratamen te ricostruito e in una semplice e dignitosa versione in lingua 
italiana.
PRESENTAZIONE 9
Sul lavoro felicemente avviato e sulla larga schiera di coloro   che vi profonderanno le loro fatiche invochiamo di cuore la be nedizione di Dio.
G i o v a n n i   C o l o m b o  
cardinale arcivescovo di Milano
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DELLA CREAZIONE
di
1979
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II edizione, novembre 1996
La I ed. del volume è stata pubblicata con il contributo della Fondazione S. Ambrogio per la Cultura Cristiana, sostenuta dal Dr. Ing. Aldo Bonacossa
Biblioteca Ambrosiana, P.za Pio XI, -2 - 20123 Milano Città Nuova Editrice, Via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma
ISBN 88-311-9150-0
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INTRODUZIONE
Fino dai primi secoli della Chiesa molti furono gli esegeti del   primo capitolo della Genesi Per ricordarne solo alcuni, citeremo 
Origene * e S.  Basilio di Cesarea ’  fra i Greci, Lattanzio * e S. Agostino^ fra i Latini. Possono spiegare questo interesse, che si pro lunga nel corso del tempo, sia le ragioni liturgiche che con sigliavano di commentare testi largamente impiegati durante le  celebrazioni quaresimali sia, soprattutto, la necessità d’illustrare,  specie in contrapposizione con i vari sistemi ereditati dalla filo sofia classica, l’origine del mondo, punto di partenza per la storia  della salvezza^.
Si comprende perciò come anche S. Ambrogio abbia ritenuto   opportuno affrontare tale argomento, probabilmente nel corso del la Quaresima del 387, e precisamente nei sei giorni della Setti mana Santa dal 19 al 24 aprile''.
 Lo svolgim ento della predicazione può essere cosi ricostruito: 1° giorno: I sermone, 1 ,1 ,1 - 6,24 (mattina);
 I I sermone, 1,7,25-10,38 (pomeriggio).
1 H. C a z e l l e s   e J.P. B o u h o t ^ Il Pentateuco,  trad. ital., Paideia, Brescia  1968, pp. 49-54.
* Dodici Libri sulla Genesi {Hexaemeron);  sedici Omelie sulla Genesi,  di  cui la prima sulla creazione; forse altre omelie sempre sulla Genesi.  Della  prima opera rimangono solo frammenti; della seconda, una versione latina,  non sempre meticolosamente fedele, di Rufino (400-404 c.).
* Nove Omelie sulVHexaemeron.  Si potrebbero qui aggiungere le anaIo>  ghe opere di S. Gregorio di Nissa e di S. Giovanni Crisostomo.
* De opificio mundi.  . . . • De Genesi contra Manichaeos; De Genesi ad litteram imperfectus liber  
e, soprattutto, dodici libri De Genesi ad litteram   sui primi tre capitoli della Genesi. • C a z e l l e s -B o u h o t , op. cit.,  pp. 55-56. ^ J J l . P a l a n q u e , Saint Ambroise et l'empire romain,  De Boccard, Paris 
1933, pp. 520 e 759; F. H o m e s   D u d d e n , The life and times of St. Ambrose, Cla-  rendon Press, Oxford 1935, II, pp. 679-680.
Le altre date proposte oscillano fra il 386 e il 390. In genere non si  accetta la data 386, perché nelle omelie ambrosiane non c'è traccia della ten sione provocata dalla lotta contro gli ariani. A favore di tale data non mi  sembra decisivo l’argomento ricavato da Auc., Conf.,  VII, 3, 5, 1: vedi P.  CouRCBLLB, Recherches sur les   « Confessions  » de Saint Augustin,  De Boccard, 
Paris 1950, pp. 99-102. Che la predicazione sla durata sei giorni risulta chiaramente da quanto  
si dice all’inizio del nono discorso (sesto giorno): Qui   (sermo) etsi per quinque   iam dies non mediocri labore nobis processerit...  (V I, 1, 1).
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2*’ giorno: III sermone, II, J, 1 -5,22 (pomeriggio),  giorno: IV sermone, III, 1, 1 ~ 5, 24;
V sermone, III, 6,25 - 17,72. 4° giorno: VI sermone, IV, 1,1-9,34 (pomeriggio). 5° giorno: VII sermone, V, 1,1 -11,35;
V i l i sermone, V, 12,36  -24,92 (separato da un breve  intervallo dal precedente e pronunciato nel pome riggio).
6° giorno: I X sermone, VI, 1,1 -10,76 (man ifestamente nel po·  meriggio) ®.
 I vari momenti della creazione sono cosi distribuiti: nella pri ma giornata, cielo, terra (I) e luce (II); nella seconda, firmamento   (III); nella terza, -acque (IV) e piante (V); nella quarta, sole, luna 
e stelle (VI); nella quinta, pesci (VII) e uccelli (Vili); nella sesta, animali e uomo (IX).
Evidentemente un'opera cosi impegnativa presuppone nell'au tore non solo il possesso d'una cultura generale, teologica e prò-
14 INTRODUZIONE
® PALANQUE, op. cii.,  p. 438; D u d d e n , op. cit.,  II, p. 679. Per il terzo giorno non ci sono precise indicazioni; si deve però ritenere  
verosimile die il quarto sermone sia stato pronunciato al mattino e il quinto  al pomeriggio. Per il quinto giorno, invece, risulta dalla nota del testo ta·  chigrafico, rimasta all'inizio dell'ottavo sermone (V, 12, 36), che questo venne  pronunciato dopo un breve intervallo {Et cum paulolum conticuisset)   dal  discorso precedente. Poiché, come vedremo nel seguito di questa stessa nota,  l'ottavo sermone fu . tenuto nel tardo pomeriggio, assegnerei il settimo alle  prime ore del medesimo pomeriggio.
Il Paredi (La liturgia di S. Ambrogio,  in « Sant'Ambrogio nel XVI cente nario della' nascita », Vita e Pensiero, Milano 1940, pp. 139-141), sul fonda mento dì Exam., V, 11, 35; 24, 88; 24, 89; 24, 90; 24, 92, in confronto con Epist.,  XX, 25-26, ritiene che i due discorsi assegnati alla quinta giornata (V II e V ili)   non siano stati pronunciati il quinto giorno della Settimana Santa, e cioè il   venerdì, bensì il giorno precedente, e che quindi la divisione o l'assegnazione   dei vari discorsi che formano i sei libri sia da rifare.
Senza entrare nel merito dei problemi, per altro controversi, connessi  con la liturgia dei tempi di S. Ambrogio, credo assolutamente certo che il se sto sermone venne pronunciato nel tardo pomeriggio del quarto giorno, e  cioè del Giovedì Santo: Sed iam cauendum ne nobis in sermone dies quartus   occidat; cadunt enim umbrae maiores de montibus, lumen minuitur, umbra   cumulatur   (IV, 9, 34). Non mi pare infatti possibile sostenere che l’espres sione dies quartus   si riferisca alla creazione anziché alla predicazione (cf. 
anche II, 5, 22). Ritengo inoltre altrettanto certo che i nove sermoni seguano  l'ordine del primo capitolo della Genesi  (cf. VI, 2, 3), sicché il settimo e l'ottavo  non possono essere stati tenuti prima del sesto, cioè la mattina del Giovedì San to. Del resto, anche l'ottavo sermone si conclude con un’indicazione che non  lascia dubbi: ' ...e/ gr'atulemur quod factus est nobis uesper, et fiat mane   dies sextus.  Si veda inoltre, nello stesso discorso, l'accenno alla stanchezza  che potrebbe indurre al sonno gli ascoltatori (V, 12, 37).
Quanto all'ipotesi che una probabile successiva rielaborazione abbia provo cato qualche spostamento o ampliamento delia materia, essa è certamente ve rosimile. In ogni caso, la storia di Giona (V, 11, 35) si prestava egregiamente   per concludere l'elogio del mare, come la negazione di Pietro veniva a propo
sito parlando della notte e del canto del gallo. L'episodio di Giona, del resto,  è richiamato anche da S. Basilio appunto'nella perorazione della settima omelia  (164 A = 69 C), mentre l’esempio del gallo è citato verso la fine dell'ottava  (181 C = 77 C).
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 fana, adeguata ai tem i affrontati , ma anche il ricorso, piti o meno  immediato, a fonti particolari. Per i primi quattro paragrafi ci  soccorre l'approfondita ricerca del Pépin^ che rinvia, oltre che  ai  Philosophumena d’Ippolito, al Cicerone del  De natura deonim e  probabilm ente   deZ/'Hortensius, a Filone, forse ad   ««'Epitome di  Filodemo, senza escludere  a priori la conoscenza diretta del  De philosophia del giovane Aristotele, non ancora indipendente dal l’influsso platonico. Ma più in generale, trascurando per il mo mento le fonti dell'informazione scientifica di cui diremo in  se- guito, per l'intera opera bisogna risalire, oltre che a Cicerone e   a Filone, quanto meno ad Origene “ e a S.  Basil io di Cesarea 
 A questo proposito è inevitabile citare il famoso passo di S.  Girolamo, nel tentativo di chiarirne i limiti ed il significato:  Nuper
Ambrosius sic Exaemeron illius (scilicet   Origenis) compilauit, utmagis Hippolyti sententias Basiliique sequeretur Sembra dif  ficile, specie se si considera il carattere polemico di chi scrive,  che il verbo  compilare non assuma qui un significato niente af
 fatto lusinghiero Ma anche ammesso questo , il senso dell'intera   frase continua a rimanere piuttosto oscuro. Secondo il Pépin,  « d'après le contexte, Jéróme semble vouloir dire qu'Ambroise  a gardé une certaine indépendence dans l'usage de cet   Exaeme ron... En tout cas, Jéróme conferme que les éléments origéniens  
introduits par Ambroise dans son propre   Exaemeron devaient se  trouver dans  /'Exaemeron d’Origène plutòt que dans une autre  ouvrage du méme auteur  » “ .
 Ad ogni modo è difficile raggiungere una conclusione sicura,   perché sia  /'Hexaemeron di Origene che quello di Ippolito non
® J . P é p i n , Théologie cosmique et théologie chrétienne   (Ambroise, Exam.,  I, 14), Presses Universitalres de Franca, Paris 1964, pp. 513-533.
Dissente dal Pépin E. L u c c h e s i , L ’usage de Ph iton dans l'oeuvre exégétique   de saint Ambroise,  ecc., E.J. Brill, Leiden 1977, pp. 73-74 e, specialmente, n. 2,  il quale pensa ad Origene come a fonte imica o principale.
10 Cioè al Περ ρχν e al perduto commento ai primi quattro capitoli  della Genesi, oltre che alla prima omelia in Genesim, che tratta della creazione.
II Lavati (Il valore letterario della esegesi ambrosiana,  Archivio am brosiano. XI, Milano 1960, pp. 88 e 92) ritiene che VExameron   preceda la let tura di Plotino. Vedi però anche P. Co u r c e l l e , Platon et Saint Ambroise, Revue  de philologie, 76, 1956, pp. 4647.
“ Ep.  84, 7; cf. anche Apoi. adu. Ruf., I, 2, PL, 33, 417 B. “ Il T.L.L.  considera compilare   sinonimo di excribere   = « copiare »; cf. 
H o r ., Sai., I, 1, 121; M a r t ., XI, 94, 4. Veramente J . Labourt (S a i n t   J é r ó m e , Lettres,  IV , Les Belles Lettres, Paris 1954, p. 134) traduce: « Naguère, Am broise a compilé de telle manière l'Hexaméron d’Origène qu'il s'est attaché  de préférence aux opinions d'Hippolyte et de Basile ». Tra compiler   e  p il ler   c'è una certa differenza.
1 Op. cit.,  p. 417, n. 2. Il Paredi (S. Ambrogio e la sua età, Hoepli, Milano  I960*, p. 370) intende cosi: « Girolamo che aveva sott’occhio tutte e quattro  le opere (cioè quelle di Origene, di Ippolito, di Basilio e dello stesso Ambr(>   gio) scrìsse che Ambrogio diede una nuova redazione dell'Esamerone   di Ori-  gene, seguendo più da vicino Ippolito e Basilio che non Origene. Cioè l’opera  di S. Ambrogio è più curata quanto all’ortodossia » . 'Da S. Girolamo (De uir. 
ili., c. 61,  PL, 25, 707 A ) sappiamo che Ippolito aveva scritto un ξαμερον. Sui rapporti tra S. Ambrogio e S. Girolamo vedi A. P a r e d i , S. Gerolamo e  
S. Ambrogio,  in « Mélanges Eugène Tisserant », voi. V (Studi e testi, 235), Bi blioteca vaticana 1964, pp. 183-198 (in particolare pp. 191-192).
INTRODUZIONE 15
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ci sono pervenuti È invece possibile istituire un confronto con  /'Hexaemeron di S. Basilio; ma i risultati ne sono, a dir poco,  sconcertanti. Bisogna riconoscere, infatti, che nessun altro verbo   meglio di  compilare  potrebbe esprimere la realtà del rapporto  tra  TExameron di Ambrogio e il suo modello greco. A parte   l’impostazione generale, larghissimi brani sono riprodotti testual mente insieme con esempi, citazioni e persino formule di passag gio da un argomento all’altro Addirittura, come osserva il Pé-   pin ” e come io stesso ho personalmente sperimentato, molte oscu rità del testo latino si chiariscono agevolmente nel confronto con  quello di S. Basilio, data la maggiore precisione del linguaggio fi losofico greco. La fonte, inoltre, non è mai citata se non indiret tamente, come per esempio a IV , 7,30, dove si parla di  nonnulli
docti et Christiani uiri, ma soltanto per manifestare un dissenso  I l Paredi, dopo aver rilevato, non senza una certa sorpresa,  tale modo di procedere, lo spiega, sia pure in forma dubitativa,   con il  « carattere oratorio del libro » Certamente un sermone   non è un trattato, almeno nel senso moderno del termine, bensì   un'opera nella quale l’interesse che potremmo chiamare cultura-  le-scientifico cede il passo all’interesse pastorale. Nel secolo quarto,   poi, il concetto di «  proprietà letteraria  » era ben diverso da quello  giuridico-morale dei nostri tempi. S. Ambrogio, insomma, attinge 
idee e immagini che ritiene possano giovare ai suoi ascoltatori,  senza preoccuparsi d'essere originale, perché in lui è dominante   Tanimus del pastore, non quello dello scrittore e del dotto. È   un fatto però che  Z'Exameron costituisce un caso limite. Anche  in confronto al De officiis, che pur deve tanto a Cicerone, risulta  di gran lunga meno personale nel contenuto, perché manca Vat-  teggiamento di contrapposizione polemica rispetto alla fonte.
Un'opera come   /'Exameron,
 per la materia trattata e gli svi luppi che ad essa si davano, richiedeva nell'autore un adeguato  
 patr imonio di conoscenze scientifiche. Lo S ch en k l^ elenca tra le   fonti lo stesso Basilio, i  Prata di Svetonio,  Γλξανδρος di Filo ne e, per le api, le Georgiche di Virgilio. La leggenda della fenice
C. SCHENKL, S. Ambrosii Opera,  CSEL, XXXII, p. XIII: Num uero recte   dixerit Hieronymus Ambrosium Origenis Hexaemeron, hoc est Commentarios   in Genesim, quorum paucae nunc reliquiae extant, compilasse profecto du-  bitari potest.
SCHENKL, op. cii.,  p . XIII: Im m o Basilii, cuius sententias tantum eum   magis secutum esse Hieronymus refert, opus expilauit ita ut plerumque eius   dispositionem sequeretur, multa isdem fere uerbis redderet, longe plura   maiore usus uerborum ambitu exprimeret, denique in uniuersum interpretis  
 potius quam scriptoris munere fungeretur. Op. cit.,  p. 372: « Si la plupart des obscurités du texte d'Ambroise 
disparaissent à la lecture du. texte de Basile... ». I® Aerem quoque nonnulli etiam docti et christiani uiri allegauerunt  
lunae exortu solere mutari;  cf. Bas., 144 BC (61 AC). Op. cit.,  p. 370. Su tale questione vedi anche ciò che scrive M. Cesaro, 
Natura e Cristianesimo negli   « Exameron » di S. Basilio e di Sant'Ambrogio, Dldaskaleion, V II, 1929, p. 59. “ Op. cit.. pp. XVI-XVIII.
'Αλξανδρος περ του λγον Ιχειν τ λογα ζψα (Eus., Η.Ε., II, 18, 6).
16 INTRODUZIONE
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(V, 23, 79) deriva dalla prima lettera di Clemente^, l’episodio del  canto dell’usignolo (V, 12, 39) da un carme de/Z’Anthologia Latina Sempre secondo lo Schenkl^*, Ambrogio non avrebbe usato la  Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, come sarebbe dimostrato   dal fatto ch’egli, non adopera mai, per lo stesso argomento, i me desimi vocaboli impiegati dall'autore latino^. Non va taciuto che  le nozioni scientifiche di S. Ambrogio non sono, nella maggior  
 parte dei casi, fru tto di osservazione diretta e che vengono accolte  da lui tradizioni leggendarie e opinioni infondate^*.
Come si potrà riscontrare dai rimandi in nota alla traduzione,  «e//'Exameron sono numerosissime, più d’un centinaio, le riso nanze di Virgilio ” , poche quelle di Lucrezio, di Sallustio e di Ovidio. 
 Non mancano inoltre echi di Varrone, di Orazio e, forse, di Ma
crobio^. Non si tratta di vere citazioni, ma, per lo piti, di un  inserimento nel tessuto del discorso di espressioni che per la loro   carica poetica o per la loro suggestione allusiva contribuiscono al l’efficacia dell'esposizione.
 Di qui prende l'avvio una serie di considerazioni senza le  quali il giudizio sull'opera ambrosiana risulterebbe incompleto   e perciò ingiusto. Nonostante i modelli, ciò che colpisce in Am brogio è la sensibilità vibrante per gli spettacoli naturali in cui  la potenza divina si manifesta. Sua caratteristica è il gioioso com-
INTRODUZIONE 17
“ C. 25. “ 762 R.
Op. cit.,  p. XVI: Ne id quidem concedam Ambrosium scriptores La-  tinos, qui in rebus naturalibus explicandis maxime exceltuerunt, omnes le-  gisse. Veluli num Plinii Naturali historiae uel aliquod studium impenderit   quam maxime dubito.
Pur senza pretendere di smentire radicalmente l'affermazione dell’il lustre studioso tedesco, mi permetto di citare qui sotto due passi nei quali, 
anche se non materialmente, i vocaboli di Plinio e di Ambrogio presentano una corrispondenza che potrebbe non essere casuale: a) N.H.,  XXV, 53, 92:  (Ceruae) ostendere, ut indicauimus, dictamnum uulneratae   p a s t u   statim   TELis DECIDENTIBUS. Exam.,  Ili, 9, 40: G i b u s   illis ergo medicina est, ut   r e s i u r b   SAGITTAS uideas ex uulnere.  b) N.H.,  X, 3, 13; Alterum expellunt   t a e d i o   n u  
t r i e n d i . Exam.,  V, 18, 60: quod aliqui fieri putauerunt   g e m i n a n d o r u m   a l i m e n  
t o r u m   f a s t id i o .
“ Vedi, p. es., la capacità della remora di fermare le navi (V , 10, 31),  la trasformazione dell'acqua in sale nell’Oceano (V, 11, 33), la restituzione  della vista ai rondinini (V, 17, 57), la fecondità verginale degli avvoltoi (V,   20, 64-5) e delle api (V, 21, 67), la resurrezione della fenice (V, 23, 79). A V,  
12, 39. S. Ambrogio dichiara di riassumere da incompetente nozioni elementari. ScHENKL, op. cit.,  p. XVII, n. 1. M.D. D i e d e r i c h , Vergil in works of St. 
Ambrose,  The Catholic University of America, Washington 1931, pp. 28-30,  elenca quattordici « imitazioni », ritenute sicure, dalle Bucoliche,  settantadue  dalle Georgiche,  settantuno àaìVEneide,  più altre quattro dubbie dalle Bu-  coliche,  ventuno dalle Georgiche,  quarantanove daìì'Eneide.  Sui procedimenti  con i quali S. Ambrogio utilizza i testi virgiliani, vedi pp. 6-28. Vedi anche  L. A l f o n s i , L ’ecfrasis ambrosiana del   « libro delle api vergiliano  », Vetera  Christianorum, 1965, 2, pp. 129-138; A.V. N a z z a r o , La I Ecloga virgiliana nella   lettura d'Ambrogio,  in « Ambrosius episcopus », Atti del Congresso intemazio
nale di studi ambrosiani, ecc., a cura di G. Lazzati, Vita e Pensiero, Milano  1976, II, pp. 312-324. “ P. Co u r c e l l e , Nouveaux aspects du platonisme chez Saint Ambroise, 
Revue des études latines, 34, 1956, pp. 232-234.
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 piacim ento con il quale sa cogliere anche i più umili aspetti, della  creazione. Troppo viva è la partecipazione del suo animo perché   si possa pensare esclusivamente a squarci retorici. L'insegnamento   della scuola si è limitato ad affinare doti di natura^^ e a fornire   adeguati mezzi espressivi. Basterebbe la famosa descrizione del  mare ad attestarci le sue capacità di scrittore^. Spesso, anche   se lo spunto è offerto da S. Basilio, questo è ampliato e svolto   vivacemente con ricchezza di apporti personali.
 Nuocciono tuttavia alla  « composizione » dell'opera una certa   prolissità e t frequenti  excursus che fanno perdere il filo dell’ar gomento e turbano l'equilibrio della trattazione. Ambrogio talvolta   dimostra chiaramente di rendersene conto ma nello stesso tempo   non se ne preoccupa in modo eccessivo, come si ricava dal fatto  
che le numerose divagazioni sono riniaste anche dopò la revisione del testo tachigrafico^^.  Non va dim enticato però che  rExameron è anzitutto un'opera 
esegetica che vuole illustrare i sei giorni della creazione. Riveste  quindi un'importanza essenziale la linea interpretativa prescelta  dall'autore. S. Ambrogio preferisce l’interpretazione letterale  α- 
tenendosi, almeno inizialmente, al testo; non rinuncia però ad ap  plicare con grande larghezza l'allegoria o piutto sto il cosiddetto  senso  «  psichico » o spirituale o morale, appreso dall'insegnamen
to di Origene In tal modo, come scrive il Lazzati,  « il vescovo-poeta potrà  imprimere alla sua esegesi toni di un’intensità spirituale e di
18 INTRODUZIONE
2* L a z z a t i , op. cil.,  p. 62. “ III, 5, 21-4; su cui vedi anche ciò che scrive L. S p i t z e r , L ’armonia del  
mondo,  trad. ital-. Il Mulino. Bologna 1967, pp. 28-32. Il Paredi (op. cit.,  pp. 373 ss.), offre un'ampia e felice esemplificazione: III, 1, 24: l'acqua; IV,  1, 1-3: il sole; V, 8, 22: il granchio; V, 11, 36: gli uccelli; V, 15, 50-2: le gru;
V, 19, 62-3: la tortora; V, 20, 64-5: gli avvoltoi; V, 24, 88: il canto del gallo; VI, 9, 55: il corpo umano; VI, 9, 68: il bacio. Io aggiungerei anche, p.es., la  descrizione del giglio (III, 8, 36); e a proposito del corpo umano, rileverei che  nei paragrafi successivi non mancano argomentazioni contorte e persino con siderazioni banali, sia pure legate alla mentalità del tempo.
Sullo stile di S. Ambrogio e, in particolare sull’interferenza tra prosa  e poesia, vedi J. F o n t a i n e , Prose et poésie: l'interférence des genres et des   styles dans la création littéraire d’Ambroise de Milan,  in « Ambrosius epi scopus >, I, pp. 124 ss.
31 Vedi, p.es., I, 8, 32; II, 5, 22; III, 1, 6; I II, 4, 17; IV, 9, 34; V, 11, 35; V, 12, 36; V, 29, 90; VI, 2, 5.
G. L/tzZATi, Uautenticità del   De Sacramentis e la valutazione letteraria   delle opere di S.  Ambrogio, Aevum, XXIX, 1955, p. 47; Opere di S. Ambrogio,  a cura di G. Co p p a , UTET, Torino 1969, p. 33; cf. p. 98.
Sull'uso della tachigrafia aU’epoca di S. Ambrogio, vedi C. M o h r m a n n ,  Observations sur le   « De sacramentis » et le i De Mysteriis » de saint Am   broise,  in « Ambrosius episcopus », I, pp. 108-112.
“ Vedi p.es., VI, 2,  6: Caelum legimus, caelum accipiamus; terram legi-  mus. terram intellegamus frugiferam.  Vedi inoltre I, 8, 32; II, 4, 17; VI, 2, 4; VI, 3, 9.
^   Co p pa , op. cit.,  p. 38; H. Db L u b a c , Esegesi medievale,  trad. ital., Ed. 
Paoline, Roma 1972, II, p. 1223. In particolare, sulla genesi delle varie forme   d’interpretazione e, soprattutto, del metodo allegorico, vedi H. Au s t r y n   W o l f -  SON, La filosofia dei Padrì della Chiesa,  trad. ital., Paideia, Brescia 1978. I,  pp. 33-72.
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un'espressività che congiungono gli accenti della mistica e della    poesia » Per   Z'Exameron, o almeno per molte sue parti, questo   giudizio può essere senz'altro accettato, sia pure con la riserva,   formulata subito dopo dallo stesso Lazzati, che « la pagina ese getica ambrosiana » si presenta « spesso stentata, difficile, impi gliata nel suo stesso gioco » Se particolarmente felice appare  l'accostamento tra la rosa, fiore bellissimo ma cinto di spine, e i  successi degli uomini, spesso pagati a prezzo di sofferenze e di  miserie^'', oppure tra la vite e i fedeli sia come singoli individui  sia quali mem bri della comunità ecclesiale lo sviluppo dato,   per esempio, al paragone tra il cristiano e il pesce^^ e ancor più   alla leggenda dell’accoppiamento tra la vipera e la murena*'^, con  le relative applicazioni, nonostante l’efficacia pastorale, non ci con
vince del tutto. Inoltre l'opera è troppo legata alle im postazioni culturali e  ai concetti scientifici del proprio tempo, fatti emergere ancora    più rigidi dalle esigenze d'un'inter prelazione letterale, perché il  lettore dei nostri giorni possa sentirsi pago come chi ha raggiunto  una meta.
Eppure, con tutti i suoi limiti, specie riguardo alla originalità  della dottrina, alla chiarezza e alla fondatezza in campo esegetico,   all’equilibrio della composizione, alla validità di talune argomen
tazioni,  /'Exameron resta, almeno in molte sue parti, un libro af  fascinante perché nato, prim a ancora che dall’intelligenza e dalla   cultura, da una vivissima fede, da un’anima ardente, da un cuore   innamorato dello splendore dell’universo quale riflesso della sa
 pienza e della bontà di Dio.
INTRODUZIONE 19
 Non esistono problemi sull’autenticità  deZZ'Exameron.  Basterebbe a garantirla la sola testiìnonianza di S. Girolamo sopra ri  portata. È significativa, inoltre, la probabile imitazione di Clau diano nel  De raptu Proserpinae (III, 263-8 =  Exam., VI, 4, 21)  composto tra il 395 e il  597 data che, in un certo senso, segna  l’inizio della  «  fortuna » dell’opera attraverso i secoli
Converrà' piutto sto spendere qualche parola sulla grafia del  titolo che, derivando dal greco  'Εξαμερον, dovrebbe essere rego larmente  Hexaemeron.  In realtà, presso i vari autori, questo nome 
viene scritto in forme diverse che ho scrupolosamente conservate
Op. cit.,  p. 64. 3* Op. cit.,  l.c.  s·» III, 11. 48. 38 III, 11,49 - 12,52. 3» V, 5,4 - 6,17. « V, 7, 18-20.
SCHENKL, op. cit.,  p . XVIII. “ S c h a n z -H o s i u s , IV, 2, p . 24. “ P.es., Isidoro di Siviglia (m. 636) nel De natura rerum   usa largamente 
VExameron,  spesso anche citandone l’autore.
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nelle relative citazioni Lo Schenk l ” ci avverte che tutti i codici  ambrosiani usano la forma  Exameron, sicché, anche tenuto  con· to della varietà delle grafie attestate, sebbene la conoscenza del  greco da parte di Ambrogio lasci adito a qualche perplessità sul l’esattezza di tale trascrizione latina, preferisco conservare la for ma ormai generalmente accolta.
 I l testo riprodotto è quello curato da C. Schenkl per il  Cor pus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum di Vienna (1897, ri·  stampa 1962), con qualche lievissimo ritocco nella punteggiatura   e qualche mutamento ortografico*^. Di tali mutamenti si fa men- 
 zione a piè di pagina.  Riguardo ai criteri seguiti nella traduzione, rinvio a quanto  
ho detto  ne/rintroduzione al  De officiis. Va rilevato però che da 
un punto di vista letterario  Z'Exameron  presenta uno stile più co lorito, più vario e vivace che mi sono sforzato di riprodurre, pur   nella fedeltà al testo latino.
20 INTRODUZIONE
** Hexaemeron, Exaemeron.  Il Faller (CSEL, LXXXII, pars X. Epist. XXIX,  p. 195), scrive lecto   ΕΞΑΗΜΕΡΩ.
^ Op. cit.,  p. XII. Ho preferito scrivere Arrins, Arrianus,  grafia largamente diffusa e 
attestata concordemente in codici del sec. V (F a l l e r , CSEL, LXXVIII, p. 50*). Inoltre ho mutato l’ortografia in pochissimi casi nei quali essa risultava  
contraddittoria senza che i codici ne dessero, a mio parere, sufficiente giustificazione. Su taluni'limiti dell'edizione dello Schenkl, vedi M. Fhwari, « Recensiones  » 
milanesi di opere di S. Ambrogio,  in « Ambrosius episcopus », I, p. 63.
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Per una bibliografia completa, vedi specialmente le opere del Pépin e del Coppa e il più recente volume del Madec. Su questioni specifiche
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vedi « Ambrosius episcopus », Atti del Congresso intemazionale di studi  ambrosiani, precedentemente citato.
Riguarda solo indirettamente VExameron l’opera di H. S a v o n , Saint    Ambroise devant Vexégèse de Philon te Juif, 2 voli. Études augustiniennes,  Paris 1977, che ho potuto consultare soltanto a lavoro ultimato.
22 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Esprimo un doveroso ringraziamento a Sua Ecc. Mons. Giacomo   Biffi e al prof, don Inos Biffi, che, con i loro suggerimenti, hanno  contribuito a rendere più rispondente agli scopi proposti questo lavoro.
 Don Inos Biffi è, inoltre, l’autore delle note più strettamente teo logiche del commento, contrassegnate dalla sigla I.B.
Un vivo ringraziamento anche alla prof.ssa Mirella Ferrari, che ha  rivisto con vigile cura le bozze del testo latino.
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DIES PRIMVS
SERMO I
Caput I
1. Tantumne opinionis adsumpsisse homines, ut aliqui eo rum tria principia constituerent omnium, deum et exemplar et materiam, sicut Plato discipulique eius, et ea incorrupta et in creata ac sine initio esse adseuerarent deumque non tamquam crcatorcm materiae, sed tamquam artificem ad exemplar, hoc est ideam intendentem fecisse mundum de materia, quam uocant Ολην, quae gignendi causas rebus omnibus dedisse adseratur, ip sum quoque mundum incorruptum nec creatum aut factum aesti
marent, alii quoque, ut Aristoteles cum suis disputandum putauit, duo principia ponerent, materiam et speciem, et tertium cum his, quod operatorium dicitur, cui subpeteret competenter efficere quod adoriendum putasset.
2. Quid igitur tam inconueniens quam ut aeternitatem operis cum dei omnipotentis coniungerent aeternitate uel ipsum opus deum esse dicerent, ut caelum et terram et mare diuinis proseque rentur honoribus? Ex quo factum est ut partes mundi deos esse
credcrcnt, quamuis de ipso mundo non mediocris inter eos quaestio sit. 3. Nam Pythagoras unum mundum adserit, alii innumerabi
les dicunt esse mundos, ut scribit Democritus, cui plurimum de physicis auctoritatis uetustas detulit, ipsumque mundum semper
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PRIMO GIORNO
I SERMONE
Capitolo 1
1. Gli uomini in verità hanno concepito* una cosi grande opinione di sé, che alcuni di loro, come Platone * e i suoi discepoli, fissano tre principi di tutto ciò che esiste: Dio, il modello esem plare e la materia. Essi affermano che tali principi sono incorrotti, increati e senza un inizio e che Dio, non come creatore della ma teria, ma come artefice che riproduce un modello, ispirandosi cioè all’idea, formò il mondo della materia, che chiamano λη la quale ha dato origine a tutte le cose; perfino lo stesso mondo ri tennero incorrotto, non creato né fatto. Anche altri, come sostenne Aristotele *  con i suoi discepoli, posero due principi, la materia e la forma, e con questo un terzo chiamato attivo®, in grado di attuare convenientemente quello cui ritenesse di porre mano.
2. Che c’è dunque di tanto sconveniente quanto l'aver essi congiunto l’eternità dell’opera con quella di Dio onnipotente o l’aver chiamato Dio l’opera stessa, cosi da tributare onori divini al cielo, alla terra, al mare? Da tali premesse derivò la loro con
vinzione che parti del mondo fossero dèi, pur essendoci fra lorouna controversia non trascurabile sul mondo stesso, 3. Pitagora afferma che esiste un solo mondo, altri dicono
che ce ne sono innumerevoli, come scrive Democrito cui gli anti chi attribuirono grandissima autorità nel campo delle ricerche
* Infinito esclamativo; cf. Hor., Sat.,  9, 72-3; Huncine solem   / tam ni-  grum surrexe mihi! 
2 Cf. HiPP. , Philosophumena,  19, 1, in D i e l s , Doxographi Graeci,  p. 567,  7, che deve ritenersi la fonte principale ed immediata di questo passo. Sulla  questione delle fonti usate da S. Ambrogio per il primo capitolo dell’B^a-  meron,  vedi P é p i n , op. cit.,  527-533; cf. M a d e c , Saint Ambroise et la philo   sophie,  Études augustiniennes, Paris 1974, p. 47.
^ «"λ η : termine usato in filosofia per la prima volta da Aristotele ad  indicare la « materia » in contrapposizione alla « forma » (Met.,  6, 10, 4). E  adoperato anche da Ippolito nel passo sopra citato.
< Vedi sopra n. 3. Secondo il P é p i n , op. cit.,  pp. 513-515, tutto il capitolo  risentirebbe della dottrina del giovane Aristotele, esposta nel De philosophia;  vedi anche M a d e c , op. cit., p. 134.
® L’aggettivo operatorius   rende il ποιητικς di Filone; vedi P é p i n , op. cit.,  pp. 338-339.
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fuisse et fore Aristoteles usurpat dicere; contra autem Plato non semper fuisse et semper fore praesumit adstruere, plurimi uero non fuisse semper nec semper fore scriptis suis testificantur.
2 6 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 1, 3-4 - C. 2 , 5
4. Inter has dissensiones eorum quae potest ueri esse aesti matio, cum alii mundum ipsum deum esse dicant, quod ei mens diuina ut putant inesse uideatur, alii partes eius, alii utrumque? in quo nec quae figura sit deorum nec qui numerus nec qui locus aut uita possit aut cura conprehendi, siquidem mundi aestima tione uolubilem rutundum ardentem quibusdam incitatum moti bus sine sensu deum conueniat intellegi, qui alieno, non suo motu feratur.
Caput II
5. Vnde diuino spiritu praeuidens sanctus Moyses hos homi
num errores fore et iam forte coepisse in exordio sermonis sui sic ait:  In principio fecit deus caelum et terram^,  initium rerum, auctorem mundi, creationem materiae conprehendens, ut deum cognosceres ante initium mundi esse uel ipsum esse initium uni- uersorum, sicut in euangelio dei filius dicentibus; tu quis es?  re spondit;  Initium quod et loquor uobis   et ipsum dedisse gignendi rebus initium et ipsum esse creatorem mundi, non idea quadam duce imitatorem materiae, ex qua non ad arbitrium suum, sed ad speciem propositam sua opera conformaret. Pulchre quoque ait;
 In principio fecit ,  ut inconprehensibilem celeritatem operis expri-
» Gen 1, 1.  *> Io 8, 25.
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naturali Aristotele suole dire che Io stesso mondo è sempre esi stito e sempre esisterà’ . Al contrario, Platone osa affermare che esso non è esistito sempre ed esisterà sempre®, moltissimi invece asseriscono nei loro scritti che non è esistito sempre né sempre esisterà.
4. In tale contrasto di opinioni quale può essere la valuta zione della verità, dal momento che alcuni dicono dio lo stesso mondo, poiché sembra a loro giudizio che vi sia insita un’intelli genza divina, altri parti di esso, altri l’xma e l’altra cosa? In que sta situazione non si potrebbe comprendere né quale sia l'aspetto degli dèi né quale il loro numero né quale la loro residenza o la loro vita o di che si preoccupino, poiché, secondo tale visione del mondo, bisognerebbe concepire im dio rotante, sferico®, infocato,
mosso da determinati impulsi, privo di sensibilità, trasportato dauna forza estranea, non da una forza sua propria.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 27
Capitolo 2
5. Perciò, prevedendo per ispirazione divina che sarebbero
sorti questi errori tra gli uomini e che forse avevano già cominciato a diffondersi, il santo Mosè all’inizio della sua opera cosi dice:  In principio Iddio creò il cielo e la terra,  indicando nello stesso tempo l’inizio delle cose, l’autore del mondo e la creazione della materia, affinché tu apprendessi che Dio esiste prima del l'inizio del mondo, che egli è l'origine di tutte le cose (cosi il Figlio del Vangelo, a coloro che gli chiedevano: « Tu chi sei? », rispose: « Sono l'origine che anche parlo a voi » ), che egli ha inserito nelle cose il principio della generazione ed è il creatore
del mondo, non già l'elaboratore della materia ad imitazione di tuia determinata idea, secondo la quale dare foriria alle proprie opere non a proprio arbitrio, ma conforme a un modello proposto *. Ben disse anche:  In princip io creò, per esprimere l'inconcepibile rapi-
® Cf. Cic., Acad.,  II, 17, 55: Dein confugis ad physicos   (i filosofi natura listi), eos qui maxime in Academia irridentur, a quibus ne tu quidem iam   te abstinebis, et ais Democritum dicere innumerabiles esse mundos;  vedi an che De nat. deor.,  I, 45, 120. Cf. Hipp., Philos., 13, 2, in Diels,  Do x . Gr., p. 565, 9.
’ H ipp . , Philos.,  20, 6, in D i e l s ,  Do x . Gr.,  p. 574, 34; cf. Philo,  De aet.   mundi,  3.
* Forse si allude a P l a t . , Tim.,  27d-29b, testo che S. Ambrogio doveva  conoscere nella traduzione di Cicerone ora perduta ( S c h e n k l , op. cit., p. XVI).
» Cf. Cic., De nat. deor.,  II, 17, 46; Epicurus... dicat se non posse in~  tellegere qualis sit uolubilis et rotundus deus;  I, 10, 24: Quae uero uita tri-  buitur isti rotundo deo? 
1 II testo greco ha: Τν ρχν δτι κα λαλ μν da tradursi; « Proprio  quello che vi dico » (Rossano). Τν ρχν è un accusativo avverbiale. S. 
Ambrogio intende in riferimento al Verbo di Dio, seguendo Or i c e n e , Com- mento a Giovanni   I-II (cfr. trad. e note di E. Corsini, Torino 1968). ^ Confuta la ben nota teoria platonica esposta nel Timeo: vedi n. 8 del 
capitolo precedente.
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28 EXAMERON, DIES I, SER. I, C. 2, 5-7
meret, cum effectum prius operationis inpletae quam indicium coeptae explicauisset.
6. Quis hoc dicat aduertere debemus. Moyses utique ille eru ditus in omni sapientia Aegyptiorum, quem de flumine collectum filia Pharao ut filium dilexit et subsidiis regalibus fultum omni bus saecularis prudentiae disciplinis informari atque instrui desi- derauit. Qui cum de aqua nomen acceperit', non putauit tamen dicendum quod ex aqua constarent omnia, ut Thales dicit, et cum esset in aula educatus regia, maluit tamen pro amore iustitiae subire exilium uoluntariumquam in tyrannidis fastigio peccati perfunctionem deliciis adquirere. Denique priusquam ad populi liberandi munus uocaretur, naturali aequitatis studio prouocatus accipientem iniuriam de popularibus suis ultus inuidiae sese dedit
uoluptatique eripuit atque omnis regiae domus declinans tumultusin secretum Aethiopiae se contulit ibique a ceteris negotiis remo tus totum diuinae cognitioni animum intendit, ut gloriam dei ui- deret faciem ad faciem'. Cui testificatur scriptura quia nemo   surrexit amplius propheta in Istrahel sicut Moyses, qui sciuit do minum faciem ad faciem  non in uisione neque in somnio, sed os ad os cum deo summo locutus, neque in specie neque per ae nigmata, sed clara atque perspicua praesentiae diuinae dignatione donatus ».
7. Is itaque [Moyses] aperuit os suum et effudit quae in eo dominus loquebatur secundum quod ei dixera;t, cum eum ad Pha rao regem dirigeret: Vade et ego aperiam os tuum et instruam te   quid debeas loqui **. Etenim si quod de populo dimittendo diceret a deo acceperat, quanto magis quod de caelo loqueretur. Denique
non in persuasione humanae sapientiae nec in philosophiae simulatoriis disputationibus, sed in ostensione spiritus et uirtutis tam quam testis diuini operis ausus est dicere:  In principio fecit deus  caelum et terram.  Non ille, ut atomorum concursione mundus coiret, serum atque otiosum expectauit negotium neque discipu lum quendam materiae, quam contemplando mundum posset ef-
' Ex 2, 5 et 10.  à   Ex 2, 15.
' Ex 2, 11 ss.  f Deut 34, 10. • Ex 12, 6-8.  h Ex 4, 12.
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dità dell'azione, indicando il risultato dell’azione compiuta prima di accennare al suo inizio.
6. Dobbiamo fare attenzione a chi dice questo. È quel fa moso Mosè, colto in ogni campo del sapere degli Egiziani, che la figlia del Faraone aveva raccolto dal fiume e amato come proprio figlio e, procuratogli il sostegno della protezione regale, aveva voluto che fosse adeguatamente istruito in tutte le discipline della scienza profana®. Egli, pur avendo derivato il suo nome dall’ac qua *,  non ritenne di dover dire che tutte le cose erano costituite d’acqua, come afferma Talete', e, pur essendo stato educato nel palazzo reale, preferì per amore della giustizia sopportare un vo lontario esilio piuttosto che al vertice del potere, in mezzo ai pia ceri, esporsi a cadere in peccato Tant’è vero che, prima di essere
chiamato al compito di liberare il popolo, avendo vendicato per unnaturale sentimento di giustizia un suo compatriota che subiva un torto, si espose al risentimento, rinimciò alle comodità della vita e, fuggendo l’agitazione del palazzo reale, cercò rifugio in una località appartata dell’Etiopia e là, lontano da tutte le altre occupazioni, rivolse l’animo alla conoscenza di Dio, cosi che ne vide la gloria a faccia a faccia’ . A lui rende testimonianza la Scrit tura dicendo che non sorse mai più in Israele un profeta come Mpsè che conobbe il Signore a faccia a faccia, non in visione o in
sogno, ma parlando con Dio a tu per tu, avendo ricevuto il pri vilegio che gli fosse rivelata chiaramente, non in immagine o in forma oscura, la presenza divina.
7. Egli dunque apri la bocca e annunciò quello che per mez zo suo il Signore diceva, in conformità a quanto gli aveva detto mandandolo al re Faraone: Va’, ed io aprirò la tua bocca e ti in segnerò ciò che devi dire. Se aveva appreso da Dio ciò che doveva dire sulla liberazione del popolo, quanto più avrà appreso da lui
ciò che avrebbe detto del cielo! Cosi, non già fidando nell’umanasapienza né in fallaci dispute filosofiche, ma nella rivelazione del lo spirito e della potenza', come testimone dell’opera divina osò affermare:  In principio Iddio creò il cielo e la terra.  Egli non attese che il mondo si formasse per l’incontro di atomi con un procedimento lento e irresponsabile® né ritenne di dover presen tare Dio come un discepolo della materia in grado di plasmare il
’ Bas., Hexaem.,  5 A (2B ): Μωσς κενος ... δν εσεποισατο μν ·&υγ- τηρ του Φαρα,^ ξθρεφε δ βασιλικς, τος σοφος τν ΑΙγυτττΙων διδασκλους  ατφ της παιδεσεως πιστσασα.
^ P h i l o , De uita Moys.,  I, 4, 17: εΖτα δδωσιν βνομα θεμνη Μωυσν τμως  δι τ κ το δατος ατν νελσθαι · τ γρ δωρ μω νομζουσιν ΑΙγττηοι.
5 Cf., ρ. es., Cic., De nat. deor.,  I, 10, 25; Acad.,  II, 37, 118. ® Bas., Hexaem.,  5 AB (2 BC): *0ς τν δγκον τς τυραννδος μισσας κα  
πρς τ ταπεινν των μοφλων ναδραμν, ελετο συγκακουχεσθι τ> λαφ το  θεο πρσκαιρον χειν μαρτας πλαυσιν.
’ B a s ., Hexaem.,  5 C (2 D): Οτος τοΙνυν 6 της ατοπροσπου θας το  Θεο ξ Γσου τος γγλοις ξιωθες ...
 _ ® Bas., Hexaem.,  5 C (2 D): κοσωμεν τοΙνυν λη&εας βημτων οκ ν τυει-  θος σοφας νθρωπνης, λλ’ ν διδακτος τυνεματος λαληθεσιν.
® Cf. Ciò., De fin.,  I, 6, 17, dove si espongono le dottrine atomiche di  Democrito.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 29
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fingere, sed auctorem deum exprimendum putauit. Aduertit enim uir plenus prudentiae quod uisibilium atque inuisiblKum substan tiam et causas rerum mens sola diuina contineat, non ut philoso phi disputant ualidiorem atomorum conplexionem perseuerantiae
iugis praestare causam: iudicauit quod telam araneae texerent quisic minuta et insubstantiua principia caelo ac terris darent, quae ut fortuito coniungerentur ita fortuito ac temere dissoluerentur, nisi in sui gubernatoris diuina uirtute constarent. Nec inmerito gubernatorem nesciunt qui non nouerunt deum, per quem omnia reguntur et gubernantur. Sequamur ergo eum qui et auctoriem nouit et gubernatorem nec uanis abducamur opinionibus.
3 0 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 2 , 7 - C. 3 , 8
Caput III
8.  In principio   inquit. Quam bonus ordo, ut illud primum adsereret quod negare consuerunt et cognoscerent principium esse
mundi, ne sine principio mundum esse homines arbitrentur, Vnde et Dauid, cum de caelo et terra et mari loqueretur, ait; Omnia in  sapientia fec is ti ’'. Dedit ergo principium mundo, dedit etiam crea turae infirmitatem, ne δ,ναρχον, ne increatum et diuinae consortem substantiae crederemus. Et pulchre addidit  fecit,  ne mora in fa ciendo fuisse aestimaretur, ut uel sic intellegerent homines quam incomparabilis operator esset, qui tantum opus breui exiguoque momento suae operationis absolueret, ut uoluntatis effectus sen sum temporis praeueniret. Nemo operantem uidit, sed agnouit ope ratum. Vbi igitur mora, cum legas: Quia ipse dixit et facta sunt,  ipse mandauit et creata sunt '>? Nec artis igitur usum nec uirtutis expedit qui momento suae uoluntatis maiestatem tantae opera tionis in^euit, ut ea quae non erant esse faceret tam uelociter, ut neque uoluntas operationi praecurreret nec operatio uoluntati.
• Ps 103, 24.  » Ps 32, 9.
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mondo contemplandola, ma come c rea to reQ u e ll’uomo pieno di saggezza comprese che solo una mente divina contiene la so stanza e la causa delle cose visibili e invisibili e non già, come ritengono i filosofi, che una più resistente connessione di atomi
costituisca la causa di una perpetua durata. Giudicò tessitori d’unaragnatela coloro che davano principi cosi meschini e inconsistenti al cielo e alla terra i quali, come a caso si riuniscono, cosi per puro caso si dissolverebbero se non fossero tenuti insieme dalla potenza divina del loro regolatore. E ben a ragione ignorano un regolatore coloro che non conoscono Dio, per opera del quale tutte le cose sono rette e governate. Seguiamo dunque colui che conosce sia il creatore sia il regolatore, senza lasciarci sviare da opinioni infondate.
I SE I GIORNI DELLA CREAZIONE 31
Capitolo 3
8.  In principio,  disse. Quale ordine esemplare! Egli afferma per prima cosa ciò che solitamente si nega e fa conoscere che il
mondo ha un principio perché gli uomini non pensino che il mon do non abbia un principio *. Perciò anche Davide, parlando del cielo, della terra e del mare, dice: Tutto hai fatto con sapienza.  Ha assegnato dunque un principio al mondo, ha attribuito anche la debolezza alla creatura perché non credessimo il mondo senza ordine, increato e partecipe della natura divina. E opportunamen te aggiunse creò,  affinché non si pensasse che c’era stato un in dugio nella creazione e cosi gli uomini comprendessero quale ar tefice senza pari sia colui che ha compiuto un'opera tanto gran
diosa in un breve, fuggevole istante della sua operazione, cosi che l’effetto della sua volontà prevenne la percezione del tempo. Nes suno lo vide agire, ma si videro i risultati della sua azione. Dove vi può essere indugio quando tu leggi: Egli parlò e le cose furono  
 fatte; ordinò e furono create? Non ricorse all’esperienza d’un’arte o d’un’abilità colui il quale, con un atto fulmineo del suo volere, compì un’opera tanto grandiosa da far esistere ciò che non esi steva cosi rapidamente, che la volontà non prevenne l’azione né
l’azione la volontà.
Vedi nota 2. “ Bas., Hexaem.,  8 B (3 A): ντως toròv ρχνης φανουσιν ο τατα 
γρφοντες, ót οδτως λετττς κα νυττοσττους ρχς ορανο κα γης κα θαλτ-  ιης ποτιθμενοι.
* Bas., Hexaem.,  8 BC (3 C): "Οττερ iva μ πθωμεν μες, δ τν κοσμο- ποιαν συγγρφων εθς ν τος πρτοις ^μασι τφ νματι το Θεο τν δι νοιαν μν κατεφτισεν εΙπν · ν ρχη ποησεν Θες. ΤΙ καλ τξις ;  Αρχν πρτον π^κεν, Ινα μ ναρχαν ατν οΙηθσΙ τινες.
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9. Miraris opus, quaeris operatorem, quis principium tanto operi dederit, quis tam cito fecerit; subiecit statim dicens quia deus fecit caelum et terram. Audisti auctorem, dubitare non debes. Hic est, in quo benedixit Melchisedech Abraham patrem multarum gentium dicens:  Benedic tus Abraham deo summo, qui fecit caelum  et terram <=. Et credidit Abraham et ait; Extendo manum meam ad   deum summum, qui fecit caelum et terram'^.  Vides quia hoc non homo inuenit, sed deus adnuntiauit. Deus est enim Melchisedech, qui est rex pacis et iustitiae nec initium dierum nec finem ha bens Non mirum ergo si deus, qui est sine initio, initium omni bus dedit, ut quae non erant esse inciperent. Non mirum si deus, qui omnia uirtute sua continet et inconprehensibili maiestate uni- uersa conplectitur, fecit haec quae uidentur, cum etiam illa fecerit
quae non uidentur. Inuisibilia autem his quae uidentur potioraesse quis neget, cum ea quae uidentur temporalia sint, aeterna autem quae non uidentur? Quis dubitet quod deus haec fecerit, qui per prophetam locutus ait; Quis mensus est manu aquam et   caelum palmo et uniuersam terram clausa manu? Quis statuit mon tes in libra et rupes in statera et nemora in iugo? Quis cognouit   sensum domini aut quis consiliarius ei fuit uel quis instruxit   eum?*.  De quo etiam alibi legimus quia tenet circuifum terrae et   terram uelut nihilum fecit E t  Hieremias ait;  Dii qui non fecerunt   caelum et terram peribunt a terra et desub caelo isto. Dominus   qui fecit terram in uirtute sua et correxit orbem in sapientia sua   et in sua prudentia extendit caelum et multitudinem aquae in   caelo  Et addidit;  Infatuatus est homo ab scientia sua  Qui enim corruptibilia mundi sequitur et ex his putat quod diuinae possit naturae conprehendere ueritatem quomodo non infatuatur uer- sutae disputationis astutia?
32 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 3 , 9-1 0
10. Cum ergo tot oracula audias, quibus testificatur deus quod fecerit mundum, noli eum sine principio esse credere, quia quasi sphaera mundus esse dicatur, ut principium eius nullum uideatur extare. Et cum intonat, quasi in circuitu omnia com-
mouentur, ut imde incipiat, ubi desinat non facile conprehendas, quia circuitus principium sensu colligere inpossibile habetur. Ne-
c Gen 14, 19.  d Gen 14, 22. « Hebr 7, 2-3. 
f Is 40, 12-13.* Is 40. 22-23. «> ler 10, 11-13.  ‘ ler 10, 14.
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9. Ammiri l’opera, chiedi chi ne sia l'autore, chi abbia dato principio a tanta impresa, chi l'abbia compiuta con tanta rapi dità; perciò Mosè aggiunse subito:  Dio creò il cielo e la terra.  Hai sentito chi ne è l'autore, non devi quindi nutrire dubbi. Egli è colui nel nome del quale Melchisedec benedisse Abramo,  padre  di molti popoli, dicendo: Sia benedetto Àbramo dal sommo Iddio  che ha creato il cielo e la terra. E Abramo credette e disse:  Levo  la mia mano verso il sommo Iddio che ha creato il cielo e la terra.  Vedi che questa verità non fu trovata dall'uomo, ma rivelata da Dio, È il Dio di Melchisedec, che è re di pace e di giustizia, senza principio né fine di giorni. Non è meraviglia, dunque, se Dio, che non ha principio, ha dato principio a tutte le cose, di modo che ciò che non esisteva cominciasse ad esistere. Non desta meravi
glia se Dio, che tutto comprende nella sua potenza ed abbraccial’universo nella sua maestà senza limite, ha creato le cose che si vedono, dal momento che ha creato anche quelle che non si ve dono. E chi negherebbe che le cose invisibili siano superiori· alle visibili, dal momento che ciò che si vede è temporaneo, mentre è eterno ciò che non si vede? Chi potrebbe dubitare che a creare tutto ciò sia stato Dio che dice per bocca del profeta: Chi ha mi surato con la mano l’acqua e il cielo col palmo e tutta la terra   col pugno? Chi ha collocato i monti sulla bilancia e le rupi sulla 
stadera e ha pesato i boschi? Chi conobbe la mente del Signoreo chi gli fu consigliere e maestro?  Di lui leggiamo anche in un altro passo che tiene il globo della terra e questa ha creato come  cosa da nulla. E Geremia dice: Gli dèi che non hanno fatto il cielo  e la terra scotnpariranno dalla terra e dallo spazio sotto la volta   del cielo. E il Signore che ha fatto la terra con la sua potenza e  ha sostenuto il globo terrestre con la sua sapienza e con la sua  
 prudenza ha steso il cielo e la massa delle acque nel cielo.  E ag giunse:  L'uomo è stato reso sciocco dalla sua scienza.  Chi infatti segue ciò che nel mondo è corruttibile e pensa di poter compren dere su tale fondamento la verità della natura divina, come può non smarrire la ragione nelle sottigliezze di una discussione ca villosa?
10. Poiché dunque senti tante affermazioni ispirate che at testano Dio creatore dell’universo, non voler credere che questo sia senza un principio, perché lo si dice simile ad una sfera, sic ché sembra che in esso non esista principio alcuno*. E quando
tuona, tutto si mette come a girare, sicché non potresti comprendere facilmente dove cominci e dove sia il suo termine, perché si ritiene impossibile percepire con i sensi l’inizio d’un movimento circolare*. Infatti non si può trovare il principio di una sfera o dove cominci il globo lunare o dove termini quando
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 33
2 B a s ., Hexaem., 9 AB (3 E, 4 AB). ’ Circuitus  propriamente significa Γ« andare in giro », il « girare attorno »; 
cf. Cic., De nat. deor.,  II, 19, 49: circuitus solis orbium.
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que enim sphaerae potes initium repperire uel unde coeperit glo bus lunae uel ubi desinat menstrua lunae defectione. Neque uero si ipse non conprehendas, idcirco non coepit aut nequaquam de sinet. Si ÌF>se circuitum uel atramento uel graphio ducas uel centro exprimas, unde coeperis aut ibi desieris interuallo interposito non facile uel oculis colliges uel mente repetes: et tamen et coepisse et desiuisse te ipse tibi testis es. Nam etsi sensum subterfugit, ueritatem non subruit. Quae autem initium habent et finem habent et quibus finis datur initium datum constat. Finem autem mundi futurum ipse saluator docet in euangelio suo dicens: Praeterit   enim figura huius mundi   et caelum et terra praete ribun t”'   et infra: Ecce ego uobiscum sum usque ad consumm ationem mund i ".
11. Quomodo ergo coaeternum deo mundum adserunt et crea tori omnium sociant atque aequalem esse disputant creaturam corpusque materiale mundi inuisibili illi atque inaccessibili na turae diuinae coniungendum putant, cum praesertim secundum suam sententiam non possint negare quoniam cuius partes corrup tioni e t. mutabilitati subiacent, huius necesse est uniuersitatem isdem passionibus quibus propriae portiones eius sunt obnoxiae subiacere?
3 4 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 3 , 10 -11 - C. 4 , 12
Caput IV
12. Principium igitur esse docet qui dicit:  In principio fecit   deus caelum et terram.  Principium aut ad tempus refertur aut ad numerum aut ad' fundamentum, quomodo in aedificanda domo initium fundamentum est. Principium quoque et conuersionis et deprauationis dici posse scripturarum cognoscimus auctoritate*. Est et principium artis ars ipsa, ex qua. artificum diuersorum dein ceps coepit operatio. Est etiam principium bonorum operum finis optimus, ut misericordiae principium est deo placere quod facias; etenim ad conferendum hominibus subsidium maxime prouocamur. Est etiam uirtus diuina, quae hac exprimitur adpellatione. Ad tem pus refertur, si uelis dicere in quo tempore deus fecit caelum et
1 1 Cor 7, 31.  m Mt 24, 35.  n Mt 28, 20.
a Prou 16, 5; Sap 14, 12.
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terram, id est in exordio mundi, quando fieri coepit, sicut ait sa pientia; Cum pararet caelos, cum illo eram^. Ad numerum autem si referamus, ita conuenit, ut accipias: inprimis fecit caelum et terram, deinde colles, regiones, fines inhabitabiles uel sic; ante
reliquas uisibiles creaturas, dièm, noctem, ligna fructifera, animantium genera diuersa, caelum et terram fecit. Si uero ad fundamen tum referas, principium terrae fundamentum esse legisti dicente sapientia: Quando fortia faciebat fundamenta terrae, eram penes   illum disponens^.  Est etiam bonae principium disciplinae, sicut est illud:  Init ium sapientiae timor domini^,  quoniam qui timet dominum declinat errorem et ad uirtutis semitam uias suas diri git. Nisi enim quis timuerit deum, non potest renuntiare peccato.
3 6 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 4 , 12 -13
13. Quod aeque etiam de illo possumus accipere;  Mensis hic  initium mensuum erit uobis^,  quamuis et de tempore istud acci piatur. In hoc ergo principio mensuum caelum et terram fecit, quod inde mundi capi oportebat exordium. Vbi erat oportuna omnibus uerna temperies. Vnde et annus mundi imaginem nascen tis expressit, ut post hibernas glacies atque hiemales caligines se renior solito uemi temporis splendor eluceat. Dedit ergo formam futuris annorum curriculis mundi primus exortus, ut ea lege an
norum uices surgerent atque initio cuiusque anni produceret terra noua seminum germina, quo primum dominus deus dixerat: Ger minet terra herbam faeni seminans semen secundum genus et se cundum similitudinem et lignum fructiferum faciens fructum  '. Et statim produxit terra herbam faeni et lignum fructiferum, in quo nobis et moderationis perpetuae diuina prouidentia et cele ritas terrae germinantis ad aestimationem uernae suffragatur aetatis. Nam etsi quocumque tempore et deo iubere promptum
fuit et terrenae oboedire naturae, ut inter hibernas glacies ethiemales pruinas caelestis imperii fotu germinans terra fetum produceret, non erat tamen dispositionis aeternae rigido stricta gelu in uirides subito fructus laxare arua atque horrentibus prui nis florulenta miscere. Ergo ut ostenderet scriptura ueris tempo ra in constitutione mundi, ait;  Mensis hic uobis in itium mensuum,
b Prou 8, 27.
= Prou 8, 29-30.Λ Ps   110, 10; Prou 1, 7.  ' Ex 12. 2. ‘ Gen 1, 11.
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Dio ha creato il cielo e la terra, cioè airinizio del mondo, quando questo cominciò ad essere formato, come dice la Sapienza: Quan do predisponeva i cieli, io ero con lui.  Se lo riferiamo invece al numero, conviene che tu intenda cosi: anzitutto creò il cielo e la terra, poi i monti, le pianure, i territori abitabili oppure cosi; prima delle altre creature visibili, cioè il giorno, la notte, gli al beri da frutto, le diverse specie dì animali, creò il cielo e la terra. Se poi lo riferisci al fondamento, hai letto nella Scrittura che il principio è il fondamento della terra, perché la Sapienza dice: Quando rendeva saldi i fondamenti della terra, io ero accanto a  lui disponendo.  C'è anche il principio della retta educazione co- m'è quello di cui si dice:  Inizio della sapienza è il timore del Si gnore,  poiché chi teme il Signore evita Terrore e cammina sulla
via della virtù. Se non si teme Dio, non si può rinunciare al peccato.13. Possiamo interpretare nello stesso modo anche questo passo: Questo mese sarà per voi il principio dei mesi,  quantun que esso si intenda detto del tempo, perché si riferiva ^la Pasqua del Signore celebrata airinizio della primavera.. Dunque in tale principio dei mesi Dio creò il cielo e la terra perché era oppor tuno che il mondo prendesse inizio quando il clima primaverile era favorevole a tutte le creature. Anche l'anno suole riprodurre l'immagine del mondo nascente, sicché dopo i ghiacci invernali
e le nebbie della cattiva stagione, la luminosità del tempo prima verile risplende più limpida del solito^. Il primo sorgere diede la regola al corso futuro degli anni, in modo che, secondo tale legge, si susseguissero gli uni agli altri e all'inizio di ogni cinno la terra facesse nuovamente germogliare i semi, come® per la prima volta Dio aveva detto: Germogli la terrà erba da foraggio produ cendo ®semi secondo la specie e la somiglianza e alberi da frutto   che fruttifichino.  E subito la terra produsse erba da foraggio e alberi da frutto, circostanza con cui la perenne regola stabilita
dalla Provvidenza divina e la rapidità con la quale la terra ger mogliò suffragano l'ipotesi della stagione primaverile. Infatti, an che se in qualsiasi stagione sarebbe stato facile a Dio comandare e alla terra necessario obbedire cosi da produrre frutti germo gliando riscaldata dal volere celeste, pur tra i ghiacci invernali e le nevi dell'awersa stagione; tuttavia non rientrava nel disegno eter no schiudere ad un tratto in frutti verdeggianti i campi stretti nella morsa del gelo e mescolare alle brine, che fanno stecchire
3 Philo, De op. mundi,  7 (I , 5, 45; 7, 17 C); cf. Cic.; De nat. deor.,  I, 10,  24: atque terrae maximas regiones inhabitabiles atque incultas uidemus.  Si  noti però che in Cicerone l’aggettivo inhabitabilis   significa < inabitabile » come  in italiano. Non cosi in S. Ambrogio. Intendo regiones =   « pianure », in oppo sizione a colles   = < monti ».
* Cf. Vero., Georg.,  II, 336-345. 5 quo = quo ìnitio, ® I Settanta   (Gen, 1, 11) hanno: Βλοβτηστω γη βοτνην χρτου, σπβρον 
σπρμα κατ γνος κα χ(χθ* 6μοι6τητα...
Come si vede, sembra che S. Ambrogio, alterando il testo, riferisca se- minans   a terra. ’ Cf. Verg., Georg.,  Π , 317-8: Rura gelu tum claudit hiems nec semine  
iacto   / concretam patitur radicem adfigere terrae;  LUCR., IV, 652^3. Cf. an-
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 37
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 prim us est uobis in mensibus anni»,  primum mensem uernum tempus adpellans. Decebat enim principium anni principium esse generationis et ipsam generationem mollioribus auris foueri. Nc que enim possent tenera rerum exordia aut asperioris laborem tolerare frigoris aut torrentis aestus iniuriam sustinere.
3 8 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 4 , 13 -15
14. Simul illud aduertere licet, quia iure concurrit, ut eo tem pore uideatur in hanc generationem atque in hos usus ingressus tributus, quo tempore ex hac generatione in regenerationem legi timus est transitus, siquidem uerno tempore filii Istrahel Aegyp
tum reJiquerunt et per mare transierunt, baptizati in nube et inmari··, ut apostolus dixit, et eo tempore domini quodannis lesu Christi pascha celebratur, hoc est animarum transitus a uitiis ad uirtutem, a passionibus carnis ad gratiam sobrietatemque mentis, a mjilitiae nequitiaeque fermento ad ueritatem et sinceritatem. Regeneratis itaque dicitur:  Mensis hic uobis initium mensuum, pri mus est uobis in mensibus anni.  Derelinquit enim et deserit qui abluitur intellegibilem illum Pharao, principem istius mundi ‘, di cens:  Abrenuntio tibi, diabole, et operibus tuis et imperiis tuis.  Nec iam seruiet ei uel terrenis huius corporis passionibus uel de- prauatae mentis erroribus qui demersa omni malitia uice plumbi bonis operibus dextra laeuaque munitus inoffenso saeculi huius freta studet uestigio transire. In libro quoque, qui scribitur de Niuneris, ait scritpura:  Initium nationum Amalech et semen eius 
 peribit^.  Et utique non omnium nationum primus est Amalech, sed quia per interpretationem Amalech rex accipitur iniquorum, iniqui autem gentes sunt, uide ne principem huius mundi accipere
debeamus, qui imperat nationibus uoluntatem suam facientibus,cuius semen peribit™. Semen autem eius impii et infideles sunt, quibus ait dominus: Vos ex patre diabolo estis ".
15. Est etiam initium mysticum, ut illud est: Ergo sum pri mus et nouissimus, initium et finis °  et illud in euangelio praeci pue, quod interrogatus dominus quis esset respondit:  In itium quod 
« Ex 12, 2.  h 1 Cor 10, 1-2. ‘ Io 14, 30. I Num 24, 20. » Ps 36, 28. > Io 8, 44.
» Apoc 1, 17; 21, 6.
14, 24. uox Schenkl manifesto mendo typ.
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le loro distese fiorite. La Scrittura, per indicare che era prima vera al momento della creazione del mondo, dice: Questo mese è 
 per voi il princip io dei mesi, è per voi il primo tra i mesi del l'anno,  chiamando cioè « primo mese » il tempo primaverile. Era conveniente che il principio dell'anno segnasse l'inizio della ripro duzione e che la riproduzione stessa fosse favorita da tm clima più mite. Infatti i geirmi ancor teneri non avrebbero potuto sop portare o il tormento d’un freddo troppo rigido o la violenza d’im calore infocato ®.
14. Nello stesso tempo è lecito rilevare, perché viene a pro posito, che si diede inizio a tale generazione e a tali pratiche nel tempo in cui è prescritto dalla legge il passaggio dalla generazione alla rigenerazione. Fu infatti di primavera che i figli d'Israele lascia
rono l'Egitto e passarono attraverso il mare, battezzati nella nube enel mare, come disse l'Apostolo, e in quel tempo ogni anno si celebra la Pasqua del Signore Gesù Cristo, cioè il passaggio delle anime dai vizi alle virtù, dalle passioni della carne alla grazia e alla sobrietà dello spirito, dal lievito della materia e della mal vagità alla verità e alla sincerità. Perciò a coloro che sono stati rigenerati ®si dice: Questo mese per voi è il principio dei mesi, 
 per voi è il primo fra i mesi dell’anno. Chi riceve il lavacro batte simale abbandona definitivamente il principe di questo mondo,
di cui è simbolo il Faraone dicendo: « Rinuncio a te, o diavolo, e alle tue opere e al tuo dominio ». Ormai non servirà più a lui e alle passioni terrene di questo nostro corpo o agli errori d’un'in- telligenza corrotta, perché, affondata ogni malizia a guisa di piom bo, difeso sia a destra sia a sinistra dalle buone opere, egli si sforza di attraversare senza danno le onde tempestose di questo mondo. Anche nel libro intitolato  Numeri dice la Scrittura:  Amalec  è il principio delle genti, ma il suo seme perirà,  E certamente Amalec non è il primo di tutte le genti, ma siccome simbolica- mente Amalec è considerato il re dei malvagi e le genti sono mal vagie, bada che non si debba intendere il principe di questo mon do, che domina le nazioni che fanno la sua volontà e il cui seme perirà. E sono suo seme gli empi e gli infedeli ai quali il Signore dice: Voi siete figli del diavolo.