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La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. CONFIMI 13 novembre 2017

CONFIMI · Sapori senza tempo al BonTà, tutto il gusto dei territori 6 SCENARIO ECONOMIA 13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale La «fase due» di Bankitalia 10 13/11/2017 Corriere

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CONFIMI

13 novembre 2017

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INDICE

CONFIMI WEB

12/11/2017 laprovinciacr.it 16:46

Sapori senza tempo al BonTà, tutto il gusto dei territori6

SCENARIO ECONOMIA

13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale

La «fase due» di Bankitalia10

13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Paradise papers: faro dell'esecutivo sul caso Vitrociset12

13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale

il sentiero stretto sui conti14

13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Banca d'Italia, scontro Renzi-Berlusconi15

13/11/2017 Corriere L'Economia

Bankitalia Consob Le nomine della discordia17

13/11/2017 Corriere L'Economia

Risparmio tradito19

13/11/2017 Corriere L'Economia

Paolo Bertoluzzo22

13/11/2017 Corriere L'Economia

Perché troppo stato fa male all'economia25

13/11/2017 Corriere L'Economia

la mossa di mustier così cambio governance27

13/11/2017 Corriere L'Economia

Menarini Farmaceutica orgoglio italia29

13/11/2017 Corriere L'Economia

I tassi? Resteranno bassi31

13/11/2017 Il Sole 24 Ore

Una strategia per chiudere l'emergenza33

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13/11/2017 Il Sole 24 Ore

Super Fisco, il conto della crisi35

13/11/2017 Il Sole 24 Ore

I prestiti ripartono, il reddito resta indietro38

13/11/2017 Il Sole 24 Ore

I 50 emergenti del Made in Italy40

13/11/2017 La Repubblica - Nazionale

Pensioni, si avvicina lo sciopero della Cgil43

13/11/2017 La Repubblica - Nazionale

2044 Il sorpasso degli anziani44

13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza

"Il direttore finanziario è cambiato ora deve fare i conti con i big data"46

13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Potere e affari, la rivoluzione d'Arabia48

13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Non basta la moneta per l'Unione51

13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Gli antidoti al populismo economico53

13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Massiah: "Sbagliato svendere le sofferenze"55

13/11/2017 La Stampa - Nazionale

RISCRIVERE LE REGOLE DELLA STABILITÀ57

13/11/2017 La Stampa - Nazionale

"Il blitz di Bankitalia in Etruria senza avvertire prima il governo"58

13/11/2017 La Stampa - Nazionale

Casini: "Fare luce sarà spiacevole In futuro servono nuove regole"60

13/11/2017 La Stampa - Nazionale

Pensioni, Ape social prorogata al 201962

13/11/2017 Il Messaggero - Nazionale

Alitalia, il rilancio dei tedeschi64

SCENARIO PMI

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13/11/2017 Corriere L'Economia

La lunga marcia dei freni Brembo continua con lo sbarco a Nanchino67

13/11/2017 Corriere del Mezzogiorno Economia

Da Graded a D'Amico In Elite ammesse altre 7 aziende del Sud68

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CONFIMI WEB

1 articolo

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Sapori senza tempo al BonTà, tutto il gusto dei territori Sapori senza tempo al BonTà, tutto il gusto dei territoriA CremonaFiere spazio alle tradizioni dei piatti tipici

locali riletti nella cucina del futuro. Lunedì occhi puntati sul seminario internazionale dedicato alle

potenzialità dell'export agroalimentare italiano CREMONA - Fra antiche ricette e social network, fra la

grande tradizione del tortello cremasco-mantovano e l'Europa delle grandi famiglie birraie, fra vecchi

ricettari e "cucina 4.0". Al BonTà, il salone dedicato alle specialità enogastronomiche dai territori (fino a

martedì a CremonaFiere), il passato remoto convive con presente e il futuro regalando un magnifico

spaccato capace di narrare come la cucina italiana e non solo si sta evolvendo, scoprendo e rielaborando -

molto spesso - i sapori più consolidati delle tradizionali locali. Appassionati del gusto e operatori del settore

si sono dati nuovamente appuntamento nel quartiere fieristico cremonese, fra i 150 espositori e le aree

eventi allestite per ospitare show-cooking, convegni e degustazioni. La domenica mattina non poteva che

essere dolce, anzi dolcissima a giudicare dalle specialità preparate nell'area Maestrelli Arredamenti e

Progetti, mentre nell'area FreeFrom, sezione dedicata agli stili alimentari, AIC - Associazione Italiana

Celiachia dava vita a una competizione capace di rivisitare un caposaldo della cucina padana: cucinare

tortelli rispettando i criteri "no gluten", un appuntamento presentato da Annamaria Mariani. Fra tortelli

mantovani e cremaschi, hanno vinto i mantovani, anche se l'ultima parola su questa sfida ai vertici forse

non verrà mai messa. Quali sono le domande da non porre mai a chi ci prepara una birra al pub sono state

invece l'argomento principale di un ironico incontro nell'area Special Beer Expo, la novità del BonTà 2017,

una cittadella interamente dedicata alle birre artigianali. Tanti gli eventi intorno all'antica bevanda al luppolo

realizzati in collaborazione con Chocolat Cremona e con Chiara Andreola, giornalista, biersommelière

Doemens, e membro dell'associazione nazionale Le Donne della Birra. Ma la cucina si confronta

inevitabilmente con tendenze e con i costumi mutati dalla tecnologia: per questo in collaborazione con

Radio Bruno al BonTà si è parlato anche di social network, prima di un pomeriggio segnato da workshop

dedicati al mondo birra, ai formaggi della tradizione cremonese e all'arte dell'aperitivo secondo l'enoteca

"Mondo di Vino". Per domani, invece, occhi puntati al palco del seminario internazionale dedicato agli

operatori del settore La Grande Bontà - Eccellenze alimentari dei territori italiani (ore 15.00): un'opportunità

per produttori, istituzioni e associazioni del settore per apprendere concrete indicazioni per un approccio di

marketing che consideri in modo complessivo materia prima, capacità produttiva, ambiente e cultura.

L'export agroalimentare italiano è uno dei settori in più veloce e significativa espansione: nei soli nei primi

mesi del 2017 le esportazioni hanno fatto segnare un +10%, raggiungendo il record di 38,4 miliardi di euro.

A CremonaFiere, nel gruppo di esperti chiamati a confrontarsi, ci sarà anche Bruno Colucci di CiboChic,

specialista agroalimentare, in passato per oltre 35 anni dirigente del Gruppo Carniato Europe (dove è stato

anche direttore acquisti, logistica e marketing). La società è diventata progressivamente il più grande

importatore in Francia di prodotti agroalimentari e vini di qualità, con un fatturato di circa 70 milioni di euro,

più di 3.000 referenze e circa 5 milioni di bottiglie di vini importati, provenienti da tutte le regioni d'Italia. Con

lui anche Paolo Agnelli, Presidente Confimi Industria e Presidente del Gruppo Agnelli. Programma del

seminario Saluti Antonio Piva, Presidente di CremonaFiere Maria Grazia Capelli, Segretario Generale della

Camera di Commercio di Cremona Lo scenario Giulio Sapelli, Professore ordinario di Storia Economica

dell'Università Statale di Milano e Membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Eni Enrico

Mattei Esperienze e prospettive Paolo Agnelli, Presidente Confimi Industria e Presidente del Gruppo Agnelli

Bruno Colucci, CiboChic - esperto agroalimentare, già dirigente Gruppo Carmiato Europe France Alberto

Griffini, Imprenditore, Presidente Apindustria Confimi Cremona e Consigliere delegato al Made in Italy di

12/11/2017 16:46Sito Web laprovinciacr.it

La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato

CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 13/11/2017 - 13/11/2017 6

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Confimi Industria Massimo Rivoltini, Imprenditore, Presidente provinciale di Confartigianato Imprese

Cremona. Aurelio Galletti, Imprenditore, Galletti Antico Acetificio Artigiano 1871 Marinella Loddo, Direttore

ICE Milano Moderatore: Stefano Zurlo, giornalista Gli altri appuntamenti di lunedì 13 novembre Show

cooking: Gorgonzola in compagnia di...Chef Marco de Il Poeta Contadino Area Artusi, dalle 10 alle 11,30 Il

Poeta Contadino è una storica trattoria situata nella provincia cremonese, famosa per i suoi piatti che

esaltano i sapori tradizionali della bassa, che verranno riproposti anche in questa occasione, per scoprire le

grandi ricette del territorio. Organizzazione: Maestrelli arredamenti e progetti Show Cooking con

degustazione "Muffin alle carote e mandorle" con Paco Magri Area Free From - dalle 11 alle 12,30 Lo chef

Paco Magri, del ristorante Dordoni di Cremona, locale del network AIC, mostrerà come preparare un ottimo

dolce, rigorosamente sena glutine. Da malattia rara e limitata alla prima infanzia, la celiachia si è

trasformata in pochi anni in una condizione molto frequente, a volte diagnosticata in soggetti con sintomi

appena sfumati o del tutto asintomatici sul piano clinico. Oggi sappiamo che non si nasce "celiaci", bensì

con la predisposizione genetica alla celiachia, condizione che potrà svilupparsi in qualsiasi età della vita per

l'intervento di co-fattori ambientali in grado di scatenarne l'insorgenza (stress, infezioni, gravidanza ed altri

fattori ancora non noti). Negli ultimi anni il numero delle diagnosi è letteralmente raddoppiato proprio grazie

alla sempre maggior attenzione che i medici di medicina generale hanno rivolto all'intolleranza al glutine,

ma purtroppo l'iceberg della celiachia rimane in gran parte ancora sommerso con meno di 100.000 pazienti

diagnosticati a fronte degli oltre 500.000 attesi nella popolazione italiana. Il seminario si pone l'obiettivo di

fare il punto sulla celiachia per informare il consumatore e indirizzare gli intolleranti al glutine verso una

dieta adeguata. Organizzazione: Associazione Italiana Celiachia La pizza secondo me: una pizza che

accontenti proprio tutti i gusti! Area Pizza Che BonTà - dalle 11 alle 12,30 La pizza è spesso considerata

ingiustamente un alimento da non includere nelle diete, o da proporre solo in determinate occasioni, ma

siamo sicuri che sia proprio la verità? Un confronto su questo tema, per definire gli ingredienti, aspetti

nutrizionali e di consumo di questa specialità, e sfatare alcune credenze infondate. Organizzazione:

CremonaFiere Workshop: Dall'antipasto al dolce. La birra nella ristorazione Area Craft Beer - dalle 11,00

alle 12,00 Sempre più ristoranti propongono, accanto alla carta dei vini, una carta delle birre: ma come

creare gli abbinamenti e come consigliare il cliente? Discussione del tema e degustazione di alcuni

abbinamenti birra-cibo. Organizzazione: CremonaFiere Ore 12 - Diretta con Cremona 1 Area Artusi, dalle

12 alle 13,30 L'emittente televisiva locale Cremona 1 trasmetterà live da il BonTà una puntata di Ore 12,

programma di intrattenimento e di attualità che affronta numerosi argomenti di interesse generale; in questa

occasione saranno naturalmente le grandi tradizioni enogastronomiche ad essere al centro dell'attenzione.

Organizzazione: Maestrelli arredamenti e progetti in collaborazione con Studio 1, Cremona 1 Raviolo o

tortello della tradizione Area Free From - dalle 14,30 alle 17 Un evento speciale con lo scopo di far

conoscere al grande pubblico il talento degli chef nell'interpretare ravioli e tortelli, anche in chiave moderna.

Gli chef di alcuni tra i più noti ristoranti di tutto il Nord Italia si sfideranno in una gara in bilico tra modernità e

tradizione, con l'obiettivo di valorizzare un piatto tipico dalle moltissime sfumature. L'evento, con il

patrocinio di Ospitalità Italiana, Touring del Gusto, l'Azienda Vitivinicola Caminella, e l'Azienda La celata -

Molinelli, si completerà con la premiazione di tutti gli Chef selezionati. Organizzazione: Strapiace Gustare le

valli bresciane Stand ERSAF - Ore 12,00 Montagna, pianura, collina e lago...tutto in un piatto! Il territorio

bresciano è uno dei più ricchi e vari d'Italia, e questo si è naturalmente e felicemente riverberato sulla sua

tradizione enogastronomica. Il workshop attraverserà i territori delle valli alla scoperta delle sue eccellenze.

Organizzazione: ERSAF La birra artigianle agricola: tutto quello che c'è da sapere Area Craft Beer - dalle

12,15 alle 13,15 Workshop a cura di Carlo Eugenio Fiorani. Durante l'evento è prevista una degustazione.

Organizzazione: Chocolat Cremona Premiazione Il Re Della Pizza Area Pizza Che BonTà - dalle 15 alle 17

"Il Re della Pizza"è il grande gioco organizzato dal quotidiano di Cremona e Crema che ogni anno mette in

gara le pizzerie di tutte le città e provinciain una lotta all'ultimo voto. Chi sarà il re di quest'ano? Nella stessa

12/11/2017 16:46Sito Web laprovinciacr.it

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occasione verranno premiati i vincitori del gioco dell'estate"Vota il tuo ristorante e il tuo street food preferito"

Organizzazione: Quotidiano La Provincia di Cremona Seminario internazionale "La grande bontà:

eccellenze alimentari dei territori italiani: grandi potenzialità per l'export di una produzione di alta qualità"

Area Eventi- dalle 15 alle 17 Organizzazione: CremonaFiere Un triangolo magico: Oltrepò Pavese Stand

ERSAF - Ore 15,00 La Valle Versa: salumi, formaggi e vini. La Valle Versa propone specialità alimentari

frutto di una tradizione secolare e di uno stile di vita legato alla cultura contadina. Gli abitanti della valle

hanno unito per secoli la loro esistenza alla vite, unica risorsa per accaparrarsi un minimo di reddito. Il

sostentamento era invece dato da tutta una serie di prodotti, marginali alla viticoltura, ma strettamente

collegati ad essa. Il maiale era la fonte primaria per i grassi e veniva allevato con gli scarti di cucina e il

poco mais piantato tra i filari. Le oche, altro serbatoio importante di grassi, potevano essere curate dai

bambini che le pascolavano lungo i fossi. L'unica vacca della famiglia era utile per il lavoro, ma anche per il

buon latte trasformabile in robiole, magari aggiunto a quello di qualche capra. Anche gli animali da cortile

potevano essere mantenuti con le poche risorse tratte dalle vigne ed erano utilissimi per la tavola nei giorni

di festa. Tra i più importanti piatti presenti nella Valle Versa troviamo: gli agnolotti, i Batalavar, il risotto con

la pasta di salame, il risotto con gli ossi buchi, minestre e minestroni stagionali, le lasagne con i funghi, la

polenta con il merluzzo, la frittura o lo Stracchino, la panada, la zuppa con i ceci, i buioc, il ragò, la busaca,

la gallina ripiena, lo stufato, l'oca arrosto, la frità rugnusa e come dolci la torta di riso i Marubé, i Brasadé, la

torta del Paradiso, lo zabaglione di Buttafuoco o di Moscato, il cioccolato e Buttafuoco chinato.

Organizzazione: ERSAF Workshop: Giornali, siti, blog, social network: come cambia la comunicazione nel

mondo birrario Area Craft Beer - dalle 15,00 alle 16,00 Sempre più i birrifici si confrontano sia con

l'informazione propriamente intesa, magari fatta da giornalisti non specificatamente formati in questo

campo, che con canali "alternativi" di comunicazione come blog e social network: come gestire al meglio

questa trasformazione? Organizzazione: CremonaFiere Show cooking - Il bussolano Area Artusi, dalle

16,30 alle 18 Un evento realizzato in collaborazione con la Caffetteria di Palazzo Trecchi, una delle più

innovative realtà cittadine nell'ambito dell'organizzazione di piccoli e grandi eventi nelle splendida location

dello storico palazzo cremonese. Lo show cooking sarà presentato dal pasticcere Giuseppe Balconi e dallo

chef Walter Baggi. Organizzazione: Maestrelli arredamenti e progetti La birra artigianle agricola: tutto

quello che c'è da sapere Area Craft Beer - dalle 17 alle 18 Workshop a cura di Carlo Eugenio Fiorani.

Durante l'evento sarà prevista una degustazione. Organizzazione: Chocolat Cremona Show cooking -

Sergio Carboni della Locanda degli Artisti Area Free From - Ore 17,30 Sergio Carboni, chef e patron della

Locanda degli Artisti di Torre de' Picenardi (CR), oltre che ambasciatore per Cremona del progetto East

Lombardy, porta avanti con esperienza e passione l'arte culinaria tramandata da quattro generazioni di una

famiglia di ristoratori, ormai alla soglia del centenario di attività. Passato dalla cinquantennale storia del

famoso Ristorante Italia di Torre de Picenardi, continua dal 2003 il suo sapiente lavoro alla Locanda degli

Artisti, con la collaborazione del figlio Michele, attento interlocutore con i clienti e sempre pronto a dare un

consiglio professionale sui vini, e dal nipote Daniele, perfetto supervisore della sala e vigile ad ogni

necessità della clientela. Organizzazione: Strade del Gusto Cremonese in collaborazione con East

Lombardy Senza un senso Stand ERSAF - Ore 18,00 Degustazione alla cieca: una vera e propria

esperienza sensoriale in cui i visitatori de Il BonTà potranno assaggiare salumi e formaggi senza l'ausilio

della vista, utilizzando solo gli altri sensi per capire cosa si sta mangiando. Un percorso guidato per affinare

tatto, olfatto e gusto alla scoperta delle eccellenze gastronomiche lombarde. Organizzazione: ERSAF

Show cooking: Orzotto mantecato con lo chef Marco de Il Poeta Contadino Area Artusi, dalle 18 alle 20 Il

Poeta Contadino è una storica trattoria situata nella provincia cremonese, famosa per i suoi piatti che

esaltano i sapori tradizionali della bassa, che verranno riproposti anche in questa occasione, per scoprire le

grandi ricette del territorio. Organizzazione: Maestrelli arredamenti e progetti

12/11/2017 16:46Sito Web laprovinciacr.it

La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato

CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 13/11/2017 - 13/11/2017 8

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SCENARIO ECONOMIA

27 articoli

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visco e gli attacchi La «fase due» di Bankitalia Federico Fubini La Banca d'Italia ormai ha deciso di passare a una sorta di «fase due», un cambio di

passo. Non si limiterà più a subire gli attacchi, risponderà con gli argomenti e le esperienze di cui dispone:

dal caso Etruria al tempo

prezioso perso dal governo nel 2016

nell'affrontare alla radice le crisi di Monte dei Paschi e delle banche venete.

a pagina 8

Anche stavolta c'è una battuta da social network che riecheggia come un mantra: «Chiedere che i colpevoli

paghino non è populismo, è giustizia». E ciò che rischia di accadere mentre Matteo Renzi ripete la sua

frase contro la Banca d'Italia, è riassunto più di quanto sembri in ciò che accadde quasi quattro anni fa. Il

mantra da usare su Twitter e Facebook allora era «Enrico stai sereno» e per certi aspetti sembra di vivere

un eterno ritorno delle stesse dinamiche fra Italia e Europa.

La caduta di Letta

È il 17 gennaio 2014 quando il leader del Partito democratico va in tivù e pronuncia quella frase che gli

sarebbe rimasta incollata addosso. Il Paese allora è così ipnotizzato da quelle parole e dagli sviluppi - la

caduta del governo di Enrico Letta, l'ingresso di Renzi a Palazzo Chigi il mese dopo - che perde di vista

una trama parallela e almeno altrettanto importante: l'approvazione della Brrd, la direttiva europea che

prevede perdite per i creditori e potenzialmente anche ai depositanti delle banche in dissesto.

Il voto sul bail-in

Quella norma avrebbe segnato il governo di Renzi ben più dell'«Enrico stai sereno», ma allora e in seguito

il leader del Pd e l'intero sistema politico non sembrano accorgersene. In ogni caso non ne parlano, e tanta

distrazione ha prodotto effetti paradossali: uno dei primi atti del governo Renzi a Bruxelles, nel febbraio del

2014, fu proprio il voto a favore della direttiva sul bail-in , il colpo di falce sui creditori e i depositanti delle

banche. L'Italia di allora aveva assentito per pura impreparazione, ma proprio quelle norme e la difficoltà

che crearono nel gestire i problemi delle banche sarebbero diventate la spina nel fianco di Renzi fino alla

commissione bancaria di questi giorni.

Il nodo titoli di Stato

Ora che l'inchiesta parlamentare sulla crisi degli istituti è a pieni giri, la domanda che corre in Europa è se

gli stessi errori italiani non rischino di ripetersi; se l'intensità della polemica di Renzi contro la Banca d'Italia

per i dissesti degli scorsi anni, dal caso Etruria in poi, non rischi di accecare di nuovo il sistema politico di

fronte ai negoziati aperti oggi. Proprio sulle banche ce n'è infatti uno che per l'Italia potrebbe avere

conseguenze anche più destabilizzanti del bail-in .

Il debito pubblico

In gioco per gli istituti è il diritto di comprare e detenere titoli del Tesoro senza conseguenze avverse per i

livelli di capitale, come avviene in tutto il mondo. Per il governo, è invece in discussione la possibilità di

poter contare sulle banche come acquirenti affidabili di debito pubblico anche nei momenti più delicati.

La guerra renziana

La posta del negoziato che si sta aprendo fra Bruxelles, Francoforte, Parigi e Berlino è così alta per l'Italia

che, visto dal resto d'Europa, lo scontro fra Renzi e Via Nazionale minaccia conseguenze avverse per il

Paese. La prima è naturalmente di concentrare il dibattito sulle banche solo sul passato, senza attenzione

alle partite decisive del futuro. Ma la derivata seconda di quel renziano «non è populismo, è giustizia»

contro la Banca d'Italia - la quale pure in questi anni è inciampata in ritardi, sottovalutazioni e errori che

13/11/2017Pag. 1

diffusione:231083tiratura:321166

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 - 13/11/2017 10

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ancora non riconosce - può essere anche più invalidante: il leader del partito di maggioranza delegittima

l'istituzione che dovrebbe sostenere buona parte di un confronto imminente in nome del Paese.

Il limite al portafoglio

Perché in Germania o in Francia si dovrebbe dare ascolto alla Banca d'Italia, se a Roma non è altro

l'imputato di un processo con poche prove ma molto rumore?

Non è ciò che serve all'Italia in Europa oggi. Poco più di un mese fa Alexander Schulz della Bundesbank ha

proposto di limitare il portafoglio di titoli di Stato nei bilanci bancari, un terreno dove l'Italia è il più esposto

fra i grandi Paesi. E la Germania non è sola: l'europarlamento ha appena pubblicato uno studio del

francese Nicolas Véron, del centro studi Bruegel, con idee simili. Per le banche italiane ciò comporterebbe

un'erosione del patrimonio e dunque del credito disponibile, per il debito pubblico il rischio di una nuova

impennata degli interessi.

Il governatore

Non è chiaro se sia per questo, ma Via Nazionale ormai ha deciso di passare a una sorta di «fase due».

Non si limiterà più a subire gli attacchi di Renzi, risponderà con gli argomenti e le esperienze di cui dispone:

dal caso Etruria, al tempo prezioso perso dal governo nel 2016 nell'affrontare alla radice le crisi di Monte

dei Paschi e delle banche venete.

Qualcuno ai vertici del Pd deve aver percepito che nella banca centrale la stagione del riserbo è finita,

perché sta emergendo un'apparente stranezza: nessuno sa dire esattamente quando Ignazio Visco,

governatore della Banca d'Italia, verrà sentito dalla commissione parlamentare d'inchiesta. Certo non

presto, malgrado la questione delle crisi venete riguardi in pieno il suo primo mandato.

Si direbbe quasi che qualcuno speri che Visco sia del tutto delegittimato, prima di lasciarlo testimoniare

sotto giuramento davanti ai parlamentari. Non fosse mai che dicesse qualcosa di imbarazzante sì, ma non

per sé.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il debito pubblico nei portafogli delle banche nazionali Fonte: elaborazione Corriere della Sera su dati

Parlamento Europeo Corriere della 0 10% 20% 30% 40% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

2013 2014 2015 2016 Germania Spagna Francia ITALIA Portogallo (in %) Stati Uniti Scende in campo la

Bce presieduta da Mario Draghi con l'acquisto di titoli di Stato Luglio 2012 Spread italiano ai massimi a 575.

Si parla di rischio Italia Novembre 2011 Etruria, Ferrara, Marche e Chieti. Quattro banche in risoluzione

Novembre 2015 Il Pil cresce dello 0,9% nel 2016. Si rafforza la ripresa Dicembre 2016

La parola

titoli di statoI titoli di Stato (o titoli del debito pubblico) italiano vengono emessi dal ministero dell'Economia e delle

Finanze per finanziare il fabbisogno statale.

Poiché sono garantiti dallo Stato italiano vengono considerati privi di rischio di insolvenza e corrispondono

rendimenti contenuti rispetto a strumenti più rischiosi.

Le principali tipologie di titoli di Stato attualmente in circolazione sono: Bot, Cct, Btp, Certificati del tesoro

zero coupon.

13/11/2017Pag. 1

diffusione:231083tiratura:321166

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i fondi all'estero Paradise papers: faro dell'esecutivo sul caso Vitrociset Marco Galluzzo I proprietari di Vitrociset, società chiave per lo Stato coinvolta nei Paradise papers, vogliono venderla. Il

governo può attivare la golden power .

a pagina 21

ROMA Se non si tratta di un dossier ufficiale, è comunque qualcosa di più di un contatto fra un'azienda

sensibile per gli interessi nazionali e gli uffici di Palazzo Chigi. È cosa nota al governo che la famiglia

Crociani voglia vendere la società informatica, con sede a Roma, che da alcuni decenni fornisce servizi ad

alto tasso di contenuto strategico a istituzioni chiave del nostro Paese: da Bankitalia al ministero della

Difesa, dalla Guardia di Finanza all'Agenzia spaziale italiana.

Il problema è che il dossier è talmente delicato che trovare informazioni ufficiali è quasi impossibile. Il caso

è nato dalla diffusione dei documenti dello studio legale offshore Appleby, consegnati da una fonte

anonima a un consorzio di giornalisti investigativi, di cui per l'Italia fanno parte la testata di Rai3 Report e

L'Espresso. E, da quelle carte, si è scoperto che l'azienda Vitrociset - nonostante i rapporti pluriennali con

un articolato ventaglio di istituzioni, militari e non, del nostro Paese - è in definitiva controllata, attraverso un

complesso sistema di scatole finanziarie, da una società delle Antille olandesi, che ha capitale sociale di un

dollaro.

A Palazzo Chigi confermano le informazioni che sono state offerte a Report . In sostanza risulta al governo

che l'azienda con sede in via Tiburtina sia pronta a un cambio di proprietà. E se lo dice il governo non c'è

motivo di dubitarne, anche perché la notizia era stata anticipata dal giornalista Gianni Dragoni.

Poi però la vendita dell'azienda che ufficialmente è della famiglia Crociani (eredi di quel Camillo Crociani

coinvolto nella scandalo Lockheed e scappato in Messico) sembra sia rallentata e sia tutt'ora oggetto di

valutazioni incrociate, da parte del governo e da parte della società. L'esecutivo guidato da Gentiloni è

infatti pronto a far scattare la procedura prevista dalla legge sulla golden power , procedura obbligata visti i

contenuti dei servizi che Vitrociset fornisce allo Stato: dalla gestione del poligono militare in Sardegna ai

sistemi criptati di informazioni dei nostri apparati di sicurezza.

Quello che non è chiaro è se una prima comunicazione al governo sia stata già trasmessa da parte

dell'azienda, in modo formale. Di sicuro la famiglia Crociani ha voglia di liquidare le attività che solo

nell'ultimo decennio hanno garantito, con soldi prevalentemente pubblici, almeno 10 milioni di dividendi

l'anno distribuiti fra gli azionisti. E di sicuro Palazzo Chigi ha voglia di avere voce in capitolo sulla cessione

d'azienda o di un ramo della stessa. In base alla legge sulla golden power infatti l'esecutivo non solo può

fornire prescrizioni societarie e gestionali all'acquirente, ma può anche giudicare un soggetto, soprattutto se

straniero, inidoneo all'acquisto, e dunque bloccare la vendita.

Il dossier viene seguito anche con questo obiettivo: avere voce in capitolo sulla vendita per non dover

intervenire successivamente, visto anche l'oggetto dei contratti in essere fra Vitrociset e le amministrazioni

pubbliche. Tutti i contratti stipulati dall'azienda romana con il ministero della Difesa, per fare solo un

esempio, sono secretati, e derogano alla regole del codice degli appalti pubblici, per ragioni di sicurezza

nazionale. La stessa cosa valeva per l'appalto pluriannuale che Vitrociset ha gestito per i sistemi radar

italiani, di cui non si conoscevano nemmeno le clausole. Ragioni di sicurezza che però ora offrono una

sponda sia agli interrogativi sulla reale proprietà dell'azienda, sia sull'opportunità di accumulare tanti

segreti, per quanto legittimi e necessari, con un'impresa che attraverso sistemi di trust anglosassoni è

controllata da un piccola isola dei Caraibi.

Una situazione in qualche modo imbarazzante, ancor di più se si aggiunge che la famiglia Crociani è divisa

al suo interno, da alcuni anni, da una causa internazionale sulla titolarità dei propri beni. Insomma la golden

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power sembra alle porte, e non solo perché qualcuno ha deciso di vendere.

Dai Paradise papers è emerso anche che la società lussemburghese dell'imprenditore Andrea Bonomi è in

realtà controllata da 3 trust dell'isola di Jersey. È invece un trust delle isole Cook a gestire una delle

proprietà di Felice Rovelli, figlio ed erede di Angelo.

Marco Galluzzo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

1 Dollaro È il capitale della società anonima delle Antille olandesi che risulta controllare il gruppo di cui fa parte anche Vitrociset150 Milioni di euro

È il fatturato di Vitrociset spa sull'ultimo bi-lancio societa-rio. Sono 15

i contratti

che l'azienda si è aggiudicata negli anni

con la Guardia

di Finanza

Sul sito del Corriere della Sera tutti gli aggiornamenti sulla vicenda Paradise papers www.corriere.it

La parola

ApplebyAppleby è uno studio internazionale di professionisti fondato alle isole Bermuda

e articolato in nove filiali in altrettanti para-disi fiscali. È specializzato nella creazione e gestione di società

offshore. Sono usciti dagli uffici di Appleby e da Asiaciti, altro studio, gli oltre 13 milioni di documenti

riservati ottenuti, con una colossale fuga

di notizie, dal quotidiano tedesco «Suddeutsche Zeitung» e condivisi con l'International Consortium of

Investigative Journalists (Icij) © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il casoLa famiglia Crociani vorrebbe vendere

la società informatica Vitrociset,

che da anni fornisce

servizi strategici

a istituzioni

del nostro Paese,

da Bankitalia

al ministero della Difesa, dalla Guardia

di Finanza all'Agenzia spaziale L'esecutivo può quindi far scattare la procedura prevista dalla legge sulla

golden power: può dare prescrizioni

o valutare

un potenziale acquirente come

non idoneo

e decidere

di bloccare l'operazione

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Governo e modifiche il sentiero stretto sui conti Enrico Marro S appiamo già come finirà. Per evitare che la manovra finanziaria sia sommersa da una marea di

emendamenti, oltre 4 mila quelli già presentati in Senato, il governo chiuderà la partita in entrambe le

Camere chiedendo il voto di fiducia sul suo testo, che recepirà qualche correzione suggerita dai gruppi

parlamentari, senza stravolgere l'impianto della legge di Bilancio. Una legge ipotecata fin da principio dalla

volontà di scongiurare l'aumento dell'Iva, disinnescando le cosiddette clausole di salvaguardia: uno sforzo

che ha impegnato quasi 16 miliardi su 22 della manovra per il 2018, lasciando peraltro da cancellare

l'aumento Iva negli anni successivi. Manovra che, quindi, assolto il compito di evitare un incremento delle

tasse che lo stesso governo aveva fittiziamente deciso l'anno prima per rassicurare la Commissione

europea sulla tenuta dei conti, lascia lo spazio di una manciata di miliardi per qualche intervento a sostegno

della crescita e dei più bisognosi. Insufficienti, forse, su entrambi i fronti.

Del resto, è così da molti anni, da quando l'oggetto principale della manovra è diventato l'annullamento

delle clausole di salvaguardia, in mancanza della capacità dei vari governi di tagliare gli sprechi nella spesa

pubblica e di incrementare in maniera significativa le entrate da lotta all'evasione fiscale che, secondo le

stime dello stesso governo, sottrae ogni anno circa 110 miliardi allo Stato. Anche in quest'ultima manovra,

né sulla spending review né sugli evasori ci sono novità di rilievo.

D i nuovo una legge di Bilancio senza grandi ambizioni. Un «sentiero stretto», come lo definisce il ministro

dell'Economia Pier Carlo Padoan, tra la montagna del debito pubblico da un lato e i vincoli europei

dall'altro. La novità, relativa, è che la scarsità di risorse a disposizione per il 2018, anno elettorale, esaspera

ancora di più il contrasto con le mille richieste che arrivano dal Parlamento. Anzi, 4 mila, quanti sono gli

emendamenti piovuti in Senato sulla legge Bilancio.

Un'alluvione che ha fatto scappare un «diamoci una calmata» al solitamente controllato Paolo Gentiloni.

Detto che quella presentata dal governo, pur salvaguardando la tenuta dei conti, è una manovra di

mantenimento, non si può dire meglio dell'azione del Parlamento.

Che se davvero aspira a migliorare la legge di Bilancio, dovrebbe evitare di cedere alla tentazione delle

richieste elettoralistiche o irrealistiche. E dovrebbe piuttosto concentrarsi su poche e importanti cose,

altrimenti ha poco senso prendersela con il voto di fiducia che blinda la manovra.

Il governo, però, non deve utilizzare l'assalto alla diligenza come un alibi per non migliorare a sua volta i

provvedimenti.

Avrebbe poco senso accogliere, per esempio, le richieste parlamentari di un ulteriore allargamento della

rottamazione delle cartelle Equitalia o, peggio ancora, di sanatoria sugli accertamenti in corso, fino al punto

da suscitare legittime domande in chi finora ha pagato senza ritardi i propri debiti col Fisco, e poi far finta di

niente su altri capitoli come l'abolizione del superticket sulla diagnostica e la specialistica che, lo ha

riconosciuto lo stesso viceministro dell'Economia Enrico Morando, crea «difficoltà per i cittadini di usufruire

delle prestazioni sanitarie anche nelle Regioni più virtuose», o il rafforzamento delle risorse per la non

autosufficienza, oggi scandalosamente inadeguate. Insomma, «diamoci un calmata», niente «assalti alla

diligenza», ma un po' più di qualità ed equità sì, senza stravolgere l'impianto. Sentiero stretto non significa

vicolo cieco.

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Banca d'Italia, scontro Renzi-Berlusconi Il segretario dem: cosa è accaduto nella vigilanza delle venete? Il leader FI: irresponsabile coinvolgereDraghi C. Vol. roma Scrive: «Sulla gestione degli organismi di vigilanza le cose non hanno funzionato come avrebbero

potuto e dovuto» e questo perché «Banca d'Italia e Consob non hanno garantito un sistema di controlli

efficiente». E aggiunge: «Anziché continuare a usare Banca Etruria come comodo alibi per azzerare ogni

critica sarebbe interessante capire cosa è successo nella vigilanza sugli istituti veneti e non solo». Ma

comunque «il tempo ci darà ragione».

Sulla questione banche e vigilanza, il segretario Pd Matteo Renzi non ci sta a fare la parte del cattivo e, in

una lettera al quotidiano La Stampa , sottolinea «il giudizio politico negativo» sull'operato di Consob e

Banca d'Italia per i loro «controlli non efficienti», ma ribadisce anche «il clima di piena collaborazione

istituzionale con Banca d'Italia» anche dopo il commissariamento di Banca Etruria che, secondo alcune

ricostruzioni, sarebbe dietro allo scontro con il governatore Ignazio Visco: «Nessuna freddezza» tra il suo

governo e Palazzo Koch scrive Renzi e chiama in causa il suo ministro dell'Economia: «Come potrà

agevolmente confermare il ministro Pier Carlo Padoan: nessun problema istituzionale». Però poi attacca:

«Sarebbe interessante capire cosa è accaduto nella vigilanza sugli istituti veneti e non solo, anziché

continuare a evocare la vicenda Banca Etruria usandola come comodo alibi per azzerare ogni critica». E

poi affonda: «Se in questi anni le autorità della vigilanza avessero passato il proprio tempo leggendo meglio

i documenti dei loro colleghi, probabilmente il mondo del credito e della finanza oggi starebbe meglio».

Sembra rispondergli a distanza Silvio Berlusconi che, in un'intervista al Quotidiano Nazionale, parla di «un

tentativo di usare la questione banche a scopi elettorali, da diverse parti». Ma «non è così che si dovrebbe

trattare un tema tanto delicato».

E biasima il «gettare la colpa in modo indiscriminato sul sistema bancario, o su Bankitalia, o sulla Consob:

non soltanto è sbagliato, ma non serve a capire chi sono i veri responsabili, né a punirli». Non solo:

«Coinvolgere l'ex governatore Mario Draghi è davvero da irresponsabili: è l'uomo che con le sue politiche

ha contribuito a stabilizzare l'economia italiana e probabilmente ha salvato l'euro in questi anni». Non

serve, dice Berlusconi, «mettere sotto processo il sistema bancario perché alcuni singoli banchieri hanno

operato male o hanno truffato i clienti, a maggior ragione questo vale nei confronti della Banca d'Italia». Io

credo, sottolinea l'ex premier, «che la responsabilità sia sempre personale: se qualcuno ha commesso

degli errori, li si esamini, senza incolpare i vertici in modo generico».

Intanto, il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta da vicepresidente della Commissione d'inchiesta sulle

banche chiede al presidente Pierferdinando Casini di allargare l'indagine anche alla crisi dello spread del

2011. E di acquisire documentazione e audizioni delle parti anche per Mps e le altre 4 banche, tra cui

Etruria.

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Sui giornaliIl segretario del Pd Matteo Renzi è tornato sulla questione banche

e vigilanza con una lettera

al quotidiano La Stampa Silvio Berlusconi è sembrato quasi rispondergli con una intervista

al Quotidiano Nazionale

Foto:

Banchieri centrali

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Il governatore Ignazio Visco, 67 anni, e il presidente Bce, Mario Draghi, 70 anni

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Bankitalia Consob Le nomine della discordia Federico Fubini, Massimo Gaggi, Stefano Montefiori e Danilo Ta Racconta chi ci è passato che, se ci si vuole candidare a un posto come commissario Consob, a un certo

punto ci si imbatte in una maschera: un formulario digitale, che occorre riempire per inserire la propria

richiesta di entrare a far parte della Commissione nazionale per le società e la borsa. Oltre alle proprie

generalità e al curriculum professionale, la maschera chiede al candidato di precisare la visione per

l'organismo di guida dell'autorità di vigilanza dei mercati finanziari nell'ottava economia del mondo.

Dicono che in quella casella ci sia spazio per circa venti righe di testo. Un quinto dell'articolo che state

leggendo.

Forse non servirebbe altro per comprendere l'impegno che i governi dedicano a selezionare le persone più

adatte a proteggere il risparmio degli italiani, dopo gli azzeramenti di azioni e di bond nei portafogli delle

famiglie. In venti righe il candidato è invitato a spiegare come intende vigilare sugli intermediari finanziari,

sulla gestione del risparmio, sull'emissione di titoli e gli abusi di mercato, sulle piattaforme che garantiscono

gli scambi, su problemi complessi quali il collocamento di prodotti in conflitto d'interessi (da Banca popolare

di Vicenza in giù) o il controllo di fatto di società quotate da parte di soci che restano sotto alle soglie (Tim-

Vivendi e non solo). Il candidato dovrà poi precisare la sua visione riguardo al governo interno dell'autorità,

ai rapporti con la Banca d'Italia e all'uso delle nuove tecnologie digitali per individuare rischi, reati e abusi.

Per nulla dire della prospettiva di un'unione dei mercati dei capitali che dovrebbe nascere basata su regole

uguali per tutti i Paesi e un regolatore unico in Europa.

Scusate, lo spazio nella maschera è finito. Non è chiaro se sia per questo, ma la Consob di recente ha

battuto un piccolo record: dev'essere l'unica autorità al mondo che abbia attraversato un'intera crisi

finanziaria senza mai disporre di una squadra al completo. Da quando il 16 giugno 2012 ha lasciato l'allora

commissario Luca Enriques, la commissione di Borsa ha sempre mancato di almeno uno dei suoi

componenti.

Curriculum

Ciò significa che è sempre stato fondamentale il singolo voto del presidente Giuseppe Vegas, un laureato

in diritto ecclesiastico ricco di trascorsi politici (in Forza Italia) e nella formulazione del bilancio pubblico (al

ministero dell'Economia) ma - secondo il suo stesso curriculum - privo di precedenti esperienze nel settore

privato, nei mercati finanziari, nel diritto che li regola e privo anche di trascorsi e rapporti europei e

internazionali. Nel frattempo, da quando la Consob è dimidiata, è successo di tutto. Il Paese ha attraversato

la più grave crisi di sempre sui titoli di Stato italiani, la più grave crisi su bond bancari (nel 2013 le famiglie

ne detenevano per 370 miliardi di euro) e una decina di istituti di credito sono andati in dissesto.

Ancora oggi la squadra resta incompleta (manca il quinto commissario) e il voto di Vegas resta decisivo,

mentre il suo settennato si avvicina alla scadenza il 16 dicembre prossimo. Mai come ora è stata

importante la qualità del metodo con il quale i vertici della Consob vengono scelti. Su Banca Marche,

Etruria, Carife, CariChieti, Veneto Banca, Popolare Vicenza, Monte dei Paschi e prima ancora su Cirio,

Parmalat e sui Tango Bonds le famiglie italiane hanno già perso troppo, per mantenere procedure di

selezione mediocri e opache per il vertice la Consob.

Il meccanismo per il presidente della Commissione di Borsa e i suoi quattro colleghi è formalmente simile a

quello per la nomina del governatore della Banca d'Italia: il ministro dell'Economia indica un nome, il

premier lo fa passare in Consiglio dei ministri e il presidente della Repubblica lo conferma. A differenza che

in Gran Bretagna e molti altri Paesi, non viene tuttavia pubblicato alcun invito a presentare candidature con

una descrizione precisa del profilo professionale richiesto. Non vengono neanche rese note le candidature

selezionate in una «short-list», né il curriculum di coloro che concorrono per una certa posizione. Non è il

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massimo della trasparenza. L'opinione pubblica e i risparmiatori apprendono solo il nome del prescelto, a

cose fatte.

Confronti

Qualunque sia il giudizio sulla presidenza Consob di Lamberto Cardia (2003-2010, gli anni dei crac Cirio e

Parmalat e dei Tango bonds) o dello stesso Vegas, il loro curriculum appare molto diverso da quello dei

loro pari grado di Germania, Francia, Gran Bretagna o Stati Uniti. Vegas arriva in commissione di Borsa,

appunto, come esperto di diritto ecclesiastico, finanza pubblica e di politica; anche Cardia si è sempre

mosso all'incrocio fra alta burocrazia romana (Corte dei conti, Consiglio di Stato, presidenza del Consiglio)

e politica (sottosegretario nel governo di Lamberto Dini). Nessuno dei due aveva mai toccato con mano

prima il settore privato, né i mercati finanziari, né ambienti altro che strettamente italiani. Al contrario, il loro

attuale omologo della Fca di Londra John Griffith-Jones ha lavorato in Merrill-Lynch ed è stato ai vertici di

Kpmg, un grande gruppo globale di consulenza; il presidente della Sec americana è stato un giurista

universitario e grande avvocato di Wall Street; il presidente della Bafin tedesca, Felix Hufeld, ha lavorato

per Boston consulting group e ha girato i mercati internazionali per un fondo di private equity ; e il

presidente della francese, Robert Ophèle, è un ex vice-governatore della Banca di Francia che ha operato

anche alla Federal Reserve di New York, quella che si occupa direttamente di Wall Street. Quanto agli

attuali commissari Consob, solo Carmine Di Noia ha competenze e un profilo di alto livello internazionale

(dottorato in economia all'Università della Pennsylvania), anche se con limitate esperienze dirette in organi

societari. Giuseppe Maria Berruti è un rigoroso magistrato della Corte di cassazione che ha lavorato di rado

su casi strettamente finanziari. E Anna Genovese è una rispettata giurista accademica con pubblicazioni

soprattutto nel campo dell'Antitrust, non dei mercati finanziari, senza molta pratica professionale né

esperienze in azienda. Tutte queste persone sono di qualità e il loro impegno in Consob è stato sempre

molto serio. Ma la squadra di vigilanza presenta un mix di competenze squilibrato. A partire dal presidente,

è il momento di rimediare con procedure di nomina trasparenti e rigorose. Non sarebbe il momento giusto

per lasciare altri posti vacanti al cuore del sistema di tutela dei risparmio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Ignazio Visco Giuseppe Vegas

Foto:

È stato appena rinominato alla guida della Banca d'Italia. Chiusa, si spera,

la stagione delle crisi bancarie, si deve rendere

più efficace la vigilanza

Alla guida della Consob, l'autorità di controllo sulla Borsa e sui mercati finanziari dal 15 dicembre 2010: è in

scadenza di mandato

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Risparmio tradito Ferruccio de Bortoli Cara pensione di scorta

sei proprio tanto cara

Ripiegati sul primo pilastro della previdenza, concentrati a discutere la quota 67, dal 2019, dell'età

pensionabile, ci siamo persi per strada il resto. Colpevolmente. È innegabile che il futuro delle pensioni

passi dalla coesistenza virtuosa di tre forme assicurative. Sulla prima, la più importante, alla quale è legata

la sostenibilità dei conti pubblici, si litiga in questi giorni tra governo e sindacati. E non solo sul trattamento

dei cosiddetti lavori usuranti. La seconda, quella della previdenza integrativa, avrebbe bisogno di una

maggiore attenzione e di un rinnovato slancio. È finita in un incomprensibile cono d'ombra. La proposta di

legge di bilancio per il 2018 non se ne occupa, a parte la possibilità di percepire con l'Ape volontaria, una

parte del capitale della rendita integrativa (in sigla Rita). La precedente legge di bilancio, sulla falsariga di

quello che sta avvenendo per i Pir, i Piani individuali di risparmio, aveva detassato i rendimenti degli

investimenti dei fondi pensione a favore dell'economia reale. Come succede all'estero.

Decisioni diverse

La diffusione dei fondi integrativi di categoria, cioè chiusi o negoziali, ma anche per quelli aperti, proposti

da banche e assicurazioni, venne incredibilmente ostacolata nel 2014 quando il governo Renzi decise di

aumentare il livello di tassazione dei rendimenti dall'11,5 al 20%. In molti altri Paesi l'aliquota in fase di

accumulo è zero. La misura si è riflessa sull'andamento degli iscritti che per i fondi chiusi sono (al 30

giugno 2017) 2 milioni e 666 mila e per quelli aperti un milione e 315 mila. La proposta di ripristinare

condizioni più favorevoli, sotto il profilo fiscale, per la previdenza integrativa nella legge di Bilancio 2018 è

stata bocciata. Avrebbe comportato un costo di circa 300 milioni di euro l'anno. Sarebbe stato però un buon

investimento.

In assenza di misure di rilancio dei fondi chiusi o aperti, si moltiplicano le offerte dei prodotti assicurativi

come i Pip, i Piani individuali pensionistici, vecchi e nuovi, con gestioni separate degli attivi, cioè bloccati a

favore degli aderenti, o più legati ai mercati finanziari. O altri prodotti del ramo terzo, polizze vita, unit linked

e così via. Questa inerzia governativa lascia terreno fertile a banche, compagnie e reti che hanno però costi

decisamente più alti sui quali non sempre vi è la necessaria trasparenza.

L'assicurato sottovaluta piccole all'apparenza differenze percentuali che però proiettate su un arco di tempo

di 30 anni possono falcidiare il capitale finale anche di un terzo. Qualche esempio. Secondo l'ultimo

rapporto Covip, l'autorità di controllo sui fondi pensione, il rendimento medio dei fondi negoziali, di

categoria, nel 2016 è stato del 2,7%, al netto dei costi di gestione e dell'imposta sostitutiva. Per i fondi

aperti eravamo al 2,2%. Per i nuovi Pip, cioè quelli successivi al decreto legislativo 252 del 2005, il

rendimento medio è stato del 2,1%. Ma se confrontiamo i costi delle varie tipologie scopriamo differenze

molto pronunciate. In qualche caso intollerabili. Con i dati a fine 2016 si possono calcolare, su un periodo di

permanenza di 35 anni, tra 0,1 e lo 0,6% per i fondi negoziali; tra l'1,2 e l'1,4% per quelli aperti - che hanno

comunque un onere di raccolta non essendo di categoria - mentre i Pip oscillano tra l'1,8 e il 3,5%. Questi

ultimi, così propagandati dai gestori con allettanti proposte di investimento, possono costare fino a dieci

volte di più di un normale fondo negoziale. Gli iscritti ai nuovi Pip, che non godono del contributo del datore

di lavoro, al 30 giugno 2017, sono quasi 3 milioni.

«La Covip è fortemente impegnata su questo fronte - dice il suo presidente l'economista Mario Padula - e

facciamo di tutto per favorire una responsabile e trasparente valutazione dei costi». Da poco compare sul

sito dell'Autorità un modello comparativo, finora utilizzato però quasi esclusivamente dai professionisti del

settore. «Le forme negoziali hanno oneri generalmente più bassi dei fondi comuni e dei prodotti del

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risparmio gestito - continua Padula - non avendo problemi di collocamento e scegliendo gestioni passive».

La Covip ha i poteri di intervenire o si limita a una vigilanza di tipo cartolare, ex post? «Non sottovaluti

l'importanza della scheda costi, in vigore dallo scorso giugno (http://www.covip.it/isc dinamico/), un

documento assai complesso da redigere. Sono stati diversi i casi, anche recenti, in cui abbiamo utilizzato i

nostri poteri di vigilanza e di controllo. Se vediamo dei disallineamenti, interveniamo tempestivamente».

Nell'analisi di Padula emergono alcune preoccupazioni. Quella di garantire all'assicurato, con un'

informazione maggiore, la libertà di cambiare fondo o gestore, nella consapevolezza che una piccola svista

oggi si può trasformare in un gigantesco danno al momento della pensione. In più in Italia - e questo

dovrebbe essere un tema di discussione pubblica ma purtroppo non lo è - il secondo e il terzo pilastro

tendono a confondersi. I fondi di categoria sono relativamente piccoli. E frenati, anche da incomprensibili

resistenze sindacali, per esempio sulle opportunità di investimento. Troppa nostalgia dei titoli di Stato.

Timori di perdere posti, incarichi. Il più grande fondo di categoria, Cometa dei metalmeccanici, gestisce

appena 10 miliardi, mentre nel mondo operano autentici giganti previdenziali. Secondo Willis Towers

Watson il valore dei 300 più grandi fondi pensione al mondo è cresciuto del 6,1% nel 2016. Cioè molto

meglio dei nostri. Nella top list, non vi è un solo fondo pensione italiano, l'Enpam, dei medici, al 209esimo

posto. «Negli altri Paesi - è l'opinione di Mauro Maré, presidente di Mefop, la società del ministero

dell'Economia per lo sviluppo dei fondi pensione - tra il 40 e il 60% in media del patrimonio, e mi riferisco a

Stati Uniti, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Svizzera, è investito nell'economia reale. Noi oscilliamo

incredibilmente tra l'1 e il 4%. Un modo di farci male da soli. Eppure stiamo parlando di una massa, nelle

varie tipologie di fondi e casse, che oscilla intorno ai 250 miliardi».

Le opzioni

Come rilanciare questi strumenti? Secondo Maré va ripensata la regola del silenzio assenso con eventuale

disdetta entro sei mesi. «La percentuale di adesione è troppo bassa. Intorno al 25%. In Olanda o nel Regno

Unito si arriva, con il silenzio assenso e una formula di semiobbligatorietà, al 100% di aderenti. In alcuni

Paesi la previdenza integrativa è obbligatoria, io sono contrario. E poi c'è la delicata questione fiscale. Noi

le tasse, nel 2014, le abbiamo di fatto raddoppiate mentre all'estero i rendimenti sono esenti e il prelievo è

solo sulle prestazioni finali. Va valutata inoltre la possibilità che un lavoratore, un professionista possa

aderire a un fondo chiuso anche se estraneo alla categoria. Alcuni fondi sono troppo piccoli e dunque con

costi di gestione percentualmente elevati. I più grandi Cometa e Fonchim hanno rispettivamente 450 mila e

300 mila aderenti. Sotto una certa soglia sarebbe necessario favorire delle fusioni. Non è poi accettabile

quello che accade nelle piccole e medie aziende nelle quali se il dipendente chiede di versare a un fondo il

proprio trattamento di fine rapporto, che vale in media il 7%, rischia addirittura il licenziamento». C'è molta

strada da fare. Non solo nel gestire meglio il risparmio previdenziale ma anche nell'assicurare la tutela dei

diritti dei più deboli.

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1,5% 0,7% 3,4% 2,7% 0,9% 4,9% 0,6% 0,3% 1,4% 1,3% 0,5% 2,8% 2,2% 0,6% 4,1% 0,4% 0,2% 0,9%

1,2% 0,1% 2,4% 1,8% 0,4% 3,5% 0,3% 0,1% 0,6% Le adesioni alla previdenza complementare in Italia.

Dati a settembre 2017 Minimo Massimo 5 anni 10 anni 35 anni Fondi pensione negoziali Fondi pensione

aperti Pip «nuovi» Minimo Massimo Minimo Massimo Fondi pensione negoziali 2.732.624 Fondi pensione

aperti 1.336.086 Pip «nuovi 3.017.363 Pip «vecchi 411.000 Fondi pensione preesistenti 653.000 Totale

iscritti 8.145.572 Quanti stanno investendo sul futuro

Punti di forzaFisco

Chi aderisce alla previdenza integrativa gode di vantaggi fiscali. I contributi versati sono deducibili dal

reddito fino a un importo massimo di 5.164,57 euro. I rendimenti annuali sono tassati con l'aliquota del

20%, invece del 26% previsto per gli altri strumenti finanziari (12,5% per i titoli di Stato). Anche le

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prestazioni finali godono di una tassazione agevolata: si applica un'aliquota del 15%, ridotta se la

partecipazione supera i 15 anni

Contributo aziendale

Chi aderisce ai fondi chiusi beneficia anche di un contributo da parte del datore di lavoro che va ad

aumentare il capitale investito

Punti deboliMercati

Aderire a un fondo pensione o a un Pip e investirvi il Tfr espone ai classici rischi dei mercati finanziari,

mentre la liquidazione mantenuta in azienda è sempre garantita e si rivaluta ogni anno in modo certo: il

75% del tasso di inflazione più un punto e mezzo. Sul lungo periodo, però, le gestioni previdenziali hanno

sempre battuto il Tfr

Rigidità

L'adesione ai fondi pensione non è per sempre, ma le prestazioni si possono chiedere solo al

pensionamento. La legge sulla concorrenza ha semplificato

le regole in caso di perdita

del posto di lavoro

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Paolo Bertoluzzo Alessandra Puato Mr. cartasi (ora Nexi):

meno contanti?

adesso ci penso io 10

S arà che la sua passione sono le immersioni subacquee (l'estate scorsa a Comodo, arcipelago

indonesiano) e può nuotare nei marosi, sarà che viene dalla telefonia ed è abituato a lavorare su offerte e

tariffe flat. Paolo Bertoluzzo ha un mandato difficile: rivoluzionare CartaSi e l'ex gruppo Icbpi, per farne «il

campione nazionale dei pagamenti». Ha cominciato con il cambio di nome: da venerdì 10 novembre

CartaSi non c'è più, è arrivata Nexi, sottotitolo: «Every day, every pay», ogni giorno, ogni pagamento.

Milanese, 51 anni, moglie napoletana e quattro figlie tra gli otto e i 13 anni, Bertoluzzo è amministratore

delegato del gruppo da un anno e mezzo, nominato dai fondi di private equity Advent, Bain e Clessidra che

sono dal 2015 i proprietari di maggioranza al posto delle banche popolari (e vi hanno investito 5 miliardi).

Prima era in Vodafone, capo delle strategie e delle operazioni commerciali del gruppo. Il suo piano:

semplificare i costi delle carte di credito, innovare prodotti e servizi anche per i negozianti con gli smart Pos.

Rendere più facili gli acquisti senza contante anche a rate. E, soprattutto, contribuire a «raddoppiare in

cinque anni dal 20% al 40%» le transazioni digitali in Italia.

Possibile? Oggi il contante dilaga.

«Un giorno tutti i pagamenti saranno digitali, passa di qui la modernizzazione del Paese. Siamo

fermamente convinti che non ci sia alcun motivo per cui una persona debba usare il contante».

Forse l'evasione fiscale?

«È un problema che si andrà a risolvere, ma non è questa la barriera principale allo sviluppo dei pagamenti

digitali in Italia. Sono le abitudini che vanno cambiate. E serve innovazione sui prodotti: quelli che usiamo

noi per pagare e quelli dei commercianti per incassare».

Perché avete cambiato nome?

«Quello di prima non andava più bene per il nuovo corso. Gli azionisti sono cambiati, era necessario

proiettare il gruppo in una dimensione diversa, di vicinanza alle banche e ai clienti (la parola next in Nexi,

ndr. ). E il nome "carta" non riflette il mondo digitale di oggi. A fine 2018 avremo un grande gruppo

focalizzato sui pagamenti, con 3 mila persone contro le attuali 1.700 ».

Quanto le famiglie italiane usano i pagamenti digitali, ora?

«Per 200 miliardi all'anno, su transazioni totali per un trilione di euro: il 20%, appunto. Nel 2015 era il 17%,

ma nel frattempo l'Europa è salita dal 35% al 40% circa. La Francia è già al 45-50% eppure anche lì c'è

l'evasione fiscale; l'Inghilterra è al 65%, i Paesi scandinavi oltre il 75%. La nostra missione è questa, far

raddoppiare la quota. Lavoriamo con oltre 150 banche, gestiamo le carte a loro marchio come nel caso di

Ubi o Mps. Gestiamo circa il 60% del mercato delle carte di credito e dei Pos con i servizi agli esercenti, il

30% degli Atm».

Di quanto può scendere il costo di gestione del contante, che in Italia è di 10 miliardi l'anno nell'ultima

stima?

«Di un miliardo-un miliardo e mezzo, se l'Italia arrivasse ai livelli europei, con transazioni in digitale per 400

miliardi. Ma la prospettiva è cambiata, tanto che i fondi hanno investito nel settore. Questo business richie

de investimenti e assunzioni: per noi, 140 persone solo nell'ultimo anno. Si parla molto di fintech, ma è una

definizione generale: noi siamo la PayTech partner delle banche».

Il 21 novembre partono i bonifici istantanei, sotto i 10 secondi. Costeranno di più?

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«Una rivoluzione, li offriremo anche noi in 0,25 secondi con la nostra piattaforma per le banche. È un

valore aggiunto, i costi li deciderà ogni istituto. Di certo fra qualche anno questo sarà l'unico modo per

trasferire denaro, si potranno usare i bonifici anche per pagare in contrassegno nell'ecommerce».

Intanto però molti esercenti accettano ancora malvolentieri le carte...

«C'è stata poca innovazione sia sulle carte sia sui Pos. Con noi si cambia. L'anno prossimo presenteremo

lo Smart Pos Android, tipo tablet: farà anche da registratore di cassa, accederà alle app. E questa

settimana parte l'app business che consente al commerciante di governare gli incassi: grafici, transazioni,

importo minimo, confronto con i concorrenti. I negozianti si accorgeranno che usare il Pos conviene».

Anche versando una piccola commissione bancaria aggiuntiva, magari. Ma perché non si può ancora

pagare un acquisto sul web con il Bancomat?

«In realtà noi abbiamo già lanciato il primo Bancomat per pagare anche sull'online. Ora stiamo

supportando Bancomat spa nella sua strategia di rilancio ed entro il primo trimestre 2018 lanceremo il

Bancomat contactless (a sfioro, ndr.) . Inoltre abbiamo messo sul mercato una carta come il Bancomat che

consente di pagare anche all'estero. È già disponibile in alcuni istituti come Crédit Agricole Cariparma per i

privati e Creval per le aziende».

I canoni delle carte di credito sono già stati spesso aumentati . È questo dunque il nuovo affare per le

banche?

«In Inghilterra i prezzi sono più alti. Di certo è un settore in evoluzione e noi cambieremo tutto. A partire

dall'anno prossimo con la nostra carta di credito di base si potrà rateizzare un acquisto alla volta da soli,

dall'app. L'abbiamo chiamato "Easy shopping": fai un acquisto normale, per esempio un frigorifero, e decidi

come pagarlo all'istante».

Complesso, visti i tassi dei prestiti.

«No, non è complesso perché ci sarà una commissione di servizio flat, come nella telefonia. Per esempio:

per un acquisto fra i 250 e i 500 euro, si pagano 6 euro al mese per tre mesi. Corrisponde a un taeg, il

tasso annuo effettivo globale, fra il 7,4% e il 15,3% circa. Se poi decidi di estinguere il finanziamento in

anticipo, la commissione già pagata corrispondente al debito residuo ti viene restituita».

Le carte rateali sono costose e difficili da controllare. Voi volete rilanciarle?

«Noi vogliamo rendere l'esperienza d'acquisto più facile per il cliente e semplificare i costi. Anche con

l'evoluzione dei programmi per i dispositivi mobili. Una nostra nuova app, che sostituisce la precedente

MySi, consentirà di monitorare tutti gli acquisti, con il riconoscimento dall'impronta digitale. Abbiamo anche

ricostruito il portafoglio delle prepagate passando da un prodotto a tre, segmentando il mercato: giovani,

extracomunitari e mass market».

Il futuro sarà pagare con le app? «

No. La lotta all'evasione passa dall'innovazione di prodotto. Il 65% dei pagamenti digitali dell'Inghilterra è

stato raggiunto con l'evoluzione di carte di credito e strumenti tradizionali».

Nessuna paura di Paypal e Amazon?

«Il mondo dei pagamenti digitali sarà sempre più affollato, com'è successo per le telecom. Sarà importante

trovare spazi di collaborazione con questi protagonisti. Ad esempio noi con XPay, la soluzione per pagare

l'ecommerce, abbiamo integrato anche PayPal».

I micropagamenti con le carte restano quasi impossibili, però.

«È proprio questa la grande sfida per l'Italia. Capita ancora di leggere: "Non si accettano pagamenti con

carte sotto i 10 euro". Ma c'è una percezione di costo sbagliata. La commissione media è dell'1-1,4%. Ma

l'1,4% di un euro, per un caffè poniamo, è 1,4 centesimi. Non c'è motivo di rifiutare un pagamento».

In effetti, capita che ci si metta un bel po' per pagare con la carta un vestito. Figuriamoci per un caffè...

«Per pagare un caffè possono volerci 20 secondi, è troppo. Nell'era del 5G troppi lettori di carte sono

ancora collegati con la chiamata telefonica. Il nostro obiettivo è diminuire questo tempo, perciò faremo

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funzionare meglio i Pos. Ci teniamo tanto che daremo la possibilità ai 700 mila commercianti che lavorano

con noi di offrire gratis tutti i pagamenti sotto i 10 euro nel 2018. Ci aspettiamo che l'anno prossimo oltre

mezzo milione di commercianti accettino i micropagamenti. Inoltre daremo un servizio di assistenza

premium: intervento giorno e notte in caso di guasto in quattro ore, 90 minuti su Milano e Roma».

Quanto vi costa?

«Svariati milioni, ma servirà a cambiare le abitudini degli italiani».

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Chi è

Paolo Bertoluzzo, 51 anni, laurea in Ingegneria gestionale a Milano e master all'Insead, è dall'11 luglio

2016 amministratore delegato dell'Istituto centrale delle banche popolari (Icbpi) e CartaSi, oggi Nexi (il

presidente è Franco Bernabè). Fino ad allora era in Vodafone, capo delle strategie e operazioni

commerciali del gruppo, dov'è stato amministratore delegato Italia e Sud Europa1939

1985 1997 2013 2015 2016 2017

È l'Istituto centrale delle banche popolari, fondato da sei istituti di credito: Cremona, Intra, Lecco, Lodi,

Luino e Varese, Verona

Costituita da Icbpi con Abi e Italcasse per diffondere la carta di credito, diventerà CartaSi spa. Verrà rilevata

da Icbpi nel 2009

CartaSi tocca il primo traguardo,

le transazioni totali sono già 100 milioni.

Nel 2008 avrà 100 mila imprese clienti

Sono quadruplicate in 16 anni. La spesa degli italiani per l'ecommerce con carte

di credito si avvicina al miliardo di euro

La cordata di fondi Advent, Bain e Clessidra firma l'accordo: acquisterà

l'89% di Icbpi per 2,15 miliardi

I fondi soci rilevano i sistemi di pagamento di Intesa, il gruppo i portafogli esercenti

gestiti da Mps e Deutsche Bank. E Bassilichi

Icbpi-CartaSi diventa gruppo Nexi. Gestisce

27 milioni di carte, 733 mila esercenti,

120 miliardi di euro di transazioni all'anno

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Finanza politica economica Il neo-colbertismo viola principi costituzionali e internazionali oltre ad esporci alrischio di schizofrenia. Da un lato aderiamo all'Ue, al Wto e vogliamo che si investa in Italia, dall'altroerigiamo steccati Perché troppo stato fa male all'economia Nel 2012 i primi «poteri speciali» del governo Oggi il golden power Sabino Cassese La saga

In principio fu la golden share, lo strumento nato nel 1994 all'inizio delle privatizzazioni delle aziende

pubbliche. Con le «azioni dorate» lo Stato si riservava un potere non commisurato al reale peso della quota

con cui poteva restare azionista delle ex aziende pubbliche. L'Italia le ha pensionate nel 2012 - erano fonte

di contenziosi con la Ue - sostituendole con il «gold power», il potere speciale che l'esecutivo può fa valere

nei settori strategici, indipendentemente dall'assetto societario delle imprese in questione

Jean-Baptiste Colbert, il grande ministro di Luigi XIV, è passato alla storia per aver sperimentato la

singolare alleanza di libertà e mercantilismo, tanto che la versione francese di quest'ultimo si chiama

colbertismo. Colbert si dichiarava sostenitore della libertà dei commerci, ma praticò il protezionismo.

Protesse l'industria nazionale proibendo l'ingresso dei prodotti stranieri che potessero far concorrenza a

quelli francesi (questa vicenda è narrata da un grande lavoro storico di Philippe Minard, La fortune du

colbertisme. État et industrie dans la France des Lumières , Fayard, Paris, 1998).

In Italia non abbiamo un Luigi XIV e nei governi i ministri possono al massimo considerarsi dei Colbert in

sedicesimo, ma stiamo sperimentando le stesse contraddizioni, sotto il nome di «leggi antiscorrerie»,

rivolte, in sostanza, a investitori stranieri.

I governi italiani hanno cominciato a fare la voce grossa nel 2012, introducendo «poteri speciali»

dell'esecutivo in alcuni settori. Hanno poi allargato tali poteri. Ora, il decreto legge in corso di conversione in

legge amplia ulteriormente tali «poteri speciali» (chiamati anche «golden power», per nobilitarli) e

appesantisce gli obblighi che ne conseguono.

Ma andiamo in ordine. La legge del 2012 prevedeva obblighi di notifica dei privati investitori e poteri di veto

del governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in quelli dell'energia, dei trasporti e

delle comunicazioni. In questi ultimi casi, in ipotesi di grave pregiudizio per la sicurezza e il funzionamento

delle reti e degli impianti, e per la continuità degli approvvigionamenti. Già questo dovrebbe preoccupare

chi sa quante violazioni dello Stato di diritto sono state commesse nella storia, in nome della sicurezza e

della difesa; conosce la Costituzione italiana secondo la quale all'iniziativa privata possono disporsi limiti,

ma con legge; ricorda che già la denominazione («poteri speciali») costituisce un regime d'eccezione.

Ora, però, con la norma che il Parlamento si accinge ad approvare definitivamente, si fanno tre passi

avanti. Si ampliano i settori nei quali i governi possono intervenire ponendo veti, includendo quelli ad «alta

intensità tecnologica» (che cosa può sfuggire oggi a questa denominazione?) e facendone un primo elenco

esemplificativo. Viene inserito, accanto al pericolo per la sicurezza, il pericolo per l'ordine pubblico (dizione

nella quella storicamente si può far rientrare quasi tutto). Si rimette al governo di stabilire quali sono le

attività «ad alta intensità tecnologica» (dobbiamo quindi sperare nella mitezza dei governi, considerato che

hanno mano libera).

Il neo-colbertismo nostrano contrasta con la politica dei governi italiani e viola principi sia costituzionali, sia

internazionali. Questo allargamento e appesantimento delle norme antiscorreria contrasta, innanzitutto, con

una politica conclamata da tutti i governi degli ultimi venti anni, quella di semplificazione. Il secondo comma

dell'articolo 2 della norma del 2012, la cui portata viene ora ampliata, prevede la notifica al governo dei

seguenti atti: modifiche della titolarità, del controllo e della destinazione degli attivi; cambiamento della loro

destinazione; delibere assembleari e del consiglio di amministrazione di fusione o scissione, trasferimento

all'estero della sede sociale, mutamento dell'oggetto sociale; scioglimento della società; modifica di

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clausole statutarie; trasferimento dell'azienda o di rami di essa; trasferimento di società controllate.

In secondo luogo, la nuova politica protezionistica viola un principio sviluppato dalla Corte costituzionale,

quello di legalità sostanziale. Secondo la Corte, la «riserva di legge» dell'articolo 41, secondo la quale

possono porsi limiti all'iniziativa privata solo con legge, va rispettata non solo dal punto di vista formale, con

una legge che attribuisce poteri, ma anche da un punto di vista sostanziale, disciplinando l'esercizio dei

poteri con legge. Altrimenti, l'esecutivo ha mano libera.

In terzo luogo, anche se le norme antiscorrerie sono diversificate, per imprese europee e per società extra

europee, ci si può chiedere che tipo di liberismo sia quello di coloro che prima auspicano l'abbattimento

delle frontiere economiche (aderendo all'Organizzazione mondiale del commercio e all'Unione europea), e

poi ricostituendole, in nome del nazionalismo economico.

In quarto luogo, le politiche governative che vanno in questa direzione rischiano la schizofrenia. Da un lato,

si introducono veti. Dall'altro, si cerca di rendere il contesto italiano meno ostile agli investimenti stranieri,

(specialmente da quando si sono diffuse le statistiche di Doing business, che collocano l'Italia ad un posto

molto basso nelle classifiche dei Paesi con ordinamenti giuridici favorevoli all'investimento straniero).

Infine, gli autori di queste politiche sembrano ignorare che l'Italia investe a sua volta all'estero, che acquista

imprese straniere, che fa parte di conglomerati multinazionali. Non ci sono da temere ritorsioni?

L'argomento che qualche Paese ha introdotto norme simili (ma meno pesanti) non funziona, perché, se a

ogni colpo straniero rispondiamo come Pier Capponi a Carlo VIII, finiremo per ristabilire steccati economici

nazionali peggiori di quelli che ci portarono a tante guerre.

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Norme antiscorreria più larghe e più pesanti contrastano con lo sforzo di semplificare che ha unito gli

intenti dei vari esecutivi degli ultimi vent'anni

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Finanza Il riassetto del credito la mossa di mustier così cambio governance Saccomanni verso la presidenza dopo sei anni con Vita. Ma anche due vicepresidenti in meno Il primobilancio del piano «Transform 2019» si annuncia positivo e in Borsa il titolo ha fatto +46% in un anno Nella«short list» per la nomina al vertice c'erano anche Carlo Salvatori e Alberto Cribiore Fabrizio Palenzona si èdimesso in anticipo, guiderà Prelios e lascerà spazio al futuro presidente Fabrizio Massaro B

anchiere centrale, ministro dell'Economia nel governo Letta, professore alla Luiss nonché, dal 2016 visiting

professor alla Scuola Affari internazionali di Parigi: era questo l'ultimo incarico in curriculum per Fabrizio

Saccomanni. Da mercoledì 8 il direttore emerito di Banca d'Italia può aggiungere quello di consigliere di

amministrazione di Unicredit nonché la designazione a «candidato ideale alla presidenza» per il triennio

2018-2021 della banca. Sarà un buon modo per festeggiare i suoi 75 anni, il prossimo 22 novembre.

Saccomanni è stato selezionato dal board di Unicredit in una rosa di papabili individuata dal cacciatore di

teste Egon Zehnder che via via si è fatta sempre più ristretta e che prevedeva nomi altrettanto validi come

Carlo Salvatori o Alberto Cribiore. Per la sostituzione dell'italo-tedesco Giuseppe Vita, che a 83 anni

lascerà la presidenza dopo sei anni al vertice, le stringenti regole della Bce impongono automatismi che

restringono le possibilità di scelta da parte di consiglieri e soci. Ma pochi hanno dubbi che Saccomanni -

romano, laurea alla Bocconi, specializzazione a Princeton in Usa - fosse in pole position, anche nelle

preferenze di Mustier. Nonché, naturalmente, non fosse gradita a Draghi, di cui Saccomanni è stato a lungo

il più stretto collaboratore come direttore generale di Via Nazionale, incarico che ha ricoperto fra il 2006 e il

2013.

Certamente nella scelta di Saccomanni ha giocato un ruolo chiave, come ha riconosciuto lo stesso

presidente uscente, il fatto di possedere «una straordinaria esperienza del settore bancario ed una

profonda conoscenza del contesto regolamentare europeo unitamente ad un ampio network di relazioni

internazionali di cui la banca potrà beneficiare». Non che Mustier non abbia rapporti diretti ai massimi livelli

con Francoforte. Ma certamente un ex banchiere centrale ed ex politico - per di più con un profilo da

tecnico - aiuterà, anche se il presidente di una banca non ha ruoli operativi. Ma soprattutto ha pesato la

nazionalità.

La scelta su Vita era caduta anche per il fatto che il top manager siciliano avesse sviluppato l'intera carriera

in Germania - è stato ai vertici di Schering ed è numero uno dell'editore Axel Springer - e quindi poteva

essere un interlocutore per l'anima tedesca di Unicredit, rappresentata da soci storici Allianz e dalla

presenza forte nel Paese con Hvb.

Adesso, dopo il colossale aumento di capitale da 13 miliardi di euro che ha stravolto la compagine

azionaria, con le fondazioni ridotte a circa un 6% collettivo e i fondi istituzionali in maggioranza - insomma,

un profilo da public company - non era scontato neppure che il rappresentante legale di Unicredit fosse

italiano. Alla fine Saccomanni ha messo d'accordo tutti.

Il farlo entrare in anticipo nel board sulla scadenza naturale del prossimo aprile è stato l'ultimo colpo di

Fabrizio Palenzona, che si è dimesso dopo tre mandati in vista della nomina a presidente di Prelios, su

designazione del nuovo socio americano Davidson Kempner, che ha comprato le quote (anche) di

Unicredit. Pure questa uscita è il segno che nella banca costruita da Alessandro Profumo, tenuta in piedi da

Federico Ghizzoni negli anni della crisi e rilanciata da Mustier - che per questo ha voluto carta bianca dai

soci per le operazioni straordinarie - è davvero finita un'epoca.

Mustier centra con Saccomanni anche l'obiettivo di alzare il livello qualitativo del board a 15 membri che lo

stesso consiglio uscente proporrà all'assemblea dei soci. Sarà questa la novità che verrà introdotta nello

statuto il prossimo 4 dicembre, se approvata dai soci. E, nella stesura della lista, Saccomanni avrà un ruolo

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attivo, è spiegato nella nota della banca. I posti saranno di meno e ci sarà un solo vicepresidente anziché i

tre attuali: dopo Palenzona, anche Luca Cordero di Montezemolo potrebbe preferire un passo indietro per

concentrarsi sulla quotazione di Ntv; potrebbe forse restare l'attuale vicario Vincenzo Calandra Buonaura,

al suo terzo mandato.

Mustier, che il 12 dicembre prossimo a Londra traccerà un primo bilancio del piano triennale «Transform

2019», potrà rivendicare la sua visione che una governance chiara e adeguata agli standard di una grande

banca internazionale fa bene al titolo. La Borsa finora gli ha dato ragione. Attualmente il titolo vale 16,80

euro, con un rialzo del 46% in un anno e una capitalizzazione di oltre 37 miliardi. Una volta giunto a termine

il piano potrebbero tornare in auge le voci su una maxi-operazione straordinaria, una fusione che creerà un

autentico colosso pan-europeo. A settembre erano circolati rumors su colloqui tra emissari di Piazza Gae

Aulenti e il governo di Angela Merkel per una fusione con Commerzbank, di cui Berlino è azionista

importante con il 15%. Buonaura l'aveva bollata come «una bufala». Ma contatti ci sarebbero stati davvero.

Di sicuro si tratterà di una decisione (anche) politica. E avere un ex ministro ex regolatore come presidente

sarà una carta - pesante - in più da giocare.

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20 miliardi Il rafforzamento complessivo del gruppo di Piazza Aulenti 13 miliardi L'aumento di capitale,

la parte cash del rafforzamento. E' il più grande fatto in Italia

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Fabrizio Saccomanni

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Jean-Pierre Mustier

13/11/2017Pag. 16 N.44 - 13 novembre 2017

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L' INTERVISTA Imprese multinazionali tricolori Menarini Farmaceutica orgoglio italia Lucia Aleotti: il nostro Paese è il secondo hub produttivo in Europa. Milano si merita l'Ema La quotazione inPiazza Affari? Non ci pensiamo. Il contenzioso fiscale con lo Stato Il gruppo fattura 3,5 miliardi. È noto alpubblico per il VivinC, ma è specializzato nell'oncologia «I big esteri hanno costruito qui centri di produzionemondiale. Non è casuale» Raffaella Polato D ei target (aziendali) dice: «Per definizione si spostano sempre in avanti». Del settore in cui opera (e da

leader, non soltanto a livello nazionale): «L'Italia ha smesso di colpevolizzare la farmaceutica, ha

finalmente capito che è un fattore non di costo ma di crescita». Del Paese, di conseguenza (forse): «Pur se

il dialogo con la pubblica amministrazione resta spesso difficile, negli ultimi anni sono stati fatti grossi passi

avanti. E questo ci ha aiutato a diventare una delle mete in assoluto più attrattive, anche per i colossi

mondiali».

Lucia Aleotti lo sottolinea più e più volte. Un po' con orgoglio, come quando aggiunge che «solo logiche

geopolitiche, senza nulla a che vedere con la sostanza delle cose, potrebbero far perdere a Milano la sede

dell'Agenzia europea per il farmaco». Un po' con qualcosa che assomiglia alla rivendicazione.

Comprensibile. Il Paese di cui per molti aspetti lei tesse le lodi non ne discute i meriti imprenditoriali:

l'azienda di famiglia di cui è presidente, la Menarini, è oggi una multinazionale da 3,5 miliardi di fatturato

che esporta il 73% di quello che produce (al grande pubblico è nota per il VivinC o il Fastum Gel, ma la sua

vera specializzazione è l'oncologia), dà lavoro a poco meno di 17 mila persone (e nove su dieci sono

laureati o tecnici superspecializzati), investe massicciamente soprattutto in Ricerca & Sviluppo (sui 280

milioni l'anno solo lì), gioca da top player in Europa (è dodicesima in classifica) e su scala globale

(trentaseiesima). Con Lucia Aleotti soggetto fiscale, e con il fratello Alberto (che del gruppo è

vicepresidente), lo Stato ha però un lungo e pesante contenzioso. Nel settembre 2016 il processo di primo

grado si è concluso con una condanna a 10 anni e sei mesi per lei, sette anni e sei mesi per lui. Parlerà

anche di questo, ovviamente.

L'azienda, intanto. La redditività industriale è invidiabile: 411 milioni su 3,5 miliardi di ricavi significano un

margine vicino al 12%. Non vi siete però mai più avvicinati al picco di mezzo miliardo, ovvero il 17%, del

2011. Che cos'è successo?

«Che il 2011, novembre, è stato l'anno dell'ingresso Menarini nel mercato Asia-Pacifico. Abbiamo acquisito

l'Invida Group e aperto la sede di Singapore: un grosso investimento, per noi, che si è tradotto nella

compressione dei margini. Ma deve guardarlo in prospettiva. È una scelta di crescita per i prossimi dieci,

quindici anni. L'Asia-Pacifico è una delle aree del mondo a maggior tasso di sviluppo, non potevamo non

esserci».

E adesso che ci siete? I target «fatti per essere sempre spostati in avanti», come dice lei, al momento dove

sono arrivati?

«L'obiettivo è mantenere una crescita robusta e un'azienda sana, dunque senza indebitamento. A meno

che non capiti una grossa occasione, chiaramente».

Perdoni: se capitasse, l'occasione, perché non pensare alla Borsa anziché alle banche? Allergia familiare a

Piazza Affari?

«Ma no. È che il capitale raccolto in Borsa richiede di essere remunerato con un flusso continuo di

dividendi, e noi preferiamo reinvestire gli utili nell'azienda. Con ciò non si chiude nessuna porta: cosa c'è

nel futuro non lo possiamo sapere, e se l'occasione fosse grossissima...».

Nell'immediato, invece, cosa c'è? Come chiuderà il 2017?

« Questo è l'anno in cui è scaduto un brevetto che per noi significava mezzo miliardo di ricavi. Quando dico

che il nostro obiettivo è mantenere una crescita robusta, intendo che nemmeno fattori come questo - un

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farmaco brevettato che diventa farmaco generico - devono poter pesare più del dovuto. Pensiamo di poter

arrivare comunque a 3,6 miliardi di fatturato».

A proposito: quanto dura un brevetto?

«Troppo poco. Vent'anni: ma l'orologio inizia a segnare il tempo quando si è ancora in fase di ricerca,

perché è evidente che il farmaco viene brevettato subito».

E la ricerca richiede?

«Tra i dieci e i dodici anni di tempo, una media di un miliardo di investimenti. Per recuperarli, come vede,

non resta molto».

Comunque più che sufficiente, a giudicare dai profitti. Vostri e di tutta l'industria farmaceutica. Sintesi: la

ricerca «paga».

«E fa bene al Paese. L'Italia è ormai il secondo hub produttivo europeo e continua a crescere, esporta

tantissimo, big come Novartis e Pfizer hanno scelto di costruire qui centri di produzione mondiale. Non è

casuale. Alla ricerca uniamo una produzione tecnologica altamente specializzata e il risultato, anche se non

se ne parla mai, è che la farmaceutica è un'eccellenza italiana. Esattamente come la moda, o la

meccanica, o le auto».

Una bandiera, quindi.

«Di più. La dimostrazione di come l'Italia possa avere un futuro se punta su questo: ricerca e alta

tecnologia».

Di quel possibile futuro il gruppo Menarini continuerà a far parte? O il contenzioso con il Fisco, e poi la

condanna in primo grado, hanno fatto pensare a lei e a suo fratello almeno all'ipotesi di spostare la sede

all'estero?

« Chiariamo. Primo: l'azienda è assolutamente estranea, e la centralità dell'Italia nella nostra politica,

anche fiscale, è dimostrata dal fatto che il gruppo realizza qui il 27% del proprio fatturato ma qui paga il

60% di tutte le sue tasse. Fanno oltre due miliardi, negli ultimi 15 anni. Mi pare sia significativo: dovrebbe

farci riflettere sulle ragioni per cui molti grandi gruppi nazionali trasferiscono la residenza all'estero, o

vengono semplicemente venduti. Detto questo, ovviamente mi esimo dal commentare la sentenza, ma non

posso non notare che è stato considerato atto di riciclaggio l'utilizzo dello scudo fiscale, cioè di una legge

dello Stato. E qui mi fermo».

Qui in realtà, al di là del caso personale e di quanto stabilirà poi il secondo grado di giudizio, lei apre un

altro capitolo: quello dei grandi gruppi, e ormai anche dei medi, che traslocano verso Paesi più tax friendly.

Paesi dell'Unione europea, non paradisi fiscali caraibici. L'Italia è «attrattiva», per usare la sua definizione,

più per gli stranieri che per le imprese della Repubblica?

«Diciamo che ho visto molti dibattiti e molti sforzi, giusti, per capire come attrarre capitali dall'estero. Sta

accadendo. Quello che non ho mai visto trattare è invece il tema "come mantenere le aziende qui e non

farle scappare". Che è quello che stanno facendo».

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Vertici Lucia Aleotti, alla guida con il fratello Alberto del gruppo Menarini

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Investimenti L'intervista I tassi? Resteranno bassi Dropkin (Fidelity): il minor impegno della Fed è già nei prezzi. Puntiamo sulle emissioni societarie europee Gabriele Petrucciani Eccessivo debito globale, invecchiamento della popolazione e scarsa produttività. Sono i tre fattori

strutturali che manterranno bassi i tassi, a vantaggio dell'investimento obbligazionario. Non ha dubbi Martin

Dropkin, head of credit research di Fidelity International, che non si mostra intimorito neanche di fronte al

possibile tapering della Bce: «A oggi il mercato sta già prezzando un ribilanciamento del quantitative

easing, che potrebbe ridursi da 60 a 40 miliardi. Il suo effetto, quindi, sarebbe nullo».

E se l'alleggerimento nell'acquisto di titoli fosse più aggressivo?

«In tal caso ci potrebbe essere un'estensione del Qe, accompagnato da un rialzo contenuto dei tassi. Ma

sarà solo temporaneo. Non ci aspettiamo un incremento stabile dei tassi, in quanto ci sono dei fattori

strutturali che tendono a mantenerli bassi. Certo, nel breve potremmo vedere un po' di volatilità, ma nel

medio termine ci aspettiamo che i tassi siano dove si trovano oggi. In Europa, ma anche negli Usa».

Negli Stati Uniti, però, i tassi potrebbero essere messi sotto pressione (rialzista ) dalla riforma fiscale

prospettata da Trump. Non crede?

«Se mi avesse fatto questa domanda un mese fa avrei risposto che il mercato obbligazionario non stava

prezzando una possibile riforma fiscale. Ora, invece, in seguito al piano di riforma prospettato da Trump, i

tassi sono leggermente saliti. Detto questo, sulle politiche del governo americano non mi sento di fare

previsioni. Quello che posso dire, però, è che un'eventuale riforma eserciterà sicuramente una pressione

rialzista sui tassi. Ma il nostro scenario non verrebbe messo in discussione, in virtù sempre dei trend di

lungo periodo (eccessivo debito, invecchiamento della popolazione e scarsa produttività, ndr) che

continueranno a esercitare una pressione ribassista sui tassi».

In questo contesto, come costruire un portafoglio obbligazionario?

«Siamo costruttivi sui corporate bond a elevato merito creditizio, in particolare in Europa, dove il mercato è

supportato anche dal trend di crescita dei costi di copertura valutaria verso il dollaro (l'investitore europeo

ha un motivo in più per comprare bond europei, ndr ). Sugli Stati Uniti, invece, abbiamo un posizionamento

neutrale. L'inflazione a stelle e strisce salirà entro la metà del 2018 dall'attuale 1,7% al 2,5% e questo trend

non è ancora prezzato».

Quindi c'è spazio anche per i bond legati all'inflazione...

« In America sì, le inflation linked possono essere un valido strumento per proteggersi dall'aumento del

costo della vita. In generale, poi, guardiamo con favore anche ai convertible bond, che possono

rappresentare un'interessante opportunità d'investimento».

E negli Emergenti c'è del valore?

«La nostra preferenza va soprattutto al debito societario in dollari. In valuta locale, invece, ci piacciono

particolarmente l'Ungheria e il Perù».

Quali i settori più promettenti?

«I nostri fondi sono posizionati in maniera difensiva alla luce del restringimento degli spread, quindi siamo

focalizzati sui fondamentali delle singole aziende piuttosto che sui settori, sempre con un obiettivo

difensivo. Fatta questa premessa, ci sono settori più difensivi di altri. Tra questi ci piacciono le telecom,

dove guardiamo a specifiche aziende i cui fondamentali e il cui management team ci sembrano

soddisfacenti. Le opportunità legate a comparti come l'innovazione tecnologica, invece, possono essere

colte meglio attraverso l'investimento azionario. Lato bond infatti siamo inclini a evitare le aziende che

potrebbero essere penalizzate dall'innovazione tecnologica e in tutti i nostri comparti obbligazionari

restiamo focalizzati sul contenimento del rischio e la difesa da possibili sorprese indesiderate».

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Un mondo di debiti In%del Pil, media ponderata 190% 195% 200% 205% 210% 215% 220% 225% 2003

2005 2007 2009 2011 2013 2015

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Martin Dropkin

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 - 13/11/2017 32

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LA VERA ROTTA Una strategia per chiudere l'emergenza Salvatore Padula L'Unione europea, da molti anni, non perde occasione per ricordarea ogni nostro governo che «il sistema

fiscale dell'Italia non favorisce la crescita e l'efficienza dell'economia». Con altrettanta ostinazione,

Commissione e Consiglio raccomandano da tempo misure finalizzate a trasferire il carico fiscale sul lavoro

e sulla produzione verso imposte meno penalizzanti per la crescita, rispettando il principio della neutralità di

bilancio. L'Europa, quindi, continuaa ripeterci che le tasse non sono tutte uguali. Belleo brutte che siano,

alcune rappresentano inevitabilmente un ostacolo allo sviluppo, mentre altre offrono almeno il vantaggio di

non appesantire i fattori produttivi. Ma se guardiano all'ultimo decennio, nei cambiamenti della

composizione del prelievo tributario è possibile intravedere una strategia finalizzata ad assecondare le

esigenze di un'economia moderna? Risposta complessa, ovviamente. L'ossatura del sistema fiscale ha

cercato, per così dire, di pararei colpi di una crisi economico­finanziaria che giustamente è stata definita

come la più profonda di sempre per il nostro Paese. Una lunga crisi dalla quale solo ora cominciamo a

uscire ma dalla quale fatichiamo comunque a riprenderci. In questo contesto di grande depressione, è

come se il sistema fiscale non sapesse bene quale direzione prendere e con la pesantissima responsabilità

di continuarea garantire un adeguato afflusso di risorse nel bilancio dello Stato, nonostante gli andamenti

congiunturali. Per avere un'idea, lo scorso anno, a consuntivo, il gettito di tasse e imposte in Italia ha

superato i 516 miliardi di euro, al lordo di 44 di poste correttive, arrivati da tributi erariali veri e propri (451),

tributi degli enti locali (56)e incassi da ruoli (9). Continua pagina 10 Come riesce, il Fisco, a tenere il passo

di queste esigenze? Beh, lo fa come può, cercando di navigare tra i mari agitati delle fasi economiche. Se

crollano i redditi, l'Irpef e l'Ires ne risentiranno certamente. Se i consumi arrancano, stessa sorte toccherà

all'Iva. Ed ecco allora spuntare alcune "scialuppe", sapientemente varate a turno tra le onde della

congiuntura, che sebbene non abbiano potuto evitare la forte riduzione del gettito complessivo che si è

vista in alcuni anni, ne hanno almeno limitato l'impatto. Ed è esattamente quel che è successo: con i redditi

in calo si è scelto di spingere l'acceleratore sulla tassazione dei patrimoni: gli immobili (tutt'ora) e il

risparmio (tra il 2012 e il 2013) hanno dato grandi soddisfazioni all'Erario. Per inciso, la Ue continua a

insistere sul prelievo immobiliare ignorando che in questi anni le tasse sul mattone sono praticamente

raddoppiate, pur con l'esenzione della prima casa. O ancora: si è deciso di ridurre i trasferimenti agli Enti

locali e alle Regioni, lasciando alle autonomie il lavoro sporco di aumentare - almeno fino a quando è stato

possibile farlo - le aliquote dei loro tributi. Per i consumi, dove si è comunque portata al 22% l'aliquota Iva

ordinaria, si è guardato ad alcuni comparti nei quali la composizione del prezzo finale di un bene è talmente

complessa e soggetta a fluttuazioni internazionali da consentire quasi di "nascondere" gli aumenti delle

aliquote del prelievo fiscale, come è accaduto per le accise sui carburanti, con un aumento della

componente fiscale del 15% in un decennio, pur in presenza di una riduzione dei consumi del 19% tra il

2010 e il 2016 (fonte: Unione petrolifera). Oppure, si pensi a giochi e lotterie, con un gettito a +34% dal

2008 a oggi: è cresciuto il volume degli importi giocati, perché si sono moltiplicane le occasioni e i luoghi di

gioco, ma è anche cresciuta la quota di "scommessa" che finisce allo Stato. Insomma: in questi ultimi 10

anni non si vede una grande strategia fiscale. Anzi, il passato è la conferma di un sistema che deve fornire

risposte sulla continua emergenza legata al gettito, un po' come ha ricordato Massimo Miani, presidente dei

commercialisti, solo pochi giorni fa. Ora, è ovvio che il gettito sia e debba essere la prima preoccupazione

di ogni sistema fiscale. Quel che però si vuol dire è che si vedono ancora pochi tentativi, che pure in alcuni

casi ci sono stati (gli incentivi su ammortamenti e Industria 4.0, per citarne un paio), di un uso intelligente e

orientato alla crescita della leva fiscale. Proprio come insiste la Ue. Su Irap e Ires, si dirà, sono state fatte

scelte virtuose. Verissimo, ma non si può ignorare che la riduzione di queste imposte sia e sia stato (anche)

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l'effetto dell'arretramento delle attività economiche. Inoltre, le nostre aziende continuano ad essere

penalizzate nel confronto internazionale, con un tax rate ben oltre il 60 per cento. Senza dire che

comunque sul sistema produttivo, oltre a tributi erariali e locali di ogni tipo, pesano anche oltre 200 miliardi

di euro di contribuiti sociali, in gran parte pagati proprio dalle imprese e dai loro lavoratori. Un po' di aiuto

arriverà ora con gli sgravi della legge di Bilancio. Il che è positivo. Tuttavia, è innegabile che sul fronte

fiscale, in chiave crescita, si sarebbe potuto fare molto di più, specie se i risparmi della spending review

fossero stati in linea con quanto ci si era illusi di poter ottenere. Non dobbiamo scordare che persino le

citatissime clausole di salvaguardia, con l'aumento delle aliquote Iva - congelate anche nel 2018 per un

importo di 15,7 miliardi, ma che puntualmente si ripresenteranno per il 2019 - nascevano anni prima come

garanzia nel caso in cui non si fossero realizzati i promessi tagli di spesa pubblica. È comprensibile, e forse

normale, che a qualche mese dalle elezioni si sia preferito evitare di affrontare la campagna elettorale con il

fardello di aliquote Iva più salate. La cosa che però sorprende è che l'aumento dell'Iva sia ormai da tutti

considerato ineluttabile: un destino già scritto per il prossimo futuro. Quasi che nessuno abbia il coraggio di

dire che resta comunque aperta la via dei tagli agli sprechi e alla spesa pubblica improduttiva. Non

dimentichiamolo. O almeno impegniamoci a non lamentarcene quando l'Iva aumenterà. u Continua da

pagina 1

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Super Fisco, il conto della crisi Il prelievo sale al 42,6% - Irpef locale e casa al top dei rincari, giù Irap e Ires Cristiano Dell'Oste Giovanni Parente pIrpef locale e prelievo sulla casa al top dei rincari fiscali. Dal 2008 a oggi è cresciuto del 31,7% il gettito

dell'addizionale regionale all'imposta sui redditi delle persone fisiche, che a fine anno dovrebbe arrivare a

toccare quota 12 miliardi di euro. Mentre la tassazione degli immobili ­ passata da varie denominazioni (Ici,

Imu, Tasi) e modifiche su presuppostie platea ­ è stata oggetto quasi di un raddoppio nell'arco dell'ultimo

decennio fortemente caratterizzato dalla crisi economica. Nel complesso la pressione fiscalea fine anno

dovrebbe attestarsi al 42,6% rispetto al Pil: un dato (al lordo del bonus 80 euro) che segna una crescita sul

2008 ma in miglioramento rispetto ai picchi del 2012­2013. Si riduce, invece, il gettito Ires e Irap per effetto

delle modifiche legilsative rispettivamente su aliquote e deduzioni. pagina 3 Qualsiasi imprenditore,

lavoratore e professionista italiano potrebbe dirvi che le imposte sono alte. E i dati dell'Istat e della nota di

aggiornamento al Def certificano che nel 2017 la pressione fiscale sul Pil rimarrà più elevata rispetto ai

livelli pre­crisi: 42,6% (al lordo del bonus 80 euro, altrimenti sarebbe 42%) contro il 41,3% del 2008. Ma

nell'arco di dieci anni ci sono tributi che hanno visto crescere - e di molto- il proprio peso,e altri che invece

sono diventati più leggeri. Molti dei rincari maggiori riguardano i tributi locali, a partire da Imu e Tasi, ma

anche le addizionali comunale e regionale all'Irpef. In calo, invece, il gettito di Ires e Irap su società,

imprese e autonomi. Mentre i due tributi più importanti per le casse pubbliche - l'Irpef e l'Iva - non sembrano

aver subito variazioni sostanziali rispetto al 2008, anche se gli incassi derivanti dall'imposta sul valore

aggiunto hanno visto nel corso degli anni una riduzione più marcata e poi una ripresa, legata tra l'altro al

rincaro di due punti percentuali dell'aliquota ordinaria (dal 20 al 22%)e al meccansimo dello split payment

(si veda anche l'articolo sotto). D'altra parte, proprio per scongiurare l'aumento dell'Iva (e delle accise) dal

prossimo 1° gennaio, se ne va il grosso delle risorse stanziate con la manovra di Bilancio 2018: circa 15,7

miliardi tra collegato fiscale e disegno di legge, cui se ne aggiungono altri 6,4 per il 2019. Il tutto mentre si

apre già la lunga volata della campagna elettorale, con candidati e partiti intenti a rilanciare l'eterna

promessa di taglio delle tasse in cima alle proprie agende. Senza dimenticare gli allerta in arrivo dalla

Commissione europea, che sul finire della scorsa settimana è tornata a far filtrare qualche perplessità sulla

tenuta dei conti pubblici. Ecco perché guardare come si è mosso il gettito dei principali tributi nel periodo

più buio della crisi economica può aiutare a capire quale potrebbe essere il trend dei prossimi anni. La

corsa (e lo stop) dell'Imu Paradossalmente, il maggior incremento di gettito è una buona notizia peri

contribuenti, perché riguarda la cedolare secca, regime opzionale che riduce l'incidenza dell'Irpef sui redditi

delle locazioni abitative e - secondo gli stessi documenti governativi - contribuisce ad arginare il fenomeno

degli affitti in nero. Secondo la proiezione a fine 2017 basata sul preconsuntivo dei primi nove mesi

dell'anno, la tassa piatta sfiorerà i 2,5 miliardi (+248% rispetto al 2011, in cui peraltro il debutto avvenne in

corsa e tra mille incertezze). Fatta questa eccezione, agli altri aumenti di gettito corrisponde un incremento

del tax rate vero e proprio. Rispetto al 2008, l'aumento maggiore è ancora quello di Imu e Tasi, che pure

vivono una stagione di "tregua" dopo il blocco dei rincari dettato dalla legge di Stabilità 2016 (e riconfermato

per l'anno prossimo): compreso il saldo del 16 dicembre, quest'anno i due tributi immobiliari porteranno

nelle casse dei Comuni e dell'Erario un gettito quasi doppio rispetto all'Ici del 2008: circa 20,8 miliardi

contro 10,9 (dato, quest'ultimo, attualizzato per rendere possibile il confronto a parità di potere d'acquisto).

Anche le addizionali comunale e regionale all'Irpef vedono un andamento analogo e si sono stabilizzate nel

2016 dopo essere state usate per "scaricare" sulla tassazione locale almeno una parte della stretta

tributaria seguita all'emergenzaspread di fine 2011. I primi sgravi su utili e lavoro Guardando anchei tributi

erariali, nell'attuale "mix delle tasse" si intravedono, di fatto, due componenti. Da un lato, negli anni peggiori

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della crisi si è cercato di recuperare gettito dove era possibile senza colpire ulteriormentei redditi di lavoroe

di pensione su cui gravano già le ritenute Irpef (dagli immobili, ma anche dalla benzina, dai giochie dai

bolli), e gran parte di questi rincari pesano ancora oggi sulle tasche dei contribuenti. Dall'altro, dal 2014 si è

iniziato ad alleggerire la pressione fiscale in alcuni settori, nel tentativo di far ripartire i consumi o, a

seconda dei casi, la produttività. Categoria in cui ricadono il bonus degli 80 euro o il al taglio dell'Irap sulla

componente lavoro o ancora, dall'anno d'imposta 2017, alla riduzione dell'Ires al 24 per cento. Il trend delle

imposte dal 2008 a oggi La variazione del gettito dei principali tributi tra il 2017 e il 2008 in termini reali.

Dato 2008 rivalutato a parità di potere d'acquisto, dato 2017 proiezione sui primi nove mesi dell'anno In

milioni di euro 2008 2017 Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore del Lunedì su dati Entrate tributarie Irpef Iva

Ires Accise su carburanti, gas ed energia Irap Imu e Tasi Imposte sui giochi Addizionale regionale Irpef

Imposta sui tabacchi Sostitutive e ritenute su rendite finanziarie 180.875 132.375 52.872 28.240 42.271

10.886 10.169 9.118 11.501 13.661 182.438 127.982 34.275 32.597 23.553 20.853 13.624 12.005 10.397

8.685 +0,9% -3,3% -35,2% +15,4% -44,3% +91,6% +34,0% +31,7% -9,6% -36,4%

LA PAROLA CHIAVERitenute d'imposta 7 Sono le somme trattenute direttamente da datori di lavoro ed enti pensionistici nelle

buste paga e nelle pensioni. Tramite questo meccanismo, viene riscossa la maggior parte dell'Irpef. Altri

tributi, sia diretti che indiretti, vengono invece versati in autoliquidazione dal contribuente che "calcola" in

proprio l'imposta dovuta: è il caso dell'Irpef pagata da autonomi e imprese, dell'Ires e dell'Irap, oltre che dei

pagamenti periodici dell'Iva e dei tributi immobiliari (Imu e Tasi).Il quadro dei tributi principali L'evoluzione

del gettito dei principali tributi dal 2008 al 2017. I dati delle annualità fino al 2016 sono rivalutati a prezzi

correnti 2017 con l'indice Istat Foi. Il dato 2017 è una proiezione sul trend delle entrate preconsuntive dei

primi nove mesi dell'anno. Dati in milioni di euro 2017 Irpef 182.438 Iva 127.982 Ires 34.275 Accise su

energia, gas e carburanti (1) 32.597 Irap 23.553 Tributi immobiliari Imu e Tasi (2) 20.853 Imposte sui giochi

(3) 13.624 Addizionale regionale irpef 12.005 Imposta sui tabacchi 10.397 Sostitutive e ritenute su rendite

finanziarie (4) 8.685 Bollo 6.262 Registro 4.845 Addizionale comunale irpef 4.484 Assicurazioni 3.199

Cedolare secca sugli affitti 2.477 Canoni radio e tv 1.897 Tasse e imposte ipotecarie 1.601 Tassazione

sugli acolici (5) 1.330 Concessioni governative 1.008 Tasse auto 577 La pressione fiscale in rapporto al Pil

Dati in %. Dato 2017 stima contenuta nel Def al lordo del bonus 80 euro Irpef Il gettito in termini reali ha

raggiunto il minimo nel 2014. Il trend è legato principalmente al calo dei redditi Iva L'aliquota ordinaria è

salita al 21% a settembre 2011 e al 22% il 1° ottobre 2013. Dal 2015 debutta lo split payment Ires Il taglio

dell'aliquota al 24% scatta dal 2017. Per il passato pesano la crisi e (in misura minore) gli incentivi come

l'Ace Accise su energia, gas e carburanti (1) Il prelievo sui prodotti energetici - carburanti in primis - cresce

nonostante il calo dei consumi legato alla crisi Irap Trend in calo consolidato, nonostante i rincari per gli

extradeficit sanitari. Dal 2016 detassazione completa del lavoro Tributi immobiliari Ici Imu e Tasi (2) Il balzo

avviene nel 2012 con l'Imu. L'esenzione prima casa spiega i cali (relativi) del 2013 e degli ultimi due anni

Imposte sui giochi Bollo Registro (3) La tassazione sui giochi, più volte rivista nel corso degli anni, è

cresciuta anche con le nuove forme di gioco 42 175.000 125.000 60.000 45.000 30.000 35.000 30.000

25.000 35.000 30.000 20.000 10.000 8.000 Addizionale regionale Irpef Imposta sui tabacchi 12.000 42.271

10.886 Prelievo su rendite finanziarie (4) Addizionale comunale Irpef Assicurazioni 16.000 Cedolare secca

sugli affitti Canoni radio e Tv 20.000 T asse e imposte ipote car ie Tassazione sugli acolici (5) Tasse auto

44 40 190.000 160.000 140.000 110.000 50.000 Conce ssioni gover native 2008 2009 2010 2011 2012

2013 2014 2015 2016 2017 41,3% 180.875 132.375 52.872 28.240 10.169 41,8% 172.717 123.803 37.890

29.122 35.979 10.346 11.938 165.287 115.635 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 9.118 8.894

8.846 8.855 10.977 10.744 11.060 11.447 12.027 12.005 5.989 6.295 5.973 5.874 6.312 7.810 7.837 7.261

5.967 5.212 5.393 4.958 4.198 3.925 4.302 4.300 3.019 3.161 3.091 3.070 3.308 3.936 4.201 4.345 1.253

1.185 1.122 1.141 1.072 1.109 1.293 1.262 683 41,6% 41,6% 653 43,6% 43,6% 637 43,4% 43,4% 32.616

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34.195 30.773 25.209 11.131 1.755 1.747 1.745 1.697 1.639 1.581 1.389 1.098 584 42,6% 182.438 34.275

23.553 13.624 -3,3% -35,2% -44,3% +1,3% +0,9% +15,4% Note: (1) accise sui prodotti energetici e

derivati, gas naturale per combustione e gas incondensabili; accisa su energia elettrica e addizionali;

imposta di consumo su oli e bitumi di petrolio; (2) include Ici (fino al 2011), Imu (dal 2012) e Tasi (dal 2014);

(3) include lotto (al lordo delle vincite), attività di gioco e imposte su apparecchi di gioco. Escluse le lotterie

istantanee; (4) include sostitutive e ritenute interessi, altri redditi di capitale e plusvalenze; (5) include

accise e imposta di consumo su spiriti e birra

Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore del Lunedì su dati Entrate tributarie, Istat e Def 42,7% 127.982 32.597

2016 2017 11.501 11.546 11.531 11.530 11.205 10.495 10.407 10.764 10.817 10.397 13.661 13.563 6.809

6.388 9.439 10.876 10.184 11.245 675 660 601 20.853 9.130 8.685 6.878 6.262 4.787 4.845 4.546 4.484

3.429 3.901 3.646 3.243 3.134 3.066 2.969 3.104 3.135 3.199 711 1.064 1.505 1.723 2.034 2.389 2.477

1.805 1.829 1.839 1.815 1.797 1.797 1.756 1.740 2.026 1.897 2.656 2.267 2.222 2.165 1.941 1.874 1.537

1.539 584 1.599 1.601 1.311 1.330 958 1.008 604 577 -36,4% -18,8% -39,7% Variazione % 2017/2008 -60

-40 -20 -42,6% -9,6% -6,7% -14,5% 0 20 40 60 +91,6% +34,0% +4,6% Var. % 2017/2011 +5,1% +6,1%

+31,7% 80 100 +48,5% +248,1%

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I prestiti ripartono, il reddito resta indietro Francesca Barbieri Chiara Bussi Le condizioni di salute dell'economia italiana migliorano, ma restano ancora un po' anemiche. Nonostante

la revisione al rialzo delle stime sul Pil per il 2017 da parte della Commissione europea, il cruscotto di 16

indicatori indivi­ duati dal Sole 24 Ore mostra che il recupero è avvenuto a ritmi diversi e con numerose

sfaccettature. Da un lato ripartono prestiti, mutui e la ricchezza finanziaria delle famiglie, anche grazie alle

mosse della Bce. Dall'altro Pil e reddito disponibile procapite restano al palo. I più distanti dal traguardo

sono le compravendite di case e le immatricolazioni di auto. Ancora in affanno tutte le voci legate ai

consumi, dai beni durevoli ai generi alimentari, passando per abbigliamento e calzature. In controtendenza

le spese legate alla cultura, quelle per telefonia, alberghi e ristoranti. In ripresa il credito al consumo, dove

avanzano "surroghe" e rifinanziamenti. pagina 2 Pil in crescita dell'1,5 per cento, 22,9 milioni di occupati,

consumi oltre mille miliardi e 800mila case vendute. Si presentava così l'Italia nel 2007 alla vigilia di una

crisi che dal sistema finanziario ha contagiato l'economia reale. La cadutaè stata pesantee dopo l'anno

nero del 2013 lo stato di salute del paese ha iniziato lentamentea migliorare, ma le tracce del malessere si

intravedono ancora oggi. Dieci anni dopoa che punto siamo nel percorso di risalita? Il Sole 24 Ore ha

messo sotto la lente 16 indicatori con il fermo immagine al 2016 per misurare la distanza dall'anno "zero".

Proprio la settimana scorsa la Commissione europea ha alzato le stime sul Pil: rispetto allo 0,9% previsto a

marzo il nostro paese crescerà secondo Bruxelles dell'1,5%, lo stesso ritmo di dieci anni fa, dopo l'1% del

2016. È presto però per cedere a facili trionfalismi, perché siamo il fanalino di coda nella Ue, lo stesso

esecutivo comunitario si aspetta una frenata per il 2018, il ritmo di recupero non è stato per tutti lo stesso e

presenta numerose sfaccettature. Velocità diverse di risalita Timidi sprazzi di luce si intravedono sul

mercato del lavoro. Gli occupati, che già lo scorso anno erano a un soffio dalla meta, sono tornati ai livelli

precrisi nel corso del 2017, dopo il calo consistente che ha portato nel 2013 alla perdita di 900mila posti

rispetto ai 23 milioni del 2008. Il recupero ha riguardato però solo i lavoratori "maturi", mentre tra i giovani

gli occupati sono diminuiti del 33,7% in dieci anni nella fascia di età trai 15 e i 24 anni e del 27,4% in quella

tra i 25 e i 34 anni. Restano distanti dal traguardo le compravendite di case e le immatricolazioni di auto.

Continuano poi ad arrancare tutte le voci legate ai consumi, da quelli totali ai beni durevoli, passando per

alimentari, vestiti e calzature, senza contare che Pil pro capite e reddito disponibile sono ben lontani dai

livelli del 2007 . Hanno invece già superato la quota precrisi gli indicatori finanziari, dall'erogazione di mutui

al credito al consumo. Spicca il dato della ricchezza finanziaria netta che ha proseguito il trend al rialzo del

2015. «È l'effetto ­ spiega Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica all'università Cattolica di Milano ­

della forte immissione di liquidità effettuata dalla Bce con il quantitative easing, ma anche del maggior

flusso di prodotti finanziari e assicurativi». Nel corso degli anni si è assistito, però, a un incremento della

concentrazione delle attività finanziarie: secondo l'ultima rilevazione della Banca d'Italia le famiglie più

ricche detengono il 65% del totale, sei punti percentuali in più rispetto al periodo prima della crisi. Spesa

per cultura in crescita Tra le tante ombre qualche piccolo segnale incoraggiante c'è: gli italiani tornano a

spendere per la cultura e nel 2016 hanno sborsato 68,4 miliardi superando i 67,3 miliardi del 2007, dei quali

ben il 43% per teatro, cinema, musei e concerti. La tendenza non ha però la stessa portata in tutto il Paese.

La spesa media mensile è infatti nettamente superiore al Centro­Nord (circa 160 euro) rispetto al Sud (90

euro) edè legatoa doppio filo al reddito disponibile. E il confronto con gli altri Paesi europei ci situa ancora

una volta sotto la media. «Il quadro è dunque ancora in chiaro­scuro ­ conclude Campiglio ­: la ripresa c'è ma

è ancora anemica e rimarrà fragile fino a quando non si risolleveranno i consumi. Per accelerare

l'avvicinamento al traguardo servono incentivi mirati, anche fiscali, per migliorare il potere di acquisto delle

famiglie,a partire dai redditi più bassi. Occorre anche puntare su un consumo sostenibile, premiando la

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qualità ambientale dei consumi durevoli, e potenziando le infrastrutture civili».Il cruscotto degli indicatori

Confronto tra 16 indicatori che fotografano lo stato di salute dell'economia italiana dal punto di vista delle

famiglie. Per ciascuno sono riportati i dati relativi al 2007, 2016 e l'anno in cui si è registrata la peggiore

performance. Ponendo come base 100 l'anno 2007 si è calcolato il valore del 2016. Il colore rosso indica

un livello ancora al di sotto al periodo precrisi, quello verde un livello al di sopra 29.000 27.000 25.000

INDICE 2007 = 100 60 70 80 90 100 110 120 130 140 23,0 22,5 22,0 Dati in euro 28.713 2007 INDICE

2007 = 100 60 70 80 90 100 110 120 130 140 22.000 21.000 20.000 INDICE 2007 = 100 1.000.000

500.000 2016 65 0 PIL PRO CAPITE 2016 90 OCCUPATI In milioni 22,9 2007 25.900 22,8 LIVELLO

MINIMO REDDITO DISPONIBILE LORDO Importo in euro pro capite 21.689 2007 2016 99 21.411 2016

2016 20.694 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 COMPRAVENDITA DI CASE Numero di abitazioni

acquistate su base annua 808.827 2007 INDICE 2007 = 100 99 2016 2016 528.865 2016 25.400 2013

LIVELLO MINIMO 22,2 2013 LIVELLO MINIMO LIVELLO MINIMO 403.124 2013 60 70 80 90 100 110 120

130 140 50 25 0 3.500 3.000 700 600 500 70 55 40 EROGAZIONI DI MUTUI Dati in miliardi di euro 47,4

2007 INDICE 2007 = 100 2.500 2.960 2007 INDICE 2007 = 100 PRESTITI 525,7 2007 INDICE 2007 = 100

49,7 2016 2016 105 In miliardi di euro CREDITO AL CONSUMO 59,8 2007 3.239 2016 2016 109 Stock di

fine anno. Dati in miliardi di euro 697,8 60,6 2016 LIVELLO MINIMO RICCHEZZA FINANZIARIA NETTA

DELLE FAMIGLIE 2016 19,1 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 LIVELLO MINIMO 2.618 2011 60 70

80 90 100 110 120 130 140 LIVELLO MINIMO 618,5 2008 60 70 80 90 100 110 120 130 140 INDICE 2007

= 100 2016 133 Erogazioni in miliardi di euro LIVELLO MINIMO 45,4 2013 60 70 80 90 100 110 120 130

140 2016 101 1.000 950 900 INDICE 2007 = 100 60 70 80 90 100 110 120 130 140 100 80 60 2.700 2.550

2.400 Spesa per consumo in miliardi di euro - valori concatenati (2010) 60 70 80 90 100 110 120 130 140

50 40 30 CONSUMI TOTALI Spesa per consumi finali in miliardi di euro - valori concatenati (2010) 1.001,1

2007 2016 96 BENI DUREVOLI 90,3 2007 INDICE 2007 = 100 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 87

SPESA MENSILE Spesa media mensile per consumi delle famiglie in euro 2.649 2007 INDICE 2007 = 100

2016 95 BENZINA E GASOLIO Consumo in miliardi di litri 47,6 2007 INDICE 2007 = 100 2016 80 961,8

2016 78,1 2016 2.524 2016 38,2 2016 LIVELLO MINIMO 924,7 2013 LIVELLO MINIMO 65,8 2013

LIVELLO MINIMO 2.471 2013 LIVELLO MINIMO 37,7 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 Fonte:

elaborazione Il Sole 24 Ore su dati agenzia delle Entrate, Assofin, Autorità per l'Energia, Banca d'Italia,

Eurostat, Istat, Federculture, Centro studi Promotor e Unirec 3,0 1,5 0 140 130 70 60 50 70 65

IMMATRICOLAZIONI AUTO In milioni di unità 2,5 2007 INDICE 2007 = 100 60 139,1 2007 65,6 2007 1,8

2016 GENERI ALIMENTARI INDICE 2007 = 100 INDICE 2007 = 100 124,4 2016 VESTITI E CALZATURE

SPESA IN CULTURA LIVELLO MINIMO 1,3 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 73 120 Spesa

per consumo in miliardi di euro - Valori concatenati (2010) 67,3 2007 INDICE 2007 = 100 62,4 2016

LIVELLO MINIMO 122,3 2014 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 89 Spesa per consumo in miliardi di

euro - Valori concatenati (2010) LIVELLO MINIMO 59,9 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 95 In

miliardi di euro 68,4 2016 63,9 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 102 LIVELLO MINIMO

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IMPRESE IMPRESA & TERRITORI I 50 emergenti del Made in Italy Micaela Cappellini Ci sono la pasta Andriani e gli abiti Twin set, le bollicine Ferrari e i mobili da ufficio Estel: sono i cinquanta

marchi emergenti da tenere d'occhio secondo Icm Research. Sono piccole e medie aziende italiane forti sui

mercati internazionali, che mostrano tassi di crescita e di redditività doppi rispetto alla media del loro

settore, e che potrebbero essere nel mirino di fondi e altre imprese. pagina 13 Ci sono piccoli gioielli di

nicchia come il pastificio Andriani, un fatturato da 36 milioni di euro e una specializzazione nelle farine

senza glutine. E ci sono aziende di medie dimensioni come la Twin set, che ha un giro d'affari di oltre 230

milioni l'anno e che conta su una rete di 78 boutique a marchio proprio sparse per il mondo, da Montreal in

Canada a Jedda in Arabia Saudita. «Eccellenze di oggi, multinazionali di domani», le definisce Aldo

Scaringella, fondatore di Legalcommunity, che alla Icm Advisors ha commissionato la quarta edizione della

ricerca "Fashion, food, furniture brands­ Il valore dei marchi delle aziende 3F". Il risultato è una short list di

50 Pmi ad alto potenziale: perché hanno un marchio forte, perché puntano sull'internazionalizzazione,

perché hanno un fatturato che cresce due o tre volte più velocemente della media del loro settore e perché

della media sono due volte più redditive. Alcune di queste imprese verranno premiate il 28 novembre 2017

a Milano, durante l'evento SaveTheBrand 2017. Le aziende sotto la lente sono comprese frai 30ei 300

milioni di euro di fatturato annuo e appartengono a tre settori chiave del Made in Italy nel mondo, la moda

l'arredamento e l'alimentare. Prese tutte insieme, queste 50 Pmi valgono un giro d'affari di 4,1 miliardi di

euro. Alcune sono Spa, altre rimangono società a responsabilità limitata. Tutte esportano. Ma per fare il

vero salto di qualità sui mercati internazionali occorrerebbe loro quell'ingrandimento dimensionale che solo

l'arrivo di nuovi capitali può dare. Bond, quotazione in Borsa, fondi di investimento o acquisizioni: quanti di

questi gioielli del Made in Italy sono veramente pronti? Spiega Pierangelo Biga, presidente e

amministratore de­ legato di Icm Advisors, società specializzata nella valutazione dei beni immateriali delle

aziende: «Dei mille brand ad alto potenziale che per la nostra ricerca monitoriamo ogni anno, più o meno

un terzo è stato coinvolto in operazioni di M&A per mano di un'altra impresao di un fondo. E di anno in anno

cresce la quota di queste imprese che finisce nel mirino degli investitori». Eppure, non tutti vedono di buon

occhio il mondo della finanza: «Di fondi interessati alla mia azienda ne ho incontrati tanti ­ spiega Alberto

Stella, presidente del marchio di arredamenti Estel ­ tutti pongono attenzione ai numeri, nessuno alla

domanda e al mercato. Preferisco molto di più cercarmi un buon partner industriale, magari con una

dimensione aziendale superiore alla mia». In Italia la produzione dell'industria agroalimentare ­ che ha

chiuso il 2016 con un giro d'affari di 132 miliardi di cui 38 provenienti dalle esportazioni­ sta assistendo in

particolare al boom di due sottosettori. Uno è il biologico, che nel 2016 ha fatturato 1,3 miliardi,è cresciuto

del 20%e conta già su 5,2 milioni di fami­ glie che ne acquistano i prodotti regolarmente tutte le settimane.

L'altro è il segmento dei cosiddetti "prodotti senza" (glutine, caffeina o lattosio per esempio), che hanno

superato il tetto dei 2 miliardi di euro di vendite all'anno. Ed è proprio in questi due comparti che stanno

nascendo alcune delle nostre Pmi più eccellenti: «Il tema della sostenibilità si sta rivelando vincente ­ spiega

Biga ­ in Italia e all'estero cresce l'appeal del biologico sia come prodotto finito, sia come materia prima. La

sostenibilità è una filosofia sempre più trasversale anche ad altri settori: penso per esempio ai pannelli per

costruire i mobili, oppure alla moda green». L'ecologia non è l'unico tema in crescita: «Nella prossima

edizione della lista ­ dice Aldo Scaringella di Legalcommunity ­ oltre ai marchi che puntano sulla sostenibilità,

mi aspetto di veder aumentare il numero delle aziende vinicole, che stanno andando molto bene all'estero,

come insegna il caso delle bollicine Ferrari nella classifica di quest'anno».Tre brand sotto la lente

GIANVITO ROSSI PEDON ESTEL

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Tra le venti piccole e medie imprese del comparto fashion selezionate nella classifica Icm Research sui 50

migliori marchi del Made in Italy, la GGr è quella che tra il 2013 e il 2016 ha messo a segno il tasso di

crescita medio annuo più alto del fatturato, pari al 41,4%. Sotto la sigla di questa Srl del distretto

calzaturiero di San Mauro Pascoli, in provincia di Forlì si nasconde lo stilista Gianvito Rossi, figlio d'arte di

Sergio Rossi, patron dell'omonimo marchio di calzature. Quello che viene considerato uno dei designer più

promettenti del segmento delle calzature di lusso ha debuttato con una linea Tra le venti piccole e medie

imprese del comparto alimentare selezionate nella classifica Icm Research sui 50 migliori marchi del Made

in Italy, la Pedon è quella che tra il 2013 e il 2016 ha messo a segno il tasso di crescita medio annuo più

alto del fatturato, pari al 50,6%. La produzione dell'azienda si concentra su c ereali e legumi bio (nella foto)

e negli alimenti senza glutine. Due comparti, questi, che stanno mostrando tassi di crescita ben superiori

alla media dell'intero comparto alimentare. Il biologico, per esempio, in Italia ha raggiunto un giro d'affari di

1,3 miliardi di euro nel 2016, quasi il 20% in più rispetto alla performance dell'anno precedente, e Tra le

dieci piccole e medie imprese del comparto arredamento selezionate nella classifica Icm Research sui 50

migliori marchi del Made in Italy, la Estel è quella che tra il 2013 e il 2016 ha messo a segno il tasso di

crescita medio annuo più alto del fatturato, pari al 26,3%. Oltre la metà del giro d'affari della Srl, oggi,

deriva dalla divisione arredamento per ufficio. Un segmento, questo, che nel 2016 in Italia ha fatto

registrare uno dei tassi più alti di crescita nel settore arredamento: +7,5% rispetto al 2015, contro una

media del comparto del 2 per cento. Nel 2015 Estel si è aggiudicata una propria di creazioni per il pubblico

femminile nel 2007 (nella foto, uno stivaletto della collezione 2017­2018) e da allora si è imposto come uno

dei marchi emergenti dell'Italian style nel mondo. Da quest'anno, alla linea donna, ha affiancato la sua

prima collezione uomo. Il marchio Gianvito Rossi esporta ben il 90% delle sue collezioni e vanta una rete di

negozi monomarca nelle principali città della moda tra cui Milano, Parigi, Hong Kong, Londra, New York e

Miami. Nel 2016 la Ggr di Gianvito Rossi ha messo a segno un fatturato di 76,8 milioni di euro e vanta un

Ebitda medio 2014­2016 al 34,8% vanta oltre 5,2 milioni di famiglie che lo acquistano tutte le settimane, in

crescita di un milione rispetto al 2015. I prodotti «senza» (glutine, lattosio, colesterolo o caffeina, per

esempio) sviluppano invece un fatturato di oltre 2 miliardi di euro e nel 2016 hanno messo a segno una

crescita del 4,2%. Pedon applica la filosofia green non soltanto ai prodotti, ma anche ai processi di

produzione: per esempio, utilizzando soltanto energie rinnovabili, oppure ricorrendo a materiale totalmente

riciclabile per gli imballaggi. Il suo fatturato 2016 è stato pari a 68,2 milioni di euro. commessa di prestigio:

la fornitura delle pareti di cristallo antisismiche per la nuova sede della Apple a Cupertino (nella foto), un

progetto che copre 280mila metri quadrati firmato da Norman Foster. A febbraio, invece, Estel aprirà uno

showroom da mille metri quadrati a Shanghai, che rappresenta il primo sbarco dell'azienda sul mercato

cinese. Tra i più promettenti, oggi, per l'arredamento made in Italy: nel 2016 l'export italiano di settore verso

questo Paese è cresciuto del 20 per cento. Il fatturato 2016 di Estel è stato pari a 109,1 milioni di euro. I

marchi sotto la lente L'andamento dei settori in Italia nel 2016. Dati in miliardi di euro Fatturato comparto

52,8 MODA Crescita attesa 2017 +1,8% Brandart Bric's Confezioni Peserico Cris Conf. (Pinko) Diadora

Sport Diamant (Dmt) Eurojersey Sensitive Fabrics Fontana Pelletterie Gentili Mosconi GGr Gianvito Rossi

Giada (Jacob Cohen) Grisport Isaia E Isaia Mabi International Manifattura Valcismon (Sportful - Karpos)

Moleskine Piquadro Premiata Sportswear C. (Stone Island) Twin Set

70,0 37,2 44,4 162,9 153,0 76,5 56,0 86,0 30,3 76,8 69,1 158,0 39,3 50,0 63,7 103,7 67,2 30,7 98,9 231,1

ALIMENTARE Fatturato comparto 132 Vendite online 2016 +45% I 50 marchi delle Pmi che crescono di più

in Italia e fatturato 2016. In milioni di euro Andriani Bertagni Birra Forst Biscotti P. Gentilini Caffè Trombetta

Distilleria Caffo Ferrari Golfera in Lavezzola La Linea Verde (Dimmidisì) La Regina Di San Marzano

L'aromatika Luigi Zaini Molino Rossetto Monviso Noberasco Pedon Red Lions (Mutti) Rigoni Di Asiago

Roncadin Ruffino 36,2 55,3 113,4 30,1 144,8 50,0 63,6 44,3 144,8 54,8 71,9 71,5 76,5 36,0 121,9 68,2

229,9 105,6 94,8 92,5 ARREDAMENTO Fatturato comparto 18,5 Vendite in Cina 2016 +20% Arredo 3

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Cattelan Italia Estel Fivep Flexform Foscarini Gibam Shops Giessegi Industria Mobili Minotti Yachtline

Arredomare 1618 124,5 59,0 109,1 40,6 65,9 44,8 30,2 127,5 100,0 38,3 Fonte: Rapporto «Fashion, Food,

Furniture brands - Il valore dei marchi delle aziende 3F» di Icm Research

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Lo scontro generazionale Pensioni, si avvicina lo sciopero della Cgil Oggi vertice decisivo Gentiloni-sindacati ma sul blocco dell'aumento dell'età i margini di trattativa sonostretti ROSARIA AMATO ROMA. Accordo in salita tra governo e sindacati sulle pensioni: oggi incontro decisivo, ci saranno anche il

premier Paolo Gentiloni, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e quello del Lavoro Giuliano Poletti.

«Le aperture del governo sono del tutto insufficienti - rileva il segretario confederale della Cgil Roberto

Ghiselli - i lavoratori che avrebbero accesso alla pensione di vecchiaia sarebbero poche migliaia, non i 15-

20 mila calcolati dal governo. E poi l'attuale meccanismo è distorto, perché se l'aspettativa di vita cresce

aumenta l'età pensionabile, se diminuisce invece non cala». Se il governo non dovesse venire incontro alle

richieste dei sindacati, «saremo costretti a intensificare le iniziative di mobilitazione della nostra gente»,

dice Ghiselli, aggiungendo, in un'intervista al Gr1, che si valuta anche «un eventuale sciopero generale,

possibilmente in maniera unitaria». La Cisl invece mostra una maggiore apertura verso l'ipotesi che lo stop

al momento riguardi solamente i lavori usuranti: «L'importante è incrementare l'intesa, attraverso un

allargamento della platea dei lavori gravosi e un allentamento dei requisiti, a cominciare dagli anni richiesti,

perché se diciamo che per accedere alla pensione di anzianità si devono avere almeno sei anni di contributi

negli ultimi sette prendiamo in giro i lavoratori agricoli. - sottolinea il segretario confederale della Cisl Gigi

Petteni - . Un rinvio generalizzato non risolverebbe il problema: meglio definire le categorie e proseguire il

confronto».

Palazzo Chigi con molta probabilità rimarrà però fermo sulle proprie posizioni, frenato dai vincoli di spesa,

e dall'esigenza di non cambiare le carte in tavola rispetto agli impegni presi con la Ue. Anche se il

Parlamento potrebbe forzare la mano all'esecutivo, votando emendamenti che vadano ben più in là delle

proposte messe in campo finora. Il governo mette sul tavolo l'esenzione dall'aumento dell'età pensionabile

per le categorie di lavori gravosi già individuate dalla normativa sull'Ape, alle quali si aggiungerebbero i

lavoratori agricoli, marittimi, siderurgici e i pescatori (difficile pensare ad altre categorie come i vigili del

fuoco o i postini, anche se ci sono richieste in questa direzione), una proroga al 2019 per l'Ape volontaria, e

una messa a regime della Rita, l'anticipo pensionistico. Inoltre accoglie la proposta dell'istituzione di un

comitato tecnico scientifico del quale farebbero parte anche Inps, Inail e Istat, oltre che rappresentanti dei

sindacati e dei ministeri del Lavoro, dell'Economia e della Salute. Il comitato avrebbe il compito di

riformulare i meccanismi di aumento dell'età pensionabile, «rompendo gli automatismi che la norma

prevede», dice Ghiselli. Mentre però per il governo il lavoro della commissione riguarda i futuri aumenti, dal

2021 in poi, per la Cgil e la Uil la commissione dovrebbe invece lavorare «a bocce ferme».

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2044 Il sorpasso degli anziani Tra ventisette anni un terzo degli italiani avrà più di 65 anni, la spesa previdenziale salirà al18% del Pil Enel 2065 il numero dei decessi doppierà quello delle nascite Boeri: "La denatalità e il calo dell'immigrazioneci obbligheranno a cambiare la previdenza" Il Mezzogiorno è destinato a spopolarsi: si stimano 5,2 milionidi persone in meno Shock demografico con l'addio al lavoro dei baby boomers MARCO RUFFOLO Inostri figli e nipoti lo ricorderanno come il più grande tsunami demografico che si sia mai abbattuto sulla

società italiana. E a causa sua saranno costretti a rimetter mano per l'ennesima volta alla riforma

previdenziale: lo dice lo stesso Inps.

Tre onde anomale resteranno in particolare impresse nella loro memoria. La prima arriva nel 2032: è

l'anno in cui vanno in pensione tutti in una volta un milione e 35 mila baby boomers, un picco assoluto.

Sono i neonati del 1964. Quell'anno, che già vede esaurirsi la forza propulsiva del miracolo economico, e

che ricordiamo per il completamento dell'Autostrada del Sole, per i jukebox nei bar e per il colpo di Stato

tentato dal generale De Lorenzo, segna un record di culle che non si ripeterà mai più nella storia d'Italia. Da

allora le nascite cominceranno a rallentare fino alle 473 mila di quest'anno. Ma il crollo, dice l'Istat,

continuerà ancora, finché nel 2032, mentre quel milione di sessantottenni lasceranno il lavoro, nei reparti di

maternità ci saranno non più di 450 mila neonati.

Secondo choc demografico: 2044. È l'anno in cui ci si accorge che il rapporto tra giovani e anziani si sta

progressivamente ribaltando. Gli italiani si contano e scoprono di avere molte più rughe e capelli bianchi:

tra di loro ci sono quasi 8 milioni di under 54 in meno rispetto a vent'anni prima, e 6 milioni in più di over 65,

ormai un terzo di tutta la popolazione. Il motivo è che stanno invecchiando le gigantesche classi dei baby

boomers (quelle nate tra la metà degli anni 50 e dei '70), e questo fatto spezza tutti gli equilibri. A

cominciare da quello pensionistico. La spesa previdenziale raggiunge un picco imprevisto, il 16,3% del Pil,

ma l'Eurostat la prevede ancora più alta: 18,3%. Il problema è che a rimpolpare la popolazione attiva, a

sostenere con i loro contributi il sistema pensionistico italiano, non contribuiscono più come prima gli

immigrati, fin qui una sorta di ciambella di salvataggio dei nostri conti pubblici e demografici. Nelle sue

ultime proiezioni la Ragioneria generale dello Stato prende tutti di sorpresa. Le stime di qualche tempo fa

sono ormai superate: proprio intorno al 2044 il flusso di immigrati si riduce dai 233 mila annui inizialmente

attesi a 155 mila. Un saldo pur sempre positivo, ma fortemente ridimensionato. Senza mezzi termini, si

ipotizza che gli immigrati preferiscano, come comincia a succedere già oggi, i Paesi del Nord Europa al

nostro. In Italia resteranno i lavoratori meno qualificati, spesso i più disperati. Il risultato è che alla fine,

nonostante l'aumento dei requisiti di età pensionabile al crescere della speranza di vita, e nonostante

comincino a uscire dal lavoro persone con la pensione calcolata tutta con il sistema contributivo, intorno al

2044 la spesa pensionistica schizzerà più in alto del previsto. Terza e ultima onda anomala: 2065. È l'anno

in cui il numero dei decessi doppia quello delle nascite: 850 mila contro 422 mila. L'invecchiamento e la

denatalità nel nostro Paese arrivano a tal punto che la popolazione, prevista inizialmente in leggera

crescita, vede sparire rispetto ad oggi 7,1 milioni di persone e si avvia malinconicamente verso quota 50,

dai 60 milioni attuali. Per la verità, senza il contributo degli immigrati (che pur ridimensionato pesa ancora

molto) i residenti calerebbero addirittura del doppio.

E siccome l'immigrazione è prevista concentrarsi quasi esclusivamente nel Centro-Nord, alla fine è il

Mezzogiorno a spopolarsi si più e in modo drammatico: 5,2 milioni di persone in meno.

L'età media nazionale raggiunge il massimo: 50 anni. Le donne toccano per la prima volta i 90 anni di

speranza di vita. Ma il 2065 è anche l'anno in cui la spesa pensionistica, dopo il picco di vent'anni prima,

torna a ridursi in rapporto al Pil. Come mai? Il motivo va sempre ricercato in quello che succede alla

foltissima schiera dei baby boomers, il vero asse portante del nostro sistema demografico e previdenziale.

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Dopo essere andati in pensione tra il 2020 e il 2040 pesando inevitabilmente sui conti previdenziali, adesso

i figli del miracolo economico passano semplicemente a miglior vita, per via dell'età. La Ragioneria usa una

terminologia un tantino tranchant per comunicarcelo: l'inversione di tendenza della spesa pensionistica -

scrive nel suo ultimo rapporto - «si spiega con la progressiva eliminazione delle generazioni del baby

boom». Le nascite continuano a battere la fiacca, ma almeno i contributi dei nostri figli e nipoti non

dovranno più pagare la pensione a quella sterminata massa di vecchietti.

Tutto risolto, dunque, con la loro "eliminazione"? Non proprio. Quelle ondate demografiche lasceranno più

di un segno al loro traumatico passaggio.

Lo lasciano soprattutto sui conti pubblici, creando uno squilibrio sempre maggiore tra i contributi via via

versati dai lavoratori (ridotti dalla denatalità e dalla bassa occupazione) e le pensioni da coprire con quei

contributi (gonfiate dalla crescente longevità degli anziani).

L'effetto finale è un maggior debito pubblico di oltre 30 punti percentuali, dice la Ragioneria, circa 51

miliardi di euro di qui al 2070. Ma l'Eurostat parla addirittura di 117 punti in più. Ovviamente, questo non è

un problema che imponga una immediata soluzione: i prossimi dieci-quindici anni saranno ancora

finanziariamente coperti dalle riforme messe in campo, ma successivamente non basterà più l'aumento

previsto dei requisiti di età, non sarà sufficiente l'effetto calmierante del sistema contributivo. «Ragionando

nel lungo periodo, di qui al 2070 - conferma il presidente dell'Inps, Tito Boeri - se non ci saranno nel

frattempo più immigrati regolari e/o più nascite, sarà necessario fare un'altra riforma pensionistica, perché

la demografia vanificherà quelle già fatte. C'è tutto il tempo per rimediare, ovviamente, ma non illudiamoci

di avere risolto il problema». Se così stanno le cose, pensiamo a cosa potrebbe succedere nei prossimi

decenni se si interrompesse di colpo l'adeguamento dell'età pensionabile alla speranza di vita, come

vorrebbero oggi alcune forze politiche, spinte evidentemente da una pressante motivazione elettorale.

L'Inps ha stimato questo eventuale costo aggiuntivo in 140 miliardi, che si sommerebbero ai 51 che si

dovranno comunque trovare in assenza di nuovi immigrati o di una ripresa della natalità. Siamo disposti a

lasciare in sospeso questo debito enorme sopra la testa dei nostri figli e nipoti? Come cambierà la

popolazione italiana 18,5% 21,7% 0-19 anni 20-54 anni 55-65 anni 65 e oltre 2015 Popolazione totale

Classi di età 60,8 milioni 11,2 28,6 7,8 13,2 47,2% 12,6% milioni milioni milioni milioni Fonte: Ragioneria

generale dello Stato 32,3% 13,4% 0-19 anni 20-54 anni 55-65 anni 65 e oltre 2040 Popolazione totale

Classi di età 16,0% 59,2 38,4% milioni 9,4 22,7 7,9 19,1 milioni milioni milioni milioni 33,1% 12,9% Classi di

età 2065 Popolazione totale 0-19 anni 20-54 anni 55-65 anni 65 e oltre 53,7 8,8 20,3 6,9 17,8 milioni milioni

milioni milioni 16,4% 37,6% milioni -7,1 Variaz.

sul 2015 in milioni -2,4 -8,3 -0,9 +4,5

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"Il direttore finanziario è cambiato ora deve fare i conti con i big data" INTERVISTA A ROBERTO MANNOZZI, PRESIDENTE DELL'ANDAF, L'ASSOCIAZIONE DEI CHIEFFINANCIAL OFFICER, E A SUA VOLTA CFO DI FERROVIE DELLO STATO: "CI VIENE SEMPRE PIÙRICHIESTA UNA PIANIFICAZIONE A MEDIO E LUNGO TERMINE, SU CUI L'AD PRENDERÀ LEDECISIONI" Adriano Bonafede Roma Niente e nessuno rimane fuori dala rivoluzione digitale, nemmeno i chief financial officer. «Se fino a

ieri siamo stati soprattutto "manager dei conti", oggi dobbiamo diventare sempre di più "manager dei dati».

A parlare è Roberto Mannozzi, direttore centrale amministrazione bilancio e fiscale del gruppo Fs e

presidente dell'Andaf, l'associazione nazionale dei direttori amministrativi e finanziari, nata da ormai quasi

cinquant'anni, che conta 1700 soci. Dottor Mannozzi, la vostra è una categoria numerosa e sicuramente

sempre più importante all'interno delle aziende: siete i garanti dell'informativa finanziaria e attraverso di voi

passano tutti i flussi economici e finanziari delle imprese, ma come siete distribuiti all'interno di Andaf ?

«Degli attuali 1700 associati, circa 200 vengono dal mondo accademico e da quello della consulenza e

revisione contabile. Altri 200 sono i cfo di medio-grandi e grandi aziende. Gli altri 1.300 circa sono i dirigenti

finanziari delle piccole medie aziende, ovvero il cuore pulsante del tessuto delle imprese italiane. Ma tutti,

anche questi ultimi, devono essere pronti ad abbracciare il cambiamento digitale, che sta impattando

sempre più la vita delle aziende». Qual è la direttrice di questo mutamento? «Non possiamo non prendere

in considerazione il mondo dei "big data". Chi, come il chief financial officer, sui dati e sulle informazioni

finanziarie ha da sempre un ruolo e una responsabilità di gestione e di certificazione non può non tener

conto ormai, nella sua attività, di questo enorme e crescente flusso di informazioni che arriva sempre meno

dall'interno dell'impresa e sempre più da fonti esterne». Come affrontate questa problematica? «Il cfo deve

lavorare per rafforzare la sua figura di garante della affidabilità delle informazioni finanziarie e gestionali che

circolano in azienda, per cui dovrà sempre più assumere il ruolo di attento selezionatore di questi dati, per

fungere da "cerniera" tra la massa di informazioni disponibili, il management operativo che gestisce il

business e il ceo, che deve prendere le decisioni strategiche. Perché ciò sia possibile dobbiamo investire

quindi sulle nostre competenze. Sino ad oggi il team del direttore finanziario vedeva soprattutto la presenza

di risorse provenienti da studi in economia e finanza e, più raramente, in ingegneria gestionale. D'ora in

avanti nei nostri team dovranno essere sempre di più presenti nuove figure professionali come gli "esperti

di analytics" e i "data scientist"». Un ruolo più difficile di un tempo... «Certamente diverso. Considerata la

crescente numerosità e velocità con cui dati e informazioni di natura finanziaria affluiscono in azienda, il cfo

deve essere capace di interpretare il suo ruolo mettendo a disposizione dei suoi "business partners"

aziendali dati elaborati in tempo reale, utilizzando le nuove tecnologie abilitanti che il mondo digitale sta

offrendo, come ad esempio l'automazione dei processi transazionali più ripetitivi attraverso tecniche di

robotica, o l'utilizzo di sistemi di "blockchain" per la regolazione finanziaria di alcune tipologie di operazioni.

Su questo ci si è confrontati lungamente durante il nostro recente congresso nazionale di fine ottobre a

Perugia». Poiché la trasformazione in atto è assai rapida, non c'è il pericolo che qualche vostro associato

rimanga un po' indietro sul fronte della rivoluzione digitale? «Il rischio è più che reale, soprattutto per i

direttori finanziari delle Pmi. Tanto che la nostra associazione si è già posta l'obiettivo di lavorare ad

un'offerta formativa rinnovata che introduca anche specifici approfondimenti sull'evoluzione digitale. Del

resto l'Andaf ha già avviato da tempo molte partnership con parecchie università sul territorio nazionale per

dei "master" dedicati al ruolo manageriale del cfo nei quali, agli aspetti teorici della professione tipici del

taglio accademico, si uniscono le testimonianze pratiche di noi manager di azienda, con l'evidente valore

aggiunto per i partecipanti». Al di là dei cambiamenti che lei ha già spiegato nella figura e nei compiti del

direttore finanziario, che altro sta mutando nel vostro mestiere? « Oltre all'impatto della trasformazione

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digitale sui processi amministrativi e finanziari di cui abbiamo parlato, direi che in uno scenario di mercati

ogni giorno più competitivo e complesso, anche per i temi analizzati in precedenza, gli investitori chiedono

sempre maggiori informazioni prospettiche sulla evoluzione delle performance gestionali delle aziende, per

cui cresce la spinta da parte dei vertici a chiedere ai cfo stime affidabili sulla proiezione dell'azienda nel

futuro. Diventa quindi sempre più delicata e centrale la capacità da parte della nostra categoria nell'affinare

modelli, sistemi e tecniche di pianificazione a medio e lungo termine». Dovete "prevedere" il futuro? «È un

mestiere che lasciamo ad altri. Diciamo che sono i mercati a chiedere alle aziende proiezioni a più lungo

termine, e quindi nella gestione di questo processo il ruolo del cfo è certamente centrale». Tutto questo sta

influenzando il rapporto che un cfo ha con l'ad. È così? «Questa relazione è diventata molto più intensa che

in passato, quando il cfo si occupava semplicemente di "far tornare i numeri", guardando in particolare ai

dati di consuntivo. Oggi l'ad chiede un sempre maggior supporto nel proiettare su più anni, e su diversi

scenari, i dati di performance dell'azienda per valutare quale potrebbe essere lo sviluppo e la sostenibilità

del business in futuro così da poter prendere per tempo le conseguenti decisioni strategiche». S. DI MEO

Giancarlo Fancel (1), chief financial officer di Generali e Richard Palmer (2), cfo di Fca In basso, Roberto

Mannozzi , cfo del Gruppo Fs 1700 ASSOCIATI all'Andaf, l'associazione di categoria dei chief financial

officer italiani che esiste da circa cinquanta anni 10 CORSI A MILANO Sono quelli organizzati dall'Andaf

nel 2017 oltre a specifici corsi "in-house" offerti alle aziende associate LA SCHEDA Una struttura centrale e

12 sezioni locali L'Andaf nasce nel 1968 con l'obiettivo di favorire lo scambio di esperienze e informazioni

tra i responsabili delle funzioni amministrazione, finanza, controllo di gestione, pianificazione e internal

auditing delle aziende italiane. È un'associazione senza scopo di lucro e si propone di contribuire, tramite

iniziative nazionali e internazionali, alla formazione e alla crescita professionale degli aderenti . Opera in

Italia mediante una struttura centrale e 12 sezioni locali. A livello internazionale fa parte di Iafei -

International Association of Financial Executives Institutes, la Federazione mondiale che riunisce 21 Paesi

membri per un totale di oltre 25 mila aderenti.

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Riad Potere e affari, la rivoluzione d'Arabia LA RETATA DI MINISTRI E PRINCIPI VOLUTA DA MOHAMMED BIN SALMAN, UOMO FORTE DI RIAD,RIMETTE IN DISCUSSIOME INVESTIMENTI OCCIDENTALI DA MIGLIAIA DI MILIARDI E L'IPO DIARAMCO Francesca Caferri Una città futuristica da costruire da zero per un valore complessivo di 500 miliardi di dollari. Un fondo di

investimento sovrano, il Pif, destinato a raddoppiare il valore dei suoi asset fino a 400 miliardi di dollari

entro il 2020 per arrivare a duemila miliardi di dollari nel 2030. Milioni di dollari da raccogliere sul mercato

nel giro di pochi mesi grazie alla privatizzazione di autostrade, ferrovie ed aeroporti. segue a pagina 2 dalla

nostra inviata a Riad segue dalla prima Sullo sfondo di tutto, la più grande Ipo della storia, quella di Saudi

Aramco, che nel 2018 porterà in Borsa il 5 per cento della società petrolifera più grande del mondo. Fino a

due settimane fa quella dell'Arabia Saudita post-petrolifera di Mohammed Bin Salman sembrava una favola

destinata al lieto fine. Per presentarla, il potente principe ereditario aveva convocato a Riad 3500 fra politici,

banchieri e gestori di fondi di investimento più importanti del mondo, in un vertice subito ribattezzato "la

Davos nel deserto". Ma la storia del Paese che si re-inventa da zero sotto la guida di un principe giovane

(32 anni) e modernizzatore non è durata a lungo. A farla sbriciolare ci ha pensato intorno alla mezzanotte di

sabato 4 novembre una retata che, con una mossa senza precedenti nella storia del regno, ha portato in

prigione 11 principi reali, quattro ministri (fra cui quello dell'Economia) e i fondatori e amministratori delegati

di alcuni dei principali gruppi del Paese, dal settore delle costruzioni a quello della televisione e

dell'intrattenimento. Alla prima ondata di arresti ne sono presto seguite altre: nel giro di pochi giorni, nelle

mani dell'autorità giudiziaria sono finite più di 200 persone, a vario titolo accusate di aver sottratto al

governo più di 100 miliardi di dollari negli ultimi due decenni. 800 miliardi di dollari in asset bancari e

finanziari potrebbero finire confiscati, secondo il Wall Street Journal . Ufficialmente l'accusa contestata agli

arrestati è corruzione, ma a nessuno è sfuggito il vero senso della manovra: sgomberare la strada per

l'ascesa al trono di MBS, come viene chiamato a Riad, togliendo dal palcoscenico i rivali più ingombranti

dal punto di vista politico, come il cugino Mutaib bin Abdallah, o di immagine: ed è il caso di Waleed Bin

Talal, il multimiliardario che con le sue partecipazioni in Twitter, Citigroup e News Corp. è stato per decenni

il volto della finanza saudita nel mondo. Se a tutto questo si aggiungono le dimissioni del primo ministro

libanese Saad Hariri, volute da Riad, e lo scambio di accuse con l'Iran seguito al lancio di un missile su

territorio saudita, la fine del clima di fiducia che pareva essersi creato intorno all'Arabia Saudita è facilmente

spiegabile. «Nelle ore immediatamente successive agli arresti decine di milioni di dollari sono usciti dai

mercati del Medio Oriente - spiega uno dei gestori dei principali fondi di investimento attivi nell'area, che

accetta di parlare a condizione di restare anonimo - questa mossa ha dimostrato che l'Arabia Saudita è

ancora ben lontana dall'essere il Paese stabile e trasparente che il principe voleva presentare al mondo. A

ciò va aggiunta la paura di un'ondata di tensione e di violenza che potrebbe andare ben oltre i confini

sauditi». Le parole dell'investitore centrano in pieno la questione: se dal punto di vista interno la retata ha

messo in discussione la bontà delle promesse di riforma, la contemporanea levata di scudi contro l'Iran ha

dimostrato che la posta in palio nella partita di Mohammed Bin Salman non è soltanto nazionale. A 32 anni,

e con il mano un portafo-glio che comprende il ministe-ro della Difesa, quello delle Ri-forme e il controllo di

Aramco, l'ambizioso principe ereditario punta ad affermare il dominio saudita su tutta la regione a sca-pito

dell'odiato Iran: una parti-ta che è sì politica e religiosa (Riad è il campione del sunni-smo, Teheran dello

sciismo), ma anche economica. In ballo c' è il destino del mercato del pe-trolio, di cui i contendenti sono fra

i maggiori produttori mon-diali. Di quello del gas, il cui grande protagonista, il Qatar, è ostaggio e preda

nello scontro. Ma anche il ritorno dell'Iran sul-la grande scena degli investi-menti mondiali dopo la fine del-

le sanzioni legate alla questio-ne nucleare. Sullo sfondo c'è la privatizza-zione di Aramco, la più grande

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operazione borsistica della Sto- L'ATTIVITA DEI PORTI In milioni di tonnellate JEDDAH ISLAMIC PORT •

KING ABDULAZIZ P0RT DAMMAM JUBAIL (comm. e ind.) • YANBU (comm. e Ind.) gQ folle: Sluii Pili:

Monti 60 40 20 _ il il il '13 '14 '15 ria. Chi si arrischierebbe a scom-mettere su un Paese dove i venti di

guerra che coinvolgano Tehe-ran, Doha, Sana'a a Beirut paio-no spirare fortissimi? E la cui sta-bilità

politica è tutt'altro che as-sodata? «Nessuno. Almeno nel breve periodo - risponde Jim Krane, fellow for

Energy Studies alla Rice University di Houston, uno dei più attenti osservatori del mercato petrolifero del

Gol-fo - dopo tante promesse di tra-sparenza e apertura un compor-tamento del genere è giudicato

incongruo. Inoltre c'è da aspet-tarsi che questa stretta blocchi l'inclusione dell'Arabia Saudita nell'indice

MSCI dei mercati emergenti, cosa che avrebbe portato in automatico miliardi di dollari di investimenti dei

fon-di verso il regno». Più difficili da prevedere le conseguenze sull'Ipo di Aram-co, che non avverrà prima

di un anno: negli ultimi giorni la tensione regionale ha spinto in alto il prezzo del petrolio, fa-cendogli

superare i 64 dollari al barile e quindi teoricamente reso più appetibile l'operazio-ne. Ma non è detto che il

rialzo durerà a lungo. A Riad sui tem-pi dell'operazione non sembra-no esserci dubbi: «Abbiamo detto

2018, sarà 2018», ha rispo-sto secca qualche giorno fa una fonte della Corte reale in-terrogata in materia.

Resta da sciogliere il nodo del mercato prescelto. Nel braccio di ferro fra Lon-dra, New York e Singapore

po-che ore prima dell'ondata di arresti che ha sconvolto il re-gno è entrato a gamba tesa il presidente

americano Donald Trump: «Apprezzerei molto che i sauditi scegliessero Wall Street per l'Ipo di Aramco.

Sa-rebbe importante per gli Stati Uniti!», ha twittato, accenden-do le speculazioni di chi pen-sa che la Casa

Bianca fosse al corrente di ciò che stava per accadere e avesse concesso ai sauditi luce verde in cambio

dell'Ipo. Il totale appoggio di cui Mo-hammed Bin Salman sembra godere alla Casa Bianca è uno degli

elementi che preoccupa-no di più gli analisti più attenti a quello che accade nel regno, da Adel Fakieh,

ministro dell'Economia, rimosso il 4 novembre (1); Tamim bin Hamad al-Thani, emiro del Qatar (2) Madawi

Al Rasheed a Bruce Rie-del. Entrambi nei giorni scorsi hanno messo in guardia dal ri-schio che un rapporto

troppo stretto con gli Usa (e in particola-re con Jared Kushner, genero di Trump) possa far sentire il prin-

cipe garantito in ogni sua mos-sa: comprese quelle bellicose verso l'Iran. A questo va aggiunto il fatto che

nei prossimi mesi il regno vivrà un appuntamento crucia-le, con l'introduzione per la pri-ma volta nella sua

storia di una serie di tasse. E che le retate an-ti-corruzione potrebbero far sa-lire la tensione interna, anzi-

ché placarla: «Finora la fami-glia reale si era sempre mostra-ta compatta. Per anni ci siamo sentiti dire che

quando nel mu-ro ci fosse stata una crepa tutto si sarebbe sbriciolato: ora la crepa è arrivata, e anche

molto grossa. Nessuno sa cosa potrà accadere», spiega uno degli uo-mini che lavorano alla quota-zione di

Aramco. Per questo, anche le grandi banche d'affari che per mesi si sono contese una fetta della grande

torta dell'Ipo - da JP-Morgan Chase a Morgan Stan-ley fino a Hsbc - negli ultimi giorni sembrano aver

adottato un atteggiamento più pruden-te nei confronti dell'Arabia Saudita. La favola del regno dorato e del

suo principe ha ancora mol-te pagine da scrivere prima di arrivare al suo "e vissero tutti fe-lici e contenti".IL

PERSONAGGIO Il principe che vuole innovare il Paese

A 32 anni Mohammed Bin Salman (nella foto in basso) è l'uomo più potente del Medio Oriente: figlio

prediletto del re Salman, è pronto - si dice in poche settimane - a salire sul trono. Il suo obiettivo è

rivoluzionare il volto del Paese più conservatore del mondo: stop alla dipendenza dal petrolio, spazio alle

energie rinnovabili, all'high tech, ai giovani e alle donne. Fuori dai confini sauditi porta avanti una politica

aggressiva: sua l'idea di iniziare la guerra in Yemen, che ha fatto migliaia di morti. Sua l'iniziativa di isolare

il rivale Qatar, accusato di sostenere i Fratelli musulmani.

I PROTAGONISTI Al Waleed bin Talal Fondatore di Kingdom Holding, arrestato per corruzione, 17 miliardi

di dollari di patrimonio

Re Salman bin Abdulaziz Il re ha più di 80 anni: punta a lasciare il potere al figlio MBS Mutaib bin Abdallah

Figlio dell'ex re Abdallah, rivale di MBS alla corsa al trono. Arrestato Mohammed Bin Nayef

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Ex principe ereditario, a lungo uomo più potente del Paese, estromesso Mansour bin Muqrin

Figlio dell'ex erede al trono, morto in un misterioso incidente aereo

Foto: Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman

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I COMMENTI Non basta la moneta per l'Unione Andrea Boitani L'Unione Monetaria Europea è nata con una gamba sola: quella della moneta, appunto. Per quanto larga

sia, quell'unica gamba non ha permesso all'Eurozona di resistere alla violenza della crisi finanziaria del

2007-08 e anzi ha permesso che precipitasse in una crisi economica profonda e asimmetrica (che ha cioè

colpito di più e più a lungo, alcuni paesi rispetto ad altri). segue a pagina 10 La seconda gamba - l'unione

bancaria - è ancora troppo corta e fragile (manca un'assicurazione comune dei depositi degna di questo

nome). La terza gamba - l'unione fiscale - non è neppure entrata in produzione. Certo ci sono le regole

fiscali. Ma non si ha la sensazione che, tutte insieme, facciano una gamba fiscale degna di questo nome,

mentre è certo che: 1) non hanno prodotto risultati positivi in termini di minor disoccupazione e maggiore

crescita; 2) hanno contribuito a far aumentare il rapporto tra debito e Pil (perché hanno accentuato la

caduta del Pil più di quanto abbiano contribuito a ridurre il debito) tra il 2011 e il 2013-14. Un'unione

monetaria ha certamente bisogno di regole, ma non è vietato scriverne di intelligenti invece che affidarsi

solo a quelle stupide. In ogni caso le regole non bastano a fare una gamba fiscale robusta. Le regole sono

generalmente disegnate con l'obiettivo di assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche (debito e deficit)

dei paesi membri dell'unione monetaria. Ma non hanno permesso (nonostante le varie riforme del triennio

2010-2012) di realizzare politiche seriamente anticicliche nei paesi ad alto debito che, proprio a causa di

quel debito, venivano etichettati come privi di "spazio fiscale". Tra questi, ovviamente, anche l'Italia. E non

bastano neanche gli stabilizzatori automatici nazionali (tasse, sussidi di disoccupazione, ecc.) che non

hanno la forza di assorbire gli shock asimmetrici o quelli simmetrici troppo grandi. Se "la politica fiscale è un

potente strumento della politica macroeconomica" - come ha scritto recentemente il presidente dello

European Fiscal Board Niels Thygesen - tanto più lo è in una unione monetaria in cui la Banca Centrale

mantiene una politica monetaria "accomodante" (che cioè tiene i tassi bassi e fornisce al sistema tutta la

liquidità che richiede). Ma una politica fiscale discrezionale confinata a livello strettamente nazionale rischia

sia di infrangersi contro i limiti già detti dello "spazio fiscale" sia di non tenere conto degli spillover

(letteralmente tracimazione) tra un paese e l'altro e quindi di risultare, asseconda dei casi, sovra o sotto

dimensionata rispetto alle esigenze dell'unione nel suo insieme. Le vie d'uscita sono due, non

necessariamente alternative e forse da porre in sequenza: 1) il coordinamento delle politiche fiscali e 2) la

costituzione di un bilancio comune dell'Eurozona (su cui tornerò in un prossimo articolo). La prima via

richiede, quantomeno, la definizione di una fiscal stance obiettivo (cioè un obiettivo di espansione o di

restrizione fiscale) per correggere gli squilibri ciclici dell'intera Eurozona, tenendo conto degli spillover di cui

sopra. L'obiettivo aggregato dovrà essere fissato da un soggetto sovra-nazionale - per esempio un ministro

delle finanze politicamente responsabile di fronte a un'assemblea dei parlamentari europei eletti

nell'Eurozona - in base a criteri concordati tra la Commissione Europea e i ministri economici e finanziari

dei paesi membri e venga assegnato a ciascun paese il compito di contribuire a quell'obiettivo in

proporzione, anche modificando la composizione della sua spesa al fine di favorire il raggiungimento della

fiscal stance appropriata. Il che richiede di tenere conto di quanto ciascun paese contribuisca agli squilibri

dell'Eurozona e di quanto possa contribuire a correggerli, in relazione allo spazio fiscale di cui dispone. Il

problema di questo approccio è che, in ultima analisi, l'attuazione dei compiti definiti a livello "federale"

deve pur sempre essere lasciata ai singoli governi. Nel 2016, la Commissione Europea e il Parlamento

Europeo hanno premuto l'acceleratore per la definizione di una fiscal stance obiettivo a livello europeo che

fosse più espansiva di quella prevista per il 2017. Il Parlamento Europeo ha anche incaricato autorevoli

studiosi di elaborare proposte per la definizione della fiscal stance obiettivo. La Commissione ha però finito

per ripiegare nell'affermazione che "il disegno di una fiscal stance appropriata per l'area Euro è

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responsabilità individuale e collettiva degli stati membri". I quali, nel dicembre del 2016, hanno risposto che

la fiscal stance per il 2017 era appropriata e - nelle parole del presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem -

che forse "qualche paese membro (leggi Germania n.d.r.)può, se così sceglie, utilizzare la propria

favorevole situazione di bilancio per rafforzare la propria domanda interna e il proprio potenziale di

crescita". Ma può anche decidere di non fare niente. Come puntualmente avvenuto. Coordinamento

almeno rinviato.

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Gli antidoti al populismo economico Ferdinando Giugliano Saranno mesi surreali quelli che abbiamo davanti. I partiti si sono messi alle spalle il clima di emergenza

che ha accompagnato gli anni delle recessione e fanno ormai a gara a chi spara la promessa più grossa.

Nello spettro politico manca una forza che si intesti la battaglia del realismo e della responsabilità. segue a

pagina 10 L'unico antidoto al populismo economico può venire dalle istituzioni e dai centri di ricerca, a cui

tocca il compito di valutare l'impatto delle politiche pubbliche e spiegare agli elettori le conseguenze delle

promesse dei partiti. Le elezioni in Sicilia hanno visto Forza Italia e il Movimento 5 Stelle sfidarsi a colpi di

annunci irrealizzabili. Ma le fanfaronate siciliane sono l'antipasto di quello che ci aspetta nei prossimi mesi

di campagna elettorale. Il Pd non è da meno dei suoi concorrenti: l'ex premier non perde l'occasione di

ripetere che porterà il deficit al 2,9% del Pil, anche se il buon senso imporrebbe di far scendere

l'indebitamento in una fase di crescita. Il Pd si è ormai allineato a Forza Italia e ai Cinque Stelle anche sulle

pensioni: tutti i principali partiti italiani vogliono bloccare l'aumento dell'età pensionabile previsto dalla

riforma Fornero. A cercare di fermare una proposta che farebbe ancora una volta lievitare i costi del nostro

sistema pensionistico, scaricando come sempre il problema sui più giovani, sono rimasti solo i ministri

tecnici Padoan e Calenda. La politica ha deciso che su questo tema il futuro non conta. In una fase di

ripresa nessuno tra i principali partiti sembra interessato a ricordare agli elettori che, in un Paese con il

debito al 133% del Pil, di soldi da spendere ce ne sono comunque pochi. Quest'onere va dunque assunto

dai tecnici, siano essi indipendenti o parte dell'amministrazione pubblica sperando che vengano ascoltati.

Due esempi positivi stanno emergendo. Il primo è l'Osservatorio sui conti pubblici italiani lanciato da Carlo

Cottarelli, già commissario alla spending review e rappresentante dell'Italia al Fmi. Il centro, ospitato dalla

Cattolica di Milano, si prefigge di effettuare un fact-checking delle promesse di spesa dei partiti durante la

campagna elettorale. È difficile pensare a una persona più adatta di Cottarelli per questo ruolo. La sua sfida

sarà quella di non produrre soltanto analisi per gli addetti ai lavori, ma di parlare al grande pubblico,

sensibilizzandolo sull'importanza di ridurre il debito. Il secondo è il programma VisitInps avviato dal

presidente dell'istituto, Tito Boeri, i cui risultati sono stati presentati due settimane fa. Per la prima volta,

l'enorme base dati dell'Inps è stata messa a disposizione di decine di ricercatori, che hanno potuto

analizzare in maniera indipendente l'efficiacia di alcune tra le principali politiche pubbliche degli scorsi anni.

Lo stesso Boeri, in un lavoro con Pietro Garibaldi, ha mostrato come l'introduzione del contratto a tutele

crescenti contenuta nel Jobs Act abbia prodotto un aumento significativo della diffusione dei contratti a

tempo indeterminato. Secondo questi risultati, l'idea molto popolare a sinistra che sia stato inutile riformare

il mercato del lavoro italiano non sarebbe supportata dai numeri. Un lavoro di Giulia Bovini della London

School of Economics e di Matteo Paradisi dell'Università di Harvard, ha invece calcolato i costi della riforma

Fornero per le aziende, che hanno dovuto trattenere alcuni lavoratori più a lungo, non potendoli mandare in

pensione prima. Secondo l'analisi, i costi della riforma sono stati piuttosto contenuti, accettabili visti gli

enormi risparmi che ci saranno in termini di sostenibilità dei conti pubblici. Il merito di VisitInps è quello di

sottolineare quanto sia importante avere delle serie analisi ex post delle politiche pubbliche. Questo è un

campo su cui le istituzioni italiane sono deficitarie: la Corte dei Conti, ad esempio, ha la funzione di vigilare

sui bilanci pubblici, ma non effettua delle vere analisi di costi e benefici come quelle svolte dal suo omologo

britannico, il National Audit Office. Dal bonus cultura per i diciottenni, alla strategia seguita per risolvere le

crisi bancarie, sono molte le scelte compiute dai governi Renzi e Gentiloni che meriterebbero un'analisi ex

post approfondita. Il successo di queste iniziative dipenderà però da come verranno trattate dai media.

Troppo spesso in Italia statistiche e ricerche economiche vengono diffuse indipendentemente dalla loro

qualità. I politici possono così appellarsi alla relatività dei risultati, evitando di spiegare fino in fondo le

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conseguenze delle loro promesse. Un giornalismo che voglia essere efficace deve sapere a quali numeri

credere. Solo così si può migliorare la qualità del nostro dibattito pubblico e, in ultima analisi, della nostra

democrazia. L'autore è editorialista di Bloomberg View

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L'INTERVISTA Massiah: "Sbagliato svendere le sofferenze" Marco Panara Massiah: "Sbagliato svendere le sofferenze" a pagina 16 Di Victor Massiah, amministratore delegato di Ubi

Banca, i critici dicono che è troppo prudente, che preferisce stare fermo piuttosto che prendere rischi. «È

una critica che accetto, ma saper aspettare può trasformarsi in una virtù: quando abbiamo rilevato le "good

bank" per un euro mi sembra che siano stati tutti contenti. Aver saputo aspettare in questo caso ha

pagato». Quanto? «Le tre banche stanno dando risultati migliori delle attese». Come mai? «Contribuiscono

due fattori: la governance è semplice perchè non c'è da fare compromessi con nessuno; e noi abbiamo una

buona macchina per l'integrazione. Avevamo appena fatto l'operazione banca unica mettendo insieme le

sette banche che formavano il gruppo Ubi e ci siamo trovati in corsa per questa nuova integrazione. A

gennaio abbiamo formulato un'offerta vincolante soggetta a una serie di condizioni, a maggio abbiamo

perfezionato l'acquisizione, a luglio si è chiuso con successo l'aumento di capitale da 400 milioni, in ottobre

è stata fatta la migrazione di Banca Marche, la più grande e complessa delle tre, entro novembre sarà

completata l'integrazione di Banca Etruria e nei primi mesi del 2018 avverrà la migrazione di Carichieti. La

quale peraltro è già in pareggio mentre le altre due sono molto vicine e lo raggiungeranno ampiamente nel

2018». È stato un affare. «Soprattutto è la dimostrazione che le economie di scala contano, che avere un

sistema gestionale e organizzativo solido conta, che avere la determinazione di fare interventi iniziali

drastici, come noi abbiamo fatto, conta». Cosa vi hanno portato queste tre banche? «Al momento

dell'acquisizione 900 mila clienti, una dozzina di miliardi di impieghi netti e 18 di raccolta diretta, 7,5 di

indiretta e circa 500 sportelli, portando il nostro totale vicino a 2 mila. Come tutti siamo in fase di

ridimensionamento delle reti fisiche e di qui al 2020 ne chiuderemo circa 370 con riferimento a tutta Ubi».

Gli effetti delle acquisizioni si vedono già nei dati dei primi nove mesi che avete presentato venerdì? «I

risultati confermano la fattibilità del piano industriale, sia perché le banche acquisite stanno andando meglio

del previsto, sia perché il margine di interesse che era stato il tallone d'achille delle ultime trimestrali è

tornato a crescere. Sottolineo il fatto che tutti gli indicatori di solidità confermano la buona salute del

Gruppo». Il progetto banca unica che avete realizzato all'inizio dell'anno quali frutti ha portato? «Una forte

semplificazione organizzativa, gestionale e dell'offerta, l'eliminazione delle duplicazioni, la riduzione dei

costi». Cosa è cambiato in questi anni nel mercato del credito? «Stiamo assistendo ad un passaggio che

definirei storico, una situazione mai vista prima, con l'ammontare delle commissioni che supera nelle

entrate della banca il margine d'interesse. È una inversione del modello tradizionale dovuta da una parte

alla crescita delle commissioni soprattutto nel risparmio gestito e nella produzione assicurativa, ma anche

nei settori tradizionali grazie al fatto che l'economia ha ricominciato a muoversi, e dall'altra alla riduzione del

margine di interesse. Prima una forbice tra raccolta e impieghi del 2,5-3% era normale, ora siamo tra l'1,5 e

il 2 con gli spread ai minimi storici. Il che peraltro ci fornisce una informazione importante, ovvero che sul

mercato non c'è carenza di offerta di credito». Perchè questa informazione è importante? «Se gli spread

sono così bassi vuol dire che l'offerta di credito è superiore alla domanda. Ma questo vuol dire anche che

l'imponente stock di crediti deteriorati delle banche italiane non incide sull'offerta di credito e quindi

sull'economia del Paese. Quindi una accelerazione forzata nella cessione delle sofferenze non è

giustificata». Sta dicendo che la montagna delle sofferenze bancarie non pesa sull'economia? «È il mercato

a dire che in Italia non sembra esserci correlazione tra la dimensione delle sofferenze e l'offerta di credito.

Quello che io aggiungo è che una accelerazione forzata nella cessione delle sofferenze determina una

distruzione di ricchezza che sarebbe giustificata se quelle sofferenze comprimendo l'offerta di credito

avessero un effetto dannoso sull'economia, ma che non è giustificata se questo danno non c'è». Le

sofferenze però sono un problema vero. «È un dato che le banche italiane abbiano in portafoglio una

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quantità di sofferenze doppia rispetto alla media europea e tutti sappiamo che questo è dovuto alla

recessione più profonda e ai tempi più lunghi della giurisdizione». Se non incidono sull'economia perché c'è

tanta pressione per ridurle rapidamente? «Perché c'è chi pensa che le situazioni difficili siano sottovalutate

e nascondano ulteriori perdite. E perchè alcune banche avevano un livello di sofferenze non solo superiore

alla media europea ma anche a quella italiana. Per quelle banche era urgente correre ai ripari. Ma questa

urgenza vale meno per chi come per esempio Intesa e Ubi hanno sofferenze superiori alla media europea

ma sono nella parte bassa della media italiana, e non c'è motivo per una cessione forzata che

distruggerebbe ricchezza senza alcun vantaggio nè per gli istituti nè per la collettività». Devo dedurne che

non avete nessuna intenzione di cedere i vostri 8,5 miliardi di crediti deteriorati, che pure pesano per il 9

per cento circa sul totale degli impieghi. «Fino ad oggi è stato più conveniente gestire internamente che

cedere. Abbia-

9,39 MILIARDI DI EURO

È l'importo degli impieghi alla clientela del gruppo bancario al 30 settembre del 2017

1.900 FILIALI Sono quelle del gruppo bancario fino al febbraio di quest'anno

Foto: Qui sotto, Victor Massiah , amministratore delegato di Ubi Banca A destra, la hall della sede di Ubi

Banca a Bergamo

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RISCRIVERE LE REGOLE DELLA STABILITÀ FRANCO BRUNI Varare la Commissione sulle banche a fine legislatura, fra litigi e polemiche elettorali, in un Parlamento

diviso su questioni istituzionali di fondo, è stato prendere un rischio grave. Ancor più farlo alla scadenza del

gove r n at o re d e l l a B a n c a d'Italia, alla quale la politica non ha saputo prepararsi per tempo. Ma a

correr rischi a volte si guadagna. Se la presidenza saprà guidarla senza soffocarla, qualche utilità potrebbe

uscirne. Essenziale è lavorare «non per regolare i conti del passato, ma per aiutare l'economia italiana del

futuro», come dice l'ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nella sua lettera a «La Stampa» e come lui

stesso avrebbe dovuto tener sempre più presente. La politica e il potere legislativo possono contribuire alla

vigilanza sulla correttezza e la stabilità degli intermediari e dei mercati finanziari. Sono questioni

tecnicamente complesse, soprattutto dopo che la globalizzazione finanziaria le ha rese radicalmente

internazionali e in rapida evoluzione. La complessità tecnica rende delicato il rapporto fra politica e

burocrazia. Perché la prima tenga bene il suo ruolo deve fare con rigore i suoi compiti ma lasciare alle

burocrazie autonomia e responsabilità. Compito del legislativo, in gran parte del mondo avanzato, è essere

sede regolare (al di là di commissioni d'inchiesta estemporanee) e competente dove i controllori della

moneta e del credito vengono a render conto dei modi con cui stanno perseguendo, con indipendenza, gli

obiettivi loro assegnati. L'organizzazione e l'attrezzatura del Parlamento italiano sono adeguate a questi

fini? Andremo a eleggere un numero sufficiente di parlamentari con la competenza, dedizione, serietà e

l'esperienza adatte per costituire commissioni e gruppi di lavoro con questo compito? Che sappiano porre

le domande giuste, anticipando i problemi e aiutando i controllori del credito a individuarli? La resa dei conti

alla politica delle autorità creditizie è delicato anche per il contrasto che si può sviluppare fra la loro

trasparenza e la stabilità finanziaria. Raccontare i guai delle banche alla politica può diffondere panico e

aggravare i guai. Ma l'esperienza internazionale e le riflessioni di chi ha studiato da tempo queste cose

suggeriscono come superare anche questo problema. Si tratta di verificare ed eventualmente integrare e

correggere quel che avviene in Italia. Il rapporto fra politica e autorità monetarie e finanziarie può andare

molto oltre. Il concetto stesso di stabilità finanziaria è oggi da definire meglio, in tutto il mondo. Una volta,

per esempio, significava che nessuna banca dovesse mai «fallire», che cambi, tassi e borse dovessero

variare solo molto gradualmente. Oggi non è più così. Vanno ridefiniti gli stessi obiettivi delle autorità di

controllo. Nonostante la difficoltà tecnica, questo è compito della politica. Anche il Parlamento italiano può

contribuire: basta che sappia articolare il suo lavoro con quello del governo e, anche per suo tramite,

partecipare alle sedi europee e internazionali dove solamente ha senso prendere decisioni in proposito.

Non sono materie dove funziona la democrazia diretta e la politica chilometro-zero. Il Parlamento europeo,

discutendo con la Bce sul trattamento delle sofferenze bancarie, ha appena incontrato un'atra questione:

fino a che punto chi vigila sulle banche può e deve esimersi dal dettare loro regole? Non è facile

rispondere: è vero che le regole le fissa la politica ma chi ne vigila l'applicazione non può esimersi da

aggiungere dettagli che il legislatore non riesce neanche a immaginare. Questa zona grigia fra

regolamentazione e vigilanza va affrontata con impegno e senza ricerca di polemiche appariscenti. E così

via. Basti pensare che, con l'euro e l'unione bancaria europea, il ruolo di Banca d'Italia è mutato

radicalmente. Riconsiderarne governance e organizzazione non è peccato di lesa maestà, anzi. Ma va fatto

col dovuto anticipo, con cautela, competenza, concordia istituzionale e concertazione europea. c

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Retroscena "Il blitz di Bankitalia in Etruria senza avvertire prima il governo" La versione degli ex vertici di Arezzo: l'11 febbraio 2015 il commissariamento fu imposto La proposta diSerra per rilevare 700 milioni di sofferenze arrivò fuori tempo massimo GIANLUCA PAOLUCCI INVIATO AD AREZZO «Le pare che se a Palazzo Chigi avessero saputo del commissariamento di Banca Etruria, nessuno ci

avrebbe avvisato?». A porre la domanda è un protagonista e testimone dei mesi convulsi che precedettero

il commissariamento della banca aretina. La sua e quella di altri protagonisti di quella vicenda è una

ricostruzione per forza di cose di parte e parziale. Suffragata però da riscontri, anche documentali. E' la

versione dello scontro tra Renzi e Visco vista da chi quello scontro lo vissuto sulla propria pelle: i vertici

della vecchia Banca Etruria. La frattura tra governo e Bankitalia si sarebbe consumata poche settimane

prima, secondo questa ricostruzione, sulla riforma delle popolari varata dal governo Renzi alla fine di

gennaio. Una riforma da tempo richiesta dalla stessa via Nazionale, ma che si discostava in alcuni punti da

quanto Bankitalia avrebbe voluto. E soprattutto venne fatta per decreto, in maniera traumatica, con Renzi

che «prese il comando delle operazioni e scrisse le regole», lasciando Palazzo Koch ai margini, spiega un

altro dei protagonisti. Da lì la rottura tra i due, Renzi e Visco. Che il commissariamento sia arrivato a

sorpresa è un fatto. Lo dimostra il verbale del cda di Etruria dell'11 febbraio del 2015, giorno del

commissariamento della banca. Il cda si riunisce per discutere di un sacco di cose importanti: le

svalutazioni richieste da Bankitalia, un aumento di capitale per coprire le perdite e ripristinare i requisiti

patrimoniali richiesti da Bankitalia, l'aggiornamento sul progetto di aggregazione richiesto da Bankitalia. I

lavori iniziano alle 12,30 nella sede di via Calamandrei. Tra i presenti oltre al presidente Lorenzo Rosi c'è

anche il vice Pier Luigi Boschi, padre dell'allora ministro Maria Elena Boschi. Il verbale è pieno di riferimenti

ai rapporti con Bankitalia: viene illustrato il piano di taglio dei costi portato avanti «in stretto contatto» con

l'autorità di Vigilanza, vengono comunicati i progressi sull'aggregazione «condivisi» con la Vigilanza e le

svalutazioni da questa richieste sulle sofferenze. Viene preparata anche la bozza di un comunicato che

avrebbe reso noto al mercato l'entità della perdita e il progetto di un nuovo aumento di capitale, anche

questo da far visionare agli ispettori. Alle 15.45 il cda riprende dopo una pausa e Rosi avvisa che gli

ispettori di Bankitalia «hanno invitato il consiglio alla trattazione dei soli argomenti di massima urgenza (...)

avvisando altresì che al termine dei lavori e prima della loro chiusura dovranno rendere comunicazioni

urgenti al consiglio e al collegio sindacale». I lavori proseguono in un clima per nulla disteso e il verbale si

chiude con le firme dei commissari appena insediati. La richiesta di commissariamento di Bankitalia al

ministero dell'economia è del 6 febbraio, un venerdì. Il decreto del Mef è del martedì 10 febbraio. Possibile

che nessuno abbia avvisato Palazzo Chigi? E perché da Palazzo Chigi nessuno chiama Arezzo? Nelle

settimane precedenti è provato che l'attenzione di Palazzo Chigi sul dossier Etruria è estremamente

elevata. C'è l'episodio dell'interessamento di Ghizzoni, allora ad di Unicredit. Episodio che la Boschi ha

smentito, ma è un fatto che Rosi incontrò, a fine 2014, lo stesso Ghizzoni per parlare della possibilità di

un'acquisizione. C'è la telefonata dell'allora sottosegretario Delrio al presidente di Bper, nei primi giorni del

2015, per informarsi della questione Etruria. Delrio ha spiegato di essersene interessato «per le possibili

ricadute occupazionali». Ma è un fatto che questo risulta l'unico intervento di Delrio, sul quale allora

convergevano tutte le vertenze industriali, in materia bancaria. E c'è il lungo abboccamento con il finanziere

Davide Serra, che per mesi - dal fallimento dell'ipotesi Vicenza porterà avanti i suoi contatti con Etruria.

Non è l'unico fondo che si fa avanti per Etruria in quel periodo. Ma le fonti interpellate chiamano Serra «la

carta di Boschi» per il salvataggio. I contatti si concretizzeranno in un'offerta da 700 milioni per rilevare le

sofferenze della banca. Arrivata però a fine febbraio, con la banca già commissariata. c

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2,8700 miliardi È il valore dei crediti deteriorati di Banca Etruria emersa dalle ispezioni della Banca d'Italia

milioni È l'offerta del finanziere Davide Serra per rilevare le sofferenze di Banca Etruria (un terzo del totale)

ma nel frattempo l'istituto era già stato commissariato

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Intervista Casini: "Fare luce sarà spiacevole In futuro servono nuove regole" Parla il presidente della Commissione d'inchiesta sulle crisi bancarie: "Ascolteremo Visco e Vegas alla fine.Le tensioni? Sono inevitabili" UGO MAGRI ROMA Presidente Pier Ferdinando Casini, quando prevede che l'indagine parlamentare sul crac delle banche

entrerà nel vivo? «Nel vivo ci siamo già. La Commissione d'inchiesta non ha perso tempo e segue una

linea chiara: approfondire le crisi bancarie partendo dalle più recenti e procedendo a ritroso. Abbiamo

indagato sui due istituti veneti, domani inizieremo con Montepaschi di Siena, cioè il caso più rilevante sul

piano sistemico. Seguiamo un metodo istituzionale». In che consiste? «Nel sentire anzitutto i magistrati, nel

dare voce alle associazioni dei risparmiatori, nell'ascoltare gli istituti di vigilanza e gli attuali liquidatori».

Verrà anche il turno di Ignazio Visco? «Mi sembra difficile che questa Commissione possa concludere i

lavori senza nemmeno aver sentito il governatore di Bankitalia e il presidente della Consob. Ascolteremo

entrambi, ma verso la fine». Perché non all'inizio? «Prima occorre che tutti gli aspetti da chiarire siano già

sul tavolo, adesso sarebbe prematuro». Ieri il segretario Pd, Matteo Renzi, nella sua lettera a La Stampa,

scriveva: «Da questa vicenda tutti dobbiamo imparare qualcosa, non per regolare conti del passato ma per

aiutare l'economia italiana del futuro». Sottoscrive? «E' un proposito assolutamente condiviso non solo da

me, ma in generale da tutte le forze politiche. Il nostro sistema bancario non può permettersi di diventare

terreno di conquista da parte della finanza internazionale, e chi vuole intendere non ha bisogno che io

aggiunga altro». Scusi, però: non era lei tra quanti temevano che la Commissione avrebbe potuto recare

più danni che benefici? «Ho avuto dei dubbi che risultano agli atti. Non a caso sto lavorando, nella carica

da me non richiesta né cercata di presidente della Commissione, per evitare che l'accertamento dei fatti

diventi terreno di scontro da campagna elettorale, con tutta la strumentalità del caso, e si concentri piuttosto

sull'oggetto costitutivo fissato dalla legge: capire cosa non ha funzionato nella gestione degli istituti bancari

coinvolti, se l'attività di vigilanza è stata idonea e tempestiva, fornire indicazioni per prevenire altri casi.

Voglio dare atto della serietà con cui condividono questo percorso il gruppo parlamentare di Forza Italia, a

partire da Renato Brunetta, e quello del Pd, incominciando da Mauro Marino. C'è l'idea comune che la

Commissione non sia la sede di un regolamento di conti, ma serva soprattutto a dare indicazioni anche

severe per il futuro. Se riusciremo nel nostro intento, questo lavoro sarà stato utile» Altrimenti? «In caso

contrario parleremo di occasione persa. Ma ho fiducia». Se è così fiducioso, come spiega le richieste di

ascoltare davanti alla Commissione i «gemelli del crac» nel Veneto, Consoli e Zonin? Equivarrebbe a

spargere nuove nuvole tossiche... «Infatti non sono stati convocati. Chi ha responsabilità gravissime, penali

e personali, di cui rispondere è giusto che si difenda nelle aule di tribunale, non utilizzando la cassa di

risonanza del Parlamento. Che oltretutto non li potrebbe nemmeno ascoltare come testimoni, in quanto

imputati davanti alla giustizia ordinaria». Pratica già archiviata? «Archiviata no. Deciderà l'ufficio di

presidenza, comunque la mia opinione non è affatto un segreto». Abbiamo appena assistito a uno scontro

mai visto prima tra Banca d'Italia e Consob, con duri scambi di colpi. È giusto risciacquare in pubblico i

panni delle istituzioni di vigilanza? «Invito a confrontare i nostri toni con quelli di commissioni analoghe di

altri Paesi, incominciando dagli Stati Uniti. È difficile evitare le tensioni. E comunque, le divergenze tra

Banca d'Italia e Consob non ce le siamo inventate noi commissari. Sono purtroppo una realtà. Migliaia di

italiani hanno visto sfumare i loro risparmi non sempre per effetto delle normali dinamiche di mercato: molti

collocamenti sono avvenuti senza che gli investitori conoscessero le condizioni di dissesto in cui versavano

certe banche, oppure con modalità pregiudizievoli per le persone più sprovvedute e con la pratica diffusa

delle cosiddette "baciate"». Dove termina, secondo lei, l'accertamento della verità e comincia invece

l'autolesionismo? «È ovvio che fare luce comporta chiarimenti spiacevoli, ma non possiamo nemmeno

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recitare la parte di Alice nel paese delle meraviglie. Scaricarne la colpa sulla Commissione d'inchiesta

sarebbe troppo facile e comodo per tutti». c

Seguiamo un metodo istituzionale. Sentiamo i magistrati, risparmiatori, istituti di vigilanza eliquidatoriVisco e il presidente Consob li sentiremo verso la fine. Prima occorre mettere tutti i temi sul tavolo

Il nostro sistema bancario non può diventare terreno di conquista per la finanza internazionale

Avevo dei dubbi sulla Commissione, ora cerco di evitare che sia terreno di scontro elettorale

Fare luce comporta chiarimenti spiacevoli, ma non possiamo essere Alice nel paese delle meraviglie Pier

Ferdinando Casini Presidente Commissione d'inchiesta sulle banche

La Stampa sabato In un retroscena pubblicato sabato scorso su La Stampa emerge come il caso del

commissariamento di Banca Etruria fosse la causa dello scontro tra il segretario del Pd Matteo Renzi e il

governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco

...e La Stampa ieri Il segretario del Pd Matteo Renzi con una lettera a La Stampa pubblicata ieri

contrattacca e sottolinea le responsabilità di Banca d'Italia e Consob nel caso delle banche: «Etruria è un

alibi per azzerare ogni critica»

Foto: Mario Draghi Presidente della Banca Centrale europea

Foto: Ignazio Visco Governatore della Banca d'Italia recentemente riconfermato

Foto: Matteo Renzi Segretario del Partito democratico ex presidente del Consiglio

Foto: IMAGOECONOMICA

Foto: Presidente Pier Ferdinando Casini è stato presidente della Camera dal 2001 al 2006

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PROPOSTI CRITERI PIU MORBIDI A FAVORE DEI LAVORI GRAVOSI. OGGI IL VERTICE FINALE CONGENTILONI E I MINISTRI/ECONOMIA & FINANZA Pensioni, Ape social prorogata al 2019 Ultima offerta del governo per frenare l 'aumento dell'età a 67anni. I sindacati: non basta PAOLO BARONI ROMA L'ultima offerta che farà oggi il governo ai sindacati per cercare di chiudere un accordo sul delicato dossier

pensioni prevede sia la proroga al 2019 dell'Ape social, sia un ammorbidimento dei requisiti per entrare a

far parte della lista dei mestieri che verranno esentati dall'innalzamento dell'età della persone a 67 anni a

partire dal 2019. I mestieri resteranno sempre i 15 indicati giovedì scorso (gli 11 gravosi già inseriti nell'Ape

social più marittimi, addetti alla pesca, operai agricoli e siderurgici), ma recependo le obiezioni dei sindacati

che contestavano la credibilità delle stime dell'esecutivo su questo intervento (15-20 mila beneficiari) i

requisiti di accesso verranno allentati. In particolare prevedendo non più 36 anni di contributi, ma 30 o poco

di più, e 7 anni sugli ultimi 10 (anziché 6 su 7) di impiego in una occupazione gravosa. «E' un altro piccolo

passo avanti, ma ancora non basta commenta Domenico Proietti della Uil -. Occorre allargare di più la

platea degli esentati, dare certezze sull'Ape social dopo che quest'anno ha dimostrato di non funzionare, e

poi servono interventi sui giovani e le donne». «Il giudizio è negativo e le aperture del tutto insufficienti»

conferma a sua volta Roberto Ghiselli (Cgil). Il governo, che oggi torna ad incontrare i sindacati (alle 9 un

nuovo round del tavolo tecnico e poi nel pomeriggio il vertice con Gentiloni e le delegazioni sindacali al

completo) sul piatto mette però anche altri impegni: dalla riduzione del carico fiscale che pesa sulla

previdenza integrativa dei dipendenti pubblici (equiparati al settore privato) ad una «apertura» sulle

pensioni dei giovani, dalla decisione di istituire una commissione per valutare la possibilità di selezionare

meglio in base alle aspettative di vita i singoli mestieri da salvaguardare, sino alla modifica del meccanismo

di calcolo sull'adeguamento dell'età che dal 2021 dovrebbe diventare biennale considerando nel computo

anche i periodi in cui l'aspettativa di vista cala, salvo conteggiarli con 2 anni di ritardo. In dirittura d'arrivo

sono sempre possibili altre novità e sorprese. Ma quello di oggi è un po' l'ultimo appello, visto che il Senato

inizia a votare gli emendamenti alla legge di Bilancio che approderà in aula il 23 e quindi è adesso che si

può inserire nella manovra un eventuale pacchetto-pensioni. Secondo la Uil, che ieri ha diffuso uno studio

con si dimostra che rispetto ad altri paesi gli italiani, pur avendo una aspettativa di vita anche più alta,

percepiscono meno anni di pensione (16 anni e 4 mesi in media, 2 anni e 5 mesi in meno rispetto al resto

d'Europa), «non c'è nessun motivo per aumentare in via generalizzata l'età di accesso alla pensione così

come dovrebbe accadere sulla base dell'attuale normativa». Anzi, insiste Proietti, «bisogna congelare

l'adeguamento e avviare un tavolo di studio che consideri le peculiarità dei singoli lavori, come previsto nel

verbale governo-sindacati siglato lo scorso anno». c Gli usuranti GIÀ ESCLUSI DALLO SCATTO

AUTOMATICO FINO AL 2026 Lavori in galleria, cava o miniera Lavori in cassoni ad aria compressa Lavori

svolti dai palombari Lavori ad alte temperature Lavorazione del vetro cavo Lavori di asportazione

dell'amianto Lavori svolti prevalentemente e continuamente in spazi ristretti (attività di costruzione,

riparazione e manutenzione navale, e, per spazi ristretti, intende intercapedini, pozzetti, doppi fondi, blocchi

e affini) Conducenti di veicoli adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo, con capienza superiore a 9

posti Lavori a catena o in serie 1 10 11 12 13 14 15 I 15 mestieri gravosi proposti dal Governo Addetti alla

concia di pelli e pellicce Addetti ai servizi di pulizia Addetti spostamento merci, magazzinieri e facchini

Camionisti o conducenti di mezzi pesanti Macchinisti e personale viaggiante Gruisti o chi guida macchinari

di perforazione nei cantieri Infermieri o ostetriche che operano su turni Maestre/i di asilo nido e scuola

dell'infanzia Operai edili Operatori ecologici Personale che accudisce i non autosufficienti (badanti)

Marittimi (che lavorano sulle navi) Addetti alla pesca (che lavorano sui pescherecci) Operai agricoli

(braccianti) Siderurgici 1 10 11 Chi preme per essere esentato Operai metalmeccanici e di altri comparti

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manifatturieri Addetti funivie Vigili del fuoco Poliziotti Addetti ai penitenziari Guardie giurate Postini

Coltivatori diretti Operai dei mattatoi Medici di sala operatoria Addetti bar e ristoranti - LA STAMPA

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Alitalia, il rilancio dei tedeschi Nuovo piano Lufthansa: sul tavolo 250 milioni per la flotta, le rotte e la manutenzione Esuberi per 2000dipendenti. Il governo: «La compagnia va meglio, non vogliamo svendere» Umberto Mancini Tutti i piloti e le hostess, una parte del settore della manutenzione, le rotte domestiche ed europee, una

parte degli amministrativi, una flotta di 90-100 aerei. Per fare di Alitalia una compagnia solida, efficiente e

con un futuro industriale definito. Il piano messo a punto dall'ad di Lufthansa Carsten Spohr è nelle mani

dei commissari guidati da Luigi Gubitosi. Alle pag. 2 e 3 Di Branco a pag. 2 R O M A Tutti i piloti e le

hostess, una parte del settore della manutenzione, le rotte domestiche ed europee, una parte degli

amministrativi, una flotta di 90-100 aerei. Fuori dal perimetro aziendale l'handling, le rotte non economiche

e i velivoli che consumano troppo. Per fare di Alitalia una compagnia solida, efficiente e con un futuro

industriale definito. Il piano messo a punto dall'ad di Lufthansa Carsten Spohr e dal gruppo di lavoro creato

ad hoc è nelle mani dei commissari guidati da Luigi Gubitosi. Cifre, grafici, strategie che delineano il

percorso che i tedeschi immaginano per l'ex vettore tricolore. Un piano che vuole dare un futuro ad Alitalia,

non svuotarla, nè trasformarla in un piccolo vettore marginale. Una compagnia che riprenderebbe il suo

percorso con non più di 6.000 dipendenti, capace di integrarsi e completare lo scacchiere internazionale del

colosso tedesco. Dal quartier generale di Co`

lonia si punta a valorizzare il settore della manutenzione, considerato di alto livello, così come è apprezzata

la professionalità e competenza degli equipaggi.

I SOLDI Sul piatto Spohr, secondo quanto risulta al Messaggero , è disposto a mettere circa 250 milioni,

ma non è escluso che si possa anche raddoppiare in funzione degli accordi che potranno essere raggiunti

con il governo e i fornitori. E che il lavoro, giudicato prezioso dei commissari, continui a ridurre i costi e ad

aumentare la redditività. Come

accaduto del resto sul fronte dei contratti per il carburante (tutti rivisti al ribasso), del leasing e

dell'efficientamento della flotta. Risparmi per oltre 140 milioni che hanno dimostrato la capacità di Gubitosi

& Co nella gestione operativa e, di converso, la scarsa attenzione di quella targata Etihad. Risparmi che

Lufthansa potrebbe ulteriormente incrementare, giurano a Colonia, attraverso le sinergie di gruppo.

LE CIFRE Il piano Lufthansa esclude l'handling (circa 3.100 dipendenti), che, come noto, è entra

to nel mirino di altri operatori che si sono fatti avanti con proposte concrete. Al netto dei servizi di terra, il

sacrificio sul fronte occupazionale non dovrebbe superare le 2.000 unità.

GLI OCCUPATI Un numero elevato ovviamente, ma dal quale potrebbe partire la trattativa vera e propria

con governo e sindacati. Sullo sfondo la proposta di Cerberus pronto a rilevare tutti gli asset non convince

l'esecutivo e una parte dei commissari. Si sa infatti che il Fondo Usa mira ad acquisire l'intero pacchetto per

poi rivenderlo a pezzi, senza dare nessuna garanzia occupazionale futura. La proposta tedesca, anche se

migliorabile agli occhi del governo, appare quella più seria e credibile, almeno sotto il profilo strettamente

industriale. Perché gli americani, tra l'altro, dovrebbero superare il vincolo del passaporto, non potendo

acquistare la maggioranza della società italiana in quanto extra comunitari. Come ai tempi della contesa

con Air France, i tedeschi farebbero di Fiumicino il loro quinto hub, mentre Milano, ovvero gli scali di Linate

e Malpensa, sarebbero valorizzati per i voli point to point e il federaggio verso gli hub. Il piano di Spohr, che

ha avviato contatti diretti con i commissari, dovrebbe ricalcare il percorso della svizzera Swiss, riportata in

vita dopo il fallimento di Swissair, ma con una strategia differente tra Nord e Centro-Sud Italia. Fiumicino,

come accennato, sarà invece il cuore operativo per le destinazioni transatlantiche verso Stati Uniti e centro

e sud America. Previsto anche uno sviluppo delle rotte in Italia. Degli attuali 123 velivoli dovrebbero

restarne operativi circa 90-100. Il punto chiave, come hanno detto i commissari e il governo, resta quello

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occupazionale. Meno tagli ci saranno e più il piano potrà decollare. I tedeschi sono comunque pronti, anche

se non è scritto nel piano, a reinvestire in maniera massiccia su Alitalia dopo aver avviato la cura

dimagrante. Di certo eviteranno di fare promesse che poi non si possono mantenere. Il modello da seguire

è quello di Swiss Air che, dopo il fallimento e una cura lacrime e sangue, ha ripreso ad assumere e a

crescere sul mercato, macinando utili. Umberto Mancini

Il piano dei tedeschi per Alitalia

6.000500 MILIONI

2.000 dipendenti (mantenimento degli attuali livelli occupazionali per piloti, hostess, manutenzione, par te

del compar to amministrativo, mantenimento degli slot) FINO A per rilevare la compagnia tricolore nessun

interesse per l'Handling taglio di tutte le rotte improduttive esuberi concentrati prevalentemente nella parte

amministrativa possibilità di riassunzione dopo aver ripor tato in utile il vettore cessione degli aerei che

consumano di più e mantenimento di una otta di circa 90-100 velivoli Fiumicino diventerà il quinto hub del

gruppo tedesco sviluppo delle tratte in Italia integrazione con il net work di Lufthansa che sposterebbe su

Milano il braccio low cost mantenimento del brand Alitalia e implementazione delle rotte intercontinentali

profittevoli investimento iniziale di circa 250 milioni legato al meccanismo del discount cash ow, ovvero al

rendimento dell'investimento nel tempo potenziamento e nuovi investimenti dopo 18 mesi dall'ingresso in

Alitalia focus sul Sud del mondo e consolidamento sullo scacchiere internazionale

Foto: FLOTTA DI 100 VELIVOLI RISPARMI GRAZIE ALLE SINERGIE SFORBICIATA ALLE TRATTE IN

PERDITA ESCLUSO L'HANDLING

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SCENARIO PMI

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Manifatturiero La lunga marcia dei freni Brembo continua con lo sbarco a Nanchino Nonostante il rallentamento della crescita economica cinese, Pechino continua ad essere il secondo

importatore mondiale di prodotti metallurgici e in particolare di macchinari (più di 658 miliardi di dollari nel

2016).

Le esportazioni italiane verso questo Paese sono aumentate dal 2014 al 2016 del 10% per quanto riguarda

i prodotti in metallo, e del 19% per i macchinari, raggiungendo un valore complessivo superiore a 8,4

miliardi di euro.

Il successo di Brembo - l'azienda guidata da Alberto Bombassei ( nella foto ) - in Cina, nasce quasi 20 anni

fa con l'avvio di una piccola produzione di freni d'eccellenza. «Nel 2016, l'azienda ha acquisito il 66% della

società Asimco Meilian a Langfang (Pechino), mentre quest'anno ha lanciato un ulteriore investimento a

Nanchino per la realizzazione del primo polo industriale cinese in grado di produrre pinze in alluminio per

auto» spiega Umberto Simonelli, General counsel di Brembo. Oggi in Cina, un mercato che produce circa

27 milioni di veicoli, Brembo, con 200 milioni di euro di fatturato con circa 1.300 addetti, è leader di mercato

nella produzione di dischi e pinze, con quattro insediamenti produttivi.

«Un percorso che dimostra come, nel medio-lungo periodo e con gli adeguati investimenti si possa portare

l'eccellenza italiana in Cina nel mondo delle auto e dei veicoli commerciali», conclude Simonelli.

Ba.Mill.

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13/11/2017Pag. 41 N.44 - 13 novembre 2017

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Industria FinanzaVerso piazza affari Da Graded a D'Amico In Elite ammesse altre 7 aziende del Sud Boom in Campania: 5 tra Napoli e Salerno, le altre in Calabria e SiciliaJerusalmi, ad di Borsa Italiana: «Cosìfacciamo crescere le società» Salvatore Avitabile Dalla Campania alla Sicilia: altre sette grandi imprese del Mezzogiorno sono entrate in Elite, la società del

London Stock Exchange Group la cui missione è supportare le imprese ad alto potenziale in tutte le fasi del

loro ciclo di vita, da private fino a quotate, facilitando l'accesso ai capitali in ogni forma attraverso l'impiego

di tecnologie digitali. E altre 4 hanno già ricevuto il certificato di Elite per aver completato il percorso di

crescita. A livello nazionale sono 34 le nuove società ammesse al programma dedicato alle imprese ad alto

potenziale di crescita. «Le aziende provengono da 12 regioni tra cui per la prima volta la Calabria e

operano in diversi settori tra cui chimica, Ict, food&beverage e moda a ulteriore conferma della capacità di

Elite di rappresentare l'economia reale», fanno sapere dalla società.

Secondo Elite, inoltre, le aziende hanno un fatturato medio di 58 milioni di euro con un tasso di crescita del

13%. Creato per supportare le aziende nella realizzazione dei loro progetti di crescita, «Elite dà loro

accesso a numerose opportunità di finanziamento, migliora la loro visibilità e attrattività, le mette in contatto

con potenziali investitori e affianca il management in un percorso di cambiamento culturale e

organizzativo». Oggi la community internazionale è costituita da 632 aziende, di cui oltre 400 italiane, per

50 miliardi di euro di ricavi e oltre 224.000 dipendenti. Sono previsti oltre 80 ingressi internazionali nella

community Elite a novembre tra cui le 34 nuove società in Italia. È, inoltre, di 5 miliardi il valore delle

operazioni di finanza straordinaria che hanno coinvolto le società Elite dal 2012. Quali sono, dunque, le

aziende del Sud ammesse a Elite? Tre società sono napoletane. C'è l'Acetificio Marcello de Nigris,

specializzato nella produzione di generi alimentari, che ha il dipartimento di stoccaggio del vino a Caivano.

Poi la Graded, società di prodotti e servizi industriali fondata come ditta individuale nel 1958 dall'ingegner

Lucio Grassi. Terza: la Protom Group, specializzata nei software e servizi informatici. È una società di

consulenza direzionale e di servizi avanzati e tecnologici e vanta importanti esperienze sia nella

progettazione e realizzazione di sistemi per la pubblica amministrazione e per le aziende sia

nell'organizzazione ed erogazione dei servizi di conduzione degli stessi.

Altre due società sono di Salerno. La prima è la D'Amico D&D, specializzata nei prodotti di generi

alimentari. Il gruppo fu fondato nel 1967 dai fratelli Mario e Francesco D'Amico. Poi c'è la Re.Ma Plast, nel

settore chinica. È un'azienda di Sarno che produce sacchi e shoppers di plastica, destinati principalmente

ad aziende alimentari e farmaceutiche, cartiere, supermercati ed altri enti. In Calabria entra in Elite

l'Agrumaria Reggina, specializzata nel settore bevande, mentre in Sicilia premiata la Caronte&Tourist che

opera nel settore trasporti.

In Italia, poi, 18 società hanno ricevuto il certificato Elite. Quattro campane. Due a Napoli (Antony Morato,

azienda che si occupa di prodotti per la persona e la moda, e Coelmo, industria diversificata) e due a

Salerno (Euroflex, specializzata nella produzione di metalli industriali ed estrazione mineraria, e la

Fiammante Icab, dedita alla produzione di generi alimentari). Per Raffaele Jerusalmi, amministratore

delegato di Borsa Italiana e presidente di Elite «Elite ha l'obiettivo di proporsi come acceleratore di

ambizioni e di crescita per le aziende. Elite ha avuto grande successo in Italia e questo ci ha consentito di

esportare il modello in Europa e in altre aree geografiche. Oggi siamo presenti in 25 Paesi, a testimonianza

di come risponda alle esigenze delle Pmi a prescindere dalla loro collocazione geografica». Luca Peyrano,

ceo e general manager di Elite, ha aggiunto: «Partendo dall'Italia, Elite ha saputo creare un modello di

eccellenza dedicato alle migliori aziende riconosciuto a livello internazionale. Siamo felici di dare oggi il

benvenuto a nuove aziende Elite che rappresentano diversi settori e regioni italiane. Il futuro del nostro

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Paese è infatti strettamente collegato alla capacità di valorizzare quello delle sue aziende più virtuose e

Elite gioca un ruolo cruciale nel raggiungimento di questo obiettivo; basti pensare che oltre il 35% delle

società Elite ha già completato operazioni di finanza straordinaria per un valore aggregato di oltre 5 miliardi

di euro».

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Cosa è

Elite è una società del London Stock Exchange Group, la cui missione

è supportare le imprese ad alto potenziale in tutte le fasi del loro ciclo di vita, da private fino a quotate,

facilitando l'accesso ai capitali in ogni forma attraverso l'impiego

di tecnologie digitali. Offre in modo particolare una filiera di prodotti integrati le cui soluzioni vanno dal

supporto nella crescita attraverso programmi di training, alla raccolta di capitali fino alla gestione dell'attività

di investor relations. Elite è una Community che conta oltre 600 aziende da 25 paesi diversi, un network di

150 Advisor e oltre 100 investitori. La piattaforma inoltre presenta Elite Growth, Elite Club Deal ed Elite

Connect.

Foto: Raffaele Jerusalmi è nato a Milano il 21 marzo 1961. È amministratore delegato di Borsa Italiana e

presidente del programma Elite

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