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Questo libro è il diario di una maestra.
Ho sempre desiderato scrivere le storie dei bambini. Eppure non so perché, per
vent’anni sono state semplicemente dentro la mia testa. Qualche volta raccontavo
aneddoti ai miei amici, ogni tanto mi spingevo oltre condividendo qualche
riflessione con le colleghe più care, ma poi i pensieri tornavano nella testa, sospesi in
attesa di qualcosa che gli desse davvero voce.
Il bisogno di scrivere è qualcosa che non si controlla facilmente e alla fine quando i
pensieri hanno iniziato a premere, così per gioco, ho aperto una pagina facebook e
ho iniziato a raccontarmi. Niente di speciale, semplici episodi senza troppi ricami,
volevo che fossero un’ occhiata fugace e schietta su un mondo meraviglioso.
Col tempo mi sono accorta di avere moltissimo da dire perché lavorare con i
bambini piccoli significa perdere pezzi di te per guadagnarne altri. Ogni giorno si
arriva a casa diversi. Anche letteralmente diversi. Si parte con vestiti puliti e si torna
a casa con qualche segno di pennarello o tempera, con il pongo sotto le unghie e i
capelli arruffati perché qualcuno ha voluto giocare al parrucchiere con te. Si ritorna
svuotati da tutte le tue forze e le tue energie. E ricolmi di voci, carezze, canzoni,
storie che non puoi fare a meno di raccontare.
Racconto di bambini ma anche di adulti perché una scuola è fatta anche di colleghe
con cui si va d’accordo, ma qualche volta ci si scontra, di genitori che sono da
accogliere con i loro figli ma anche un po’ da condurre gentilmente alla porta
rassicurandoli che andrà tutto bene.
Nel libro si trova un po’ di tutto. Qualcosa di divertente perché in questo lavoro si
fanno delle grandi risate, qualcosa che commuove, qualche piccola arrabbiatura, un
po’ di stanchezza e un pizzico di entusiasmo.
1 settembre
Si sa, i bambini alla scuola materna producono una quantità enorme di disegni.
Qualche volta li portano alla maestra che generalmente dice “ che bello? Cos’hai
disegnato?” ( e il bambino in questione pensa “ perché cavolo mi dici che è bello se
non sai cos’è???)
Comunque uno degli ultimi giorni di scuola Gabriel mi porta questo disegno e alla
mia domanda mi spiega:
« Ho disegnato io che sono a letto e sto sognando un regalo. Poi arriva mio papà e
mi sveglia e mi dice “ è ora di andare a scuola!” e questa verde sei tu che mi aspetti
alla scuola con le braccia aperte»
Non c’è cosa più bella di un bambino felice di andare a scuola… Non c’è cosa più
bella di una maestra che è lì con le braccia aperte ad aspettarlo..
Buon anno scolastico a tutti!
ABITARE
I primi giorni di scuola sono i più faticosi. Per chi va alla secondaria, per chi va alla
primaria, per chi torna alla scuola dell’infanzia, per le maestre. Ma sono giorni
difficili soprattutto per chi ha tre anni e magari non è andato al nido e per la prima
volta si avvicina a questa realtà misteriosa e grandiosa che si chiama SCUOLA.
A volte penso che in fondo la scuola dell’infanzia è un po’ il biglietto d’ingresso,
quello che dà ai futuri studenti la prima immagine della scuola e se l’esperienza è
buona e importante allora sarà più facile che il bambino cresca con l’idea che la
scuola sia un posto sicuro, accogliente dove si fanno e si imparano cose
meravigliose.
Ci sono tantissime diverse reazioni dei piccoli a questa nuova esperienza. C’è quello
felice come fosse al luna park, quello che piange e urla disperato, quello che cerca di
scappare mollandoti un calcio negli stinchi, quello che si insinua continuamente nel
tuo abbraccio, quello che dopo un ora che è lì ti dice «è stato bello, adesso vado a
casa» e tu «ehm.. veramente dovresti stare qua tutti i giorni..»
Ce li abbiamo tutti. Anche Giulia che l’altra sera ha detto alla sua mamma che è così
bello stare a scuola che vorrebbe starci anche la sera a dormire. Chissà se Giulia
manterrà questo entusiasmo anche in futuro, quando sarà una ragazza e la scuola
sarà anche studio e costanza e impegno.
C’è Ginevra che quando va a casa mi dice «guarda che domani torno!» e non ho
ancora capito se è una cosa bella o una minaccia…
E c’è anche Agata che l’altro giorno, mentre eravamo in cerchio ci ha detto: « io
abito dai gialli»
ABITARE (cito dal dizionario): “considerare un luogo la propria casa”
PIERA
Ho conosciuto la mia nuova collega. Si chiama Piera. Quando si è presentata mi si è
smorzato il sorriso in un lampo. “ Mi dispiace tanto” avrei voluto dirle, ma mi sono
trattenuta. Come si fa a chiamarsi Piera nell’anno 2016?
Comunque dicono che il nostro nome rappresenti quello che i nostri genitori si
immaginavano per noi. Tempo fa in un corso d’aggiornamento la docente ha perso
la strada della sua lezione in una lunga divagazione sui nomi. La signora sosteneva,
generalmente parlando, che si può identificare il nostro periodo di nascita dal nostro
nome perché anche i nomi seguono in qualche modo la moda. In più il nome dice
quello che i nostri genitori avevano in mente pensando al figlio in arrivo. Il nome che
mio padre e mia madre avevano scelto per me era Beatrice. Poi all’ultimo hanno
cambiato in Francesca per un dettaglio che non posso raccontare; comunque avrei
dovuto essere una Beatrice, una creatura candida; una bambina bionda dagli occhi
celesti e trasudante dolcezza. E invece eccomi qua. Nera, occhi scuri, pelle scura.
Però un filo di dolcezza, come una scia di profumo, è rimasta. Ma giusto un filo.
Un giorno, quando saremo un po’ più in confidenza, chiederò alla Piera perché mai i
suoi genitori abbiano scelto questo nome per lei.
Piera è giovane, ha i capelli esattamente come i miei, scuri e paurosamente ribelli.
Un po’ ricci, un po’ lisci, un po’ crespi. Terribili. Ingestibili.
Ha un sorriso grande e disarmante. È piena di energia e la prima impressione è
quella di una persona felice.
Ero molto preoccupata per questo incontro perché alla scuola dell’infanzia si lavora
in gruppo. Ma la vera squadra è dentro la classe ed è fatta da due colleghe, a volte
tre se si ha la fortuna di avere anche l’insegnante di sostegno. A differenza degli altri
ordini di scuola dove si condivide con altri docenti, ma ognuno insegna la sua parte,
alla scuola materna si lavora costantemente insieme. Andare d’accordo, essere in
sintonia diventa perciò indispensabile.
Non so se io e Piera ce la faremo, se riusciremo a trovare il feeling giusto, a
condividere il modo di lavorare. Mal che vada ci troveremo su un terreno
sicuramente comune: i nostri capelli!!
SEMPLICE
« Maestra, lo sai che fra poco vado nella città dell’uomo ragno?»
« Davvero? E come si chiama questa città?»
« New York!»
« Che bello, mi piacerebbe anche a me andare a New York»
« Vieni allora! Ti porto io»
E’ meraviglioso pensare a come per i bambini sia tutto molto semplice. Se vuoi fare
una cosa, falla. Se vuoi andare in un posto, vai. Se vuoi dire una cosa, dilla. Poi
crescendo capiscono che attorno a noi c’è una grande impalcatura di doveri,
convenzioni, leggi, tempi che condizionano qualsiasi nostra scelta. Per un bambino
niente è impossibile perché non ha conosciuto ancora i freni sociali, economici,
morali che saranno poi gli apparati burocratici di ogni sua scelta da grande.
Credo che i grandi uomini della storia siano tutti quelli che hanno conservato in loro
questa attitudine dei bambini a pensare in modo semplice. A vedere oltre. A
considerare realizzabile ciò che il senso comune giudicava irrealizzabile. Quello che
non dobbiamo fare è smettere di desiderare, di sognare, conservando almeno quel
pezzetto dell’essere bambini perché in fondo in fondo niente è impossibile.
Tantomeno volare a New York!
UNA DI LORO
Oggi pomeriggio all’orario d’uscita alcuni bambini aspettavano le mamme
nascondendosi dietro un piccolo armadio. Quando la mamma arrivava io, su loro
indicazione, dovevo dire che Andrea, Pietro, Simone, non c’era così lo scherzo alla
mamma veniva proprio bene. Ad un certo punto Adam che è un bimbo dolcissimo di
tre anni mi dice: « Fansi (perché è così che mi chiama Adam), Fansi, vieni anche tu a
nacondeti che fai una soppesa alla tua mamma»
E Andrea che è un po’ più grandicella : «guarda che lei va a casa da sola. L’ho vista
io»
Insomma faccio parte del gruppo.
E me lo ricorda anche il nonno di Tommaso quando entra in classe e una volta su
due lo sento chiedere: «scusate bambini, ma dov’è la maestra?»
E io: « sono qui..»
E il nonno: « oh mi scusi signora, lì in mezzo ai bambini non la vedevo»
E per concludere… L’altro giorno si parlava del lavoro dei genitori. Una carrellata di
cose interessanti che poi un giorno scriverò anche di questo perché ci si diverte. Alla
fine del giro di camionisti e parrucchiere e mamme che lavano e stirano e infermiere
e muratori e benzinai, un bambino con aria da “ ora faccio la domanda del secolo”
mi fa: « MA TU FRANCI, CHE LAVORO FAI?» !!!
UNA DI LORO 2
Alessandro: «Franci, volevo avvisarti che sono iniziate le nuove puntate della
dottoressa peluche»
Io: «Ah si?...»
Alessandro:« non mi chiedi su che canale?»
Io:« Su che canale?»
Alessandro:«Su rai yoyo alle sette»
Io: «ah ecco così magari lo guardo» magari…
NOMI E NOMIGNOLI
Ieri sono stata ripresa dalla mia collega Piera. Quando fra due colleghe c’è la
schiettezza di dirsi anche quello che non piace, allora le cose funzionano bene.
Comunque, mentre chiamavo una bambina, Piera mi ha detto «ti prego, per
quest’anno impegnati a chiamarla Andrea e non Andreina». Giusto. Poi mi sono
guardata in giro e mi sono resa conto che dovrò impegnarmi parecchio con tutti,
perché c’è Pietro che spesso è Pietrino, Maria che è Mari o peggio ancora Meri,
Margherita che la chiamo Marghe, Samuele, Samu e via così; poi ogni tanto
degenero totalmente e i bambini diventano “cucciolo, fagiolino, fragolina,
ciliegina”… Terribile.
Per prima io vengo chiamata con moltissimi nomignoli ma in genere mi piace. Sono
Franci, Frensi per una mia amica, Fra per mio fratello. Ero Chechin per mia nonna,
Cianfresca per un amico e via così. Mia mamma raggiungeva il culmine quando
affettuosamente (per lei) mi chiamava “scimmia”.
Pochissime persone e per pochissimo intendo due o tre, mi hanno sempre chiamato
Francesca. Fra queste Eros, mio marito. A volte quando ho bisogno di conforto o un
po’ di coccole e gli chiedo “Eros, dimmi qualcosa di bello…” , ecco lui risponde
sempre e semplicemente dicendo “FRANCESCA” attribuendo al mio nome un
significato pieno.
Così uno dei miei impegni per quest’anno sarà quello di chiamare ogni bambino con
il suo nome e questo grazie al consiglio della mia cara collega. Grazie PIERUZ! OPS….
PIERA!
IDENTIKIT DELLA MAESTRA DI SCUOLA DELL’INFANZIA
- Ha un nome spesso storpiato dai bambini, abbreviato dalle colleghe o dai
genitori.
- Capelli in disordine. In genere corti oppure legati non solo per scongiurare il
pericolo “pidocchi” (pericolo con cui prima o poi ha dovuto fare i conti) ma
anche per evitare contaminazioni con materiali vari ( farina, tempera, mani
dei bambini..)
- Viso con moltissime rughe d’espressione e in generale ha un sorriso stampato
in faccia
- Porta vestiti comodi, molto comodi.
- Porta scarpe basse. Difficile trovare una maestra di scuola dell’infanzia con i
tacchi a spillo e se l’avete vista diffidate di lei. Naturalmente ci sono le
eccezioni. Una mia ex collega, Patrizia, maestra fantastica e donna con un
fascino da bomba sexi, spesso portava con molta disinvoltura scarpe coi tacchi
anche se per lo più erano scarpe con le “zeppe”. Ricordo che invidiavamo
tutte la sua scioltezza nel camminare con ai piedi quei trampoli tanto che la
mia collega Anna un giorno le disse “ dai fammele provare”. Il risultato fu un
ruzzolone giù dai tre gradini della mensa, cento bambini urlanti,
un’ambulanza e una caviglia rotta. Tutto vero giuro.
- Generalmente dopo qualche anno di lavoro ha problemi di schiena per il
costante sollevamento pesi. Pesi vivi.
- Ha sperimentato sulla sua pelle tutte le malattie possibili, soprattutto quelle
esantematiche
- È generalmente leggermente sorda
- È un po’ psicologa, un po’ mamma, un po’ artista
- Spesso è magra e se non lo è, è comunque molto agile
- È stressata
- È felice
IL MIO IDENTIKIT
- Mi chiamo Francesca. Franci per le colleghe e per i genitori. Per i bambini
Franci ma anche Tanci, Fanci, maestra, mamma, signora, suora (una volta un
bambino mi ha chiamato suoraaaaa!)
- Ho i capelli costantemente in disordine e per questo e per altri motivi che non
specifico (vedi sopra) li tengo quasi sempre legati
- Vesto sempre in jeans e maglioncino. Qualche volta a scuola vado anche in
tuta, rarissimamente con la gonna. Mi manca però vestirmi elegante. A volte
penso che vorrei uscire di casa come se andassi in ufficio, tubino, giacchetta e
tacchetti. Mmm come mi piacerebbe vestirmi così.
- Mi considero in buona salute. Nonostante ciò mi sono ammalata di tutto. Ho
fatto tutte le malattie esantematiche anche quelle che vengono definite
quarta, quinta e sesta malattia. Mi chiedo spesso quale sia la prima e la
seconda. Lo streptococco è mio amico tanto che un anno mi ha causato una
malattia alla tiroide che è stata lunghissima da debellare. Prima di scoprire
questa malattia, avevo fatto gli esami del sangue per escluderne altre tipo la
mononucleosi,la toxoplasmosi, il citomegalovirus ecc. insomma è risultato
che io ero immune a tutto quanto, cioè avevo fatto o contratto queste
robacce senza nemmeno accorgermene. Sono miei amici anche i virus gastro
intestinali. Una volta ho preso una malattia che il mio medico ha definito
“tropicale”. Ho una piccola protusione alla schiena. Ma in generale, come
dicevo sopra, mi considero in buona salute.
- Sono un poco sorda. L’inquinamento acustico a cui è sottoposta una maestra
è qualcosa di pazzesco. A volte in casa mia tengo un tono di voce così alto che
le mie figli si voltano di scatto per vedere se dietro loro c’è una folla.
- Sono stressata
- Sono felice
DIFFERENZE
Pietro e Eden stanno costruendo una nave con il lego.
Pietro: «Eden, come mai sei tutto marrone?»
«Eden: «Non so sono nato così. E poi in casa mia sono tutti marroni»
Pietro: «In casa mia non ce n’è neanche uno di marrone»
MORTI PREMATURE Agata: «lo sai Franci che i miei genitori stanno per morire?» ( detto però con una certa serenità)
Io: «Che??? Cosa stai dicendo Agata? Perché i tuoi genitori stanno per morire?»
Agata: «Perché loro ogni tanto dicono “siamo anziani”. Anche quando sono stufa di camminare e chiedo a mio papà di portarmi in spaletta lui dice di no. Dice che è vecchio…»
( premetto che il giorno prima avevo rassicurato una bambina sulla morte dei genitori. Le avevo detto di stare tranquilla perché in genere si muore quando si è vecchi…)
VIVERE CON I SENSI ALZATI
I sensi sono il tramite fra noi e il mondo. Lo sanno bene i bambini che vivono con i
sensi alzati.
Quando stiamo con i bambini veniamo continuamente sollecitati da frasi tipo: senti
che puzza, tocca che morbido, guarda, vieni a vedere …
Quando camminano per strada i bambini fanno scorrere le mani sulle ringhiere e sui
muri per sentire sotto le dita le sensazioni. Assaggiano il didò, fissano incantati una
persona mentre noi diciamo che non sta bene, fanno rumori e pernacchie con la
bocca … E tutti i sensi sono una cosa sola nel senso che non distinguono fra una
sensazione e l’altra.
Recentemente ho detto a una bimba che aveva le mani nel piatto di non toccare le
frittata e lei mi ha risposto: «la sto assaggiando»
« Ma si assaggia con la bocca» ho detto io
« Ma io l’assaggio prima con le mani» mi ha risposto seria.
Tommaso d’Aquino diceva “ nulla è nella mente che prima non sia stato nei sensi”.
Ecco perché alla scuola materna si lavora sulle esperienze sensoriali, perché queste
sono il ponte fra il mondo e la nostra mente.
10 OTTOBRE
«Oggi viene a prendermi mio fratello perché è un po’ maggiorenne» (Matteo 5 anni)
«Quest’estate ho visto una mostra di uno che mi sembra si chiama SCARAVAGGIO»
( Anna 5 anni)
« Cosa c’è di primo?» « Pasta agli aromi» « Io senza l’AROMO grazie, perché non so cos’è» ( Samu 4 anni)
IL PESTAGGIO PREVENTIVO
Per chi come me non ne fosse a conoscenza, oggi ho scoperto che esiste il
PESTAGGIO PREVENTIVO.
Eravamo in giardino a giocare. Ad un certo punto punto arriva Christian in lacrime
accompagnato da Roberto
«Cos'è successo?» chiedo
«Lui mi ha picchiato» dice Christian in lacrime indicando Roberto
«Ti spiego» dice Roberto «noi stavamo litigando e io ho pensato che lui mi voleva
picchiare»
« E allora?» chiedo io che non capivo
«Allora io l'ho picchiato. Per sicurezza.» dice Roberto
A questo punto mentre dentro ridevo non ho potuto fare altro che dire
«Guarda Roberto facciamo così. Per sicurezza siediti qui un momento vicino a me
che applichiamo un piccolo CASTIGO PREVENTIVO...
Per sicurezza...
LACRIME
I bambini versano tantissime lacrime. Al tempo stesso si fanno delle risate sguaiate
di quelle che a noi capitano una volta ogni tanto quando abbiamo esagerato con
l’alcool.
Mi capita a volte di sentirmi immersa in una piscina d’emozioni. Lacrime di rabbia, di
tristezza, di delusione, risate di gioia, d’allegria, urli di dolore, sospiri di stanchezza e
di piacere. Tu sei li in mezzo a tutto. E a volte vorresti scappare perché tutto quel
concentrato di vita capita che sia un po’ troppo da sopportare. Così, quando esci da
scuola, cammini lenta verso casa per fartelo piano piano evaporare dalla pelle.
Ma è bellissimo. E speciale e raro.
Poi succede che i bambini crescono e diventano grandi. E si impara a tenersele un
po’ dentro tutte quelle emozioni o a farne uscire solo frammenti. Così si sorride, non
si ride più a squarciagola. Ci si incupisce e le lacrime si lasciano dentro gli occhi.
Solo che loro, i bambini, rimangono veri e noi assomigliamo sempre più a manichini
di plastica perfetti dentro la vetrina della vita.
MICHELE
Io : «Che cosa ti piace fare alla scuola materna?»
Michele: «Mi piace stare seduto sul divanetto nell’angolo morbido a guardare i
bambini che giocano»
Alla maestra scrupolosa e sospettosa si accende all’istante un campanello d’allarme
sull’entità di tale risposta. Michele ha qualche problema? Non è inserito nel gruppo?
Ha un disturbo del comportamento o della sfera emozionale? E’ asociale? Presenta
tratti depressivi?
No maestra Franci. Tranquilla. Michele ha tre anni ed è già un saggio. Lui sa che a
volte è bello fermarsi e guardare gli altri e il mondo. Sa, che si può imparare molto
osservando gli amici. Sa che nella vita non sempre è necessario buttarsi nella
mischia, ma qualche volta occorre anche sedersi, riposarsi, mettersi comodi e
godersi lo spettacolo.
ERIKA
Questa mattina Erika che ha cinque anni e un lingua da vent’enne in carriera, mi
stava vicino mentre io preparavo un cartellone. Ad un certo punto mi ha detto «io
sono molto bella». Poi è andata a giocare e dopo una decina di minuti è ritornata
per dirmi «io sono anche molto elegante». E non ha detto queste cose per
chiedermi conferma, né per aspettare una mia reazione. Lei ha fatto una pura
constatazione, un annuncio ai naviganti, un comunicato stampa di un dato di fatto,
una verità semplice. Che lei è bella.
Lo ha detto senza darsi delle arie, senza ragionarci troppo sopra e senza tanti giri di
parole.
Io le ho risposto:«E’ vero, Erika, sei molto bella» ma lei non si è minimamente
interessata alle mie parole. Perché lei lo sapeva già.
UNA MANINA
Orario d’uscita. Sono le quattro e sei stanca. Hai raccolto parole, dispensato sorrisi,
consolato pianti, calmato animi irrequieti e mediato litigi, sollevato in braccio, hai
alzato troppo la voce e ti senti in colpa, hai corso, sei stata seduta per terra, hai
ascoltato qualcuno e ti sei dimenticata di altri , hai mangiato alzandoti e sedendoti
ogni minuto per versare acqua, tagliare, incoraggiare qualcuno e frenare altri; hai
giocato, hai cantato, hai compilato schede. Hai osservato, ti sei arrabbiata, ti sei
intenerita. Hai pulito, spostato mobili, ti sei sporcata le mani ripetutamente. Hai
letto storie mentre qualcuno ti guardava rapito e altri si facevano i fatti loro. …
E ora, quando quasi tutti i bambini se ne sono andati, ti siedi a chiacchierare con i
pochi rimasti. Stanca e un po’ ricurva.
Ma c’è una piccola manina che ti tiene da dietro, che sembra dirti “mi vai bene così”,
che sembra voler rimanere attaccata a te ancora per un poco…
Ed è per quella manina lì e per tutte le altre che esci felice e che domani ti verrà
voglia di tornare a lavorare.
IL PIU’
In questi giorni a scuola stiamo lavorando sul nostro più. L'idea ce l'ha data il grande
Gianni Rodari che nella storia "i viaggi di Giovannino Perdigiorno" parla del paese
degli uomini più. Così abbiamo chiesto ai bambini di dire che cosa fosse il loro "più".
Forse se avessimo rivolto la stessa domanda a degli adulti avremmo ottenuto in
risposta sguardi perplessi e lunghi silenzi. In realtà i bambini, più veloci e spontanei
di noi, hanno dette delle cose bellissime. Nella mia classe ad esempio c'è il più bravo
a riordinare, il più atletico, il più bravo a spostare i tavoli ( chissà poi perchè, ma
Samuel si è definito proprio così), la più brava ad aiutare i piccoli e molti altri ancora.
Nella classe dei verdi c'è il più bravo pensatore ( peccato che talvolta mette in
pratica quello che pensa...!!), c'è la bambina più sorridente (si chiama Micaela e le
sorridono anche gli occhi). Nella classe dei rossi c'è la più brava a sognare (non è
fantastico?)
Fra l'altro i bambini hanno preso questa cosa molto sul serio. Ad esempio l'altro
giorno Matteo mi ha chiesto il nome di un particolare dinosauro disegnato su un
libro e io naturalmente ero impreparata; allora Simone ha detto: " Ma scusate,
chiediamolo a Samuele che è il PIU' sapiente sui dinosauri".
Insomma tutto ciò che c'è di speciale, di bello, di PIU' di ciascuno ora è in circolo
nella nostra piccola scuola, per ricordarci che tutti siamo importanti e che nella vita
serve chi sa pensare, chi sa riordinare, chi sa aiutare gli altri e, perché no, anche chi
sa sognare.
IL POSTO SEGRETO Si chiama "il posto segreto" o "il rifugio segreto ". É un piccolo angolo nascosto della
classe adibito all'inizio a ripostiglio del materiale e dei lavori. I bambini continuavano
ad andarci e noi continuavamo a farli uscire di lí. Poi alla fine ci siamo arrese. Perché
é un piccolo posto dove rifugiarsi. E chi non ne ha bisogno? E in questo spazio
speciale non serve molto. Qualcosa di morbido per coccolarci, un libro, in gioco, un
segreto da raccontare e naturalmente un buon amico.
IL PARADISO
Franci: ( durante le presenze) "Cosa c'è in alto?"
Pietro: "il sole"
Eden: "la giraffa"
Matteo: "l'elicottero"
Giorgia: "la luna"
Andrea; " la montagna "
Riccardo: "lo spazio"
Samuele: "bhe vicino allo spazio c'è anche il paradiso"
A questo punto sono un po' curiosa e chiedo:" in che senso vicino? Tu sai dov'è il
paradiso?"
Samuele: " guarda devi andare dritto dopo lo spazio. Non di qua o di lá ( indica con
le mani la destra e la sinistra) ma devi superare la riga alla fine dello spazio e poi c'è
il paradiso. Non ti puoi sbagliare perché nello spazio é tutto buio. Invece in paradiso
c'è il sole..."
STEREOTIPI
Oggi Nico faceva il parrucchiere. Non penserete che siano sempre e solo le bambine
a fare il gioco del parrucchiere?! Quando le sue compagne si sono stufate di essere
pettinate è venuto da me. Mi ha spalmato una finta crema sui capelli, poi mi ha
pettinato, poi mi ha fatto lo schampo, mi ha tagliato con le mani a forbice i capelli
poi me li ha lisciati e alla fine mi ha detto. «Ecco così sei bella bionda» ( io ho i capelli
neri che più neri non si può)
Qualcosa di simile mi era già capitato tempo fa. Un giorno Deborah mi aveva fatto
un disegno e me lo aveva portato in regalo.
«Che bello, grazie, chi è?» le avevo chiesto
«Sei tu» aveva risposto Deborah
«Ma io non sono bionda»
«Però tu sei bella»
La cosa mi aveva stupito parecchio. Lei aveva disegnato una persona bionda anche
se io avevo i capelli neri, come a dire che se sei bello devi essere per forza biondo.
I REGALI DEI BAMBINI
Lavorare con i bambini piccoli significa ricevere moltissimi regali. Ogni giorno si
torna a casa piene di regali. Davvero. E dopo un po’ non ci si fa neanche più caso e
per la maggior parte delle volte capita o che finiscano nel cestino o che rimangano
sul fondo della borsa e li riscopri solo quando cerchi disperatamente le chiavi della
macchina. Oggi ad esempio. Oggi ho ricevuto un piccolo fiorellino giallo che Andrea
ha trovato sul ciglio della strada entrando a scuola, un disegno da Malak e uno da
Fatima, un semino di mela da Pietro, un massaggio al collo da Matteo, un abbraccio
dalla Franci.
E al momento non ti sembra niente, dici «grazie» con enfasi, ma torni subito a fare
quello che stavi facendo. Poi quando hai svuotato furiosamente la borsa e sono
cadute fuori le chiavi della macchina ma anche tutte queste cose, i disegni, il fiore e
il seme di mela e cade fuori pure l’abbraccio della Franci, ti intenerisci per un attimo
e pensi che loro mentre facevano il disegno e mentre raccoglievano il fiore o quando
ti portavano il seme della mela, ti hanno tenuto nel cuore; anche solo per quel
momento. E ti ricordi che i regali servono proprio a quello: a tenere nel cuore le
persone.
DA GRANDI
Alcuni giorni fa abbiamo chiesto ai bambini cosa vogliono fare da grandi e come si
immaginano. (ma dei loro futuri lavori parlerò un’altra volta). Secondo lo psicologo
Maxwell Maltz (psicocibernetica) l’immaginazione gioca un ruolo importantissimo
per crescere come persone positive e felici. L’immaginarci come persone realizzate,
contente di sé, felici è ciò che ci permetterà di diventare quelle persone. Comunque.
Sono uscite delle cose bellissime. Ad esempio Pietro avrà 10 figli, ma anche
Tommaso, Artur, Eden, si immaginano come futuri papà. Non è meraviglioso il fatto
che vedano la paternità come qualcosa da desiderare per il proprio futuro? Molti
maschi avranno la barba, altri si taglieranno la barba, saranno alti, con gli occhiali,
guideranno la moto e molto altro ancora. Le bambine invece mi hanno sorpreso.
Perché Ramà avrà i capelli lunghi, Andrea indosserà gonne e tacchi alti ma anche
Margherita e Giorgia e Franci. Porteranno il reggiseno, metteranno lo smalto alle
unghie e si truccheranno tutte le mattine. Sono figlie di una generazione di mamme
multitasking che vestono jeans e sneakers ma hanno dentro di sé l’immagine di una
cosa di cui noi donne adulte a volte ci dimentichiamo. E questa cosa si chiama
femminilità.
CONFUSIONE DI RUOLI
Un po' di confusione di ruoli. Dunque poco fa Alice é venuta a prendermi in moto a
scuola. Quando é entrata in classe, Andrea ha detto " é arrivata tua sorella ". Un
altro ha detto " é la sua figlia". Erika allora ha chiesto " perché è più alta di te se tu
sei la sua mamma? " Poi io ho salutato i miei alunni ( che hanno dai tre ai cinque
anni) dicendo " ciao ragazzi " e Alice a quel punto mi ha ricordato che io quando mi
rivolgo a lei e Marta ( che hanno 17 e 15 anni) dico "le mie bambine "...
VACANZE
Aereo per Edimburgo. Probabilmente sono una calamita per persone sotto i dieci
anni. Infatti gli unici bambini sull'aereo sono seduti dietro di me. Nel silenzio della
cabina dove tutti parlano sommessamente o dormono o leggono, si sentono solo
loro quattro. Giocano con i loro supereroi di plastica, mi mandano ginocchiate
spaccaschiena, guardano le nuvole indovinandone le forme, cantano e più di tutto
litigano. Per le patatine, per la nuvola che assomiglia a un dinosauro, no a un
elefante, no ti ho detto che sembra in rinoceronte e molto altro ancora. Il padre
evidentemente già sfiancato al primo giorno di vacanza prova con tutti i mezzi a
tenerli buoni. Offre il tablet, propone giochi, rifila cibo e cibo e cibo ancora ,
interpella la Madonna e suo figlio ripetutamente, ma ad un certo punto se ne esce
con una frase che me la devo ricordare anche per le mie figlie:" se non la smettete vi
GONFIO che non avete idea! " Poi finalmente arriviamo, mi alzo gettando
un'occhiata alla fila dietro per vedere in faccia i demoni e mi accorgo che sono solo
due.... solo due. E belli come angeli.
LA FIDANZATA DI STEFANO
Siamo a tavola. I commensali seduti vicino a me hanno dai tre ai cinque anni. Ma
l’argomento oggi è piuttosto interessante.
Federica (5 anni): « Stefano vero che io sono la tua fidanzata?»
Stefano: « Mi dispiace ma ce l’ho già la fidanzata»
Federica:« Chi è?»
Stefano: «Indovina»
Federica: « E’ la Giorgia?»
Stefano: « No, riprova»
Federica: « E’ la Lucia?»
Stefano: «No, non hai indovinato»
Intervengono anche gli altri bambini seduti vicino a noi, Sofia e Luigi.
« E’ la Maria?»
« No, non avete indovinato»
Federica continua elencando una a una tutte le bambine della classe. A questo
punto mi incuriosisco ed entro nella conversazione con una battuta
« Mi dispiace Federica ma sono io la fidanzata di Stefano» dico sorridendo
« No, sbagliato» replica Stefano
« Ho capito! E’ la tua mamma?!»
« No dai!» risponde Stefano
« Ma è di questa classe?» adesso voglio anch’io sapere chi è la fortunata
« Certo»
«Allora Stefano, noi cediamo. Avanti, dicci chi è la tua fidanzata»
« Sicuri che lo volete sapere?»
«Si» risponde tutto il tavolo in coro
« E’ IL LEONARDO!»
( Che fra parentesi è il migliore amico di Stefano)
Meravigliosi bambini perché Amore e Amicizia sono ancora la stessa cosa.
TRASFERIMENTI
Quando Marta aveva cinque anni abbiamo cambiato casa. Sempre a Lecco ma da un
quartiere ci siamo trasferiti in un altro a distanza di un paio di chilometri a dir tanto.
Ipotizzando di iscriverla alla scuola primaria del quartiere ho ragionato che forse era
meglio spostarla già alla scuola materna . Questa piccola decisione è stata ben
ponderata, ho considerato tutti i risvolti positivi e negativi, le eventuali implicazioni
psicologiche, ho soppesato i pro e i contro e alla fine ho fatto questa scelta e Marta
a giugno ha salutato i suoi amici in una scuola e a settembre ha iniziato in una
nuova.
Ci pensavo oggi perché la segreteria ha telefonato ad una famiglia dicendo che si era
liberato un posto nella mia classe. Il signor Mohamed ha detto « Si, grazie!». Sua
figlia ieri era in una scuola privata e oggi è arrivata da noi. Non dice una parola in
Italiano. Si chiama Rania ed è’ bella come il sole. Il suo papà l'ha accompagnata in
classe, mi ha chiesto come mi chiamavo e poi si è rivolto alla sua bambina dicendo: «
la tua maestra si chiama Francesca» e poi ha salutato ed è andato.
Rania mi ha sorriso e mi ha preso per mano. Con una fiducia infinita nel suo papà,
nelle sue nuove maestre, nella vita.
LA PIERA
Oggi a tavola. Artur che è un giocoliere delle parole chiede a Piera quale maestra
resta e quale se ne va a casa. Piera che è una tosta di quelle “ci arrivi col
ragionamento, manco morta che ti rispondo” parte a fargli fare un giro della serie
«chi hai trovato stamattina quando sei arrivato?»
E lui « la Franci» e lei « allora la Franci adesso va a casa».
Artur visibilmente sollevato che io menassi le tolle si è sbilanciato in una
dichiarazione d’amore fra le più belle mai sentite.
«Piera tu sei la maestra sempre contenta e che non si arrabbia mai.»
A parte il “non si arrabbia mai” che lo possiamo annoverare fra le prime, anzi
primissime (perché il soggetto in questione ha quattro anni) le prime, dicevo,
sviolinate alle maestre, la frase “tu sei la maestra sempre contenta” mi è piaciuta un
sacco. Primo perché alla Piera si addice perfettamente ed è la pura purissima verità,
poi perché l’essere contenti è una connotazione che solo i grandi maestri e le grandi
maestre possiedono. Perché quelli contenti, solo quelli lì sono dei maestri contagiosi
che alla fine della giornata ti mandano a casa col sorriso sulle labbra.
Grande Piera!
IL COMPLIMENTO PIÙ BELLO PER UNA MAESTRA:
" Cosa vuoi fare da grande?"
" Io da grande voglio essere te"
COSTRUIRE INSIEME
Eden e Pietro stanno facendo una costruzione insieme. A vederli sembra quasi un
balletto di mani. Prima uno, poi l’altro, poi mani che si incrociano, prendono pezzi e
ricominciano la danza. Uno pezzo io e un pezzo te, un pezzo te e uno io. La cosa che
mi lascia senza parole è che i due, solitamente chiassosi e frizzanti stanno lavorando
in silenzio. Pezzo dopo pezzo la costruzione cresce. Fra i due nessuna parola e occhi
fissi al loro lavoro. Il tutto con una serietà disarmante.
«Il silenzio è una discussione portata avanti con altri mezzi»(Che Guevara)
COME POLLICINO
In genere torno a casa da scuola a piedi. Mentre l’andata è frettolosa e la testa è
un’elencazione di cose da fare e ricordare, il ritorno è tranquillo, lento e nella
mente c’è il mondo dei bambini che ho appena lasciato.
Mi sento a volte come Pollicino che trovava la strada di casa grazie ai sassolini che
brillavano alla luce lunare. I miei sassolini sono i bambini. Sono dentro i pensieri,
sono nel cuore. E a volte sono anche lì per davvero. Samuel, ad esempio, lo trovo
sopra il benzinaio. Qualche volta mi saluta dalla finestra. Mi chiama la sua mamma
perché lui è timidissimo e allora mi saluta tutto sorridente con la mano. Poi, dopo
pochi metri, lungo lo stradone, abita Maria. Lei invece ha una bella voce squillante e
anche se io sono dall’altra parte della strada la sento che urla «Franci!». Più avanti
abita Sofia che ormai è alla primaria e spesso ci incrociamo sulla porta di casa
quando lei torna da scuola con la sua mamma e il suo fratellino. Sotto casa mia abita
Asia che a volte è sul balcone e se incrocia il mio sguardo mi saluta anche se non è
nella mia classe.
E poi ci sono tutti gli altri . Se sei una maestra non riesci a chiudere la porta del tuo
cuore su tutto quello che è successo mentre eri a scuola. Non immediatamente per
lo meno. Ti ci vuole un po’, forse è anche per questo che cammino lenta. Così lungo
la strada ti accompagnano tutti i tuoi sassolini. Se ne stanno lì stretti stretti insieme
alle maestre che sono colleghe, ma anche un po’ amiche perché in questo lavoro
alla fine ci si sente come in una grande famiglia. Sono tutti lì. Sfilano rubandosi il
posto al teatro dei tuoi occhi. A volte portano sorrisi, altre volte arrabbiature, spesso
tenerezza e una manciata di sensi di colpa per non esserci sempre per tutti, per aver
alzato un po’ troppo la voce con uno o per aver dimenticato di dedicare tempo a una
altro. .
Tutti questi sassolini mi accompagnano a casa oggi. Sono tutti lì brillanti e luminosi a
ricordarmi la strada che è la più bella che ci sia.
FEMMINILITA’
Alcuni giorni fa abbiamo chiesto ai bambini cosa vogliono fare da grandi e come si
immaginano. (ma dei loro futuri lavori parlerò un’altra volta). Secondo lo psicologo
Maxwell Maltz (psicocibernetica) l’immaginazione gioca un ruolo importantissimo
per crescere come persone positive e felici. L’immaginarci come persone realizzate,
contente di sé, felici è ciò che ci permetterà di diventare quelle persone. Comunque.
Sono uscite delle cose bellissime. Ad esempio Pietro avrà 10 figli, ma anche
Tommaso, Artur, Eden, si immaginano come futuri papà. Non è meraviglioso il fatto
che vedano la paternità come qualcosa da desiderare per il proprio futuro? Molti
maschi avranno la barba, altri si taglieranno la barba, saranno alti, con gli occhiali,
guideranno la moto e molto altro ancora. Le bambine invece mi hanno sorpreso.
Perché Ramà avrà i capelli lunghi, Andrea indosserà gonne e tacchi alti ma anche
Margherita e Giorgia e Franci. Porteranno il reggiseno, metteranno lo smalto alle
unghie e si truccheranno tutte le mattine. Sono figlie di una generazione di mamme
multitasking che vestono jeans e sneakers ma hanno dentro di sé l’immagine di
una cosa di cui noi donne adulte a volte ci dimentichiamo. E questa cosa si chiama
femminilità.
IN CLASSE E’ ARRIVATO L’AMORE
Sarà la primavera, saranno le due maestre eternamente innamorate, saranno i primi
caldi, comunque in classe è arrivato un primo amore.
«Io lo amo» mi ha detto oggi Federica (cambio il nome perché qui la privacy è
d’obbligo)
«E’ più giusto dire che gli vuoi bene» ho detto io prudente
«No, no è più giusto dire che io lo amo. Siamo anche fidanzati. Ci siamo anche dati il
bacio in bocca»
«No dai i baci in bocca no» ho detto io allarmata.
Allora Erika visibilmente interessata all’argomento mi ha detto
«Perché i baci in bocca no?»
«Perché no»
«Perché no?» sapevo che non avrebbe mollato
«Perché si prendono le malattie» ho azzardato io attaccandomi alla prima cosa che
mi è venuta in mente.
Erika mi ha guardato perplessa. Con aria quasi sufficiente del tipo “ti ho scoperta,
stai dicendo una fesseria” mi ha detto: «Guarda che la mia mamma e il mio papà si
danno i baci in bocca e non si ammalano mai»
Beccata. Ma cos’altro potevo dire? Non sono molto preparata in materia d’amore
fra bambini di 5 anni…
REPUERESCERE
Meravigliosa parola REPUERESCERE. Sembra uno scioglilingua, in realtà è una parola
coniata da Erasmo da Rodderdam il quale diceva che per essere un buon educatore
bisogna repuerescere, cioè tornare un po’ bambini. E non è una sorta di incitamento
all’infantilismo ma è qualcosa di diverso, di più profondo. E non serve solo agli
educatori…
Repuerescere (mi piace troppo pronunciare questa parola) è restare curiosi,
trattenere la capacità di meravigliarsi, conservare la voglia di capire, di fare
domande, di scoprire il mondo. E’ produrre desideri, essere esseri desideranti. E’
vivere con i sensi alzati. Scoprire, toccare, annusare. E’ dire le cose come stanno,
dichiarare il nostro affetto senza paura del ridicolo. E’ mantenere lo stupore.
Repuerescere è essere il bello del bambino e della bambina che siamo stati.
LEGGERE A TRE ANNI
Tempo fa in una triste riunione fra docenti di diverso ordine di scuola in cui
bisognava decidere come spartirsi pochi euro per l’acquisto di libri, un maestro della
primaria mi ha detto « Dai dai, non venirmi a raccontare che i bambini alla scuola
materna leggono libri»
Non solo leggono, avrei voluto dirgli, ma viaggiano con la mente dentro i libri. Li
guardano, li riguardano, li raccontano mille e mille volte usando le parole che hai
usato tu quando li hai letti per loro la prima volta, cambiano le frasi, giocano con i
personaggi che diventano loro compagni d’avventura. Esplorano mondi, scoprono
posti incantati, danno voce e nome ai sentimenti che loro stessi provano. Poi un
giorno capita che una parola la riconoscono dentro mille altre e si accende il
desiderio di leggere da soli. E quella cosa lì è come una magia e quando succede il
desiderio di leggere e leggere ancora, sarà per sempre.
Avrei voluto ricordare a quel maestro che un bambino che legge sarà un adulto che
pensa.
CORSO DI NUOTO
Marta: «Sai che sto andando al corso di nuoto?»
Maestra Franci: «Che bello e cosa hai imparato?»
Marta: « Ho imparato a nuotare a rana, a delfino, e a l’ORSO »
PROPRIETA’ PRIVATA
Non è per niente facile insegnare a un bambino cosa sia la proprietà privata. Anzi in
genere tendiamo a insegnare ai bambini a condividere i giochi, a mettere le cose in
comune, a fare “un po’ per uno”.
Oggi Sofia e Sara stavano litigando alla grande. Litigavano per delle bambole che
Sara aveva portato da casa sua. Non per niente si consiglia sempre vivamente di non
far portare i giochi da casa. Comunque, in genere, non mi intrometto nei litigi dei
bambini. Il mio intervento avviene solo in due casi
- Se ci sono spargimenti di sangue
- Se vengo direttamente chiamata in causa.
Infatti nel bel mezzo di questo violento litigio Sofia mi ha chiamato dicendomi le sue
argomentazioni.
«Ma scusa» mi ha detto « lei ha due barbie, io nemmeno una, vero che lei me la
deve proprio dare?»
«Giusto» ho detto io «hai proprio ragione. Adesso che ci penso, il mio amico
Roberto ha quattro case. Me ne deve proprio dare una. Questa sera lo chiamo e gli
dico che mi deve dare una sua casa»
Sofia mi ha guardato con occhi da compatimento probabilmente temendo dentro di
sé che la sua maestra diventasse presto una fuori legge, oltre che fuori di testa e mi
ha detto arresa: «lascia stare, non fa niente» e se ne è andata mesta in cerca di altre
compagne con cui giocare.
Lo so che la risposta giusta sarebbe stata dire a Sara di condividere i suoi giochi e
giuro che qualche minuto dopo ho chiamato la bambina e le ho fatto il giusto
discorsetto. Ma in fondo in fondo non sono convinta che sia così sbagliato far capire
ai bambini che nella vita potrebbe capitare che qualcuno abbia qualcosa che noi
non possiamo avere. Che sia una villa, un naso più bello, un giardino, i capelli più
lunghi, un vestito, una moto o semplicemente una barbie.
LA NONNA PIU‛ BELLA DEL MONDO
Una cosa che mi piace tantissimo dei bambini è che non conoscono il confine tra la
bellezza fisica e la bellezza del cuore.
Matteo che ha tre anni oggi mi ha detto: «la mia nonna è la più bella del mondo»
Ora, devo dire che la nonna di Matteo è una signora piuttosto anziana e con qualche
acciacco, ma che si illumina quando vede il suo nipotino correrle incontro. Da adulti
useremmo altre parole diremmo che è una nonna dolce e amorevole. Non che è la
nonna più bella del mondo.
All’inizio ho pensato che i bambini, come Matteo, hanno un vocabolario più limitato
rispetto al nostro e magari usano la parola “bella” per dire altre cose. Anche a me
capita che mi dicano “sei la maestra più bella del mondo” e io “che????”.
Mi piace pensare che loro vedano oltre, dove noi grandi non riusciamo ad arrivare
con lo sguardo. Penso che loro vedano la bellezza del cuore, dell’anima.
E il concetto di bellezza è inscindibile con quello di amore. Noi adulti viviamo lo
stesso stato di grazia, perché è di questo che si tratta per me, solo in un’altra
occasione: quando ci innamoriamo. La persona che amiamo è bellissima
indipendentemente dal suo aspetto. Quando siamo innamorati ci facciamo beffa di
qualsiasi canone estetico. E amiamo così forte che l’altro diventa il più bello del
mondo.
FREDDO
Martina: «Faceva così freddo questa mattina che c’erano i vetri tutti IMPANATI»
DIFFERENZE
Oggi pomeriggio ho portato i bambini in giardino. Fuori c’era già un’altra classe. Ad
un certo punto è arrivata Alessia e mi ha detto: «quella bambina mi ha tirato le
trecce»
«Una bambina della classe dei verdi?» le ho chiesto
«Si»
«Quale bimba?»
«Quella là» e ha indicato un gruppetto di bambine
«Quale?» ho chiesto
«Quella con la maglietta bianca»
Ho guardato, ma almeno quattro bambine avevano la maglietta bianca.
«Quella con i pantaloncini verdi?» ho chiesto io
« No quella con i pantaloncini rosa»
«Ma sono in tre con i pantaloni un po’ rosa»
Avete presente il gioco “master mind?” quello che era in voga una ventina d’anni fa
con le palline tutte colorate da inserire come fossero chiodini? Mi sembrava proprio
di fare quel gioco lì. Siamo andate avanti per un po’ scartando piano piano le
possibilità. Poi alla fine Alessia mi ha preso per mano e mi ha detto
«Vieni» e mi ha portato dalla bimba della classe verde che le aveva tirato le trecce.
Ora, la bimba in questione è senegalese e ha la pelle scurissima. La cosa più
semplice sarebbe stata che Alessia mi avesse detto «la bambina con la pelle
marrone».
Invece è come se Alessia non avesse visto questo dettaglio che poi per noi non è un
dettaglio indifferente. Lei non vedeva la pelle di un colore diverso. Vedeva una
bambina in mezzo a tante altre, che le aveva tirato le trecce e che era vestita con
pantaloncini rosa e maglietta bianca. Lei non vedeva una bambina con la pelle
marrone. Lei vedeva solo la bambina.
Quello che per noi adulti è la prima differenza visibile fra un italiano e uno straniero
è il colore della pelle. Per Alessia, invece, la differenza era un'altra. Ed era la stessa
differenza che distingue un italiano da un altro italiano. Il vestito, ma poteva essere
il colore dei capelli, le scarpe, gli occhiali ecc.
Forse se anche noi avessimo lo stesso sguardo tutto sarebbe più semplice.
SENTI UN PO’
Vorrei spendere due parole sulle sgridate. Per quanto una maestra sia brava,
paziente e dolce, qualche sgridata qua e là è possibile che capiti. Diciamo che ogni
tanto è necessaria.
Comunque la sgridata non è per niente un affare semplice e io spesso mi trovo in
difficoltà. Con le mie figlie non ho mai avuto grossi problemi, mentre a scuola dovrei
tenere in tasca un ventaglio di possibilità di intervento come fossero un mazzo di
carte. Mi spiego. È vero che la maestra è sempre la stessa, ma i bambini, quando va
bene, sono circa venticinque e tutti diversi e il modo di riprendere un bambino
spesso non ha la stessa efficacia con un altro. Così capita che quando alzi la voce e
fai un pistolozzo le reazioni siano davvero diverse.
C’è quello che appena sente il suo nome forte e chiaro uscire dalla mia bocca si
immobilizza e si ravvede. Quello che chiede scusa, quello che si blocca, sta in silenzio
un attimo e poi vedi vibrare il mento, riempirsi gli occhi di lacrime e iniziare a
singhiozzare. E a quel punto ti dici che forse era abbastanza richiamarlo a voce bassa
e dimessa infangata di dolcezza.
Una volta un bambino di tre anni che aveva fatto un disastro in bagno
improvvisando un parco dei divertimenti acquatico in pieno inverno, ha ascoltato la
mia predica a voce squillante mentre cercavo di non pattinare sul pavimento
saponato e poi mi ha detto « tattantulo» con aria di sfida. Tre anni. Il vaffanculo più
giovane che ho preso.
Ci sono quelli che colti sul fatto comunque dicono «è stato lui» indicando il primo
che sfortunatamente si trova nei paraggi, quelli che chiedono scusa in maniera
plateale e ti spiazzano perché ti smontano subito, quelli che fanno spallucce e quelli
che ti ridono in faccia. Ma il più incisivo, perché mi è rimasto nella memoria, è stato
un bambino che si chiamava Paolo (nome fa l’altro insolito perché nessuno chiama
più i figli Paolo o Antonio o Luigi). Lavoravo in un piccolo paese di montagna e Paolo
era il figlio del sindaco. Aveva un caschetto biondo che confinava con due occhialetti
rotondi rossi. Era uno dei primi giorni di scuola e stavo prendendo le misure non
solo con la classe ma anche con questo lavoro che mi era capitato in mezzo ai miei
studi universitari che sembravano diretti molto altrove.
Eravamo seduti in cerchio e lo avevo richiamato perché non riusciva a stare fermo.
«Senti un po'» mi disse pestando i suoi occhi dentro i miei, «senti un po’, potremmo
prendere in considerazione il fatto che le mie gambe si devono muovere? Sono un
bambino di cinque anni e le mie gambe hanno bisogno di muoversi. Tu sei più
grande e non hai bisogno di muoverti, io sì. E chi lo ha deciso che bisogna tutti stare
con le gambe incrociate? Se chiediamo a tutti i bambini forse vedrai che anche gli
altri vogliono muoversi, anzi potremmo fare una votazione…»
Probabilmente Paolo ora è il sindaco di quel paese o di qualche altra città, in ogni
caso sarà sicuramente in politica perché già a cinque anni discuteva con me e con
tutti gli adulti come se dovesse fare propaganda elettorale. Era simpatico, ma
snervante fino al midollo.
Quel giorno rimasi per la prima volta senza parole e non è facile ammutolirmi. Alla
fine gli dissi:
«Senti un po’, siccome io sono la maestra alcune decisioni le prendo io per tutti, così
sulla fiducia. » e poi, dopo pochi minuti, uscimmo a farci una corsa per le gambette
di Paolo e di tutti quanti.
MIO FRATELLO
Ieri sera mio fratello mi ha chiamato sostenendo che suo figlio ha dei problemi. Non
lo ha detto chiaramente ma i suoi lunghi giri di parole riportanti fatti e misfatti di
suo figlio minore, conducevano solo in quella direzione.
Devo far una premessa. Mio fratello Marco ha due figli. Il primo si chiama Filippo e
non è un bambino. È un santo. Anche se ultimamente colgo segnali di cambiamento,
resta il fatto che è un bambino a dir poco anomalo. È un adulto per bene in
miniatura. Tranquillo, dolce, attento, preciso, costante, intelligente; l’ultima volta
che è stato da me, ad un certo punto, sul finire della giornata, gli ho proposto di
guardare un po’ di televisione. E lui, declinando in punta di piedi l’invito, in tutta
risposta mi ha detto: «sai zia, che io fra un libro e la televisione, preferisco sempre
leggere il libro?»
Questo per fare il quadro della situazione. Quando è nato il secondo figlio, che si
chiama Riccardo, mia cognata deve aver pensato “ thò..un bambino” perché
Riccardo non sta fermo un momento, ti provoca, urla, ride a squarciagola e fa
parecchi disastri. Ogni tanto mio fratello mi manda foto di Riccardo seduto su una
sedia a rovescio, arrampicato sui cuscini del divano o immerso come un sub nella
vasca da bagno e io in genere rispondo “ thò.. un bambino!” come a dire che
quell’esserino lì di due anni che lo sfianca giorno e notte è una cosa normale che si
chiama appunto bambino.
Ieri mi ha chiamato raccontandomi l’ennesima marachella di Riccardo. Erano in
montagna e si accingevano a prendere la funivia per scendere. Mentre mio fratello
inseriva la tessera al tornello, Richi è fulmineamente passato sotto e con scatto
felino è salito sull’ovovia in discesa. Quando mio fratello mi ha raccontato il fatto,
rimarcando sottilmente l’anormalità del suo bambino, mi sono venuti in mente una
serie di fatti successi quando eravamo piccoli. E come una carrellata di immagini ho
visto mio fratello schiacciato prima sotto il televisore e poi sotto un armadio di due
metri perché si arrampicava ovunque, ho visto io e lui celebrare la messa sotto il
letto dei miei al lume di tutte le candele scovate in casa, l’ho visto salire in groppa ai
tacchini nel pollaio e molto altro ancora.
Così questa volta gli ho risposto semplicemente «thò… TUO FIGLIO!»
SENTI UN PO’
E’ successo alla mia collega Paola. Un giorno un bambino le si è avvicinato e le ha
detto.
«Senti un po’ maestra, adesso ti arrivo qui» e le ha indicato con la mano in
orizzontale la zona del suo ombelico. «Quando cresco, ti arrivo qui» e le ha indicato
la zona delle spalle « Ma quando ti arrivo qui» indicando la testa « vengo a cercarti e
ti sposo»
QUANDO POSSO GIOCARE?
La mamma di Deborah è entrata in classe ingioiellata e pimpante e ha detto alla sua
bambina: «Amoreeeeee, sbrigati che dobbiamo andare al corso di inglese e poi a
judo»
Deborah l’ha guardata con aria sconsolata e poi ha detto: «mamma, ma quando
posso giocare?»
Diceva un pedagogista americano, Friedman, “ volete fare qualcosa di più per i vostri
figli?
Fate di meno”
SANDY
Sandy, ( il nome fittizio è d’obbligo) ha tre anni ed è al suo primo giorno di scuola
materna. L’accompagna la mamma che entra in classe con la bimba in braccio. Invito
Sandy a scendere e a guardarsi in giro perché in classe ci sono tanti giochi
interessanti.
In effetti la bambina mi sembra piuttosto incuriosita e si dirige verso l’angolo della
casetta. La mamma mi chiede: «posso fermarmi un pochino?»
«Ma certo assolutamente!» le dico invitandola ad accompagnare sua figlia
Intanto saluto e accolgo altri bambini e altri genitori, sistemo un po’ i libretti della
classe, porto i pennarelli a Federica e Lucia che vogliono fare un disegno e così via.
Dopo un buon venti minuti mi avvicino a Sandy e le dico:
«Ora salutiamo la tua mamma?»
La bambina mi guarda e la mamma pure, ma lo sguardo della mamma è
decisamente più allarmato di quello di sua figlia. Sandy si attacca alla mamma e dice:
«non voglio»
La mamma mi chiede se può fermarsi ancora un pochino e io le dico: «va bene
signora»
Passati cinque minuti ripropongo alla mamma di andare e questa volta Sandy inizia a
piangere. Piangere. Insomma piangere senza lacrime in verità. Cioè fa qualche
versetto accompagnato da un visino teatralmente triste.
«Piange» mi dice la mamma
«Si, è normale signora»
«In che senso è normale?»
«Nel senso che vuol dire che non è indifferente al fatto che la mamma ci sia o meno,
che è un po’ preoccupata, che ha capito che cosa vuol dire che la mamma va,
insomma» e mentre faccio la mia dissertazione pedagogica sul valore e la fatica del
distacco, la signora si guarda in giro e sembra cercare una via di fuga. Intanto ha
ripreso in braccio la sua bambina e se la stringe.
«Forse è meglio che la porto a casa per oggi»
«Signora domani sarebbe ancora più difficile»
«Perché?»
«Perché Sandy si ricorderebbe che oggi ha pianto un pochino con il risultato di
tornare a casa per cui piangerebbe ancora aspettandosi di tornare di nuovo a casa
anche domani»
«Ma sa», mi dice la mamma , « stanotte ha dormito male. Forse piange perché è
stanca»
«Non mi sembra stanca e in ogni caso la lascia qui solo per un’oretta» insisto io
«Forse deve fare pipì, amore devi fare pipì?» chiede a Sandy
«Si» dice la bambina frignando
Allora le accompagno in bagno. Sandy si siede sul water e dice che non le scappa.
Intanto gli altri bimbi mi chiamano, fanno i loro giochi, qualcuno si è avvicinato
curioso come fanno i pensionati nei cantieri, godendosi lo spettacolino e
chiedendosi chi la vincerà.
«Torniamo a giocare in cucina con i pentolini?» chiedo a Sandy invitandola a venire
con me. Sospetto che abbia una grande voglia di giocare, ma nonostante mi abbia
dato la mano, continua a piagnuccolare. Così mi giro verso la mamma che è ancora
sulla porta del bagno e dico ad alta voce:
«Ciao ciao mamma!»
Quella mi guarda come se fossi il suo peggior nemico, e dentro di sé sta pensando
“bastarda molla la mia bambina”. Alla fine, senza muoversi, dice solo
«Ma piange..»
«Lei vada, sono sicura che passa subito»
«Ma..»
«Vada» dico in tono perentorio che non lascia spazio a repliche.
Poi mi volto e mi dedico solo ai bambini. Tiro il fiato e guardo l’ora. Quaranta minuti.
«E’ stata dura ma ce l’abbiamo fatta vero Sandy?»
Ma Sandy sta già infilando un bambolotto dentro il passeggino.
Entra la bidella con il telefono in mano e mi dice «è per te»
«Pronto?»
«Piange?»
LACRIME
Cerchiamo di accogliere sempre i bambini con un sorriso. Tutte le maestre lo fanno.
Alla mattina, quando i bambini entrano in classe, li salutiamo per nome, li
guardiamo, sorridiamo, a volte chiediamo come stai? A volte facciamo un
complimento per la maglietta o il vestito o le scarpe nuove. Insomma cerchiamo di
trasmettere loro che li aspettiamo, che li abbiamo nel cuore.
Ci sono giorni, e sono la maggior parte, in cui indossare un sorriso è la cosa più
semplice. Ci viene naturale perché se hai scelto di lavorare con i bambini hai già in te
una predisposizione al sorriso. Non che non sia cosa per tutti. Anzi, è molto più
semplice lavorare con i piccoli che con gli adulti o con gli adolescenti ad esempio.
Ma questo è un altro discorso. Comunque capita alcune volte che non stai bene, hai
dormito malissimo, è successo qualcosa di brutto in famiglia, a un amico. Ci sono rari
giorni in cui sorridere diventa molto difficile, quasi impossibile.
Nella mia vita ho attraversato un momento molto difficile perché due delle persone
a me più care si erano ammalate. Ricordo uno di quei giorni in cui ero a scuola ma
con i pensieri che continuavano a rimbalzare altrove e l’angoscia nel cuore; i
bambini stavano giocando liberamente e io compilavo il registro a fatica. Ad un
certo punto un bambino mi si è avvicinato e mi ha detto:
«Franci perché stai piangendo?»
Questa frase mi aveva sconvolto per un semplice motivo. Io non stavo piangendo.
Non avevo nemmeno gli occhi lucidi. Dentro sì, dentro avevo un fiume in piena di
lacrime e dolore. Come aveva fatto quel bambino a leggermi dentro? Come era
possibile che avesse visto le mie lacrime dove non c’erano?
Non pensate che quel mio alunno avesse strani poteri. Nessuna strana dote
paranormale. Forse l’unica dote in questione è l’empatia, che è la capacità di
riconoscere i sentimenti che sta provando l’altro. Alcuni adulti sono più empatici di
altri. I bambini secondo me sono tutti un po’ empatici, certo chi più e chi meno. Ci
sono bambini concentrati sui loro giochi che non si accorgono di quello che succede
attorno a loro. Però in generale i bambini sono molto attenti, sono acuti osservatori
e questo li porta automaticamente anche ad essere empatici.
Quando vado dal parrucchiere, cambio orecchini, indosso un paio di scarpe nuove,
mi trucco un po’, loro se ne accorgono e te lo dicono.
Te lo dicono anche senza mezzi termini. Settimana scorsa ho preso appuntamento
dal dentista per raddrizzare un dente leggerissimamente storto perché un giorno un
bambino mi ha detto « forse anche a te sta per dondolare quel dente lì davanti». È
stato un colpo basso, ma sto per riparare.
Se ci fate caso, quando parlate con i bambini o quando i bambini parlano con voi ti
guardano dritto negli occhi. Noi adulti tendiamo a fermarci meno con lo sguardo.
Allora guardiamoli, ascoltiamoli, fermiamoci a osservarli in silenzio senza chiedere
nulla e scopriremo molto del mondo dei bambini.
COSA VUOI FARE DA GRANDE?
A volte guardo i miei bambini giocare e mi dico “futuri ingegneri” quando fanno
costruzioni con il lego spettacolari che neanche io con un modello da copiare. “futuri
pittori”, “futuri cuochi” quando sono intenti a cucinare nell’angolo della casetta e
poi ti portano questi piatti spiegandoti la prelibatezza che hanno preparato e tu
assaggi e dici “buono”.. “futuri calciatori” pensi mentre li vedi correre come sciami
dietro un pallone. “Futuro dottore” dicevo a Matteo quando passava a sentire le
fronti dei bambini per capire se qualcuno aveva la febbre. “Futuri musicisti”, “future
modelle” alle bimbe che giocavano a travestirsi e organizzavano la sfilata di moda.
Poi qualche sera fa, in un corso d’aggiornamento, il docente spiegava che secondo
l’istat i bambini che hanno sei anni oggi, nel 70 per cento dei casi faranno un lavoro
che non esiste ancora. Per cui il professore consigliava, “non chiedete ai vostri alunni
che cosa vuoi fare da grande, chiedete piuttosto che cosa vuoi INVENTARE da
grande”
CULETTI AL VENTO
Oggi mentre eravamo in giardino e chiacchieravo con Rosanna mi è parso di vedere
Agata con i pantaloni abbassati. “ Si starà sistemando la canottiera, mi son detta”.
Poco dopo mi è sembrato di intravedere un culetto al vento dentro la casetta gioco.
A quel punto sono scattata e sono andata a vedere. Due bambine avevano fatto la
pipì per terra.
Premetto che tutte le bambine nuove inserite quest’anno hanno un’intraprendenza
che a volte mi lascia senza parole. Tutti i maschi della classe sono dei santi a
confronto di questo gruppetto diabolico di tre anni. Comunque mi sono avvicinata
alle due pestifere e ho alzato leggermente la voce: « Ma bambineee, non si fa la pipì
in giardinooooo»
E Ginevra, una delle due che è alta si e no mezzo metro e una ciliegia, serafica mi
risponde «ma noi l’abbiamo fatta in casetta, non sull’erba»
Non faceva una piega…
TERESA
L’ho già detto lo so, le bambine nuove di tre anni formano un’associazione a
delinquere. Ma ce ne è una nel gruppo che mi fa impazzire. ( e qui il nome fittizio è
d’obbligo, non so, la chiameremo Teresa)
Bene, Teresa è’ un’anarchica intraprendente e sempre indaffarata. In questi giorni
ho imparato a cercarla spesso con lo sguardo e il suo nome risuona nella classe
come un mantra. Questa mattina da quando è arrivata ha pitturato tutti i
contrassegni sugli armadietti, ha rovesciato la scatola dei pennarelli, ha iniziato un
puzzle e poi un altro e poi un altro ancora naturalmente abbandonandoli sul tavolo.
Si è bagnata la maglietta due volte, ha preso in bagno la spugna e ha lavato i tavoli
senza che ce ne fosse bisogno, ma più che lavato sarebbe meglio dire “inondato”.
Quando finalmente ci siamo seduti in cerchio si è messa a ballare e io Teresa siediti,
Teresa siamo tutti seduti, guarda Samuele che sta scrivendo il tempo, Teresa ora non
si canta. Quando abbiamo iniziato l’attività e mentre io stavo facendo fare delle
collane di pasta ad alcuni bambini, Teresa ha aperto la porta finestra ed è uscita in
giardino. L’ho chiamata, non è venuta, sono andata a ripescarla nel prato lasciando
gli altri venticinque. Le ho spiegato piuttosto docilmente che i gialli sono dentro e tu
non puoi restare fuori da sola, magari usciremo quando abbiamo finito di lavorare.
Ho fatto un sospiro profondo, mi sono riseduta e mentre una vocina dentro mi
diceva attenzione “attenzione attenzione stai perdendo la pazienza”, ho
ricominciato a distribuire i fili per fare le collane e Teresa a quel punto è uscita di
nuovo in giardino. L’ ho chiamata e siccome lei non voleva entrare in classe, anzi per
la verità si è messa a ridere e a correre, sono andata a riprenderla lanciandomi in
una corsa che neanche Ben Jonson e dopo averla riacciuffata l’ho guardata dritta
negli occhi e le ho detto: «adesso basta!» e questa volta credo che i miei connotati si
siano alterati e la voce pure.
Quella mi guarda e fa «ma Franci, ti sei forse arrabbiata?»
IO E TE
Una delle cose che mi piace di più della scuola dell’infanzia è che si vive
costantemente la dimensione sociale. Un po’ perché fa parte del sistema scuola, un
po’ perché fa parte del sistema bambino. Nel senso che non esiste bambino che non
ricerchi l’altro. E’ un istinto naturale e lo stare da soli è un evento raro e spesso
legato a qualche brutto guaio come una litigata o una malinconia di casa improvvisa.
Ma anche in quei casi c’è sempre il rompiscatole di turno che viene a cercarti nel tuo
angolo di solitudine chiedendoti “perché?, che cosa hai? Cosa fai qui da solo?” E in
un attimo allora passa tutto…
“Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme
un successo.”
FIDUCIA
Quando Marta aveva cinque anni abbiamo cambiato casa. Sempre a Lecco ma da un
quartiere ci siamo trasferiti in un altro a distanza di un paio di kilometri a dir tanto.
Ipotizzando di iscriverla alla scuola primaria del quartiere ho ragionato che forse era
meglio spostarla già alla scuola materna . Questa piccola decisione è stata ben
ponderata, ho considerato tutti i risvolti positivi e negativi, le eventuali implicazioni
psicologiche, ho soppesato i pro e i contro e alla fine ho fatto questa scelta e Marta
a giugno ha salutato i suoi amici in una scuola e a settembre ha iniziato in una
nuova.
Ci pensavo oggi perché la segreteria ha telefonato ad una famiglia dicendo che si
era liberato un posto nella mia classe. Il signor Mohamed ha detto « Si, grazie!». Sua
figlia ieri era in una scuola privata e oggi è arrivata da noi. Non dice una parola in
Italiano. Si chiama Rania ed è’ bella come il sole. Il suo papà la accompagnata in
classe, mi ha chiesto come mi chiamavo e poi si è rivolto alla sua bambina dicendo: «
la tua maestra si chiama Francesca» e poi ha salutato ed è andato.
Rania mi ha sorriso e mi ha preso per mano. Con una fiducia infinita nel suo papà,
nelle sue nuove maestre, nella vita.
GEMELLE
Io e la Piera ormai siamo una cosa sola. Alla scuola dell’infanzia ( ma non solo) si
lavora in compresenza . Una cosa terribile se non c’è un po’ di accordo fra le due
persone, una cosa fantastica se invece si è sulla stessa lunghezza d’onda. Io e la
Piera siamo così. In più ci completiamo perché dove non arriva una arriva l’altra, il
che è tutto dire perché spesso non ci arriva nessuna delle due!
La cosa che mi sconvolge è che i bambini ci chiamano anche con lo stesso nome che
fra l’altro è “Piera” probabilmente perché fra le due lei è la più “ingombrante”,
naturalmente moralmente parlando. Nel senso che lei è più attenta, più disponibile,
più simpatica, più paziente di me.
Così quando sento chiamare “Piera???” ormai mi giro anch’io. Avrei sperato in un
secondo nome diverso, ma questo è quanto.
Oggi due bambine ci hanno disegnato. La Franci e la Piera. La cosa sconvolgente,
oltre che l’averci disegnato bionde e ricoperte di cuori, è che ci hanno disegnato
identiche. Le gemelle kessler della scuola dell’infanzia.
LA SCUOLA CHE VORREI
La scuola dove lavoro, devo ammetterlo, è bellissima. E’ stata costruita pochi anni
fa, è composta di quattro aule colorate e ogni aula ha al suo interno i bagni con una
grande parte vetrata per poter vedere i propri alunni. Ogni sezione si affaccia su un
giardino immenso e tutti accediamo direttamente dall’aula alla veranda e poi al
prato. Il tetto è di legno e una parete completamente a vetri tanto che la luce è così
invadente che abbiamo dovuto far mettere delle tende da sole che paradossalmente
usiamo più d’inverno quando il sole entra con i suoi raggi sbilenchi. C’è l’aria
condizionata, il riscaldamento a pavimento, un ufficio per le maestre.
Ci sono spazi immensi come i corridoi, ma anche spazi troppo piccoli. Una palestrina
in cui ci stanno a fatica venti bambini, un salone piccolissimo e la mensa può
accogliere solo tre sezioni per cui a turno mangiamo in una parte della scuola che
chiamiamo “il ristorante” ( e facciamo diventare un bugigattolo una cosa da re e
regine ).
Tutto sommato potrebbe essere la scuola ideale, sicuramente è la scuola più bella
dove mi sono trovata a lavorare. Però, però, se vogliamo sognare un po’, e le
maestre sono grandi sognatrici, ecco cosa mi piacerebbe davvero.
- Un aula dentro la scuola da lasciare adibita solo alla pittura. Senza sedie, con
poche mensole piene di colori e pennelli
- Una palestra grande con qualcosa per arrampicarsi e materassi sui quali
lanciarsi
E dulcis in fondo…
Nel giardino ( e il nostro è così grande che davvero si potrebbe realizzare tutto
questo) un pollaio. Siiiiii! Un vero pollaio con le galline che scorrazzano nel prato e
magari anche dei conigli o due caprette. E uno spazio dove fare l’orto con piccoli
attrezzi da giardino e piccole carriole.
E tutto intorno al giardino una pista ciclabile per i nostri tricicli o le nostre
biciclettine…
Non sarebbe meraviglioso?
ATTENZIONE
A volte alzi semplicemente di un semi tono la voce, altre volte racconti un fatto che
ti è successo, schiocchi le dita, resti in silenzio,metti una musica, fai una giravolta,
chiami un bambino, suoni un fischietto, una campanella, batti le mani, conti fino a
tre, fai un’urlata da spavento, dici scccccc che dovrebbe indicare silenzio, sposti di
posto uno, ti sposti di posto tu, ti alzi in piedi, ti siedi in mezzo a loro, fulmini con lo
sguardo. Insomma i modi per catturare l’attenzione sono infiniti e nonostante ciò a
volte ti sorprendi a sospirare scoraggiata perché le provi tutte, ma niente. Poi
succede che una zanzara appostata sul vetro della classe sia un catalizzatore
d’attenzione decisamente migliore e più efficace di te. E ti chiedi dove hai sbagliato.
FIGLIE DISPERSE
Questa mattina ho fatto due chiacchiere con la mamma di Astrid. La bambina ogni
tanto mi parla delle sue sorelle ma, mentre una l’ho vista perché è stata nella nostra
scuola, mi chiedevo l’altra in quale scuola andasse e quanti anni avesse. Tipico delle
maestre essere oltremodo curiose e con una buona dose di “impiacciamento” per i
fatti degli altri.
La signora mi ha spiegato che in effetti ha un’altra figlia che sta in Africa.
«E quanti anni ha?» ho chiesto pensando si trattasse di una ragazza grande
«Dieci» ha detto la signora.
«Dieci??? E con chi sta?» ho chiesto allarmata
«Con la nonna» ha detto lei con naturalezza
«E non la porti qui con te?»
«Certo» mi ha detto lei sorridendo e poi mi ha spiegato a modo suo che adesso non
è ancora possibile, ma che appena riesce la farà arrivare qua e tutta la famiglia si
riunirà. Poi ha salutato me e Astrid ed è andata. Io sono rimasta lì, all’ingresso della
classe, ferma. Ma non troppo ferma dentro. Appoggiata ad un mobile attonita e con
le lacrime agli occhi. Ho pensato immediatamente alle mie bambine a come mi
sentirei se una di loro fosse piccola e lontana da me, non per scelta, ma perché non
si può fare diversamente. E dopo un incontro così,( e nella scuola se ne fanno tanti )
tutto si ridimensiona e assume colorazioni diverse e alcuni pensieri come nelle foto
si sfuocano e lasciano l’immagine nitida e chiara ad altro.
Ho pensato a questa donna che mi parlava con il sorriso sulle labbra, serena e fiera
nel suo abbigliamento dai colori improbabili e vivaci. Perché nessuna mamma lascia i
suoi figli se ci sono altre possibilità. Ma poche mamme hanno quel sorriso, quello
sguardo limpido, quella certezza che ogni cosa andrà bene.
Nelle persone che stanno bene e che hanno una vita facile come la nostra io la
chiamo “ propensione alla felicità”. Nella mamma di Astrid e in molte altre donne
che hanno combattuto le fatiche della migrazione si chiama coraggio di vivere.
CHI E’ STATO?
«Chi è stato a lanciare il pane? Chi ha distrutto la costruzione di Giovanni?, Chi ha
preso la mia colla? Chi ha allagato il bagno?»
E più o meno le risposte possibili sono queste
- Uno che si mette a piangere
- Uno che si nasconde sotto il tavolo
- Uno che ti fissa intensamente
- Uno che indica un amico
- Due amici che si indicano a vicenda
- «è stato Giacomo» (Giacomo è in un’altra stanza- Giacomo è assente)
- «Sono stato io ma me lo ha detto Giacomo» (che è assente)
- «Sono stato io ma me lo ha detto Giacomo (che è presente)
- «No è che sono passato e non l’ho vista la costruzione, no è che il pane mi è
sfuggito di mano, no è che il rubinetto perde …»
- «Non lo so»
- «è stato lui» (il primo sfortunato che passa di lì in quell’istante che pongo la
domanda»
- «Non c’ero». «Dov’eri?» «A casa»
I FILI CHE CI LEGANO
Nessun uomo è un’isola dice T. Merton.
Diciamocelo. Tocchiamolo con mano.
Ci sono fili che uniscono ognuno di noi all’altro. E su questi fili viaggiano come
elettricità le nostre storie. Quelle che abbiamo vissuto insieme qui dentro ogni
giorno, ma viaggiano anche le storie che cominciano ogni giorno quando usciamo da
scuola. Su questi fili viaggiano le nostre amicizie, le litigate, le arrabbiature che ci
siamo presi. I pianti, le carezze gli sguardi d’intesa. Ci sono questi fili e mille altri che
non si vedono e vanno verso tutti gli amici e anche verso quelli anche un po’ meno
amici.
Siamo tutti uniti da una grande ragnatela di fili…
DIVORZIO
È difficile che alla scuola dell’infanzia si parli di divorzio perché nonostante nel
mondo ci siano milioni di coppie che hanno divorziato, in genere quando i bambini
sono così piccoli è ancora presto perché la coppia sia già “scoppiata”. Però capita
comunque e capita anche di palarne. Non è mai troppo presto per parlare con i
bambini, non è mai troppo presto per rispondere alle loro domande.
A volte abbiamo la tendenza a proteggere i bambini da argomenti come la malattia,
la morte, la separazione. Ma i bambini sono forti. Hanno energie infinite. Nel corpo
e nella mente; attingono a risorse inaspettate e nello stesso tempo sanno
proteggersi perché se qualcosa è troppo grande per loro, non se ne curano, passano
oltre.
Comunque un giorno, tempo fa, Maddalena ha detto che i suoi zii avevano
divorziato. Lo ha detto rivolta a me e al gruppetto di bambine con cui stava giocando
a memory.
«Mi dispiace» ho detto io
«Cosa vuol dire che hanno divorsato?» ha chiesto Martina
«Divorziato» l’ho corretta io
«Vuol dire che si sono lasciati. Sono andati ad abitare in due case diverse perché
continuavano a litigare e allora è meglio così, ha detto la mia mamma» le ha
spiegato Maddalena che ha cinque anni e aveva capito benissimo il concetto
«Voglio divorsare anch’io» ha detto Martina
«Ma se non sei nemmeno sposata!» ho detto sorridendo
«Ma io voglio divorsare da mia sorella»
Sono rimasta di sasso.
«Anche io e la mia sorella litighiamo. Tutti i giorni.» ha continuato Martina « allora
glielo dico che anch’io voglio divorsare così va ad abitare da un’altra parte, che è
meglio»
«Divorziare… si dice divorziare…» ho detto io
Interessante conversazione …
A SPASSO NEL QUARTIERE
Oggi abbiamo fatto la prima uscita dell’anno. Una semplice uscita nel quartiere.
L’obiettivo era “vedere” cosa c’è attorno a noi. Vedere nel senso di guardare,
osservare, annusare, sentire, ascoltare, toccare …
I bambini erano emozionatissimi. Ci siamo attrezzati a dovere chi con il sacchettino
per mettere i tesori, chi con blocchetto da esploratore per annotare, scrivere e
disegnare.
L’idea era quella di invitare i bambini a osservare cosa c’è intorno a noi; bhè ci siamo
accorti che forse sono i bambini che dovrebbero INVITARE i grandi a prestare
attenzione, ad alzare lo sguardo dai pensieri e dallo smartphone, a percepire il
mondo con tutti i sensi. Sono i bambini che ti ricordano che non occorre andare
lontano per meravigliarsi. Mentre eravamo in strada infatti, i bambini continuavano
a chiamarci per farci notare cose: «Guarda quell’albero sembra un pupazzo di neve»
«Senti questa foglia, profuma di bosco», «guarda il cartello stradale, attento al
marciapiede», «ascolta, c’è un cane che abbaia» «tocca come è pesante questo
sasso» e via così.
La lezione è andata bene. Io e la Piera abbiamo imparato parecchio. Grazie piccoli!
LE DOMANDE DEI BAMBINI I bambini fanno tantissime domande. Sono così tante che paiono foglie in un vento
autunnale. Bellissime ma vorresti anche ripararti da qualche parte.
I bambini sanno produrre una quantità di domande esagerata tanto che a volte
mentre cerchi la risposta per una, loro solo già alla domanda successiva.
Stiamo attenti alle loro domande care mamme, cari papà. E soprattutto il mio
consiglio è questo: mai rispondere a una domanda dei bambini senza approfondire
l'argomento.
Fidatevi, correreste grossi rischi.
Perché è così che iniziano. Una domanda dopo l’altra come quelle macchine che
sparano palline da tennis e tu a volte non ci fai troppo caso, non presti l’attenzione
necessaria. Così capita di non essere troppo attenti alle loro richieste, insomma di
abbassare leggermente il livello di guardia ed è lì che i bambini ti aspettano..
Una volta Marta, aveva circa tre anni mi ha chiesto: « posso disegnare la Pimpa?»
« Ma certo tesoro» ho risposto io continuando a girare il risotto
« Davvero posso?» e qui avrei dovuto insospettirmi almeno un pochino e invece
niente. Ero concentrata sulla cena da preparare e un disegno della Pimpa non
poteva sembrarmi altro che qualcosa di innocuo.
Bene, nel mio salotto per molto tempo, prima che trovassi il tempo di imbiancare c’è
stata disegnata una grande, grandissima Pimpa. Esattamente sulla parete posta
difronte all’ingresso così chiunque entrasse in casa si ponesse dubbi o elargisse
considerazioni riguardo ai miei metodi educativi.
Quando con il cucchiaio di legno in mano vidi quell’animale sulla mia parete gridai a
Marta: « Ma cosa hai fatto???!!!»
E lei, subito sulla difensiva mi disse: «ma io te l’ho chiesto se potevo disegnare la
pimpa»..
Ecco perché bisogna prestare la massima attenzione alla domande dei bambini.
DENTRO IL CERCHIO
Dentro il cerchio noi, che siamo bambini, con i nostri sguardi puliti e le parole
semplici. Fuori il mondo dei grandi a volte così complicato e difficile da capire.
Dentro il cerchio noi che vogliamo solo giocare, seduti per terra, maschi, femmine,
grandi, piccoli, insieme. Noi, concentrati nel nostro lavoro che prendiamo sempre
molto sul serio. Dentro gli amici. Che si abbracciano, che stanno insieme, litigano e
subito dopo fanno pace.
Dentro noi, con il tempo tutto nostro, che è il tempo del gioco e va lento; è il tempo
che dice aspetta, guardami, ascoltami. Fuori il tempo dei grandi che scorre veloce e
dice dai, fai presto, corri. Dentro il cerchio, noi e il tempo per crescere è ancora
tanto e non vogliamo consumarlo troppo presto.
Ma questo cerchio è un confine. Una piccola striscia di colore rotonda e senza
spigoli. Un cerchio fatto di un pezzo di me e un pezzo di te.
E c’è un piccola apertura per te che sei grande e per noi che siamo piccoli, per tutti,
per andare e per tornare.
INSULTI
Mio nipote ha cinque anni ed è all’ultimo anno di scuola materna. È un bambino
adorabile, buono, intraprendente, curioso. L’altro giorno si è arrabbiato con un altro
bambino e ha tirato fuori tutta la rabbia, lo scontento, il nervoso che aveva in corpo.
L’altro bambino continuava a stuzzicarlo. Lui faceva un gioco e quello glielo
distruggeva. Lui sospirava, ricominciava la costruzione e quell’altro di nuovo gliela
distruggeva. Alla fine come un’esplosione ha tirato fuori l’insulto più volgare che
aveva in bocca e ha detto: «smettila, furetto di patate!»
Furetto di patate??? Mio fratello presente alla scena non è riuscito a trattenersi da
una grassa risata. Però assicura che i toni e lo sguardo di mio nipote fossero
cattivissimi e che l’insulto “furetto di patate” benché nessuno sia a conoscenza del
perché e del dove sia saltato fuori, sia stato detto con la violenza di un “ sei uno
s….o, b….o smettila di distruggere le mie costruzioni e fai a rompere i c…..i da
qualcun altro. Ecco. Furetto di patate.
UN CUORE BUONO E SORRIDENTE
E poi ci sono quelle giornate un po’ così che vai a scuola proprio perché ci devi
andare e fuori piove e sei stanco già alle nove di mattina e ti porti ancora addosso le
discussioni con le colleghe della
riunione del giorno prima e i bambini sono tantissimi e hai mille cose
da fare e quando ti siedi in cerchio, una bambina tira fuori di un papà
che non c’é e che forse é morto e allora ogni bambino vuole dire la sua su questa
questione della morte e tu sospiri e non vorresti, oggi proprio non vorresti ma loro
te lo chiedono e tu allora raccogli i loro pensieri e ci metti anche del tuo e racconti
della tua mamma che non c’è più e cerchi di farlo con tutta la leggerezza del mondo
ma forse un attimo di tristezza inevitabilmente ti passa sul viso e poi arriva lui, un
bambino di tre anni bello come il sole, proprio lui che esercita la tua pazienza mille
volte al giorno facendoti impazzire e proprio quel bambino lì ti dice «Franci, stai
tranquilla tanto hai la Piera». Te lo dice così come a consolarti, come a ricordarti
che c’è e ci sarà sempre nella vita per te e per tutti, qualcuno, con un cuore buono
e sorridente su cui contare.
UN DENTE CHE DONDOLA
Tempo fa un alunno di nome Davis, 6 anni e denti che dondolano, mi guardò dritto
in faccia e mi disse: «Franci, hai anche tu un dente che dondola». Fu una doccia
fredda. Davis si riferiva a un mio incisivo davanti che era leggermente storto, un po’
più sporgente dell’altro. Come dicevo fu un brutto colpo perché i bambini sono la
voce della verità e dicono davvero tutto quello che pensano e Davis mi aveva fatto
capire che quello che io consideravo un leggero difetto in realtà si notava proprio.
Così sono corsa ai ripari e giusto il mese scorso ho versato al mio dentista l’ultima
rata per un apparecchio per i denti che mi ha raddrizzato il fatidico incisivo. Spero
che nessuno bambino mi faccia notare che i denti dell’arcata inferiore sono
terribilmente storti e decisamente sovraffollati perché altrimenti dovrei avviare un
mutuo. L’intervento è durato un anno di varie mascherine, un buon lavoro, una
cospicua parcella, il tutto per un’innocente constatazione di un bambino.
Ripensavo a tutto questo oggi, quando eravamo seduti in cerchio, per terra, perché
finchè gli anni me lo consentono mi siederò sempre per terra all’altezza occhi dei
miei bambini; eravamo stretti stretti perché stavo leggendo una storia e Agata,
seduta a fianco a me nel bel mezzo del racconto e del silenzio, se ne esce dicendo
«Franci pensi di farti la doccia stasera?»
Bhè vi lascio immaginare qual è la prima cosa che ho fatto appena arrivata a casa…
FRATELLI E SORELLE
Oggi durante le presenze ogni bambino doveva dire se aveva un fratello o una
sorella e il nome. Michela ha tre sorelle e un fratello. Quando è stato il suo turno di
parlare io ho detto: «Michela è molto fortunata ad avere così tanti fratelli»
«Sai che fortuna…» ha detto Margherita.
Ho lasciato cadere la cosa, ma mi sono accorta che c’era molto da dire nell’aria..
Infatti subito dopo ne è nata un’accesa discussione su quanto sia bello ma anche un
po’ pesante avere dei fratelli.
«Guarda io sto aspettando da non so da quanto tempo che mio fratello se ne vada
dai nonni per vedere il documentario sui serpenti velenosi. La mamma non vuole
che lo guardo se c’è mio fratello perché si spaventerebbe» ha detto Samuele
«Mia sorella frigna sempre»
«Mio fratello non mi fa giocare alla play perché dice che sono piccolo»
«Mio fratello mi chiama insetto»
«Mio fratello si scaccola e mi lancia addosso le sue caccole»
«Mia sorella si fa imboccare»
Insomma c’è stata una carrelata di sfoghi che pareva una terapia di gruppo in stile
alcolisti anonimi.
Per placare gli animi ho fatto un paragone infelice sulla vita alla scuola materna che
è un po’ simile, ci sono i grandi ma anche i più piccoli e si cerca di andare d’accordo
con tutti e di avere pazienza verso i bambini di tre anni»
«Si ma a casa mia è diverso» ha detto Margherita
«Perché?»
«Perché mia sorella è un diavolo. Tu, guarda, non hai idea. Cento volte tutti questi
bambini di tre anni che mia sorella. Tu non la conosci, lei è un diavolo. Speriamo che
non viene in questa classe altrimenti è la fine. » ha ripetuto ancora.
«Em chi vuole una caramella?»
ANCORA FRATELLI E SORELLE
Mi viene in mente questo ricordo. Una mia amica l’anno scorso ha partorito il suo
secondo figlio. Il primogenito di cinque anni si è mostrato molto affettuoso con il
piccolino ogni volta che è andato a trovare la mamma in ospedale accompagnato dal
papà. Lo accarezzava, gli sistemava la copertina, lo osservava. Tutto questo fino al
quinto giorno quando è stato il momento di venire tutti a casa. Vedendo la mamma
che metteva il piccolino nel seggiolino per l’auto le ha detto: « Ma scusa, ma questo
qui viene a casa con noi???»
ESPERIMENTI DI PAROLE
C’è questo bambino che ha tre anni e che è arrivato sorridente ma non dice una
parola. La mamma è visibilmente preoccupata e si è già attivata per fargli fare visite
e controlli.
Lui gioca serenamente, fa tutto quello che gli proponiamo, sembra felice. Se non
fosse che tutto quello che deve esprimere, dalla contentezza alla rabbia o tristezza
per quando ha qualche diverbio con i compagni, lo fa urlando. Gli portano via un
gioco e lui urla. È felice di giocare con la farina e lui grida. Vuole partecipare al gioco
e urla. Lo chiamiamo “l’urlatore”.
Ma se fosse tutto qui. Quando ci sediamo a leggere una storia lui imita noi maestre
emettendo dei suoni che riproducono, per così dire, la nostra cadenza. Quando
facciamo il cerchio e un bambino conta quanti siamo, lui imita il contare con suoni
acuti. Quando cantiamo lui urla a squarciagola sorridente con la bocca spalancata in
un unico suono che però si modula secondo la canzone. Quando noi maestre
sgridiamo un bambino lui urla imitando il nostro tono arrabbiato. Ogni tanto io e
Piera ci guardiamo sconsolate e il tentativo di zittirlo è veramente forte ma nessuna
delle due lo fa perché sappiamo che in fondo in fondo l’urlatore sta imparando
qualcosa. Però, noi siamo già sorde perché tutte le maestre un po’ lo sono visto
l’inquinamento acustico in cui siamo immerse, ma in questi giorni usciamo dalla
classe veramente stordite.
Qualche giorno fa ero seduta al tavolo a compilare il registro e Pietro, che era sul
tappeto, mi chiama «Franci?!» e Matteo, che è l’urlatore, urla ma questa volta dalla
sua bocca esce un: «Faaaa---ci», insomma emette un suono che è troppo simile al
mio nome per essere una coincidenza.
Mollo il registro, mi avvicino a lui ignorando il povero Pietro che è passato in
secondo piano, e dico: «Matteo, chi sono io?»
E lui «Faaaa----ci»
E queste sono le cose belle del nostro lavoro. Tutti quegli urli, quelle grida non erano
altro che esperimenti di parole… Evviva, evviva!
UN FILONE
Dalle mie parti si dice un “filone” non solo per indicare una pagnotta lunga tipo
baguette ma anche per indicare un personaggio un po’ furbetto che in qualche
modo si para il sedere e, dalle situazioni un po’ delicate, se ne esce sempre vincitore
e col sorriso sornione.
Oggi la mamma di Artur è entrata in classe, ha salutato il suo bambino e ha detto:
«Tutto bene?»
«Tutto benissimo» ha risposto Artur col sorriso appunto sornione
A quel punto mi sono introdotta io a rompere un po’ le scatole: « ma veramente non
è andata proprio benissimo…» e ho raccontato alcuni episodi della giornata non
troppo piacevoli ( non per Artur, o forse si, comunque non troppo piacevoli per chi
le ha prese). Teniamo conto che il ragazzo mi aveva fatto vedere i sorci verdi a me e
a parecchi amichetti e il mio racconto era già piuttosto acquerellato.
Al che Artur ascolta a testa bassa e poi inizia a piagnucolare (senza lacrime per
intenderci) e dice:
«E adesso tu mamma, sarai arrabbiata con me per sempre…»
E la mamma: « Non sono arrabbiata, solo non sono molto contenta di quello che la
Franci mi sta raccontando»
La cosa va avanti per un po’ fra madre e figlio e poi alla fine mi introduco io e dico:
«Su, Artur, nemmeno io sono arrabbiata però era giusto raccontare alla mamma
anche le cose che non vanno troppo bene»
E lui: «Allora caso chiuso?»
Mi stupisco dell’espressione e sorrido dentro di me: «Si certo, caso chiuso» rispondo
E Artur: «A questo punto forse dovresti darmi una caramella»
Rimango di stucco e scoppio a ridere. «Fila via Artur che ti conviene» e quello, il
filone, alza i tacchi e se ne va con la sua mamma.
OGGETTO TRANSIZIONALE
Quando i bambini iniziano la scuola materna spesso hanno bisogno di portare da
casa un gioco, un peluche, il ciuccio, la copertina, un libretto. A scuola la regola è che
non si portano i giochi personali, ma all’inizio dell’anno o in particolari momenti
della vita dei bambini si chiude un occhio sulla regola. E lo si fa per vari motivi. Il più
importante è che quella cosa lì che il bambino vuole portare, in realtà è un pezzo
della sua casa, un pezzo della sua mamma e del suo papà, un pezzo della sua vita
fuori la scuola di cui ha bisogno per affrontare tutto ciò che c’è di nuovo dentro la
scuola. Il peluche, il libretto, il ciuccio, il gioco profumano di tutto ciò che è CASA.
Danno sicurezza, coccolano e sono la promessa che poi a casa si ritorna.
In questi giorni succede spesso una cosa strana. Pietro ad esempio qualche giorno fa
ha nascosto nelle sue mani un gioco della scuola e quando la mamma è venuta a
prenderlo e gli ha detto «lascia qui il gioco» lui è scoppiato a piangere. È successa
più o meno la stessa cosa anche con Alessandro che ha pianto platealmente per
portarsi a casa un libro della scuola. E non sono gli unici. Tanti ci chiedono di portare
a casa qualcosa della scuola che poi puntualmente viene riportata il giorno dopo.
Mi piace pensare che il discorso dell’”oggetto transazionale” (si chiama così in
termini tecnici) funzioni anche al contrario. Mi piace pensare che quel gioco sia un
pezzetto di scuola che viene portato a casa e sia una buona scusa per raccontare le
cose belle fatte e una buona promessa di tornare a scuola il giorno dopo.
QUA E LA’
Chri: « Franci vieni, un bambino si sta ACCHIPPARRANDO sull’albero!»
Michele ( toccandosi la pancia): «oggi mi gratta lo scheletro»
Marta: ( con la premessa che il soggetto in questione è mia figlia e non un’alunna, )
Alla domanda com’è andata la festa?
«Bene»
«Cosa c’era da mangiare?»
«Niente di particolare, c’era un AFFRESCO»
QUA E LA’...
Ginevra: «Vittoria è dormita!»
Matilde: (piangendo)« voglio la mia mamma!»
Io: «tranquilla, arriva presto»
Matilde: «Non voglio che arriva presto io voglio che arriva subito!»
Mentre guardiamo la valigetta del pronto soccorso.
Io: «A cosa serve?»
Artur: «A dottorare i bambini»
Adam: «Sono venuti quelli con i tagliaerbi»
Margherita: «Sono andata al cimitero con la nonna»
Marta: «cos’è il cimitero?»
Margherita: «è il posto dove abitano i morti»
Marta: «io non muoro perché sono piccolina»
Ma ecco quello che mi piace di più e che userò anch’io…
Christian: «Pietro mi sta INFASTIDIANDO»
IL LAVORO DEL PAPA’
Ieri in classe, chiacchiere sul lavoro del papà..
- Il mio papà spende i soldi
- Il mio lavora sulle montagne e trova i fossili dei dinosauri
- Il mio papà di lavoro accende le luci
- Il mio stampa i fogli. Legge i libri la notte mentre la mamma li legge di giorno
- Taglia le piante
- Mio papà controlla le persone sul computer
- Il pasticcere
- Aggiusta le cose
- Il mio papà di lavoro mi porta a scuola
COSA SERVE PER CRESCERE
Vittoria si è addormentata. Chiedo ai bambini di non svegliarla e di abbassare la voce
un pochino
«Perché?»
«Perché dorme»
«Perché dorme?»
«Perché si vede che ne aveva bisogno»
«Bisogno per cosa?»
«Per crescere»
«Perché per crescere serve dormire?» (chiede Tommaso)
«Si, servono anche altre cose»
«Cosa?»
«Secondo voi?»
«Secondo me serve il mangiare» (Andrea)
«Secondo me serve il bere» (Christian)
«Secondo me serve l’imparare» (Alessandro)
UN PAIO DI MUTANDE
Il signor Antonio, il papà di Samuele, oggi è entrato in classe con in mano un
pezzetto di stoffa. Lo teneva leggermente in alto e me lo mostrava, sembrava stesse
giocando a “Bandiera” e mi aspettavo che da un secondo all’altro si mettesse a
gridare “ numerooooo…. DUE!”. Invece niente. Così ho focalizzato il pezzo di stoffa e
mi sono resa conto che non si trattava di un fazzoletto ma di MUTANDE.
Devo averlo guardato con una faccia stranita, al che il signor Antonio ha finalmente
parlato e mi ha detto: « non sono proprio riuscito a mettergli le mutande» indicando
il figlio.
Così me le ha messe in mano mentre io sono rimasta ammutolita.
Ma vi sembra possibile? Eppure…
CORSO PER GENITORI
Per sposarsi in chiesa occorre aver frequentato il corso fidanzati. Per partorire viene
consigliato di fare il corso preparto. Per diventare docenti occorre a parte la laurea,
l’ aver conseguito l’abilitazione e per abilitazione si intende un corso e successvo
relativo esame che ti prepara “all’esercizio di un mestiere”. Quando poi inizi a fare
l’insegnante devi anche superare un anno di prova, cioè un anno ancora di
formazione, un anno in cui vieni osservato in un certo senso e solo alla fine e al
superamento di questo periodo potrai lavorare nella scuola. Per qualsiasi altro
lavoro vengono messi in campo tirocinii, stage, periodi di prova a tempo
determinato per prepararti da una parte e per valutare dall’altra se puoi essere in
grado di fare quel lavoro.
Al di fuori del mondo del lavoro, anche il mondo, per così dire, “culturale” offre la
possibilità di “imparare” qualsiasi cosa. Davvero qualsiasi cosa. Vuoi imparare a fare
la birra? Ci sono corsi apposta. Vuoi imparare una lingua? Il russo, il cinese, lo
spagnolo, l’inglese, il mandarino, il polacco??? Non hai che da cercare e troverai
tutto quello che ti interessa. Lezioni di yoga? Meditazione? Arti marziali? Judo,
volley, pallacanestro, atletica, arrampicata sportiva, sci, nuoto. A qualsiasi età
troverai il corso giusto per te. Non sei soddisfatto di tè stesso? Ultimamente ho visto
tantissimi corsi incentrati sul miglioramento della persona. Lezioni di trucco, di
comunicazione, di portamento.
Possibile, che non ci sia UN CORSO PER DIVENTARE GENITORI? Io credo che sarebbe
interessante. Anzi sarebbe necessario. Io per prima lo frequenterei.
GLI AMICI
Questa mattina Artur è entrato in classe quasi correndo, si è diretto da Pietro
dicendo: « Pietro, di devo fare vedere una cosa…»
La mamma che era dietro di lui lo ha chiamato e gli ha detto: « Ma Artur, non si
saluta la maestra?»
Quello a quel punto si è girato verso di me e mi fa: « ah si.. Ciao Franci» con tono
condiscendente e poi è tornato subito dall’amico.
I primi giorni di settembre i bambini nuovi, di tre anni, vengono a scuola
esclusivamente per la maestra. Perché sanno che comunque vada c’è questa
signora, a cui la mamma li passa in braccio che è tutto sommato una brava persona.
Dopo un po’ iniziano a venire a scuola perché scoprono che lì si fanno cose
interessanti, divertenti, insomma si sta bene. Ma dopo un po’ ancora, diciamo dai
quattro anni in avanti, si viene a scuola per una cosa soltanto. Gli amici. E questo lo
trovo bellissimo.
SINCRONISMO IMPERFETTO
Matteo: «una volta sono andato a Rimini con mio zio»
Luca: «Anch’io sono andato a Rimini»
Matteo: «Impossibile, non ti ho visto»
UNA MAESTRA MASCHIO
Generalmente nella scuola dell’infanzia, ma anche nella primaria, si vedono quasi
esclusivamente maestre. I maestri non ci sono più ed è un gran peccato perché la
figura maschile sarebbe comunque importante a qualsiasi età. Poi salendo nella
scuola secondaria inferiore e superiore rispuntano gli insegnati uomini. Per fortuna.
Una volta abbiamo invitato un esperto di psicomotricità per fare delle attività
motorie con i bambini. Dopo la prima seduta, una bimba di quattro anni, rientrando
in classe disse: « E’ stato bellissimo, c’era una MAESTRA MASCHIO!»
RICHIESTE BIZZARRE
«Puoi guardare se fa la cacca molle, dura, chiara, scura???»
«Puoi guardare se mangia tutto, poco tanto, se chiede il bis, tris, quadris?»
«Puoi imboccarlo?»
«Può fermarsi un po’ oltre l’orario di chiusura? Puoi fermarti ad aspettarmi che esco
dal lavoro? Puoi portarlo a casa tu, tanto abitiamo vicini…?»
«Puoi non farlo giocare con…»
«Puoi farlo dormire? Puoi non farlo dormire?»
«Puoi evitare di uscire in giardino perché magari prende freddo?» (quando è giugno
e ci sono 25 gradi all’ombra)
«Posso evitare di mandarlo in gita a Milano? Sai non vorrei ci fosse un attentato, di
questi tempi non si sa mai»
«Puoi tenergli su il caschetto della bici tutto il giorno? Non vorrei cadesse e
picchiasse la testa»
«Puoi fargli le trecce, la coda, lo chignon? Mettergli la crema, il burro cacao, gli
occhiali da sole, la berretta, le scarpe pesanti, le scarpe leggere, le scarpe bianche?»
«Puoi non fargli toccare le forbici, non farlo sporcare?»
«Se uscite in giardino puoi non farlo correre?»
«Puoi stare attenta che non asciughi le mani nelle salviette dei compagni?»
«Puoi misurargli la febbre tre volte al giorno?»
Ma la più bella di tutte è questa:
«Puoi registrarmi la tua voce mentre leggi le storie da riascoltare a casa? ( E tu ti
immagini per il bambino e già la cosa ti sembra strana ma invece la signora continua)
Sai soffro d’insonnia e tu hai una voce così conciliante….»
A TAVOLA
Oggi a tavola ci sono cosce di pollo. Simone si alza e guarda nei piatti dei compagni,
poi si gira verso di me e mi dice:
«Franci, ma quante gambe che aveva questo pollo…»
CONCEZIONE DEL TEMPO
I bambini hanno una concezione tutta loro del tempo. Se, per ipotesi, dicessi a mia
figlia Alice di quattro anni «guarda ecco due euro, vai per favore a comprarmi il
burro al negozio di alimentari in fondo alla via. Devo fare una torta e non ne ho
abbastanza…» le cose potrebbero andare più o meno in questo modo.
Alice uscirebbe di casa con il suo soldino e le mani in tasca. Arrivata al cancelletto lo
aprirebbe schiacciando più volte anche il bottone della luce delle scale. Poi salirebbe
sul cancelletto facendosi dondolare avanti e indietro, avanti e indietro. Nel
frattempo entrerebbe il postino e lei si fermerebbe attenta e incuriosita a guardarlo
mentre lui infila le buste nelle varie cassette delle lettere. Poi richiamata da lui che
non sa se lasciare aperto o chiudere il poroncino uscirebbe di corsa in strada. Ora, il
negozio di alimentari si trova circa cento metri oltre casa nostra, ma prima si
incontra l’edicola che fa anche da cartoleria. Alice si fermerebbe un buon dieci
minuti a guardare la vetrina. Poi si metterebbe ad accarezzare il cane della
giornalaia che è generalmente legato fuori dal negozio. Finalmente si dirigerebbe
all’alimentari e comprerebbe il burro solo però dopo aver curiosato attorno come se
dovesse fare una grande spesa o come se dovesse acquistare un prodotto che non
vede sugli scaffali. Poi, uscita dal negozio, si soffermerebbe indecisa se tornare
subito a casa o se arrivare fino alla chiesa o ancora oltre dove c’è la scuola primaria
per vedere i bambini che giocano in giardino. nella migliore delle ipotesi, e dico nella
migliore, deciderebbe di tornare a casa. Nella migliore delle ipotesi non
incontrerebbe nessuno dei suoi amici e nella migliore delle ipotesi a quel punto
sentirei suonare il campanello mentre bevo un thè con una fetta di torta preparata
senza burro.
Per fortuna mia figlia non va in giro da sola. Ancora. Però le cose andrebbero più o
meno proprio così. Perché tutti i bambini hanno una concezione del tempo molto
diversa dalla nostra. Per i bambini il tempo è il tempo che serve per… è quanto
durerà un gioco e sono loro che lo decidono. Per noi adulti il tempo è il tempo che
abbiamo per… è quello che deve durare questo gioco perché abbiamo solo questo
tempo.
Non so se i sono spiegata… Come sarebbe bello se qualche volta riuscissimo a vivere
il tempo più come i bambini e meno come gli adulti.
MAYA E IRENE
Maya e Irene sono figlie di due miei carissimi amici. Anche loro hanno cinque anni,
sono gemelle. Hanno anche una bella lingua. Sono curiose, intelligenti, vivaci e
naturalmente sono donne. Pochi giorni fa in macchina discutevano sui loro futuri
fidanzati e sul loro futuro matrimonio quasi fosse qualcosa di non troppo lontano.
La mamma Giuliana stava guidando e ascoltava i loro discorsi e di tanto in tanto
veniva interpellata.
«Mamma, ma come facciamo a trovare un fidanzato se non usciamo alla sera? A che
età possiamo iniziare a uscire?»
«Bhè adesso è presto, avete solo cinque anni, c’è tempo»
Ad un certo punto le due bambine vedono un ragazzo fermo in strada.
«Guarda come è bello… Mamma credi che potrei fidanzarmi con lui?» dice Maya
«E’ un po’ grande per te. E questo vuol dire che quando tu sarai una ragazza lui sarà
forse ancora più grande. Sarà vecchio per te»
Irene rimane un po’ pensierosa e poi dice con tono preoccupato-schifato
«Ma mamma, cosa stai dicendo? Vuoi dire che allora dobbiamo guardare solo i
bambini???»
TEMPORALE
A volte un semplice temporale improvviso è più interessante del migliore
programma televisivo. Oggi erano tutti là, i miei alunni, davanti alle grande finestre
che danno sul giardino. Avevano portato le seggioline e le hanno messe in fila per
osservare lo spettacolo della natura. Io li guardavo da dietro e pareva di vederli
davanti a un grande schermo, in un silenzio che nemmeno io quando racconto la
storia più affascinante del mondo riesco a ottenere. Stavano lì, attenti e curiosi,
come fossero al cinema.
PROVE D’EVACUAZIONE
Oggi prova d’evacuazione. I bambini alla scuola materna ascoltano seriamente
quello che dici, soprattutto sanno cogliere nei discorsi l’importanza delle cose. È un
fatto che mi stupisce sempre. Tanto affrontano la giornata con leggerezza e
giocosità, tanto sanno comportarsi, in alcune situazioni, meglio degli adulti.
La prova d’evacuazione e i discorsi in materia di sicurezza vanno affrontati per legge
in tutti gli ordini di scuola. Anche quindi alla scuola dell’infanzia. Si parla con i
bambini dei comportamenti da tenere in caso d’incendio e di terremoto e delle
procedure da seguire.
In breve, in caso d’evacuazione, è necessario tenersi tutti per mano e raggiungere in
fila, senza staccarsi, un “punto di raccolta” cioè un posto sicuro all’esterno
dell’edificio scolastico. Vengono individuati, all’inizio dell’anno due apri fila e due
chiudi fila. I primi hanno il compito di dirigere la fila e gli ultimi hanno
l’importantissimo compito di verificare che nessuno rimanga nell’aula o in bagno e
che tutta la classe esca.
Dovreste vedere i bambini durante la prova d’evacuazione. Sono attentissimi e al
primo squillo di tromba i più grandi afferrano un piccolo e si mettono in fila. Spesso
vediamo i bambini chiudi fila che corrono a vedere se in corridoio o in bagno non
c’è nessuno e a volte li sentiamo che dicono «sbrigatevi, in fila tutti, altrimenti ci
bruciamo!»
Il tecnico della sicurezza che ogni tanto assiste le nostre prove d’evacuazione
sostiene che più si sale in ordine di scuola più le prove hanno esito negativo. Alle
superiori succede spesso che al campanello d’allarme per la prova i ragazzi si
disperdano. Nel senso che si disperdono proprio, escono dalla scuola e non si
vedono più per quel giorno. Insomma è un allarme festa più che un allarme
evacuazione.
L’AUTO E IL PENULTIMO GIORNO DI SCUOLA
Ieri dopo pranzo sono uscita da scuola e mi son incamminata verso casa. Quando
ero quasi arrivata mi sono accorta di non essermi cambiata i vestiti che indosso a
scuola e di avere ai piedi le ciabatte. La camicetta e le scarpe da persona per bene
erano rimaste nell’armadietto a scuola.
Va bhè, cose che capitano.
Comunque inizio a frugare nella borsa per trovare le chiavi di casa e mi accorgo
stupita che la mattina probabilmente avevo preso le chiavi della macchina al posto
di quelle di casa. Strano errore.
Va bhè, cose che capitano.
Per fortuna le mie figlie erano in casa e mi hanno aperto. Avevo fretta perché
dovevo andare a prendere mio nipotino alla scuola materna, per cui mi sono diretta
subito in garage e mi sono accorta che non c’era l’AUTO! Il primo pensiero è stato
che Eros fosse andato al lavoro con la mia macchina, però non c’era nemmeno la sua
e, anche se a fatica, ho scartato l’idea che fosse andato con due macchine. Quindi ho
chiamato le ragazze mentre mi saliva la crisi isterica chiedendo «dov’è la
macchina????» accusando sottilmente una quindicenne e una diciassettenne di
avermela presa. Poi ILLUMINAZIONE. Mi avevano rubato la mia macchina. Ma chi?
Come? Le chiavi le avevo io in borsa.
E nel delirio sento Alice che chiede con la prudenza e il tatto che si riservano ai matti « mamma non può essere che tu questa mattina sia andata a scuola in auto e che l’auto sia ancora là?» E questo è quello che succede a una maestra, generalmente sana, il penultimo giorno di scuola.
CONCLUSIONI Vorrei concludere con alcune parole che non sono mie. Sono le parole di Robert Fulghum uno scrittore americano. La massima parte di ciò che veramente mi serve sapere su come vivere, cosa fare e in che modo comportarmi l'ho imparata all'asilo. La saggezza non si trova al vertice della montagna degli studi superiori, bensì nei castelli di sabbia del giardino dell'infanzia. Queste sono le cose che ho appreso:
Dividere tutto con gli altri. Giocare correttamente. Non fare male alla gente. Rimettere le cose al posto. Sistemare il disordine. Non prendere ciò che non è mio. Dire che mi dispiace quando faccio del male a qualcuno. Lavarmi le mani prima di mangiare. I biscotti caldi e il latte freddo fanno bene. Condurre una vita equilibrata: imparare qualcosa, pensare un po' e disegnare,
dipingere, cantare, ballare, suonare e lavorare un tanto al giorno. Fare un riposino ogni pomeriggio. Nel mondo, badare al traffico, tenere per mano e stare vicino agli altri. Essere consapevole del meraviglioso: ricordare il seme nel vaso: le radici
scendono, la pianta sale e nessuno sa veramente come e perché, ma tutti noi siamo così.
I pesci rossi, i criceti, i topolini bianchi e persino il seme nel suo recipiente: tutti muoiono e noi pure.
Non dimenticare, infine, la prima parola che ho imparato, la più importante di tutte: guardare.
Tutto quello che mi serve sapere sta lì, da qualche parte: le regole Auree, l'amore, l'igiene alimentare, l'ecologia, la politica e il vivere assennatamente.
Basta scegliere uno qualsiasi tra questi precetti, elaborarlo in termini adulti e sofisticati e applicarlo alla famiglia, al lavoro, al governo, o al mondo in generale, e si dimostrerà vero, chiaro e incrollabile. Pensate a come il mondo sarebbe migliore se noi tutti, l'intera umanità, prendessimo latte e biscotti ogni pomeriggio alle tre e ci mettessimo poi sotto le coperte per un pisolino, o se tutti i governi si attenessero al principio basilare di rimettere ogni cosa dove l'hanno trovata e di ripulire il proprio disordine. Rimane sempre vero, a qualsiasi età, che quando si esce nel mondo è meglio tenersi per mano e rimanere uniti.