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Soci @ l mente OTTOBRE 2010 SOCI@LMENTE periodico quadrimestrale di informazione della Fondazione Internazionale Il Giardino delle Rose Blu O.N.L.U.S. Viale Europa 44 - 03100 Frosinone SIMONA ATZORI Il mio volo senza ali Scienza Allarme diabete: come conviverci? Dossier Alberto Bobbio e gli anni da inviato a Sarajevo

Soci@lmente n.1/2010

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Magazine de Il Giardino delle Rose Blu

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Soci@lmenteOTTOBRE 2010

SOCI@LMENTE periodico quadrimestrale di informazione della Fondazione Internazionale Il Giardino delle Rose Blu O.N.L.U.S. Viale Europa 44 - 03100 Frosinone

SIMONA ATZORIIl mio volo senza ali

ScienzaAllarme diabete:come conviverci?

DossierAlberto Bobbio egli anni da inviatoa Sarajevo

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@ Soci@lmente

Franca Roma

Ermanno D’Onofrio

Enza Venditti

Fondazione Internazionale “Il Giardino delleRose Blu” ONLUS

Ermanno D’OnofrioLaura Drera

Nunzia SilvestroChiara Venditti

MCN s.n.c. di Notarangelo Mario & C.V.le Pinturicchio 27 00196 Roma

Tel. 06 3613798

Graziano PanfiliGabriele RigonEnza Venditti

Nuova stampa Litografiadi Caramitti M. & C. s.a.s.Via Armando Fabi 327

03100 Frosinone

Fondazione Internazionale“Il Giardino delle Rose Blu” ONLUSViale Europa 44, 03100 FrosinoneTel. 0775 1902221 Fax 1902222

C.F./P.IVA 02549680607

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www.fondazioneilgiardinodelleroseblu.it

In attesa di registrazione presso il Tribunaledi Frosinone N° 0 del 15/6/2010

Somm@rio

INCONTRIPag4

DOSSIERPag8

REPORTAGE

IN-FORMAZIONE

SOCIETÀ

Pag10

Pag14

Pag16

SCIENZA

ARTE E CULTURA

Pag19

Pag21

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@Editori@le

Cari lettori eccoci alla seconda uscita di SOCI@LMENTE, dopo il successodella prima. Senza dubbio è una rivista ben riuscita: bella nel vedersi ecompleta nella vastità degli argomenti trattati; aperta, così come dovrebbe

essere ogni mente sociale, e delicata nel passare in rassegna l’opera così impor-tante, e proprio nel tessuto sociale fortemente radicata, della Fondazione Inter-nazionale Il Giardino delle Rose Blu ONLUS che ne è l’Editore.

A me, come Direttore Editoriale, non resta che rimandarvi, in apertura di que-sto numero, tutti i complimenti ricevuti, che indirizzo innanzitutto al nostrocaro Capo Redattore, Enza Venditti, al nostro Direttore Responsabile, FrancaRoma, al nostro grafico,Gianni La Rocca, a tutta la redazione e a Simona Neriche, dietro le quinte, ci sostiene e ci consiglia affinché SOCI@LMENTE possaessere sempre più coinvolgente e capace di trasmettere che il mondo del socialeha realmente bisogno del contributo di tutti e che tutti possono “sporcarsi lemani”, capendo che noi ci esprimiamo e manifestiamo il nostro modo miglioredi essere quando riconosciamo che senza l’altro, e senza relazionarsi all'altro,non possiamo vivere.

SOCI@LMENTE vuole essere infatti proprio l’occasione per capire che il mondoha bisogno di noi, che l’altro ha bisogno di noi e che, per affrontare questa mis-sione, bisogna essere preparati. In questo numero prenderemo pertanto inesame le varie professioni di aiuto che esistono nel mondo del sociale, focaliz-zandoci sull’identità professionale del consulente familiare, per far conoscere edapprofondire quello che potrebbe essere un percorso formativo da intraprendere.

Un grazie particolare va alla nostra amica Simona Atzori, danzatrice e pittricestraordinaria, che, oltre a rendere unica la nostra copertina, ci insegna il sensodella vita, spronandoci a mettere in pratica le potenzialità e le risorse che troppospesso, purtroppo, seppelliamo nella quotidianità. Il suo insegnamento è quellodi volare in alto, solo così contribuiremo a rendere la società migliore. Non miresta allora che augurarvi una buona lettura!

Buona lettura a tutti!

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INCONTRIDi Enza Venditti

Curiosando un po' ovunque, dite si legge o si sente sempre:Simona Atzori la "ballerina

senza braccia", o la "pittrice senzabraccia". Quanto ti da fastidio quel"senza braccia" e il fatto che gli altritendano sempre a specificarlo?Questa è davvero una bella domanda. Di-ciamo che mi infastidisce e non mi infasti-disce, ti spiego il perchè. La cosa che miinfastidisce è quella di sottolineare la carat-teristica con cui io dipingo o danzo, perchècredo che la mia arte debba essere vista perquello che è: può piacere o non piacere perle emozioni che da o non da, la differenzanon la farebbero le braccia; quello che nonmi da fastidio è che comunque è un dato difatto, e mi spiacerebbe più se usassero pa-role come 'disabilità': non amo queste carat-terizzazioni cosi' generiche, anche perchèsono talmente superficiali che credo le di-sabilità le abbiano tutti. Dire invece che nonho le braccia, abbinato alla danza e alla pit-tura non credo sia necessario nè per dare unvalore in più a quello che faccio nè per farmidire: ''guarda che brava, nonostante lo fac-cia in questo modo''. Forse questa è l'unicabattaglia, anche se in generale nella mia vitanon amo mai parlare di battaglie, che vogliovincere e raggiungere: vivere la mia arte perquello che è e basta.Simona quindi è più pittrice o dan-zatrice?Nè l'uno nè l'altro. Entrambe sono talmenteparte di me che mi caratterizzano a pieno;sia la danza che la pittura sono i miei mezzi,quelli che uso per parlare agli altri del miomondo, per tirare fuori le mie emozioni, perpoterle condividere con la gente. Io mirendo conto che la danza, perchè legata alfisico di una persona, si può portare avanti

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“VOLOsenza ali”

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fino a un certo punto della propria vita, e ar-riverà un momento in cui il mio fisico mifermerà; mentre la pittura è una cosa che ioso di poter portare avanti per più tempo,anche se la danza continuerà ad essere pre-sente nella mia pittura, perchè nei miei qua-dri ci sarà sempre un movimento, unqualcosa che la ricordi, quindi è anche at-traverso la pittura che non farò mai morirela danza.Tu dici sempre "il mio mondo", "la miadanza". E' perchè senti una diversità?Io credo che ognuno di noi abbia unmondo particolare, speciale, con le carat-teristiche più diverse, ma uniche, perchè èsolo il nostro mondo.Esorto sempre le persone a considerarsi inqualche modo "diversi" e mi piace pensareche siamo tanti microcosmi all'interno di ungrande cosmo, proprio per sottolineare ladiversità di ognuno di noi, non l'ugua-glianza. Perchè si cerca sempre dire chesiamo tutti uguali (cosa sicuramente impor-tante a livello di diritti), ma a livello perso-nale, e per la propria vita, credo che ladiversità sia un grandissimo valore.Che importanza hanno avuto nel tuopercorso le tue due grandi passioni,e come ti hanno aiutato, se lo hannofatto?Mentre fino a qualche tempo fa ho semprepensato di essere stata io a scegliere di dan-zare e dipingere, ora, con un po' di anni alle

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spalle, mi rendo conto che probabilmentesono state loro a scegliere me, perchè eranotalmente innate che forse era il mio destino,quello che dovevo fare (avendo iniziatopiccolissima, a soli quattro anni a dipin-gere e a sei a danzare, non credo di averavuto una tale consapevolezza); era ilmodo attraverso il quale io riuscivo aesprimermi meglio, ma non nei momentidifficili. Esse mi aiutano semplicemente atirar fuori, esprimere e condividere con glialtri delle emozioni che forse le parole nonriuscirebbero a rendere allo stesso modo.La danza, la pittura, i colori, il movimento,le linee hanno una forza maggiore.La danza è un mondo bellissimo, maanche spietato, che non risparmianessuno. Come hai reagito alle criti-che, se mai ci sono state?La danza, è vero, è un mondo un po' parti-colare. Io mi sono però sempre sentita unpo' esclusa, e all'inizio entrare nel mondodella danza con la "D" non è stato facile,perchè la mia danza veniva vista come qual-cosa di a se stante, di particolare, e di di-verso. Poi col tempo ho dimostrato che,seppur fatta in modo diverso, la mia danzaaveva lo stesso valore, e la riprova sono statii tanti spettacoli, e soprattutto la partecipa-zione al "Roberto Bolle and friends", duedate lo scorso anno, che è stata un po' laconsacrazione nel mondo della danza. Ionon so se ci siano state grosse critiche, a me

senza ali”

Simona AtzoriFoto di Gabriele Rigon

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Nata a Milano nel 1974 si è av-vicinata alla pittura all' età diquattro anni come autodidattae all' età di sei inizia a seguirecorsi di danza classica.Nel 1983 entra a far parte dell'Associazione dei Pittori che Di-pingono con la Bocca e con ilPiede (V.D.M.F.K.).Nel 1992 dona a Papa GiovanniPolo II il ritratto del Santo Padre.Nel 2001 si laurea in "VisualArts" presso la "University ofWestern Ontario" in Canada.Partecipa a mostre collettive epersonali in tutto il mondo: Ita-lia, Cina, Portogallo, Svizzera,Spagna, Austria.Alla sua brillante carriera dipittrice si aggiungono nume-rosi successi nel campo delladanza che permettono a Si-mona di portare avanti le suedue grandi passioni: la pitturae la danza.Ambasciatrice per la danzanel Grande Giubileo del 2000porta per la prima volta ladanza in Chiesa con "Amen",una coreografia di PaoloLondi, che è stata inseritanella Grande EnciclopediaMultimediale del Vaticano.Testimonial del Pescara danceFestival nel 2003 ha avuto ilgrande onore di danzare unacoreografia di Paolo Londi conMarco Pierin, grande ètoiledella danza classica.Un premio d' arte ha preso ilsuo nome; Simona ha avutol'onore di donare il premio "At-zori" a Luciana Savignano,Micha Van Hoecke, CarolineCarlson,, Vladimir Vasiliev,Carla Fracci, Liliana Cosi.Simona è ritratta nel libro diCandido Cannavò, "E li chia-mano disabili", dove viene rac-contata anche la sua storia.E' stata protagonista della ce-rimonia di apertura delle Pa-raolimpiadi di Torino 2006.

BIOGRAFIA

INCONTRIDi Enza Venditti

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almeno non sono mai pervenute. Ho ini-ziato anche delle collaborazioni con balle-rini della Scala di Milano ho danzato conSabrina Brazzo che ne è prima ballerina, enon credo che loro danzerebbero con me senon fossero interessati a ciò che faccio, mapoi la cosa bella, che mi fa capire quanto ladanza possa essere legata anche alle per-sone è che nonostante potrebbero ballarecon ballerini importanti, forse danzare conme acquista anche per loro un altro senso,un altro messaggio e significato per lorostessi in primis, e so che lo fanno, oltre perl'aspetto danza, anche per un affetto cheormai ci lega: questa è la cosa più bella.

La sintesitra Danza

e Pittura, risultatiespressivi del mio

essere: questo èsempre stato il

centro della miacreazione artistica

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Io sorrido intanti modi.

Sorrido vivendo sorrido amando

sorrido dipingendosorrido danzando...dove nel mio mondosorridere significasolamente vivere

Durante gli anni dell' Università haivissuto in Canada, perchè è li' che tisei laureata. Che differenze hai in-contrato rispetto all' Italia?La scelta di laurearmi in Canada è stata unadelle cose più belle della mia vita, perchè senon fossi andata li' non so se sarei comesono; mi ha aperto tantissimo la mente. IlCanada è un Paese multiculturale: io ho co-nosciuto persone di religioni diverse, co-stumi, modi di vivere; di arti diverse, perchèla mia era una facoltà artistica dove ognunoportava la sua esperienza e mi ha aiutatotantissimo; mi ha reso più aperta nei con-fronti di tutti e da quell' esperienza ho im-parato tantissimo. Il Canada mi ha datol'opportunità di sentirmi una persona comegli altri nella diversità, perchè li' non im-porta da dove vieni, le opportunità che haitu le può avere anche un' altra persona equesto a volte in Italia è più difficile da ot-tenere. E' stato dunque per me un punto dipartenza fondamentale per poi tornare inItalia e portare con me questo bagaglio nonsolo artistico, ma anche culturale. Il Canadaè comunque la mia seconda patria, mia so-rella vive li', per me lei è importantissima, èl'altra parte di me insieme ai miei tre nipo-tini e appena posso vado sempreTu non hai remore nel raccontarti:quanto hai temuto, o temi, di poteressere un "fenomeno" per gli altri?Fino a qualche anno fa non amavo raccon-tarmi con le parole, proprio perchè volevofosse l'arte a farlo per me; poi invece misono resa conto di quanto sia importanteparlare anche della mia storia, perchè lepersone hanno bisogno di comprenderecome quello che per loro è "strano", parti-colare, sia invece più "normale" di quel cheuno pensi. Raccontare la mia normalità, cheper gli altri è diversa, ridimensiona tutto eogni cosa diventa più semplice e l'ho fattoproprio per questo, perchè non volevo chela gente potesse avere un' idea distorta dellarealtà, mentre raccontandoti togli l'alone diessere qualcosa che arriva da un altro pia-neta; la parola, il raccontarsi e l' aprirsi,anche sulle cose più private ed intime,rende tutto più semplice."Un sorriso colto all' improvviso, enon per caso, è l'immagine che vogliodare di me a chi entra nel miomondo, dove per me sorridere vuoldire soltanto vivere". Perchè?Io sono fortunatissima e ne sono proprioconvinta. Il sorriso mi ha sempre accompa-gnato fin da bambina e nella mia famiglia,nonostante tutte le difficoltà, c'è sempre laserenità. Ho anch' io, come tutti, momentino, ma c'è sempre questo sorriso che mi ca-ratterizza e mi accompagna ed è la mia piùgrande fortuna. La positività è la mia dotepiù grande e la coltivo.Un figlio è sempre, o quasi, il pro-dotto dei genitori. Qual è il ringrazia-mento che devi alla tua famiglia, peressere cosi' come sei?Io ringrazio mia mamma, mio papà e mia

In questi anni ha ricevuto moltipremi internazionali ed è stataospite in molte trasmissioni te-levisive.Simona conduce "Incontrimotivazionali" presso grandiaziende, organizzazioni, ban-che, ma anche scuole di ogniordine e grado per aiutare im-piegati e studenti a migliorarel'atteggiamento verso lorostessi e la vita.Dal 2008 i suoi quadri sono inmostra permanente nella cittàdi London Ontario, Canada.Attualmente è impegnata innumerosi appuntamenti mon-diali anche con mostre perso-nali e collettive, raccogliendoconsensi da parte di stampae pubblico.Tratta dal sito:www.simonarte.com

sorella per l'amore che mi hanno dato, ecredo che nella parola 'amore' ci sia tutto.Loro mi hanno accolto come un dono, equesto è un punto di partenza fondamen-tale, e poi hanno cercato di darmi tutte lepossibilità che io volevo. Mi hanno accom-pagnato, continuano ad accompagnarmi elo faranno sempre, e io non posso fare altroche ringraziarli continuando a fare quelloche sto facendo insieme a loro.Qual è il tuo rapporto con la fede?Il mio è un rapporto molto semplice. Iosento di ringraziare il Signore per la vita chemi ha dato e mi rendo conto che delle voltenon è cosi' semplice, ma sento di farlo per-chè i miei genitori, che mi hanno accoltocome un dono, mi hanno insegnato che ildono più grande è la vita, e a me il Signorelo ha dato in un modo speciale: mi ha creatoin un modo speciale. Io sono convinta dinon essere nata con qualcosa in meno; iosono convinta che Simona non dovevaaverle le braccia. Il Signore mi ha messa almondo cosi', perchè Lui voleva che io fossiesattamente in questo modo, e lo sto capendoancora di più in questi anni, attraverso tuttele cose belle che la vita mi sta dando e che midicono che è proprio cosi', non potrebbe es-sere diversamente. Tutto ciò che faccio at-traverso la mia arte, con tutte le personeche incontro, ha un senso preciso e il miomessaggio è quello di dire che la nostravita è un dono. Il nostro modo di esserevenuti al mondo non è casuale, ha unsenso, e io questo senso lo comprendo at-traverso la danza e la pittura e quando nelGiubileo del 2000 ho danzato nella Chiesaconsacrata di S. Maria degli Angeli e deiMartiri, a Roma, ho realizzato che stavoringraziando il Signore, stavo pregandoattraverso la danza e per me ogni volta chedanzo è un po' come ringraziarlo sempre.La mia fede è dunque continuare a diregrazie al Signore per quello che mi ha datoe non per quello che gli altri vedono chenon mi ha dato. Io poi faccio talmente tanti incontri contante persone diverse che continuo a pren-dere energia da tutti quanti per riuscire adandare avanti, perchè il mio messaggio devoportarlo avanti, non importa con chi, devofarlo e non solo per me, ma anche per glialtri. Ho ricevuto ultimamente il PremioAtreju 2010 di Giorgia Meloni, Ministrodella Gioventù, e me lo ha consegnato MaraCarfagna a Roma e anche li' ho ribadito chequesti premi mi aiutano non tanto per ilpiacere di ricevere un premio, che è un og-getto che poi appoggi da qualche parte, mail premio mi dice che quel che sto facendonon ha un senso solo per me e per la mia fa-miglia e le persone che mi vogliono bene,ma ha un senso anche per gli altri che mistanno dicendo: "Contiua ad andare avanti"e io contino a farlo.Se dovessi descriverti con un agget-tivo?E' difficilissimo, ce ne sarebbe più di uno,ma scelgo un verbo: volare.

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DOSSIERDi Laura Drera

SARAJEVO

Alberto Bobbio è giornalista, inviatospeciale del settimanale FamigliaCristiana, dove lavora dal 1987. Ha

seguito come inviato speciale di guerra perFamiglia Cristiana la guerra in Somalia e leguerre nei Balcani, seguendo in particolarel’assedio di Sarajevo. Nel 2005 scrive il libro“Truccarsi a Sarajevo – Storia e storie di unassedio dimenticato” come frutto dell'espe-rienza dei mesi trascorsi proprio a Sarajevodurante l'assedio.Noi l' abbiamo incontrato il 6 maggio, aBiella, in occasione di una serata incentratasul tema del conflitto che ha portato alladissoluzione della Jugoslavia e con grandecortesia ha acettato di rispondere a qualchenostra domanda.

A distanza di dieci anni dalla finedell’assedio di Sarajevo Lei ha pubbli-cato il libro “Truccarsi a Sarajevo –storia e storie di un assedio dimenti-cato”. Perchè un titolo cosi' insolito?Essere belle, truccarsi e curare la propriapersona rappresenta la volontà di conti-nuare a vivere, è resistere. Questo libro rac-conta storie sull’assedio di Sarajevo, 1300giorni e 12 mila morti, perché ora che si saquasi tutto dell’inettitudine della Comu-nità internazionale, degli intrecci tra i si-gnori della guerra e il resto del mondo, orache si comincia a fare luce sugli affari e sicercano verità al Tribunale dell’Aia, ancheper consegnare alla storia una memoriagiudiziaria dell’orrore, si tendono a scor-dare le storie della gente, le sofferenze in-time, le piccole grandi azioni eroiche di chiha resistito. Il libro racconta di come lagente, durante l’assedio, cercasse di conti-nuare la vita normale; di come ci fossero,nonostante tutto, musica, teatro, e venivastampato un giornale.Non è un caso che tra i primi obiettivi deibombardamenti ci sia stata la biblioteca na-zionale: il simbolo della convivenza, del dia-logo e della cultura.

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La storia da non dimenticare

Lei è riuscito ad entrare nel territoriodei cecchini, ha cercato di vedere lecose attraverso i loro mirini. Che im-pressioni ha avuto?Ciò che ho potuto notare nei miei incontricon i cecchini è che vedevano il proprioruolo come se facessero parte di un’indu-stria, come il lavoro più normale delmondo: si svegliano, sparano, fanno pausapranzo, sparano e si addormentano. Da Belgrado venivano organizzati dei veri epropri week end in Bosnia Herzegovina perrubare, ammazzare, violentare. I cecchinierano per lo più seguaci di partiti naziona-listi e malviventi ed erano gruppi ben orga-nizzati, a dimostrazione che il massacro erastato progettato da Belgrado in maniera si-stematica e pianificata. Nel libro, nel capi-tolo “I ragazzi dell’Hamburger”, raccontoproprio di questi “viaggi organizzati” daBelgrado verso la Bosnia Herzegovina “peressere cecchini”.Le fosse comuni sono divenute unodei più tristi simboli delle guerre neiBalcani. Il suo ricordo?Ne ho viste tante di fosse comuni, a Tuzla,a Sarajevo... Vi sono delle equipe di anato-mopatologi internazionali addette all’iden-tificazione dei corpi che stanno tutt’oracontinuando a rinvenirne. Un giorno, in un villaggio di cui non ricordoil nome, vidi dei corpi che, dopo essere statiestratti dalle fosse comuni erano stati alli-neati nel cimitero per il riconoscimento ec’era una fila di donne e persone che atten-devano di vedere i corpi stesi sui tavoli perriconoscere parenti o amici.Sulle fosse comuni ha lavorato anche il Tri-bunale dell’Aia, esse servono per conservarela memoria non solo storica, ma anche giu-diziaria, dei crimini di guerra, di quello cheè stato un vero e proprio genocidio.Nel mio libro, nel capitolo “Emsuda di Pri-jedor”, racconto di questa donna che tenevaun quaderno delle persone scomparse dellaRepubblica Serba; lo fece inizialmente per

ricostruire la memoria delle persone” e sitramutò poi in un vero e proprio libro chesi intitola “Innocenti” e racconta le storiedella morte, in copertina c'è una frase diVoltaire che dice: " chi dimentica un cri-mine ne diventa complice". Esmuda coor-dina un' associazione non governativa chesi dedica alla memoria, ai racconti dei so-pravvissuti raccolti di casa in casa, di vil-laggio in villaggio, riempiendo il suotaccuino e prendendo fotografie.Esmuda sa che mai il suo libro vedrà la fine,perchè ci saà sempre qualcuno che non ri-sponde all' appello: "sono sparite intere fa-miglie, vecchi, figli e nipoti"; comunque leicompila pagine e poi verifica: a volte i restinelle fosse si riescono a identificare, altrevolte aiuta l'esame del DNA, che finalmente la comunità internazionale ha deciso difare. Cosi' nel suo libro appare la soluzione.Lei ha affermato che la gente ha dirittodi sapere la verità, di sapere di chisono le colpe. Chi sono gli artefici diquest' orrore? Dove vanno ricercate asuo parere le responsabilità?Tra i responsabili mi vengono subito in

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mente Milosevic, Mladic e Karadzic; quest'ul-timo è attualmente indagato dal tribunaledell' Aia, manca però un accordo internazio-nale per arrestarlo. Ma grandi responsabilitàle ha anche la Comunità internazionale con isuoi rapporti non limpidi con questi stessi.Mi rifiuto di credere che i servizi segreti nonsapessero dove fosse Milosevic. E Mladicdov'è? Le cause degli orrori non sono an-cora state scritte, ma è ora che qualcunoracconti le colpe e un po' di verità; forse nonè ancora stato fatto, perchè Belgrado non èpronta, preparata: la verità del resto puòfare gravi danni a questi Paesi in bilico. Lasocietà civile è stata messa da parte e biso-gna vedere se sia pronta a sua volta: hannodato la responsabilità a dun popolo intero(i Serbi), ma i colpevoli veri sono un gruppodi intellettuali che hanno costruito con-senso sulla pulizia etnica ed il concetto diserbità, oltre che sul tentativo di rivincita eriscatto dalla sconfitta a Kosovo Polje con-tro i Turchi. I serbi infatti raccontano quest'episodio, accaduto nel 1389, come se fossesuccesso ieri, tant'è vivo il ricordo. E' statastravolta la storia per il nazionalismo, e la

guerra si è servita di un ferreo controllo deimezzi di comunicazione e informazione.Lei è stato inviato nei territori balca-nici durante tutto il corso del conflitto.Cosa l'ha colpito maggiormente? Ecosa porta ancora nella testa e nelcuore?Ho tanti amici e tante storie, da tutte leparti. E' stata un'esperienza, un pezzo distoria personale e professionale animatadalla convinzione che quello che fai serve amigliorare la qualità della vita di tutti, conla presunzione che raccontare sia un po'come mediare, o serva a farlo finire primaE ora che la guerra è finita, cosa laspinge a continuare a raccontarla?Continuo a raccontare, perchè credo debbaesserci una memoria dell' accaduto; perchèl'oblio tende a stendersi, per motivi preva-lentemente politici; e si tende a dimenticarela responsabilità e a negare alle persone laverità. Anche il tribunale dell' Aia verràsmantellato, a breve, per termini di legge,ma molti nei Balcani vogliono sapere la ve-rità e hanno il diritto di averla. Non si puòdimenticare la gente di Sarajevo, capisci?

Questo libro racconta storiedi persone incontrate durantela guerra nei Balcani tra il1991 e il 1995 e nel succes-sivo, pesante dopoguerra.Ora che sono passati diecianni dalla fine dell'assedio diSarajevo e 12 mila morti, sisa quasi tutto dell'inettitudinedella comunità internazio-nale, degli intrecci assai pocovirtuosi tra signori dellaguerra e il resto del mondo.E' il momento anche di ricor-dare le storie della gente, lesofferenze intime, le piccoliazioni eroiche di chi ha resi-stito, di chi ha detto un parolachiara alla guerra, che volevauccidere la vita.Per questo Alberto Bobbio,giornalista, ha messo in-sieme questi ritratti intensi dipersone incontrate nei mesipassati a Sarajevo, durantel'assedio, o nei Balcani deldopoguerra. Sicuramenteognuno di loro ha molto dadire a ciascuno di noi.

IL LIBRO

TRUCCARSI A SARAJEVO.Storia e storie di un assediodimenticato

Autore Bobbio Alberto

Editore Edizioni Messaggero

Pagine 120

Prezzo € 7,50

Bosnia ErzegovinaFoto di Graziano Panfili

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Il primo campo di lavoro è partito nel di-cembre 2000 denominato “Stelle di Na-tale”. Non capivo una sola parola dicroato, ma comunicavo attraverso un lin-guaggio d’amore, fatto di coccole, canzonie corse nei corridoi. Un interprete perfettoera Vojo, un bambino che oggi vive in Ita-lia, affetto da una malattia della pelle, maintelligentissimo. Lui apprendeva la lin-gua italiana dal suo Svet Nicola (BabboNatale): da Ermanno riceveva regali, traquesti un’automobile della polizia per “vi-gilare” in ospedale sugli altri bimbi. Sottoil cuscino nascondeva le monetine per te-lefonarci e il cioccolato mai assaggiato

Èdolce ripercorrere le tappe del-l’esperienza a Gornja Bistra.

Sono trascorsi dieci anni dal mio primoincontro con gli angioletti croati. Ho co-nosciuto i loro sorrisi il 23 maggio 2000

attraverso alcune diapositive commentatedal seminarista Ermanno D’Onofrio, ve-nuto nel mio paesino, Caiazzo, per spar-gere amore. Da quel giorno è iniziataun’avventura meravigliosa, non potevoimmaginare che di lì a poco sarebbe ger-mogliata una pianta così robusta. A queitempi i nostri bimbi avevano bisogno nonsolo di affetto, ma anche di aiuti materiali.

prima. Una volta tornata in Italia, ho ca-pito che la mia esperienza non poteva ter-minare lì: dovevo continuare a dedicarmia quella splendida missione.Sono diventata referente di zona: tessera-menti, vendita cartoline “Mille lire per unsorriso”, adozioni a distanza! E poi tutti intendopoli! Nell’agosto 2001, dopo unanotte insonne, quasi spaventati da ciò chestava per nascere, ho detto un altro sì. Hodetto sì al campo permanente, all’idea dicurare tutto l’anno i piccoli di Gornja Bi-stra. Nasce il Giardino delle Rose Blu: peramore di quelle rose fragili,ma preziose, sisono mobilitati “giardinieri” da tutt’Italia e di

REPORTAGEDi Nunzia Silvestro

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TENDOPOLI AGORNJA BISTRATENDOPOLI AGORNJA BISTRADieci anni di emozioni

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ogni età. Quante riunioni, quante foto, quantiricordi! Mi sento privilegiata ad essere anellodi questa immensa catena di solidarietà chesi è sviluppata nel corso degli anni.Fondamentale è stato l’incontro con la nostramaestra spirituale, Daniela Zanetta, mortaper epidermolisi bollosa. Ci ha lasciato ungrande esempio di umiltà e, attraverso i suoiscritti, il suo messaggio cristiano vivrà con-cretamente nel nostro progetto di aprire Cased’Accoglienza per i più bisognosi.Un miracolo è già avvenuto: quei corpicinifragili ogni giorno portano la croce e colsorriso ci insegnano che la vita è sacra,anche quando è faticosa. La loro forzacommuove profondamente i nostri cuori ealimenta la nostra voglia di continuare adonarci. Un amore senza confini ci ha con-dotto in quei giardini che nessuno cono-sceva. Ora essi sono noti a più diquattromila volontari e non saranno piùlasciati incustoditi: saranno sempre innaf-fiati perché ormai sono parte integrantedella nostra vita.In questi dieci anni non ho conosciuto solola realtà di Gornja Bistra, ma anche i ma-

Gornja BistraFoto di Enza VendittiPost produzione di Mario Notarangelo

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gnifici bimbi di Episcopio di Sarno, dove,a causa dell’alluvione del 1998, ho fatto ilmio primo campo di animazione con Er-manno. Sono stata in Bosnja, a Sarajevo edintorni, per distribuire aiuti materialialle popolazioni colpite dalla guerra del1993. E’ stato stupendo conoscere Marga-reta, un’altra rosa blu bisognosa di co-stante cura da parte nostra. Tante emozioni, non ci sono parole per de-scrivere i momenti di condivisione, op-pure le belle amicizie che nascono durantei nostri campi.Al promotore e fondatore di tutto ciò vo-glio dare il mio ringraziamento: GRAZIEERMANNO!

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REPORTAGEDi Nunzia Silvestro

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Non è cosa facile parlare del “consu-lente familiare” perché, nonostantesia una tra le professioni di aiuto più

vecchie di età, essa attualmente non può es-sere annoverata, in Italia, tra le professioniregolamentate. Per questo motivo non c’èchiarezza sulla sua identità specifica né tan-tomeno sul percorso formativo da intrapren-dere per formarsi come consulente familiare,figura professionale che non vuol essere néuno psicologo “in miniatura” né una riprodu-zione dei tanti counselors che ultimamentevanno così di moda. Il consulente familiareha una sua specifica identità professionale: èl’operatore socio-educativo che, con tecnichee metodologie specifiche, aiuta i singoli, lacoppia o il nucleo familiare a mobilitare, nelleloro dinamiche relazionali, le risorse interneed esterne per affrontare le situazioni difficilied effettuare delle scelte autonome.La sua opera può essere integrata da quelladi altri specialisti o inviata ad altri professio-nisti in caso di psicopatologie strutturate e,quindi, gravi.Compito e dovere del consulente è perseguirela tutela della salute e dell’integrità psicofisicae relazionale dell’uomo, inteso come personae come membro di una famiglia, di una cop-pia, di un gruppo sociale, nel pieno rispettodella dignità e della libertà di ogni essereumano senza alcuna discriminazione. Egli,per svolgere in modo efficace il suo inter-vento, deve possedere una buona conoscenzafunzionale delle principali tecniche del collo-quio e delle dinamiche relazionali; una validaconoscenza teorica e funzionale delle princi-pali linee della consulenza; delle discrete co-noscenze di base sulla comunicazioneinterpersonale e, infine, deve essere capace diimparare a prendere coscienza, a verbalizzaree ad acquisire padronanza dei suoi atti, delsuo comportamento, delle sue idee e dei suoidesideri. Il consulente così descritto appare,dunque, come un facilitatore; il suo inter-vento serve al cliente per capire la situazione,per comprendere la natura della problema-tica che lo opprime, per cogliere le relazionidi causa-effetto, per prendere consapevolezzadi quali sono le sue reazioni emotive di frontea situazioni significative in modo che possavedere le emozioni come segnali per faredelle scelte, prendere delle decisioni nel ri-spetto dei linguaggi e dei modi di procederepersonali e culturali non lesivi del diritto diessere trattato come persona meritevole di

stima e di rispetto. Dunque il formulare do-mande in un modo che aiuti il cliente a guar-darsi dentro e a chiarificarsi; lariformulazione, o parafrasi, di quello che ilcliente ha espresso per farlo sentire capito e,al tempo stesso, aiutarlo a chiarire il suo pen-siero; il riassumere il contenuto di quello cheil cliente dice, soprattutto quando i contenutisono abbondanti, per aiutarlo ad essere piùspecifico e a focalizzarsi sulle aree e sullequestioni chiave che potrebbero essere piùproblematiche o difficili da gestire; la capa-cità di ascolto; la consapevolezza e la cono-scenza della comunicazione non verbale inse stessi e negli altri e il gestire il silenzio,sono tutte caratteristiche fondamentali delconsulente familiare.

A tal proposito è molto importante sottoli-neare che un valido professionista che vogliaessere consulente familiare deve conoscere sestesso in profondità, deve apprezzarsi e deverisolvere eventuali nodi o situazioni proble-matiche che riconosce presenti nella sua vita.Infatti possiamo senza dubbio affermare cheper il consulente familiare “ l’abilità di amarese stesso è la testate d’angolo per la sua pra-tica terapeutica e senza di essa il senso dellarelazione d’aiuto viene gravemente compro-messo. E’ impossibile offrire accettazione,empatia e genuinità al cliente al livello piùprofondo, se queste reazioni sono nascoste alproprio Sé”.Per il fine del nostro lavoro l’empatia è quellacapacità del consulente familiare di sentire leemozioni del cliente e di riuscire ad immede-simarsi in lui facendo attenzione a non cedere

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IL CONSULENTE FAMILIAREIl fascino di una figura professionale da riscoprire

IN-FORMAZIONEDi don Ermanno D’Onofrio

Padre Luciano Cupia, insiemealla prof.ssa Rosalba Fanelli(vice-presidente nazionale deiConsultori UCIPEM), è stato ilfondatore del centro "La Fami-glia" di Roma, uno dei primi con-sultori in Italia. Il 25 giugno,giornata in cui la Fondazione IlGiardino delle Rose Blu ha inau-gurato la propria sede e soprat-tutto la nascita di un PuntoFamiglia a Frosinone, ci ha rac-contato la sua esperienza e dadove è nato il suo progetto.

Com' è nata l'idea di fondareun consultorio, e quali motiva-zioni vi hanno spinto?"La Famiglia" nasce verso lametà degli anni '60 dietro l' asso-luta convinzione che anche peraffrontare il matrimonio fosse ne-cessaria una preparazione. L'Università di Ottawa, statale, noncattolica, della congregazionecui appartengo, aveva ideato giàdal 1938 un discorso di questotipo e su quella scia io e Rosalbaabbiamo iniziato ad elaborare deitesti. In Italia questa era unacosa del tutto nuova, possiamodire che l'abbiamo proprio inven-tata e nel 1976 è sfociata in unascuola per consulenti familiariche è arrivata fino a Frosinone.Qual è il collegamento con ilConsultorio Anatolè che daquasi tre anni è attivo a Frosi-none?Il collegamento era nel cuore delprecedente Vescovo di Frosi-none, Salvatore Boccaccio, che

"Curatore dellarelazione" ilconsulente

interviene in unarelazione, sia essaverso se stessi che

verso gli altri

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ad un eccessivo coinvolgimento affettivo;ecco perché pur essendo certamente essa ri-conducibile soprattutto a fattori affettivi, nondevono essere assolutamente esclusi i fattoricognitivi che la rendono una importante edindispensabile condizione professionale utileper intraprendere un percorso consulenzialeche possa dimostrarsi concretamente effi-cace. La seconda dimensione è quella del ri-spetto grazie alla quale intendiamo affermareche “rispettare e valorizzare i clienti significaaccettarli in modo totalmente non giudicante,perfino se le loro azioni o i loro sistemi di va-lori fossero molto differenti da quelli del con-sulente familiare. Accettare e rispettare iclienti tuttavia non sarebbe possibile senzaun pieno autosviluppo del consulente fami-liare, che in genere viene acquisito nella for-mazione. Sono necessarie l’accettazione deipropri difetti e limiti e la volontà di lavorareper una maggiore consapevolezza prima chepossa esistere una vera accettazione deglialtri”. La terza condizione evidenziata da Ro-gers, e da noi assunta per presentare un qua-dro completo delle abilità necessarie alconsulente familiare, è la congruenza o ge-nuinità e fa riferimento alla capacità del pro-fessionista di essere realmente una personaaperta rispetto al cliente. “Tale apertura sibasa sull’onestà e su una comunicazione, siaverbale che non verbale, chiara; ma ciò nonsignifica che ogni suo pensiero debba essereautomaticamente espresso”.All’interno di un Consultorio familiare do-vrebbe ricoprire un ruolo professionale fon-damentale il consulente familiare chepossiamo definire come il “professionistasocio-educativo che attua percorsi centrati suatteggiamenti e tecniche di accoglienza,ascolto e auto-ascolto che valorizzino la per-sona nella totalità delle sue componenti; siavvale di metodologie specifiche che agevo-lano i singoli, la coppia e il nucleo familiarenelle dinamiche relazionali a mobilitare le ri-

è stato un carissimo amico ilquale, conoscendo molto bene ilnostro lavoro, disse: "Voglio unconsultorio anche a Frosinone"e scelse don Ermanno D' Ono-frio per realizzare la sua idea.Quale dev' essere il ruolo delconsulente familiare?Il consulente familiare è quel cheio chiamo "il curatore della rela-zione", dunque colui che curauna relazione sia essa verso sèstessi o verso gli altri. La primacosa è accettare sè stessi, no?Poi c'è la relazione verso gli altri,iniziando dalla coppia per arri-vare alla famiglia, e all' interarete sociale. Il consulente fami-liare si specializza proprio nell'ambito della relazione familiare,non è né uno psicologo né unopsicoterapeuta, e deve pertantoavere una formazione specificache ormai è assodato debba es-sere minimo di tre anni post-lau-rea più altri due per il tirocinio.Una delle cose fondamentali èche la consulenza, poichè svoltain equipe, dev' essere esercitatain un consultorio, come centroqualificato, che possa risolvere iproblemi della famiglia proprionell' ottica della relazione (sipensi alla relazione genitori-figli:controversa, ma fondamentale).

sorse interne ed esterne per le soluzioni pos-sibili; si integra, dove occorre, con altri spe-cialisti e agisce nel rispetto delle convinzionietiche delle persone e favorisce in esse la ma-turazione che le renda capaci di scelte auto-nome e responsabili”.Ci sembra opportuno sottolineare che es-sendo quella del consulente familiare, comeaccennavamo in apertura, una professionenon regolamentata, essa non gode, in Italia,di un riconoscimento legislativo da partedello Stato che ne riconosca un’identità né,tanto meno, che ne indichi un percorso for-mativo idoneo e necessario. Il consulente fa-miliare, infatti, può essere annoverata tra leprofessioni non regolamentate che si distin-guono da quelle protette, per cui esiste unAlbo e un Ordine Professionale, e quelle rico-nosciute, per cui c’è un Albo, ma non neces-sariamente un Ordine. Tale figura è, invece, riconosciuta in moltis-simi paesi degli Stati Uniti, del Canada, del-l’America Latina e anche dell’Europa. Nelnostro Paese, il fatto che non ci sia un ricono-scimento ufficiale non significa che questaprofessione non esista, infatti diversi sono gliesempi in cui è riconosciuta a tale figura unafunzione specifica come per esempio la nor-mativa regionale in vigore in Lombardia e inVeneto. La Legge della Regione Veneto diceesplicitamente che “per lo svolgimento dellasua attività il consultorio deve possedere ungruppo di lavoro costituito da psicologi, me-dici, assistenti sociali aventi ciascuno la fun-zione di consulenti familiari” e nell’Articolosuccessivo dichiara che “il coordinatore delconsultorio è scelto tra i consulenti familiari”La questione dunque si presenta attualmenteaperta e ha provocato reazioni accese daparte di alcune professioni per le quali, a dif-ferenza del consulente familiare esiste un Or-dine professionale ufficiale detentore di unoSpecifico Albo. In particolare la reazione hainteressato gli psicologi che, in un certosenso, hanno visto invaso il loro campo pro-fessionale e minacciate le loro competenze.Ecco che è, dunque, fondamentale definirequelli che sono i confini e i paletti tra una pro-fessione e l’altra affinché non ci siano inutilie scomode invasioni di campo. A questopunto subentra proficuamente il discorsodelle Associazioni di categoria professio-nale nate proprio per tutelare la professio-nalità del consulente e molto impegnate,su tutto il territorio nazionale, a promuo-vere lo studio dei problemi relativi allaconsulenza familiare. L’AICCeF è l’unica Associazione di categoriaesistente in Italia che tiene in grande consi-derazione la formazione e permette l’iscri-zione solo a quei consulenti che fuoriesconoda un cammino formativo almeno triennale,richiedendo poi almeno due anni di tirocinio.Il percorso per diventare consulenti può es-sere intrapreso in diverse scuole presenti sulterritorio nazionale, anche a Frosinonepresso il Consultorio Anatolè.

da sinistra, Padre Luciano Cupiae don Ermanno D' Onofrio

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SOCIETÀDi S.N.

PICCOLO CREDITOgrande idea

“Dai un pesce a un uomo e lonutrirai per un giorno. Inse-gnagli a pescare e lo nutrirai

per tutta la vita”. Il paragone può risultareun po’ azzardato, ma il microcredito fun-ziona davvero in un certo senso come nelnoto proverbio cinese. L’elemosina non è digrande aiuto a chi ha bisogno, ha sempresostenuto Muhammad Yunus, che del mi-crocredito è il primo teorizzatore. Quel cheoccorre è aiutare i poveri a provvedere a sestessi. Con questa filosofia alle spalle l’eco-nomista ha messo in piedi un vero e proprioistituto di credito, la Grameen bank, sortain Bangladesh nel 1976, che eroga piccoliprestiti alle popolazioni povere locali senzarichiedere garanzie. Si consente loro così diavviare piccole attività imprenditoriali, daicui profitti viene ricavato il denaro per re-stituire il prestito e rifinanziare l’impresa.Rischi di insolvenza? Molto bassi, comeconferma l’ormai pluridecennale esperienzache dal Bangladesh si è estesa con successoin molti altri Paesi. E lo confermano anche

le statistiche, secondo le quali, dal ’77 a oggi,il novantasette per cento del denaro è resti-tuito nei tempi e il due per cento in ritardo.Solo il rimanente un per cento di chi ha usu-fruito del finanziamento, quindi, non ha re-stituito, ma Yunus è sicuro che un giorno lofarà. Alla base del successo vi è anche il so-stegno che chi si avvale del prestito riceve,sotto forma di formazione, ad esempio, otramite la creazione di reti commerciali utiliall’espansione dell’attività. Fondamentale èil rapporto di fiducia che si crea tra chi pre-sta e chi riceve, ed è proprio la fiducia final-mente ottenuta a responsabilizzare e arisultare alla fine vincente. C’è natural-mente chi solleva delle critiche anche a que-sto sistema, considerato da alcuni troppo

sopravvalutato come strumento davvero ef-ficace di lotta alla povertà e da altri non cosìonesto come appare, nel senso che con iltempo si sarebbe uniformato troppo al tra-dizionale sistema bancario da cui voleva di-scostarsi . Certo è però che ha avuto eancora ha un ruolo importante per stimo-lare le persone bisognose all’autodetermi-nazione, fuori da un contesto che le ha vistespesso sfruttate e abbandonate a se stesse,essendo risultato fallimentare anche un ap-proccio meramente assistenzialistico.

L’esperienza italianaIl microcredito non è una realtà che ri-guarda solo le popolazioni in via di svi-luppo. Pur con caratteristiche diverse,

“Quando michiedono come misono venute tutte

quelle ideeinnovative rispondo

che abbiamoguardato come

funzionano le altrebanche e abbiamofatto il contrario”

Muhammad Yunus

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anche in Europa e in Italia esistono strut-ture e associazioni che operano in questosettore. È da poco emerso, ad esempio, chenel nostro Paese, i microcrediti erogati sonoquintuplicati negli ultimi 2 anni, secondoquanto riportato da una ricerca di Ritmi(Rete italiana di microfinanza) condotta incollaborazione con la Fondazione GiordanoDell’Amore. Ma molto c’è ancora da lavo-rare per sviluppare questo sistema, datal’assenza fino a questo momento di una nor-mativa adeguata. Solo lo scorso giugno ilConsiglio dei Ministri ha inviato alle Ca-mere un decreto legislativo per riformare ilTesto Unico Bancario, includendo ancheuna norma sul microcredito. In Italia il fe-nomeno risale agli anni Settanta, ovveroquando si costituiscono le Mag (Mutue autogestione). Esse, si legge ad esempio sul sitodi presentazione di quella attiva a Torino,“sono delle cooperative, che più di ogni altraforma societaria stimolano il rispetto dellapartecipazione e dell’uguaglianza tra imembri. Sono soprattutto società tra per-

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sone, dove lo scambio di denaro avviene trasoci. Il denaro raccolto è prestato a coope-rative e associazioni no profit applicandotassi d’interesse e condizioni di rientro van-taggiose. Non essendo richieste garanziepatrimoniali è fondamentale la conoscenzadella destinazione dei risparmi investiti.”«La prima Mag nacque a Verona trent’annifa – ci racconta Cinzia Cimini, socio fonda-tore e presidente della Mag Roma – per aiu-tare dei contadini a trovare il denaronecessario a fondare la prima azienda bio-logica italiana. La nostra, quella di Roma, èsorta nel 2003 come associazione culturaleper diventare poi cooperativa che eroga fi-nanziamenti nel 2005». Ciò che differenziala finanza etica da quella tradizionale è unaquestione fondamentalmente di cultura.«Noi preferiamo relazionarci con chi operacon fini sociali e di protezione dell’am-biente. Le persone che si riuniscono attornoa progetti come questi vogliono poter indi-rizzare il proprio denaro». Ma quanto cre-dito può essere elargito a chi si rivolge a una

Mag? «A noi – continua Cimini - si rivol-gono le realtà più piccole, solitamente nonriconosciute dal sistema bancario cosid-detto tradizionale, alle quali in linea gene-rale non eroghiamo finanziamenti oltre i20.000 euro, per mantenere un giusto equi-librio tra i singoli prestiti e il capitale di cuidisponiamo. Ad oggi abbiamo finanziato 16progetti, 5 sono invece quelli in fase diistruttoria. Nessuno ha finora incontratodifficoltà». I numeri emersi dalla ricercaRitmi sembrerebbero suggerire che la crisistia spingendo verso un maggiore ricorso aquesto sistema. Banca Etica - l’unico isti-tuto creditizio ispirato ai principi della fi-nanza etica - nel 2009 ha erogato 143microcrediti socio-assistenziali per un im-porto complessivo di 619mila euro e 24 mi-crocrediti imprenditoriali per un importocomplessivo di 306mila euro. «Se nonaltro – azzarda Cimini - è probabile che lacrisi spinga a riflettere meglio su cosa si-gnifichi un corretto uso del denaro, oggiindiscutibilmente distorto».

Muhammad Yunus nasce nel 1940 in una cittadina del Bangladesh. Silaurea in economia nel suo paese e consegue il dottorato negli StatiUniti. Decide però di tornare in patria. Nel 1974 è a capo del programmaeconomico rurale dell’università di Chittagong. Con i suoi studenti visitale zone più povere del Bangladesh, colpite da una devastante carestia.Yunus inizia una prima embrionale forma di microcredito dopo aver co-nosciuto la condizione delle donne che si dedicavano alla realizzazionedi cesti. Fino ad allora queste vivevano in una sorta di schiavitù, acqui-stando a credito la materia prima da un commerciante al quale riven-dono i prodotti finiti per pochi centesimi oppure tirando avanti conl’“aiuto” degli usurai. Da qui l’intuizione di Yunus e l’idea di concedereun piccolo prestito in grado di aumentare la produzione, realizzandofinalmente dei profitti e riuscendo anche a restituire il denaro avutocome finanziamento per l’attività. Ed è così che nasce la GrameenBank, una banca davvero particolare, anche per quanto riguarda lasua struttura: essa è infatti quasi per intero di proprietà degli stessiclienti finanziati, per lo più donne. La restante parte appartiene al Go-verno del Bangladesh.Nel 2006 Muhammad Yunus viene insignito del Nobel per la pace, conla seguente motivazione: “per l’impegno nel creare sviluppo sociale edeconomico partendo dal basso. La pace duratura non può essere rea-lizzata se ampi gruppi di popolazione non trovano il modo per usciredalla povertà. Il microcredito è uno dei modi. Lo sviluppo dal bassoserve anche a promuovere la democrazia e i diritti umani. Il microcreditosi è dimostrato una forza liberatrice in società dove le donne in partico-lare devono lottare contro condizioni economiche e sociali repressive". Per chi volesse approfondire suggeriamo la lettura di Si può fare! Comeil business sociale può creare un capitalismo più umano, ultimo librodel “banchiere dei poveri”, definizione con cui Yunus è ormai conosciutoin tutto il mondo e che dava il titolo alla sua prima pubblicazione.

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SOCIETÀDi S. N.

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LA STORIA

Andrea Calzolari è un giovane spezzino checome molti dei suoi colleghi laureati in Eco-nomia ha iniziato a lavorare in banca negliuffici che concedono crediti alle aziende.Fino a quando nel 2005 ha frequentato unmaster a Parma in Finanza per lo Sviluppocon particolare attenzione al microcredito,che prevedeva la possibilità di andare 3mesi all’estero in stage. Sceglie l’Ecuador esi prende l’aspettativa dal lavoro (con leconseguenze che immaginiamo nel breveperiodo in cui torna al suo precedentementeimpiego). «Mi sono avvicinato al microcredito – cispiega - con l’occhio di chi lavorava già nellafinanza, ma a Nord dell’equatore, dove ilcredito ha un valore ben diverso rispetto aiPaesi in via di sviluppo Ho compreso che ilil credito dovrebbe essere un diritto fonda-mentale dell’uomo soprattutto per la mag-gioranza che vive nei Paesi poveri ed ètagliata fuori dalla possibilità di ottenerequalsiasi minimo sostegno finanziario.Anche da noi la situazione è cambiata negliultimi anni, in questo momento di crisi so-prattutto, le banche difficilmente conce-dono prestiti: per esse le garanzie devonoessere sempre maggiori e corrispondere avalori reali (la casa, un terreno, la firma diun parente) e contano più del valore delleidee, ma comunque la maggior parte dellepersone può rivolgersi ad esse e e riceveredenaro. In altri paesi poveri è molto diverso.Ma come funziona il microcredito alle po-polazioni nei Paesi in via di sviluppo? «Sulla conoscenza della persona: non ti basipiù sulle garanzie che ti possono dare,anche perché difficilmente nelle zone piùpovere dell'Ecuador hanno qualcosa da of-frirti. L’unica garanzia è appunto la cono-scenza della persona: si inizia con uncredito basso, ad esempio 50 dollari, chedovranno essere rimborsarti in 3-4 mesi epoi eventualmente si concedono 70 dollarie poi ancora 90 sino a raggiungere neltempo la somma che possa essere suffi-ciente ad aumentare almeno in piccolaparte il reddito della persona Posso raccon-tare la storia di una signora che lavoravaspennando i polli acquistati al mercato pervenderli alle botteghe di strada o ai risto-rantini della periferia di Quito. Voleva com-prare un frigo così non avrebbe dovuto piùspostarsi tutti i giorni per andare al mercatoe avrebbe risparmiato notevolmente sulprezzo dell’autobus. Le serviva il valore delfrigo che in quel momento non aveva. Eradisponibile a mettere in garanzia qualcosa(la sua tv e il suo piccolo apparecchio dvd)e li ha venduti. Ma tutto si è svolto in modoinformale. Non ci ha dato un documentodove risultasse quanto stava guadagnando,si è basato tutto sulla fiducia e la capacità diconoscere la persona e la sua storia. Allafine ha ottenuto il credito per il frigo e haaumentato un pochino il suo reddito».

È vero che restituiscono quasi tutti?«Beh, non è proprio così. Lo era di più al-l’inizio. Oggi, specie nelle grandi città di al-cuni Paesi si sono creati volumi di offerta dicredito enormi e la gente si è sovraindebi-tata: si sollecita un credito e poi un secondoper estinguere il primo e via di seguito.Nelle campagne invece non è ancora così, lìnon ci va nessuno perché c’è un costo per iltrasporto che non tutte le organizzazioniche prestano sono disponibili a sostenere.Invece in città la gente sta facendo più faticaad estinguere il debito perché ci sono troppeorganizzazioni, troppa offerta. Bisogna dareil giusto, non esagerare. A volte, come danoi, c’è questa spinta a dare troppo e poi ar-rivano le conseguenze negative. È successoin Bolivia, in Ecuador, in Nicaragua. Questoperché il microcredito è diventato un affareper i Paesi occidentali che hanno creatofondi di investimento ad hoc: ci sono istitu-zioni europee o americane che prestanosoldi alle organizzazioni, queste poi ecce-dono nel concedere finanziamenti dandoalle persone che ne fanno richiesta magarianche il doppio di quanto occorrerebbe dav-vero loro con le inevitabili conseguenze. Ilmicrocredito deve invece rimanere un rap-porto con la persona. Si deve lavorare affin-ché si creino le basi perché questa possacamminare da sola. Bisogna più che altrofarla diventare capace di risparmiare, deveesserci dietro un lavoro di formazione». Un esempio?«Posso ricordare un progetto ideato daun’organizzazione che si svolgeva lontanodalle città. Dovevamo andare con la barcasu un fiume al confine tra Colombia edEcuador per raggiungere uno sperduto vil-laggio di pescatori; lo scopo non era portaresoldi, ma creare piccole banche di villaggio.Si insegnava loro a gestire una piccola con-tabilità a fare le assemblee a creare un'or-ganizzazione e a formare le persone. Lepersone mettevano 2 dollari come investi-mento iniziale e poi un contributo mensiledi un dollaro, quindi, si cominciava a pre-stare questo capitale via via accumulato.

Lo prestavano tra loro, perché anche in unvillaggio di pescatori hanno i loro bisogni,magari per comprare dei quaderni ai figli. Inquesto caso si è fatta della formazione, invecedei soldi abbiamo portato un servizio. Questebanche di villaggio in alcune realtà sono di-ventate attività di enorme rilevanza sociale». Oggi Andrea ha lasciato definitivamente ilsuo lavoro da impiegato che eroga crediti“normali” e lavora con il nostro ministerodegli Affari esteri per aiutare i senegalesi chehanno perso lavoro in Italia, finanziando lepiccole attività che aprono nel loro Paese. A chi gli chiede qual è la differenza princi-pale tra la finanza cui siamo abituati e il mi-crocredito, risponde che quest’ultimo metteal centro l’uomo come persona e non i suoidocumenti. Al posto della firma, vengonoapposti spesso uno scarabocchio o un’im-pronta digitale perché sono in molti a nonsaper scrivere; il credito invece da noi è unacosa supertecnologica che non può far ameno del computer. In Ecuador contaval’incontro con la persona, vederla in faccia,conoscere la sua storia e la sua famiglia,senza passare da informazioni digitali, ga-ranzie, bilanci. A volte si è sentito rispon-dere dalle persone che non sapevano in chegiorno fossero nate. «Ma nella logica delmicrocredito – ci ha spiegato - conta soloquello che sai fare ed chi eroga il creditoche deve fare lo sforzo per farsi capire,parlare nella loro lingua magari un dia-letto parlato da pochi. Il che vuol dire adesempio che in Ecuador non basterà saperparlare lo spagnolo, ma occorre conoscereil quechua. Ma soprattutto si deve com-prendere come ragionano, la loro menta-lità. Per fare un esempio: se chiedi neivillaggi perché non pescano di più diquello che è sufficiente, ti senti rispon-dere: “perché a noi basta questo, oltre de-terioreremmo solo l’ambiente”». Allora forse, non è solo il nostro mondo adover insegnare loro a pescare, come recitail famoso detto, anche noi abbiamo qual-cosa da imparare e, a dirla tutta, qualchedebito con loro lo abbiamo anche noi.

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DIABETE

Il diabete è un insieme di disordini me-tabolici caratterizzati dalla presenza diuna elevata quantità di zuccheri nel

sangue, condizione che viene definita iper-glicemia.I “disordini” che determinano questa ma-lattia derivano da una disfunzione della se-crezione di insulina (ormone prodottonormalmente dal nostro pancreas per ri-durre i livelli di zucchero circolante nel san-gue), nell’ azione dell’ insulina, o da unacombinazione di entrambi i casi.Esistono 2 grandi categorie in cui rientra lamaggior parte dei casi di diabete:Il diabete di tipo 1 è causato dall’ assolutacarenza di secrezione insulinica dovuta alladistruzione autoimmune delle cellule β delpancreas; per questa categoria di pazienti laterapia consigliata consiste nella sommini-strazione di insulina. Di solito insorge giànell’ infanzia e si manifesta con un aumentodella sete e dell’ urina, un calo del peso,mo-tivi che spingono i genitori a recarsi dal pe-diatra per una diagnosi precoce. Il diabete di tipo 2 comprende la maggio-ranza dei diabetici e la causa è da imputareal sovrappeso, che induce un malfunziona-mento dell’ azione dell’ insulina sui recettori(insulino-resistenza), e ad una inadeguatasecrezione di insulina. Nel diabete di tipo 2un certo livello di iperglicemia può causaremodifiche patologiche e funzionali senza lacomparsa di sintomi clinici per un lungo pe-riodo prima che la patologia venga diagno-sticata e prima che il paziente si “convinca”di avere il diabete. La terapia consigliataconsiste in una dieta appropriata associataad una corretta attività fisica che può pre-vedere un trattamento farmacologico e/o lasomministrazione di insulina se necessario.

La malattia del secolo

SCIENZADi Chiara Venditti

1. Inizia la giornata con una colazione completa: latte con 3 cucchiai dicereali integrali oppure 3 fette biscottate oppure 30 gr di pane.2. Fai uno spuntino a metà mattina e metà pomeriggio con un frutto,oppure uno yogurt magro, oppure una spremuta.3. A pranzo e cena scegli di mangiare il pane o la pasta nelle quantitàconsigliate dal diabetologo, un secondo piatto ed un’ abbondante por-zione di verdura (le fibre riducono le glicemie!)4. Condisci sempre con olio a crudo, cucina alla piastra, al forno oppurebollendo i cibi 5. Non utilizzare lo zucchero! 6. Non mangiare i dolci… (anche chi non è diabetico dovrebbe evitarlima , se capita, è preferibile mangiarli dopo un pasto completo e riccodi fibre)7. Limita il consumo di vino (1 bicchiere al giorno)8. Bevi almeno 1,5- 2 litri di acqua al giorno 9. Misura le tue glicemie prima e 2 ore dopo i pasti come consiglia il tuodiabetologo10. Fai attività fisica almeno 3 volte a settimana o 30 minuti di cammi-nata veloce al giorno

LE DIECI REGOLE DEL DIABETICO

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Curiosità:DIABETE MELLITO: l’ aggettivo “mellito” deriva dal greco μελλος( mellos) che significa “dolce”. Nell’ antichità infatti la diagnosi didiabete avveniva assaggiando le urine che , appunto, avevano unsapore dolce.

Il 14 novembre è la data scelta per celebrare la giornata mon-diale del diabete perché corrisponde al compleanno di F. Bantingche, insieme a C. Best, scoprì l’ insulina.

Tutti i pazienti diabetici possono condurreuna vita normale, attenendosi ai consigli deldiabetologo. E’ importante che il paziente misuri la gli-cemia con l’ apposito strumento fornito dalcentro diabetologico, che segua una dietacorretta, che faccia attività fisica: poche re-gole che migliorano la qualità di vita e pre-servano dallo sviluppo di complicanze comeinfarto del cuore, ictus, retinopatia, nefro-patia, neuropatia, ulcere, impotenza. In-sieme alla terapia è il corretto stile di vita afare la differenza!Il diabete di tipo 2 si può prevenire, perquesto si dedica tanta attenzione alle cam-pagne di sensibilizzazione e di educazionedella popolazione.Ogni anno il 14 novembre in tutto il mondomedici diabetologi, infermieri e volontarisono protagonisti della GIORNATA MON-DIALE DEL DIABETE per incoraggiare laprevenzione, la cura ed il trattamento deldiabete.

IL DIABETE E LO SPORTPer il sinergismo d' azione del lavoro muscolare e dell' insulina l'esercizio fisico è considerato un "pilastro" della terapia del dia-bete. La prima osservazione scientifica in merito risale al 1926 (5anni dopo la scoperta dell' insulina) quando Lawrence, medico in-glese e diabetico, pubblicò sul British Medical Journal un articoloin cui dimostrava su se stesso che una iniezione di 10 unità d'in-sulina pronta produceva un abbassamento glicemico maggiore,e più rapido, se era seguita da un esercizio fisico piuttosto che sesi restava a riposo. Negli anni '70 e '80 poi il miglioramento deglischemi terapeutici ha fatto un po' dimenticare l' importanza tera-peutica dell ' esercizio.Medicina tra le più efficaci, quindi, l' esercizio fisico fa parte apieno titolo della terapia di tutte le forme di diabete e, come tale,i medici dovrebbero prescriverla come si fa con tutti gli altri far-maci non lasciando l' iniziativa al paziente che, il più delle volte,crede che il movimento sia attivà marginale e poco importante.Noi infatti non siamo abituati a considerare lo sport come terapiae prevenzione, e soprattutto a considerare le palestre come luoghidi cura. La sfida per la diabetologia oggi è personalizzare anchequesto aspetto della terapia; il tipo di attività fisica adatto per unapersona con diabete, oppure obesa, è chiaramente diverso perqualità, quantità ed intensità rispetto ad un soggetto sano. L'apetto motivazionale è però il punto più critico: il diabetico segueabbastanza bene le terapie farmacologiche, con più incertezza iconsigli nutrizionali, mentre l' esercizio fisico, proprio perchè con-siderato un consiglio e non una "ricetta", è largamente evaso. Atal riguardo un grande impulso promozionale ed un esempio im-portante lo ha dato l' Associazione Nazionale Italiana Atleti Dia-betici, perchè la pratica dell' esercizio fisico sicuro richiede, oltreall' attitudine e alla motivazione, che il paziente venga addestratoall' autocontrollo e all' autogestione e rappresenta, quindi, ungrande veicolo di educazione terapeutica.

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ARTE&CULTURADi Enza Venditti

L’arte antica deiMURALES

L’arte murale, l' arte di dipingere imuri, è antica quanto l' uomo;basti pensare alle immagini scal-

fite o disegnate dall' uomo delle cavernesulle pareti della propria dimora, immaginia lui care ed essenziali, simboli naturali,scene di caccia, animali, rituali, tutto ciò chepoteva rappresentarne le abitudini o, comediremmo oggi, gli usi e i costumi. E' un lin-guaggio quello signico ancora precedentealla parola, e per questo più istintivo: inquel senso di vita certamente più raccoltoed interiore, mancavano gli oggetti del pro-gresso tecnico, ma non l'espressione di unaesigenza profonda quale è il linguaggio ar-tistico. La pittura delle caverne ebbe vita percinquemila anni, cioè più della nostra storiascritta, fino a diecimila anni fà. In seguito,riscoperta l'importanza di tale comunica-zione espressiva, fu poi spesso adoperatacome arte contestataria, forma di ribellionee di denuncia. Nati proprio da movimenti diprotesta, come libere espressioni creativedella popolazione contro il potere, hanno

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assunto sempre più nel tempo valore este-tico, conservando pur sempre, nei casi mi-gliori, un forte valore sociale. Particolarmente noti quelli di Belfast eDerry nelle Contee dell'Irlanda del Nord chehanno incarnato la lotta del popolo nordir-landese per la propria indipendenza daLondra. Questi murales denotano un altogrado di artisticità ed un elevato contenutosociale e politico, mescolando soggetti tra-dizionali della cultura celtica e tematica discottante attualità. Rappresentano a tutti glieffetti dei dolmen politici attorno ai quali lapopolazione nazionalista nordirlandese siriconosce in una battaglia culturale per ipropri dirittici civili, sociali e politici.Spesso oggi, commissionati da Enti pub-blici, evidenziano l'identità del luogo e di-vengono anche richiamo di TurismoCulturale.Negli ultimi decenni il dipinto murale ha as-sunto una maggiore importanza artistica eviene quindi affidato ad artisti che tuttaviasi immedesimano nello spirito locale, nelle

BIOGRAFIA

ALBERTO SPAZIANINato a Frosinone dove risiedeed opera. Diplomatosi pressol’istituto Leonardo da Vinci fre-quenta la locale Accademia diBelle Arti. Dopo esperienze nelcampo dell’insegnamento edella pubblicita, intraprendecon volonta e decisione la car-riera artistica. A solo dieci annitiene la prima personale di pit-tura ottenendo un lusinghierosuccesso di critica. Una suaopera viene selezionata peruna mostra collettiva a Pa-dova. Con un ben definito pro-

Il Maestro Alberto Spazianidurante la realizzazione del murale

presso la Fondazione Il Giardinodelle Rose Blu

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gramma socio-culturale, impone la sua presenza artistica con unaserie di esposizioni abbinate a manifestazioni atte a potenziare ilfermento culturale sul territorio e valorizzare artisticamente la “sua”provincia. Le sue opere sono in diverse collezioni italiane (Padova,Torino; Roma, Bologna, Genova) ed estere (Londra, Baltimora -USA, Miecow – Polonia, Canada). Allestisce numerose personali atema specifico come, tra le piu importanti, L’uomo e il mare; Lagrande pianta ecologica; L’Uomo al bivio; Arte e ricerca – frammentidi storia; Esodo di popolo ecc. Per approfondire la ricerca su nuovetecniche pittoriche, riferite in particolare a supporti murari e pastecolorate realizzate con prodotti innovativi, conduce un accurato stu-dio sugli affreschi del quattordicesimo e quindicesimo secolo. Perverificarne i risultati decora interamente, interno ed esterno, lachiesa di S. Francesco alla Cervona. Da una proposta dell’ ANPI,progetta e realizza il monumento “Ai Martiri Toscani” posto nel-l’omonima piazza, nei pressi di Viale Mazzini in Frosinone. Decorainteramente, cupola compresa, la cappella del S.S. Sacramento an-nessa alla chiesa di S. Oliva in Castro dei Volsci, raffigurando epi-sodi tratti dal vecchio e dal nuovo Testamento. Esegue inoltre ilrecupero della stazione ferroviaria di Ceccano, attuale sede dell’Associazione Tolerus, decorandone l’intera facciata. Successiva-mente realizza un grande murale all’ingresso della cittadina di Val-lecorsa, per l’anniversario della beatificazione di Maria De Mattias.Nell’ambito dell’iniziativa 8 Arte realizza numerosi murales nelborgo di Porcino, ispirandosi alla poetica di F. Di Audie ed alle tra-dizioni locali. Da vita alla nuova corrente pittorica Spazialismo di-namico con una approfondita ricerca del colore e della luce nellospazio, partendo dal presupposto che la materia non e nello statostatico come ci appare, ma e dinamicamente coinvolta nel movi-mento degli elementi che la compongono. Attualmente e Presidentedell’ Associazione di pittori Centro Intervento Arte Pubblica e Po-polare. Hanno scritto di lui: Vito Riviello, Loredana Rea, Maria Te-resa Valeri, Giancarlo Canepa, Rocco Zani, Enrico Franco,Maurizio Ferrara, Pasquale Giordano, Tania Panetti, EmanuelaCrescenzi, Maria Rita Paglialunga, Massimo Sergio, Agnes Pre-szler, Enza Venditti.

Studio: Via Prefelci, 48

Recapito: Viale Portogallo, 5 - Tel. 0775 291686 - Cell. 333 9239070

SOLIDARIETÀ, LIBERTÀ,INTEGRAZIONE TRA I POPOLISono questi i tre temi che com-pongono la triade in cui il muralee composto e che meglio nonpotevano rappresentare ed inter-pretare il senso e l’operato dellaFondazione Internazionale IlGiardino delle Rose Blu in tuttele sue diverse forme e sfaccetta-ture. Tre temi legati al sociale,ma che condividono il principioprimo della liberta individuale edil rispetto ad essa legato, comepresupposto essenziale ed esi-stenziale per l’incontro con l’altro,con la diversita nel senso piuampio del termine in maniera au-tentica e piena.Opera d’arte veramente contem-poranea per il suo carattere “enplain air” e non solo, e una mo-stra permanente e continua cheabbellisce una zona di Frosinonemolto trafficata e che affianca ilLiceo Scientifico frequentatoquindi quotidianamente da moltiragazzi. Solo una grande sensi-bilita e capace di mettere il pro-prio talento al servizio degli altrisenza “far rumore”, silenziosa-mente, e allora a gran voce rivol-giamo il nostro grazieal maestroAlberto Spaziani, come artistasenz’altro, ma come uomo eamico maggiormente: GRAZIE !

abitudini, nella tradizione, nella storia, nellaproblematica degli abitanti del luogo e siesprimono quali loro mediatori: dipingeretra la gente che osserva e partecipa, sentirliemotivamente ed esprimersi per loro inquella testimonianza che a loro resta, è unaresponsabilità che la sensibilità, che è pro-pria dell'artista, non può non recepire. IMurales divengono così la forma d'arte piùpura, scevra da speculazioni, che va diretta-mente dall'esecutore al fruitore, a tuttisenza distinguerne il livello economico o so-ciale. Sono forme d'arte significative, le piùoneste; rappresentano il momento d'incon-tro dell'artista con altri che operano nellostesso campo, creando così un momento in-teressante e proficuo nello scambio di idee,di esperienze, di tecniche che deve esserenecessariamente privo di quotazioni o gareo premi, che creano invece rivalità, che abo-liscono quindi un sereno confronto; al con-trario si crea tra gli artisti stessi, e tra questie gli osservatori, un colloquio, uno scambiodove viene esaltato il vero senso dell'arte.

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Il 1° Agosto è entrato in vigore il divieto mondiale di bombe a grappolo: questo, stando a quantoha dichiarato Amnesty International, è il più significativo trattato umanitario e di disarmo degliultimi dieci anni. La convenzione vieta questa bombe e obbliga gli stati ad assistere le vittime e abonificare i terreni contaminati dalle munizioni, e sarà vincolante per i Paesi che l' hanno firmatae ratificata.Sauro Scarpelli, che di Amnesty International è il responsabile della campagna sulle armi ha di-chiarato: "Questo trattato è un cruciale passo avanti verso la protezione dei civili, durante e dopoil conflitto, da quest'arma crudele e indiscriminata. Come col trattato che ha vietato le mine an-tiuomo nel 1997, questa convenzione è un vittoria storica per gli organismi della società civile nelmondo e mostra che i governi sono disposti a porre fine alle sofferenze dei civili causate dalle bombea grappolo". Adottata a Dublino il 30 maggio 2008 e aperta alla firma a Oslo nel dicembre dellostesso anno, la Convenzione vieta l'uso, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento delle muni-zioni a grappolo. Fino ad oggi, 107 paesi hanno firmato la Convenzione e 37 l'hanno ratificata. Traquesti anche stati che hanno usato e prodotto munizioni a grappolo, così come i paesi colpiti.Mol-davia e Norvegia hanno distrutto gli ultimi loro stoccaggio di munizioni a grappolo, aggiungendosialla Spagna che vi aveva provveduto lo scorso anno.Quasi una decina di altri stati hanno iniziato la distruzione, compreso il Regno Unito, il più grandeex utilizzatore e produttore di munizioni a grappolo.Amnesty International ha chiesto a tutti i governi, che non hanno ancora firmato il trattato, di farloimmediatamente e di impegnarsi a proteggere i civili dagli effetti mortali di un conflitto armato.

Munizioni a grappolo:entrato in vigore il trattato che ne vieta l' utilizzo

Un'equipe di ricercatori sudafricani ha inventato un dispositivo di potabilizzazione chepotrebbe salvare milioni di vite in tutto il mondo e che è molto simile, per forma e dimen-sioni, ad una comune bustina da tè.Si tratta di un sistema filtrante costituito da una bustina biodegradabile (realizzata innano-fibre) contenente carboni attivi in granuli e da un sacchetto foderato al suo internoda una pellicola di biocidi in grado di eliminare agenti patogeni e microbi presenti nel-l’acqua. L’innovativo sistema filtrante può essere sistemato sul collo di qualsiasi bottigliaed è in grado di potabilizzare immediatamente un litro di acqua, anche molto sporca.Ildispositivo filtrante presenta qualche limite, ma i vantaggi superano di gran lunga gli svan-taggi. Un lato negativo sta nel fatto che la bustina non è in grado di potabilizzare acquache presenti livelli elevati di ferro, alluminio e acido (come l’acqua minerale acida) o acquacontenente petrolio, né di desalinizzare l’acqua marina. Un altro limite è che, dopo averfiltrato un litro di acqua, la bustina va gettata, creando così il problema dello smaltimentodi rifiuti contenenti biocidi, cosa che preoccupa la comunità scientifica. Tra i vantaggi sisegnalano senz’altro il basso costo, la facilità con cui può raggiungere qualsiasi zona del

pianeta e l’estrema semplicità d’uso. Soprattutto in caso di emergenze o calamità naturali queste caratteristiche non sono da sotto-valutare. La distribuzione di acqua potabile alle popolazioni colpite da terremoti o catastrofi diventa una necessità vitale. la bustinafiltrante è molto più di una speranza per tutti gli abitanti del pianeta e per i circa 680 milioni di africani che non hanno accesso al-l’acqua potabile. ll Water Institute dell’Università di Stellenbosch e il progetto della bustina filtrante, progetto coordinato da EugeneCloete, fanno parte del più ampio HOPE Project, un insieme di piani di sviluppo finalizzati a migliorare le condizioni di vita del SudAfrica e di tutto il continente. Attualmente, il dispositivo potabilizzante è in fase di test presso il South African Bureau of Standards,ma il progetto è quasi completato, tanto che la produzione e la relativa commercializzazione della bustina potrebbero partire giàentro la fine dell’anno.

Sud Africa.Arriva la bustina che potabilizza l' acqua

BUONE NOTIZIEDi Redazione

TABACCHI riv. 41di Zangrilli Silvana, V.le Europa 23 - 03100 frosinone

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