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LEADING INNOVATION Una mappa per l’innovazione aziendale nel Sistema Moda Italia Dicembre 2011 promosso da e realizzato da in collaborazione con nanziato da

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LEADING INNOVATION Una mappa per l’innovazione aziendale nel Sistema Moda Italia Dicembre 2011

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LEADING INNOVATIONUna mappa per l’innovazione aziendale

nel Sistema Moda Italia

Dicembre 2011

promosso da

e

realizzato da in collaborazione con!nanziato da

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LEADING INNOVATIONUna mappa per l’innovazione aziendale

nel Sistema Moda Italia

Dicembre 2011

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INDICE"

Introduzione e Premessa Metodologica - p. 7

1. Il movente: i fattori scatenanti il processo in-novativo - p. 17

2. L’abilità: i tratti individuali necessari nei pro-cessi innovativi - p. 20

3. L’opportunità: la cultura all’innovazione azien-dale - p. 25

4. La realizzazione: la struttura dell’innovazione, da un modello a intelligenza accentrata ad un modello a intelligenza distribuita - p. 30

5. La comunicazione: circuiti dinamici di attiva-zione del sapere - p. 33

6. Output e Traiettorie future - p. 40

Sintesi del percorso - p. 62

1FATTORI

SCATENANTI

TRATTI INDIVIDUALI

OUTPUT

CONDIZIONI AMBIENTALI

STRUTTURA ORGANIZZATIVA

2

34

5

6COMUNICAZIONE

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INTRODUZIONE E PREMESSA METODOLOGICA

Che cosa?

Per orientarsi in questa fase di cambiamento radi-cale, la ricerca in questione si propone di sistema-tizzare i fattori più signi!cativi relativi l’innovazione aziendale nel Sistema Moda Italia piuttosto che aggiungere nuovi tasselli a un mosaico già estre-mamente complesso. La tipologia di domande che la ricerca ha cercato di dare una risposta sono le seguenti: “Quanto è importante l’innovazione per le aziende intervistate? Quali energie/strumenti/risorse sono destinati per stimolarla? Quali fattori incidono maggiormente per lo sviluppo/inibizione dell’innovazione? Quali sono i tratti individuali che stimolano la creatività e l’innovazione dell’organiz-zazione? … I dati emersi aspirano a rappresenta-re un bacino di conoscenza, ricco di associazio-ni che, opportunamente elaborate e ristrutturate, possono essere fonti d’ispirazioni per le persone che si trovano a vivere e decidere in merito a que-sto tema.

Chi?

Si è deciso di indagare il tema coinvolgendo 10 aziende circa in una ricerca sul campo. Non sono state individuate restrizioni eccessivamente rigide per il loro reperimento (quali ad esempio fatturato, dimensione, numero di brevetti...). La principale variabile per l’individuazione delle aziende coin-volte è stato selezionare organizzazioni che siano riconosciute dal Sistema Moda Italia e da Soges per essere caratterizzate da un approccio consa-pevole e proattivo verso l’innovazione (che signi!-ca in sostanza adottare leve e strumenti positivi per stimolarla). Tali aziende hanno nel tempo sviluppa-to una sensibilità verso il tema che si concretizza, inoltre, nella partecipazione attiva e continuativa a

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corsi formativi ed iniziative legate all’innovazione organizzate dagli stessi attori. Tali aziende sono organizzazioni, nella maggior parte dei casi di pic-cole-medie dimensioni, che operano nel territorio italiano. Si tratta di realtà caratterizzate da una for-te etereogeneità tecnologica ed organizzativa, ma i punti di contatto sotto il pro!lo dell’innovazione sono numerosi. E’ possibile infatti affermare che la maturità del settore e l’appartenenza alla !liera del tessile-moda genera molteplici problemi comuni (quali ad esempio dif!coltà di differenziazione, le innovazioni di processo diventano progressiva-mente patrimonio di molti e quindi risulta dif!cile mantenere una posizione di vantaggio investendo nella tecnologia, oppure leadership di costo sem-pre più dif!cile). Anche rispetto al tema sotto in-dagine è possibile individuare dei fattori ricorrenti, dei denominatori comuni, la cui condivisione può essere senza dubbio fruttuosa.

Metodologia ComplessivaCome?

La metodologia utilizzata ha previsto quattro fasi di ricerca:

1. Ricerca desk di preparazione al tema per la fo-calizzazione delle ipotesi di ricerca;

2. La conduzione di 1 workshop analitico-crea-tivo;

3. Lo svolgimento di n. 11 interviste qualitative individuali;

La ricerca ha avuto luogo dal mese di apri-le al mese di luglio 2011. Nello specifico la prima fase si è sviluppata nel mese di aprile-maggio-giugno, la sessione è avvenuta il 4 lu-glio, mentre le interviste qualitative sono state svolte in parallelo nei mesi di giugno e luglio.

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Metodologia del Workshop analitico-creativo

La sessione presso The Hub di Milano.

Si è scelta una metodologia qualitativa che integra tecniche cognitive linguistiche con tecniche che derivano dalla ricerca per il design al !ne di indivi-duare le percezioni, le opinioni, i comportamenti, gli atteggiamenti e gli immaginari delle aziende ed individui coinvolti sul tema dell’innovazione. Le di-verse tecniche hanno permesso la visualizzazione e la condivisione delle idee generate. La visualiz-zazione agevola la partecipazione e #uidi!ca i pro-cessi di condivisione e discussione sulle idee.

Il reperimento degli intervistati (n. 10 persone tra cui dirigenti, direttori, amministratori delegati) è avvenuto tramite contatti diretti del Sistema Moda Italia e di Soges con l’obiettivo di garantire il ri-spetto delle variabili della ricerca. Tutti questi fat-tori sono comunque da considerarsi sempre all’in-terno di un ambito di ricerca esplorativa e quindi senza alcuna pretesa di rappresentatività statisti-ca.

La struttura delle sessioni è stata organizzata secondo le seguenti tecniche:

1. Carte creative di presentazione dei parteci-panti

2. Mappa cognitiva con “innovazione” come pa-rola stimolo

3. Questionario qualitativo individuale4. Descrizione di un caso d’innovazione della

loro azienda e posizionamento del caso nella matrice “innovazione distribuzione/accentrata e innovazione per l’azienda/per il mercato”

5. Collage rispetto al tema in oggetto6. Business Model Canvas7. Discussione !nale.

Di seguito sono sinteticamente descritti gli obiettivi ed i funzionamenti delle tecniche meno conosciute.

1. Le carte magiche

Questa tecnica si rifà agli archetipi dell’inconscio collettivo, proposti da Jung (1934) ed utilizza un mazzo di carte simile a quello delle carte da gio-co, con la fondamentale differenza che al posto delle tradizionali !gure ritroviamo dei simboli atti a stimolare l’immaginazione delle persone. Ai quat-

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tro ben noti semi corrispondono funzioni e sim-boli speci!ci. In questo studio l’obiettivo era far presentare i partecipanti in modo che capissero la !loso!a dell’incontro, ovvero un momento infor-male in cui l’obiettivo è stimolare punti di vista di-versi. La tecnica delle carte magiche ha permesso di rompere il ghiaccio mostrando come ogni idea proposta è ben accetta e la visione divergente è incoraggiata.

2. La Mappa Cognitiva

Alla base di questa tecnica vi è il modello della rete

con un basso impatto ambiental e

Sostenebilità

Risparmio acqua

Catena

Usabile -Percepibile

Innovazione diProcesso Sviluppo positivo

per il sistema

Output

Cambiare il senso

delle cose

Paura del cambiament o

Vedere con altri occhi

Reinterpretare

Passatoreinterpretato

Mettere insiemecose diverse

ComporreCercar e

Essere alpasso

Adeguarsi adesigenze esterne

Studio comportament odel consumatore

Trend nuovi

Internet / cellulare /elettrodomestici

Catena di innovazion e

Tempo libero / Lavor o

Esplorare altri settori

Paura del Nuovo

Paura diimparare

Nuovo

Probabilità di insuccesso

Abitudini Automatism i

Insicurezza

Cooperazione

Attitudineindividuale

FaticosoFlessibilit à

ResistenzeProcessoindividuale

Elementi diinnesco

Innovazione

Qualcosa che non c’ è

Cambiamentoradicale

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semantica. La tecnica consiste nella costruzione di associazioni verbali libere partendo dalla paro-la stimolo rappresentante il tema della sessione, in questo caso “innovazione”. In sintesi, questo esercizio ha lo scopo di fornire una visione del-le aree semantiche più signi!cative collegate dal gruppo al tema dell’innovazione.

3. Il questionario individuale

Esso ha previsto lo sviluppo di alcuni fattori (indi-viduali ed organizzativi) partendo da un caso spe-ci!co vissuto dal partecipante. Si rimanda all’alle-gato per la visione del questionario.

4. Innovation Matrix

Si è chiesto di posizionare il caso sviluppato nel questionario individuale all’interno della matrice “innovazione distribuzione/accentrata e innova-zione per l’azienda/per il mercato che ha generato una discussione collettiva.

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5. La tecnica dei ritratti-collage

La tecnica dei ritratti-collage permette di otte-nere un’evocazione cognitiva-emotiva degli ele-menti che i membri del gruppo considerano più negativi e di quelli che invece reputano positi-vi, attraverso un’esposizione verbale e visiva, ad esempio, come in questo studio per mezzo di un collage. L’obiettivo è facilitare la genera-zione di idee e la discussione attraverso i lavori prodotti che veicolano atteggiamenti, immagi-nari profondi in relazione al problema studiato.

6.!!Business Model Canvas

ll"Business Model Canvas di Osterwalder[1] appli-ca le design techniques ai modelli di business. In questa ricerca ci siamo serviti di una “tela”, suddi-visa nelle diverse componenti del business model, come piattaforma visiva e interattiva impiegata per innovare gli elementi e le relazioni tra questi. A tal proposito Osterwalder de!nisce la struttura di business model come risultante delle seguenti componenti: i partner (key partnership), le attività-chiave (key activities), le risorse (key resources), le relazioni con i clienti (customer relationship), i mercati (customer segments), i canali distributivi (channel), la struttura dei costi e dei ricavi (costs e revenues) e la value proposition come elemento centrale. La strutturazione del business model avviene at-traverso l’apposizione di due categorie di post-it relative all’innovazione: la prima relativa alle aree ritenute attualmente più cruciali, per concentrarsi successivamente su quelle componenti che pos-sono rappresentare delle “traiettorie future”.

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7. Discussione finale

La discussione !nale ha permesso di convergere su alcuni aspetti ritenuti più signi!cativi.

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“A parità di risorse si fanno più cose, o si fanno le stesse con meno risorse. Una vera inno-vazione rappresenta sempre uno sviluppo positivo per il

sistema”

Tiziana Musa - GIF + A&F

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Di che cosa stiamo parlando?Di seguito proponiamo alcune defini-zioni generate dai partecipanti nelle diverse fasi della ricerca:

“Una grande innovazione ha una ricaduta sull’esperienza d’uso, sulle abitudini dei consumatori” Pier Francesco Martigli - Picci

“Un cambiamento radicale nelle modalità produttive e nelle caratte-ristiche del prodotto” Franco Ghirin-ghelli - Ghiringhelli

“L’innovazione è una discontinuità nel sapere, e nel saper fare”

Tiziana Musa - GIR A&F

“Idee creative che permettono di “creare” qual-cosa che possa attrarre il mercato del tessile con qualcosa di nuovo, di mai visto. Dare un diverso senso alle cose, deve essere un innovazione per il consumatore”

Cristina Polini - Branded Apparel Italia

“L’innovazione è spesso rivedere in una maniera nuova le cose note”

Silvia Costa - Zucchi

“Un nuovo prodotto, mai proposto al mercato. Un prodotto veramente innovativo è un mix tra una nuova tecnologia produttiva ed una nuova presentazione o utilizzo del prodot-to” Luigi Magnaghi - Zucchi

“l’innovazione deve avere una riper-cussione sul consumatore”

Dino di Gennaro - GIR A&F

“L’innovazione è Ricerca, sviluppo e potenziamento. La leva è la richie-sta dal mercato”

Alice - Loro Piana

“Creare una nuova linea in un nuo-vo settore, ad esempio Loro Piana innova creando una linea di arreda-mento”

Paola Molino - Loro Piana

Di seguito si presentano i dati emer-si nelle diverse fasi del lavoro, cate-gorizzati in quella che intende essere una mappa di viaggio per l’innovazio-ne aziendale.

“Necessity is the mother of innovation” Esopo

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Intelligenza rispettosa

INNOVAZIONE

autonomia

1

2

34

5

6OUTPUT

Innovazione responsabile

Disruptive Innovation

People Innovation

Innovazione incrementale

Innovazione-novità

Innovazionesistemica

Il sistema competititvo

ILMOVENTE

Richieste market pull

Naturale evoluzione

DNA dell’impresa

Crisi

L’ABILITA’

Strutture di pensiero

Motivazione

Perseveranza davanti agli ostacoli

Capacità di comunicare

Capacità analitica

Capacità combinatorie

Capacità di osservazione

Apertura mentale

Resistenze e barriere

all’innovazione

L’OPPORTUNITA’

Strutture pesanti

permeabilità verso

l’esterno

logica dell’errore

valorizzazione della differenzaLA

REALIZZAZIONE

innovazione centralizzata

edecentralizzata

COMUNICAZIONE

il Sistema di Management

delle idee

Traiettorie per il futuro

dialoghi strutturati

e non

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Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.17

Il Movente I fattori scatenanti il processo innovativo

E’ possibile sinteticamente sistematizzare i fatto-ri che appaiono essere le principali leve dei pro-cessi innovativi. Dalla ricerca emergono diverse dimensioni, da quelle legate alle nuove normative ambientali, all’adozione di tecnologie imposte dai fornitori. Le categorie emerse però con maggiore forza sono le seguenti:

1. Richieste market pull: Dai bisogni dell’utilizzatore/cliente

Nonostante nel workshop non emergano casi di adozione di approcci di user innovation, ovvero dell’innovazione generata direttamente dall’utiliz-zatore !nale, il cliente/consumatore senza dubbio può rappresentare il fattore cruciale di innesco del processo innovativo. E’ la tipica dinamica de-nominata in letteratura aziendale di market pull. L’azienda progetta una nuova offerta in grado di soddisfare un bisogno espresso, ma soprattutto latente.

“Idee che permettono di “creare” qualcosa di nuo-vo, di mai visto. Significa dare un diverso senso alle cose. L’innovazione deve essere percepita dal consumatore, essa è una risposta ad un suo biso-gno” Cristina Polini - Branded Apparel Italy. Lo stesso approccio sembra essere abbracciato da aziende quali Loro Piana.“Ricerca, sviluppo e potenziamento. La leva è la richiesta dal mercato” Alice - Loro Piana. “Il legame di collaborazione che si instaurava con i consumatori prima era un atto più formale che altro, ora, invece, diventa strategico” Franco Ghi-ringhelli - Ghiringhelli.

1Il sistema

competititvo

Crisi

DNA dell’impresa

Naturale evoluzione

Richieste market pull

1IL

MOVENTE

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2.!Il sistema competititvo

Con la saturazione del mercato occorre accelerare il cambiamento attraverso un’innovazione tecno-logica, di processo o di prodotto. A parità di altre condizioni l’impresa che riesce ad innovare più rapidamente degli avversari bene!cia di vantaggi signi!cativi. “Le aziende produttrici sono troppe. Adesso ci ri-vogiamo ad un mercato sempre più piccolo. Devi guardare avanti, inventarti sempre qualcosa di nuovo” Pier Francesco Martigli - Picci.

3. Crisi, drammi e condizioni di perturbazione

Le crisi, pur essendo un elemento negativo, con-tengono in sé diversi aspetti positivi legati all’in-novazione. Nessuno pensa di cambiare ciò che funziona bene. Per una vera spinta verso il cam-biamento drammi, crisi, catastro! interni o esterni all’azienda possono essere triggers per la crea-zione di un nuovo ordine. Quando si affronta una grande dif!coltà, una situazione fortemente im-prevista, spesso si sprigionano energie che sono sovente la base per costruire un forte successo futuro; l’esistente, quando è rappresentato dal successo è un forte fattore di inibizione dell’in-novazione. L’evento che provoca dramma e, poi, cambiamento e innovazione segna un’importante discontinuità nella storia dell’organizzazione. Esso può avere avere origine ora interna, ma dalla ri-cerca emerge che quella più vissuta è esterna. In generale le variabili proposte possono essere di natura personale (ad esempio: la morte del fon-datore) oppure legale o societaria (ad esempio: un passaggio di proprietà) o microeconomica (ad

esempio: l’adozione di una strategia di diversi!ca-zione della produzione dopo anni di crescita in un solo settore); o, in!ne macroambientale (ad esem-pio: il quadro socio-istituzionale esterno cambia improvvisamente, sollecitando forti mutamenti all’interno delle imprese). Tali eventi possono ave-re manifestazioni improvvise o non prevedibili, implicando rapide scelte di adattamento. “Le crisi possono essere un motore d’innovazione, soprat-tutto per le aziende solide” Pier Francesco Martigli - Picci. E’ anche vero, però che “Nei momenti di crisi l’innovazione è quella che aiuta a sopravvivere però essa necessita anche di investimenti che non sempre sono disponibili nei momenti di crisi” Mau-rizio Zucchi - Zucchi.È la creatività che a me viene solo quando sono con le spalle al muro. Vasco Rossi (cantantautore)

4. DNA dell’impresa.

“Zucchi è stata la prima a proporre una linea na-turale, non toccata da coloranti negli anni 90, alla base di nuove strategie c’è sempre una visione” Maurizio Zucchi - Zucchi. Dalla ricerca emerge che esistono imprese votate all’innovazione, sovente per mano del proprio fondatore o di top manager che di continuo sono in uno stato di “ricerca del nuovo”."“Sono le genialità di alcune menti dell’a-zienda che continuamente generano innovazione” Tiziana Musi - GIR + A&F. Il “problema dell’inno-vazione” è in diversi casi, infatti, la risultante del riconoscimento di uno stato di insoddisfazione. Tale stato diventa una leva positiva per l’innesco di processi ed approcci proattivi verso l’innovazio-ne. Dalla ricerca emerge l’esistenza di uno stato di squilibrio tra lo stato attuale in cui si trova l’a-zienda ed uno ideale. Tale gap è basato su un di-sagio conoscitivo al quale segue un’attivazione di processi di acquisizione di nuove conoscenze e di

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ricombinazioni con quelle già presenti. Il bisogno di conoscenza (need of knowing) concepito come la coscienza dei limiti della conoscenza preceden-te, delle contraddizioni e lacune dei sistemi già consolidati: in breve come quel con#itto particola-re che genera la ricerca del nuovo. Come avviene per la descrizione di un tratto della personalità o, come si evince dall’estrapolazione dell’intervista individuale che segue, dalla cultura di un popolo, si può parlare di una cultura aziendale per la quale l’innovazione diventa una missione, una perpetua ricerca del nuovo che investe l’intera organizzazio-ne.

5.Naturale evoluzione

Il bisogno di conoscenza, la curiosità e la volon-tà di esplorazione si fondano su una motivazione primaria dell’essere umano, il quale ha bisogno di stimoli e di attività per il proprio funzionamento. Tali caratteristiche sono il nutrimento stesso della nostra mente e sono alla base di una naturale evo-luzione a cui nessuna organizzazione si esime. La naturale evoluzione implica soprattutto migliora-menti incrementali che rendono possibili riduzione dei costi (cost breakdown) e tempi più veloci. La storia dell’evoluzione insegna che l’universo non ha mai smesso di essere creativo o inventivo. "Karl Popper (!losofo).

Da una lettura generale delle diverse fasi e tec-niche dello studio si evince come le innovazioni sistemiche-radicali, approfondite nella parte !na-le del lavoro, si delineano solo in momenti critici della vita aziendale che rappresentano una pos-sibile opportunità che rimane però un’eccezione nella vita aziendale. Esse sono generalmente il

risultato di crisi che mettono in pericolo la posi-zione competitiva aziendale, sottoponendo l’im-presa al rischio dell’esclusione dal campo compe-titivo. Il cambiamento che si veri!ca all’indomani di un “dramma, crisi, evento” spiazza le certezze del governo e management dell’impresa, dando luogo ad una situazione di fatto drammatica per il sistema aziendale. Tale evento induce o obbli-ga a recitare in modo diverso da prima il mestiere dell’imprenditore; a innovare radicalmente fun-zioni, persone, interazioni, meccanismi operativi. L’innovazione emerge quindi da una situazione di necessità, piuttosto che come risultato di un in-cessante processo di elaborazione programmati-ca, che si genera in un laboratorio di idee e attra-verso un consapevole processo di partecipazione ai suoi scopi e ai suoi valori."

>> “Mostratemi un uomo completamente soddisfatto e io vi mos-trerò un fallimento”Thomas Edison (inven-tore)

>> “Chi non si aspetta l’inaspettato, non sco-prirà la verità” Eraclito

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Dalle diverse tecniche si evince quanto il fattore umano possa essere considerato come strategi-co, il più signi!cativo e ricorrente rispetto a tutti gli altri (organizzativi, economici...). I partecipanti hanno descritto quelli che, nella loro esperienza sul campo, sono i tratti individuali che rendono più probabile processi innovativi.

Essi possono essere sintetizzati in due macroca-tegorie:

1. abilità e caratteristiche facilitanti l’innovazione

2. resistenze al cambiamento e all’innovazione"

Abilità e caratteristiche facilitanti l’innovazione

1. Capacità di osservazione

Tale abilità emerge sia come tratto individuale sia come caratteristica più strutturata tipica di un’or-ganizzazione proattiva verso l’innovazione. “E’ necessario avere una visione d’insieme, perché l’innovazione non è inventarsi un I-pad a stagione, ma riconoscere modalità nuove per rispondere a bisogni inespressi” Anna Ricotti - Branded Appa-rel Italy. Non si crea mai niente che non esista già. La “creazione”, in senso poetico come in chimica, è trasformazione - Vinicio Capossela (cantautore).

L’abilità I tratti individuali necessari nei processi creativi2

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2. Apertura mentale

Secondo gli individui coinvolti nella ricerca l’aper-tura verso l’esperienza e la curiosità sono le ca-ratteristiche de!nitorie dell’essere creativi/innova-tivi. Proponiamo alcune sottocategorie che sono il risultato dell’interpretazione ed integrazione delle diverse fasi e tecniche utilizzate rispetto al tratto dell’apertura.

> apertura verso la fantasia: concerne la volontà individuale di esplorare il proprio mondo interno lasciando la mente “libera” nell’esplorazione;

> apertura verso l’estetica: è legata all’attitudine delle persone ad apprezzare e valorizzare una va-rietà di tipologie espressive (arte, cinema, design, letteratura, musica);

> apertura verso i sentimenti: concerne la volon-tà delle persone di accettare le proprie emozioni e quelle degli altri, siano esse positive o negative;

>! apertura verso le azioni: implica una volontà delle persone di sperimentare nuove attività, nuovi comportamenti;

> apertura verso le idee: implica la curiosità in-tellettuale e la volontà di considerare nuovi punti di vista;

> apertura verso i valori e principii: è legata alla volontà ed alla prontezza a riesaminare i principi ed i valori fondamentali su cui le persone basano il proprio modus vivendi.

3. Capacità combinatorie

Consiste nell’abilità di ride!nire il problema e con-sente di vederlo in un modo nuovo, riuscendo a trarre ispirazione da settori ed aree diverse da quella in cui è inserito. “Spesso per noi l’innova-zione è una conseguenza di un processo di diverso assemblaggio di componenti esistenti fuori dell’a-zienda” Maurizio Zucchi - Zucchi. L’individuo ac-coglie le informazioni da diverse fonti, le compren-de e le valuta obiettivamente, le combina in modi che abbiano un senso sia per l’autore della sintesi sia per altri. Signi!ca possedere un’ampia cono-scenza epistemica in grado di offrire dei possibili bacini culturali da cui attingere. “E’ necessario ri-baltare il problema per trovare una soluzione nuo-va” Silvia Costa - Zucchi. “Il futuro sarà caratteriz-zato da stili sempre più mescolati, l’individuo dovrà avere la capacità di comporli e noi di proporli. Inol-tre il mondo sarà sempre più caotico, spetterà a noi dargli un ordine” Paola Molino - Loro Piana.

4. Capacità analitica

Essa consiste nella capacità di dare un valore alle idee proposte; signi!ca essere in grado di allocare le risorse in modo ef!ciente. Ed una volta selezio-nate le idee migliori, l’abilità analitica può essere utilizzata per evidenziarne i punti di forza e di de-bolezza da cui possono scaturire dei modi di mi-glioramento.

5. Intelligenza rispettosa

In associazione al tratto individuale di apertura verso le idee ed i punti di vista altrui sopra presen-tato è interessante approfondire il tema emerso

“Creatività è l’abilità di vedere relazioni là dove non ne esistono ancora” Thomas Disch (scrittore e poeta)

È più facile giudicare l’ingegno d’un uomo dalle sue domande che non dalle sue risposte. Pierre Marc Gaston Duc de Lévis (saggista)

Le tre regole di lavoro: 1. Esci dalla confu-sione, trova la sempli-cità 2. Dalla discordia, trova armonia 3. Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole. Albert Ein-stein (fisico)

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con forza della “diversità, di genere, di cultura, di ruolo aziendale e di età...”. Michela Garnero -

Stamperia Serica Italiana: “La diversità di cono-scenze è un fattore cruciale. Le diverse compo-nenti culturali sono per noi strategiche”. Af!nché si valorizzi la diversità è necessario sviluppare quella che Gardner de!nisce “intelligenza rispettosa” che permette di reagire ed accogliere con favore la diversità tra individui e tra gruppi in modo simpa-tetico e costruttivo; si sforza di capire coloro che sono diversi e di lavorare armoniosamente con loro; collabora ef!cacemente con i colleghi, i su-periori, i dipendenti a prescindere dalla loro origine e dal loro status. E’ qualcosa di più della semplice tolleranza e della political correctness. In un mon-do in cui siamo tutti interconnessi, l’intolleranza e l’assenza di rispetto sono opzioni non più conce-pibili.

6. Perseveranza davanti agli ostacoli

Secondo lo studio gli ostacoli possono essere sia esterni, sia generati dall’individuo stesso. La differenza non è in genere legata al fatto che si incontrino più o meno ostacoli, quanto piuttosto nel perseverare o meno verso l’obiettivo pre!s-sato. Il superare ostacoli implica inoltre la volon-tà di assumersi rischi di un certo peso. E’ diffusa infatti la consapevolezza dell’elevata frequenza di fallimento di soluzioni nuove. Poiché le perso-ne più orientate all’innovazione sono coloro che sviluppano concetti convenzionalmente percepiti come negativi o impraticabili, debbono possedere la perseveranza e la determinazione di raggiunge-re l’obiettivo preposto. E’ necessaria insomma la determinazione per la fase di implementazione e sviluppo dell’idea generata.

7. Capacità di comunicare

Un fattore ritenuto cruciale dalle persone coinvolte è quello della comunicazione nei processi innova-tivi. Tale variabile è indispensabile in tutte le fasi e categorie analizzate. Essa diventa uno strumento per condividere, mediare ed organizzare i processi innovativi ma anche per persuadere i gruppi in cui si è inseriti del valore di una proposta generata. Signi!ca sviluppare la capacità di comunicare le proprie soluzioni ad un pubblico, persuadendo gli altri della validità delle idee proposte. “L’inno-vazione necessita un raconto”. Maurizio Zucchi - Zucchi. L’abilità con cui un’idea è “impacchettata” può aumentare o nasconderne la qualità.

8. Motivazione

La “spinta ad innovare” è una dimensione che ca-ratterizza i tratti delle persone maggiormente cre-ative. E’ un fattore che nasce internamente al sog-getto. I soggetti coinvolti nella ricerca descrivono la motivazione interna come quella leva individua-le che può essere sperimentata nelle forme di: in-teresse; coinvolgimento; curiosità; soddisfazione; s!da positiva. Questa categoria di motivazione è legata al piacere nello svolgere una determinata attività, ricavandone una grati!cazione personale. La motivazione che si riferisce invece alla grati-!cazione che deriva da riconoscimenti e premi esterni sarà oggetto di trattazione nel capitolo 3 di questo lavoro. In sintesi però possiamo anticipare che essa può aumentare la motivazione interna se è in grado di consolidare autonomia, responsabi-lità, signi!cato a quello che si sta facendo. E’ ne-cessaria la convinzione di compiere atti densi di signi!cato.

“Creatività significa semplicemente col-legare cose. Quando chiedi a persone crea-tive come hanno fatto qualcosa, si sentono quasi in colpa perché non l’hanno fatto real-mente, hanno solo visto qualcosa e, dopo un po’, tutto gli è sem-brato chiaro. Questo perché sono stati ca-paci di collegare le esperienze vissute e sintetizzarle in nuove cose” Steve Jobs (im-prenditore)

“Vision without execu-tion is hallucination” Thomas Edison

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Resistenze e barriere all’innovazioneEmerge come il problema delle organizzazioni sia rappresentato dal fatto di non poter più ricorrere ad azioni precedentemente consolidate in quanto questo modo di agire non è più ef!cace. Nonostan-te ciò, rimane presente una tendenza individuale di resistenza al cambiamento. La burocratizzazio-ne e la continuità dominano la scena aziendale, se ne invoca il superamento ma queste restano. Per sempli!care, ogni situazione di mutamento induce rottura, destrutturazione, necessità di ricomporre un nuovo ordine e di operare ristrutturazioni. Le ragioni di opposizione al cambiamento sono ge-neralmente riassumibili in due aree principali:> timore dell’incertezza; > tensione richiesta per innovare.

Il maggior ostacolo è, quindi, costituito da aspetti umani ed organizzativi, barriere che rendono pro-blematica non solo l’adozione di comportamenti innovativi, ma anche il riconoscimento di livelli di insuf!cienza conoscitiva dai quali nasce l’innova-zione stessa.

Fattori individuali

Nel workshop vengono più volte riportate frasi ri-correnti in azienda prodotte da persone che sono rappresentate metaforicamente come “statue di granito” e che dichiarano “abbiamo fatto così per talmente tanto tempo, che sappiamo che è così che va fatto”, il cui concetto è associalbile ad un altro emerso, ovvero “quando si è i migliori, è in-dispensabile concentrare i propri sforzi a rimanere ciò che si è”. Tale concetto è alla base del tipico atteggiamento di persone che resistono ai pro-

cessi d’innovazione e generalmente di qualsiasi cambiamento. Sono le persone che individuano nell’esperienza la dimensione lavorativa di mag-gior valore. Nella ricerca viene riportato anche il caso del famoso designer Castiglioni, che adotta-va metodi di lavoro sempre diversi. Per questo gli piaceva ripetere “L’esperienza non da certezza né sicurezza, anzi aumenta la possibilità di errore. E’ meglio ogni volta ricominciare da capo con umiltà perché l’esperienza non rischi di tramutarsi in fur-bizia”.

Vediamo di seguito quali sono i fatto-ri individuali che ricorrono maggior-mente nello studio:

Le tre regole di lavoro: 1. Esci dalla confu-sione, trova la semplic-ità. 2. Dalla discordia, trova armonia. 3. Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole. Albert Ein-stein (fisico)

“Se ho fatto qualche scoperta di valore, ciò è dovuto più ad un’attenzione paziente che a qualsiasi altro talento” Isaac Newton (matematico e fisico)

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Abitudine ed Automatismi

A meno che l’individuo non percepisca un forte bisogno di cambiamento, tenderà a rispondere ad uno stimolo nel modo in cui è abituato, sen-za cercare strade innovative attraverso rischiosi processi creativi. Molte persone vivono l’abitu-dine in modo positivo: esso, per certi importanti aspetti permette, infatti, di affrontare la realtà in modo “automatizzato” e mettere in atto più azioni alla volta. Inoltre, una persona, dopo aver ricevuto un riconoscimento per una sua soluzione ef!cace (ad esempio: una nuova idea), si limita a mettere in atto comportamenti o idee simili a quella che aveva avuto precedentemente successo senza generare ulteriormente forti innovazioni." Perché cambiare se ciò che abbiamo proposto prece-dentemente ha avuto tanto successo? Tuttavia, la tendenza a basarsi su comportamenti abituali può diventare una causa di resistenza al cambiamento.

Paura del “non conosciuto” e di “non” essere in grado

Spesso le persone in un’organizzazione non com-prendono come un cambiamento proposto possa in#uire sulla loro carriera. Ciò causa incertezza, che può essere acuita dalla mancanza di informa-zioni e quindi alla dif!coltà personale di raf!gurarsi eventi futuri. Spesso in azienda si cerca di ridurre l’incertezza sostituendola con la routine. Da qui può nascere una resistenza al cambiamento an-che se essa è invocata. Inoltre, dalla ricerca emer-ge che le risorse umane possono dubitare di pos-sedere le abilità e le competenze necessarie per rispondere adeguatamente alla nuova situazione, procedura o tecnologia.

“E’ dunque questo che chiamano vocazione: la cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo?” Josephine Baker (ballerina, cant-ante e attrice)

“Se creo qualcosa usando il cuore, molto facilmente funzionerà; se invece uso la testa sarà molto difficile.” Marc Chagall (pittore)

“La produzione è diffidente, in quanto sostiene che le novità portino via tempo e aggiungano lavoro. Bisogna “educare” il personale all’innovazione”. Franco Ghiringhelli - Ghiringhelli.

Paura di perdite personali

Se l’individuo percepisce il cambiamento come un fattore in grado di privarlo di qualcosa di im-portante può mettere in atto comportamenti rigidi. Si possono temere la perdita di potere, di status, di guadagno, di bene!t o addirittura del posto di lavoro. E’ necessario condividere la propria conoscenza, e questo avviene quando i gruppi funzionano ef!-cacemente.Alcuni cambiamenti potrebbero minacciare re-lazioni di potere da tempo consolidati all’interno dell’organizzazione. In particolare, l’introduzio-ne di gruppi di lavoro intersettoriali, programmi di sviluppo vari, o un management partecipativo potrebbero essere percepiti come fattori negativi ed intimidatori per il potere di alcuni dirigenti. Tali paure possono rappresentare l’ostacolo maggiore al cambiamento organizzativo. In sintesi possiamo sostenere che la categoria del-la resistenza appartiene generalmente alla classe dei meccanismi di difesa: il massimo della resi-stenza potrebbe così coincidere con atteggiamen-ti distruttivi che si manifestano in a) una tendenza a ritenere che il cambiamento non sia necessario e contraddica un’esperienza storica; b) una tenden-za ad esagerare l’impatto negativo della possibile innovazione; c) una tendenza da parte di individui e gruppi che non subiranno direttamente le conse-guenze del cambiamento a ritenere comunque di doverne patire gli effetti.

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L’opportunità La cultura all’innovazione aziendale

Come può essere favorita l’innova-zione all’interno delle organizzazioni? Quali condizioni la stimolano?

Il problema di generare e ricombinare continua-mente le conoscenze tecnologiche, processuali e di mercato dell’impresa viene ad identi!carsi con la capacità di favorire l’emergere all’interno della struttura – intesa come sistema di processi orga-nizzativi e di dinamiche individuali – di condizioni che facilitano lo sviluppo di nuove idee. In que-sto lavoro riportiamo la de!nizione proposta da Sorrentino per cui l’impresa innovativa è “quella che riesce a generare al proprio interno condizioni strategiche ed organizzative capaci di promuovere ed ottenere lo sviluppo continuo di nuove cono-scenze”. Obiettivo di questa sezione è sviluppa-re le condizioni e le leve all’interno della struttura che sembrano essere favorevoli all’innovazione e invocate dai partecipanti alla ricerca; si riportano inoltre le dimensioni percepite come negative e di ostacolo.

Strutture pesanti, e burocratizzate vs processi orizzontali

Le imprese che operano in settori maturi, in molti casi hanno una storia costituita da “leader” azien-dali che nel tempo hanno apportato il loro con-tributo di idee, ma anche collaboratori e organiz-zazione. Conseguentemente, le strutture sono percepite dai partecipanti appesantite e gerar-chizzate. L’organizzazione gerarchica è costosa e rallenta il processo informativo. E’ necessaria una riprogettazione aziendale tesa ad eliminare le gerarchie ed incentivare l’autogestione e la re-sponsabilizzazione individuale. E’ bene precisare che non basta snellire l’impresa, ma occorre pas-sare dalle “gerarchie verticali” alla de!nizione di “processi orizzontali”. In sostanza, è opportuno riprogettare i sistemi gestionali ampliando le com-petenze delle singole persone e creando gruppi

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responsabilizzati rispetti ai risultati, che coprono trasversalmente le varie funzioni aziendali.

Riduzione della varietà vs valorizzazione della differenza

Le organizzazioni tradizionali, di tipo burocratico, sono tipicamente sistemi di riduzione della varietà: esse prendono tutto ciò che è complesso, dif!cile, incerto e attraverso le proprie norme e i propri pro-grammi lo trasformano in semplice, facile, certo. In questo modo riescono ad agire !ltrando la va-rianza e creando conformità. Si evince, invece, dalla ricerca effettuata, che la valorizzazione della diversità rappresenta una strategia vincente per la stimolazione dell’innovazione. Il processo di in-novazione nasce dallo scontro/incontro dialettico delle diversità: diversi punti di vista, modi di vedere le cose, di leggere i problemi, di dare importanza a ciò che succede cercando di trovare una media-zione, generano delle soluzioni discontinue. Tale incontro non è un processo sempre spontaneo: af-frontare ciò che è diverso può essere un processo “doloroso”. I partecipanti indicano spesso anche il concetto di Serendipity: “In un sistema sociale che costruisce relazioni sulle somiglianze, abbia-mo bisogno di garantirci la possibilità di entrare in contatto con l’inaspettato” . “… La valorizzazione della diversità rappresenta una strategia vincente per la stimolazione dell’innovazione. E’ necessario valorizzare la diversità delle persone, diversità cul-turale, di genere, di ruolo, di esperienza e di idee. Le idee nascono mettendo insieme persone che hanno ruoli, esperienze, ricchezza personale molto diversi tra loro” Silvia Costa - Zucchi.

Ottica dell’ottimo vs logica dell’errore

Dalla ricerca emergono approcci adottati nelle di-

verse aziende, consapevolmente o no, di “stigma-tizzazione dell’errore”, ovvero organizzazioni in cui l’errore è vissuto e fatto vivere come vero “dram-ma” e, esplicitamente o non, punito. Secondo diversi partecipanti, il metodo con cui progredire in situazioni di forte complessità altro non è che l’errore, anzi la continua produzione di errori, di piccoli errori, lievi, ma signi!cativi, che producano segnali riguardo alla via che è possibile seguire. In sostanza, se all’innovazione dell’impresa occor-re una condizione, che è quella dell’autonomia e della libertà, è poi necessario anche un metodo: l’errore. L’evoluzione si alimenta dell’errore, è generata da esso e non potrebbe esprimersi senza la sua pre-senza. La storia evolutiva di qualsiasi organismo e di qualsiasi sistema, a partire da quella dell’uomo, è punteggiata da errori, da false partenze, da ten-tativi non riusciti, da strade percorse e abbando-nate. Un’organizzazione innovativa è disposta ad assu-mersi dei rischi. Tanto maggiore è il grado di ri-schio che l’impresa sa assumere, tanto maggiore è l’innovazione che sa generare. La logica alla base di queste affermazioni è che le idee, come le altre variabili casuali a valori re-ali tendono a seguire la distribuzione gaussiana e formare una curva a campana, dove si ha un pic-colo numero di idee davvero inutili (a destra della curva), un piccolo numero di idee davvero buone (a sinistra) e un gran numero di idee mediocri al centro. Ampliando il numero complessivo di idee si ottengono più idee inutili, ma anche un numero più alto di idee buone.La s!da per le aziende è nella gestione delle idee inutili/dannose, questa è sia una s!da organizza-tiva che richiede tempo e risorse umane al !ne di !ltrare le idee, sia una s!da di atteggiamento nell’essere in grado di “tollerare” idee a volte ap-

“È più facile spezzare un atomo che un pre-giudizio”. Albert Ein-stein (fisico).!

“Always recognize that human individuals are ends, and do not use them as means to your end.” Immanuel Kant

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parentemente ridicole e nella creazione di un’at-mosfera in cui i dipendenti si sentono liberi pro-porre e discutere ogni idea che attraversa la loro mente. Questa seconda s!da non è facile, molti degli intervistati in questa ricerca hanno “confes-sato” di avere idee che non avevano discusso con nessuno in azienda per paura del giudizio o per-ché le idee erano incomplete. Ricercare il valore della quantità quando si parla di idee rientra nei meccanismi del pensiero collettivo, dove l’idea in-completa di una persona può essere completata da un’altra persona. L’azienda può contribuire a creare un’atmosfera in cui le idee vengono condi-vise in una fase molto precoce della loro esistenza e sono più rapidamente !ltrata o sviluppate. Una tale atmosfera è stata espressa da Maurizio Zuc-chi – Zucchi, che sostiene che: “senza un’atmo-sfera di affiatamento che incoraggi la diversità dei punti di vista non ci sarebbe innovazione”.

Controllo vs autonomia

In generale, le prospettive organizzative tradi-zionali percepiscono l’uso ef!cace del controllo come il miglior modo di operare. In questo lavo-ro possiamo evidenziare che gli sforzi !nalizzati all’enfatizzazione del controllo, !niscono per mi-nimizzare la creatività e la partecipazione attiva dei dipendenti. Sono numerose le occasioni in cui sono l’autonomia e la responsabilità ad es-sere invocate come migliori sistemi di incentiva-zione. In settori e mansioni in cui è richiesto un contributo ad alto livello cognitivo-intellettuale i riconoscimenti economici possono essere se non dannosi meno ef!caci rispetto a sistemi che incoraggino l’autonomia. In de!nitiva la migliore forma di motivazione sotto il controllo del mana-gement aziendale è quello di lasciare

“Le persone non sono contrarie al cambia-mento, sono contrarie a cambiare se stesse” Peter Senge.

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripe-tendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e non cam-bia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce” Pablo Neru-da (poeta).

Very bad Ideas

Very good Ideas

Gaussian distribution of good and bad ideas

Num

ber o

f Ide

as

Mediocre Ideas

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autonomia, responsabilizzazione ed accesso alle risorse rispetto all’utilizzo di premi econo-mici."

Focus interno all’azienda vs permea-bilità verso l’esterno

Per realizzare innovazione occorre aprirsi al mon-do, essere curiosi, confrontare di continuo che cosa fanno le aziende concorrenti, e non solo quelle del settore, secondo quel principio che gli americani de!niscono “cross fertilization”. “L’innovazione viene in parte da dentro ma mol-to dall’esterno, quando ci sono dei salti di perfor-mance è generata normalmente da fuori”. Maurizio Zucchi – Zucchi.

La permeabilità si costituisce di due elementi in particolare:> un’elevata flessibilità, ovvero quando la strut-tura si modifica non appena si modifica l’am-biente; > una chiara trasparenza ovvero la circolazio-ne tempestiva e diffusa delle informazioni.

Suggerimenti

L’organizzazione viene vista come un insieme di variabili da manovrare al !ne di generare com-portamenti innovativi-creativi diffusi. Ovvero l’o-biettivo non è l’atto innovativo, ma atteggiamenti e comportamenti innovativi consolidati. I sistemi organizzativi rappresentati “idealmente” dagli in-tervistati dovrebbero tendere a trattare la com-plessità le dif!coltà, l’ambiguità, attraverso l’uso di risposte innovative. Essi infatti non dispongono di un set di regole prede!nite, ma di volta in volta generano le regole con cui trattare le nuove que-

stioni, i nuovi problemi, le nuove situazioni. I pila-stri su cui si basa questo concetto sono:

Forte orientamento comune ovvero i diversi coordinamenti non sono casuali, ma tesi ver-so il raggiungimento di un obiettivo comune.Pressione-tensione: nasce dalla percezione competitiva con organizzazioni esterne oppu-re dal desiderio di raggiungere un determinato obiettivo. la s!da cognitiva che emerge dalla trattazione creativa di un particolare proble-ma acquisisce più o meno forza in funzione dell’importanza attribuita dall’organizzazione.

Management di riferimento: un dirigente deve ser-vire come modello di riferimento, ovvero adottare in prima persona atteggiamenti e comportamenti innovativi. Sii il cambiamento che vuoi vedere av-venire nel mondo. Mahatma Gandhi (Nobel per la pace). La “mera esposizione” a individui creativi stimola la riproduzione degli stessi comportamenti delle persone intorno. Oltre a dare l’esempio, un project management ottimale deve “proteggere” il gruppo da interferenze e distrazioni esterne, deve riuscire a combinare competenze e ruoli dei suoi collaboratori. “Il top management deve essere custode della meta”, deve dimostrare entusiasmo, e stabilire una direzione chiara senza esercitare un controllo eccessivo. “Il Top Management deve dare il mandato” e lavorare dietro le quinte supportando compor-tamenti innovativi nei propri collaboratori ed inco-raggiando nuove idee.

Un medio-alto livello di diversità ovvero i feno-meni di innovazione prendono il via facendo leva sulle diversità dei soggetti.

Uno spinto decentramento decisionale ovvero

“If you want to build a ship, don’t herd peo-ple together to collect wood and don’t assign them tasks and work, but rather teach them to long for the endless immensity of the sea.”

Antoine de Saint-Exupery.

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le persone che operano in un’impresa devono possedere una suf!ciente autonomia. E’ indi-spensabile la possibilità di prendere decisioni.Risorse adeguate: signi!ca avere accesso a risorse suf!cienti, incluse le agevolazioni, le risorse tecniche, le informazioni, i fondi e le persone.Apertura alle idee: signi!ca possedere un si-stema aperto alle nuove idee pervaso da co-operazione e collaborazione intersettoriale, grazie ad un’atmosfera nella quale l’innovazio-ne è premiata ed il fallimento non viene consi-derato come un evento drammatico.Riconoscimento: la consapevolezza che il lavoro creativo verrà adeguatamente ricono-sciuto, non economicamente ma attraverso la responsabilizzazione, la libertà e l’autonomia.Tempo a disposizione: è indispensabile avere tempo per sviluppare innovazione, per esplo-rare diverse prospettive e non essere costretti a ricadere in schemi comportamentali prede-terminati. E’ necessario che tale tempo sia for-malmente riconosciuto.

“When all think alike, then no one is thinking.” Walter Lippman

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La realizzazione la struttura dell’Innovazione, da un modello a “intelligenza accentrata” ad un modello a “intelligenza distribuita”

L’ipotesi da cui siamo partiti è che in un mondo culturalmente e tecnologicamente interconnesso sia vantaggioso sviluppare forme originali di di-visione del lavoro intellettuale che rinunciano ad accentrare presso strutture dedicate. il problema dell’innovazione, ma che puntano a ricomporre dinamicamente l’intelligenza e l’esperienza che fa capo a una pluralità di soggetti, non necessa-riamente riconducibili all’interno dei con!ni pro-prietari dell’organizzazione di tipo tradizionale. Il management deve organizzare i processi di inno-vazione e di gestione della conoscenza nell’am-bito allargato di una molteplicità di attori interdi-pendenti. Il passaggio dalla produzione di massa al post-fordismo coincide con la !ne dei processi di innovazione a intelligenza accentrata e con l’im-porsi di processi di gestione della conoscenza e dell’apprendimentoin sistemi a intelligenza distri-buita. La storia della grande impresa della produ-zione di massa ha costruito il suo successo sul rapporto con la ricerca scienti!ca e su strutture dedicate di ricerca e sviluppo: a queste strutture il management ha af!dato il compito di sviluppa-re processi e prodotti innovativi la cui traduzione industriale e la cui messa a regime hanno costi-tuito il compito principale delle linee gerarchiche dell’organizzazione di impresa. Questa conce-zione secca tra chi pensa e chi fa, ha costituito il tratto essenziale di un modello di sviluppo che ha consentito una straordinaria crescita economica e un benessere industriale diffuso. Questo modello è robusto dal punto di vista economico: si focaliz-za su una strategia di traduzione della conoscenza in processi replicabili e prodotti standardizzati. La volontà di escludere dal dialogo sull’innovazione la gran parte di coloro che erano direttamente o indirettamente interessati all’innovazione stessa (impiegati, operai, distribuzione, consumatori…) è stata dettata da un lato dalla profonda !ducia

4innovazione centralizzata

edecentralizzata

LAREALIZZAZIONE

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nella scienza come motore dell’innovazione tec-nologica, dall’altro dall’assenza di strumenti per la gestione economica di processi di apprendi-mento che potessero includere il contributo dei più. Gestire l’innovazione signi!ca prima di tutto coinvolgere ricercatori ed esperti di tecnologia e le strutture all’interno delle quali questi operano. Rivolgersi esclusivamente al settore Ricerca & Svi-luppo può essere molto rischioso, però. Se l’obiet-tivo è garantire che le innovazioni abbiano succes-so sul mercato, molte volte progettisti ed ingegneri non hanno i mezzi per garantire questo obiettivo: la ragione risiede nella lontananza dal terreno dei clienti. Riportiamo un estratto dell’intervista con Maurizio Zucchi, Zucchi, ovvero: “L’innovazione da noi è distribuita, non c’è un reparto responsabile. L’innovazione viene spesso dalla supply chain. Noi dobbiamo orchestrare l’assemblaggio diverso di componenti esistenti”.

Innovazione centralizzata vs innova-zione decentralizzata

Le organizzazioni caratterizzate da “innovazione centralizzata” adottano un approccio" all’inno-vazione curato unicamente dall’élite di Ricerca & Sviluppo e sembrano adottare principalmente pro-cessi sequenziali all’innovazione.Le realtà che interiorizzano approcci di “innovazio-ne decentralizzata” generalmente lanciano ventu-re team multidisciplinari composto da ricercatori, ingegneri, contabili e specialisti in marketing con il compito di sviluppare ed elaborare l’idea ed adot-tano processi in parallelo. Si è chiesto di descrive-re un caso di innovazione vissuto di recente nella propria azienda e di posizionarlo nella matrice che segue. Appare che i casi descritti e posizionati si caratterizzino maggiormente per un’innovazione nuova per il mercato: tale dato

Dai casi presentati si evince che maggiore è il grado di innovazione distribuita, maggiore è il livello di in-novazione per il mercato: ciò significa affrontare una tipologia di innovazio-ne più radicale. (sotto)

è confermato più volte nella sessione, ovvero per-ché si possa de!nire reale innovazione tale cam-biamento deve essere percepito dal mercato ed in particolare deve offrire un valore nuovo al cliente. Per quanto riguarda invece la struttura organizza-tiva che ha generato l’innovazione, questa appare prevalentemente distribuita, soprattutto all’interno dell’azienda. Integrando la matrice con le diverse

“Keep things informal. Talking is the natural way to do business. Writing is great for keeping records and putting down details, but talk generates ide-as. Great things come from out luncheon meetings which consist of a sandwich, a cup of soup, and a good idea or two. No martinis.”T. Boone Pickens

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interviste è ipotizzabile una traiettoria futura ver-so innovazioni generate in modo distribuito all’e-sterno dell’azienda. Questa apertura che stimola lo sviluppo di punti di vista diversi con i diversi attori sembra inoltre facilitare processi innovativi per il mercato e non solo per l’azienda. Dai casi presentati si evince, infatti, che maggiore è il grado di innovazione distribuita, maggiore è il livello di innovazione per il mercato: ciò signi!ca affrontare una tipologia di innovazione più radicale.Nonostante sia stato assegnato un valore alto all’innovazione che proviene da scambi pro!cui con l’esterno, non sembra per adesso essere sta-to formalizzato un processo di apertura verso i di-versi attori. “Non c’è oggi un momento nel calen-dario dedicato al’innovazione, ci sono occasioni in cui gli operatori si incontrano e quelli sono delle opportunità per trovare delle novità” Maurizio Zuc-chi - Zucchi. La creatività che caratterizza i prodotti, si nutre spesso di una stretta interazione fra stilisti, uomini prodotto (le persone che sono responsabili della trasformazione delle intuizioni stilistiche in precise caratteristiche che il prodotto dovrà avere) e uomi-ni della produzione, un’interazione che porta a un progressivo af!namento dell’idea iniziale. Questo rapporto di collaborazione è facile da instaurare quando le persone coinvolte lavorano nella stessa azienda, mentre è più dif!cile da sviluppare quan-do queste si trovano in aziende diverse, in partico-lare se distanti geogra!camente. Però appare che sia questa la situazione più fertile per innovazioni forti. Inoltre l’integrazione verticale consente una veloce risposta al mercato ed accorcia il tempo che passa dall’ideazione di una collezione al mo-mento in cui è disponibile sul mercato.

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La comunicazione Circuiti dinamici di attivazio-ne del sapere

Abbiamo visto come in uno spazio sociale ed economico interconnesso, la creazione del valore e la competitività dei sistemi passa attraverso la gestione di saperi distribuiti, che il management dell’impresa fa propri non più attivando i tradizio-nali canali del commando, ma coinvolgendo quegli interlocutori che la grande impresa aveva consi-derato semplice oggetto delle politiche aziendali. L’obiettivo è attivare un circuito di dialogo fra sog-getti economici capaci di scambiare conoscen-ze rilevanti dal punto di vista dell’innovazione. Le tecnologie di rete, e non solo, consentono di ricondurre ad un circuito dinamico la varietà dei saperi parziali elaborati da soggetti diversi, non necessariamente risiedenti all’interno dei con!ni dell’impresa. Nelle diverse fasi della ricerca due variabili, interconnesse ma non sovrapponibili, ap-paiono ricorrenti: comunicazione e collaborazione. Af!nché ci sia collaborazione è necessaria la con-nettività che consente la comunicazione ma non è suf!ciente. Anche in presenza di attivazione di ca-nali di comunicazione, strutturati e non strutturati, non è detto che avvengano processi di reale col-laborazione e condivisione delle idee. Innanzitutto viediamo quali sono gli attori coinvolti nei processi di comunicazione (chi) e la forma-tipologia di dia-loghi disponibili (che cosa)."

Attori coinvolti attraverso dialoghi strutturati e non: CHI

1. Una prima categoria è riconducibile ai sogget-ti interni all’organizzazione appartenenti a settori diversi. Dalla ricerca emerge che la chiave crucia-le nei processi d’innovazione sia legata al fattore umano, alle sue competenze ed ai suoi tratti in-dividuali. Per innescare processi d’innovazione il punto d’inizio è pertanto l’individuazione delle per-

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sone chiave da coinvolgere durante cambiamenti come quelli che abbiamo investigato nello studio. Af!nché si favorisca un cambiamento verso un’in-novazione distribuita, prima di pensare alle piat-taforme che consentono la condivisione del sa-pere e la creazione di nuovi saperi, si suggerisce di concentrarsi sui comportamenti desiderati e su quali persone possano essere in grado di metterli in atto. L’organizzazione è capace di individuare al suo interno le persone che, non per posizione ge-rarchica ma per capacità di in#uenza, sono in gra-do di contaminare positivamente un numero alto di dipendenti? Quali caratteristiche devono avere tali leader, non solo d’opinione, ma anche di com-portamenti? Come devono essere collocati all’in-terno? Per stimolare la cultura all’innovazione in azienda si suggerisce di:

>! individuare quali comportamenti sono desi-derabili affinché si estenda in azienda la cultu-ra all’innovazione;>!!individuare quali soggetti dovrebbero parte-cipare al dialogo per primi per poi, a cascata, coinvolgere gruppi più ampi.

Dalla ricerca emerge che se si desidera estendere a tutte le aree ed i livelli la questione dell’innova-zione secondo il modello di “innovazione distribu-ita” non è suf!ciente che tale visione sia comuni-cata, anche con enfasi e con strategie so!sticate, dal top management. E’ invece necessario che la leadership formale incarichi e demandi dipendenti inseriti a livelli gerarchici diversi che, attraverso un processo di convinzione e persuasione tipici degli approcci peer-to-peer, siano in grado di rappre-sentare un modello di riferimento, in#uenzando gruppi di persone più allargati. Tale persuasione non avviene per compiacenza ma per reali mec-canismi di identi!cazione in individui percepiti

come simili (è la similitudine infatti il fattore chiave e non l’autorità percepita). In questo senso si parla di diffusione di comunicazione ma soprattutto di comportamenti che non si realizzano con approcci top-down e neanche bottom-up: avviene in modo multi-centrico peer-to-peer (P2P). E’ una leader-ship diffusa che contamina attori vicini e fa sì che i propri comportamenti proattivi verso l’innovazione siano riprodotti da persone simili. L’importante è individuare quelle persone altamente connesse, in possesso di ricche relazioni sociali con la capa-cità di in#uenzare atteggiamenti e comportamenti altrui. Il Top Management ha il ruolo di supporta-re tale diffusione attraverso la !ducia ed il rinfor-zo positivo dei cambiamenti avvenuti (premi quali l’autonomia, la responsabilizzazione, come visto in precedenza...).

2."Una seconda categoria di attori è riconducibile alla !liera al cui interno l’impresa si trova ad opera-re: i fornitori a monte della catena del valore, altre imprese, la distribuzione, il consumatore !nale a valle. Dalla ricerca emerge fortemente quanto tali operatori siano strategici nei processi di innova-zione. Le imprese devono pertanto tendere ad ascoltare/comunicare/cooperare con i diversi in-terlocutori. L’innovazionre avviene spesso guida-ta e/o stimolata dai fornitori, ad esempio, oppure dai clienti/utilizzatori che non sono più considerati solo target da conquistare ma partner con cui apri-re un dialogo: l’azienda deve pertanto sviluppare forti capacità di ascolto. Il processo d’innovazio-ne parte spesso infatti dall’analisi del “problema” che è stato rilevato-ascoltato con attenzione, in-corporato con il sistema di conoscenze proprio, e trasformato innovativamente in una risposta. L’im-presa in tale senso diventa regista del processo di interconnessioni favorite dalle varie componenti del sistema."

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Si riporta il caso presentato da Cristina Polini - Branded Apparel Italiaa dimostrazione del bisogno di sviluppare questa capacità di ascolto in grado di individuare bisogni latenti dei propri consumatori.

Il caso che presento è stato in grado di rispondere ad un bisogno latente delle consumatrici, o meglio lo ha espresso. Qualche anno fa avevamo creato un blog in Gran Bretagna che per 6 mesi includeva dei diari di un gruppo di consumatrici. Da questo strumento di ascolto era emerso che alcune di loro andavano a dormire con il reggiseno (soprattutto in alcuni momenti della vita, quali l’adolescenza, fasi del mese in cui il seno può essere fastidioso, o donne che avevano un seno particolarmente abbondante). Abbiamo colto questo bisogno e proposto un reggiseno “24ore lift che ha una co-struzione che permette di infilare/sfilare il ferretto, operazione molto semplice. La forza innovative di 24h lift è stato posizionarlo come un reggiseno uti-lizzabile per 24 ore, quindi sempre comodo ed ha avuto la sua massima espressione nel visual – una donna che dormiva con un reggiseno e nel claim “l’unico con cui vorrete andare a letto”. Una comu-nicazione complice ed ironica, ma anche reale di un benefit inespresso.

Sempre riferita a questa capacità di ascolto si ri-porta il caso presentato da Loro Piana riferito al tessere il !ore di loto.

Questo esempio innovativo di successo della no-stra azienda è stato possibile grazie alla grande sensibilità del titolare nel reinterpretare le esigenze del consumatore finale che richiede un prodotto naturale.

3." "Una terza categoria di attori è costituita dagli attori del mercato/società, coloro che meno fre-

quentemente vengono coinvolti da rapporti stabili con l’organizzazione (i centri di ricerca, le Univer-sità, le Istituzioni, la distribuzione indipendente, i clienti potenziali, le organizzazioni culturali ed i vari interpreti di cui parla Verganti in design-driven innovation). Per Cristina Polini - Branded Apparel Italia questa categoria include gli interlocutori Key partners che diventano imperdibili bacini di ispira-zione e reti di alleanze strategiche. Esse includono soprattutto le collaborazioni con i sociologi per lo studio dei trend nello stesso mercato ma anche in mercati distanti. Sarebbe interessante riuscire ad includere tali interlocutori in forme di dialogo continuativo. Per adesso dalla ricerca emerge una consapevolezza che questa categoria è la più pro-mettente nel fornire leve per l’innovazione. Tutta-via non sono emersi, nel presente lavoro, strategie e strumenti formalizzati per l’implementazione di un dialogo che, attualmente, sembra essere gene-rato tra attori che condividono reti e conoscenze informali attraverso processi spesso casuali. L’or-ganizzazione dovrebbe sviluppare la disponibilità di un osservatorio sull’ambiente esterno che sia sensibile all’analisi dei cambiamenti nelle nuove tendenze nel breve e nel lungo periodo, non solo nel proprio settore. Senza dubbio questo tema po-trebbere essere un interessante spunto di ri#es-sioni future: quali sono gli strumenti per dialogare costruttivamente con attori diversi dalla mia im-presa? Quali occasioni possono essere utilizzate? Posso riuscire a formarmi in tal senso? Senza dubbio stiamo assistentendo ad un pas-saggio da un orientamanto di “team-work” ad uno nuovo di “net-work”. La capacità di cavalcare il net-work potrebbe in futuro essere più strategi-ca della creazione di nuove strutture di lavoro di gruppo.Quale forma di dialogo è utile instaurare per favori-re processi di “innovazione distribuita”?

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p.36 - Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale

CHE COSA

L’obiettivo della comunicazione in azienda rispetto al tema dell’innovazione è, oltre a quello di cre-are consapevolezza e sensibilizzazione rispetto a nuovi orientamenti che l’azienda intende persegui-re, quello di coinvolgere/stimolare/attivare le per-sone all’interno, ma perché no anche all’esterno, a mettere in atto comportamenti più innovativi. Alla comunicazione viene oggi riconosciuto un ruo-lo strategico perché si occupa di tutti gli aspetti della vita delle organizzazioni (non solo di quelli di marketing) e, soprattutto, perché contribuisce alla sopravvivenza dell’organizzazione stessa attraver-so il governo delle relazioni con tutti gli attori del sistema nel quale essa opera.Dialoghi ad alta strutturazione:si include in questa categoria tutte quelle tipologie di comunicazioni formali strutturate e piani!cate (oltre ai dialoghi che regolano le procedure ammi-nistrative normate dai princìpi contabili, ed i dialo-ghi che regolano i rapporti routinari). In riferimen-to al tema dell’innovazione possiamo individuare due macro-categorie che utilizzano un approccio prevalentemente top-down (autoritativo, istituzio-nale):

campagne di comunicazione interna con l’o-biettivo di creare consapevolezza rispetto al tema dell’innovazione. Tali sforzi aspirano a veicolare il focus sull’innovazione quale nuo-vo, ma non solo, orientamento chiave dell’a-zienda. Le campagne possono includere stru-menti di comunicazione di varia natura, da forme di dialogo più tradizionali a quelle più innovative (ppt, house organ, portali, piatta-forme, eventi, workshop, attività di formazio-ne…). Questa categoria, anche qualora utilizzi strumenti, formati e linguaggi altamente crea-tivi ed originali si rifà comunque, nella maggior

parte dei casi, a processi di comunicazione a una via, in cui vi è una forte asimmetria comu-nicativa."

campagne di comunicazione esterna con l’obiet-tivo di creare conoscenza, sensibilizzazione ed un’immagine positiva rispetto all’approccio all’in-novazione utilizzato verso i diversi portatori di in-teresse dell’azienda. Tali sforzi aspirano a creare o consolidare atteggiamenti e percezioni positivi verso l’azienda. E’ chiaramente importante che vi sia un alto sforzo di condivisione di queste due aree della comunicazione."

Dialoghi a bassa strutturazione: si tratta principalmente dei dialoghi che determi-nano l’innovazione e che prendono forma dentro e fuori l’impresa. Questi dialoghi sono caratterizzati da contenuti eterogenei e geometrie dif!cilmente prevedibili: l’innovazione passa attraverso relazio-ni fra soggetti i cui rapporti non sono prede!niti a priori. E’ possibile progettare tali spazi? E’ pos-sibile progettare l’informalità senza sacri!carne la spontaneità? Questi dialoghi sono attivati da sog-getti che, proprio perché chiamati ad esprimere in maniera creativa la loro progettualità e le loro intu-izioni, hanno bisogno di spazi di autonomia mar-cati sia in termini di linguaggi sia di interlocutori. Una questione che ci interessa collegare al tema della comunicazione è quella del sostegno o forza del mandato.La totalità delle aziende intervistate dichiara che l’innovazione sia un fattore chiave, ma che cosa è fatto in realtà per supportarla? Dalla ricerca emerge che l’innovazione sia quasi un “diktat” in tutte le visioni aziendali ma nella realtà, sebbene ricercata e desiderata profondamente, appare che il sostegno che la leadership formale può fornire sia incluso prevalentemente nella prima categoria presentata di seguito:

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Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.37

1. supporto super!ciale (incoraggiata a parole, ma non nei fatti);

2. supporto profondo (la libertà di esprimere idee anche corrosive viene incoraggiata dall’orga-nizzazione nelle parole e nei fatti).

In questa parte del lavoro si intende identificare delle categorie che inclu-dono la relazione tra la forza del man-dato (quanto l’azienda crede e sup-porta l’innovazione) e la tipologia del dialogo (strutturato o no) come siste-ma di stimolo/gestione delle idee in-novative. Tale relazione diventa il pre-requisito per lo scaturire di idee innovative.

DialogoNon strutturato

Dialogo strutturato

Alto Mandato

Basso Mandato

1Innovazione Consapevole

5Innovazione Autonoma

2 Innovazione

Forzata

4Innovazione Potenziale

3Innovazione

Reattiva

Per le aziende che si posizionano nell’area 1 “Pausa caffé: dalla chiacchera all’Eureka” (dia-loghi non strutturati ad alto mandato: Innovazione Consapevole), l’innovazione s’innesca da conver-sazioni avvenute informalmente in modo casuale durante la tipica “pausa caffé”. L’azienda, però, si caratterizza per avere nel proprio DNA un forte mandato verso l’innovazione. In quest’area la pre-condizione all’innovazione si de!nisce per bassa strutturazione del dialogo e alto focus rispetto al mandato.

Le aziende che appartengono all’area 2 “L’inno-vazione è chiave, questo è quello che devi fare! Tool corretti, vecchi princìpi” (dialogo strutturati ad alto mandato: Innovazione Forzata), adotta-no un approccio fortemente istituzionalizzato, ri-chieste di sforzi verso l’innovazione autoritarie. I dialoghi in cattività sembrano far nascere poche idee radicalmente nuove. Può sembrare positivo come principio (ottimo sistema intranet, ottime chat room interne, sistemi di management delle idee…) ma è generalmente troppo orchestrato, soprattutto quando una piattaforma tecnologica è stata costruita “per tutti”.

Le aziende che possono inserirsi nell’area 3 “Cre-diamo nella pura casualità, ovvero che Dio ce la mandi buona!” (dialoghi non strutturati a bas-so mandato: Innovazione reattiva), non prevedono alcun supporto né reale né super!ciale all’inno-vazione e, di conseguenza, non essiste nessuno spazio-strumento di cui essa possa nutrirsi. In de!nitiva le aziende in questione non ritengono che l’innovazione sia un fattore importante per la propria sopravvivenza. Tuttavia esse possono generare innovazioni (o adottarne) se richieste, o imposte, a monte o a valle della catena di valore.

“A prescindere da tutti i sistemi che si pos-sono progettare per facilitare il passaggio dell’informazione per l’innovazione è creare un’atmosfera di af-fiatamento in azienda” Maurizio Zucchi - Zuc-chi.

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Le organizzazioni dell’area 4 “…E tanto che cosa cambia se lancio una nuova idea sulla piatta-forma?!” (dialoghi strutturati a basso mandato: In-novazione Potenziale). Qualsiasi nuovo tool, nuo-vo processo è totalmente inef!cace se manca un reale supporto all’innovazione, ovvero il manage-ment deve essere profondamente coinvolto: non bastano parole, in!nite slide, vuote campagne di comunicazione top-down, sono necessari fatti e comportamenti nuovi. Si tratta purtroppo di un’in-novazione “solo” potenziale poichè, a fronte del-la disponibilità di risorse interne (bottom-up) e di mezzi, il processo innovativo non porta a nulla, ov-vero manca la fase di realizzazione ed implemen-tazione delle idee inizialmente proposte (che però con il passare del tempo cesseranno di essere non solamente condivise ma neanche generate). Molto promettenti appaiono essere gli atteg-giamenti tipici delle aziende che si posizionano nell’area 5 (che potremmo considerare come una traiettoria estensiva dell’area 1) “L’innovazione è chiave, credo in te e ti sosterrò da fuori” (dialo-ghi semi- strutturati ad alto mandato: Innovazio-ne Autonoma). Sono aziende i cui leader formali hanno dato un chiaro mandato lasciando autono-mia, responsabilità sia rispetto alle dinamiche di dialogo sia per quanto riguarda gli strumenti utili per raggiungere gli obiettivi. L’imperativo strategi-co dell’innovazione è de!nito, ma le conversazioni peer-to-peer e le interazioni sono informali. “Em-power people con una direzione chiara”.

Innovazione Consapevole

Innovazione Autonoma

Innovazione Forzata

Innovazione Potenziale

Innovazione Reattiva

4

3

2

1

5

Traiettorie per il futuro

In rapporto ai meccanismi che governano l’area 5 sopra proposta sono ancora molte le questioni che in futuro si dovrebbe investigare, tra le quali: che cosa sono in realtà le forme di dialoghi non strutturati anche chiamati network informali? Pos-sono essere studiati, analizzati e compresi? Quali leggi ne spiegano i meccanismi? Che cosa offro-no? Possono essere progettati, facilitati, stimolati senza sacri!carne la libertà? E’ possibile progetta-re l’informalità? Quali tool per l’innovazione sono

“The only way to pre-dict the future is to have the power to shape it.” Eric Hofer

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Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.39

ef!caci nei social network? In che spazi !sici si dipanano? Quali persone coinvolgono? Come si relazionano con i nuovi modelli di leadership di-stribuita?Network informali e ambienti lavorativiIn relazione al tema dei network un suggerimento che emerge dal lavoro è senza dubbio quello le-gato alla relazione tra spazi !sici, in cui i dialoghi si sviluppano, ed innovazione. La ricerca dimostra che un ambiente ricco di stimoli (visivi, verbali, uditivi ed olfattivi) può incoraggiare la condivisione della conoscenza, la collaborazione ed in de!niti-va la creatività, più di un ambiente arido e sterile. Nonostante questo fattore appaia quasi banale, sono ancora poche le aziende che rivolgono ri-sorse e sforzi adeguati a ragionamenti di questo tipo. I pochi esempi sono largamente conosciuti, quali le strategie di Google per la progettazione degli spazi interni a disposizione dei dipendenti, o gli spazi progettati da Unimanagement per la for-mazione creativa dei suoi talenti a Torino o ancora il EPFL Rolex Learning Center progettato da SA-NAA. Nel complesso, però le pratiche di successo sono ancora contenute. Il punto chiave risiede nella necessità di trasforma-re gli spazi lavorativi da luoghi in cui i dipendenti operano rigidamente seduti alla propria scrivania eseguendo i compiti assegnati in modo ef!ciente e produttivo (senza però sviluppare forti relazioni sociali) in luoghi che incoraggino la socializzazione spontanea e casuale. Sembra che siano proprio queste relazioni sociali ad essere al cuore dell’in-novazione. Le idee emergono tanto da riunioni formali quanto da conversazioni casuali, durante incontri non piani!cati tra gruppi diversi all’inter-no, o all’esterno, dell’azienda. Siamo di fronte ad una s!da che richiede la progettazione di spazi che incentivino comportamenti che normalmente non verrebero intrapresi, superando un’umana in-

clinazione naturale a reiterare quotidianamente le stesse azioni (parlare, chiedere consiglio, scherza-re solo con certe persone). Tale progettazione do-vrebbe avvenire sulla base di un’analisi dei sopra citati network sociali individuando i dipendenti ad alta connettività, ovvero quei “hub” umani in grado da un lato di connettere strategicamente persone e competenze diverse e dall’altro di rappresentare un modello di riferimento per la contaminazione di comportamenti fortemente desiderati.

“C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnolo-gia diventano per tutti” Henry Ford

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Output e traiettorie future

Come accade per i viaggi, lo strumento della mappa che abbiamo proposto in questo lavoro ambisce a rappresentare il mezzo che consente di orchestra-re le componenti principali del processo d’innova-zione con le persone e le competenze necessarie af!nché siano generati i comportamenti desiderati.

In questa parte del lavoro si intende sintetizzare le principali tipologie di innovazioni descritte dai par-tecipanti alla ricerca, ovvero gli output del proces-so discusso !no a questo punto. Abbiamo deciso di categorizzare i concetti espressi rappresentan-doli quasi attraverso una “scala dell’innovazione” dove le prime categorie sono caratterizzate da un livello di innovazione minore delle ultime. Deve es-sere considerata una tassonomizzazione riferita ai soli risultati della ricerca condotta, pertanto non esaustiva di tutte le tipologie possibili di innova-zione. Inoltre, le categorie non sono da conside-rarsi dei compartimenti stagni, una può includerne altre o trasformarsi in altre.

1. Innovazione-novità

In sintesi signi!ca mettere in atto nuove azioni. Questa categoria include le aziende quando lancia-no un nuovo prodotto, servizio o adottando nuovi processi o nuovi macchinari. “Il caso del giubbino che si poteva utilizzare come borsa ha generato in seguito una linea con la stessa filosofia” Dino di Gennaro - GIR + A&F. Essa può riferirsi anche a nuove strategie che si rivolgono a differenti seg-menti di mercato rispetto a quelli abituali. Senza dubbio una traiettoria futura d’innovazione include le strategie di internazionalizzazione, un imperati-vo sovente citato. E’ una tipologia di innovazione autoriferita, ovvero implica una forte novità per l’a-zienda che è adesso obbligata a lanciarsi in s!de nuove che richiedono un cambiamento radicale di

6

Innovazione-novità

Disruptive Innovation

Innovazione responsabile

People Innovation

Innovazione incrementale

6OUTPUT

Innovazionesistemica

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mentalità, di strategia, di processo e cultura. Non si tratta però di un’innovazione radicale per il mer-cato o per il sistema in cui è inserita. Può essere un’ottima “base” per altre tipologie di innovazioni che richiedono comunque sempre “nuove azioni”.

2. Innovazione incrementale

“Il fallimento di alcune innovazioni ha portato ad una gestione più prudente dell’innovazione stessa; questo significa che, contestualmente ad un perio-do in cui i margini sono diminuiti e quindi ci sono meno soldi da investire, si preferisce puntare sul miglioramento di prodotti di successo già presenti sul mercato potenziandoli e quindi investendo su un’innovazione di tipo incrementale” Franco Ghi-ringhelli - Ghiringhelli.In sintesi questa tipologia di innovazione è possi-bile grazie a nuovi macchinari (innovazione tecno-logica quindi) e a numerosi tentativi per “prove ed errori” che nel tempo consentono un miglioramen-to continuo dell’output. “Fare sempre meglio ciò che si sa già fare”. Ge-neralmente le aziende che si trovano in una po-sizione di leadership tendono a “subire” questa visione che però può rivelarsi una trappola ad un certo punto, perché c’è un limite al continuo miglioramento. Infatti le aziende focalizzate solo su questo approccio generalmente non sono tra quelle organizzazioni che fanno i “salti” di innova-zione (leap frog innovation). E chi sono i candidati ideali a compiere le innovazioni opposte a quelle incrementali? Potrebbe essere l’ultimo della !la, obbligato a cambiare radicalmente strategia per sopravvivere o l’azienda abituata ad operare in un altro settore che applica una nuova tecnologia per il dominio in questione ma già utilizzata in quello di provenienza.

3. People Innovation “power to people”

In questo contesto emerge una questione signi-!cativa: non c’è innovazione se non c’è cambia-mento nei comportamenti delle persone e perché questo avvenga la chiave è il capitale umano ov-vero la centralità dell’uomo che deve essere con-siderato come un !ne e non come un mezzo all’in-terno delle organizzazioni. Le nuove tecnologie, per quanto elaborate, non bastano. Di per se stes-se, sono paragonabili ad un aereo di ultima gene-razione, che per quanto brillantemente costruito, sia senza pilota e non abbia una destinazione. In ultima analisi, l’intero processo di raccolta e uso dell’informazione viene forgiato da lavoratori “in-telligenti” nel senso più ampio del termine: perso-ne con percezioni innovative che desiderino porsi domande che escano dagli usuali schemi in cui sono inseriti. L’innovazione richiede “cambiamen-to” che non può essere considerato un problema meramente tecnologico o economico, quanto in-vece una questione di atteggiamento mentale. Per superare le resistenze è necessario senza dubbio approfondire i ragionamenti rispetto alla dimen-sione umana e alle variabili che soggiacciono ad una necessaria comunicazione ed a volte abbiamo visto come richieda “nuovo sangue”, nuove per-sone da altri dipartimenti o ancora meglio talenti dall’esterno in grado di offrire nuovi punti di vista e prospettive diverse da quelle abituali. Quando avremo un’azienda le cui persone sono in grado di mettere in atto nuovi comportamenti, che in ultima analisi sono da considerarsi i veri “costruttori-cre-atori” di una cultura dell’innovazione, e non vice-versa, possiamo davvero parlare di cambiamento ed innovazione. Per ampliare il concetto all’ester-no dell’azienda confermiamo quanto appena det-

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to: si può parlare di innovazione comportamentale quando un’azione aziendale (prodotto, business model, servizio) è la causa di un cambiamento dei comportamenti, delle abitudini dei propri clienti-utilizzatori. “Una grande innovazione porta i con-sumatori a cambiare abitudini e comportamenti: si pensi ad esempio al prodotto Cosleeper, ovvero ad un lettino per neonati che è di fatto un’estensio-ne del letto dei genitori”. Pier Francesco Martigli - Picci. Per questi motivi abbiamo deciso di isti-tuire una categoria a parte, interpretando questa tipologia non solo strumentale a tutte le altre ma anche come una strepitosa meta da raggiungere.

4. Disruptive Innovation

Possiamo affermare che si tratta di una “disruptive innovation” quando l’azienda è in grado di lanciare un prodotto accessibile a un pubblico/cliente pri-ma escluso dal processo.

5. Innovazione responsabile

Questa categoria è stata sovente espressa dai partecipanti. Si riferisce all’approccio che permet-te all’azienda di contribuire signi!cativamente al progresso economico sociale culturale della so-cietà senza danneggiarla. E’ necessario passare da logiche fondate su pochi criteri e parametri (il pro!tto, il potere, l’incertezza) a razionalità e lo-giche multidimensionali e comunitarie assumen-do nel calcolo il rispetto delle generazioni future, l’attenzione per i più deboli, l’ambiente...Essa richiede etica, onestà e !ducia. Le aziende che hanno interiorizzato questo atteggiamento non sono spinte da questioni meramente legislative, di mercato... ma sono mosse dalla convinzione che il business e la società non sono variabili sconnes-

se e che un approccio di questo genere permetta non solo un ottimale sviluppo della società/am-biente ma anche un futuro pro!ttevole per la so-pravvivenza aziendale. Per Tiziana Musi - GIR A&F “l’ultima tra le tante innovazioni è il “trattamento all’ozono” che permette di avere lo stesso risultato di un jeans “stonewashed” ma con un risparmio di acqua pari all’80%. Questo è stato possibile grazie alla disponibilità tecnologica di nuovi macchinari ma soprattutto grazie alla sensibilità di Francois con il supporto di competenze e passione dei suoi collaboratori. Questo è un esempio della filosofia responsabile verso l’ambiente e la società”.

6. Innovazione sistemica

E’ possibile affrontare questa tipologia secondo due prospettive. La prima riguarda il livello interno dell’azienda per cui è possibile parlare di un circo-lo virtuoso innescato da un processo innovativo che ha ricadute su tutte le aree aziendali.Si può poi estendere questa prospettiva riferen-dosi al sistema in cui l’azienda è inserita. Si rife-risce all’innovazione grazie alla quale l’aumento di produttività genera sviluppo e sostenibilità in senso lato: in modo esteso (per tutti) e persistente (nel tempo). Genera per il territorio un vantaggio competitivo (esiste una conoscenza, un know-how che ha un valore anche per gli altri territori). Questo può essere esportato: può dare quindi un valore competitivo alle aziende che sono in grado di esportare questo sistema di conoscenze.Per Tiziana Musa - GIR A&F “l’innovazione siste-mica deve essere in grado di modificare anche il work-life balance, ovvero riuscire a bilanciare me-glio la sfera lavorativa e quella privata”.

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Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.43

Tabella di sintesi dei tipi d’innovazione

Nome Parole chiaveInnovazione-novità Nuove azioni; novità per l’azienda

Innovazione incrementale Fare sempre meglio ciò che si sa già fare

People Innovation Non c’è innovazione se non c’è cambiamento nei comportamenti

Disruptive Innovation L’azienda lancia un prodotto ac-cessibile a un pubblico/cliente pri-ma escluso dal processo

Innovazione responsabile Progresso economico sociale cul-turale della società

Innovazione sistemica Circolo virtuoso che genera svi-luppo e sostenibilità in senso lato: in modo esteso (per tutti) e persi-stente (nel tempo)

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Traiettorie d’innovazione futura: il Business Model CanvasIn questa parte dello studio si è cercato di indivi-duare delle traiettorie di innovazione per il futuro delle aziende intervistate. Ci siamo serviti di una “tela”, suddivisa nelle diverse componenti del bu-siness model aziendale, come piattaforma visiva e interattiva impiegata per innovare gli elementi e le relazioni tra questi. Ogni azienda ha lavorato indivi-dualmente sul proprio Modello di Business (attua-le e futuro). Questo strumento visivo ha facilitato la condivisione iniziale di che cosa si intenda per bu-siness model innovation, de!nito da Osterwalder (propositore del Business Model Canvas) come risultante delle 9 componenti di seguito presenta-te che mostrano come generare pro!tto: i partner (key partnership), le attività-chiave (key activities), le risorse (key resources), le relazioni con i clienti (customer relationship), i mercati (customer seg-ments), i canali distributivi (channel), la struttura dei costi e dei ricavi (costs e revenues) e la value proposition come elemento centrale. Key  Partners

Cost  Structure

Key  Resources

Key  Activities

ValueProposition

Channels

CustomerSegments

CustomerRelationships

RevenueStreams

Tali blocchi rivestono le 4 aree aziendali principali: clienti, offerta, infrastruttura e la vitalità !nanzia-ria. L’analisi del proprio Business Model è la base per la de!nizione strategica che sarà implementa-ta attraverso la struttura organizzativa, i proces-si ed i sistemi. Il !ne di questa parte del lavoro è, pertanto, capire quali possano essere per l’a-zienda delle traiettorie d’innovazione futura: quali aree aziendali saranno maggiormente coinvolte? Quali saranno i cambiamenti necessari? La strut-turazione del business model avviene attraverso l’apposizione di due categorie di post-it relative all’innovazione: la prima relativa alle aree ritenu-te attualmente più cruciali, per concentrarsi suc-cessivamente su quelle componenti che possono rappresentare delle “traiettorie future”.

Rispetto agli sforzi presenti, orientati ad un’atten-zione speci!ca al blocco della struttura dei costi appare, sempre da un punto di vista qualitativo, che l’impegno delle imprese sarà sempre più a re-alizzare una strategia che si decida ad abbando-nare la logica dei bassi costi, dove si sarà sempre più perdenti rispetto ai numerosi paesi emergenti, e spostarsi verso una strategia più di qualità, svi-luppando una value proposition di differenziazione e di qualità.Da un orientamento focalizzato sulla struttura dei costi si passa ad un orientamento che predilige il

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capitale umano nelle key resources, le key partner-ship ed il blocco relativo il Customer Relationship.

Focus onCosts

Focus on People

1. Key resources

Il capitale umano emerge come il fattore più ricor-rente tra le key resources possibili. Per Michela Garnero – Stamperia Serica Italiana “le nostre key resources sono il connubio delle menti tecniche e creative”. Esso diventa l’asset strategico di questo blocco. Il modo in cui le nuove idee vengono crea-te e trattate si sostituisce al capitale !sico nell’ot-tica di vantaggio competitivo. Al capitale umano si associa il capitale sociale delle persone, ovvero la qualità e la quantità delle relazioni instaurate den-tro e soprattutto fuori dall’azienda. Hanno idee, in-novano, soddisfano i clienti, motivano, decidono, avviano…In altri termini la conoscenza, le capacità e la volontà delle risorse umane sono i fattori cru-ciali. Nella ricerca svolta le key resources includo-

no sempre, e quasi solo, le persone con la loro conoscenza e creatività. Rimandiamo al capitolo secondo (ai fattori individuali) di questo lavoro per maggiori approfondimenti rispetto alla sfera più “umanistica” dell’innovazione.

2. Alleanze e Key Partner

Un secondo blocco, che sembra avere ampi mar-gini di potenziamento, è l’innovazione attraverso un’integrazione con organismi all’esterno dell’im-presa. Le parole chiave emerse inerenti questo blocco del Business Model Canvas sono allean-ze, collaborazione ed aggregazione. Sono solo “buzzwords” o davvero possono rappresentare utili strategie di sviluppo per l’impresa? Dallo stu-dio emerge la necessità di sviluppare sempre più un orientamento di “operare insieme”, ma come sviluppare questa dimensione integrata all’ester-no? Sostanzialmente è emerso, con partnership verticali, orizzontali o adiacenti. L’aggregazione di imprese è una leva fondamentale per competere con forza nei mercati internazionali (strategia con-siderata innovativa da una grande parte dei par-tecipanti) e per far fronte alle pressanti s!de di un mondo sempre più concorrenziale ed agguerrito. La più tradizionale e antica modalità delle partner-ship verticali è stata quella de!nita di “co-maker-ship”, cioè una migliore integrazione tra produttori e fornitori. Si è poi sviluppata un’altra interessante attività di collaborazione, con gli intermediari que-sta volta, che si può de!nire di “co-marketership”. Per Picci, ad esempio, “Prima di tutto analizziamo attentamente il mercato e abbiamo un confronto costante con i nostri distributori che rappresenta-no la nostra cartina di tornasole per capire quali azioni migliorare ed incentivare. I dealer (key part-ners) sono interlocutori strategici in grado di gene-rare valore” Paola Cherubini – Picci. Pertanto, lad-

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dove l’intermediario è in grado di dare valore è opportuno creare alleanze, quando questo in-vece non avviene, è più strategico identi!care modi corretti di disintermediazione. Infatti, in merito alla questione della disintermediazio-ne non è più accettabile un semplice ricarico senza pressoché alcun contributo: “Quando il mio cliente diventa solo un porgitore, allora è possibile pensare di disintermediare” Pier Francesco Martigli – Picci. Ovvero, quando l’intermediario non aggiunge valore si puà decidere di perseguire processi di disinterme-diazione. Un’ultima tipologia di partnership nelle integrazioni verticali, più rara visto che le aziende intervistate operano maggiormente nel B2B, sono alleanze di “co-usership” in cui la collaborazione si sviluppa con i consuma-tori-utilizzatori !nali.Le partnership orizzontali, le più dif!cili sono quelle che prevedono delle collaborazioni tra competitor nello stesso mercato e che si “do-tano” di tale alleanza per raggiungere mag-giori livelli di performance o per sostenere il mercato.

Le alleanze adiacenti prevedono, invece, collaborazioni tra aziende che operano in set-tori diversi. Sono proprio le collaborazioni che appartengono a questa tipologia che sembra-no essere la leva per felici contaminazioni tra diversi settori. Come vedremo dall’intervista di Chiara Colombi, proposta nelle prossime pagine, stiamo trattando meccanismi di “ana-logia” e diventa pertanto interessante inserire sinteticamente i quattro momenti chiave se-condo quanto sostiene la maggior parte delle teorie intorno a questo argomento (Jonshon-Laird ad esempio). Le fasi che consentono

questa sorta di “traduzione” pro!cua tra un domi-nio e l’altro sono sintetizzabili in:1. la ricerca di un dominio-modello, ovvero un

dominio che fornisca un’analogia potenzial-mente utile;

2. la rappresentazione di certi aspetti del model-lo sul dominio iniziale – ciò che ha attivato la ricerca di una analogia;

3. l’uso della nuova informazione per ragionare sul dominio iniziale;

4. implementazione del successo o del fallimen-to dell’analogia.

Af!nché il meccanismo delle “analogie” sia ef!ca-ce è necessario che questo trasferimento sia ge-stito in modo strutturato e consapevole, creando, in accordo alla prospettiva scaturita dalla ricerca, alleanze strategiche in grado di generare valore per tutti gli interlocutori che partecipano a questi “salti” d’innovazione.“Credo che l’innovazione per noi nel futuro potrà venire da partnership ed input da campi anche molto lontani dal nostro e da aziende che produca-no prodotti che vivono insieme ai nostri nella casa come i letti o i divani per esempio, sarebbe mol-to interessante sapere come un produttore di letti vede i nostri prodotti” Luigi Magnaghi - Zucchi.

“I partner e le alleanze chiave saranno sempre più importanti perché ci saranno modelli di business a ORCHESTRA e quindi sarà sempre più strategico dosare gli attori facenti parte del network” Anna Ricotti - Branded Apparel Italia.

3. Value Proposition

Rispetto a questo blocco ci interessa individuare dei temi comuni ai business model canvas propo-sti dai partecipanti. Essi possono essere sintetiz-zati nei seguenti punti:

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Originalità /creatività. Per Tiziana Musa di Gir + A&F è necessario essere in grado di stu-pire, di emozionare perché i loro consumatori in-terpretano il consumo come un atto di ricerca, un’esplorazione. Nell’acquisto del prodotto essi sono motivati dal desiderio di arricchire il proprio patrimonio di esperienze, di ottenere nuovi stimoli, di ricavare eccitazione, quasi senso di avventura (si rimanda all’esempio del giubbino proposto da Dino a p. 40). Tendenzialmente in azienda si parla di innovazione per veicolare funzioni pratiche per il consumatore !nale. L’uf!cio stile cerca di creare “dettagli funzionali”, ovvero se viene proposto un certo particolare, esso deve avere una funzione speci!ca. L’idea è di creare praticità nell’utilizzo di capi anche quando non indossati. Il caso del giub-bino che si poteva utilizzare come borsa ha gene-rato in seguito una linea con la stessa !loso!a.

Sostenibilità. Secondo Maurizio Zucchi “Riguardo la sostenibilità il nostro gruppo è sta-to un precursore dell’attenzione all’ambiente ne-gli anni 70 quando non era ancora obbligatorio, il nostro processo oggi è al meglio della possibilità della tecnologia. Quando compriamo materiale da terzi abbiamo dei requisiti di qualità altissimi che a volta ci mettono anche in difficoltà o ci co-stringono a spendere di più. Questo vale anche per gli altri nostri partner che per lavorare con noi devono rispettare il nostro codice etico. Zucchi è stata la prima a fare una linea naturale, non toc-cata da coloranti negli anni 90. Questa attenzio-ne all’ambiente e ai diritti dei lavoratori deriva da un’etica familiare ed aziendale, fa parte del DNA dell’azienda. Non so quanto questo venga valo-rizzato sul mercato, non siamo stati molto bra-vi a comunicarlo”. Abbiamo proposto questa estrazione ma tali concetti sono stati ampiamen-te condivisi dai diversi partecipanti, si veda ad esempio la testimonianza di Tiziana Musa a p. 42

(http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=7TaIgCcIieY#at=24).- Tradizione/Made in Italy. Per Luigi Magna-ghi di Zucchi “il progresso tecnologico deve guar-dare alla bellezza del passato che può stimolare nuove intuizioni fornendo spunti inaspettati”. Per i partecipanti alla ricerca l’elemento del patrimo-nio culturale ed il rimando a diversi artefatti storici e culturali devono essere rappresentati come as-set di unicità nei prodotti e nella comunicazione. Esso costituisce un repertorio immenso di possi-bilità progettuale ed ispirazione. Difatti, secondo il gruppo, nessuno ha mai comprato il made in Italy per le caratteristiche !siche dei prodotti, ma so-prattutto per l’idea e lo stile con cui sono concepiti i manufatti di valore. È nel disegno degli oggetti che sono incorporate la cultura e l’esperienze d’u-so. La storia ce l’abbiamo dentro; dobbiamo far-la uscire con le forme del prodotto tessile-moda. Purtroppo questo asset è a rischio. Secondo Dino “Abbiamo perso la sensibilità delle sartine”. Tali temi saranno approfonditi nei casi studio. Rispet-to al tema del Made in Italy Per Tiziana “Bisogna riportare la produzione in Italia, stiamo cedendo tutto il know-how e la nostra tradizione e non ci rimarrà nulla, loro sono diventati bravi e si arric-chiscono, noi, invece diventiamo poveri. I parte-cipanti alla ricerca suggeriscono di valorizzare e sviluppare progetti ed associazioni quali “Made in Italy” - l’Associazione per la promozione e la tu-tela del Made in Italy è un’istituzione a carattere culturale che mira, senza alcun vincolo territoriale, alla missione culturale della diffusione, promozio-ne e salvaguardia della “qualità ed eccellenza del prodotto italiano” in ogni forma e con ogni mezzo, sia al proprio interno tra gli stessi associati, che, all’esterno (http://www.associazionemadeinitaly.it). Il tema del presidio dei processi produttivi si interseca con quello altrettanto caldo della localiz-

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zazione geogra!ca della produzione. Per prodotti che propongono ai clienti l’identi!cazione in uno stile di vita, la provenienza geogra!ca è spesso un elemento importante. L’etichetta che garantisce la realizzazione in Italia rappresenta un elemento im-portante della proposta di valore aziendale. Alcuni autori sostengono (Kapferer, Bastien, 2010) che chi compra un prodotto di eccellenza porta a casa con esso un pezzetto della sua terra e della sua cultura d’origine e che quindi quando si rialloca la produzione, magari per inseguire riduzioni nel costo della manodopera impiegata, si ottengono solo prodotti senz’anima. C’è però una posizione opposta a questo ragionamento, che si interroga se per la maggior parte delle aziende il Made in Italy non sia in realtà un “falso mito” che distoglie l’attenzione da altre priorità (Pambianco, Testoni, 2008). Il Made in Italy non può avere valore per il consumatore come mero richiamo a una tradizio-ne produttiva locale, se al di là dell’etichetta le ca-ratteristiche del prodotto e del sistema che hanno contribuito a realizzarlo non mantengono un effet-tivo legame con la tradizione. Inoltre, come affer-ma Cristina Polini di Branded Apparel Italy “delo-calizzare in Cina include tanti approcci diversi: noi perseguiamo la stessa qualità e la stessa attenzio-ne alle condizioni lavorative di come avveniva in Italia, ci sono realtà che producono in Italia con management e lavoratori cinesi così come il mo-dello organizzativo adottato”. Emerge dalla sessio-ne di gruppo l’ipotesi di adozione della strategia di NearShore Production, ovvero la regionalizzazione delle produzioni, il Nord Africa per l’Europa, l’Asia per l’Asia ed il Sud America per l’America. “Se si interrompe la !liera si rompe tutto, non ci sono più le !lature, poi le tessiture…”.

4. Channels

Per Cristina Polini di Branded Apparel Italy si può parlare di innovazione nella distribuzione “dob-biamo cercare di creare una shopping experience sempre nuova e diversa”. Lovable ha una catena di negozi propri. Secondo Cristina una parte con-siderevole della produzione del valore del bene venduto avviene attraverso l’esperienza nei con-testi di acquisto (tipico il caso di Abercrombie & Fitch). Le sensazioni generate dall’atmosfera del punto vendita, i profumi, la musica, la scenogra!a, l’interazione con il personale di vendita e con gli altri clienti sono elementi fondamentali nel genera-re il valore percepito dal consumatore. Non è quin-di corretto distinguere la de!nizione del marketing del prodotto da quella del marketing del servizio vendita, dal momento che bene e servizio sono solo due elementi, o fornitori di esperienza, che contribuiscono a generare la stessa esperienza. Infatti molti aspetti legati alla distribuzione, sono stati indicati sia nel blocco “channels”, sia nelle “key activities” e diventano anche strategici per in-staurare rapporti speciali con i propri consumatori. Questa progressiva presa di coscienza del ruolo assunto dal punto vendita testomoniata da Cristi-na è conseguenza anche dell’esigenza di maggio-re controllo di quella parte del processo nella qua-le avviene l’interazione con il consumatore !nale. Il canale diventa un’altra occasione cruciale (touch point) di ascolto e bacino di conoscenza relativo al consumatore. Tale conoscenza non è fatta solo di informazioni facilmente codi!cabili e riassumibili in tabulati, gestibili in questo caso facilmente da intermediari. La conoscenza in questione è a volte ambigua od addirittura tacita, va rilevata in modo so!sticato, interpretata ed utilizzata come imput del processo innovativo. Essa richiede un’intera-zione complessa oltre che una visione di fondo

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comune tra i soggetti che devono scambiarla. Anche per Alice e Paola di Loro Piana questo pas-saggio alla gestione diretta – integrazione verticale – rappresenta un’opportunità di crescita di fattura-to e di utili a parità di consumatori !nali serviti: l’in-tegrazione verticale “permette un controllo diretto su tutto il processo produttivo, dall’ideazione al prodotto finito”. Questa strategia permette di offri-re eccellenza al consumatore. Spesso però si sot-tovaluta il fatto che gestire una rete di punti ven-dita richiede la de!nizione di una chiara strategia retail oltre a competenze manageriali speci!che.La collaborazione con un partner può invece esse-re una via obbligatoria, come propone Bruna Pe-trolo di Mistral, “per chi non dispone delle risorse finanziarie o, come per il nostro caso, per la fase di entrata in nuovi mercati, in cui, a prescindere da particolari normative che impongono la condivisio-ne della proprietà con soci locali, è essenziale per conoscere aspetti specifici relativi a quel mercato” dove localizzare il punto vendita, facilità di nego-ziazione… Tod’s, ad esempio, adotta prevalente-mente una rete diretta per Europa e Stati Uniti, ma ricorre in misura maggiore a negozi in franchising per il Far East.Un altro canale indicato dalle aziende intervistate è Internet, tale canale è da considerarsi, nei casi intervistati, come complementare a quelli tradi-zionali. Senza dubbio af!darsi a negozi on line (tipo Yoox) consente di facilitare lo smaltimento delle rimanenze ma è necessario essere attenti a mantenere un controllo rigoroso sull’immagine dei brand. E’ inoltre emerso quanto sia importan-te la capacità di gestire con ef!cienza non solo le spedizioni ma anche i rientri della merce; si tratta quindi di attività complesse, spesso ancora poco comprese.

4. Segmenti target e la Customer Re-

lationship

E’ interessante notare come i consumatori, al di là di una sintetica descrizione, sono posizionati come key partners in quasi tutti i casi analizzati. La customer relationship diventa il mezzo con cui co-struire dei legami in cui il rapporto umano diventa cruciale per consolidare legami di !delizzazione e !ducia. “I consumatori possono stimolare presen-tando dei loro problemi e il legame di collaborazio-ne che si instaurava con i consumatori prima era un atto più formale che altro, ora, invece, diventa strategico” Franco Ghiringhelli.

Il prossimo paragrafo presenta un’intevista svolta a Chiara Colombi, docente del Politecnico di Mila-no rispetto ai nuovi trend nel settore Tessile Moda. Si è deciso di riprodurre per intero tale passaggio della ricerca con l’intento di creare un ponte tra la ricerca sul campo che ha coinvolto aziende “ma-ture” ed estremamente eterogenee tra loro e realtà emergenti. E’ stato chiesto a Chiara Colombi di esprimersi sugli aspetti più rilevanti emersi dalla tecnica del Business Model Canvas. Alcune del-le aree sono successivamente sviluppate nei casi studio.

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Intervista a Chiara Colombi, PhD

Opinion Leader ed esperta in trend research e prassi di co-struzione di conoscenza nel progetto dei prodotti moda e nei settori design oriented - Politecnico di Milano.

1. Secondo lei, il tessile-moda è un settore aperto all’innovazione e se sì, in che modo?Il tessile-moda è aperto all’innovazione dal punto di vista industriale, nello sviluppo e realizzazione dei processi produttivi e nella messa a punto di nuovi prodotti. E’ attento all’implementazione del servizio, con particolare attenzione alla logistica e ai tempi di consegna che, allorchè il prodotto non è differenziato, determinano il successo di un’im-presa. Ancora poco interessante il livello di inno-vazione creativo-simbolico offerto dalle imprese tessili che demandano al cliente la quasi totalità dello sviluppo di contenuti creativi, negando di fat-to il rapporto virtuoso tra designer ed industriale su cui è nato il modello di successo del made in Italy.

2. Quali sono, secondo lei, i trend più interessanti attualmente nel settore tessile-moda?Da sempre l’utilizzo di materiali sviluppati e uti-lizzati in contesti differenti (aeronautica, automo-bilismo, costruzioni, ecc) impiegati nel settore moda sia per le prestazioni tecniche offerte sia per lo scarto innovativo in termini estetici (vedi dalle ultime !ere di settore, Nettle, tela dal look jeans in !bra di ortica; Raden, tessuto con madreper-la, ecc). Più recentemente, la costante ricerca per l’implementazione delle tecniche di stampa digita-le (stampa ink-jet) stanno offrendo nuove oppor-tunità progettuali ibridando i linguaggi e i processi progettuali stessi, facendo si che la stampa non sia trattata più come un elemento super!ciale ap-posto “sopra” il capo una volta che esso è stato progettato ma che vi sia commistione tra le diver-se fasi e che la fase progettuale del “disegno” di-

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venti anzi un driver per la de!nizione del capo, nel-lo sviluppo stesso del cartamodello, funzionando quindi da detonatore dei signi!cati e dei contenuti proposti. Questo signi!ca che le aziende tessili rappresentano, o devono rappresentare potenzial-mente, non solo un attore industriale ma anche un attore creativo, concorrendo di diritto alle attività di progettazione anche del prodotto !nito.Ancora in riferimento agli strumenti digitali, la pro-gettazione parametrica, attraverso la scansione 3d dei corpi, stravolge completamente il classico approccio occidentale di progettazione bidimen-sionale da trasferire poi in tridimensionale. Questo ha una ricaduta importante anche nello sviluppo dei materiali tessili, spingendo sempre di più allo sviluppo di tessuti le cui performance !siche con-sentano di lavorare sul corpo secondo nuovi pa-rametri, svincolati dai classici sistemi di cucitura e giunzione dei vari componenti di cui un capo si compone. Da qui tutta la sperimentazione ed in-novazione anche sui materiali naturali classici che, anche nelle ultime !ere di settore, sono stati pre-sentati in nuove versioni più performanti (vedi lino stretch).

3. Dalla ricerca sono emersi alcuni fattori cruciali rispetto all’innovazione nel settore tessile moda, è in grado di suggerire dei trend per le seguenti aree?:

a. SostenibilitàAnche nel settore moda, come già nel settore de-sign, si sta passando dai concetti di eco-fashion e fair fashion al concetto di slow fashion, riferen-dosi al movimento Slow Food (food inteso quindi come settore design oriented) in cui si promuovo-

no i concetti di identità locale e know-how tradi-zionale come elementi di diversità e distinzione dalla standardizzazione di una produzione glo-balizzata. In particolare il riferimento al know-how tradizionale punta l’attenzione anche su una distinzione legata non solo a qualità produttive ma anche a qualità creative e progettuali tipiche dei saperi taciti incorporati nelle pratiche artigia-nali. Il concetto di sostenibilità si estende quindi ad azioni di supporto delle identità e delle tradi-zioni grazie alla loro divulgazione e promozione presso il consumatore !nale, alla ricerca di una motivazione da attribuire al “prodotto a km zero”. Il consumatore, attraverso questo processo edu-cativo, è in grado di scegliere coscientemente e attivare un processo di signi!cazione dell’ogget-to che conferma il valore simbolico del prodotto moda.

La valorizzazione delle produzioni locali è stato un elemento sottolineato anche a livello com-merciale nelle ultime !ere di settore (Pitti Filati) con l’inserimento di !lati da velli autoctoni prove-nienti da Piemonte, Sardegna, Toscana, Calabria che offrono particolari caratteristiche di mano e !nezza.Più letteralmente legato al concetto di eco fashion invece il tema della tintura naturale, la

S O ST E NIBILITA’

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cui pratica tuttavia risulta essere interessante, al di là degli elementi positivi a livello di sostenibilità ambientale e benessere, perché portatrice di nuo-vi signi!cati dal punto di vista progettuale, quali lo sviluppo di un’”estetica dell’errore e dell’imper-fetto” che sovverte i tradizionali canoni estetici e logiche creative. Il processo di tintura naturale de!nisce un nuovo signi!cato per la variabile tem-porale, sia nei processi di creazione e produzione sia nei processi di consumo, offrendo una contro-proposta interessante al modello fast-fashion (sia esso inteso come modello di business sia esso in-teso come modello di processo creativo).

b. Tradizione/know how In riferimento anche a quanto affermato nel punto precedente, i contenuti tipici dei saperi tradizio-nali, legati, nel settore della moda soprattutto al concetto di artigianato, rappresentano da sempre una fonte di ispirazione importante. Se negli ultimi 10 anni abbiamo assistito ad illustri esempi in cui l’artigianato e/o i processi artigianali/tradizionali hanno rappresentato un elemento di innovazione estetica e simbolica importante nel settore della moda (es. Lasabui per Prada – 2003; Antonio Mar-ras e artigianato sardo), è interessante osservare come oggi l’artigianato rappresenti un contenuto che non è suf!ciente per stimolare l’innovazione e/o il consumo se !ne a se stesso ma come sia necessario un processo di nuova signi!cazione di tali contenuti nel prodotto contemporaneo e quin-di come la capacità progettuale del designer sia fondamentale per attualizzarne il ruolo.

c. Localizzazione (è emerso l’interesse di riportare le produzioni in Italia o applicare strategie di near shore production)Più che di un trend parlerei di una necessità del settore tessile e più in generale moda italiano (o

ancor meglio di tutti i settori design oriented che de!niscono il Made in Italy) per far fronte alla crisi e far ripartire processi di innovazione. La corsa alla delocalizzazione per motivi di ordine economico ha da tempo mostrato i propri limiti e conseguen-ze estremamente negative con la conseguente perdita di identità e qualità del prodotto italiano e know-how produttivo del territorio.

Resta ancora da capire come rimediare alla man-canza di artigiani per far fronte a questa rinnovata esigenza produttiva su territorio nazionale dopo decenni di politiche di disinvestimento.

d. Distribuzione (diretta/indiretta…)Oltre ai trend consolidati dei grandi gruppi, nono-stante le dif!coltà strutturali che il sistema italiano pone nella creazione e gestione di nuovi marchi, è possibile riconoscere, da un lato, la nascita di nuovi brand emergenti che si rivolgono a merca-ti locali o comunque nicchie costruite attraverso il passaparola o i social network e l’ecommerce e dall’altro, marchi emergenti che, volendo con-centrare attenzione e sforzi nel processo creativo, si af!dano a una distribuzione indiretta entrando all’interno di format e brand altri (vedi esperienza Via Spiga 2 – Dolce&Gabbana) godendo dei bene-!ci comunicativi connessi. Rispetto a quest’ultimo

LO CA LIZ Z A ZIO N E

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sistema si tratta sostanzialmente di un processo di funzionalizzazione del tipico modello distributi-vo italiano, basato su piccoli negozi locali in cui la selezione è curata direttamente dal proprietario sulla base della sua conoscenza diretta del merca-to. Possiamo dire che si stia assistendo al conso-lidamento di una !gura di direttore creativo anche nella distribuzione (vedi anche esperienza Antonia – Milano e Antonia per Excelsior), superando così le mere logiche di acquisto e approvvigionamento in base a dati di vendita.

e. comunicazione della modaCome ri#esso di questa grande attenzione alla sfera del “naturale”, anche la comunicazione moda si orienta a linguaggi visivi e retorici naturali, quotidiani, colloquiali, con!denziali. Grande ritor-no della tecnica dell’illustrazione sia sulle riviste sia nel digitale (vedi GarancèDorè, blog tra i più interessanti, la cui autrice è tra l’altro la compagna di Scott Schuman di thesartorialist).

4. Ritiene che l’innovazione pos-sa essere generata dall’apertura dell’azienda all’esterno? Conosce nuovi trend di partnership? Consor-

D IST RIB U ZIO N E

zi, filiera, distretti… Come già ricordato, il modello di successo del Made in Italy è nato negli anni ’50 grazie alla re-lazione virtuosa tra soggetti creativi e soggetti industriali, con la creazione di !liere del progetto in grado di innovare a partire da un punto della !liera stessa ma trasversalmente ad essa grazie a rapporti collaborativi e di condivisione della cono-scenza. Credo che questa sia ancora un modello interessante e valido. Esistono esempi interessan-ti che attuano questo modello quali il progetto di !liera BOND-IN che propone una ricerca d’avan-guardia relativa all’applicazione della termosalda-tura nella maglieria. Una ricerca dal concept del designer Pierluigi Fucci, realizzata grazie alla col-laborazione di aziende di eccellenza come Filatura Cariaggi, Lineapiù, Magli!cio Matisse, Mely’s Ma-glieria, Jakob Schlaepfer, Lyria, Raccagni, Framis Italia, Coronet, Bond Factory, Macpi e curata da Dyloan studio.

5. Può indicarci dei trend/casi di user innovation in cui le aziende co-producono con i propri consumato-ri/partner?I processi di co-progettazione attuati da Eurojer-sey S.p.A., azienda leader a livello mondiale nel tessuto indemagliabile per intimo e beach wear, che, all’interno del proprio uf!cio creazioni ha at-tivato workshop ad hoc con i propri clienti (tra i quali Marks&Spencer, Victoria Secrets, Speedo, tra gli altri) per la coprogettazione di collezioni tes-sili in esclusiva. Questo riferimento è molto inte-ressante se si considera che Eurojersey produce sostanzialmente un monoprodotto e quindi rico-nosce l’importanza della progettazione a livello di sistema prodotto per garantire una continua inno-

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vazione.Più che altro in riferimento al settore moda allar-gato, esistono numerosi esempi in cui, grazie a piattaforme digitali, è l’utilizzatore !nale a costru-ire il proprio prodotto. Si tratta sempre di prodotti nella fascia medio-bassa del mercato o comunque prodotti basici rispetto ai quali viene sottolineato il desiderio di personalizzare il prodotto.

6. Conosce delle modalità di facili-tazione dell’innovazione all’interno dell’azienda? (Come si può struttura-re e facilitare l’innovazione all’interno di una azienda del tessile-moda? Ci sono casi di Idea management/inno-vation management/crowdsourcing/ consulenze/formazione specifica?).Gli strumenti web 2.0 non sono ancora utilizzati in tutte le loro potenzialità dalle aziende del settore tessile-moda che tradizionalmente sono refrattarie all’aggiornamento informatico sia dal punto di vi-sta della capacitazione delle risorse umane sia dal punto di vista delle dotazioni strumentali. Tuttavia il web 2.0 potrebbe offrire interessanti soluzioni per la condivisione di conoscenza, in particolare nelle prime fasi del processo creativo, durante il reperimento di informazioni e raccolta dati, per viabilizzare le informazioni all’interno dell’azienda e della !liera, addirittura con i clienti stessi e im-plementare l’attività di sviluppo di nuovi contenuti. Questo renderebbe anche più autonome le impre-se nella de!nizione dei contenuti creativi, sollevan-dole dall’obbligo oneroso - ansia improduttiva di af!darsi a consulenti e trend book. Inoltre queste forme di condizione rappresenterebbero anche un interessante mezzo di archiviazione del materiale,

rendendo fonti e contenuti più facilmente consul-tabili e riducendone quindi l’obsolescenza.

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Tre casi studio per il futuro del sistema modaIn questa parte verranno presentati tre nuovi pro-getti, degli ultimi 3 anni, che sono costruiti intorno ad alcuni dei principi individuati in questa ricerca come tendenze emergenti per il futuro, quali la riscoperta dei valori tradizionali e locali e l’aper-tura a nuovi metodi di condivisone e comunica-zione verso l’esterno. Queste tendenze, che sono in linea con quello che è stato proposto"da Ezio Manzini de!nito “lo scenario SLOC” ( Small, Local, Open and Connected), traggono la loro ispirazione da “know how” locali e tradizionali, e la loro forza e resistenza dalle nuove tecnologie che facilitano la connettività e la condivisone.

“Questi quattro aggettivi, infatti, sintetizzano molto bene il sistema socio-tecnico su cui si basa que-sto scenario: un sistema di produzione e consumo distribuito, dove il sistema globale è una “rete di sistemi locali”. E’, cioè, una rete di sistemi locali, la cui piccola scala li rende comprensibili e controlla-bili da parte di individui e comunità”. Ezio Manzini - Politecnico di Milano

Original text:(“These four adjectives, in fact, synthesise very well the socio-technical system on which this scenario is based: a distributed production and consumption system where the global is a “network of locals”. That is, it is a mesh of connected local systems the small scale of which makes them comprehensible and controllable by individuals and communities..”)

Tutti e tre i casi hanno lo scopo di Empower- Po-tenziare le persone, offrendo loro conoscenze, accesso alla tecnologia di produzione, il supporto di una rete di colleghi ed una piattaforma su cui realizzare, produrre e condividere il proprio lavoro. Tutti e tre sono nati da una visione critica dei limiti del sistema esistente di produzione e consumo e dalla volontà di trovare nuovi modelli per il futuro che sono più sostenibili, sia dal punto di vista am-bientale sia sociale.

SMALL LOC AL

C ONNE CT EDO P E N

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Caso 1 - OpenwearIl primo caso descritto è Openwear. Il progetto, in corso di sviluppo da EDUfashion, è un Brand col-lettivo che offre ai suoi partecipanti la possibilità di aprire il loro spazio e pro!lo web ed accedere ad una serie di strumenti e informazioni utili per migliorare la propria attività.

Per la Fondatrice Zoe Romano “L’idea del Brand collettivo è nata per dare una soluzione ad un pro-blema concreto, quello della sovraproduzione di soggetti creativi che escono dalle università di de-sign e di moda !e che non possono essere assor-biti nel mercato del lavoro”.

Il progetto è aperto a piccoli produttori di moda, stilisti, designer, studenti, sarti, fotogra!, artigiani ma anche laboratori di serigra!a, sewing cafè e scuole di moda che cercano un modo più dina-mico per produrre con meno investimenti iniziali e più libertà creativa basato su un network di colla-borazione e condivisione di informazione e risorse. Il modello di organizzazione distribuito è nato per dare più visibilità ai piccoli laboratori che spesso

F O R Z A D E I N E T WO RK

non riescono a essere sostenibili economicamen-te.

Per Zoe “Il fatto di condividere protegge i piccoli produttori e permette di dare la paternità all’idea perché, a fronte di maggiore visibilità, è difficile copiare una idea. Il network dà questa forza ai suoi partecipanti“.

Il Progetto offre in più la possibilità di essere parte

della prima collezione sotto un brand open source, partecipata e prodotta in modo distribuito, i cui ri-sultati verranno condivisi gratuitamente in modo che possano essere scaricati, adattati e prodotti in contesti diversi.Il progetto é nato da un network internazionale

F ILL T H E GA P

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che è stato creato in un altro contesto (quello del Mayday) e che condivideva gli stessi valori e pro-blemi e dal collegamento ad altri che interpretano il modo di pensare e lavorare anche in campi di-versi: opensource, fabbing, distributed manufac-turing, hacker space... l’ispirazione per il progetto infatti viene dal mondo dell’opensource software.Openwear cerca di riempire il “gap” che c’è tra il Fast Fashion ed il high fashion con dei prodotti che trovano equilibrio tra la manualità e il sarto locale in piccoli numeri ed il prezzo competitivo attraver-so le nuove tecnologie di produzione distribuita, proteggendo così il “Know how tradizionale” ma adattandolo alle nuove technologie. Per Zoe “Il “saper fare” è fondamentale !per ca-pire la qualità di quello che hai in mano, però non parlerei di tornare in dietro ma di non far morire e di far evolvere l’idea di craft e di ibridarlo con la tecnologia”.

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Caso 2 - VectorealismIl secondo caso è quello di Vectorealism. Se il primo offre strumenti virtuali e supporto di net-working questo servizio offre supporto tecnico di produzione attraverso le nuove tecnologie di cui parlava Zoe Romano di Openwear. Nello speci!-co, è un servizio di digital fabrication che consen-te a chiunque abbia un disegno vettoriale di poter produrre un oggetto vero utilizzando materiali pla-stici, legno, pelle o cartone, e riceverlo poi a casa. Il sevizion usa un laser cutter, che consente di ta-gliare con estrema precisione i materiali in base a quanto contenuto nel disegno vettoriale.Per la fondatrice Eleonora Ricca il punto di forza magiore del servizio è l’accessibilità “il processo è talmente semplice che può essere utilizzato re-almente da chiunque abbia necessità o voglia di produrre un oggetto, non solo da professionisti del design”.

Il servizio usa un software sviluppato da Ponoko per offrire preventivi in tempo reale direttamente dal sito web di Vectorealism, il software valuta i !le dal punto di vista tecnico al momento dell’upload,

indicando eventuali errori e la relativa soluzione. In questo modo l’utente che si avvicina per la prima volta alla digital fabrication può avere immediata-mente una veri!ca tecnica, visualizzando precisa-mente e prima di ordinare il prezzo e avendo la certezza che il !le caricato sia corretto e possa essere inviato alla macchina senza inconvenienti.

L’idea per il sevizio deriva dall’esperienza per-sonale di Eleonora: “avendo una formazione da designer, ho sperimentato in prima persona i pro-blemi e le difficoltà legati al passaggio dall’idea al prodotto, scoprendo queste nuove tecnologie pri-ma di tutto come utente. Negli ultimi anni poi si è parlato molto di fabbing anche presso un pubblico non specializzato, soprattutto grazie all’evoluzio-ne tecnologica di alcune modalità di produzione come la stampa 3D. Questo mi ha spinto ad aprire un’impresa che offrisse in Italia servizi innovativi di questo tipo”.

Il progetto nasce anche da una visione critica del sistema moda esistente “La mia sensazione è che la filiera produttiva sia ormai organizzata con un approccio teso soltanto alla riduzione dei costi, anziché alla specializzazione. Spesso grandi azien-

AUTO P R O D U ZIO N E

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de utilizzano piccoli laboratori non come bacini di competenze specialistiche e creativitià artigianale, ma soltanto come sub-fornitori ai quali è possibille “scucire” condizioni di pagamento più vantaggio-se. Questo mi sembra un gioco a perdere per l’in-tero sistema moda. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: disoccupazione, perdita di competenze e una generalizzata “crisi d’identità” del made in Italy e dei suoi valori fondanti.La mia speranza è ovviamente in un futuro in cui sempre più consumatori finali apprezzino l’auto-

produzione. Credo sia un trend in crescita, sopra-tutto negli Stati Uniti, e che valga la pena tenerlo d’occhio”.

Il progetto Vectorealism fa parte di un movimen-to crescente nel mondo che vede la diffusione di strumenti di autoproduzione come una rivoluzione simile a quella che è venuta con la difusione dei PC. Eleonora racconta di un futuro possibile in cui una stampante 3D sarà collegata ad ogni compu-ter ed ognuno potrà produrre gli oggetti di cui ha bisogno a casa, rapidamente, disegnando da zero o attingendo a librerie di modelli disponibili in ma-niera open. Secondo Eleonora “La produzione on demand

funziona egregiamente per i designer, per gli uten-ti, e può funzionare anche per i produttori. Per alcuni metodi di fabbricazione la produzione one by one è sicuramente attuabile e può rendere più snello tutto il processo produttivo. In un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo è necessario imparare ad essere flessibili, anche per le aziende.”

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Caso 3 - La mimiIl terzo caso, La Mimi, è direttamente collegato alla volontà di proteggere e distribuire il “saper fare” sartoriale tradizionale. Nello speci!co è sta-to ricostruito un archivio personale creato dalla nonna della fondatrice Ana Palacios negli anni di esperienza sartoriale. Tale !loso!a è coerente con quanto afferma Dino di Gennaro - Gir + A&F “Ab-biamo perso la sensibilità delle sartine”. Per Ana Palacios il progetto nasce dal desiderio di disporre degli insegnamenti di sua nonna a porta-ta di mano, di poterli condividere con altri; nasce inoltre da una critica alla cultura del consumo at-tuale. Ana Palacios crede che insegnare alle per-sone a produrre i proprio vestiti signi!chi educare i consumatori alla complessità e ricchezza coinvolti nel processo.

AUTO E D U CA ZIO N E

Ciò genererà più rispetto verso i propri capi ri-ducendo il consumo di prodotti caratterizzati dal “fast fasion” che, secondo Ana Palacios, assomi-glia oggi più al mercato del “Fast food” piuttosto che a quello sartoriale con capi che diventano

quasi degli “usa e getta”.Ana Palacios voleva trovare un modo facile ed in-tuitivo per distribuire il “cultural heritage” di sua nonna ad un gruppo più ampio possibile di per-sone.

Il progetto “La Mimi” è diviso in due parti, nella prma le persone imparano a fare i vestiti attraverso video tutorial online usando i carta modelli di base creati dalla nonna, scaricabili dal sito gratuitamen-te. In più la gente può acquistare il carta modello prefatto per i vestiti più complicati creati da altri utenti del sistema. L’altra parte del sistema è co-stituito da un laboratorio di cucito dove le perso-ne dispongono di tutti gli strumenti di cuipossono

PATRIM O NI O C ULT URALE

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avere bisogno per realizzare i vestiti.Il sistema permette la vendita di carta modelli di-gitali generati dagli utenti professionali offrendo così una piattaforma su cui mostrare e vendere il proprio lavoro.

Ana Palacios descrive un trend in crescita in cui i consumatori diventano sempre più attivi e im-parano a fare più cose per se stessi per crearsi uno stile unico. In più c’è sempre una maggiore sensibilità alla sostenibiltà ambientale, un modello in cui i “pattern” digitali per i vestiti possono viag-giare ovunque nel mondo per essere poi prodotti in modo locale con risorse locali prevede meno spreco di energia per il trasporto ed un uso più responsabile delle risorse locali.

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Sintesi del percorso intrapreso

L’innovazione non è un atto creativo isolato, frutto di improvvisazione; è invece una rigorosa discipli-na della mente, un’organizzazione tutta orientata a questo scopo, in una parola un metodo. In sintesi ci siamo chiesti se l’innovazione sia solo la parola d’ordine del momento e, se veramente è percepita come strategica da parte dell’azienda, quali sfor-zi/strumenti/risorse sono destinati per stimolarla? Queste sono le domande a cui il lavoro cerca di dare una risposta con l’obiettivo di sistematizzare i fattori chiave piuttosto che aggiungere nuovi tas-selli ad un tema estremamente articolato.12 aziende hanno lavorato insieme attraverso 1 workshop analitico-creativo, e 11 interviste indivi-duali. Sono state utilizzate tecniche visive per condivide-re e generare idee. Carte magiche, Mappe cogni-tive; Matrici di posizionamento, Collage, Business Model Canvas per stimolare e condividere le idee, che hanno generato una mappa di viaggio dell’in-novazione aziendale che inizia con dei moventi ed in modo circolare genera degli output. La mappa aiuta ad orchestrare le diverse componenti. Para-dossalmente le Crisi rappresentano un movente formidabile: è la creatività che viene solo quando si è con le spalle al muro. La chiave di questo studio sembra essere rappre-sentata dal capitale umano ovvero la centralità dell’uomo che deve essere considerato come un !ne e non come un mezzo all’interno delle orga-nizzazioni. Le nuove tecnologie, per quanto ela-borate, non bastano. Abbiamo bisogno però di essere “attrezzati”, di vedere relazioni tra settori diversi ed essere in grado di collegarli. Osserva-zione - Apertura mentale - Capacità analitica- In-telligenza rispettosa - Perseveranza davanti agli

ostacoli - Capacità di comunicare e Motivazione sono gli ingredienti strategici.Secondo la ballerina, cantante, attrice Josephine Baker è necessario fare le cose con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo. Senza innovazione nei comportamenti non c’è in-novazione e senza motivazione e coinvolgimento non c’è cambiamento dei comportamenti. L’azienda, in!ne, deve offrire le condizioni per sti-molare le persone. Quali? Se l’innovazione risiede nell’abilità di vede-re relazioni là dove non ne esistono ancora, come propone Thomas Disch, allora l’azienda deve cre-are una struttura permeanile verso l’esterno. La valorizzazione della diversità, la tolleranza verso l’errore; premiare incentivando autonomia e re-sponsabilizzazione sono gli ingredienti che nei fatti devono essere perseguiti per creare una cultura aziendale all’innovazione. Non c’è innovazione senza comportamenti innovativi. E come crearli? La ricerca sembra suggerire che la “contaminazio-ne” dell’innovazione in azienda avvenga in modo multi-centrico peer-to-peer P2P, attraverso una le-adership diffusa, e non con approcci persusasivi top-down ma neanche bottom-up.

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Ringraziamo per la grande disponibilità e la generosa partecipazione: Maurizio Zucchi - ZucchiLuigi Magnaghi - ZucchiSilvia Costa - ZucchiCristina Polini - Branded Apparel ItaliaAnna Ricotti - Branded Apparel ItaliaTiziana Musa - GIR A&FDino di Gennaro - GIR A&FMichela Garnero - Stamperia Serica ItalianaPaola Molino - Loro PianaAlice - Loro PianaFranco Ghiringhelli - Franco GhiringhelliChiara Colombi - Politecnico di MilanoAna Palacios - La MimiPier Francesco Martigli - PicciPaola Cherubini - PicciZoe Romano - OpenwearEleonora Ricca - VectorealismBruna Petrolo - Mistral

La ricerca è stata realizzata nell’ambito del piano settoriale nazionale !nanziato da Fondirigenti,promosso da SMI e Federmanager e realizzato da Soges in collaborazione con XploraLabAvviso 1/2011 - FDIR 3160 - Fashion Management Way.

Responsabili scientifici: Rebecca Pera e Cabirio Cautela Coordinatore: Silvio Colpo Ricercatori: Daniel Metcalfe, Elena AssandroDesigner: Judit Boros