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STORIA DI VECCHIANO Il campanile della Chiesa di S.Alessandro a Vecchiano.

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STORIA DI VECCHIANO

Il campanile della Chiesa di S.Alessandro a Vecchiano.

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Introduzione

Il territorio del Comune di Vecchiano si estende per 67,27kmq. Pur nelle sue dimensioni piuttosto modeste, abbraccia paesaggi dalle tipologie naturalistiche diverse. Il territorio del Comune si estende infatti sulla parte meridionale dei monti d'oltre Serchio e in quella settentrionale nella pianura di Pisa a destra del fiume stesso, confinando a sud ed est con il corso del fiume e a nord lungo il monte di Filettole. Esso passa dai monti, non certo così definiti per la loro altezza (toccano appena i 204m) ma per la loro costituzione, in prevalenza calcarea che conferisce loro una pietrosità particolare e pendii piuttosto ripidi, alla pianura di Pisa con l'ampia fascia dei cordoni sabbiosi del litorale.

L'area del comune di Vecchiano si presente ampiamente antropizzata pur essendo nell'insieme scarsamente popolata. I centri abitativi fiancheggiano il Serchio mentre per il resto l'area del comune non presenta che case padronali e coloniche sparse. Questa disposizione è conseguenza del fatto che solo i terreni delle alluvioni vicino al Serchio presentano buone caratteristiche agricole e che fino a tempi recenti le terre del padule si estendevano per gran parte della pianura centrale. Con le operazioni di prosciugamento degli anni '30 le aree paludose finirono relegati a una fascia di poche centinaia di metri lungo l'orlo del Lago di Massaciuccoli. Già operazioni più antiche, alcune risalenti addirittura al basso medioevo, avevano diminuito la zona dei terreni ad assetto spontaneo. Il grande padule centrale è stato trasformato in un'ampia distesa di campi solcata da innumerevoli canali e fosse di gronda e mantenuta asciutta dalle idrovore.

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I terreni della Storrigiana, Traversagna e Lama Torta e quelli delle Tagliate sono stati sollevati con il metodo delle colmate. L'alveo del Serchio è stato tagliato in alcune sue anse per accelerare lo scorrimento delle acque di piena e dotato di potenti argini per tutto il suo corso. Tale operazione è stata ripetuta almeno dal XVII secolo e ha portato il fiume a essere pensile su tutto il percorso nell'area comunale favorendo il pericolo di esondazioni. Anche nel territorio montano si sono avuti interventi umani. I monti sono stati terrazzati in tutti gli affioramenti di calcari stratificati con la costruzione di muretti a secco per trattenere la terra rossa proveniente dal residuo della dissoluzione degli strati calcarei. Quest'operazione ha permesso l'impianto di oliveti. L'espansione dell'attività di cava ha distrutto ampie zone del monte cancellando anche parti notevoli della sistemazione a terrazzette. In alcune pareti di cava abbandonate, grosse fessure conseguenti allo scoppio delle mine costituiscono un reale pericolo per frane di crollo.

Piantina che indica l’attuale posizione di Vecchiano nel territorio toscano.

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Preistoria

Vari reperti archeologici attestano la frequentazioni delle aree della zona di Vecchiano fin dall'età preistorica. Tali frequentazioni sono legate soprattutto alla particolare conformazione geografica (vd. introduzione) e alla storia delle ricerche. Le montagne sono infatti molto vicine ad una zona acquitrinosa che ha subito nel tempo numerosi fenomeni di regressioni marine, per cui le ricerche furono, in un primo tempo, indirizzate verso le grotte di cui è ricca la zona, al fine di raggirare la difficoltà nel reperire giacimenti nella fascia pianeggiante. I primi a compiere scavi ed esplorazioni in queste zone furono C. Regnoli e A. D'Achiardi che nel 1867 operarono nella grotta del Castello di Vecchiano e in grotte delle Alpi Apuane. All'inizio della scienza paletnologica era privilegiato lo scavo delle grotte in quanto si era certi di rinvenire in essi reperti che permettessero di ottenere una sequenza diacronica delle culture in un area definita, come primo passo per la ricostruzione della storia antica. Nella grotta del Castello fu rinvenuto uno dei complessi materiali più ricchi della zona, specie per quanto riguarda le forme vascolari, gli ornamenti e gli oggetti in metallo. Sono state rinvenute anche ossa che hanno attestato la sepoltura, nella grotta, di almeno 9 individui adulti e un bambino, questo a confermare che la grotta nell'Enolitico,

veniva usata come luogo di sepoltura. In seguito gli scavi nel territorio di Vecchiano sono stati limitati e solo negli anni 70 è stato esplorato nuovamente il territorio facente strettamente parte del territorio comunale. Gli scavi effettuati allo spacco delle Monete e nelle grotte dell'inferno, della scaletta e del Borghetto rientravano in un più ampio movimento di interesse esteso a tutta la Toscana con lo scopo di individuare non solo gli aspetti funerari ma anche i tipi di insediamento che sono necessari per definire i nessi fra modelli socioeconomici delle comunità preistoriche e l'ambiente. Con l'età del rame (III millennio) si assiste ad un forte aumento delle frequentazioni in tutta la regione, testimoniato però soprattutto da un gran numero di sepolture in grotta, mentre molto scarsi sono i dati relativi agli insediamenti di genti portatrici di nuove tecnologie, quale ad esempio la lavorazione dei metalli. Nelle grotte citate quindi si sono avuti ritrovamenti che hanno evidenziato l'uso delle cavità naturali come luogo di sepoltura da parte delle popolazioni enolitiche e dell'età del bronzo. Si ha addirittura il caso di una deposizione singola (piuttosto rara dato che i cadaveri rinvenuti in questa zona erano spesso sconvolti e ammucchiati in ammassi caotici a causa del successivo riutilizzo degli ambienti) nella Grotta dell'inferno di Vecchiano. Un giovane deposto in posizione rannicchiata sul fianco destro e munito di un corredo costituito da un vasetto,da una cuspide di freccia e da una collana costituita da 400 grani di calcare.

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Il quadro culturale della toscana nord-occidentale, per cui anche di Vecchiano, si differenzia infatti da quello a sud dell'Arno dove si hanno tombe a fossa scavate nella terra o nel tufo, coperte o rivestite da lastre contenti corredi in cui prevalgono le armi, litiche o metalliche. Il resto della documentazione rinvenuta nei siti della zona di Vecchiano è costituita da elementi riguardanti l'industria litica e ossea, tanto che nella grotta del Castello vi sono stati ritrovamenti di punteruoli e spatole, punte sbiecate e particolari punte coniche. Sono molto abbondanti anche gli ornamenti tra cui i più diffusi sono i grani di collana in marmo, calcare, steatite od osso. Gli oggetti di metallo non sono molto numerosi, ma data la loro scarsità in tutta la penisola, il nucleo rinvenuto nella sola zona di Vecchiano appare piuttosto cospicua. Nella zona del Castello sono stati rinvenuti un pugnale e un'armilla. La presenza di questi diversi tipi di oggetti in un'area così ristretta pone il problema dei rapporti con altre aree culturali, con la Valpadana e con l'Italia centrale tirrenica. La presenza di calcopiriti e minerali argentiferi nel massiccio apuano e lungo tutte le Colline Metallifere fino alla valle del fiume Fiora potrebbe spiegare la frequentazione del territorio toscano nell'enolitico. Riflessi di questa intensità e continuità di popolamento si colgono pertanto bene nel territorio di Vecchiano nonostante la limitatezza della documentazione esistente.

Si possono individuare in questo territorio 2 grotte sepolcrali (Inferno e Monete) in cui è attestata la presenza di bugne forate. I materiali di adorno della grotta dell'inferno rientrano però in un'ottica generale dell'enolitico, per cui non offrono elementi per una datazione più precisa. Nelle altre due grotte (Castello e Scaletta) e in parte del restante materiale dello spacco del monte è ben evidente la componente attribuibile al momento finale dell'enolitico, caratterizzato a vasi con decoro campaniforme e elementi di decorazione come piastrine di conchiglie che riconducono a quest'ambito culturale. Nella grotta del Castello sono stati rinvenuti anche elementi che attestano la presenza in queste aree nell'enolitico finale. Sono ivi presenti forme biconicheggianti e altre anse a nastro, elementi che si trovano in contesti che preludono l'età del bronzo. Tracce di quest'età sono individuabili in alcuni frammenti dello Spacco delle monete. Evidentemente in questo periodo le grotte non hanno più funzione sepolcrale avuta nell'enolitico, per cui le testimonianze divengono molto scarse. Scarse sono anche le tracce dell'età del ferro nel territorio circostante Vecchiano, documentate per ora da pochi frammenti alla Grotta della Scaletta, testimonianze di frequentazioni sporadiche di genti che abitavano la fascia costiera.

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Collana composta da grani di calcare rinvenuta nella grotta dell’Inferno, a Vecchiano e attualmente conservata nella

collezione D’Achiardi.

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Dalla tarda protostoria alla fine dell’antichità

Nello scorcio fra la fine dell'età del Bronzo e l'inizio dell'età del Ferro indizi del popolamento si colgono in un documento di eccezionale interesse: la ruota bronzea rinvenuta nel 1873 in loc. Troncolo, podere di Poggio a Padule, insieme ad un'altra ad oggi dispersa. Le due ruote, per le quali mancano dati relativi alle condizioni di giacitura e a eventuali associazioni, potevano appartenere a uno dei ripostogli contenenti materiali relativi alla prima età del Ferro individuati in più siti della fascia costiera tirrenica che va da Massa a Livorno. La ruota è probabilmente identificabile con una ruota di carro, anche se l'inquadramento cronologico e il luogo di produzione rimangono incerti. Esclusa la possibilità, per tipologia e stato di corrosione, che si possa trattare di un manufatto di epoca moderna o di epoca romana e dato il tipo di materiale usato, pare che il periodo di produzione sia necessariamente più antico. La fattura della ruota di Troncolo è rozza ed elementare, realizzata con tecnica di fusione in un unico pezzo, quattro raggi a sezione quadrangolare uniforme e ingrossamenti all'innesto con il mozzo.

Le ruote di Troncolo appaiono così poco funzionali, per queste caratteristiche, sono state attribuite a un carro di uso culturale o cerimoniale anche se non si può escludere che la loro presenza in ambiente italico sia da attribuirsi più al valore del metallo di cui era fatto che all'uso effettivo come carro. Potevano quindi costituire anche uno dei vari ripostigli della fine dell'età del bronzo e della prima età del ferro che caratterizzano il versante tirrenico da Massa a Livorno. Le ruote di Troncolo rappresenterebbero quindi la più antica attestazione di carro in Italia a sud degli Appennini.

Dalla fine del VII inizi VI fino al IV prima metà del III secolo a.C. la regione compresa tra l'Appennino occidentale, l'Arno e le Alpi Apuane conobbe una stabile occupazione ad opera di nuclei Etruschi. In questa zona in particolare, così come in tutta quella a nord dell'Arno, tali nuclei Etruschi si sovrapposero all'elemento ligure locale e potenziarono insediamenti portuali precari, ubicati in aree lagunari alla foce dei corsi fluviali, usati come appoggi lungo le rotte mercantili verso la costa ligure, provenzale e verso la Spagna meridionale.

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Uno o più nuclei abitativi gravitanti intorno al villaggio di S. Rocchino, nell'area dell'ex padule di Massaciuccoli, per cui nel territorio del Comune di Vecchiano subirono una progressiva acculturazione in senso etrusco che risulta percepibile attraverso attestazioni di ceramiche etrusche prodotte in imitazione anche localmente, di riti funebri (con segnacoli tombali in marmo a clava o emisferici) e soprattutto iscrizioni vascolari in lingua etrusca.

Il sito costiero individuato presso la cava Mori (Isola di Migliarino) può essere inserito nel sistema di approdi alto-tirrenici ubicati in aree lagunari o fluviali; il ritrovamento di un frammento di un'anfora databile per la morfologia dell'orlo, corto e ingrossato, nell'ambito del V sec a.C., per quanto sporadico,prova che l'insediamento era toccato da rotte commerciali etrusche.

A partire dalla fine del VII sec a.C. l'entroterra pisano a immediato contatto con la fascia costiera doveva presentare piccoli agglomerati sparsi, probabilmente a carattere precario, dei quali abbiamo testimonianza attraverso buccheri e ceramiche d'impasto d'importazione e di produzione locale. Le economie di questi gruppi si basava verosimilmente su attività agricole o pastorali, sulla caccia e la pesca e forse anche sulla lavorazione di minerali importati dalle zone metallifere etrusche.

Le caratteristiche del popolamento del territorio durante il IV sec. a.C. ci sfuggono, fatta eccezione per S. Rocchino, che continua a essere abitato durante tutto il secolo successivo. Sono stati rinvenuti anche materiali di origine etrusca nella zona di Massarosa, anch'essa nel Comune di Vecchiano. Con la fine del IV, inizio del III sec. a.C. in parallelo al declino dell'influenza etrusca nella zona dovuta forse al fatto che la fascia costiera offriva poca protezione in un periodo di forte instabilità politica e conflittualità che influì negativamente anche nei commerci marittimi. L'occupazione si spinge anche sulle fasce montuose, più facilmente difendibile da attacchi esterni. In questo panorama si inserisce il programma espansionistico di Roma attuato attraverso le guerre romano-liguri. Pisa, fedele a Roma durante l'invasione gallica del 225 a.C. e la seconda guerra punica, base militare romana nel corso delle spedizioni marittime e terrestri contro i liguri, entrò nell'alleanza romana nel corso del III sec a.C. e fu costituita a municipium dopo l'89 a.C. Dal II sec a.C. sino alla fine dell'evo antico il territorio della città si estese dal fiume Versidia (ora Versilia), fino ai fiumi Era e Fine (che conserverebbe il nome dell'antico confine fra territorio pisano e volterrano).

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Fino al tardo I sec a.C. il popolamento della zona si articolò in una serie di porti e insediamenti rurali per lo più di modeste dimensioni distribuiti in maniera irregolare a sfruttare le risorse del territorio, anche quello di Vecchiano. La deduzione di una colonia di veterani ad opera di Ottaviano, fra il 42 e il 27 a.C. comportò una ristrutturazione del contesto urbano e rurale. L'impianto cittadino venne regolarizzato secondo lo schema ortogonale tipico delle colonie contemporaneamente il territorio venne sottoposto ad una vasta centuriazione che, come di consueto, permise la bonifica di aree acquitrinose. Secondo studi nel territorio a nord di Pisa la centuriazione fu estesa fino al Serchio. E' stato accertato inoltre che tracce di limites aventi lo stesso orientamento sono state rilevate anche sulla destra del Serchio, nel territorio di Nodica e Vecchiano, fino alla riva del lago di Massaciuccoli (in età romana più esteso di oggi). Nel territorio circostante Vecchiano tracce del popolamento e dell'assetto rurale sono conservate in quattro fattorie romane, una delle quali ha restituito materiali, scarsi, riferibili a età medio e tardo repubblicana che potrebbero appartenere a insediamenti precedenti. Il limitato numero di frammenti e le condizioni del ritrovamento, non permettono di dedurre una continuità di occupazione. Le fattorie individuate anche nel resto dell'ager pisanus erano di dimensioni piccole e medie, alle quali facevano capo aziende che producevano per la sussistenza e per la vendita.

Le attività agricole e l'allevamento sul fondo e sui pascoli erano integrati con la pesca (in mare o nelle acque interne) e con la caccia. La fascia costiera ricca di acquitrini e terre agricole di pianura e basso pendio e boschi ad esse intersecati o estesi sul rilievo facevano si che fosse ricca di risorse. Fra la tarda repubblica e il primo impero, le fonti letterarie sostengono che il territorio pisano fosse celebre per la sua fertilità in particolare per la produzione cerealicola alternata al maggese o ai legumi in un ciclo di rotazione biennale. I lotti agricoli assegnati ai veterani nell'ager pisanus non è attestato, ma è verosimile che abbiano ricevuto da 25 a 50 iugera, in maniera proporzionale rispetto al grado militare dei veterani e al valore dimostrato in guerra. Almeno nella fase iniziale, quindi, si trattava di aziende piccole o medie alle quali comunque si intersecavano grandi proprietà come quella, nei pressi di Massaciuccoli, dei Venuleii Aproniani, famiglia di rango senatorio il cui nome è legato alla erezione e al restauro di opere pubbliche e alla produzione di tegole e anfore. Lungo l'antica linea di costa a nord di Pisa sono stati individuati più insediamenti corrispondenti a porti, fra i quali di grande spicco appare quello individuato in loc. Isola di Migliarino. Oggi ubicato a 4 km circa dalla riva, sulla destra del Serchio, coperto da 6/8 m di sedimenti alluvionali depositati nel corso di successive esondazioni del fiume, è stato scoperto nel corso casualmente per l'apertura di una cava di sabbia.

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I reperti, purtroppo privi di contesto, portati in superficie da un'idrovora sono estesi su un fronte di almeno 80 metri. Il sito era anticamente ubicato sul litorale, in corrispondenza di quella che era la linea di riva nel II-I sec a.C. e in prossimità di una foce fluviale identificata con quella del Serchio-Auserculum (ramo secondario del fiume:il principale confluiva nell'Arno a Pisa). Delle strutture dell'abitato sono stati recuperati resti di palificazioni lignee e tegole. Se il nome antico è sconosciuto, si trattava di un punto nevralgico nei collegamenti fra Pisa e l'area Versiliese da un lato e il retroterra dall'altro, la cui ubicazione costiera e il ruolo di porto sono confermati dalle indagini naturali e da reperti archeologici (un'ancora e pesi da rete). La frequentazione di tale sito in età preromana è attestata dal ritrovamento di una scheggia silicea, identificabile con uno scarto di lavorazione di ambito culturale non precisabile e di un frammento di anfora etrusca datato tra la fine del VI e i primi decenni del IV sec. a.C.. Il grosso dei materiali recuperati, purtroppo come già detto avulsi dal contesto, si data fra la media e la tarda età repubblicana ed il V-VI sec. d.C.. Alcuni reperti, quali distanziatori e scarti di fornace, e l'analisi minero-petrografica delle paste documentano in loco l'esistenza di una manifattura di ceramica attiva tra il tardo I sec a.C. e la metà del II d.C.

Questi dati, insieme con l'abbondante ceramica ritrovata pertinente a tali classi, arricchiscono il quadro della produzione pisana di sigillata. Il vasellame bollato e l'analisi delle paste inducono a ritenere che il sito rinvenuto in loc. Isola di Migliarino presentasse l'attività di un'officina di Ateius e di suoi lavoranti (quindi di manifatture di lavorazione aretina) cui si sostituì in seguito, intorno al 40-50 d.C. da una o più manifatture tardo-italiche. Fra i reperti ivi rinvenuti, è di eccezionale interesse il fondo di un vaso di forma aperta, con il bollo SEX M(urrius) F(estus) sul fondo, con graffiti sulla superficie interna, nomi di persone in genitivo (probabilmente nomi di vasai) e numerali. L'iscrizione è verosimilmente relativa all'organizzazione del lavoro o alla commercializzazione dei prodotti ceramici. Il porto di Migliarino infatti, ben collegato anche con il retroterra tramite viabilità terrestre e corsi d'acqua, doveva smistare con il commercio marittimo, prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento e il legname delle zone interne, nonché la ceramica di produzione locale, verosimilmente commerciata con merci di accompagno quale il vino. Il sito riceveva e ridistribuiva all'interno ceramica di uso comune di produzione locale e manufatta nella valle dell'Arno, in area campano-laziale e nel nord-Africa. Il materiale in questione consisteva in vasellame da cucina e da tavola.

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La vitalità del territorio e del porto sono

quindi intimamente connesse e il ruolo del sito di Isola di Migliarino deve essere visto in un contesto di scambi che coinvolsero le valli dell'Arno e del Serchio e vari ambiti mediterranei. Tale vitalità era anche connessa con la rete viaria. Ad un riesame della viabilità costiera, è emerso il ruolo strategico del collegamento fra la via Aurelia e la via Emilia nel contesto delle guerre di conquista e del successivo assetto territoriale. L'altra grande via di comunicazione era l'asse Pisa-Lucca che si inoltrava nel retroterra. La viabilità terrestre includeva anche strade terrestri e mulattiere ed era integrata con i corsi d'acqua. Il territorio di Vecchiano presenta in età romana aspetti di altissimo interesse legato all'osmosi fra le aree produttive del retroterra e della costa, inoltre tramite il sito di Isola di Migliarino offre notevoli elementi per la conoscenza delle manifatture ceramiche di terra sigillata italica e tardo italica e dei vasti commerci transmarini di età tardo-repubblicana e imperiale.

Anfora mauretana rinvenuta nel sito di Isola di Migliarino.

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Il medioevo

Dopo la caduta dell'impero romano il territorio preso in esame, per la sua posizione strategica, fu teatro di contese fra le popolazioni residenti di stirpe romana e gli invasori di stirpe barbarica. Alcune tracce delle strutture difensive del confine bizantino e del residuo di stanziamento romano-bizantino al tempo delle lotte con i Goti e dell'invasione longobarda (VI sec.) rimangono nelle toponomastica locale. Sembrano alludere al "limes" bizantino il toponimo Filettole (derivato da Filacterion, che significava torre di avvistamento) e la dedicazione a S.Maurizio dell'antichissima chiesa. Anche il toponimo Murilione, documentato nel 1236 a Filicosa, vicino all'antichissima pieve di Radicata e ai resti del misterioso castello di Monte Bastione se non corrisponde a "murus domini regis" e a "murus que digitur antiquus" ricordati nell'873 presso Massaciuccoli, sembra riferirsi a fortificazioni alto-medievali. Alle ultime isole culturali latino-bizantine, decentrate rispetto ai territori occupati dagli invasori e localizzati in appartate vallecole, fan riferimento i toponimi di Romagna (tutt'ora esistente sul monte pisano fra Quosa e Cerasomma) e le Grepole, esistente a nord di Vecchiano fra il castello di S.Maria e il monte Bruceto, con storpiatura del medievale "collis de Grecolis" con chiara identità fra "Grecolis" e Bizantini. Dell'importanza del territorio e della sua configurazione fisico-politica nell'Alto medioevo sono prova, poi, le diverse proprietà regie e marchionali e la precoce attestazioni di una pieve.

Fra il colle "de grecolis" e Filettole, nel ramo settentrionale della valle di Filicosa, una casa colonica conserva il nome della pieve che alla metà del sec. IX o agli inizi del X è ricordata col titolo di S.Pietro in loc. Radicata . Non conosciamo le cause della scomparsa di questo ente, né vi sono testimonianze archeologiche della chiesa o dell'insediamento corrispondente. Anche nel caso del castello di monte Bastione la situazione è analoga, scarse sono le informazioni, se pur riconducibili al polo insediativo di Radicata. Una cospicua porzione di possessi regi e marchionali è documentata nel nostro territorio a partire dalla metà del X secolo nelle località di Avane, Filettole, Laiano e Migliarino. Nella corte "regia" di Avane, successivamente concessa da Corrado III (imperatore dal 1137 al 1152) all'arcivescovo di Pisa, nel 952 veniva redatto un documento del marchese Uberto, nel 1100 Ottone III donava a Manfredo da Ripafratta anche la "corte", cioè la sua azienda agraria di Laiano, poco a nord-est di Filettole. Un documento del 1112 attesta l'esistenza di selve demaniali, attestate anche dai toponimi Palatino, riferito fin dal sec. XI alla chiesa di S.Niccolò nella macchia di Migliarino e da quello di Selvareggi, registrato nelle tavolette IGM sul monte la Fioraia, poco a nord-ovest di Filettole, con lo storpiamento dell'originale termine Silva Regia.

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Alle proprietà demaniali, estese sui tomboli costieri dal mare al lago di Massaciuccoli e dal Serchio fin oltre la già detta chiesa di S. Niccolò, fa riferimento anche il toponimo della villa di Fignatta (da Fiuwaida-Fiuguaita) che si riferisce all'insediamento di colliberti su terreni regi. A Vecchiano possiamo ipotizzare lo stesso fenomeno per l'esistenza del toponimo Cafaggio nel 1182 e perché nel 1077 gli uomini di Vecchiano erano "di potestà" del visconte, forse perché insediati su terreni regi. La feudalità locale, anche se trasferitasi in città, ancora alla fine dell'IX secolo conservava diritti e centri di potere nella Valdiserchio.Il territorio di Vecchiano appare diviso in quattro tipi di ambienti con diverse caratteristiche geografiche. La zona collinare, non più alta di 200 m, che presentava insediamento temporaneo o sparso, ma anche arroccato intorno a strutture fortificate; una zona pianeggiante che segue il corso dei fiumi che l'hanno generata attraverso il loro apporto alluvionale, sulla quale si localizzano gli insediamenti stabili, accentrati intorno a strutture ecclesiastiche o a poli amministrativi della proprietà agricola di enti e famiglie considerevoli, o sparsi nella campagna fertile, profondamente segnata dalle opere di bonifica, dal disboscamento e dalla messa a cultura; una zona paludosa a ancora in gran parte lagunare, circostante il lago di Massaciuccoli caratterizzata da insediamenti temporanei, ma anche da centri situati ai margini come S. Niccolò

di Palatino, Fignatta, Riglione; una zona costiera caratterizzata dalla macchia mediterranea cresciuta spontaneamente sulle dune sabbiose, formate dagli apporti marini, invase periodicamente dalle acque nella quale l'insediamento risulta temporaneo. Gli insediamenti principali sono localizzati lungo il corso del Serchio e possono essere distinti dalle attestazioni di chiese o castelli. Escludendo la pieve di radicata,precocemente scomparsa, l'elenco delle decime del 1296-97 fornisce un panorama completo degli insediamenti principali nel territorio vecchianese. In tale territorio vi erano tre pievi, ma solo quella di Avane può considerarsi esclusiva di esso, le altre due, Rigoli e Pugnano, erano ubicate nell'opposto versante della valle e comprendevano insediamenti situati anche sulla sponda sinistra del Serchio. Nel territorio di Vecchiano si trovavano anche il monastero di S. Viviana di Filettole, l'eremo di S. Pietro Asconda e la canonica di S. Niccolò in Palatino. Notevoli sono l'estensione e il policentrismo dell'insediamento di Vecchiano che era distinto nei popoli di S. Alessandro, o Vecchiano maggiore, e di S. Maria in castello, appartenenti alla pieve di Rigoli e in quelli di S. Bartolomeo e di S. Frediano, o Vecchiano minore, appartenenti alla pieve di Pugnano.

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Notiamo inoltre la presenza dell'insediamento di Vecchializia distinto nei due nuclei di S.Michele e di S.Filippo, situato almeno dal XII sec. lungo la sponda sinistra del Serchio, ma precedentemente unito a quello di Vecchiano. Anche Avane, oltre al nucleo della pieve, già esistente nel 1181, comprendeva quelli di S. Stefano e di S.Salvatore, il primo già attestato nel 1128 e separato dalla pieve da un ramo antico del Serchio, il secondo, attestato al 1212 e pertinente il castello di Rosaiolo o del Ponte a Serchio. Alle quattro zone precedentemente individuate corrispondono altrettanti tipi di paesaggio. Nella zona collinare domina il bosco nel quale sono presenti anche i castagni, con estensioni di felci arboree qualche vigna e probabilmente l'olivo. Oltre alla già citata Silva regia infatti si riscontrano i toponimi Cafaggio e Ghiandeta presso Avane, castagneto presso Vecchiano, Filicosa presso Radicata nel quale sito sono stati documentati un bosco e una vigna. Nella pianura alluvionale è attestata la presenza di campi di cereali e di orti, con qualche vigna e albero da frutto, ma anche con zone palustri con canneti e salici. Presso Vecchiano oltre al toponimo Plaia compare anche quello di Pratale e Cafaggio che esisteva presso Vecchiano maggiore.

Nella zona paludosa che circonda il lago di Massaciuccoli ed è prossima alla foce del serchio domina l'incolto, con canna palustri e salici, sterpi e prati; sono praticati il pascolo di buoi e pecore, la pesca e l'uccellagione, come attestato dal documento che parla di capanne tabernarium col bestiame in questa zona. Presso la foce del Serchio, nel 1182, esisteva una località detta Isola del canneto e risulta che in essa i canonici del Duomo da circa un ventennio avessero iniziato il taglio del bosco e la messa a coltura con grano, miglio, fave e piselli, ma che nell'isola persisteva il canneto e vi si uccellava con l'esca e con le reti. Nella zona costiera prevale la macchia mediterranea con le attività ad essa connesse cioè caccia e raccolta di legna. Alla boscaglia di lecci e al sottobosco alludono i toponimi Leccia e Filicaia, attestati nel 1175 e nel 1381 presso la foce del Serchio. Depressioni paludose sussistevano ancora nel 1047 in località Viticeto, a nord di Nodica e nel 1144 a Nodica; nel 1159 e nel 1205 fra Vecchiano e il monte Legnaio, nel 1274 a Malaventre, nel 1231 al Marmo. I documenti medievali ricordano alcune fosse, concentrate in particolare nei territori di Nodica, Malaventre e Migliarino. Questo per la loro connessione con la bonifica dei terreni agricoli, situati fra il Serchio e il Lago di Massaciuccoli che fu intrapresa dalle istituzioni e dai privati dal sec. X-XI e proseguita dal Comune di Pisa nei secc. XII-XIV.

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A Malaventre in località Bovario, è attestata nel 1190 una "fossa del Bovario". Di fossi che seguivano la via Traversagna si parla anche nel 1219. Una rubrica degli statuti comunali di Pisa, del 1313-1337, riguarda il completamento del fosso della Barra, che era solito scorrere fra il monte e la palude, da Vecchiano fino alla croce del cantone e da qui fino alla fossa magna. La fossa Navareccia,ricordata nel 1159 e 1195 presso Malaventre sembra piuttosto una fossa con funzione di dragaggio del padule di Massaciuccoli per la viabilità acquatica. Oltre a tale fossa, un'eccezionale presenza di porti conferma la notevole diffusione della navigazione fluviale nel nostro territori. sono attestati infatti un Porto Ursi o Portorsi o Portorio presso Metato a Arena nel 1055,1113,1191; un porto de Liccio presso Migliarino dal 1175; un porto Bascialuppi a Malaventre nel 1272. Il corso del Serchio veniva inoltre usato per la fluitazione del legname, ma con grave rischio per la stabilità delle pigne dei ponti, come attestato dal divieto statuario del 1313-37. La viabilità terrestre principale era imperniata su tre direttrici in senso nord-sud, due da Pisa a Luni, una verso Lucca e sulle due strade che, in modo trasversale ad esse, seguivano il percorso del Serchio, una per sponda, da Ripafratta fino a Migliarino con un intrecciarsi caotico dovuto alle frequenti divagazioni del corso del Serchio. Tali vie erano presenti a Ripafratta e ad Avane come attestano altri documenti del 1183, 1227 e 1206. Un passo di barca, o comunque un attraversamento del Serchio diverso da un ponte sembra collocabile a Vecchiano, in corrispondenza del toponimo Carraia, attestato dal 1001.

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Bacino graffito di tipo tirrenico restituito dalla “Chiesaccia” a Malaventre.

Epigrafe presente sul campanile di Nodica che risale, secondo la data riportata sull’epigrafe stessa, al 1320 (MCCCXX). Datazione confermata inoltre dalla forma delle lettere particolare che risale a quella particolare

datazione.

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L’età moderna

Nel 1594 il granduca Ferdinando invia una memoria all'architetto Raffaello Pagni nella quale ordina di livellare i siti e predisporre la nuova fabbrica della risaia di Vecchiano. Questo documento permette di cogliere un particolare aspetto del programma mediceo che si colloca alla politica, avviata da Cosimo I, volta allo sfruttamento delle risorse lacustri, come appare anche per i territori della Valdinievole e della maremma, e all'introduzione di nuove colture. In questo caso il padule di Massaciuccoli, acquistato dalla Mensa Arcivescovile di Pisa, risulta terreno sperimentale per tentativi di nuove coltivazioni. Dall'estimo di Nodica del 1622, si ricava che una risaia era stata impiantata in un luogo detto "al cantone", poi alla "cascina del capannone" sulla proprietà concessa dai Medici all'olandese Valdestraat. Qui si legge infatti che nella cascina, composta di una casa con le sue appartenenze, si trova un capannone atto a "battere i risi". Tuttavia già a quella data pare esaurito il tentativo di coltivare riso, dato che più avanti si apprende che lo stesso capannone era stato adibito a stalla e fienile.

Questo episodio è significativo perché rappresenta la fase conclusiva di una tensione verso la ricerca di sbocchi economici per le zone palustri e al tempo stesso testimonia l'utilizzo alternativo di queste terre al principio della riconversione agricola. Da qui si sviluppa l'interesse governativo verso la bonifica e il prosciugamento del padule, come attesta in questa zona la costruzione di un mulino a vento costruito da Valdestraat. Dopo più di un secolo Pietro Leopoldo nelle sue Relazioni sul Governo della Toscana ricorda che l'olandese aveva tentato il prosciugamento del Padule mediante l'interruzione di frequenti canali e fosse sperando in quel modo di condurre tutte le acque della pianura, facendole salire con i mulini a vento. Fu però interrotto da due inconvenienti, cioè la forza del vento non certi imponente come in Olanda, e la qualità del terreno limaccioso e fragile. Alla data della relazione del granduca Leopoldo è ancora il risanamento di quei terreni buoni ma malsani per la presenza della vicinanza del padule, nodo centrale di questo territorio nel quale comunque si rileva una campagna sufficientemente coltivata e popolata.

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A sollecitare l'insediamento nei territori confinanti con il lago di Massaciuccoli, premessa indispensabile per il riscatto di tali terre improduttive, era stato agli inizi del XVII secolo la politica popolazionistica del governo fiorentino, cui fa riscontro quella che il governo lucchese adotta proprio in quegli anni per il territorio della marina ad esso confinante. La visita fatta in Val di Serchio dai funzionari dell'ufficio dei Fiumi e Fossi, il 20/5/1601 denunciava la desolazione della zona di bassa pianura compresa fra la foce del Serchio e il Lago di Massaciuccoli. La bonifica di questo comprensorio, ai margini del Granducato di Toscana, se presupponeva una pianificazione a grande scala per effetti di lunga durata, che avrebbe dovuto coinvolgere forze economiche e l'impegno univoco dei due governi confinanti, postulava tuttavia la risoluzione di problemi circoscritti. Nei primi anni del seicento, dalle accurate indagini dei funzionari dei Fiumi e Fossi si perviene a una serie di provvedimenti per poter migliorare la coltivazione. si impone così ai proprietari la realizzazione sistematica delle fosse di scolo e dei canali di raccolta delle acque, le piantagioni stagionali di pioppi e di vite, infine per migliorare le colture li si obbliga

a fabbricare sopra i territori coltivabili abitazioni in cui far risiedere i contadini. Ma ancora dall'estimo del 1622 la zona di Malaventre, non ancora affrancata dalle acque del padule, risulta scarsissimamente popolata. L'esistenza di alcune case coloniche, con terre lavorate, pioppaie, divise da fossetti di scolo ma ancora privi di vite fa pensare a un avvio di provvedimenti governativi poco radicato, nonostante le facilitazioni concesse avessero portato contadini di comunità vicine a costruire sui terreni bonificati con opere di affossamento e mazzuolatura, favorendo la proprietà dei coltivatori diretti. I rilevamenti demografici operati a cura di Marco della Pina mostrano che nella zona dell'oltreserchio vi è tra il XVI e il XVII secolo, seppure in forma moderata rispetto ad altre aree del territorio, un aumento della popolazione che va a incrementare la popolazione della campagna. Il fenomeno è caratterizzato anche dal movimento migratorio di famiglie provenienti dalle comunità limitrofe di Filettole, Avane, Vecchiano in direzione della terra nuova da colonizzare:Malaventre. Il popolamento segue la direttrice che dal monte va al padule sviluppandosi intorno all'asse del Serchio.

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I villaggi di Vecchiano, San Frediano, Avane, Filettole e Nodica oggi tutti facenti parte il territori del comune di Vecchiano, si ergevano allora su un territorio diversificato da un punti di vista geomorfologico. Il territorio era in parte esteso nella fascia collinare lungo il serchio, in parte nell'invaso pianeggiante tra il fronte collinare e il fiume e in parte tra questo e il lago di Massaciuccoli. Allora, come oggi, il territorio si articola per realtà agrarie diverse: le colture boschive e il pascolo nelle zone a maggiore declività, le coltivazioni arboree prevalenti nella bassa collina, quelle agricole nelle zone alluvionali affrancate dalle zone del Serchio e del padule e anche le risorse venatorie e ittiche nelle zone paludose. Dagli estimi del 1622 risulta che nelle zone montuose, in parte incolte e sassose, con macchie basse di stirpi, mortelle e timi si trovano coltivazioni boschive di querce, castagni e gelsi; in quelle di bassa collina prevalgono le coltivazioni arboree dell'olivo e della vite concentrate nella zona di Filettole e Avane. Nel territorio delle comunità di Vecchiano e Nodica si riscontra invece la prevalenza del podere, in alcuni casi con vigneto. In pianura, nelle aree asciutte in precedenza improduttive, il processo di messa a colture giunge a risultati significative.

Avane, in particolare presenta già nel 1622 strutture agrarie articolate che intrecciano diverse forme di coltivazione cui corrisponde l'affermazione di un'organizzazione produttiva e insediativa più complessa degli altri centri. Un sistema misto di utilizzazione del suolo caratterizza anche le zone di collinari di Filettolee quelle di pianura asciutta e già in parte ridotte a coltura di Vecchiano e Nodica.

In tutto il territorio, pur con le riserve e i contrasti sulla proprietà del padule e sul diritto delle comunità pisane allo sfruttamento delle risorse palustri, rimangono la caccia e la pesca importanti entrate destinate all'autoconsumo o comunque supporto e completamento dell'attività agricola. A un assetto territoriale tanto vasto corrispondono sistemi e modi insediativi che si differenziano per densità, morfologia dell'abitazione e per l'impiego di diversi materiali da costruzione. Nell'estimo del 1622 si rileva che nel territorio di Malaventre esistono non più di una decina di poderi con case, evidente risultato della lottizzazione voluta dai primi granduchi di toscana, mentre nei più antichi insediamenti di Filettole, Vecchiano, Avane e Nodica prevale il villaggio in prossimità del quale si trovano piccoli nuclei di case formate da una o più unità agricole; nelle terre emerse dal padule, come si ricava da indicazioni presenti nei terrilogi, l'abitazione è costituita da capanne di "serago" o di "falasco".

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Nel XVII e XVIII secolo, come appare dalle indicazioni degli estimi, la maggior parte del territorio, già dalla Mensa Arcivescovile pisana risulta proprietà della famiglia Medici, parte del padule e del monte è di uso civico, porzioni molto frazionate di terreno nudo e lavorato sono di cittadini pisani. Intorno a questo corpo di beni si sviluppa una serie di piccole unità fondiarie coltivate in proprio dai contadini. La proprietà parcellizzata è riconducibile alle allivellazioni operate dalla Mensa arcivescovile dei beni di Malaventre, Nodica, Vecchiano, Avane e Filettole nella prima metà del XVII secolo. Viene individuato nella situazione di ristagno economico e nei contrasti tra l‘Arcivescovo e i Comuni l'elemento catalizzatore per l'introduzione di cittadini alla proprietà del contado e per l'estensione dei beni comunali che favorisce l'affermazione del piccolo possesso. Questo è inoltre potenziato dalla tendenza all'individualismo agrario che porta a vere e proprie forme di privatizzazione "abusiva" dei beni appartenenti alle comunità. Particolarmente vivaci appaiono, alla fine del XVI sec., le usurpazioni dei beni comunali da parte degli abitanti di Filettole che si impadroniscono, impiantando coltivazioni di vite e olivo, dei terreni montuosi precedentemente improduttivi.

La distribuzione della proprietà fondiaria vede da una parte l'affermarsi fin del XV secolo della proprietà dei cittadini (pisani e fiorentini), generalmente esponenti della borghesia mercantile e il diffondersi della mezzadria come forma di conduzione aziendale e dall'altro la presenza di proprietari coltivatori su piccole unità fondiarie con un interscambio frequente che tuttavia non può mutare i rapporti tra le varie componenti. Solo a partire dagli inizi del XVIII secolo vi è un caso di accorpamento fondiario che in pochi decenni perviene alla costituzione di una consistente struttura agrario-produttiva. E' il patrimonio dalle famiglia pisana Pirni che si potenzia con l'acquisto della Mensa arcivescovile di terreni olivati e di fabbricati ad Avane e, dalla famiglia Dal Borgo, di terreni lavorativi con fabbricati a Nodica e Malaventre. I Primi costruiscono un'azienda il cui centro produttivo è il frantoio di Avane. Si realizzano così, con un'organizzazione specializzata e scelte produttive private, gli orientamenti della politica economica granducale volta a incoraggiare l'utilizzazione del suolo collinare, tutelando con privilegi la produzione e il commercio dell'olio. Il loro patrimonio fondiario di Avane e Nodica si integra alle altre proprietà presenti nei territori vicini, nello stesso periodo viene costruita la villa-fattoria a Pontasserchio la quale unisce ai caratteri funzionali dell'azienda agricola quelli emblematici della residenza per villeggiare.

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La realizzazione di questo complesso è indicativo del raggiunto livello di produttività dell'azienda nel territorio di Vecchiano. Negli stessi anni anche la famiglia Salviati, proprietaria fin dal XVI secolo di territori a Migliarino, consolida il suo già vasto possesso acquistando le proprietà granducali, tra cui la bandita di caccia di Migliarino e la fattoria di Vecchiano.In parallelo si nota l'accentuarsi del frazionamento della proprietà, sostenuto dalle iniziative leopoldine a favore di un ceto di piccoli e medi proprietari coltivatori.

I rilievi e gli atti degli agrimensori, quali Giovan Battista e Francesco Lemmi che tengono un archivio dal XVIII al XIX secolo, i giornali aziendali e i terrilogi, oltre che fonti topografiche e toponomastiche mostrano che i piccoli centri abitati, attestati fin dal Medioevo intorno alle chiese e sui luoghi fortificati, sono diventati la matrice di insediamenti sparsi nelle zone di pianura asciutta. Le fonti a disposizione dimostrano che alla fine del XVIII secolo il territorio è più densamente popolato nella pianura, nonostante permangano tipologie differenziate rispetto ai caratteri fisici dell'ambiente. Da un lato è la fattoria, con gli edifici agricoli e di abitazione raggruppati l'uno accanto all'altro, il centro delle grandi tenute come quelle di Migliarino e Vecchiano, dall'altro si afferma l'insediamento sparso con una fisionomia che gli deriva dall'esistenza di proprietà

parcellizzate e riesce a mantenersi come frangia rispetto alla presenza di grandi aziende. La caratteristica emergente è la formazione di nuclei abitativi che si sviluppano intorno alla corte, talora con infrastrutture rurali di uso collettivo, dove una chiara compartimentazione degli spazi assicura l'individualità di ogni famiglia e la specificità dei servizi, il cui assetto sembra trascrivere il modello della casa a schiera o a corte della tenuta signorile. In collina sono pochissime le case sparse e sul padule permangono fino al XIX secolo le capanne dei pescatori, dato che lo stesso è scarsamente redditizio poiché escludendo la pastura dei bestiami e la pesca è impossibile ricavare qualcosa. Nella desolazione del paesaggio lacustre si nota la presenza di poche capanne. Seppure le fonti settecentesche documentino in maniera frammentata questo tipo di insediamento, ai primi dell''ottocento la capanna risulta essere ancora l'abitazione dei pescatori. Le capanne sono espressioni di grande miseria e vita primitiva, nonostante la cultura dell'illuminismo individui proprio nelle capanne il principio generatore di ogni edificio. Ogni costruzione di questo genere nasce come riparo e difesa dalle condizioni ambientali e segna il legame fra l'uomo e il suo ambiente.

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L'habitat naturale fornisce i materiali da costruzione, condizionando la scelta del modello. Le capanne documentate nella zona del Padule sono ricostruite in ispirandosi ai modelli originari, tramandati secondo il mestiere artigianale. Con queste ricostruzioni possiamo ripercorrere modi e forme di un tipo di abitazione ormai scomparso, la cui struttura era realizzata secondo principi semplici per un abitacolo essenziale che si fondava su precisi rapporti metrici e sull'impiego di materiali da costruzione facilmente reperibili. Elemento strutturale della costruzione è il tetto che sottolinea la concezione di capanna come luogo riparato sotto il quale si vive, non dentro il quale si vive. La tipologia costruttiva è elementare, basata su una ridotta sezione trasversale determinata dalle difficoltà di rinvenire elementi rettilinei sufficientemente lunghi per la formazione della catena in sommità dei montanti e una dimensione longitudinale variabile in funzione del nucleo abitativo. La mancanza di divisioni interne fa pensare a un tipo di vita promiscuo che trova nella capanna l'elemento minimo essenziale per la difesa dall'ambiente esterno. Questa primitiva forma d'abitazione, alla quale fino a oggi ha attinto una vasta letteratura, ha stimolato anche localmente espressioni mitiche che troviamo rappresentate in cicli decorativi di ville della zona o nelle abitazioni pucciniane.

In essi le capanne, riscattate dall'immagine di miseria e desolazione, sopravvivono nella ricerca di suggestioni pittoresche, di primitivismo romantico e civilizzato. L'eterogeneità delle componenti fisiche del territorio, implica una diversa serie di tipi edilizi in ragione di luoghi e materiali disponibili. Dal prototipo di costruzione primitiva e precaria qual'è la capanna dei pescatori ai codici dell'edilizia permanente della casa rurale si coglie la graduale conversione del tipo edilizio in modello che perviene al momento di sintesi con la formulazione del progetto. Dagli esempi individuati nel territorio preso in esame, la trascrizione dei rapporti fra le funzioni dell'habitat rurale e il suo spazio fisico ha sviluppato una pratica artigiana che si inserisce in un sistema di forme valido e collaudato, basato su scelte di occorrenza. La tipologia della casa contadina che troviamo descritta negli estimi del 1622,permane nelle piante del XVIII secolo e trova, nel suo approccio empirico alle forme, riferimenti e modelli nella trattatistica rinascimentale. La casa colonica si sviluppa infatti dall'aggregazione di tre elementi fondamentali: la cucina, centro della vita

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domestica, l'annesso agricolo null'altro che una capanna sotto la quale far riposare il carro, l'aratro, il giogo e la torre colombaia. La sintesi del progetto è il risultato di una programmata imitazione di modelli, capace di controllare e coordinare in un disegno complessivo le attività private. Alla fine del XVIII secolo, dalle iniziative di Pietro Leopoldo volte a misurare il comfort abitativo e lavorativo, si mutua il passaggio da un'architettura spontanea a un'architettura programmata. Il programma di Pietro Leopoldo obbliga infatti i livellari che fabbricano le case dei contadini a fissare con un disegno al struttura della casa, in modo da verificare gli standard minimi e controllare gli interventi successivi. L'evoluzione abitativa fra seicento e settecento si riflette sul piano dell'organizzazione funzionale, con la tendenza a distinguere gli spazi domestici da quelli rurali, specializzando la destinazione degli spazi con il progressivo subentrare dei materiali durevoli. Nel 1784 si è avuto un provvedimento che garantiva sovvenzioni a chi avesse deciso di costruire case rurali e ad aggiornare la situazione delle case esistenti. Le fonti del XVII e XVIII secolo documentano una situazione costruttiva in cui si tende a sostituire elementi precari e deperibili con altri di maggiore durabilità

e sicurezza dal punto di vista meccanico e della resistenza specifica. Alla fine del XVIII secolo l'estensione del concetto di stabilità si ottiene con l'impiego sistematico della muratura per la struttura e le sue componenti. La diffusione del laterizio è invece documentato dalla presenza di fornaci destinate alla cottura di mattoni e calcina, numerose soprattutto nella zona di Filettole. Analizzando le costruzioni contadine ancora esistenti, scorporando le modificazioni successive, si riesce a ricondurre il costruito a principi costruttivi comuni. C'è una gerarchia nell'uso dei materiali che fa parte della logica costruttiva: le aperture a vari livelli sono prevalentemente assiali e nelle zone di maggior carico si hanno maggiori attenzioni a regolarizzazioni costruttive. Nelle architetture minorinon c'è quindi nessuna casualità, ma anzi si tenta di rendere economici gli interventi con l'ausilio di tecnologie appropriate. Le murature sono generalmente in pietra locale o miste in pietrame e laterizio. Gli interventi di intonacatura, diffusasi dal XVIII secolo e tutt'ora garantiti dagli emblemi delle proprietà, sono uno dei segni più evidenti del graduale miglioramento dell'abitare, in quanto le murature non protette dovevano avere grossi problemi di permealità, mentre l'intonaco garantiva funzione protettiva delle murature, oltre che intenti di eleganza compositiva e decorativa che sottende atteggiamento progettuale colto.

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Caso esemplare è il "villaggio" di Vecchiano la cui costruzione risale alla seconda metà del settecento. Si tratta di una comunità rurale di proprietà di cittadini pisani, un centro polinucleare con annessi agricoli, limonaia e cappella. La ricerca di decoro si ha anche nelle abitazioni più umili, nel corso dell'ottocento si impreziosiscono le facciate con intonaci colorati che distinguono ogni singola abitazione nella ripetitività di architetture continue. Ancora alla metà del XVIII secolo l'insediamento sparso risulta poco radicato nel territorio d'Oltreserchio. Qui come in altre zone del contado pisano vi sono tratti di campagna spaziosissimi senza casa, senza alberi fruttiferi e solo a semenza, vicini a campagne assai abitate e coperte da piante fruttifere. Le fonti iconografiche del XVIII secolo documentano l'insediamento isolato nel suo contesto agro-produttivo illustrando, se pur in maniera schematica, il rapporto tra spazio costruttivo e spazio coltivato. Esse visualizzano nelle aree di pianura un paesaggio agrario destinato dal frazionamento dei campi, con la caratteristica geometria a maglie rettangolari, individuata nel reticolo delle fosse di scolo dei canali, dalla microviabilità campestre, dai filari dei pioppi e dagli alberi da frutto. I campi, recintati dalle piantagioni arboree sono nastriformi e allineati per blocchi, con la suddivisione in "porche" delimitate da solchi e

colmate che permettono l'irrigazione del terreno e lo scolo delle acque piovane attraverso un complesso sistema di raccordo idraulico. La casa è situata sul confine del podere per ragioni funzionali, quali la vigilanza del possesso o la facilità d'accesso per gli animali o le attrezzature agricole. Il suo impianto, organizzato in funzione della specializzazione degli edifici agricoli e della connessione rispetto allo spazio domestico, è suscettibile a possibili ampliamenti e rimaneggiamenti frequenti. L'unità minima abitativa del XVIII secolo comprende due stanze sovrapposte a uso abitativo con gli edifici sussidiari separati, che segna un miglioramento igienico rispetto a quanto documentato dall'estimo del 1622, in cui le case appaiono dotate di cellieri, portico, forno, pozzo e altre appartenenze. Del tutto analoga appare la situazione determinatasi tra il XVII e il XVIII secolo per l'insediamento sparso in collina. Nella parte alta dei rilievi si hanno terre incolte e sassose, nella parte bassa si hanno terre coltivate con vigneti, canneti, oliveti che caratterizzano il paesaggio collinare di Filettole e Avane al 1622. Alla distribuzione delle fasce di coltivazione corrisponde la diffusione dell'insediamento che privilegia ancora la linea pedecollinare, con una modesta presenza di case sparse sui rilievi.

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La valorizzazione della collina e con essa la diffusione dell'insediamento è riconducibile al programma economico granducale, teso in questo caso a incoraggiare la coltivazione dell'olivo e la commercializzazione del prodotto. A partire dagli ultimi decenni del XVIII secolo l'introduzione del sistema intensivo di sfruttamento del suolo collinare mediante l'organizzazione a terrazze, estende la coltivazione arborea nella zona di Filettole, Avane e Vecchiano. Nei villaggi di Vecchiano e Avane, al 1622, sono registrate più categorie edilizie che vanno dall'unità minima aggregata con infrastrutture comunitarie a unità più complesse e articolate di abitazioni per i contadini. Accanto ad esse sono le abitazioni per i cittadini, variamente composte nelle componenti accessorie e inserite antro un recinto che separa il pubblico dal privato. Meno sviluppato alla data degli estimi appare l'insediamento di Nodica, formato da case di modesta entità, attestate intorno alle corti in prossimità della chiesa dei santi Simone e Giuda, con una sola casa da contadino, quella di Domenico Rosignoli, "orefice pisano". Caratteri di maggiore omogeneità della tipologia abitativa distinguono il villaggio di Filettole che infittisce, se pur lentamente, l'antica maglia del borgo medievale insediato intorno alla Chiesa e lungo il "chiasso di S. Maurizio", con sviluppo contenuto entro la fascia pedecollinare gravitante alla chiesa, posta in posizione dominante rispetto al villaggio.

L'agglomerato di case forma una compatta cortina edilizia modellata sulle curve di livello, mentre piccoli nuclei sparsi iniziano una certa espansione verso il castello. L'elemento che distingue la forma abitativa di questi villaggi è l'associazione intorno alla corte, esprime l'insieme dei beni privati posseduti dall'unità familiare in contrapposizione ai luoghi e ai beni comuni all'insieme degli abitanti del villaggio. Le fonti sei-settecentesche documentano che da raggruppamenti familiari più o meno grandi e dalle successive fasi di frazionamento si generano piccoli insediamenti, designati spesso dal patronimico del fondatore, come "la casa del Cecconi" a Vecchiano o "la casa del Bianchi" ad Avane. A questo tipo di organizzazioni per comunità agricole corrisponde la forma di abitazione aggregata. Si tratta di un insieme formato dall'aggregazione di una o più unità edilizie elementari intorno a uno spazio comune, la corte, che si genera per l'accostamento delle singole parti. Alla fine del XVIII secolo, sulla base dei rilievi si individuano due diversi sistemi di distribuzione degli edifici rispetto alla corte, un primo tipo, a corte aperta che si forma nelle aree nuove e libere. La giustapposizione delle singole unità abitative si sviluppa in senso longitudinale o perpendicolare alla viabilità principale, costituendo un fronte continuo aperto ad addizioni e

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possibili ampliamenti successivi. Il secondo tipo corrisponde alla corte chiusa e si forma nella parte antica del villaggio e si modella su edifici e coordinate viarie preesistenti occupando in maniera intensiva gli spazi liberi. tale modello mutua l'impianto di ogni singola unità all'interno della corte alle ragioni funzionali di sistema agricolo-residenziale. Contenuta entro un lotto stretto sul fronte della corte, la casa si sviluppa in altezza, disimpegnando la privacy domestica dei locali sottostanti ad uso rurale con l'uso di scale esterne. Nel settecento si trovano più spesso collegamenti interni, segno di una migliore qualità dell'abitare, oltre che di nuclei familiari più ampi, fattore che ha costretto l'ampliamento in altezza delle abitazioni o al cambiamento di destinazione d'usa dei locali o al cambiamento di destinazione d'uso dei locali di servizio rurale. Con criteri coerenti ai caratteri dell'insediamento si effettuano i frazionamenti per eredità che impongono la suddivisione verticale per consentire il riprodursi di più unità funzionali all'interno della stessa struttura e garantire, allo stesso tempo, l'indipendenza di ciascuna famiglia nell'occupazione del proprio habitat da terra a tetto. Caso esemplare è la divisione Carnasciali ad Avane con la quale una parte della casa composta di due stanze terrene, una adibita a cucina e l'altra a cantina viene divisa dall'altra parte formata invece da quattro stanze, due al piano terra e due al primo piano, con una parete divisoria che va dal piano terra fino al tetto.

Una seconda tipologia edilizia è documentata dall'estimo del 1622 nei villaggi di Vecchiano e di Avane: il casamento di proprietà dei contadini come ad esempio gli Scaramini di Vecchiano. Tale edificio contiene più alloggi e denota una proprietà contadina piuttosto cospicua. L'edificio ha più stanze, otto o nove, con una o due colombaie, cellieri, portico, forno, pozzo e una terzina separata, che indicano una complessa struttura del gruppo familiare e dell'organizzazione agricolo-produttiva. Il casamento del contadino facoltoso assimila i caratteri della casa da cittadino. Come questa infatti sorge all'interno con un recinto a perimetrare l'aia e l'orto con il frutteto, imponendo nel villaggio il segno del raggiunto potere economico. La casa per il cittadino descritta dagli estimi delle comunità di Vecchiano, Avane e Nodica appare infatti chiusa da mura di cinta in un microcosmo sufficiente e isolato rispetto al villaggio. La costruzione ha di norma un impianto compatto e accentrato che richiama il palazzo di città. Le fonti seicentesche non precisano, così come accadeva invece per centri vicini quali Molina, Pugnano, Calci, la funzione propria di tale abitazione, cioè quella del villeggiare ma confermano, attraverso la specificazione delle infrastrutture rurali di pertinenza della casa, il controllo della resistenza padronale sulla proprietà e sul lavoratore.

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Un'altra tipologia di abitazione da villeggiatura è la villa, il cui insediamento principale nel territorio di Vecchiano si poneva nell'area di Filettole, dato che i caratteri paesaggistici e ambientali di questa zona offrono una risposta alle richieste di luogo di delizie. Un precedente alle ville che si diffonderanno a Filettole intorno alla seconda metà del XVIII secolo è il castello, già diffuso nella zona agli inizi del XV secolo, epoca in cui il luogo veniva visto come il più rispondente possibile agli ideali arcadici della vita in campagna. La villa-fortezza rimase a lungo in questa zona un episodio isolato della cultura del villeggiare, se pur episodio piuttosto precoce nel panorama pisano. Quando nei secoli successivi questo tipo di realtà si diffuse in tutta Italia, quella di Filettole venne privata della sua identità di residenza signorile, fu abbandonata e avviò un progressivo degrado divenne delle sue funzioni e delle sue strutture. Nella seconda metà del XVIII secolo, nel periodo di maggiore diffusione della moda del villeggiare, prende consistenza anche in questa zona la casa di campagna nella tradizione della villa. Questa fase coincide con lo svilupparsi della concezione del villeggiare improntata alle consuetudini della società borghese e non più signorili.

A questa seconda fase risalgono interventi minori diffusi non solo a Filettole ma anche nelle altre località del territorio che vedono la realizzazione di nuovi villini e la ristrutturazione di preesistenze coloniche, riabilitate o riscattate dalla fisionomia rustica della loro funzione agricola. E' questo il periodo in cui anche nella provincia si avvia il processo di democratizzazione della tipologia della villa che coinvolge ampi stati sociali e che perviene alle locuzioni post-moderne della villa signorile, riproducendone a scala ridotta i modelli.

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Pianta della diocesi di Pisa, in particolare del territorio dell’oltreserchio nel XVIII sec.

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A sinistra: Tipologia di casa colonica con scala e loggia, progetto della “Cittadella” a Nodica.

A destra: Complesso colonico a Nodica. E’ evidente l’omogeneità dell’insediamento costruito unitariamente

per i coloni dipendenti dell’azienda agricola.

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La comunità di Vecchiano fu istituita nel 1810, durante il periodo dell'annessione della Toscana all'impero Napoleonico, con territori staccati da quella di S. Giuliano. Aveva una superficie di ha. 6.587, due terzi dei quali, nel secolo XIX, in mano a una sola famiglia, quella dei principi Borghese. La popolazione, al 1810, era di 3.778 abitanti. A fine secolo essi erano divenuti 7.312, con una crescita molto sostenuta che aveva conosciuto punte ancora più elevate in altre zone della pianura pisana. La storia di questa pianura, e delle basse colline limitrofe, risulta negli ultimi secoli di particolare interesse, per la peculiarità che presenta rispetto al resto della Toscana. Per quanto concerne la struttura della proprietà, in essa la piccola proprietà contadina si mantiene più a lungo che nelle aree della Toscana centrale; il sistema mezzadrile vi arriva più tardi e conosce una diffusione relativamente minore; la crescita demografica e l'espansione delle colture su terre molto fertili è il risultato di un lungo processo di bonifiche iniziate nel XVII secolo e non ancora terminate ai primi decenni del XX.

Tra gli ultimi decenni del settecento e il novecento, nel pisano, a crescere demograficamente non fu solo la città capoluogo, la tradizionale depositaria del potere economico e politico dal medioevo in poi. Pisa continua a giocare un forte ruolo, in campo amministrativo ma anche nel campo dell'istruzione e della diffusione delle innovazioni. Accanto allo spazio cittadino e tra questo le campagne ad insediamento sparso, crescono però e acquistano sempre maggiore importanza piccoli centri e borghi che man mano si specializzano e si pongono come terzo polo fra i due classici città-campagna, mentre i circuiti commerciali, sociali e politici coinvolgono il complesso del territorio in aree di comunicazione sempre più fitte e ampia con le altre regioni d'Italia e con l'Europa. Questo è il periodo in cui si configura in Toscana la struttura della cosiddetta "terza Italia", della piccola impresa diffusa e dell'imprenditorialità che trae le sue origini dalle tradizioni artigiane e dai piccoli borghi della campagne a essi collegati. Ciascuno dei piccoli centri che circondano la città di Pisa in questo ha una sua storia, fatta di specializzazioni che hanno all'origine diverse variabili, a volte facilmente individuabili ( quelle di origine naturale, come la acque o le cave), a volte più sfuggenti (come la localizzazione di attività industriali).

L’età contemporanea

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In questa vicenda, Vecchiano nell'800 appare come una terra di frontiera. Lo fu effettivamente, dal punto di vista politico, fino al 1847, quando il ducato di Lucca venne annesso alla Toscana; ma è terra di frontiera anche per gli altri fenomeni segnalati, quali il progresso della bonifica e l'appoderamento, la frantumazione della proprietà contadina, la comparsa di nuove attività nel settore secondiario o terziario. In altre zone di pianura che avevano conosciuto la stessa evoluzione il cammino era stato più precoce, a Vecchiano, nel secolo XIX, il processo era ancora in pieno svolgimento. Questo è anche il periodo in cui iniziano una serie di fonti molto più complete per l'analisi dei fenomeni economici e sociali, quest'area appare utilissimo strumento di analisi delle fasi di passaggio da un vecchio a un nuovo regime. Le fonti di cui si parla sono, per la prima metà dell'ottocento, il catasto geometrico-particellare per quanto concerne il paesaggio agrario e la struttura della proprietà terriera, ed il primo censimento professionale della popolazione toscana che ci sia pervenuto integro. Il catasto, di lunga gestazione, fu attivato fra il 1834 e il 1836; il censimento è quasi coevo, essendo stato eseguito nel 1841. Questa circostanza permette, attraverso le volture da un lato e la struttura familiare dall'altro, di incrociare molti dati tra le due fonti e di chiarire la dinamica sociale, seguendo la dinamica dei vari gruppi.

Questo lavoro, per Vecchiano, è stato in pratica avviato per quanto concerne la fonte catastale, mentre il censimento della popolazione del 1841 è già stato computerizzato e molte analisi dei risultati sono già state condotte. Si tratterà, nel futuro, di completare il campo di indagine iniziale e di integrarlo tramite l'estensione diacronica, alle spalle e in prosieguo del periodo scelto come base.

Il processo di bonifica, nel periodo del censimento proseguiva. La popolazione conobbe una forte crescita nella prima metà dell'Ottocento raddoppiando fra il censimento del 1784 e quello del 1841 e facendo quindi registrare uno degli incrementi maggiori in tutta la pianura pisana. Tra gli artefici maggiori di questo incremento furono i principi Borghese e la loro azione nella tenuta di Migliarino, dove proseguirono l'opera di bonifica e appoderamento. Per quanto riguarda l'insediamento agrario, nella zona di più antico insediamento, Avane e Filettole, il terreno era quasi interamente ridotto a coltura. Vi si trova, nell'ottocento, quasi tutta la superficie a uliveto, che risaliva anche alcune pendici dei monti di Avane. Gli ulivi erano prevalentemente a boschetto, in colture non promiscue ai seminativi, come nel resto dei monti pisani. sulle colline di Avane era conservato il patrimonio boschivo della comunità: si trattava di macchia con qualche castagneto, mentre sul litorale alla macchia mediterranea si univano i pini. La zona di pianura bonificata era la più fertile.

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Le esenzioni catastali di Barra, Nodica, Malaventre e Migliarino, 1400 ettari di terreno alluvionale, esprimevano le potenzialità più alte dell'agricoltura della zona. Il Serchio era la grande fonte di ricco terreno, ma anche un problema continuo per il controllo del suo alveo, che risultava sopraelevato rispetto alla campagna nel tratto finale. Gli straripamenti erano frequenti; il confine del fiume e delle terre mutava con le piene e i depositi alluvionali, e spesso gli argini e i confini di proprietà dovevano essere rimodellati. Ogni anno i periti dell'Ufficio dei Fiumi e Fossi e delle magistrature comunitative percorrevano le rive dell'Arno e del Serchio, stipulando dettagliate relazioni di tutti i lavori di manutenzione da eseguire, ma il pericolo delle piene era sempre incombente. La grande proprietà dei Borghese, subentrati ai Salviati all'inizio dell'Ottocento, era la più importante della comunità. Nelle fattorie di Migliarino e Vecchiano i Borghese, nel corso di tutto il secolo XIX, investirono molti capitali: oltre a proseguire le bonifiche, aumentarono a seguito delle stesse il numero dei poderi, risistemarono le vecchie case coloniche, abbellirono la villa. La loro gestione, attenta alle migliorie agricole, li rivela proprietari molto più moderni dei loro predecessori, che non avevano dedicato, a fine settecento, grande cura a Migliarino.

Il loro arrivo era però destinato a creare contrasti con la popolazione di Vecchiano, soprattutto con la più povera: essi acquisiscono la fattoria granducale di Vecchiano,sulla quale gli abitanti esercitavano ancora antichi diritti comunitativi che procuravano il mezzo di sostentamento per la classe più indigente. Il principe don Francesco Borghese Aldobrandini però non riconosceva tali diritti. L'area di Malaventre era anche l'inizio della palude. I lavori di prosciugamento erano stati tentati dal secolo XVII, inizialmente con il metodo olandese dei mulini a vento per il funzionamento delle idrovore; ma l'efficienza di tale metodo fu scarsa. Alle idrovore si affiancarono le colmate di pianura. Nell'Ottocento rimaneva ancora un ampio tratto paludoso al confine con il lago di Massaciuccoli e con il territorio lucchese. Le paludi rappresentavano un problema dal punto di vista sanitario, ma insieme alle macchie costiere, e alle acque del Serchio e del mare, erano una notevole fonte di reddito per gli abitanti. Molte famiglie, infatti, vivevano dei proventi della pesca e della caccia, sia come attività prevalente che come sussidiaria dell'attività agricola. All'epoca del censimento generale del 1841 la popolazione di Vecchiano era costituita da 2712 maschi e 2525 femmine, per un totale di 5291 abitanti ripartiti in 825 famiglie; la dimensione media di ogni famiglia era di 6.4 membri, il numero delle case abitate di 792.

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La rilevazione fu compiuta dai parroci delle sei parrocchie i cui confini comprendevano l'intera comunità, con criteri abbastanza rigorosi anche se lontani dai criteri attuali. Il numero dei maschi supera quello delle femmine soprattutto nelle classi d'età giovanile, fino ai 15 anni. Almeno per quanto concerne Vecchiano, lo squilibrio non sembra attribuire alla presenza di trovatelli di sesso maschile piuttosto che femminile tenuti in balia o integrati definitivamente come garzoni nell'ambito delle famiglie. I trovatelli presenti, che vengono quasi tutti dal R.Spedale di Pisa, sono numerosi, ma tra loro non ci sono molte differenze di sesso. Il segnale sembra essere quello di una minore cura per le figlie femmine che nascevano, e che anche senza il ricorso alla pratica dell'infanticidio avevano una minore speranza di vita. All'atra estremità del ciclo vitale, troviamo ancora un segno di difficoltà nella condizione delle donne: il numero delle vedove sopravanzava molto quello dei vedovi, per i quali era più frequente la pratica di un secondo matrimonio. Un altro elemento rilevante è quello di una considerevole presenza del celibato definitivo, che appare come tratto caratteristico della Toscana dell'800.

In presenza di una crescita demografica non compensata da una contemporanea crescita delle terre coltivate o di sbocchi in altre attività economiche, l'aumento dell'età media al matrimonio o al celibato più o meno obbligatorio di alcuni membri delle famiglie erano le forme più consuete di controllo sociale sulla demografia di una comunità. Come prevedibile, l'attività prevalente era quella agricola anche se era frequente all'interno delle famiglie che avevano nell'agricoltura la maggiore fonte di reddito, il ricorso ad attività sussidiarie. Il censimento del 1841 ci fornisce, nelle indicazioni dei parroci, la condizione professionale di 2.400 abitanti. Certamente non tutti i restanti erano inattivi; in particolare, risulta sottostimato il numero dei mezzadri, per i quali di frequente i parroci indicano solo la professione di capofamiglia, dando per sottointeso che tutti gli altri membri attivi esercitino la stessa professione o attendano, come avveniva alle donne, a casa. Tra le diverse professioni, la categoria più numerosa era quella dei braccianti, sia come numero di famiglie, sia come complesso dei componenti. Era, questa, una realtà comune a molta parte della pianura pisana che risulta meno mezzadrile di altre province.

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Il fenomeno del bracciantato aveva una duplice origine: da un lato il disgregarsi della piccola proprietà contadina per le suddivisioni patrimoniali, in un'epoca in cui erano molto rallentati i riaccorpamenti forzosi legati a crisi demografiche; dall'altro la crescita delle famiglie coloniche anche qui non bilanciata da eguali possibilità di apertura di nuovi poderi. Le famiglie dei braccianti oscillavano molto come numero dei componenti, tanto da rendere ogni media priva di significato. si andava alla famiglie nucleari di 2 persone fino a 7-8 membri. Le famiglie mezzadrili erano in tutto 122, con un'ampiezza media di quasi 11 membri; ma si arrivava a oltre 14 in media nei grandi poderi di pianura come nella parrocchia di Nodica. Quasi pari a quelle dei mezzadri sono le famiglie di agricoltori classificate come possidenti, ma in una vasta gamma:74 i casi in cui il capofamiglia è definito come tale, 35 come piccolo o piccolissimo agricoltore possidente, nel resto dei casi anche colono o bracciante. Dall'incrocio con i dati del catasto, i possessi dei piccoli e piccolissimi agricoltori possidenti appaiono costituiti spesso da frazioni di ettaro,o anche da un paio di ettari, ma in comproprietà con due o tre altre famiglie: la ricchezza maggiore è in molti casi la casa in cui si abita.

Residui di precedenti condizioni di piccola proprietà si trovano anche nelle case di mezzadri, che spesso possiedono quelle case e qualche casa o terre, e in quelle dei braccianti. Nella quasi totalità dei casi il censimento abbinato ai dati catastali indica che è in atto un frazionamento delle proprietà fra eredi, che tengono il possesso unito ma non possono più da esso trarre il sostentamento per le loro famiglie e divengono figure miste di lavoratori (agricoltore colono, operante piccolo possidente e pescatore). La loro condizione è quanto mai precaria; la qualifica di indigente da parte dei parroci accompagna una parte considerevole di queste famiglie. In alcuni casi mancava anche un insediamento stabile: sono segnalati molti casi di famiglie di pescatori che vivono in capanne vicino alla palude. Il livello di alfabetizzazione risulta molto limitato. Nella popolazione di età superiore ai dieci anni, il livello degli analfabeti toccava l'81%, ed anche in questo caso, la situazione si aggravava per le donne. La grande ondata di alfabetizzazione non aveva ancora raggiunto queste zone.

La crescita demografica di Vecchiano è proseguita costantemente negli ultimi due secoli.

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L'andamento della nunzialità, appare segnato da tre eventi bellici che la condizionano in senso negativo: la terza guerra d'indipendenza (1866) e le due guerre mondiali (1915-1918 e 1940-1944 anno in cui il fronte, passando anche per queste zone, sfondò la linea gotica). L'andamento dei tassi di natalità e mortalità è complesso. E' nella prima metà del sec XIX che i primi sovrastano i secondi. Il tasso di mortalità risente nei decenni centrali del XIX secolo delle epidemie di colera cui è dovuta la brusca impennata del 1855, che raddoppia il tasso medesimo, e si ripete con quasi altrettanta virulenza nel 1867. Verso il 1870 comincia la fase vera e propria di passaggio a un nuovo regime demografico: come nel resto della Toscana, i tassi da natalità e mortalità cominciano a scendere entrambi costantemente, così da non provocare un grande incremento demografico a seguito della caduta del tasso di mortalità. Nel secondo dopoguerra si apre un nuovo capitolo di storia demografica: a Vecchiano le nascite continuano a diminuire e, a causa dell'invecchiamento della popolazione, i tassi delle morti superano quelli delle nascite.

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Atlante topografico di Migliarino nel 1831.

Ignoto

Celibe

Nubile

Coniugato

Coniugata

Vedovo

Vedova

La popolazione di Vecchiano secondo lo stato civile aggiornato al 1991.

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Note sulla periodizzazione

La periodizzazione è stata effettuata tenendo conto dei mutamenti che hanno influenzato la zona, delle diverse frequentazioni che si sono verificate nel corso del tempo e delle differenti correnti culturali ivi collocate. Si è inoltre tenuto conto dei diversi procedimenti di analisi delle fonti e di ritrovamento dei materiali. Per il resto la divisione è stata fatta seguendo anche i canoni tradizionale della periodizzazione. Si è deciso di scindere la preistoria dalla tarda protostoria, ponendo quest'ultima in continuità con le correnti successive, fino alla fine dell'impero romano che segna anche in questo territorio l'inizio dei conflitti fra romani e gli invasori per il dominio sul territorio. In tale periodo, infatti, si nota una certa continuità nella tipologia di dominio e nelle locazioni in cui i dominanti preferivano insediarsi. Sia le dominazioni etrusche che quelle romane successive si insediano di preferenza sulla costa, per avvantaggiare i commerci e per la fertilità dei terreni acquitrinosi del padule. Inoltre non si hanno notizie di insediamenti preistorici nella pianura vecchianese, mentre la ruota di bronzo rinvenuta in loc. Troncolo pone un confine apparente fra le diverse tipologie di insediamento, usato come differenziazione fra le diverse epoche. In epoca medievale la situazione cambia, con l'iniziale dominio dei goti, attestato da diversi toponimi nella zona. In oltre in tale epoca, ed è questo a differenziarla principalmente dalle precedenti, si attesta per la prima volta la divisione del territorio in popolazioni che fanno capo a diverse pievi, quindi che subiscono una dominazione in cui le figure religiose appaiono detentrici del potere temporale. E' infatti questo il periodo in cui per la prima volta in questa zona un imperatore, Corrado III, dona territori all'arcivescovo di Pisa. Il fenomeno segna quindi una differenziazione con quanto visto fino a qui. L'età moderna è l'età in cui per la prima volta si ha la fine di una ricerca di sbocchi economici per le zone palustri e al tempo stesso si ha l'utilizzo alternativo di queste terre al principio della riconversione agricola, segnato dalla politica del granduca Ferdinando che porta allo sviluppo dell'interesse per la bonifica e il prosciugamento del padule. E' questa l'epoca in cui il tempo della vita delle persone, i loro insediamenti, ruotano intorno all'agricoltura. Anche le abitazioni rappresentano questo fenomeno, sono tutte regolate dalla vicinanza a terreni agricoli, tranne le case di villeggiatura dei cittadini, poste in zone diverse e con scopi abitativi differenti.La differenziazione fra l'età moderna e quella contemporanea è data da una data fondamentale, quella del 1810, quando cioè si costituisce la comunità di Vecchiano, in concomitanza con l'annessione della Toscana all'impero Napoleonico. Il territorio, dominato dai principi Borghese, non presenta per il resto particolari cambiamenti rispetto al passato. Ancora il centro della vita di ogni famiglia appare il lavoro agricolo, ancora il territorio appare legato all'autorità ecclesiastica (basti pensare che il primo censimento effettuato nella zona, nel 1841, fu effettuato dai parroci delle parrocchie disseminate sul territorio), ma questa data segna comunque un passaggio fondamentale nella storia del paese.

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Bibliografia

• Aa. Vv., 1991, Il fiume, la campagna, il mare. Reperti, documenti, immagini per la storia di Vecchiano; Pontedera

Il volume è risultato molto interessante, in quanto realizzato da storici che hanno qui illustrato i loro studi realizzati sulle fonti e i reperti rinvenuti nel territorio del Comune di Vecchiano. Per quanto riguarda la ricerca del materiale sul web, il lavoro è risultato molto più complesso in quanto effettuando la ricerca mediante motore di ricerca, i risultati ottenuti riconducevano tutti a siti amatoriali. I siti che raccoglievano informazioni sulla storia di Vecchiano erano infatti realizzati da amatori, o addirittura da nipoti di emigrati che desideravano solo dare qualche notizia di carattere generale sulle proprie origini e su quelle del proprio paese.

• http://www.radicedidue.com/Toscana/toscana.cgi?rdd1=04&rdd2=0737• http://www.monacci.net/vecchian.php

Molto più efficaci si sono rivelate le ricerche sui personaggi i cui studi hanno portato ai ritrovamenti che ci permettono di documentare la storia di Vecchiano. Nel sito del dipartimento di Archeologia dell'Università di Pisa, ad esempio, vi sono non solo note biografiche sugli studiosi, ma anche note particolari sul loro lavoro, sui ritrovamenti, sui siti e sui materiali. A tal proposito segnalo:

• http://archeo4.arch.unipi.it/dachiardi.html• http://archeo4.arch.unipi.it/regnoli.html

A partire da queste due pagine è possibile visionare una mappa delle collezioni, vi è anche un link alla collezione della grotta del Castello, in cui è possibile visionare i materiali ritrovati. Poco utile ai fini della ricerca condotta si è rivelato il sito internet del Comune di Vecchiano in quanto ricco di informazioni utili per il cittadino ma poverissimo di note storiche o informazioni sul territorio:

• http://www.comune.pisa.it/doc/vecchiano/