103
Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Medicina e Chirurgia Tesi di Dottorato in Neuroscienze, Riabilitazione motoria e Scienze del Comportamento (XVII ciclo) STUDIO DEL MOVIMENTO VOLONTARIO DELL’ARTO SUPERIORE IN SOGGETTI NORMALI E IN PAZIENTI CON DISORDINI DEL MOVIMENTO: MECCANISMI FISIOPATOLOGICI Candidata Relatore Dott. Loredana Dinapoli Prof. Alfredo Berardelli Correlatore Dott. Antonio Currà Anno Accademico 2003-2004

STUDIO DEL MOVIMENTO VOLONTARIO DELL’ARTO …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/714/1/DinapoliLoredana312.pdf · fisiologiche e patologiche (Bergman et al. 1990; Nambu et al. 2002b)

Embed Size (px)

Citation preview

Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Medicina e Chirurgia

Tesi di Dottorato in

Neuroscienze, Riabilitazione motoria e Scienze del Comportamento (XVII ciclo)

STUDIO DEL MOVIMENTO

VOLONTARIO DELL’ARTO SUPERIORE

IN SOGGETTI NORMALI E IN PAZIENTI

CON DISORDINI DEL MOVIMENTO:

MECCANISMI FISIOPATOLOGICI

Candidata Relatore Dott. Loredana Dinapoli Prof. Alfredo Berardelli Correlatore Dott. Antonio Currà

Anno Accademico 2003-2004

2

A mio padre

3

Indice

I GANGLI DELLA BASE........................................................................................5 Lo Striato..................................................................................................................6 Il nucleo subtalamico ................................................................................................6 GPe e GPi.................................................................................................................7 SNr e SNc.................................................................................................................7 ANATOMIA FUNZIONALE...................................................................................9 La Malattia di Parkinson.........................................................................................10 Levodopa e discinesie .............................................................................................11 La Distonia .............................................................................................................13 LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA .....................................16 Cenni introduttivi....................................................................................................16 Metodiche TMS standard........................................................................................17

Soglia Motoria ................................................................................................17

Potenziali Evocati Motori................................................................................18

Metodiche TMS non standard .................................................................................18 Periodo silente ................................................................................................18

Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva (rTMS) ................................19

LA TMS E I DISORDINI DEL MOVIMENTO......................................................21 La malattia di Parkinson .........................................................................................21 La distonia..............................................................................................................22 CINEMATICA DEL MOVIMENTO......................................................................24 Studi sui normali.....................................................................................................24 La malattia di Parkinson .........................................................................................27

I movimenti semplici ......................................................................................27

I movimenti complessi ....................................................................................28

La distonia..............................................................................................................29 BIBLIOGRAFIA....................................................................................................31 INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE ............................................41 EFFETTI DELLA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA DELLE AREE MOTORIE PRIMARIE E NON PRIMARIE SULLA CINEMATICA DEI MOVIMENTI RAPIDI SEQUENZIALI DELL’ARTO SUPERIORE ..........................................................................................................42 Materiale e metodo .................................................................................................43 Risultati ..................................................................................................................47 Discussione ............................................................................................................50 Bibliografia ............................................................................................................65 STUDIO DEI MOVIMENTI INDIVIDUALI E NON INDIVIDUALI DELLE DITA IN PAZIENTI AFFETTI DA DISTONIA DELL’ARTO SUPERIORE ........68 Materiale e metodo .................................................................................................69 Risultati ..................................................................................................................71 Discussione ............................................................................................................73

4

Bibliografia ............................................................................................................80 STUDIO DELL’APPRENDIMENTO MOTORIO MEDIANTE ADDESTRAMENTO BREVE E PROLUNGATO IN PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI PARKINSON ........................................................................84 Materiale e metodo .................................................................................................85 Risultati ..................................................................................................................88 Discussione ............................................................................................................91 Bibliografia ..........................................................................................................100

5

I GANGLI DELLA BASE

I gangli della base rivestono un ruolo attivo nell’esecuzione di comportamenti

complessi che richiedono coordinazione fra processi cognitivi e movimento.

Tale ruolo si riflette anche alla posizione anatomica dei gangli come parte

centrale di un loop neuronale che connette molte aree corticali con i lobi

frontali. Lo striato, il pallido, la substantia nigra e il nucleo subtalamico sono

generalmente considerati le componenti più importanti dei gangli della base e

si dividono a loro volta in sub-nuclei. Lo striato comprende il caudato, il

putamen e il nucleus accumbens, il pallido si divide in una porzione esterna

(GPe), una interna (GPi) ed una ventrale, la substantia nigra si distingue in pars

reticulata (SNr) e in pars compacta (SNc)(Fig. 1).

Fig. 1 I gangli della base (da Herrero et al. 2002)

6

Lo Striato

Lo striato è la stazione primaria di input dei gangli della base. La porzione

dorsale si divide ulteriormente in nucleo caudato e putamen, quella ventrale

include il nucleus accumbens, le porzioni ventrali e mediali di caudato e

putamen e le cellule striatali del tubercolo olfattivo e della sostanza perforata

anteriore. (Gerfern e Wilson, 1996).

Riceve proiezioni massive glutammatergiche (eccitatorie) da tutta la corteccia

(Parent e Hazrati, 1995), eccetto le aree visive e acustiche, e da molti nuclei nel

talamo incluso il ventrale anteriore (McFarland e Haber, 2000); il terzo input

più importante è dopaminergico e arriva dalla pars compacta della substatia

nigra (Haber et al. 2000). L’input dalla corteccia è organizzato in modo

topografico cosicché le proiezioni di aree vicine in corteccia vanno a finire in

bande longitudinali adiacenti e organizzate nello striato (Selemon e Goldman-

Rakic, 1985).

Dallo striato partono inoltre proiezioni inibitorie verso il GPi, la SNr e al GPe,

(quest’ultimo inibisce a sua volta il STN che riduce la sua eccitazione sul GPi).

Questa via indiretta dallo striato (tramite il GPe e il STN) agisce in opposizione

alla via diretta e consente il focusing del flusso di informazioni dallo striato al

GPi.

Il nucleo subtalamico

Il nucleo subtalamico riceve input glutammatergici dalla corteccia frontale e

dalle aree motorie (aree 4, 6 e 8) e sensoriali (Monakow et al. 1978; Nambu et

al. 1996). Pur essendo notevolmente più piccolo (per dimensioni e numero di

cellule) dello striato esso gioca un ruolo predominante in condizione

fisiologiche e patologiche (Bergman et al. 1990; Nambu et al. 2002b).

Analogamente alle altre strutture dei gangli esso è composto da neuroni di

proiezione e pochi interneuroni, le cellule sono tonicamente attive (20/30

spikes al secondo) e sparano brevi bursts durante il movimento (Wichmann et

al. 1994). Le proiezioni glutammatergiche giungono ad ambo i segmenti del

7

pallido, ma quelle funzionalmente più importanti sono quelle al GPi e alla SNr)

(Smith et al. 1998).

GPe e GPi

Il segmento esterno del globus pallidus (GPe) è una stazione di relay ricevente

input dallo striato e che proietta al nucleo subtalamico (Alexander e Crutcher

1990) e agli interneuroni GABAergici dello striato (Bolam et al. 2000). Con le

sue proiezioni, il GPe crea dense connessioni GABAergiche con il soma dei

neuroni del GPi (Smith et al. 1998), ed inoltre proietta direttamente alla SNr

(Sato et al. 2000). La maggior parte dei neuroni del GPe sono grossi neuroni di

proiezione ad alta frequenza di scarica (50-70 spikes/s) (DeLong 1972).

Il GPi, che riceve input GABAergici dallo striato e dal GPe ed input

glutammatergici dal STN è considerato la stazione di output dei gangli della

base. Gli output GABAergici proiettano ai nuclei talamici di relay (nucleo

ventro-laterale, ventrale-anteriore, medio-dorsale e nucleo abenulare laterale) e

ai nuclei intralaminari aspecifici, centromediano e parafascicolare (Parent et al.

2001). Le caratteristiche anatomiche, fisiologiche e biochimiche delle cellule

del GPi sono simili a quelle del GPe (Nakanishi et al. 1990), mentre

differiscono per una frequenza maggiore di scarica (60-80 spikes/s).

SNr e SNc

In base alle sue caratteristiche morfologiche, biochimiche, fisiologiche e di

connessione la pars reticulata della substantia nigra (SNr) è generalmente

considerata un’estensione caudomediale del GPi (Yelnik et al. 1987; Francois

et al. 1987). Ha connessioni complesse con i neuroni dopaminergici della pars

compacta e con il collicolo superiore; queste ultime hanno un ruolo

nell’organizzazione dei movimenti oculari (Jiang et al. 2003). L’output è

GABAergico e inibitorio verso la porzione mediale del talamo ventrolaterale e

la parte magnocellulare del talamo ventrale anteriore (Oertel e Mugnaini 1984;

Ueki 1983). Queste aree talamiche proiettano alla corteccia premotoria e

prefrontale (Kievit e Kuypers 1977),

8

La pars compacta della substantia nigra riceve input da molteplici strutture: il

nucleo subtalamico, lo striato (Haber et al. 2000) e il sistema limbico (Haber e

Gdowski, 2003) e proietta al caudato e al putamen in maniera topografica

(Hedreeen e De Long 1991). Si colloca dorsocaudalmente alla pars reticulata e

nei tessuti post-mortem è riconoscibile per le strie nere di neuromelatonina

presenti nei neuroni dopaminergici di cui è composta.

9

ANATOMIA FUNZIONALE

I circuiti motori hanno ricevuto particolare attenzione nella ricerca, a causa

della loro rilevanza nell’ambito dei disordini del movimento. Essi includono i

campi sensomotori pre e postcentrali, le aree motorie dei gangli e le porzioni

ventrali e ventrolaterali del talamo.

Le proiezioni corticali raggiungono ampie porzioni del putamen che a

sua volta invia afferenze alla SNr e al GPi mediante due tipi di circuiti: una via

monosinaptica diretta ed una via polisinaptica indiretta che attraversa la parte

esterna del globus pallidus (GPe) e il nucleo subtalamico (STN). L’output

gangliare è diretto al talamo e al tronco dell’encefalo (Fig. 2).

Ad eccezione delle efferenze glutammatergiche eccitatorie del STN le

connessioni interne e le altre efferenze dai nuclei della base sono inibitorie

(GABA). Il release di dopamina dai neuroni nigrostriatali modula l’attività di

queste due vie: la trasmissione lungo la via diretta è facilitata dai recettori tipo

D1 e quella lungo la via indiretta è inibita dai recettori tipo D2. L’attivazione

fasica della via diretta produce una ridotta inibizione tonica dell’output dei

gangli della base determinando una disinibizione dei neuroni talamocorticali ed

una facilitazione dei movimenti. Al contrario, un’attivazione fasica della via

indiretta porterebbe ad un aumento dell’output dai gangli della base ed alla

soppressione del movimento. L’effetto complessivo del rilascio striatale di

dopamina è quello di ridurre l’output inibitorio da GPi/SNr incrementando

l’attività dei neuroni talamici verso la corteccia.

I gangli della base sono implicati in una varietà di funzioni motorie –

inclusa la pianificazione, l’avvio e l’esecuzione del movimento volontario – e

sono particolarmente coinvolti nel controllo dell’esecuzione di movimenti

appresi, sequenziali, e simultanei.

I disordini del movimento sono generalmente suddivisi in disturbi

ipocinetici (povertà complessiva di movimento) ed ipercinetici (eccesso di

movimento o presenza di movimenti involontari). Un modello molto

autorevole di funzionamento dei gangli della base riconduce tali disordini ad

un accresciuto (ipocinetici) o diminuito (ipercinetici) output dai gangli della

base. (Wichmann e De Long 1996)

10

Fig. 2 Le vie diretta ed indiretta (da Wichmann e De Long 1996)

La Malattia di Parkinson La malattia di Parkinson, patologia degenerativa del sistema nervoso centrale,

fu descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817 e da lui distinta

dagli altri disturbi caratterizzati da tremore. La prevalenza nella popolazione

generale è di circa l’1/1000, colpisce ambo i sessi ed insorge mediamente fra i

50 e i 60 anni.

I sintomi sono attribuibili alla degenerazione e perdita delle cellule della

pars compacta della substantia nigra; dal punto di vista anatomopatologico,

oltre alla perdita neuronale, vi è un’alterazione degenerativa e presenza di

inclusioni citoplasmatiche, i corpi di Lewy, marker caratteristico della malattia.

Alterazioni anatomopatologiche sono evidenti anche a livello di altre strutture

quali il locus coerulus, il nucleo motore dorsale del vago, la sostanza

innominata e la colonna intermediolaterale del midollo spinale.

Da un punto di vista patogenetico la malattia di Parkinson è considerata

una sindrome da deficienza di dopamina. La perdita dei neuroni dopaminergici

11

della substantia nigra determina una riduzione della dopamina striatale: come

risultato, la funzione della via diretta e indiretta dallo striato al talamo risulta

alterata.

L’eziologia della malattia annovera fattori genetici (parkinsonismi

monogenici) e non - in grado di indurre morte progressiva nei neuroni

dopaminergici striatali.

La sintomatologia della malattia di Parkinson comprende segni motori e non

motori. I segni motori sono tremore, rigidità, bradicinesia, instabilità posturale.

I sintomi non motori sono demenza, depressione, ipotensione ortostatica ecc.

Dal punto di vista dei disturbi motori, nelle fasi iniziali la malattia si presenta

in modo subdolo con stanchezza, lieve tremore, difficoltà nella scrittura senza

deficit di forza. Il paziente incontra maggiori difficoltà nell’incominciare e

portare a termine un movimento con la velocità usuale. Il tremore è

inizialmente visibile agli arti superiori, per lo più esordisce in un solo lato ed

interessa l’una o l’altra mano. Il tremore tipico è quello a riposo, ha una

frequenza di 3-7 Hz e compare in circa un terzo dei pazienti; può estendersi

alle labbra o alla mandibola e scompare di solito quando il paziente mette in

atto un movimento finalizzato. La rigidità è un altro sintomo chiave: si

apprezza come aumentato tono muscolare a riposo o durante il movimento

degli arti superiori, inferiori e della muscolatura assiale. La bradicinesia si

manifesta nell’impaccio dei movimenti volontari che risultano meno veloci,

fluidi, di minor ampiezza e facilmente esauribili nelle ripetizioni successive.

L’ipocinesia coinvolge anche i distretti cranici: l’espressione del volto è

amimica, la voce monotona con volume ridotto, la salivazione falsamente

eccessiva per riduzione degli atti deglutitori (è presente inoltre disfagia). Altro

tipico disturbo è la difficoltà nella messa in moto della marcia, fenomeni di

blocco motorio (freezing), e le difficoltà posturali che in genere diventano

rilevanti nella fase avanzata della malattia.

Levodopa e discinesie

Il farmaco maggiormente utilizzato nella terapia del Parkinson è la levodopa

(L-DOPA). Somministrata oralmente, attraversa la barriera ematoencefalica

12

per essere trasformata in dopamina a livello dello striato tramite l’azione

dell’enzima DOPA-decarbossilasi. La L-DOPA è di solito abbinata ad un

enzima inibitore della decarbossilasi periferica (carbidopa o benserazide).

L’effetto terapeutico della levodopa diminuisce progressivamente dopo

anni di trattamento continuo, per la progressione della condizione patologica di

base. Oltre al miglioramento clinico la levodopa può indurre movimenti

involontari, fenomeno “ON-OFF” e anormalità psichiatriche. I movimenti

involontari si verificano più frequentemente sotto forma di discinesia coreica,

meno spesso di un improvviso mioclono generalizzato. La discinesia si

sviluppa in relazione alla dose, tende a comparire dopo mesi o anni di

trattamento ed è presente di solito quando si verifica un significativo effetto

terapeutico antiparkinsoniano; tende poi a scomparire in seguito alla

diminuzione del dosaggio o all’interruzione della levodopa. Più a lungo dura il

parkinsonismo, più alte sono le probabilità di comparsa della discinesia. La sua

patogenesi sembra legata all’ipersensibilità da denervazione a livello dei

recettori dopaminergici striatali, presumibilmente privati della fisiologica

stimolazione dopaminergica. Ciò implica un’alterazione della fisiologia del

recettore piuttosto che un effetto diretto della stessa levodopa.

Il fenomeno “ON-OFF” consiste in oscillazioni imprevedibili nella

motilità, che si possono anche verificare diverse volte in un giorno nei soggetti

sottoposti a terapia cronica con levodopa. I pazienti alternano periodi di

parkinsonismo relativamente grave (stato “OFF”) ad intervalli di mobilità

normale (stato “ON”) o addirittura di movimenti involontari (stato “ON” con

discinesie). Il fenomeno ON-OFF sembra derivare da una perdita progressiva

di neuroni dopaminergici con una diminuzione della capacità di sintetizzare,

accumulare e rilasciare dopamina.

Gli effetti collaterali psichiatrici del trattamento cronico con levodopa si

verificano approssimativamente nel 50% dei pazienti in trattamento da almeno

due anni. La fisiopatologia ancora non è ben nota: probabilmente è in relazione

con l’attività centrale dopaminergica. Se il trattamento è continuato nelle forme

gravi può svilupparsi uno stato psicotico. Inizialmente si verificano sogni

vivaci e incubi (nel 30-35% circa dei pazienti); una percentuale simile lamenta

allucinazioni frequenti, di solito notturne, di tipo visivo e uditivo. Gli episodi

13

psicotici da levodopa si presentano sotto forma di deliri paranoici a volte

associati a fasi confusionali.

La Distonia

La distonia è un disordine del movimento caratterizzato da contrazioni

muscolari involontarie che producono movimenti ripetitivi e di torsione e

postura anomale in differenti distretti corporei.

La distonia viene classificata in base alla distribuzione clinica in:

- focale, quando colpisce una parte del singola corpo (blefarospasmo,

distonia oromandibolare, disfonia spasmodica, distonia cervicale e

crampo dello scrivano)

- segmentale, quando colpisce gruppi muscolari adiacenti

- multifocale, quando vengono colpiti due o più segmenti corporei

non contigui

- generalizzata, quando coinvolge l’intero corpo

- emidistonia, quando è interessato un emisoma

La distonia è classificata in base all’età d’esordio in forme infantili (0-12 anni),

adolescenziali (13-20 anni) e dell’adulto (oltre i 20 anni).

Le caratteristiche cliniche della distonia sono correlate all’età di comparsa della

sintomatologia: le forme generalizzate di solito si manifestano in età infantile

con movimenti involontari degli arti inferiori che diffondono rapidamente agli

altri distretti corporei, procurando una compromissione importante della

motilità.

Le forme focali e segmentali in genere colpiscono più frequentemente gli adulti

e tendono a non diffondere. Il blefarospasmo, ad esempio, è caratterizzato da

una contrazione spasmodica del muscolo orbicolare degli occhi per alcuni

secondi o minuti. Nella distonia oromandibolare i movimenti involontari

colpiscono la metà inferiore del viso. Queste due forme di distonia sono spesso

presenti nello stesso paziente. La disfonia spasmodica, di cui esistono due

forme, la prima che colpisce i muscoli adduttori e la seconda gli abduttori

laringei, può presentarsi in forma isolata o associata ad altri movimenti

involontari. Il torcicollo spasmodico, che compare in età adulta, coinvolge i

14

muscoli sternocleidomastoideo, splenio e trapezio; a volte è associato a

distonia cranica o a tremore del capo e degli arti e disturbi della deglutizione.

Il crampo dello scrivano e gli altri crampi occupazionali (tipici nei pianisti,

chitarristi, violinisti e dattilografi), cui un tempo veniva attribuita una causa

psicogena, sono attualmente inquadrate come distonie focali. Accingendosi a

scrivere il paziente con crampo afferra la penna con una forza sproporzionata e

l’arto superiore assume una particolare postura (si eleva), mentre il polso può

flettersi o estendersi. Talvolta è presente un tremore posturale.

Dal punto di vista etiologico la distonia si classifica in forme primarie,

distonia-plus, associate a malattie eredodegenerative, e secondarie.

Si parla di distonia primaria quando non è associata ad altri disturbi neurologici

e quando non sono reperibili cause identificabili. In tali casi spesso vi sono

difetti genetici (finora sono state identificate 13 forme, alcune delle quali si

trasmettono con caratteri autosomici dominanti con ridotta penetranza; altri con

caratteri recessivi, altri legati al sesso).

La DOPA-Responsive Distonia (DRD) è una forma ereditaria di

distonia, esordisce durante l’infanzia (età media 7 anni) ed è caratterizzata da

una progressiva compromissione dell’andatura. Con il progredire del male si

sommano altri sintomi assimilabili a quelli del morbo di Parkinson

(bradicinesia, instabilità posturale, tremore a riposo). Tali disturbi subiscono

fluttuazioni diurne e di solito sono meno severi al mattino. La forma più

comune di DRD è causata da una mutazione nel GTP gene (GTP-CH1).

La distonia mioclonica è una rara forma genetica autosomica dominante

di distonia caratterizzata da rapidi spasmi muscolari e posture distoniche. Le

parti più affette del corpo sono il tronco, gli arti superiori, il collo e le spalle.

Meno affetti il volto e gli arti inferiori. L’età d’esordio è tra la prima e la

seconda decade di vita (www.dystonia-foundation.org).

Manifestazioni distoniche possono essere presenti in pazienti con

malattia di Parkinson, atrofia multisistemica, paralisi sopranucleare

progressiva, morbo di Wilson, malattia di Leigh e deficit di PAN-K1 e

moltissime altre.

Nelle distonie secondarie sono riconoscibili lesioni focali del putamen,

del globus pallidus, del caudato e del talamo ventrale in seguito a traumi,

15

tumori, malformazioni vascolari, anossia, sofferenza fetale o perinatale,

esposizione a farmaci.

16

LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA

Cenni introduttivi

La Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), introdotta da Anthony Barker

dell’Università di Sheffield nel 1985, è stata la prima tecnica - sicura e non

invasiva - utilizzata per attivare la corteccia motoria dell’uomo e valutare il

funzionamento delle vie motorie centrali. L’uso di questa metodologia si è

diffuso rapidamente su vasta scala andando a sostituire la Stimolazione

Elettrica Transcranica (TES) nella ricerca neurofisiologica, neuroscientifica e

psichiatrica, con l’intento, ancora attuale, di estenderne ulteriormente gli

utilizzi nella clinica.

La TMS si basa sul principio dell’induzione elettromagnetica scoperto

nel 1838 da Michael Faraday. Un impulso di corrente, passando con forza e

durata sufficienti attraverso una bobina posta sul capo di un soggetto (coil), fa

sì che si generi un campo magnetico variabile che penetra lo scalpo

raggiungendo il cervello con un’attenuazione minimale (Kobayashi e Pascual-

Leone 2003). Tale campo variabile induce a sua volta una corrente elettrica

secondaria nel cervello, sufficiente a causare una depolarizzazione delle fibra

nervose.

La capacità della TMS di depolarizzare i neuroni dipende dalla

“funzione attivante” (Barker 2002) che la corrente transmembrana (descrivibile

matematicamente come la derivata spaziale del campo elettrico) produce lungo

la fibra nervosa. La stimolazione avverrà dunque nel punto in cui la derivata

spaziale del campo elettrico è massima (Barker 2002; Maccabee et al. 1993;

Abdeen et al. 1994) (Fig. 3).

La TMS attiva indirettamente le cellule piramidali evocando le indirect

waves (I-waves), oppure direttamente il loro monticolo assonale, generando le

direct waves (D-waves)(Day et al. 1989). Assoni ad alta velocità di conduzione

(>75m/s) hanno una soglia inferiore per le D-waves mentre gli assoni a bassa

velocità di conduzione (<55m/s) hanno una soglia inferiore per le I-waves.

Mentre la TES attiva le fibre dolorifiche corticali, la TMS, anche ad alte

intensità, attiva sempre e soltanto gli assoni motori (Edgley et al. 1997). Questa

17

peculiarità rende la TMS accettabile dal soggetto e pertanto ideale per studiare

l’eccitabilità corticale. Alcune patologie neurologiche possono causare

un’alterazione dell’eccitabilità corticale o delle connessioni tra strutture

corticali e sottocorticali: la TMS è efficace nell’evidenziare tali modificazioni.

Inoltre essa può essere usata per modificare l’eccitabilità ed attivare strutture

anatomicamente distanti (a livello corticale, subcorticale e spinale).

Durante la stimolazione, l’operatore può controllare l’intensità degli

stimoli cambiando l’intensità del flusso di corrente della bobina, così da

modificare l’ampiezza del campo magnetico indotto e, di conseguenza, del

campo elettrico. Il focus del campo magnetico dipende dalla forma delle bobine

di stimolazione. Le più comuni sono di due tipi: ad otto (o a farfalla) e

circolare. La prima fornisce una stimolazione più focale e consente un

mappaggio dettagliato della corteccia (Thickbroom et al. 2002). La seconda

genera un campo elettrico più distribuito e stimola in modo ampio e bilaterale

gli emisferi (è difatti utilizzata per la stima del tempo di conduzione centrale)

(Meyer 2002). Oltre al tipo di bobina, l’operatore può variare la frequenza di

stimolazione, ottenendo effetti diversi sulle regioni target.

La TMS, somministrata a differenti livelli del nevrasse, fornisce

informazioni sull’integrità funzionale delle strutture neurali attivate, quali le

fibre corticospinali, corticonucleari e callosali, così come le radici nervose e le

vie motorie periferiche.

Metodiche TMS standard

In questo capitolo sono descritte alcune metodiche TMS - standard e non

standard -utilizzate negli studi presentati nella sezione sperimentale della tesi.

Soglia Motoria La soglia motoria è l’intensità minima necessaria per evocare, mediante un

singolo stimolo, un potenziale evocato motorio (MEP) di 50µV (ampiezza

picco-picco) nel 50% di un numero prestabilito di trial successivi nel muscolo

18

in esame. Il muscolo suddetto può essere sia in condizione di riposo che di

leggera contrazione (Rossini et al. 1994). La soglia motoria riflette

l’eccitabilità di membrana dei neuroni corticospinali e degli interneuroni che ad

essi proiettano nella corteccia motoria, così come l’eccitabilità dei neuroni

spinali, delle giunzioni neuromuscolari e dei muscoli (Mann et al. 1996). Oltre

all’eccitabilità di membrana la soglia motoria può inoltre essere correlata

all’attività degli input neurali nelle cellule piramidali; inoltre può riflettere

l’efficacia delle sinapsi dei neuroni presinaptici corticali sino ai muscoli.

La soglia motoria riflette in parte la permeabilità dei canali del sodio e del

potassio (Ziemann et al. 1996) e - a riposo - l’eccitabilità degli assoni corticali

presinaptici ai neuroni corticospinali (Day et al. 1989). Se valutata in

contrazione, invece, i fenomeni postsinaptici possono esercitare un ruolo

maggiore.

Potenziali Evocati Motori L’ampiezza del MEP riflette non solo l’integrità del tratto corticospinale ma

anche l’eccitabilità della corteccia motoria e delle radici nervose e la

conduzione lungo le vie periferiche verso i muscoli. Un danno neurologico ad

ognuno dei livelli della via corticospinale può causare anomalie nella risposta

evocata motoria. La riduzione di ampiezza del MEP è associata spesso ad una

disfunzione del CMCT; tuttavia anche nei soggetti sani l’ampiezza del MEP è

molto variabile (variabilità inter- e intraindividuale).

Metodiche TMS non standard

Periodo silente Per periodo silente (PS) si intende un’interruzione di attività elettromiografica

causata da uno stimolo magnetico sovrasogliare erogato durante la contrazione

muscolare. Tale periodo si misura dalla fine del MEP sino al ripristino della

normale attività elettromiografica. Il periodo silente è causato, per la maggior

parte, da meccanismi inibitori intracorticali che hanno sede nell’area motoria

19

mentre i meccanismi spinali (come l’inibizione di Renshaw) contribuiscono

solo ai primi 50-60 millisecondi (ms) di questa soppressione (Brasil-Neto et al.

1995; Chen et al. 1999; Fuhr et al. 1991). I recettori che mediano il PS sono

GABAergici di tipo B (Werhahn et al 1999).

Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva (rTMS)

La Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva (rTMS) è una metodica

che consiste nell’erogazione di treni di stimoli ad intensità e frequenza costante

(Kobayashi e Pascual-Leone 2003). Vi sono effetti indotti dalla rTMS che si

manifestano successivamente al termine del treno di stimoli e hanno una durata

limitata nel tempo. Tali effetti si definiscono postumi e consistono nella

modulazione dell’eccitabilità corticale di tipo facilitatorio o inibitorio a

seconda dei parametri di stimolazione ripetitiva (soprattutto la frequenza). A

basse frequenze (fino a 1Hz) l’eccitabilità corticale è diminuita (Chen et al.

1997a), mentre con treni oltre i 3 Hz è aumentata (Maeda et al. 2000;

Berardelli et al. 1998a). I meccanismi degli effetti postumi non sono ancora

chiari, e sono stati chiamati in causa di recente processi quali la long-term

potentiation (Gustaffson et al. 1998) e la long-term depression (Christie et al.

1994).

Molti lavori hanno coniugato l’rTMS con le nuove tecniche di

neuroimaging (Risonanza Magnetica o Tomografia ad Emissione di Positroni)

con l’obiettivo di studiare le variazioni di flusso sanguigno o di metabolismo

indotte dall’applicazione degli stimoli magnetici. A basse frequenze, la rTMS

induce un minore flusso sanguigno al cervello e minore metabolismo,

viceversa, ad alte frequenze, vi è un aumento di tali variabili (Siebner et al.

1998, Pascual-Leone et al. 1998).

20

Fig 3. Principio di funzionamento della TMS. A sinistra: il flusso di corrente nella bobina genera un campo magnetico che induce un campo elettrico di opposta direzione nei tessuti. Al centro: il flusso di corrente cambia lungo la fibra nervosa e si traduce in una corrente transmembrana. A destra: un flusso di corrente costante lungo una fibra che cambia direzione si traduce in ugual modo in una corrente transmembrana (da Kobayashi e Pascual-Leone 2003). Fra le tecniche standard qui non presentate vi è anche il tempo di conduzione

centrale (CMCT). Le altre metodiche non standard sono l’input-output curve,

la short intracortical inhibition (SICI), la long intracortical inhibition (LICI),

l’ipsilateral silent period (ISP), l’intracortical facilitation (ICF), l’intracortical

inhibition (ICI), la short afferent inhibition (SAI) e la long afferent inhibition

(LAI).

21

LA TMS E I DISORDINI DEL MOVIMENTO

La malattia di Parkinson

Dati ottenuti con la TMS nella malattia di Parkinson hanno mostrato che la

conduzione corticomotoneuronale è normale (Ellaway et al. 1995), a differenza

di altre patologie quali l’atrofia multisistemica o altri parkinsonismi

(Abbruzzese et al. 1997).

In alcuni casi è stato riportato un accorciamento del CMCT e un aumento

dell’ampiezza del MEP dopo TMS (Kandler et al. 1990). Tale dato potrebbe

dipendere da un’accresciuta eccitabilità corticale o spinale. Di recente è stata

descritta una ridotta latenza corticale da Diòszeghy (1999) in pazienti

parkinsoniani naive e da Hu (1999) in pazienti sottoposti a terapia.

Sia la rigidità che il tremore possono abbassare la soglia in quanto

associati ad attività elettromiografica di sottofondo discontinue.Tuttavia la gran

parte degli studi dimostra che la soglia motoria è normale (Priori et al. 1994a;

Ridding et al. 1995; Berardelli et al. 1996a; Strafella et al. 2000), che non

cambia durante le fasi OFF e ON (Ridding et al. 1995), nè con terapia cronica

con levodopa o pergolide (Strafella et al. 2000), con stimolazione cerebrale

profonda del GPi (Chen 2001a); o pallidotomia (Young et al. 1997).

L’ampiezza del MEP riflette il numero di α-motoneuroni che scaricano

in modo sincrono in risposta allo stimolo corticale: è di fatto un ulteriore indice

dell’eccitabilità della connessione corticomotoneuronale. I primi studi hanno

riportato un aumento dell’ampiezza del MEP nei muscoli a riposo e in

contrazione concordemente con l’idea di un’aumentata eccitabilità corticale

(Cantello et al. 1991; Kandler et al. 1990; Eisen et al. 1991). In seguito Valls-

Solè et al. (1994) hanno riscontrato un MEP più ampio a riposo nei

parkinsoniani rispetto ai sani, mentre, durante contrazione, l’aumento di area,

ampiezza e durata dei MEP tendeva ad essere inferiore rispetto ai sani. In tal

modo un output maggiore delle fibre discendenti a riposo coesisterebbe con

una minore attivazione durante contrazione. Chen (2001b) ha inoltre

22

dimostrato che il MEP è più ampio nei pazienti a riposo a prescindere dalla

loro condizione farmacologica.

Numerosi studi hanno ripetutamente confermato che il periodo silente è

accorciato (Cantello et al. 1991).

La stimolazione magnetica transcranica ripetitiva è stata applicata nei

parkinsoniani per valutare l’eccitabilità dell’area motoria primaria (Gilio et al.

2002). In Gilio et al. 2000 una stimolazione a 5 Hz sovrasoglia non produceva

nei pazienti senza terapia il normale fenomeno di facilitazione dei MEP (ma

l’assunzione della levodopa era in grado di normalizzare questo fenomeno),

mentre evocava un normale allungamento del PS. Sono stati anche studiati gli

effetti terapeutici della rTMS (Mally e Stowe 1999; Siebner et al. 1999),

dimostrando un beneficio clinico protratto per lunghi periodi (fino a nove mesi)

nei pazienti sottoposti a sedute di rTMS a bassa frequenza.

La distonia

Sono stati condotti numerosi studi con la TMS nei distonici focali; la

fisiopatologia di questa sindrome include alterazioni dell’eccitabilità di riflessi

troncali e spinali, conseguenza di anomali comandi discendenti.

La maggior parte degli autori concorda sul fatto che la soglia, attiva e a riposo,

sia normale nel distonico (Abbruzzese et al. 2001; Gilio et al. 2000), che non vi

siano differenze tra l’emisfero affetto e non affetto nei pazienti con crampo

dello scrivano (Byrnes et al. 1998), o prima e dopo infiltrazione di tossina

botulinica (Byrnes et al. 1998).

Allo stesso modo anche il MEP a riposo è normale nei pazienti con crampo

dello scrivano. In contrazione, invece, molti autori hanno trovato una

facilitazione del MEP – il contrario di quanto accade nei parkinsoniani. Tale

dato sarebbe spiegato da un’ipereccitabilità corticale (Ikoma 1996) che però

non è stata riconfermata successivamente (Chen 1997b).

Nei pazienti affetti da distonia dell’arto superiore il periodo silente non è

aumentato dopo stimoli di intensità crescente (Mavroudakis et al. 1995) come

accade nei soggetti normali; è invece più corto nel corso di una contrazione

distonica rispetto alla contrazione dello stesso muscolo eseguita in un

23

movimento normale (Filipovic et al. 1997). Chen (1997b) ha riscontrato un

accorciamento del periodo silente sul lato affetto nel crampo dello scrivano

mentre in Rona et al. (1997) - studio che ha avuto come oggetto differenti

forme di distonia - il risultato era bilaterale.

Un lavoro di Currà et al. (2000a) ha studiato il PS in pazienti con distonia

cervicale. I pazienti con blefarospasmo e distonia oromandibolare avevano un

PS più corto dei pazienti affetti solo da blefarospasmo: questo dimostra che,

quando la distonia coinvolge i muscoli facciali superiori ed inferiori i

meccanismi inibitori corticali sono maggiormente compromessi.

24

CINEMATICA DEL MOVIMENTO

L’esecuzione di un movimento volontario comprende due momenti

fondamentali: la preparazione motoria e la successiva effettuazione dell’atto.

Durante la prima fase, il sistema nervoso pianifica e codifica i programmi

motori; durante la seconda, tali programmi vengono tradotti in movimento.

Lo studio dei movimenti volontari comprende l’analisi dell’attività

elettromiografica (EMG) e di importanti variabili cinematiche come la durata

del tempo di reazione (RT), del tempo di movimento (MT), il valore della

velocità e dell’accelerazione dell’arto in moto.

A seconda della complessità del movimento e della traiettoria, i

movimenti volontari sono classificati come semplici o complessi; a seconda

delle articolazioni attivate sono classificati come movimenti a singolo giunto o

monoarticolari e poliarticolari; a seconda della richiesta di accuratezza e

velocità come movimenti lenti o veloci; a seconda della modalità di esecuzione

come a guida esterna o interna (externally-triggered o self-initiated).

Studi sui normali

Nel 1926 Wacholder and Altenburger fecero una prima descrizione completa

dell’attività EMG durante i movimenti dell’arto superiore: quelli lenti

apparivano caratterizzati da un’attività continua nei muscoli agonisti ed

antagonisti, mentre i movimenti veloci presentavano burst EMG alternanti.

Studi successivi hanno confermato questo dato durante l’esecuzione motoria di

movimenti semplici: due scariche (burst) di attività muscolare fasica nei

muscoli agonisti (AG1 e AG2) sono separati da un breve periodo di silenzio

elettrico in cui si realizza l’attività fasica nel muscolo antagonista (ANT).

Questo pattern EMG è presente nei movimenti rapidi o ballistici, con un

profilo di velocità ben caratterizzato con fasi di accelerazione e decelerazione

simili (Hallett et al. 1975; Berardelli et al. 1996b). Il pattern trifasico è presente

non solo nei movimenti dei segmenti distali e prossimali degli arti, ma si

osserva anche durante gli aggiustamenti posturali del tronco. Minime

25

alterazioni dell’organizzazione di questo pattern possono pertanto influenzare

profondamente il comportamento motorio.

Il primo burst dell’agonista (AG1) imprime la forza necessaria

all’esecuzione del movimento: fino ad un certo grado di ampiezza la durata di

AG1 resta costante, mentre aumenta la sua ampiezza. Durante l’esecuzione di

movimenti più ampi o attuati contro un carico crescente sia la durata che

l’ampiezza di AG1 aumentano. Per descrivere le variazioni di ampiezza e

durata di AG1 indotti dalle variabili del movimento sono stati proposti due

modelli principali (Gottlieb et al. 1989; Corcos et al. 1989; Berardelli et al.

1996b). Il modello di controllo pulse-height assume che l’input al pool

motoneuronale dell’agonista abbia una durata (pulse) costante, e che il grado di

eccitazione sia modulato solo da variazioni della sua ampiezza (height). Il

modello di controllo pulse-width prevede invece un input di ampiezza costante

erogabile al pool motoneuronale per durate crescenti di tempo. Le strategie

pulse-width e pulse-height sono modulate in base ai parametri richiesti per

l’esecuzione del compito motorio e dai vincoli fisiologici imposti dalla

meccanica muscolare, dando luogo ad un sistema graduabile che consente

l’esecuzione di vari tipologie di movimento.

Nella pausa di silenzio elettrico fra AG1 e AG2 ha luogo il burst

antagonista (ANT). La funzione di ANT è quella di decelerare il movimento, e

la sua ampiezza dipende dalla dall’entità della forza richiesta per fermare l’arto

nella posizione desiderata. Questa forza dipende a sua volta dalla velocità del

movimento, dall’inerzia del carico e dalla forza meccanica passiva che agisce a

livello delle articolazioni. Durata e ampiezza dell’ANT dipendono dalle

variabili intrinseche al movimento (Brown e Cooke 1981; Berardelli et al.

1996b).

Il secondo burst dell’agonista (AG2) segue l’attività dell’antagonista ed

è la fase più variabile delle tre del pattern. La latenza si accorcia nei movimenti

più veloci e l’ampiezza aumenta quando le distanze di movimento sono più

lunghe. AG2 stabilizza l’oscillazione e blocca l’arto alla fine del movimento

(Brown e Cooke 1981 e 1990; Berardelli et al. 1996b).

Numerose osservazioni supportano l’ipotesi che nonostante il pattern

trifasico possa essere modulato da input afferenti, (Rothwell et al. 1982; Sanes

et al. 1985; Berardelli et al. 1996b) esso abbia origine a livello centrale

26

(Garland et al. 1972; Hallett et al. 1975; Waters e Strick, 1981). Le alterazioni

del pattern trifasico comportano lentezza nell’esecuzione motoria, irregolarità

nelle traiettorie e perdita di accuratezza.

I movimenti che eseguiamo quotidianamente di rado constano di azioni

semplici o singole: sono invece complessi e diretti verso un obiettivo, eseguiti

in sequenza o simultaneamente e coinvolgono più articolazioni in più di un

arto.

Per programmare ed eseguire un movimento volontario complesso il

sistema nervoso dell’uomo deve completare una serie di processi. Innanzitutto

deve identificare, raggruppare ed ordinare le risposte necessarie, quindi deve

programmare i parametri fisici di ciascuna risposta, risolvere il problema di

come e dove la risposta debba essere arrestata (controllo dell’endpoint) ed,

infine, controllo il passaggio fra movimenti successivi di una sequenza.

Recenti studi di neuroimaging hanno evidenziato il ruolo rilevante di

quattro aree frontomesiali nel controllo motorio: le regioni anteriore e

posteriore dell’area supplementare motoria (pre-SMA, post-SMA), e la zona

rostrale e caudale del cingolo (RCZ-CCZ). Queste aree regolano il tipo di

movimento (semplice o sequenziale), il tempo del movimento (lento, veloce,

ritmico o non ritmico) e la messa in atto del movimento (self initiated – SI – o

externally triggered – ET – ) (Deiber et al. 1999; Roland e Zilles. 1996).

Numerose ricerche hanno chiarito i processi di controllo spaziale e

temporale che soggiacciono alla corretta esecuzione del movimento volontario

simultaneo o sequenziale nell’uomo. Gli studi volti ad analizzare gli aspetti

temporali di tali compiti motori hanno mostrato che i soggetti normali

muovono alla stessa velocità quando eseguono uno stesso sub-movimento nel

contesto di una sequenza motoria oppure isolatamente. L’osservazione che le

durate dei sub-movimenti che compongono una sequenza motoria o un compito

motorio simultaneo non sono fra loro correlati, indica che la loro esecuzione è

sotto il controllo di differenti programmi motori che vengono sovraimposti o

assemblati in sequenza (Benecke et al. 1986a).

Quando un soggetto sano deve disegnare figure geometriche semplici

(linee, triangoli o quadrati) di diverse misure ma appartenenti alla stessa classe,

il tempo impiegato per tracciare ciascuna figura rimane costante (principio

dell’isocronia). Inoltre, nell’eseguire una sequenza motoria, il soggetto sano

27

non varia la durata dei singoli sub-movimenti durante l’esecuzione (Berardelli

et al.1986a; Agostino et al. 1992). Infine, i soggetti sani sono sempre in grado

di ottimizzare l’esecuzione dei movimenti ballistici per cui la loro velocità di

esecuzione non migliora fornendo stimoli esterni uditivi o visivi (Georgiou et

al. 1994 e 1995). Per quanto concerne le caratteristiche spaziali del movimento,

quando i soggetti sani devono muovere verso un target su un piano frontale

essi usano preferibilmente traiettorie lineari che danno origine a profili di

velocità a campana. Se il movimento da eseguire è tridimensionale tendono ad

eseguirlo su un singolo piano e, quando passano da un piano ad un altro, la

traiettoria percorsa diviene segmentata.

La malattia di Parkinson

I movimenti semplici

I pazienti affetti da malattia di Parkinson sono estremamente lenti nell’eseguire

movimenti semplici e le loro difficoltà aumentano per movimenti di ampiezza

crescente. A differenza dei soggetti sani, che velocizzano l’esecuzione dei

movimenti in proporzione all’ampiezza, i parkinsoniani non riescono ad

aumentare la velocità in funzione dell’ampiezza (Flowers, 1975 e 1976), sono

lenti nei movimenti che richiedono una particolare accuratezza (Sheridan e

Flowers, 1990), e quando muovono inseguendo mire in movimento. A

differenza dei soggetti sani i pazienti parkinsoniani mostrano cicli multipli di

burst EMG (Hallett e Koshbin 1980; Berardelli et al. 1984), attivati

probabilmente nel tentativo di compensare la mancanza dell’attivazione

iniziale di AG1 (Hallett e Koshbin 1980). Studi effettuati sull’AG1 durante

movimenti di ampiezza e carico crescenti hanno mostrato l’incapacità del

parkinsoniano di attivare correttamente l’agonista a seconda alle caratteristiche

di ampiezza e di carico (Berardelli et al.1986b).

Le cause della bradicinesia nel Parkinson sono state attribuite o ad una

ridotta produzione di forza (Stelmach et al. 1989), riscontrata in pazienti OFF

in particolare nei muscoli estensori (Corcos et al. 1996), o al fatto che

un’esecuzione lenta consente in modo più efficace di mantenere un adeguato

28

livello di accuratezza. Questa seconda ipotesi è contrastata da dati sperimentali

che dimostrano la presenza di bradicinesia anche in situazioni in cui il limite

dell’accuratezza è abolito (Stelmach et al. 1989).

I movimenti complessi

La bradicinesia nel Parkinson si valuta esaminando i movimenti complessi,

simultanei e sequenziali. La Unified Parkinson's Disease Rating Scale

comprende tre tipi di task sequenziali: finger tapping, apertura e chiusura della

mano, pronazione e supinazione dell’avambraccio.

Nel lavoro di Agostino et al. (1998) la prestazione nel tapping era

particolarmente compromessa. La spiegazione sta nel fatto che l’esecuzione dei

movimenti delle dita richiede un controllo corticale più fine o una facilitazione

maggiore: tali processi risultano alterati nel Parkinson dato l’abnorme output

dei gangli della base verso la corteccia.

I primi studi sui movimenti complessi hanno riguardato l’effettuazione

di movimenti simultanei, ma presentavano alcuni limiti legati a bias da

difficoltà del compito o da apprendimento, limiti che furono superati dai

disegni sperimentali successivi. Benecke et al. (1986b) ha dimostrato che

l’esecuzione di movimenti simultanei è più difficoltosa se i movimenti

richiedono l’attivazione dei sistemi motori dello stesso emilato: questo deficit è

infatti correlato alle anomalie funzionali nelle connessioni tra gangli della base

e corteccia motoria.

Altri lavori su compiti di interferenza motoria (Jahanshahi et al. 1993;

Johnson et al. 1998) hanno evidenziato la difficoltà del paziente parkinsoniano

nell’eseguire due programmi motori in contemporanea - specie se è coinvolto

lo stesso arto – per la ridotta capacità a sovrapporre comandi motori per

articolazioni separate.

Lo studio dei movimenti sequenziali ha evidenziato l’incapacità di

passare da un programma motorio all’altro, difficoltà che viene in qualche

modo superata con la terapia con levodopa (Benecke et al. 1987). All’esame

clinico i movimenti sequenziali dell’arto superiore risultano lenti, impacciati ed

29

inaccurati, e queste alterazioni tendono a diventare più rilevanti quando la

sequenza diviene più lunga.

Agostino et al. (1992) hanno studiato movimenti biarticolari volti a

disegnare figure geometriche composte da un numero crescente di segmenti

della stessa lunghezza. Gli autori hanno osservato che i pazienti erano lenti e la

durata dei movimenti aumentava con il prolungarsi della sequenza. Il

deterioramento della prestazione motoria era legato alla natura sequenziale del

compito motorio e non alla posizione dei segmenti nello spazio di lavoro o alla

direzione da seguire per tracciarli. Sebbene i parkinsoniani si fermassero più a

lungo al vertice della figura, la durata delle pause non si allungava con il

crescere della sequenza. Questo dimostra che la peculiarità dei pazienti è quella

di essere lenti nel passare da un movimento, all’altro indipendentemente dal

numero di sub-movimenti in una sequenza e dal tipo di movimenti (non

ripetitivi o ripetitivi) che la sequenza implica (Agostino et al. 1994).

Un filone di ricerca aperto da Stern (1983; 1984) e arricchito dal lavoro

di Georgiou et al. (1993) ha evidenziato l’importanza per il paziente

parkinsoniano di poter contare su segnali esterni per migliorare l’esecuzione di

un compito motorio in laboratorio o di azioni quotidiane come la scrittura

(Oliveira et al. 1997) e la marcia (Morris et al. 1998). Uno studio di Currà et

al.1997 ha dimostrato che l’esecuzione di un compito motorio noto a priori (e

pertanto eseguito a guida interna) è meno efficiente dell’esecuzione dello

stesso compito ignoto a priori ed eseguito a guida esterna (stimoli visivi).

L’insieme di queste osservazioni punta verso l’ipotesi di un ruolo primario dei

gangli della base nell’implementazione dei meccanismi di controllo dei

movimenti a guida interna.

La distonia

L’attività EMG registrata da muscoli coinvolti in posture distoniche è continua

e si accompagna a tratti a burst ripetuti che si associano ai segni motori classici

della malattia come il tremore posturale o d’azione, la mioritmia e il mioclono

(Berardelli et al. 1998b). All’incapacità di compiere in modo pulito movimenti

indipendenti (Cohen e Hallett, 1988) si associa un’attività remota di muscoli

30

non direttamente coinvolti nell’esecuzione motoria (overflow) (van der Kamp

et al. 1989).

In pazienti affetti da distonia dell’arto superiore, l’attività EMG della

flessione rapida del gomito mostra una fase AG1 più lunga e di ampiezza

variabile. Il profilo di velocità è invece normale (van der Kamp et al. 1989).

Uno studio recente di Currà et al. (2000c) ha verificato l’importanza

degli stimoli esterni nell’esecuzione dei movimenti. Due gruppi di distonici –

focali e generalizzati – eseguivano un movimento rapido sequenziale (a zig-

zag) in condizione di guida esterna (GE, in risposta ad uno stimolo visivo), di

guida interna (GI, in cui muovevano per decisione interna del soggetto), e di

guida mista (GM), in cui il primo movimento della sequenza era eseguito in

risposta ad uno stimolo mentre i successivi per decisione interna. I soggetti di

controllo muovevano molto velocemente nel compito a guida interna. I pazienti

focali avevano tempi di reazione normali ma erano lenti nell’esecuzione dei

movimenti singoli e sequenziali, mostravano pause lunghe nella condizione GI,

e il primo sub-movimento della sequenza era eseguito più lentamente nella

condizione GE rispetto alla condizione GI. I distonici generalizzati avevano

tempi di reazione prolungati nella condizione GE, pause lunghe nella

condizione GI. Anche per loro il primo sub-movimento della sequenza era

eseguito più lentamente in condizione GE che GI. Il dato più importante di

questo lavoro è trattavia la marcata bradicinesia nel compito GI, ad indicare il

mal funzionamento delle aree motorie primarie e non primarie nella distonia.

Il movimento volontario è quindi caratterizzato da un’attività

sovrapposta nei muscoli agonisti e antagonisti con presenza di diffusione a

distretti muscolari remoti, è lento, di ampiezza irregolare e tende a peggiorare

in compiti più complessi ed eseguiti a guida interna.

31

BIBLIOGRAFIA Abbruzzese G., Marchese R., Trompetto C. Sensory and motor evoked potentials in multiple system atrophy: a comparative study with Parkinson’s disease, Mov. Disord. 1997;12: 315–321. Abbruzzese G., Marchese R., Buccolieri A., Gasparetto B., Trompetto C. Abnormalities of sensorimotor integration in focal dystonia: a transcranial magnetic stimulation study. Brain. 2001 124: 537-45. Abdeen M.A., Stuchly M.A. Modeling of magnetic field stimulation of bent neurons. IEEE Trans Biomed Eng 1994; 41: 1092–95.

Agostino R., Berardelli A., Formica A., et al. Analysis of repetitive and non repetitive sequential arm movements in patients with Parkinson’s disease. Mov Disord 1994; 57: 368-70.

Agostino R., Berardelli A., Currà A., et al. Clinical impairment of sequential finger movements in Parkinson’s disease. Mov Disord 1998; 13: 418-21.

Alexander G.E:, Crutcher M.D. Functional architecture of basal ganglia circuits: neural substrates of parallel processing. Trends Neurosci 1990; 13: 266-271. Barker A.T., Jalinous R., Freestone I.L. Non-invasive magnetic stimulation of human motor cortex. Lancet 1985; 1:1106-1107 Barker A.T. The history and basic principles of magnetic nerve stimulation. In: Pascual-Leone A., Davey N., Rothwell J., Wasserman E., Puri B., eds.Handbook of transcranial magnetic stimulation. London: Arnold, 2002: 3–17.

Benecke R., Rothwell J.C., Day B.L., et al. Motor strategies involved in the performance of sequential movements. Exp Brain Res 1986a; 63:585-595.

Benecke R., Rothwell J.C., Dick J.P.R., et al. Performance of simultaneous movements in patients with Parkinson’s disease. Brain 1986b; 109: 739-35.

Benecke R., Rothwell J.C., Dick J.P.R., et al. Simple and complex movements off and on treatment in patients with Parkinson's disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1987;50: 296-303.

Berardelli A., Rothwell J.C., Day B.L., et al. Movements not involved in posture are abnormal in Parkinson's disease. Neurosci Lett 1984; 47:47-50.

Berardelli A., Accornero N., Argenta M., et al. Fast complex arm movements in Parkinson's disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1986a; 49:1146-1149.

32

Berardelli A., Dick J.P.R., Rothwell J.C., et al. Scaling of the size of the first agonist EMG burst during rapid wrist movements in patients with Parkinson's disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1986b; 49: 1273-9.

Berardelli A., Rona S., Inghilleri M., Manfredi M. Cortical inhibition in Parkinson’s disease. A study with paired magnetic stimulation, Brain 1996a; 119: 71–77.

Berardelli A., Hallett M., Rothwell J.C., et al. Single-joint rapid arm movements in normal subjects and in patients with motor disorders. Brain. 1996b; 119: 661-674.

Berardelli A., Inghilleri M., Rothwell J.C., Romeo S., Curra A., Gilio F., Modugno N., Manfredi M. Facilitation of muscle evoked responses after repetitive cortical stimulation in man. Exp Brain Res 1998a;122:79–84.

Berardelli A., Rothwell J.C., Hallett M., et al. The pathophysiology of primary dystonia. Brain 1998b;121:1195-212.

Bergman H., Wichmann T., DeLong M.R. Reversal of experimental parkinsonism by lesions of the subthalamic nucleus. Science. 1990;249:1436-8.

Bolam J.P:, Hanley J.J., Booth P.-A.C., Bevan M.D. Synaptic organization of the basal ganglia. J Anat 2000; 196: 527-542.

Brasil-Neto J.P., Cammarota A., Valls-Sole J., Pascual-Leone A., Hallett M., Cohen L.G. Role of intracortical mechanisms in the late part of the silent period to transcranial stimulation of the human motor cortex. Acta Neurologica Scandinavica 1995; 92: 383–86.

Brown S.H., Cooke J.D. Amplitude- and instructions-dependent modulation of movement-related EMG activity in humans. J Physiol 1981; 316: 97-107.

Brown S.H., Cooke J.D. Movement-related phasic muscle activation. I. Relations with temporal profile of movement. J Neurophysiol 1990; 63: 455-64.

Byrnes M.L., Thickbroom G.W., Wilson S.A., Sacco P., Shipman J.M., Stell R., Mastaglia F.L. The corticomotor representation of upper limb muscles in writer's cramp and changes following botulinum toxin injection. Brain. 1998;121: 977-88. Cantello R., Gianelli M., Mutani R. Mood and motor fluctuations in Parkinson's disease. Mov Disord. 1991; 6:186-8. Chen R., Classen J., Gerloff C., Celnik P., Wassermann E.M., Depression of motor cortex excitability by low-frequency transcranial magnetic stimulation, Neurology 1997a; 48: 1398–1403.

33

Chen R., Wassermann E.M., Canos M., Hallett M. Impaired inhibition in writer's cramp during voluntary muscle activation. Neurology. 1997b; 49:1054-9. Chen R., Lozano A.M., Ashby P. Mechanism of the silent period following transcranial magnetic stimulation: evidence from epidural recordings. Exp Brain Res 1999; 128: 539–42. Chen R., Garg R.R., Lozano A.M., Lang A.E. Effects of internal globus pallidus stimulation on motor cortex excitability, Neurology 2001a; 56: 716–723. Chen R., Kumar S., Garg R.G., Lang A.E., Impairment of motor cortex activation and deactivation in Parkinson’s disease, Clin. Neurophysiol. 2001b; 112: 600–607

Cohen G., Hallett M. Hand Cramp: clinical features and electromyographic patterns in a focal dystonia. Neurology 1988; 38:1005-1012.

Corcos D.M, Gottlieb G.L., Agarwal G.C. Organizing principles for single-joint movements. II. A speed-sensitive strategy. J Neurophysiol. 1989 Aug;62(2):358-68.

Corcos D.M., Chen C.M., Quinn N.P., et al. Strength in Parkinson’s disease. relationship to rate of force generation and clinical status. Ann Neurol 1996;39:79-88

Christie B.R., Kerr D.S., Abraham W.C. Flip side of synaptic plasticity: long-term depression mechanisms in the hippocampus. Hippocampus. 1994 Apr;4(2):127-35. Review.

Currà A., Berardelli A., Agostino R., et al. Performance of sequential arm movement with and without advance knowledge of motor pathways in Parkinson’s disease. Mov Disord 1997; 12: 646-54.

Currà A., Romaniello A., Berardelli A., Cruccu G., Manfredi M. Shortened cortical silent period in facial muscles of patients with cranial dystonia. Neurology. 2000a; 54: 130-5.

Currà A., Berardelli A., Agostino R., et al. Movement cueing and motor execution in patients with dystonia: a kinematic study. Mov Disord 2000c;15:103-12 Day B.L., Dressler D., Maertens de Noordhout A., et al. Electric and magnetic stimulation of human motor cortex: surface EMG and single motor unit responses. J Physiol 1989; 412: 449–73.

34

Deiber M.P., Honda M., Ibanez V., et al. Mesial motor areas in self-initiated versus externally triggered movements examined with fMRI: effect of movement type and rate. J Neurophysiol 1999;81: 3065-77

De Long M.R. Activity of basal ganglia neurons during movements. Brain res. 1972; 40: 127-135. Dioszeghy P., Hidasi E., Mechler F. Study of central motorfunctions using magnetic stimulation in Parkinson’s disease, Electromyogr. Clin. Neurophysiol. 1999; 39: 101–105. Edgley S.A., Eyre J.A., Lemon R.N., Miller S. Comparison of activation of corticospinal neurons and spinal motor neurons by magnetic and electrical transcranial stimulation in the lumbosacral cord of the anaesthetized monkey. Brain 1997; 120: 839–53. Eisen A., Siejka S., Schulzer M., Calne D. Age-dependent decline in motor evoked potential (MEP) amplitude: with a comment on changes in Parkinson’s disease, Electroencephalogr. Clin. Neurophysiol. 1991; 81: 209–215. Ellaway P.H., Davey N.J., Maskill D.W., Dick J.P.R., The relation between bradykinesia and excitability of the motor cortex assessed using transcranial magnetic stimulation in normal and parkinsonian subjects, Electroencephalogr. Clin. Neurophysiol. 1995; 97: 169–178 Filipovic S.R., Ljubisavljevic M., Svetel M., Milanovic S., Kacar A., Kostic V.S. Impairment of cortical inhibition in writer's cramp as revealed by changes in electromyographic silent period after transcranial magnetic stimulation. Neurosci Lett. 1997; 222:167-70.

Flowers K. Ballistic and corrective movements on an aiming task. Neurology 1975; 25: 413-21.

Flowers K. Visual "closed-loop" and "open-loop" characteristics of voluntary movements in patients with parkinsonism and intention tremor. Brain 1976; 99:269-310.

Francois C., Yelnik J., Percheron G. Golgi study of the primate substantia nigra. II. Spatial organization of dendritic arborizations in relation to the cytoarchitectonic boundaries and to the striatonigral bundal. J Comp Neurol 1987; 265: 473-493.

Fuhr P., Agostino R., Hallett M. Spinal motor neuron excitability during the silent period after cortical stimulation. Electrencephalogr Clin Neurophysiol 1991; 81: 257–62.

Garland H., Angel R.W., Moore W.E. Activity of triceps brachii during voluntary elbow extension: effect of Lidocaine blockade of elbow flexors. Exp Neurol 1972; 37: 831-5.

35

Georgiou N., Iansek R., Bradshaw J.L., et al. An evaluation of the role of internal cues in the pathogenesis of parkinsonian hypokinesia. Brain 1993; 116:1575-1587.

Georgiou N., Bradshaw J.L., Iansek R., et al. Reduction in external cues and movement sequencing in Parkinson's disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1994; 57:368-370.

Gerfern C.R., Wilson C.J. The basal ganglia. In: Swanson L.W. Bjorklund A., Hokfelt T (eds). Handbook of chemical Neuroanatomy. Integrated systems of the CNS, vol 12 part III, Elsevier Science, pp.371-468. Gilio F., Curra A., Lorenzano C., Modugno N., Manfredi M., Berardelli A. Effects of botulinum toxin type A on intracortical inhibition in patients with dystonia. Ann Neurol. 2000; 48: 20-6. Gilio F., Curra A., Inghilleri M., Lorenzano C., Manfredi M., Berardelli A. Repetitive magnetic stimulation of cortical motor areas in Parkinson's disease: implications for the pathophysiology of cortical function. Mov Disord. 2002 May; 17: 467-73. Gottlieb G.L., Corcos D.M., Agarwal G.C. Organizing principles for single-joint movements. I. A speed-insensitive strategy. J Neurophysiol. 1989 Aug;62(2):342-57. Gustafsson B., Wigstrom H. Physiological mechanisms underlying long-term potentiation. Trends Neurosci 1988; 11:156–162

Haber S.N., Fudge J.L., McFarland N.R. Striatonigrostriatal pathways in primates form an ascending spiral from the shell to the dorsolateral striatum. J Neurosci 2000; 20: 2369-2382.

Haber S.N., Gdowsy M.J. The basal ganglia. In: Paxinos G., Mai J. (Eds) The human nervous system. Academic Press 2003.

Hallett M., Khoshbin S. A physiological mechanism of bradykinesia. Brain 1980; 103: 301-14.

Hallett M., Shahani B.T., Young R.R. EMG analysis of stereotyped voluntary movements in man. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1975; 38: 1154-62. Hedreen J.C., DeLong M.R. Organization of striatopallidal, striatonigral, and nigrostriatal projections in the macaque. J Comp Neurol. 1991; 304: 569-95.

Herrero M.T., Barcia C., Navarro J.M. Functional anatomy of thalamus and basal ganglia. Child’s Nerv Syst (2002) 18:386–404.

Hu M.T.M., Bland J., Clough C., Ellis C.M., Chaudhuri K.R. Limb contractures in levodopa-responsive parkinsonism: a clinical and investigational study of seven new cases, J. Neurol. 1999: 246:671–676.

36

Ikoma K., Samii A., Mercuri B., Wassermann E.M., Hallett M. Abnormal cortical motor excitability in dystonia. Neurology. 1996; 46:1371-6.

Jahanshahi M., Brown R.G., Marsden C.D. A comparative study of simple and choice reaction time in Parkinson's, Huntington's and cerebellar disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1993;56:1169-77.

Jiang H., Stein B.E., McHaffie J.G. Opposing basal ganglia processses shape midbrain visuomotor activity bilaterally. Nature 2003; 424: 982-986.

Johnson K.A., Cunnington R., Bradshaw J.L., et al. Bimanual co-ordination in Parkinson's disease. Brain 1998;121:743-53.

Kandler R.H., Jarrat J.A., Sagar H.J., Gumpert E.J.W., Venables G.S., Davies-Jones G.A.B., Jordan N. Abnormalities of central motor conduction in Parkinson’s disease, J. Neurol. Sci. 1990; 100: 94–97. Kievit J., Kuypers H.G. Organization of the thalamo-cortical connexions to the frontal lobe in the rhesus monkey. Exp Brain Res. 1977; 29: 299-322. Kobayashi M., Pascual-Leone A. Transcranial Magnetic Stimulation in neurology Lancet Neurology 2003; 2: 145-156. Maccabee P.J., Amassian V.E., Eberle L.P., Cracco R.Q. Magnetic coil stimulation of straight and bent amphibian and mammalian peripheral nerve invitro: locus of excitation. J Physiol 1993; 460: 201–19. Maeda F., Keenan J.P., Tormos J.M., Topka H., Pascual-Leone A. Interindividual variability of the modulatory effects of repetitive transcranial magnetic stimulation on cortical excitability. Exp Brain Res. 2000; 133: 425-30. Mally J., Stowe T.W. Improvement in Parkinsonian symptoms after repetitive transcranial magnetic stimulation.J Neurol Sci. 1999;162:179-84. Mann U., Lonnecker S., Steinhoff B.J., Paulus W. Effects of antiepileptic drugs on motor cortex excitability in humans: a transcranial magnetic stimulation study. Ann Neurol 1996; 40: 367–78. Mavroudakis N., Caroyer J.M., Brunko E., Zegers de Beyl D. Abnormal motor evoked responses to transcranial magnetic stimulation in focal dystonia. Neurology. 1995; 45: 1671-7. McFarland N.R., Haber S.N. Convergent inputs from thalamic motor nuclei and frontal cortical areas to the dorsal striatum in the primate. J Neurosci 2000; 20: 3798-3813.

37

Meyer B.U. Introduction to diagnostic strategies of magnetic stimulation. In: Pascual-Leone A, Davey N, Rothwell J, Wasserman E, Puri B, eds. Handbook of transcranial magnetic stimulation. London: Arnold, 2002: 177–84

Monakow K.H., Akert K., Kunzle H. Projections of the precentral motor cortex and other cortical areas of the frontal lobe to the subthalamic nucleus in the monkey. Exp Brain Res 1978; 33: 395-403.

Morris M, Iansek R, Matyas T, et al. Abnormalities in the stride length-cadence relation in parkinsonian gait. Mov Disord. 1998;13:61-9.

Nakanishi H., Kita H., Kitai S.T. Intracellular study of the rat entopeduncolar nucleus neurons in an in vitro slice preparation: electrical membrane properties. Brain Res 1990; 527: 81-88.

Nambu A., Takada M., Inase M., Tokuno H. Dual somatotopocal representations in the primate subthalamic nucleus: evidence for ordered but reversed body-map transformations from the primary motor cortex and the supplementary motor area. J Neurosci 1996; 16: 2671-2683.

Nambu A., Tokuno H., Takada M. Functional significance of the cortica-subthalamo-pallidal “hyperdirect” pathway. Neurosci Res 2002; 43: 43: 111-117

Oertel W.H., Mugnaini E. Immunocytochemical studies of GABAergic neurons in rat basal ganglia and their relations to other neuronal systems. Neurosci Lett 1984;47: 233-238.

Oliveira R.M., Gurd J.M., Nixon P., et al. Micrographia in Parkinson’s disease: the effect of providing external cues. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1997;63:429-433

Parent A., Hazrati L.N. Functional anatomy of the basal ganglia. I. The cortico-basal ganglia-thalamo-cortical loop. Brain Res. Rev. 1995; 20: 91-127.

Parent M., Levesque M., Parent A. Two types of projections neurons in the internal pallidum of primates: single-axon tracing and three-dimensional reconstruction. J Comp Neurol 2001; 439: 162-175. Pascual-Leone A., Tormos J.M., Keenan J., Tarazona F., Canete C., Catala M.D. Study and modulation of human cortical excitability with transcranial magnetic stimulation. J Clin Neurophysiol. 1998;15: 333-43. Priori, A. Berardelli, M. Inghilleri, N. Accornero, M. Manfredi, Motor cortical inhibition and the dopaminergic system. Pharmacological changes in the silent period after transcranial brain stimulation in normal subjects, patients with Parkinson’s disease and drug-induced parkinsonism, Brain 1994a; 117: 317–323.

38

Ridding M.C., Inzelberg R., Rothwell J.C. Changes in excitability of motor cortical circuitry in patients with Parkinson’s disease, Ann. Neurol. 1995; 37: 181–188. Roland P.E., Zilles K. Functions and structures of the motor cortices in humans. Curr Opin Neurobiol. 1996; 6:773-81. Rona S., Berardelli A., Vacca L., Inghilleri M., Manfredi M. Alterations of motor cortical inhibition in patients with dystonia. Mov Disord. 1998;13:118-24. Rossini P.M., Rossi S. Clinical applications of motor evoked potentials. Electroencephalogr Clin Neurophysiol 1998; 106: 180–94.

Rothwell J.C., Traub M.M., Day B.L., et al. Manual motor performance in a deafferented man. Brain 1982; 105: 515-42.

Sanes J.N., Mauritz K.H., Dalakas M.C., et al. Motor control in humans with large-fiber sensory neuropathy. Human Neurobiol 1985; 4: 101-14.

Sato F., Lavallee P., Lavesque M., Parent A. Single-axon tracing study of neurons of the external segment of the globus pallids in primate. J Comp Neurol 2000; 417: 17-31.

Selemon L.D., Goldman Rakic P.S. Longitudinal topography and interdigitation of corticostriatal projections in the rhesus monkey. J Neurosci 1985: 5: 776-794.

Sheridan M.R., Flowers K.A. Movement variability and bradykinesia in Parkinson’s disease. Brain 1990; 113:1149-1161.

Siebner H.R., Dressnandt J., Auer C., Conrad B., Continuous intrathecal baclofen infusions induced a marked increase of the transcranially evoked silent period in a patient with generalized dystonia, Muscle Nerve 1998; 21: 1209–1212. Siebner H.R., Mentschel C., Auer C., Conrad B. Repetitive transcranial magnetic stimulation has a beneficial effect on bradykinesia in Parkinson's disease. Neuroreport. 1999; 10: 589-94.

Smith Y., Bevan M.D., Shink E., Bolam J.P. Microcircuitry of the direct and indirect pathways of the basal ganglia . Neuroscience 1998; 86: 353-387.

Stelmach G.E., Teasdale N., Phillips J.,et al. Force production characteristics in Parkinson's disease. Brain Res. 1989;76:165-72.

Stern Y., Mayeux R., Rosen J., et al. Perceptual motor dysfunction in Parkinson's disease: a deficit in sequential and predictive voluntary movement. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1983; 46:145-151.

39

Stern Y., Mayeux R., Rosen J. Contribution of perceptual motor dysfunction to construction and tracing disturbances in Parkinson's disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1984; 47:983-989.

Strafella A.P., Valzania F., Nassetti S.A., Tropeani A.,. Bisulli A, Santangelo M., Tassinari C.A. Effects of chronic levodopa and pergolide treatment on cortical excitability in Parkinson’s disease: a transcranial magnetic stimulation study, Clin. Neurophysiol. 2000; 111: 1198–1202. Thickbroom G.W., Mastaglia F.L. Mapping studies. In: Pascual-Leone A., Davey N., Rothwell J., Wasserman E., Puri B., eds. Handbook of transcranial magnetic stimulation. London: Arnold, 2002: 127–40

Ueki A. The mode of nigro-thalamic transmission investigated with intracellular recording in the cat. Exp Brain Res. 1983; 49:116-24.

Valls Sole J., Pascual-Leone A., Brasil-Neto J.P., Cammarota A., McShane L., Hallett M., Abnormal facilitation of the response to transcranial magnetic stimulation in patients with Parkinson’s disease, Neurology 1994; 44: 735–741.

van der Kamp W., Berardelli A., Rothwell J.C., et al. Rapid elbow movements in patients with torsion dystonia. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1989; 52: 1043-9.

Waters P., Strick P.L. Influence of 'strategy' on muscle activity during ballistic movements.Brain Res. 1981 Feb 23;207(1):189-94. Wacholder K., Altenburger H. Beitrage zur Physiologie der willkurlichen Bewegung 10. Einzelbewegungen", Pfugers Archiv fur die gesamte Physiologie des Menschen und der Tiere 1926; 213: 642-61. Werhahn K.J., Kunesch E., Noachtar S., Benecke R., Classen J. Differential effects on motorcortical inhibition induced by blockade of GABA uptake in humans. J Physiol 1999; 517: 591–97. Wichmann T., Bergman H., De Long M.R. The primate subthalamic nucleus. I. Functional properties in intact animals. J Neurophysiol 1994; 72: 494-506.

Wichmann T., De Long M. Functional and pathophysiological models of the basal ganglia. Curr Op Neurobiol 1996; 6: 751-758.

Yelnik J., Francois C., Percheron G., Heyner S. Golgi study of the primate substantia nigra. I. Quantitative morphology and typology of nigral neurons. J Comp Neurol 1987; 265: 455-472. Young M.S., Triggs W.J., Bowers D., Greer M., Friedman W.A. Stereotactic pallidotomy lengthens the transcranial magnetic cortical stimulation silent period in Parkinson’s disease. Neurology 1997; 49: 1278–1283.

40

Ziemann U., Rothwell J.C., Ridding M.C. Interaction between intracortical inhibition and facilitation in human motor cortex. J Physiol 1996; 496: 873–81.

41

INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE

Lo scopo della tesi è stato quello di studiare il movimento volontario dell’arto

superiore in soggetti normali e in pazienti con disordini del movimento,

mediante l’utilizzo di due metodologie sperimentali: la stimolazione magnetica

transcranica e la registrazione cinematica del movimento.

Nella sezione seguente sono presentati tre lavori:

- il primo, di prossima pubblicazione su Experimental Brain Resarch,

intitolato The timing of Transcranial Magnetic Stimulation, and intensity and

scalp site stimulated as variables influencing motor sequenze performance in

healthy subjects, è stato effettuato su soggetti sani e si è avvalso di entrambe le

tecniche. L’obiettivo è stato quello di studiare le caratteristiche fisiologiche

delle aree motorie corticali primarie e non primarie mediante l’erogazione di

stimoli magnetici durante l’esecuzione di un compito di puntamento. L’analisi

del movimento è stata eseguita tramite registrazione e valutazione dei

parametri cinematici.

- il secondo, pubblicato su Movement Disorders: 2004 vol. 19 (11) 1351-

1357, intitolato Impairment of individual finger movements in patients with

hand distonia, ha avuto lo scopo di ampliare le conoscenze sulla fisiopatologia

della distonia mediante lo studio dei movimenti delle dita, utilizzando

metodiche di tipo cinematico.

- il terzo, pubblicato su Movement Disorders: 2004 vol. 19 (11) 1285-

1293, intitolato Prolonged practice is of scarce benefit in improving motor

performance in Parkinson's disease ha cercato di ampliare le conoscenze

acquisite sul motor learning nella malattia di Parkinson mediante l’utilizzo di

un paradigma di apprendimento motorio a breve e a lungo termine, con lo

scopo di valutare se i pazienti parkinsoniani abbiano o meno un normale

apprendimento motorio.

42

EFFETTI DELLA STIMOLAZIONE MAGNETICA

TRANSCRANICA DELLE AREE MOTORIE PRIMARIE E

NON PRIMARIE SULLA CINEMATICA DEI MOVIMENTI

RAPIDI SEQUENZIALI DELL’ARTO SUPERIORE

Una delle tecniche neurofisiologiche più utilizzate per studiare la

programmazione e l’esecuzione motoria è la Stimolazione Magnetica

Transcranica (TMS), somministrata durante il tempo di reazione (RT) o

durante il tempo di movimento (MT) (Pascual-Leone et al. 1992a; Day et al.

1989; Berardelli et al. 1994).

Negli esperimenti sul tempo di reazione semplice, la TMS, erogata a

basse intensità durante la fase iniziale del movimento, accorcia l’MT (Pascual-

Leone et al. 1992b); invece, se somministrata ad alte intensità, in una fase

tardiva del movimento, allunga l’MT (Day et al. 1989; Berardelli et al. 1994).

Tali effetti sono dovuti alla capacità della TMS di eccitare o inibire in modo

temporaneo la corteccia motoria primaria (M1).

Ulteriori ricerche hanno analizzato gli effetti della TMS sulle aree

motorie non primarie (Cunnington et al. 1996; Gerloff et al. 1997; Ziemann et

al. 1997). Nel soggetto sano, durante l’esecuzione di una sequenza motoria a

guida interna, un singolo stimolo erogato sull’area supplementare motoria

(SMA) durante la fase iniziale di un submovimento non ne modifica la durata

(Cunnington et al. 1996). Invece, la stimolazione ripetitiva dell’area

supplementare motoria prolunga alcuni movimenti complessi e sequenziali

delle dita, lasciando invariata l’esecuzione di movimenti singoli.

La TMS, erogata sull’area premotoria, compromette il processo di

selezione di una risposta motoria in un paradigma di tempo di reazione

complesso (Schluter et al. 1998).

Sino ad ora, nessuna ricerca ha studiato gli effetti della stimolazione

magnetica sulle aree motorie, erogata in tempi differenti di stimolazione su un

gruppo di soggetti sani che eseguono lo stesso compito motorio: per questa

ragione abbiamo studiato la cinematica di una sequenza motoria di puntamento

modificando le variabili della TMS: intensità, numero degli stimoli e sito di

stimolazione.

43

Materiale e metodo Abbiamo studiato dieci soggetti sani (6 uomini e 4 donne), d’età media 30 ±

5.5 anni. Tutti hanno dato il proprio consenso informato allo studio e il

protocollo è stato approvato dal comitato etico locale, concordemente alla

dichiarazione di Helsinki.

Per registrare i movimenti nello spazio tridimensionale abbiamo

utilizzato l’ELITE motion system. Il sistema consiste di due telecamere a

infrarossi (100 Hz frequenza di campionamento) che rilevano il movimento di

marker passivi, e di un sistema TV che digitalizza e ricostruisce le coordinate

del movimento del marker. L’elaborazione matematica delle coordinate

spaziali fornisce le informazioni sulla velocità del movimento in coordinate 3D

e le mostra in forma grafica.

Nei primi tre esperimenti la TMS è stata somministrata mediante una

bobina a forma di otto (diametro di ciascun circolo 9 cm) collegata ad uno

stimolatore bifasico Magstim Super Rapid (Magstim Company, Dyfed, Wales,

UK). Nel quarto esperimento abbiamo invece usato una bobina biconica, che

consente la stimolazione di strutture nervose profonde.

Per stimolare l’hot-spot (punto di massima eccitabilità) del muscolo

deltoide (M1-D) abbiamo posizionato la bobina sul sito dello scalpo che

evocava una contrazione muscolare nel muscolo preattivato. Abbiamo testato il

muscolo preattivato per riprodurre la posizione di partenza del soggetto nel

compito e per ridurre la soglia motoria. In questo modo la somministrazione

era sempre inferiore al massimo erogabile dallo stimolatore.

Per quanto riguarda il muscolo primo interosseo dorsale (M1-FDI), la

condizione di partenza era di riposo.

Per stimolare l’area premotoria, la bobina era collocata 25 mm davanti

all’hot-spot per l’FDI (Schluter et al. 1998). Al fine di evitare la diffusione

dello stimolo, spostavamo con accortezza la bobina sullo scalpo.

Per stimolare l’area motoria supplementare la bobina veniva poggiata

sul sito più vicino a Cz stando facendo attenzione a non evocare un potenziale

motorio o una contrazione nei muscoli tibiali anteriori (Ziemann et al. 1997).

Questa procedura è stata scelta perché la rappresentazione corticale dei muscoli

44

della gamba in M1 è in posizione adiacente alla SMA ad un’analoga profondità

nella scissura interemisferica. I siti di stimolazione ottimale per ciascuna area

motoria (M1-D, M1-FDI, SMA, and PM) sono stati evidenziati graficamente

sullo scalpo.

Disegno sperimentale

I partecipanti allo studio sedevano comodamente su una sedia di fronte a uno

schermo, tenendo il braccio pronato alla spalla, l’avambraccio flesso

lievemente all’altezza del gomito e il dito indice esteso.

Il compito consisteva nell’eseguire una sequenza motoria composta da

cinque submovimenti rapidi della stessa ampiezza (350 mm), seguendo una

sequenza proiettata sullo schermo, a partire da un target mostrato in basso a

destra, fino ad un target in alto a sinistra. I soggetti assumevano la posizione di

partenza quando il primo target si attivava e partivano al segnale di go, ossia

quando tutti gli altri target si illuminavano (Fig. 1). L’accensione dei target era

randomizzata cosicché i partecipanti non potevano prevedere il momento di

partenza.

1° Esperimento

Durante il tempo di reazione venivano erogati un singolo stimolo o una tripletta

di stimoli su M1-D, PM (controlaterali all’arto in movimento) e SMA. Le

intensità erano sottosoglia (90%) e sovrasoglia (125%). Il tempo di

stimolazione era a 190 ms per il singolo e 150 ms per la tripletta, di modo che

l’ultimo stimolo della tripletta coincidesse temporalmente con lo stimolo

singolo. Dopo una breve pratica si registravano blocchi di 9 movimenti per

ogni condizione (sham, M1, PM e SMA). La stimolazione sham era effettuata

tenendo la bobina lontana dallo scalpo a circa 10 cm da Cz.

2° Esperimento

In questa sessione gli stimoli erano erogati al 100% dell’output dello

stimolatore, ossia a circa il 170%-200% della soglia motoria per l’FDI. La

45

stimolazione ripetitiva non è stata effettuata in quanto dolorosa e non è stata

stimolata l’area premotoria poiché era impossibile evitare la diffusione su M1.

Il tempo di stimolazione era sempre 190 ms. Si registravano blocchi di 9

movimenti per ogni condizione (sham, M1-FDI, M1-D e SMA).

3° Esperimento

La tripletta di stimoli (20 ms di intervallo interstimolo - ISI -) veniva

somministrata su M1-D, PM e SMA 50 ms dopo il go-signal al 90% e al 125%

di intensità. Si registravano blocchi di 9 movimenti per ogni condizione (sham,

M1-D, PM e SMA).

4° Esperimento

In questo set abbiamo somministrato uno stimolo singolo sulla SMA mediante

una bobina biconica ad intensità del 125% rispetto alla soglia per il deltoide.

Abbiamo registrato blocchi di nove movimenti per sham e SMA.

Durante tutti gli esperimenti le condizioni erano presentate in maniera

randomizzata mediante un software dedicato. Dopo ogni movimenti e dopo

ogni blocco seguiva una breve pausa.

5° Esperimento

I soggetti dovevano eseguire il task motorio in quattro condizioni: click

acustico, stimolazione elettrica sui muscoli del collo, stimolazione simultanea

(acustica ed elettrica) – erogata sempre 50 ms dopo l’onset del go-signal – e

nessuna stimolazione.

Lo stimolo acustico era dato dal suono prodotto dalla scarica della bobina al

massimo output di stimolazione mentre lo si teneva a 10 cm da Cz.

Lo stimolo elettrico era somministrato sui muscoli del collo (seguendo le linee

guida di Terao et al. 1997) usando un solo stimolo della durata di 0.2 ms di

intensità pari a 1.5-2 volte la soglia sensoriale mediante uno stimolatore

periferico (Digitimer Stimulator DS7) e comandato mediante lo stesso software

di gestione dello stimolo visivo. Sono stati anche effettuati dei trials senza

46

stimolazione TMS. Abbiamo registrato blocchi di nove trials randomizzati per

tutte le condizioni. Per evitare che i soggetti si affaticassero abbiamo consentito

loro di fare piccole pause tra trials e blocchi sperimentali.

Misure

Le variabili cinematiche del movimento erano ricostruite dal software ELITE.

Abbiamo definito la soglia motoria come l’intensità minima capace di indurre

– nel braccio esteso – uno spostamento della punta del dito di almeno 5 mm sul

piano verticale. Al fine di esser certi che ci fosse una reale attivazione del

deltoide, il soggetto doveva tenere tutte le dita estese, mentre lo sperimentatore

si curava che ci fosse uno spostamento della spalla e che tutte le dita si

muovessero contemporaneamente dopo lo stimolo. I trials in cui lo

spostamento della spalla non era visibile erano scartati. La soglia per l’FDI era

identificata nel valore più basso capace di evocare uno spostamento di almeno

5 mm sul piano orizzontale dell’indice a riposo dovuto all’adduzione, senza

ulteriori movimenti della mano e della spalla.

Il valore medio della soglia era di 66 ± 10.1 per il deltoide e 35 ± 8.3 per l’FDI

(in base all’output massimo dello stimolatore).

L’inizio e la fine del movimento erano determinati dalla velocità e dal profilo

di spostamento, usando il valore di 50 mm/sec come soglia per il movimento.

Il Reaction Time (RT) era calcolato come la il tempo trascorso tra il go-signal e

l’inizio dell’atto motorio.

Analisi statistica I dati sono stati espressi in medie e deviazioni standard (SD). I reaction times

(RTs) sono stati sottoposti ad ANOVA between condition.

Nell’esperimento 1 abbiamo utilizzato un’ANOVA con fattori between

“regione stimolata” (M1-D, PM e SMA), “stimolo” (singolo e tripletta) e

“intensità” (sottosoglia e sovrasoglia), con fattore ripetuto “submovimento”

(1°, 2°, 3°, 4° e 5° submovimento, S1, S2, S3, S4 e S5) per paragonare RTs e i

tempi di movimento (MTs).

47

Nell’esperimento 2 abbiamo usato un’ANOVA separata between condition con

fattori between “regione stimolata” (M1-D, M1.FDI e SMA) e con fattore

ripetuto “submovimento”.

Nell’esperimento 3 abbiamo praticato un’ANOVA separata between condition

con fattori between “regione stimolata” (M1-D, PM e SMA), “intensità” e

come fattore ripetuto “submovimento”.

Nell’esperimento 4 abbiamo utilizzato un’ANOVA separata between condition

con fattore between “stimolazione” (sham e SMA) e come fattore ripetuto

“submovimento”.

Nell’esperimento 5 abbiamo usato un’ANOVA separata between condition con

fattore between “stimolazione” (click acustico, stimolo elettrico, stimolazione

simultanea elettrica e acustica, no stimolo) e come fattore ripetuto

“submovimento”.

In tutti gli esperimenti il post-hoc era il Tukey’s Honest Significant Difference

Test. I valori inferiori a 0.05 erano considerati significativi.

Risultati

Effetti della TMS sul tempo di reazione Esperimento 1 (M1-D vs. PM vs. SMA, sottosoglia e sovrasoglia, stimoli

singoli o tripli, 150 o 190 ms dopo il go-signal)

In tutte le condizioni sperimentali non abbiamo osservato variazioni

significative dell’RT. Se erogata su SMA (sovrasoglia, con stimolazione

singola o ripetitiva), l’RT tendeva a diminuire se paragonata alla stimolazione

sottosoglia ma il dato non era significativo (Fig. 2).

Esperimento 2 (M1-FDI vs. M1-D vs. SMA, stimoli singoli ad intensità

massimale, 190 ms dopo il go-signal)

L’ANOVA per gli RT ottenuta nei trials con e senza TMS ha mostrato un

effetto principale del fattore “regione stimolata” (F3,20=15.7; p<0.001). Il post-

hoc ha mostrato che la stimolazione di M1-FDI, ma non di M1-D e SMA,

aumentava l’RT (Fig. 3).

48

Esperimento 3 (M1-D vs. PM vs. SMA, sottosoglia e sovrasoglia, stimoli tripli,

50 ms dopo il go-signal)

L’ANOVA ha mostrato un effetto principale dei fattori “regione stimolata”

(F2,233=3.6; p=0.00) e “intensità” (F2,233=6.3; p=0.01). Il post-hoc ha

evidenziato che la TMS somministrata precocemente durante l’RT lo accorcia

a prescindere dall’area corticale stimolata (Fig. 4).

Esperimento 4 (Sham vs. SMA, sovrasoglia, singoli stimoli, 50 ms dopo il go-

signal, bobina biconica)

L’ANOVA non ha mostrato alcun effetto per il fattore “stimolazione”. La

durata media degli RT era di 216.28±41 ms nei trials con stimolazione e

247±45 ms nei trials senza stimolazione.

Esperimento 5 (no stimolazione vs. click acustico vs. stimolazione elettrica dei

muscoli del collo vs. stimolazione simultanea elettrica e acustica)

I dati hanno mostrato una tendenza all’accorciamento dei Reaction Times, dopo

il click acustico e la stimolazione elettrica, tendenza che si accentuava dopo

stimolazione simultanea.

Ad ogni modo l’ANOVA per l’RT non ha mostrato effetti per il fattore

“stimolazione” (F3,40=1,24 p<0.3075, Fig. 8).

Effetto della TMS sul tempo di movimento Esperimento 1 (M1-D vs. PM vs. SMA, sottosoglia e sovrasoglia, stimoli

singoli o tripli, 150 o 190 ms dopo il go-signal)

La durata (media ± deviazione standard) dei submovimenti nelle sequenze

motorie eseguite senza TMS era di 176.8±26.7 per l’S1, 139.1±16.9 ms per S2,

145.7±18.1 ms per S3, 138.4±16.1 per S4 e 177.3±24.8 per S5. Questi valori

configuravano una curva a forma di W sul grafico di durata dei movimenti.

L’ANOVA sul movement time (MT) ha mostrato un effetto significativo del

fattore ripetuto “submovimento”. Il post-hoc confermava che S2, S3 e S4 erano

più corti di S1 e S5 (p<0.01).

Dal momento che questo pattern di durate era altamente riprodotto in tutte le

condizioni e in tutti gli esperimenti - con e senza TMS - l’analisi post-hoc per

l’effetto principale del fattore “submovimento” non sarà più discusso.

49

L’ANOVA per i dati di MT nei trials con e senza TMS ha mostrato un effetto

principale del fattore between “regione stimolata” (F3,128=7.05, p=0.0002) e

“stimolo” (F1.128=4.11, p=0.04), ma non del fattore “intensità”. L’analisi post-

hoc ha evidenziato che stimolare l’M1-D (ma non la PM e la SMA) con stimoli

tripli (più che singoli) allunga l’MT.

Abbiamo inoltre riscontrato una significativa interazione a tre vie “regione

stimolata” x “stimolo” x “submovimento” (F12,512=2.20, p<0.01). Il post-hoc ha

mostrato come la TMS sovrasoglia su M1-D accresce significativamente l’MT

(p<0.001) e questo aumento varia concordemente alla posizione dei

submovimenti nella sequenza motoria e al numero di stimoli erogati. In

particolare, gli stimoli singoli aumentano S1 e S2, mentre le triplette

aumentano anche S3 e S4. Inoltre, anche la stimolazione di PM fa aumentare

l’S1 (p<0.05). Al contrario, la stimolazione della SMA non sortisce effetti né

sovra- né sottosoglia (Fig. 5).

Esperimento 2 (M1-FDI vs. M1-D vs. SMA, stimoli singoli ad intensità

massimale, 190 ms dopo il go-signal) L’ANOVA per l’MT (con e senza TMS)

ha riportato un effetto principale del fattore ripetuto “submovimento”

(F4,80=36.9; p<0.001).

Abbiamo inoltre riscontrato una significativa interazione a due vie “regione

stimolata” x “submovimento” (F12,80=2.3; p<0.02). Il post-hoc ha mostrato che

la stimolazione TMS con stimoli singoli erogata al 100% dello stimolatore su

M1-D prolunga S1 e S2, mentre, quando erogata su M1-FDI prolunga S1, S2 e

S3. Invece, la stimolazione della SMA non sortiva effetti (Fig 6.).

Esperimento 3 (M1-D vs. PM vs. SMA, sottosoglia e sovrasoglia, stimoli tripli,

50 ms dopo il go-signal)

L’ANOVA ha mostrato un effetto principale marginalmente significativo del

fattore “regione stimolata” (F2,238=2.8, p=0.06), “submovimento”

(F4,952=4.19, p<0.001) ma non del fattore “intensità” Dal post-hoc si è evinto

che la stimolazione di PM e SMA riduceva l’MT.

Abbiamo inoltre riscontrato una interazione a due vie “submovimento” x

“regione stimolata” (F2,238= 6.9, p=0.00) e “submovimento” x “intensità”

(F2,238= 2.9, p=0.02). Il post-hoc ha mostrato che la durata di S1 era più

influenzata dalla stimolazione di SMA che di PM e dalle intensità sovrasoglia,

più che sottosoglia (Fig. 7).

50

Esperimento 4 (Sham vs. SMA, sovrasoglia, singoli stimoli, 50 ms dopo il go-

signal, bobina biconica)

L’ANOVA ha mostrato un effetto principale per il fattore “submovimento”

(F4,336=1.96, p<0.001) ma non per il fattore “stimolazione”. Le durate di S1.

S2, S3, S4 e S5 erano rispettivamente 204.2±29.7 ms, 150.9±13.2, 160.7±19.8

ms, 156.1±25.4 ms e 222.1±43.6. (con TMS) e 194.7±47.7 ms per S1,

150.4±27.1 ms per S2, 154.9±27.6 ms per S3, 150.6±34.0 ms per S4,

199.1±52.1 ms per S5 senza TMS.

Esperimento 5 (no stimolazione vs. click acustico vs. stimolazione elettrica dei

muscoli del collo vs. stimolazione simultanea elettrica e acustica)

I dati hanno mostrato una tendenza all’accorciamento delle durate di MT dopo

il click acustico e la stimolazione elettrica, tendenza che si accentuava dopo

stimolazione simultanea.

L’ANOVA per l’MT ha mostrato un effetto principale del fattore

“submovimento” (F4,160=90,51, p<0.0001) ma non per il fattore “stimolazione”

(F12,160=0,46, p<0.9334, Fig. 9). L’interazione “stimolazione” x

“submovimento” non era significativa (F8,64=0,43, p<0.8969).

Discussione I dati ottenuti hanno mostrato con chiarezza che le modificazioni ottenute

mediante erogazione di stimoli magnetici sulla cinematica di un movimento di

puntamento - effettuato con muscoli prossimali - dipendono dal tempo di

interferenza della TMS (precoce o tardivo), regione corticale stimolata (aree

motorie primarie, PM e SMA), intensità dello stimolo (sottosoglia o

sovrasoglia) e numero di stimoli erogati (singolo o tripletta).

Una stimolazione tardiva inibisce la prestazione motoria, quella precoce la

facilita. La stimolazione dell’area motoria primaria è fondamentale per indurre

inibizione sia nella fase di start sia nell’esecuzione vera e propria, mentre un

effetto facilitatorio può essere indotto stimolando PM e SMA. Anche

l’intensità è una variabile importante ed è dose-related (nel senso che le

intensità sovrasoglia incidono in modo più efficace sulla prestazione così come

gli stimoli tripli).

51

Il movimento studiato in questo lavoro è rappresentabile graficamente a forma

di W: i soggetti, in tutte le condizioni sperimentali, acceleravano nella prima

parte della sequenza (da S1 a S2), raggiungevano un picco di velocità tra S3 e

S4 e infine deceleravano per terminare la sequenza (S5). Dal momento che il

primo submovimento era eseguito in risposta ad uno stimolo visivo, la risposta

era lenta proprio a causa della modalità d’esecuzione. In altre ricerche del

nostro gruppo abbiamo dimostrato che i soggetti normali eseguono movimenti

caratterizzati da identici parametri spaziali più velocemente con modalità a

guida interna che esterna, cioè in risposta a stimoli (Currà et al. 1997, 2000).

I soggetti normali impiegano più tempo ad eseguire S5 che non S2-S4

probabilmente perché S5 è compreso nella fase di decelerazione del

movimento. Sulla base della durata media dei submovimenti, la stimolazione

tardiva di M1 perturbava la prestazione motoria da 300 a 600 ms, a seconda del

sito e dell’intensità della stimolazione, mentre la stimolazione di PM o SMA

induceva solo effetti a brevissimo termine.

Stimolazione di M1

La TMS induce modificazioni sul Reaction Time Per hot-spot di un muscolo si intende il sito corticale dove la TMS elicita una

risposta alla minima intensità. All’hot-spot la TMS recluta i neuroni

corticospinali che proiettano al muscolo target nel modo più accessibile.

Nel nostro lavoro una stimolazione tardiva di M1-FDI ritardava il tempo di

reazione, al contrario della stimolazione tardiva su M1-D. Il nostro task

impegnava soprattutto i muscoli prossimali, muscoli che hanno notoriamente

una soglia più alta rispetto ai muscoli distali (Chen et al. 1998) probabilmente

perché hanno una rappresentazione corticale minore e meno superficiale. Il

dato da noi riscontrato di assenza di effetto sull’RT stimolando M1-D

suggerisce che questo tipo di stimolazione non attiva né inibisce i neuroni che

controllano i muscoli prossimali. Inoltre, in questo caso, un eventuale effetto

“ritardante” della TMS sarebbe potuto essere controbilanciato dal fenomeno di

intersensory facilitation. Per intersensory facilitation si intende quel fenomeno

di accelerazione di una risposta motoria dovuta all’effetto facilitatorio di una

52

stimolazione multisensoriale (Bernstein et al. 1969, Nickerson et al. 1973;

Pascual-Leone et al. 1992b) (nel nostro caso: l’attivazione cutanea dello scalpo,

il click acustico generato dalla bobina e lo stimolo visivo di go).

Una spiegazione al fatto che l’RT sia alterato mediante stimolazione di un’area

attivante muscoli distali potrebbe essere che l’intensità più elevata da noi usata

per attivare M1-FDI elicitava un twitch muscolare più intenso. Tuttavia il

nostro task impiegava prevalentemente muscoli i prossimali della spalla e,

soprattutto, la TMS generava un twitch molto più forte quando era erogata su

M1-D. Per questa ragione abbiamo potuto concludere che i circuiti inibitori che

agiscono sui neuroni output attivati nel nostro compito motorio fossero più

accessibili stimolando l’area motoria primaria dell’FDI. L’attivazione di

circuiti corticali da parte della TMS dipende dalla distribuzione dell’eccitabilità

entro i circuiti e dalla distribuzione spaziale degli elementi corticali eccitabili

sotto la bobina. Quindi, l’effetto della TMS varia in base a due fattori: l’area di

rappresentazione corticale sottostante e la distanza dei neuroni attivati dalla

bobina.

Dal momento che M1-FDI ha una rappresentazione più superficiale e M1-D

giace nel solco, l’efficacia della prima potrebbe esser causata proprio da questo

fattore anatomico. Maggiore è l’eccitabilità dei neuroni corticali, più facile

diventa stimolarli a distanza. Pertanto la distribuzione spaziale di eccitabilità

dei neuroni di output coinvolti in un compito può anche favorire la regione

corticale del muscolo FDI, dove possono raggrupparsi gli elementi neurali a

più bassa soglia. In alternativa, il sito sullo scalpo per M1-FDI potrebbe essere

più efficace perché la bobina è posizionata più vicino alle fibre cortico-corticali

en passage dalle regioni di rappresentazione dei muscoli prossimali attivati

durante l’RT.

Infine non possiamo comunque escludere l’ipotesi che l’effetto più importante

di M1-FDI sia dovuto alla forte contrazione dei muscoli della mano che

potrebbe aver distratto i soggetti dall’esecuzione del compito.

Nel nostro studio la stimolazione sottosoglia non ha accorciato l’RT, a

differenza di lavori precedenti (Pascual-Leone et al. 1992). Nei compiti che

coinvolgono i muscoli della mano la stimolazione sottosoglia induce un

aumento precoce dell’eccitabilità premovimento; qui la cosa non si è verificata

perché i muscoli coinvolti erano, appunto, prossimali.

53

A differenza della stimolazione tardiva, la tripletta somministrata

precocemente su M1-D riduce significativamente l’RT, a dimostrare che la

facilitazione della prestazione motoria può essere facilmente indotta sul sito

dello scalpo corrispondente all’area motoria per il deltoide.

Giacchè la TMS (precoce o tardiva) induce effetti opposti sull’RT, la

spiegazione più immediata è che sia più semplice facilitare la corteccia con la

TMS piuttosto che inibirla, ma soprattutto, che la variabile più importante per

una stimolazione efficacemente perturbante è il tempo di stimolazione.

Un altro fattore che influenza l’accelerazione motoria è la già citata

intersensory facilitation (Terao et al. 1997). A bilanciare il potenziale ritardo

indotto dalla stimolazione tardiva, l’intersensory facilitation può aver

accelerato il movimento dopo la stimolazione precoce. Per comprendere sino a

che punto essa abbia potuto interferire col nostro compito, abbiamo studiato la

cinematica di movimento in quattro condizioni di stimolazione. I trials in cui vi

era stimolazione acustica ed elettrica tendevano ad accorciare il RT e l’MT

rispetto ai trials senza stimolazione. La stimolazione simultanea facilitava

maggiormente il movimento - rispetto alla singola - senza tuttavia mai

diventare significativa. Questo significa che nel nostro lavoro l’intersensory

facilitation non può essere una spiegazione esaustiva dei dati ottenuti.

La TMS induce modificazioni sul Movement Time Erogando la TMS tardivamente (a ridosso della risposta motoria) su M1-D e

M1-FDI, l’MT si allunga. I nostri dati replicano i risultati di lavori precedenti

in cui i movimenti sequenziali sono alterati dalla TMS (Berardelli et al. 1994;

Gerloff et al. 1997), e li ampliano, dal momento che abbiamo verificato che il

sito di stimolazione e l’intensità sono due variabili fondamentali per alterare

l’MT.

Sebbene la stimolazione ad alta intensità di M1-FDI abbia un forte effetto

ritardante sull’MT, il pattern di tutti e cinque i submovimenti non viene mai

alterato e la classica forma a W resta identica in tutte le condizioni (Fig 5, 6, 7).

La stimolazione di M1 avveniva di fatto nella fase finale di programmazione

motoria, ossia quando la pianificazione era terminata e stava per essere

rilasciato il programma motorio finale. Da questo possiamo concludere che

54

nelle fasi immediatamente antecedenti al movimento (30-50 ms) l’area motoria

primaria riveste un ruolo prettamente esecutivo.

Dai dati si evince inoltre come la TMS abbia un effetto sull’MT e non

sull’RT, sia che sia somministrata sull’area del deltoide, sia sull’area dell’FDI.

Questo può voler dire che essa stimola più facilmente i circuiti sottesi all’MT.

E’ probabile anche che l’area dell’FDI sia il sito anatomico migliore per

indurre una risposta inibitoria corticale e che l’effetto ottenuto su M1-D fosse

dovuto alla diffusione al sito M1-FDI. Questo spiegherebbe perché la

stimolazione di M1-D perturba l’MT (sensibile a stimolazioni più grossolane)

ma non l’RT (che richiede invece una stimolazione ben congegnata).

Infatti, al crescere dell’intensità della stimolazione, cresce l’area dalla

quale un determinato circuito nervoso può essere attivato.

A differenza della stimolazione sovrasoglia tardiva, quella sottosoglia

non ha dato effetti sull’MT. Questo dato contrasta con dati di letteratura

secondo cui l’intensità minima di TMS per generare un errore durante un

compito complesso da eseguire con le dita è inferiore alla soglia motoria per

l’FDI. Contrasta anche con i dati su pazienti parkinsoniani in cui la prestazione

motoria trae giovamento con la rTMS sottosoglia (Pascual-Leone et al. 1994).

Questo si spiega forse a causa dei muscoli implicati nei movimenti (prossimali

contro distali), delle diverse intensità e frequenze usate e delle variabili

considerate per valutare l’interferenza sul movimento (MT contro numero di

errori).

Oltre ad accorciare l’RT, le triplette sovrasoglia precoci su M1-D accorciano

anche l'MT. Questo dato rafforza la nozione che il tempo di stimolazione sia il

fattore determinante per indurre effetti facilitatori o inibitori: la TMS tardiva

ritarda la risposta e l’esecuzione motoria, mentre la TMS precoce la velocizza.

Poiché questo paradigma di stimolazione è risultato efficace anche quando

erogato sulle aree motorie non primarie (PM e SMA), riteniamo che la TMS

abbia aumentato la velocità di movimento stimolando almeno in parte M1

direttamente ed in parte M1 indirettamente attraverso PM e la SMA.

55

Stimolazione di PM e SMA Effetti sul Reaction Time

Stimolando la PM e la SMA i tempi di reazione rimanevano invariati. Una

spiegazione semplice a questo fenomeno potrebbe essere che l’effetto inibitorio

o facilitatorio della TMS su queste aree fosse troppo debole per modificare

l’RT. Appare più verosimile tuttavia l’eventualità che, al tempo di stimolazione

(tardivo) queste due aree non siano più coinvolte nel movimento. Questa

ipotesi trova conferma dal fatto che la TMS somministrata sulle aree

premotorie, prima dell’effettuazione motoria, accorcia l’RT.

Effetti sul Movement Time

La stimolazione tardiva di PM (tripletta sovrasoglia) ritardava meno l’MT

rispetto alla stimolazione di M1. Nonostante ci siano ampi riscontri

sperimentali sul ruolo di PM nel controllo temporale dei movimenti sequenziali

(Mushiake et al. 1991; Halsband et al. 1993; Sadato et al. 1996), i nostri

risultati non forniscono una prova completa del ruolo della PM nell’esecuzione

motoria nelle fasi tardive del processo di messa in atto di un programma

motorio.

L’area premotoria più attiva è sempre la PM destra, anche quando il

movimento è effettuato con la mano omolaterale (Sadato et al. 1996), e noi

abbiamo invece stimolato la PM sinistra. Inoltre la TMS non ha mai alterato la

forma a W della sequenza motoria. Riteniamo pertanto che la stimolazione

sovrasoglia dell’area premotoria abbia prolungato il primo submovimento per

il coinvolgimento dell’area del braccio in M1, o per via cortico-corticale

(stimolazione ortodromica indiretta dell’area 4 laterale) o per diffusione del

campo magnetico (la sommazione dei tre stimoli magnetici era infatti

inevitabile).

Ci sono varie ragioni che spiegano perché la stimolazione tardiva della

SMA non produca effetti sull’MT. La collocazione anatomica della SMA

(situata nella scissura mediana) ne rende difficoltosa la stimolazione e ha

probabilmente impedito la stimolazione efficace della SMA posteriore

controlaterale. Per evitare questo limite abbiamo usato uno stimolatore con

56

bobina biconica senza tuttavia ottenere effetti sull’MT. Abbiamo quindi

confermato i dati di Cunnington (1996) in cui non si erano ottenute

modificazioni nell’esecuzione di una sequenza motoria in soggetti sani. La

nostra procedura era comunque differente (per tipo di bobina e di movimento:

biconico contro circolare, movimento a guida esterna contro movimento a

guida interna). A dispetto di tali differenze l’MT aumentava quando la TMS

veniva erogata precocemente nel corso del movimento in pazienti

parkinsoniani, mentre rimaneva immodificata nei soggetti normali. Infine, il

compito da noi utilizzato era probabilmente troppo semplice e troppo ben noto

per coinvolgere attivamente la SMA. Alcuni lavori recenti mostrano

un’alterazione del movimento con stimolazione di SMA e PM ma i movimenti

studiati sono più complessi e i soggetti sono pazienti con varie patologie

neurologiche (Schluter et al. 1998; Boylan et al. 2001).

Somministrando invece la TMS sovrasoglia tardivamente (su PM e

SMA) l’MT risultava ridotto. Questo sta a dimostrare, ancora una volta, che è

più semplice indurre una facilitazione più che una inibizione e che il tempo di

somministrazione degli stimoli è una variabile cruciale. I neuroni di

rappresentazione corticospinale del braccio in PM e SMA sono in numero

simile o addirittura superiore a quelli di M1, proiettano direttamente al midollo

spinale e fanno sì che queste due aree influenzino in maniera rilevante la

generazione e l’esecuzione motoria (Martino e Strick, 1987; Dum e Strick,

1991). Nel nostro caso, stimolando la PM e la SMA, il movimento potrebbe

essersi velocizzato anche per via indiretta, facilitando i neuroni di M1 tramite

le vie cortico-corticali (Geyer et al. 2000; Cerri et al. 2003).

Possiamo concludere che le variabili di tempo, sede anatomica, intensità e

numero degli stimoli sono parametri fondamentali per indurre variazioni nella

cinematica di un movimento sequenziale.

Una stimolazione precoce facilita la risposta motoria, verosimilmente attivando

le aree premotorie e la motoria primaria. Al contrario, la stimolazione tardiva la

inibisce.

La sede anatomica più sensibile per indurre inibizione con la TMS è l’area

dell’FDI, invece la facilitazione intracorticale non ha un’organizzazione

topografica chiara. Il dato principale ricavato è che, sia per indurre un effetto

57

facilitatorio, sia per indurre un effetto inibitorio, la variabile principale è

senz’altro il tempo di stimolazione.

58

Esperimento Tempo di stimolazione

Area corticale stimolata

Intensità di stimolazione

Numero di

stimoli

Tipo di bobina

1 190 ms

150 ms

M1-D, PM, SMA

M1-D, PM,

SMA

90% MTh 125% MTh

90% MTh 125% MTh

Singolo

Tripletta

A otto

2

190 ms

M1-FDI,

M1-D, SMA

170% - 200% MTh

Singolo

A otto

3

50 ms

M1-D, PM,

SMA

90% MTh 125% MTh

Tripletta

A otto

4

50 ms

SMA

125% MTh

Singolo

Biconica

5

50 ms

No stimolo,

click acustico *,

stimolazione elettrica **, stimolazione simultanea elettrica e acustica

Massimo output *

1.5-2 rispetto alla soglia

sensoriale **

Singolo

A otto *

Tabella. Variabili TMS usate negli esperimenti

59

Fig. 1 I target visivi mostrati in posizione di partenza (A) e al GO-signal. Le frecce indicano il percorso da eseguire.

60

Fig. 2 Tempi di reazione. Esperimento 1. Le barre verticali indicano un intervallo di confidenza del 95%.

61

Fig. 3 Tempi di reazione. Esperimento 2.

Fig. 4 Tempo di reazione. Esperimento 3.

62

Fig. 5 Tempo di movimento. Esperimento 1.

63

Fig. 6 Tempo di movimento. Esperimento 2.

Fig. 7 Tempo di movimento. Esperimento 3.

64

Fig. 8 Tempo di reazione. Esperimento 5.

Fig. 9 Tempo di movimento. Esperimento 5

65

Bibliografia

Berardelli A., Inghilleri M., Polidori L., Priori A., Mercuri B., Manfredi M.

Effects of transcranial magnetic stimulation on single and sequential arm

movements. Exp. Brain Res. 1994; 98: 501-6.

Bernstein I.H., Clark M.H., Edelstein B.A. Effects of an auditory signal on

visual reaction time. J. Exp. Psychol. 1969; 80: 567-9.

Boylan L. S., Pullman S.L., Lisamby S.H., Spicknall K.E., Sackeim H. A.

Repetitive transcranial magnetic stimulation to SMA worsens complex

movements in Parkinson's disease. Clin. Neurophysiol. 2001; 112: 259-64.

Cerri G, Shimazu H, Maier MA, Lemon RN. Facilitation from ventral

premotor cortex of primary motor cortex outputs to macaque hand muscles.

J Neurophysiol. 2003; 90:832-42.

Chen R, Tam A, Bu¨tefisch C, Corwell B, Ziemann U, Rothwell JC, Cohen

LG. Intracortical inhibition and facilitation in different representations of

the human motor cortex. J Neurophysiol 1998;80:2870–2881.

Cunnington R., Iansek R., Thickbroom G.W., Laing B.A., Mastaglia F.L.,

Bradshaw J.L., Philips J.G. Effects of magnetic stimulation over

supplementary motor area on movement in Parkinson's disease. Brain

1996; 119: 815-22.

Currà A., Agostino R., Galizia P. Fittipaldi F., Manfredi M., Berardelli A.

Submovement cueing and motor sequence execution in Patients with

Huntington’s Disease. Clin. Neurophysiol. 2000; 111: 1184-1190.

Currà A., Berardelli A., Agostino R., Modugno N., Puorger C.C.,

Accornero N., Manfredi M. Performance of sequential arm movements

with and without advance knowledge of motor pathways in Parkinson's

disease. Mov. Disord. 1997; 12: 646-4.

Day B.L., Rothwell J.C., Thompson P.D., Maertens de Noordhout A.,

Nakashima K., Shannon K., Marsden C.D. Delay in the execution of

voluntary movement by electrical or magnetic brain stimulation in intact

man. Evidence for the storage of motor programs in the brain. Brain 1989;

112: 649-63.

Dum R.P. Strick P.L. The origin of corticospinal projection from the

premotor areas in the frontal lobe. J. Neurosci. 1991; 11: 667-689.

66

Gerloff C., Richard J., Hadley J., Schulman A.E., Honda M., Hallett M.

Functional coupling and regional activation of human cortical motor area

during simple, internally paced and externally paced of finger movements.

Brain 1998; 121: 1513-31.

Geyer S, Matelli M, Luppino G, Zilles K. Functional neuroanatomy of the

primate isocortical motor system. Anat Embryol (Berl) 2000; 202: 443-474.

Halsband U., Ito N., Tanji J., Freund H.J. The role of premotor cortex and

the supplementary motor area in the temporal control of movement in man.

Brain 1993; 116: 243-66.

Martino A.M. Strick P.L. Corticospinal projections originate from the

arcuate premotor area. Brain Res. 198; 404: 307-12.

Mushiake H., Inase M., Tanji J. Neuronal activity in the primate premotor,

supplementary, and precentral motor cortex during visually guided and

internally determined sequential movements. J. Neurophysiol. 1991; 66:

705-18.

Nickerson R.S.1973. Intersensory facilitation of reaction time: energy

summation or preparation enhancement? Psychol. Rev. 1973; 80: 489-509.

Pascual-Leone A., Brasil-Neto J., Vails-Solè J., Cohen L.J., Hallett M.

Simple reaction lime to focal transcranial magnetic stimulation.

Comparison with reaction time to acoustic, visual and somatosensory

stimuli. Brain 1992a; 115: 109-122.

Pascual-Leone A., Valls-Solè J., Wasermann E.M., Brasil-Neto J., Cohen

L.J., Hallett M. Effect of focal transcranial magnetic stimulation on simple

reaction time to acoustic, visual and somatosensory stimuli. Brain 1992b;

115: 1045-1159.

Pascual-Leone A, Valls-Sole J, Brasil-Neto JP, Cohen LG, Hallett M.

Akinesia in Parkinson's disease. I. Shortening of simple reaction time with

focal, single-pulse transcranial magnetic stimulation. Neurology.

1994a;44:884-91.

Sadato N., Campbell G., Ibanez V., Deiber M., Hallett M. Complexity

affects regional cerebral blood flow change during sequential finger

movements. J. Neurosci. 1996; 16(8): 2691-700.

Schluter N.D., Rushworth M.F.S., Passingham R.E., Mills K.R. Temporary

interference in human lateral premotor cortex suggests dominance for the

67

selection of movements: a study using transcranial magnetic stimulation.

Brain 1998; 121: 785-99.

Terao Y., Ugawa Y., Suzuki M., Sakai K., Hanajima R., Gemba-Shimizu

K., Kanazawa I. Shortening of simple reaction time by peripheral electrical

and submotor-threshold magnetic cortical stimulation. Exp Brain Res.

1997;115: 541-5.

Ziemann U., Tergau F., Netz J., Homberg V. Delay in simple reaction time

after focal transcranial stimulation of the human brain occurs at the final

motor output stage. Brain Res. 1997; 744: 32-4

68

STUDIO DEI MOVIMENTI INDIVIDUALI E NON

INDIVIDUALI DELLE DITA IN PAZIENTI AFFETTI DA

DISTONIA DELL’ARTO SUPERIORE

I pazienti affetti da distonia segmentale o generalizzata dell’arto superiore

effettuano i movimenti - semplici e complessi – e che coinvolgono il gomito o

articolazioni prossimali, con velocità ridotta (bradicinesia), attivazione

prolungata e concomitante dei muscoli agonisti e antagonisti (co-contrazione) e

diffusione dell’attività EMG in muscoli remoti non implicati nel movimento

(overflow) (Van der Kamp et al. 1989; Agostino et al. 1992; Inzelberg et al.

1995; Currà et al. 2000).

La distonia compito-specifica affligge preferenzialmente quegli

individui che svolgono movimenti ripetitivi complessi (distonia professionale).

Questi pazienti hanno difficoltà nell’eseguire movimenti che richiedono

rapidità, selettività ed indipendenza (Poore et al. 1887; Tolosa et al. 1997).

Musicisti, dattilografi ed analoghe categorie professionali sono gli individui più

soggetti a contrarre questa malattia. Registrazioni con elettrodi di superficie in

pazienti con crampo dello scrivano hanno mostrato che, durante movimenti

isolati delle dita, l’attività EMG si estende anche a gruppi muscolari non

implicati direttamente nel movimento. Questa anomalia è stata interpretata

come una mancanza di selettività durante i movimenti individuali delle dita

(Cohen et al. 1998).

Tali osservazioni cliniche e neurofisiologiche fanno sorgere il quesito

se i pazienti con distonia della mano abbiano una compromissione

nell’esecuzione di movimenti delle dita.

Il controllo corticale delle dita è un ambito di ricerca scientifica molto

attivo; Schieber (1990) ha recentemente proposto un modello per il controllo

dei movimenti individuali delle dita secondo cui un maggior numero di neuroni

della corteccia motoria primaria è necessario per la generazione di movimenti

indipendenti delle dita. Questo modello inoltre presuppone che tale set di

neuroni includa un subset responsabile dell’esecuzione di movimenti più

rudimentali (apertura e chiusura della mano).

69

Le prove sperimentali raccolte con studi sui potenziali motori (Feve et

al. 1994; Deuschl et al. 1995; Van der Kamp 1995), sul flusso cerebrale

(Ceballos-Baumann et al. 1995; Playford et al. 1998; Ibanez et al. 1999) e sul

periodo silente indotto da TMS, (Currà et al. 2000) depongono a favore di

un’ipoattivazione della corteccia motoria nella distonia. Seguendo il modello di

Schieber (1990), queste osservazioni avvalorano l’ipotesi che i pazienti

distonici presentino una predominante compromissione dell’esecuzione dei

movimenti individuali delle dita.

In questo gruppo di esperimenti abbiamo studiato i movimenti delle dita

nei pazienti distonici. Proponendoci di comprendere se la distonia affligge in

misura maggiore i movimenti individuali rispetto a quelli non individuali,

abbiamo confrontato i parametri cinematici dei movimenti di opposizione

pollice-indice durante attivazioni individuali e non individuali delle dita.

Materiale e metodo Hanno preso parte allo studio nove soggetti normali (8 uomini e una donna; età

media ± deviazione standard 51.7 ± 13.7) e nove pazienti con distonia (8

uomini e una donna; 52.4 ± 14.9 anni). Tutti i soggetti erano destrimani e il

protocollo è stato approvato dal Comitato Etico Locale. Sei pazienti

presentavano una distonia della mano, uno aveva distonia della mano e del

braccio, uno aveva distonia del braccio e della mandibola, l’ultimo, distonia del

braccio e del collo. I pazienti sono stati testati con la Dystonia Movement Scale

of the Fahn-Marsden Evaluation Scale (FMESD)(Weiner et al. 1989) (Tabella

1). Nessun soggetto era impossibilitato per altre ragioni cliniche a muovere

normalmente le dita.

Apparato Per registrare i movimenti nello spazio tridimensionale abbiamo utilizzato

l’ELITE motion system. Il sistema consiste di due telecamere a infrarossi

(100Hz frequenza di campionamento) che rilevano il movimento di marker

passivi nello spazio, e di un sistema TV che ne digitalizza e ricostruisce le

coordinate del movimento. L’elaborazione matematica delle coordinate spaziali

70

del marker in movimento fornisce informazioni sulla traiettoria, lo spostamento

e la velocità, mostrandole in forma grafica in coordinate 3D.

Paradigma Sperimentale I soggetti sedevano comodamente su una sedia di fronte a due telecamere e

avevano un marker fissato sull’ultima falange del dito indice.

I compiti erano due: opposizione individuale delle dita (tapping indice contro

pollice) e opposizione non individuale del pollice contro le altre quattro dita. Il

braccio era tenuto flesso all’altezza del gomito (~90 gradi) e addotto alla spalla

(~20 gradi), con l’avambraccio in posizione intermedia tra pronazione o

supinazione ed il polso in posizione neutra. Durante l’opposizione individuale,

il dito indice (D2) era esteso e le altre tre dita (D3, D4 e D5) erano flesse;

durante il tapping non individuale D2, D3, D4 e D5 erano estese e mosse

simultaneamente. Il movimento doveva essere il più ampio e il più veloce

possibile e il pollice (D1) doveva essere immobile e addotto in modo

massimale.

In un sottogruppo di pazienti e controlli (5 casi) abbiamo applicato un

altro paradigma in cui pollice, medio, anulare e mignolo erano flessi mentre

l’indice era posto al centro di un scatola di alluminio (doppio end-stop). Il

soggetto doveva eseguire il tapping con l’indice all’interno delle due pareti

della scatola. A differenza del primo paradigma sia la flessione sia l’estensione

finivano contro un fermo (end-stop). Prima della registrazione i soggetti

effettuavano un training di circa 5 secondi, poi si procedeva alla registrazione

dei trial (della stessa durata).

Analisi delle variabili cinematiche Abbiamo calcolato il numero di opposizioni effettuate durante ognuno de tre

blocchi di 5 secondi, abbiamo misurato la durata e l’ampiezza di entrambe le

fasi del movimento (flessione ed estensione). Elaborando i dati abbiamo

stabilito l’inizio e la fine di ogni fase usando come soglia una velocità

arbitraria del dito di 50mm/s (Currà et al. 1997). Abbiamo inoltre valutato il

deterioramento della prestazione motoria confrontando l’ampiezza e velocità

delle prime tre e delle ultime tre opposizioni della sequenza di ciascun blocco.

71

Analisi statistica Tutti i dati sono stati espressi come media ± 1 deviazione standard. E’ stata

effettuata un’ANOVA a più vie con fattori di differenza “gruppo” (normali e

pazienti) e “compito” (opposizione individuale e non individuale) e con fattori

di ripetizione “fase” (flessione ed estensione) e blocco (1, 2 e 3).

Per valutare il deteriorarsi del compito motorio abbiamo condotto un’ANOVA

separata con fattori di differenza “gruppo” e “compito” fattori di ripetizione

“fase” e “posizione” (opposizioni precoci e tardive).

Nell’esperimento con doppio end-stop abbiamo applicato un’ANOVA

con i fattori “gruppo” “fase” e “trial”. L’analisi post-hoc è stata effettuata con

il Tukey’s Honest Significant Test. La significatività è stata fissata a p<0.01.

Risultati Tutti i pazienti hanno eseguito correttamente il compito. L’esecuzione motoria

non ha indotto sintomi distonici nei pazienti con distonia della mano (pazienti

da 1 a 6), né ha peggiorato la postura iniziale nei pazienti 7 e 8. La distonia del

braccio è invece leggermente peggiorata nel paziente 9.

L’analisi preliminare dei dati non ha evidenziato effetti per il fattore “blocco”

ad indicare che, in entrambi i gruppi e in entrambi i compiti, il numero di

opposizioni, la durata, l’ampiezza e le pause rimanevano invariate.

Numero delle opposizioni In entrambe le condizioni sperimentali, i pazienti effettuavano un numero

minore di opposizioni rispetto ai sani (opposizioni individuali: pazienti

=12.5±5.1 sani =20.1±3.4; opposizione non individuale: pazienti =13.5±5 sani

=19.0±3.8; F[1,104] per fattore “gruppo” = 59.01 p<0.00001). L’analisi

intragruppo ha mostrato che il numero di opposizioni compiute nei due compiti

era simile.

72

Ampiezza e durata delle fasi di flessione ed estensione Nei due compiti, pazienti e controlli presentavano simile ampiezza

d’estensione e flessione (F[1,104] per fattore gruppo = 1.87 p=0.79). I pazienti

erano sempre più lenti (F[1,104] per fattore gruppo = 32.6 p<0.00001) e, in

entrambi i gruppi, le estensioni erano più lunghe delle flessioni (F[1,104] per

fattore fase = 89.1 p<0.00001). L’estensione era poi sproporzionatamente più

lunga nel compito di opposizione individuale (interazione compito x fase

F[1,104]= 9.5 p<0.003) e questo fenomeno era dovuto ai pazienti (interazione

gruppo x compito x fase F[1,104]= 6.1 p<0.01) (Tabella 2). La bradicinesia

dell’estensione, durante l’opposizione individuale, era simile in due pazienti

con distonia del braccio e della mano (durata media della flessione, 120 ms;

durata media dell’estensione, 182 ms; pazienti 7 e 9 nella tabella 1) come negli

altri pazienti (flessione, 141±71 ms; estensione 222 ±91 ms).

Durata delle pause I pazienti effettuavano pause più lunghe dei soggetti normali (F[1,104]= per

fattore gruppo = 35.5 p<0.00001) e in ambo i gruppi queste erano più lunghe

prima dell’estensione (F[1,104]= per fattore fase = 55.7 p<0.00001).

Nell’opposizione individuale le pause prima dell’estensione erano più lunghe

rispetto a quelle prima della flessione (interazione compito x fase, F[1,104]= 8.3

p<0.006 e questo fenomeno era dovuto principalmente ai pazienti (interazione

gruppo x compito x fase, F[1,104]= 10.22 p<0.002) (Tabella 2).

Deterioramento della prestazione motoria durante l’esecuzione del compito I pazienti erano complessivamente più lenti dei controlli (F[1,32] per fattore

gruppo = 12.9 p<0.00001) e l’estensione era più lunga della flessione (F[1,32]

per fattore fase = 24.4 p<0.00001). L’esecuzione del compito non peggiorava

durante il corso del blocco. Non vi erano cambiamenti nell’ampiezza del

movimento.

73

Opposizioni, durate e pause nel doppio end-stop

Il numero di opposizioni dei pazienti era inferiore rispetto a quello dei sani

(pazienti 11.7 ± 5.0; controlli 16.71 ± 3.7; F[1,28] per fattore gruppo = 8.9

p<0.005) e si muovevano più lentamente (F[1,28] per fattore gruppo = 13.3

p<0.001). In entrambi i gruppi la flessione e l’estensione avevano uguale

durata (F[1,28] per fattore fase = 0.52 p<0.82) (Fig.1) e la pausa antecedente

all’estensione era più breve (F[1,28] per fattore fase = 19.5 p<0.0002) senza

differenza tra gruppi.

Discussione

Il dato più evidente di questi esperimenti è che, nei pazienti con distonia, le

opposizioni individuali delle dita sono più compromesse di quelle non

individuali. I pazienti sono lenti, fanno pause più lunghe, ma non sono

ipometrici né la loro prestazione peggiora con il progredire dell’esecuzione.

Per spiegare i meccanismi della predominante compromissione dei

movimenti individuali abbiamo fatto riferimento ai modelli fisiologici del ruolo

della corteccia motoria nella pianificazione dei movimenti delle dita.

Il modello di Schieber (1990) presuppone che la corteccia motoria sia

più attiva durante i movimenti individuali che durante quelli non individuali.

Tale dato è confermato da ricerche sui primati (Muir et al. 1983), sull’uomo

sano (Datta et al. 1999) e su pazienti con lesioni circoscritte alla corteccia

motoria o al tratto corticospinale in cui vi è una compromissione selettiva dei

movimenti fini delle dita (Lang et al. 2003). La predominante bradicinesia

osservata nei pazienti distonici durante i movimenti individuali delle dita si

inserisce pertanto molto bene nel contesto dell’ipoattivazione delle aree

corticali motorie dimostrata da una serie di studi neurofisiologici in tali

pazienti. I potenziali motori evento-correlati registrati dallo scalpo prima

dell’inizio di un movimento volontario, ad esempio, sono meno ampi nei

pazienti con distonia primaria, secondaria e focale (Feve et al. 1994; Deuschl et

al 1995; Van der Kamp 1995 Ikeda et al. 1992). Gli studi di stimolazione

magnetica transcranica (TMS) hanno dimostrato un accorciamento del periodo

silente svelando una minore eccitabilità degli interneuroni inibitori nella

74

corteccia motoria primaria in pazienti con varie forme di distonia (Currà et al.

2000; Niehaus et al. 2001; Gilio et al. 2003). Ricerche effettuate con la

tomografia ad emissione di positroni hanno mostrato che durante l’esecuzione

di movimenti di tapping e di scrittura in pazienti con distonia focale e

generalizzata, l’attivazione dell’area motoria primaria è ridotta (Ceballos-

Baumann et al. 1995 e 1997; Playford et al. 1998; Ibanez et al. 1999).

Oltretutto i nostri risultati non sono in opposizione alle recenti evidenze di

iperattività della corteccia motora primaria indotta da movimenti distonici

compito-specifici (Pujol et al. 2000; Odergren et al. 1998) poiché solamente

uno dei nove pazienti peggiorava clinicamente durante il compito. Sulla base

del modello di Schieber (1990) possiamo concludere che, poiché l’attivazione

corticale nei distonici è anormale durante il movimento, tali pazienti hanno

difficoltà maggiori nell’eseguire movimenti individuali piuttosto che non

individuali.

Nei soggetti studiati la caratteristica cinematica più spiccata era la fase

di estensione, che si presentava sproporzionatamente più lunga nei pazienti.

Questo dato coincide con le evidenze neurofisiologiche che mostrano come

l’attivazione degli estensori implichi un coinvolgimento corticale maggiore

rispetto ai flessori (Yue et al. 2000; Palmer et al. 1992) e con la maggiore

difficoltà – osservata ad esempio in pazienti parkinsoniani - nell’effettuare

contrazioni isometriche in estensione piuttosto che in flessione (Corcos et al.

1996). Riteniamo pertanto che l’alterazione osservata nei nostri pazienti

durante i compiti individuali e nell’estensione, sia riconducibile all’ipoattività

della corteccia motoria.

Il meccanismo che traduce la ridotta attivazione corticale in una

maggiore difficoltà per i pazienti distonici nell’estendere piuttosto che nel

flettere, non è ancora ben chiaro. I distonici hanno ridotti meccanismi di

inibizione corticale (Berardelli et al. 1998), fenomeno che rende meno selettivi

i loro movimenti e che induce co-contrazione. Riteniamo che la co-contrazione

– sovrapposizione prototipica di burst di muscoli agonisti e antagonisti – abbia

inciso più sulla fase di estensione che di flessione, esacerbando la bradicinesia

durante i movimenti individuali. L’esperimento con il doppio end-stop

supporta questa ipotesi. Quando il movimento studiato finisce contro la doppia

parete della scatola di alluminio, sia la fase di estensione che di flessione

75

avevano una durata simile. Quando, senza il supporto di alluminio, solo la fase

di flessione finiva contro il fermo rappresentato dal pollice, la durata

dell’estensione era maggiore della flessione in entrambi i compiti e in entrambi

i gruppi di soggetti. Questo pattern cinematico probabilmente dipende dal

modo in cui l’end-stop modula l’attività EMG durante i movimenti rapidi. Gli

studi EMG hanno mostrato che i movimenti rapidi che non finiscono contro un

end-stop sono più lenti di quelli bloccati meccanicamente poiché, in questa

condizione, il pattern trifasico degli antagonisti diminuisce in maniera marcata

mentre l’attività agonista aumenta (Water set al. 1981; Marsden et al. 1983;

Pantaleo et al. 1988). Inoltre, durante i movimenti ripetitivi veloci – come

l’opposizione delle dita da noi studiata – l’analisi del pattern trifasico EMG

mostra una tipica attivazione alternante bifasica di agonisti e antagonisti dovuta

alla mancanza del secondo burst dell’agonista (Benecke et al. 1996; Freund et

al. 1986). E’ interessante notare che lo stesso burst che agisce come

antagonista per interrompere il sub-movimento già iniziato verosimilmente

agisce come agonista per imprimere la forza d’impulso per il sub-movimento

successivo nella direzione opposta. Quindi, quando la flessione è fermata

meccanicamente, i muscoli antagonisti sono effettivamente attivati in minor

misura di quanto non siano i flessori durante la fase di estensione. Questo rende

la flessione meno suscettibile di co-contrazione (rispetto all’estensione) e

comporta l’allungamento della fase di estensione.

Nei distonici abbiamo riscontrato anche un allungamento della pausa

prima dell’estensione nei movimenti individuali delle dita. Entrambi i

fenomeni sono fisiologicamente collegati giacché entrambi dipendono

dall’attivazione dei muscoli estensori. Durante la flessione, infatti, i muscoli

estensori agiscono come antagonisti per frenare il movimento, sono meno

attivati a causa della presenza dell’end-stop e quindi richiedono una pausa più

lunga per raccogliere l’attività EMG agonista necessaria per iniziare

l’estensione (Agostino et al. 2003). Anche questa idea è supportata dai risultati

dell’esperimento di doppio end-stop. In questa condizione i pazienti, non solo

riducono la durata dell’estensione ma accorciano pure le pause precedenti

all’estensione (da 90 a 40 ms). Il fatto che la durata delle pause sia strettamente

correlata al pattern EMG durante le opposizioni è confermato

dall’osservazione che, durante l’esecuzione con doppio end-stop, in tutti e due i

76

gruppi la pausa precedente alla flessione si allunga rispetto alla condizione di

singolo end-stop. Infatti, l’end-stop dopo l’estensione ritarda l’attivazione del

muscolo flessore necessaria per produrre la forza impulsiva per la flessione

successiva (Agostino et al. 2003).

La bradicinesia riscontrata nei pazienti distonici ricorda quella già osservata nei

pazienti parkinsoniani in una precedente ricerca che studiava lo stesso compito

motorio (Agostino et al. 2003). Tuttavia vi sono delle significative differenze

neurofisiologiche.

A differenza dei parkinsoniani, i distonici non mostrano ipometria, né

tantomeno la loro prestazione peggiora con il progredire del compito. I

parkinsoniani erano inoltre particolarmente lenti durante la flessione (la fase

del movimento normalmente più veloce) mentre i distonici sono più lenti

durante l’estensione (la fase più soggetta a co-contrazione). Quindi, sebbene la

bradicinesia sia un’anomalia comune ai disordini del movimento derivanti da

alterazioni dei gangli della base, il meccanismo fisiologico che la sottende è

diversificato nelle diverse patologie.

77

Tabella 1. Caratteristiche cliniche dei pazienti

N° Paziente

Età

Durata della malattia (anni)

Tipo di distonia

Livello compromissione del braccio (0-16)

Grado disabilità (0-4) Scrittura Mangiare

Trattamento

1

33

2

Mano

2

1

0

Nessuno

2

77

9

Mano

2

2

0

Tossina botulinica

3

36

2

Mano

1

1

0

Nessuno

4

54

6

Mano

2

2

0

Tossina botulinica

5

61

6

Mano

2

1

0

Tossina botulinica

6

60

7

Mano

2

3

0

Tossina botulinica

7

72

9

Mano, braccio

6

3

2

Tossina botulinica

8

41

12

Mano, mandibola

6

3

1

Tossina botulinica

9

39

15

Mano, braccio, collo

8

2

2

Tossina botulinica, benzodiaz.

78

Tabella 2. Valori cinematici durante le opposizioni individuali e non individuali

Ampiezza

Durata Pausa

Parametri Flessione Estensione Flessione Estensione Flessione Estensione Non individuale

Controlli 62.0±10.9

62.9±11.5 93.0±21.1 129.1±21.5 6.9±5.9 29.2±20.9

Pazienti 62.3±14.0 64.0±13.5 140.2±62.7 164.5±40.8 66.2±66.4 72.5±75.8

Individuale

Controlli

61.8±13.6 62.6±13.7 99.1±26.7 140.9±27.7 8.8±10.0 29.2±22.6

Pazienti

63.6±16.9 62.2±16.9 136.1±65.0 213.3±85.0 50.3±53.6 94.7±67.8

79

Fig. 1 I pazienti erano complessivamente più lenti dei normali, ma le durate di estensione e flessione erano simili in ambo i gruppi. I pazienti avevano inoltre pause più lunghe ed entrambi i gruppi si fermavano più a lungo prima della flessione. (I valori sono espressi in medie più deviazione standard di 0.5)

80

Bibliografia

Agostino R., Berardelli A., Formica A., Accornero N., Manfredi M. Sequential

arm movements in patients with Parkinson's disease, Huntington's disease and

dystonia. Brain 1992; 115: 1481-1495.

Agostino R., Currà A., Giovannelli M., Modugno N., Manfredi M., Berardelli

A. Impairment of individual finger movements in Parkinson's disease. Mov

Disord 2003; 18: 560-565.

Benecke R., Rothwell J.C., Day B.L., Dick J.P.R., Marsden C.D. Motor

strategies involved in the performance of sequential movements. Exp Brain

Res 1986; 63: 585-595.

Berardelli A., Rothwell J.C., Hallett M., Thompson P.D., Manfredi M.,

Marsden C.D. The pathophysiology of primary dystonia. Brain 1998; 121:

1195-1212.

Ceballos-Baumann A.O., Passingham R.E., Warner T., Playford E.D., Marsden

C.D, Brooks D.J. Overactive prefrontal and underactive motor cortical areas in

idiopathic dystonia. Ann Neurol 1995; 37: 363-372.

Ceballos-Baumann A.O., Sheean G., Passingham R.E., Marsden C.D., Brooks

D.J. Botulinum toxin does not reverse the cortical dysfunction associated with

writer's cramp. A PET study. Brain 1997; 120: 571-582.

Cohen G., Hallett M. Hand cramp: clinical features and electromyographic

patterns in a focal dystonia. Neurology 1988; 38: 1005-1012.

Corcos D.M., Chen C.M., Quinn N.P., McAuley J., Rothwell J.C. Strength in

Parkinson's disease: relationship to rate of force generation and clinical status.

Ann Neurol 1996; 39: 79-88.

Currà A., Berardelli A., Agostino R., Modugno M., Conti Puorger C.,

Accornero N., Manfredi M. Performance of sequential arm movements with

and without advance knowledge of motor pathway in Parkinson's disease. Mov

Disord 1997; 12: 646-654.

Currà A., Romaniello A., Berardelli A., Cruccu G., Manfredi M. Shortened

cortical silent period in facial muscles of patients with cranial dystonia.

Neurology 2000; 54: 130-135.

81

Currà A., Berardelli A., Agostino R., Giovannelli M., Koch G., Manfredi M.

Movement cueing and motor execution in patients with dystonia: a kinematic

study. Mov Disord 2000; 15: 103-112.

Datta A.K., Harrison L.M., Stephens J.A. Task-dependent changes in the size

of response to magnetic brain stimulation in human first dorsal interosseous

muscle. J Physiol 1989; 418: 13-23.

Deuschl G., Toro C., Matsumoto J., Hallett M. Movement related cortical

potentials in writer's cramp. Ann Neurol 1995; 38: 837-838.

Feve A., Bathien N., Rondot P. Abnormal movement related potentials in

patients with lesions of basal ganglia and anterior thalamus. J Neurol

Neurosurg Psychiatry 1994; 57: 100-104.

Freund H.J. Time control of hand movements. Prog Brain Res 1986; 64: 287-

294.

Gilio F., Currà A., Inghilleri M., Lorenzano C., Suppa A., Manfredi M.,

Berardelli A. Abnormalities of motor cortex excitability preceding movement

in patients with dystonia. Brain 2003; 126: 1745-1754.

Ibanez V., Sadato N., Karp B., Deiber M.P., Hallett M. Deficient activation of

the motor cortical network in patients with writer's cramp. Neurology 1999; 53:

96-105.

Ikeda A., Luders H.O., Burgess R.C., Shibasaki H. Movement-related

potentials recorded from supplementary motor area and primary motor area.

Role of supplementary motor area in voluntary movements. Brain 1992; 115:

1017-1043.

Inzelberg R., Flash T., Schechtman E., Korczyn R.D. Kinematic properties of

upper limb trajectories in idiopathic torsion dystonia. J Neurol Neurosurg

Psychiatry 1995; 58: 312-319.

Lang C.E., Schieber M.H. Differential impairment of individuated finger

movements in humans after damage to the motor cortex or the corticospinal

tract. J Neurophysiol 2003; 90: 1160-1170.

Marsden C.D., Obeso J.A., Rothwell J.C. The function of the antagonist

muscle during fast limb movements in man. J Physiol 1983; 335: 1-13.

Muir R.B., Lemon R.N. Corticospinal neurones with a special role in precision

grip. Brain Res 1983; 261: 312-316.

82

Niehaus L., von Alt-Stutterheim K., Roricht S., Meyer B.U. Abnormal

postexcitatory and interhemispheric motor cortex inhibition in writer's cramp. J

Neurol 2001; 248: 51-56.

Odergren T., Stone-Elander S., Ingvar M. Cerebral and cerebellar activation in

correlation to the action-induced dystonia in writer's cramp. Mov Disord 1998;

13: 497-508.

Palmer E., Ashby P. Corticospinal projections to upper limb motoneurones in

humans. J Physiol 1992; 448: 397-412

Pantaleo T., Benvenuti F., Bandinelli S., Mencarelli M.A., Baroni A. Effects of

expected perturbations on the velocity control of fast arm abduction

movements. Exp Neurol 1988; 101: 313-326.

Pascual-Leone A. Brain cortical activation during guitar-induced hand dystonia

studied by functional MRI. Neuroimage 2000; 12: 257-267.

Playford E.D., Passingham RE, Marsden CD, Brooks DJ. Increased activation

of frontal areas during arm movement in idiopathic torsion dystonia. Mov

Disord 1998; 13: 309-311.

Poore G.V. Clinical lecture on certain conditions of the hand and arm which

interfere with the performance of professional acts, especially piano-playing.

Br Med J 1887; 1: 441-444.

Pujol J, Roset-Llobet J, Rosines-Cubells D, Deus J, Narberhaus B, Valls-Sole

J, Capdevila A,

Schieber M.H. How might the motor cortex individuate movements? Trends

Neurosci 1990; 13: 440-445.

Tolosa E.S., Marti M.J. Adult-onset idiopathic torsion dystonias. In: Watts RL ,

Koller WC , editors. Movement disorders. New York: McGraw-Hill; 1997. p

429-441.

Van der Kamp W., Berardelli A., Rothwell J.C., Thompson P.D., Day B.L.,

Marsden C.D. Rapid elbow movements in patients with torsion dystonia. J

Neurol Neurosurg Psychiatry. 1989; 52: 1043-1049.

Van der Kamp W., Rothwell J.C., Thompson P.D., Day B.L., Marsden C.D.

The movement-related cortical potential is abnormal in patients with idiopathic

torsion dystonia. Mov Disord 1995; 10: 630-633.

Weiner W.J., Lang A.E. Movement disorders. A comprehensive survey. Mount

Kisco, NY: Futura Publishing Company; 1989. p 688-700.

83

Waters P., Strick P.L. Influence of strategy on muscle activity during ballistic

movements. Brain Res 1981; 207: 189-194.

Yue G.H., Liu J.Z., Siemionow V., Ranganathan V.K., Ng T.C., Sahgal V.

Brain activation during human finger extension and flexion movements. Brain

Res 2000; 856: 291-300.

84

STUDIO DELL’APPRENDIMENTO MOTORIO MEDIANTE

ADDESTRAMENTO BREVE E PROLUNGATO IN

PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI PARKINSON

Ogni giorno gli esseri umani eseguono correttamente e senza alcuno sforzo

apparente un’ampia varietà di movimenti complessi che coinvolgono gli arti

superiori. Una caratteristica distintiva di questi atti motori è quella di consistere

in una sequenza di movimenti singoli mirati, eseguiti senza soluzione di

continuità, in modo relativamente veloce ed accurato dal punto di vista dello

spazio e dello tempo. Trovandosi invece nella condizione di eseguire un

movimento sequenziale ex novo la qualità dell’esecuzione inizialmente è poco

brillante ma, con l’addestramento, migliora sensibilmente.

Il miglioramento della prestazione motoria con l’addestramento –

concetto fondamentale dell’apprendimento motorio – solitamente segue un

percorso temporale in cui il guadagno maggiore in termini di apprendimento

avviene nella prima fase (Colcos et al. 1993; Proctor et al. 1995). Tale

miglioramento può essere il risultato di periodi di allenamento anche

relativamente lunghi (da settimane ad anni) (Gottlieb et al. 1988):

l’addestramento, infatti, introduce cambiamenti plastici nella corteccia motoria

primaria (Karni et al. 1995; 1998) ed attiva specifici circuiti cerebrali. Brevi

periodi di addestramento attivano la corteccia cerebellare, mentre periodi

protratti riducono l’attività cerebellare ed incrementano l’attivazione nei gangli

della base e nei lobi frontali.

Nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, le anomalie funzionali e

strutturali dei gangli della base causano difficoltà nell’esecuzione di movimenti

sequenziali (Berardelli et al. 2001). Per studiare l’apprendimento, in questa

categoria di pazienti, sono stati utilizzati svariati compiti motori: tapping delle

dita (Nutt et al. 2000), inseguimento (Frith et al. 1986; Hufschmidt e al. 1995;

Soliveri et al. 1997) o tracciamento di una mira (Agostino et al. 1996; Swinnen

et al. 2000; Laforce et al. 2001), movimenti rapidi verso una mira fissa

(Smiley-Oyen et al. 2002) e compiti bimanuali (Fattapposta et al. 2000; 2002).

85

I risultati hanno mostrato che i pazienti affetti da Parkinson (da lievi a

moderati) mostrano un apprendimento normale (Agostino et al. 1996; Swinnen

et al. 2000; Laforce et al. 2001) o lievemente alterato (Sarazin et al. 2002;

Smiley-Oven et al. 2002). La maggior parte di questi studi hanno concentrato

l’attenzione sull’addestramento a breve termine: la sessione più lunga durava

infatti solo tre giorni.

Lo studio degli effetti di un allenamento prolungato è stato poco

approfondito nei pazienti parkinsoniani e, di conseguenza, non sono ben chiari

gli eventuali benefici che questa categoria di pazienti potrebbe trarne.

L’obiettivo di questo lavoro è di comprendere se, e in qual misura, un

addestramento prolungato possa migliorare la prestazione motoria in pazienti

con malattia di Parkinson di grado da lieve a moderato. Per far questo abbiamo

sottoposto un gruppo di pazienti e un gruppo di soggetti normali ad un

allenamento di due settimane con l’obiettivo di far eseguire loro un movimento

sequenziale nel modo migliore e più veloce possibile. Abbiamo quindi valutato

la prestazione motoria dopo un periodo di allenamento di un giorno, una

settimana, due settimane e abbiamo comparato le variazioni cinematiche

indotte dall’addestramento a breve termine (un giorno) con quelli indotti

dall’addestramento a lungo termine (una settimana, due settimane).

Materiale e metodo

Nove pazienti in terapia (età media ± 1SD 64.4 ± 6.3; 7 uomini e 2 donne) e 7

soggetti di controllo (età media 62.1 ± 6.6; 5 uomini e 2 donne) hanno dato il

loro consenso informato allo studio. Utilizzando la parte motoria della scala

UPDRS abbiamo valutato le condizioni cliniche dei pazienti durante il loro

usuale regime terapeutico (Tabella 1). Nessun paziente mostrava sintomi

depressivi e coloro che li mostravano (punteggio superiore a 10 nel Beck

Depression Inventory) sono stati scartati. Nessun paziente mostrava segni di

demenza (MMSE), fluttuazioni motorie o discinesie. Tutti i partecipanti

ignoravano il compito e lo hanno esercitato solamente durante le sessioni

sperimentali previste.

86

Apparato

Il movimento nello spazio era registrato mediante il sistema ELITE. Tale

sistema comprende due telecamere ad infrarossi (100Hz frequenza di

campionamento) che registrano il movimento di un marker passivo posizionato

sulla falange distale dell’indice destro. Ad esse è connesso un processore che

digitalizza l’immagine e ricostruisce gli assi x, y, e z del movimento del

marker. I parametri cinematici ottenuti vengono quindi mostrati in forma

grafica.

Compito motorio

Abbiamo studiato l’apprendimento di una sequenza motoria di sei

submovimenti eseguiti a guida interna (per decisione del soggetto), e presentati

visivamente su uno schermo posto nello spazio.

Il soggetto sedeva comodamente di fronte a uno schermo; per ogni

sessione la sedia era sistemata in modo che l’indice lo raggiungesse da vicino

senza toccarlo. La posizione rimaneva inalterata durante tutto lo studio. Il

soggetto eseguiva un percorso verticale a zig-zag tracciando la posizione di sei

target (20 mm di lato) che apparivano sullo schermo (Fig. 1 A). Durante il

compito il braccio era tenuto leggermente piegato all’altezza del gomito, il

polso in posizione neutra e le altre dita flesse. I soggetti dovevano muoversi il

più velocemente possibile eseguendo cinque movimenti e fermandosi

all’interno del target il minimo possibile. Abbiamo inoltre studiato la

ritenzione dell’apprendimento, valutando la prestazione motoria a distanza di 1

e 72 ore dalla fine della sessione di allenamento.

Paradigma Sperimentale

Nella figura 1 (pannelli B e C) è rappresentato il paradigma sperimentale. Lo

studio comprendeva un periodo di due settimane di addestramento durante il

quale il soggetto eseguiva 1000 sequenze motorie distribuite in 5 sessioni

giornaliere a settimana (dal lunedì al venerdì). Ogni sessione consisteva di 10

87

blocchi di allenamento (TB in Fig. 1 riquadri B e C) ognuna delle quali era

costituita da 10 sequenze motorie. I soggetti avevano 20 secondi di pausa tra i

movimenti successivi e circa un minuto fra i blocchi di movimento. Era

consentito di fermarsi non appena accusavano stanchezza. Le istruzioni erano

più volte ripetute durante le sedute.

La prestazione motoria di base era valutata il lunedì prima di iniziare

l’allenamento (T0 in Fig. 1 riquadri B e C). Al fine di valutare l’addestramento

a breve termine al primo lunedì sì è paragonata la prestazione motoria a T0 a

quella registrata entro la prima sessione di allenamento (1°, 5° e 10° blocco) e

5 minuti dopo la fine della sessione di allenamento (T1 in Fig. 1 riquadri B e

C). L’effetto dell’addestramento a lungo termine è stato testato paragonando la

prestazione del primo e del secondo venerdì con quella del primo lunedì.

Abbiamo scelto di studiare l’effetto dell’addestramento 5 minuti dopo il

termine dell’allenamento poiché questo periodo minimizzava il ruolo di fattori

aspecifici come il livello di sforzo o di riscaldamento muscolare che possono

esser presenti nel corso dell’allenamento (Platz et al. 1998).

Per studiare la ritenzione a un’ora abbiamo paragonato la prestazione motoria

registrata un’ora dopo il termine della prima sessione allenamento (T2 in Fig. 1

riquadri B e C) con quella registrata a T1. Per studiare gli effetti

dell’addestramento a breve termine sulla ritenzione a un’ora abbiamo

comparato i dati ottenuti il primo lunedì. Per valutare gli effetti

dell’addestramento a lungo termine sulla ritenzione a un’ora abbiamo ripetuto

la stessa analisi usando i dati raccolti il primo e il secondo venerdì.

Per studiare la ritenzione a 72 ore abbiamo confrontato la prestazione motoria

eseguita dopo 72 ore di allenamento (T3 in Fig. 1 riquadri B e C) con quella a

T1.

Dato il disegno sperimentale la ritenzione a 72 ore era valutabile solo dopo una

settimana di addestramento; era quindi ripetuto dopo due settimane.

Analisi delle variabili cinematiche

Dalle misurazioni off-line abbiamo ricavato la posizione ed il profilo di

velocità di ogni movimento. Abbiamo assunto la soglia di inizio del

movimento ad una velocità di 50 mm/s. La durata totale del movimento era

88

data dalla somma di ogni singolo submovimento della sequenza. Sono state

inoltre misurate le pause tra un movimento e l’altro, l’accuratezza spaziale,

ossia se il movimento era stoppato con precisione al centro del target

(movimento accurato) o fuori (movimento inaccurato). Il movimento era

considerato accurato quando il punto in cui il soggetto si fermava era distante

dal centro non più di 10 mm. Abbiamo quindi calcolato un indice di

accuratezza dividendo il numero totale degli errori di accuratezza in un blocco

per il numero dei movimenti misurati in quel blocco. Il range andava da 0 a 5 e

naturalmente un’accuratezza peggiore era indice di una prestazione più

scadente.

Analisi statistica

I dati sono stati espressi come media e deviazione standard e sottoposti ad

analisi della varianza a due vie con il fattore between “gruppo” (normali e

parkinsoniani) e con fattore di ripetizione “addestramento”. Per testare se la

variabilità del movimento cambiava con l’addestramento abbiamo calcolato il

coefficiente di variazione (CV) della durata totale dei movimenti e la durata

complessiva delle pause per ogni soggetto e blocco di movimenti. Il CV non

poteva essere valutato per l’indice di accuratezza poiché tale indice era

calcolato come valore singolo per blocco. Il CV è il rapporto fra la deviazione

standard e la media e tiene conto delle modificazioni della variabilità in

funzione delle modificazioni della media.

Risultati

Prestazione motoria di base

L’ANOVA non ha mostrato nessun effetto principale del fattore gruppo sulla

durata del movimento (F1,14 = 0.4, p = 0.5), sulla durata della pausa (F1,14 =

0.1, p = 0.7), o sull’indice di inaccuratezza (F1,14 = 1.0, p = 0.3).

89

Modificazioni delle variabili cinematiche dopo addestramento a breve

termine

Durante i blocchi test, in entrambi i gruppi, la durata totale di movimento e le

pause erano simili mentre l’indice d’inaccuratezza era maggiore nei pazienti

rispetto ai sani (F1,14 per il fattore gruppo = 5.1; p=0.05; Fig. 2). Non appena

completato l’addestramento del primo giorno (da T0 a T1) in entrambi i gruppi

tutte e tre le variabili mostravano un decremento simile (fattore addestramento,

durata totale del movimento: F4,56 = 7.6, p = 0.0001; durata totale delle pause

F4,56 = 14.7, p = 0.0001; indice di in accuratezza F4,56 =2.6, p = 0.05).

In tutti e due i gruppi il corso temporale del CV per la durata complessiva del

movimento era sovrapponibile a quello per il valore della durata del

movimento stesso (F4,56 fattore addestramento = 4.4; p=0.003).

Nei pazienti il CV diminuiva da 0.085 ± 0.05 al T0 fino 0.070 ± 0.02 a T1 il

primo lunedì.

Nei controlli il CV diminuiva da 0.088 ± 0.04 at T0 to 0.055 ± 0.01 a T1 il

primo lunedì.

Il valore di CV, per la durata complessiva delle pause, rimaneva invariato dopo

l’ addestramento a breve termine in ambo i gruppi. (pazienti 0.46 ± 0.2 al T0,

0.37 ± 0.19 a T1 il primo lunedì; controlli 0.31 ± 0.1 a T0, 0.30 ± 0.13 a T1 il

primo lunedì).

Modificazioni delle variabili cinematiche dopo addestramento prolungato

Durante i blocchi test, in entrambi i gruppi, la durata totale di movimento e le

pause erano simili mentre l’indice d’inaccuratezza era maggiore nei pazienti

rispetto ai sani (F1,14 = 3.9; p = 0.06; Fig. 3).

Dopo le due settimane di addestramento il paragone effettuato tra i dati raccolti

a T1 il primo lunedì e quelli raccolti a T1 il primo e d il secondo venerdì

mostrano che, in ambo i gruppi, la durata totale delle pause e del movimento

diminuiscono (durata totale del movimento: F2,28 = 6.0, p=0.007; durata totale

delle pause: F2,28= 3.5, p = 0.05), mentre l’indice di inaccuratezza resta

invariato. La durata del movimento diminuisce in modo più incisivo nei sani,

90

rispetto ai parkinsoniani (interazione gruppo x addestramento F2,28 = 3.3, p =

0.05).

Le differenze tra i gruppi nella durata del movimento diventano significative

solo dopo un periodo di addestramento di due settimane (al secondo venerdì

p=0.01). Anche la differenza tra i gruppi nella durata delle pause raggiungeva

quasi la significatività (interazione gruppo x addestramento F2,28 = 3.0, p =

0.06).

Effetti dell’addestramento sulla ritenzione ad un’ora

L’ANOVA sui dati a T1 e T2 registrati il primo lunedì ed il primo e il secondo

venerdì mostrano un effetto significativo del fattore addestramento sulla durata

totale del movimento (F2,28=5.3, p=0.01) e sulla durata totale della pausa

(F2,28=3.5, p=0.04) ed un effetto del fattore gruppo sull’indice d’inaccuratezza

che raggiungeva quasi la significatività (F1,14 = 4.3, p = 0.06).

Inoltre l’interazione gruppo-addestramento era quasi significativa per la durata

totale del movimento (F2,28=3.3, p = 0.054) e della pausa (F2,28=2.6, p=

0.09). Questi dati mostrano che i pazienti erano molto meno accurati dei

controlli, che miglioravano in misura minore ma che mantenevano

l’apprendimento per un’ora come i normali (Tabella 2).

Effetti dell’addestramento sulla ritenzione a 72 ore

L’ANOVA a T1 e T3 dopo la prima e la seconda settimana ha mostrato un

effetto del fattore addestramento sulla durata del movimento quasi significativo

(F1,12=3.8, p= 0.07), mentre era significativo per le pause (F2,28=8.0,

p=0.01). L’effetto del fattore gruppo non raggiungeva di poco la significatività

sull’indice di inaccuratezza (F1,12=3.2, p=0.09).

Questi dati mostrano che i pazienti erano più inaccurati dei controlli, che

tuttavia miglioravano nella durata totale di movimento e pausa e che

mantenevano l’apprendimento sino a 72 ore in modo normale (Tabella 2).

91

Discussione

I nostri dati hanno dimostrato che l’addestramento migliora la prestazione

motoria dei pazienti affetti da malattia di Parkinson di grado da lieve a

moderato. Dopo essersi allenati per un solo giorno, i pazienti raggiungevano

livelli di prestazione simili ai controlli, ma dopo un allenamento di due

settimane mostravano un beneficio minore rispetto ai sani.

Il fatto che essi diventino più accurati dopo l’addestramento breve per

rimanere poi stabili dopo un addestramento prolungato, suggerisce che il

miglioramento indotto dall’addestramento non dipende dallo speed-accuracy

trade off, cioè l’aumento di velocità a scapito dell’accuratezza (Proctor et al.

1995; Fitts et al. 1954) ma da un vero effetto di apprendimento. In altre parole,

i pazienti avrebbero acquisito una nuova strategia d’esecuzione del compito

che li rende più veloci nell’esecuzione senza essere inaccurati.

Per comprendere i nostri dati, è necessario analizzare alcune

caratteristiche relative alla prestazione motoria per se. Sebbene i pazienti PD

siano tipicamente bradicinetici (Smyley-Oyen et al. 2002; Currà et al. 1997;

Benecke et al. 1987; 1987a; Agostino et al. 1992), sino alla metà del nostro

studio essi mostravano una velocità di movimento analoga a quella dei

controlli.

Questo si spiega innanzitutto perché i nostri pazienti erano sottoposti a

terapia, e il trattamento dopaminergico velocizza l’esecuzione della sequenza

motoria (Benecke et al. 1987).

In secondo luogo, a differenza di studi precedenti in cui i soggetti

dovevano muoversi il più velocemente possibile (Currà et al. 1997; Benecke et

al. 1987; 1987a; Agostino et al. 1992), abbiamo chiesto ai soggetti di muoversi

il più velocemente e accuratamente possibile mirando verso target piccoli.

Questi accorgimenti hanno contenuto il rischio che i pazienti fossero

bradicinetici a T0.

Nonostante nei pazienti bradicinetici sia difficile distinguere

correttamente tra la lentezza del movimento legata alla malattia e il deficit di

apprendimento motorio (come l’annoso problema dell’uovo e la gallina), i

nostri dati suggeriscono che essi velocizzano i movimenti in misura inferiore ai

controlli perché beneficiano meno dell’addestramento prolungato. Non è

92

tuttavia ancora chiaro perché l’addestramento prolungato non favorisca in

modo consistente l’apprendimento. Una prima ipotesi potrebbe essere che,

eseguire movimenti in modo più veloce, avrebbe fatto emergere la bradicinesia

poiché i pazienti non sarebbero stati più in grado di incrementare in modo

congruo la velocità del movimento. Tuttavia questa ipotesi non pare fondata in

quanto 1) sebbene bradicinetici, i nostri pazienti, dopo due settimane di

allenamento, si muovevano comunque più rapidamente rispetto all’inizio 2) il

fatto che i parkinsoniani non abbiano un’incapacità intrinseca di aumentare la

velocità del movimento è anche supportato dal fatto che, quando compiono

movimenti ampi o contro un carico (Berardelli et al. 1986) o guidati da stimoli

esterni (Georgiou et al. 1993), la velocità d’esecuzione aumenta fino a

normalizzarsi.

La fatica e la perdita di motivazione sono fattori che potrebbero influenzare

l’apprendimento motorio (Proctor et al. 1995), e purtroppo sono caratteristiche

tipiche della malattia di Parkinson (in alcuni stadi) e spesso correlate a sintomi

depressivi (Karlsen et al. 1999; Friedman et al. 2001; Lou et al. 2001;

Czernecki et al. 2002). Per evitare che tali fattori influenzassero la prestazione

dei nostri soggetti abbiamo selezionato pazienti non depressi, non dementi e li

abbiamo testati in regime terapeutico dopaminergico (i cui benefici sull’umore

e sul movimento sono ben noti) (Czernecki et al. 2002).

Un altro fattore decisivo nell’apprendimento motorio è il feedback di

informazioni durante e dopo la prestazione motoria: esso è propriocettivo e

visivo (intrinseco), ed estrinseco, ossia relativo alla conoscenza di ciò che si sta

eseguendo durante il movimento. Sebbene l’apprendimento motorio possa aver

luogo in modo implicito (Proctor et al. 1995) esso è favorito dalla conoscenza

dei risultati conseguiti (apprendimento esplicito) ricevuti in forma verbale o

non verbale durante i movimenti successivi. Dal momento che le prove

sperimentali concordano sul fatto che i parkinsoniani fanno particolare

affidamento sulla conoscenza dei risultati per migliorare la loro prestazione

motoria durante l’addestramento (Guadagnoli et al. 2002), le differenze nella

prestazione tra pazienti e controlli potrebbero esser dovute, almeno in parte,

alla mancata conoscenza di risultati durante l’allenamento. Tuttavia, se i nostri

pazienti fossero stati vincolati a queste conoscenze, essi non avrebbero

93

migliorato la loro prestazione come i soggetti normali dopo il primo giorno e la

prima settimana di addestramento.

L’apprendimento motorio consente il passaggio da strategie controllate

a strategie automatiche al fine di eseguire azioni con un carico attentivo sempre

minore (Soliveri et al. 1992). Marsden e Obeso (1994) hanno proposto un

modello secondo cui i gangli della base – ed in particolare i circuiti motori –

giocano un ruolo fondamentale nell’esecuzione delle sequenze motorie. Uno

studio effettuato con la tomografia ad emissione di positroni durante una

prestazione motoria che ha raggiunto un livello asintotico (dopo cinque giorni

di addestramento) (Penhune and Doyon 2002) ha mostrato l’attivazione di

gangli della base e della corteccia frontale. Dal primo al quinto giorno di

addestramento l’attivazione cerebellare precoce diminuiva e veniva

gradualmente sostituita dall’attivazione dei gangli della base. Riteniamo

pertanto che sia la disfunzione dei gangli della base a non consentire ai nostri

pazienti di beneficiare dell’allenamento a lungo termine.

Accanto al miglioramento nella prestazione e alla ritenzione della

sequenza nel tempo, un comportamento motorio appreso diviene sempre meno

variabile man mano che l’addestramento prosegue (Corcos et al. 1993). In

questo lavoro, sia nei sani sia nei pazienti, la durata totale delle pause e del

movimento si accorciava con l’addestramento, ma la variabilità diminuiva solo

per la durata del movimento. Dopo addestramento a breve termine la durata

totale delle pause era inaspettatamente – ma non significativamente – più breve

nei pazienti rispetto ai controlli. Ciò potrebbe essere in rapporto col fatto che i

normali tendono a focalizzarsi più sull’accuratezza, inizialmente, e poi sulla

velocità, spiegando così il significativo miglioramento nella durata totale dopo

l’addestramento prolungata. D’altra parte i nostri dati mostrano che

l’addestramento migliora più la capacità di muovere il braccio verso un target

che l’abilità di passare da un movimento all’altro. La dissociazione tra il corso

temporale delle modificazioni della variabilità per il tempo di movimento e di

pausa è un’ulteriore prova del fatto che queste variabili cinematiche siano

sottese da diversi processi cerebrali (Benecke et al. 1986).

L’analisi dei dati ha mostrato un effetto principale del fattore gruppo

sull’indice di inaccuratezza. Ciò sta ad indicare che i pazienti erano di poco più

94

inaccurati dei controlli e, cosa più importante, che l’addestramento non è

importante nel determinare questo dato. La lieve differenza tra i gruppi

nell’inaccuratezza del movimento è coerente con l’osservazione che i pazienti

parkinsoniani sono meno precisi quando mirano verso target piccoli (Sanes et

al. 1985).

Un altro dato distintivo di questo lavoro è che i pazienti ritenevano

normalmente benefici indotti dall’allenamento. La ritenzione infatti riflette il

mantenimento del miglioramento cinematico dopo il termine dell’allenamento.

Studi precedenti hanno mostrato che i soggetti normali ritengono

l’apprendimento di un compito sequenziale da 4 settimane (Penhune et al.

2002) sino a 12 e 16 mesi (Karni et al. 1998; Hikosaka et al. 2002). Nei nostri

esperimenti – a differenza degli studi precedenti – abbiamo ritestato i soggetti a

brevi intervalli: 1 e 72 ore dopo la fine del allenamento. Le caratteristiche del

movimento potrebbero essere codificate in una rappresentazione motoria

immagazzinata nel network neurale delle aree motorie corticali (area motoria,

premotoria e corteccia parietale) (Penhune et al. 2002). Pazienti parkinsoniani

sottoposti a fMRI durante il movimento mostrano un’iperattività di queste aree:

questi circuiti sarebbero attivati in modo abnorme, forse per compensare

l’ipofunzionalità dei gangli della base (e dunque la bradicinesia) (Sabatini et al.

2000).

Per concludere è possibile affermare che, sottoporre ad un pazienti con

malattia di Parkinson di grado intermedio ed in regime terapeutico usuale a

periodi prolungati di addestramento motorio non fornisce loro benefici

significativi sulla bradicinesia. Costoro si avvantaggiano in modo normale di

un addestramento breve raggiungendo un livello asintotico di prestazione dopo

la prima settimana di allenamento. Al contrario, i sani continuano a migliorare

anche dopo due settimane. Il compito motorio da noi considerato non è

assimilabile ai compiti usati in riabilitazione (come il camminare o il girarsi).

Ad ogni modo, alla luce dei dati ottenuti, il nostro studio aiuta a progettare

nuove strategie di riabilitazione per tamponare la bradicinesia (Swinnen et al.

2002; Platz et al. 1998): la durata dell’allenamento potrebbe essere ottimizzata

insegnando più compiti per periodi più brevi invece di pochi compiti per

periodi più lunghi. Tale strategia potrebbe incoraggiare l’attivazione di

95

meccanismi attenzionali efficaci rilevanti nella riabilitazione del paziente

parkinsoniano (Iansek et al. 1999).

96

Num.

Paziente

Sesso

Età

Anni di

malattia

UPDRS-

III

Terapia

1

M

63

8

17

Levodopa-carbidopa-pergolide

2 M 60 6 8 Levodopa-carbidopa-

bromocriptine-selegiline

3 F 66 2 11 Levodopa-benserazide-pergolide

4 M 58 12 16 Pramipexole-pergolide-levodopa-

carbidopa

5 M 55 6 20 Levodopa-benserazide-ropinirole-

cabergoline

6 M 71 12 14 Levodopa-carbidopa-pramipexole-

biperiden

7 M 65 6 20 Levodopa-carbidopa-ropinirole

cabergoline-biperiden

8 M 67 8 14 Levodopa-carbidopa-methil-

levodopa-entacapone-cabergoline-

pramipexole

9 F 75 8 18 Levodopa-benserazide- ropinirole

Tabella 1. Caratteristiche cliniche dei pazienti affetti da Malattia di Parkinson.

Variabili

Gruppi

T2

T3

1° Lun 1° Ven 2° Ven 2° Lun 3° Lun

DTM N 2709.7±351.4 2622.3±382.4 2310.4±358.3 2590.2±241.5 2384.0±246.6

P 2747.1±750.5 2699.0±634.9 2703.6±639.2 2719.9±725.5 2497.1±394.3

DTP N 786.6±638.1 605.6±374.1 464.6±371.0 689.2±515.1 532.5±365.9

P 398.1±176.7 495.6±385.4 394.7±276.2 499.1±256.8 408.4±344.2

I-Index N 1.4±0.6 1.0±0.4 1.1±0.6 1.3±0.6 1.2±0.5

P 2.4±0.8 1.8±1.0 1.1±0.6 1.3±0.6 1.2±0.5

Tabella 2. Apprendimento dopo una e 72 ore dalla fine della addestramento

97

Fig. 1 Disegno sperimentale. A: I sei target così come erano mostrati sullo schermo. B: Disegno generale dello studio. C: Procedura sperimentale lungo le due settimane. T0 è la performance di base. TB indica i 10 blocchi training. T1 indica il blocco d’apprendimento effettuato 5 minuti dopo l’allenamento. T2 e T3 indicano i blocchi di ritenzione (1 e 72 ore dopo l’allenamento). Le frecce su B indicano che i movimenti per quei blocchi di allenamento venivano registrati per testare la pratica a breve termine solo il primo giorno.

98

Fig. 2 Decorso temporale delle variabili cinematiche dopo la pratica a breve termine. T0, B1, B5 e B10 rappresentano i blocchi di allenamento, T1 il blocco d’apprendimento registrato 5 minuti dopo l’allenamento.

99

Fig. 3 Decorso temporale delle variabili cinematiche dopo la pratica prolungata : T1 1° Lun è il blocco di apprendimento registrato dopo 5 minuti di allentamento il primo lunedì; T1 1° Ven e T1 2° Ven sono i blocchi di di apprendimento registrati dopo 5 minuti di allenamento il primo e il secondo venerdì.

100

Bibliografia

Agostino R., Berardelli A., Formica A., Accornero N., Manfredi M.

Sequential arm movements in patients with Parkinson’ s disease,

Huntington’s disease and dystonia. Brain 1992; 115:1481-1495.

Agostino R., Sanes J.N., Hallett M. Motor skill learning in Parkinson’s

disease. J Neurol Sci 1996; 139:218-226.

Benecke R., Rothwell J.C., Dick J.P., Day B.L., Marsden C.D. Disturbance

of sequential movements in patients with Parkinson’s disease. Brain 1987;

110:361-379.

Benecke R., Rothwell J.C., Dick J.P., Day B.L., Marsden C.D. Simple and

complex movements off and on treatment in patients with Parkinson’s

disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1987; 50:296-303.

Berardelli A., Dick J.P.R., Rothwell J.C., Day B.L., Marsden C.D. Scaling

of the size of the first agonist EMG burst during rapid wrist movements in

patients with Parkinson's disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1986; 49:

1273-79.

Berardelli A., Rothwell J.C., Thompson P.D., Hallett M. Pathophysiology

of bradykinesia in Parkinson’s disease. Brain 2001;124:2131-2146.

Corcos D.M., Jaric S., Agarwal G.C., Gottlieb G.L. Principles for learning

single-joint movements I. Enhanced prestazione by practise. Exp Brain Res

1993; 94:499-513.

Currà A., Berardelli B., Agostino R., Modugno N., Conti Puorger C.,

Accornero N., Manfredi M. Prestazione of sequential arm movement with

and without advance knowledge of motor pathways in Parkinson’s disease.

Mov Disord 1997; 12:646-654.

Currà A., Berardelli B., Agostino R., Giovannelli M., Koch G., Manfredi

M. Movement cueing and motor execution in patients with dystonia: a

kinematic study. Mov Disord 2000; 15:103-112.

Czernecki V., Pillon B., Houeto J.L., Pochon J.B., Levy R., Dubois B.

Motivation, reward, and Parkinson’s disease. Neuropsychologia 2002;

40:2257-2267.

Fattapposta F., Pierelli F., Traversa G., F My, Mostarda M., D’Alessio C.,

Soldati G., Osborn J., Amabile G. Preprogramming and control activity of

101

bimanual self-paced motor compito in Parkinson’s disease. Clin

Neurophysiol 2000; 111:873-883.

Fattapposta F., Pierelli F., F My, Mostarda M., Del Monte S., Parisi L.,

Serrao M., Morocutti A., Amabile G. L-dopa effects on preprogramming

and control activity in a skilled motor act in Parkinson’s disease. Clin

Neurophysiol 2002; 113:243-253.

Fitts P.M. The information capacity of the human motor system in

controlling the amplitude of the movement. J Exp Psychol 1954 ; 47 :381-

391.

Friedman J.H., Friedman H. Fatigue in patients with Parkinsons’s disease: a

nine-year follow-up. Mov Disord 2001; 16:1120-1122.

Frith C.D., Bloxham C.A., Carpenter K.N. Impairments in the learning and

prestazione of a new manual skill in patients with Parkinson’s disease. J

Neurol Neurosurg Psychiatry 1986; 49:661-668.

Georgiou N., Iansek R., Bradshaw J.L., Phillips J.G., Mattingley J.B.,

Bradshaw J.A. An evaluation of the role of internal cues in the

pathogenesis of parkinsonian hypokinesia. Brain 1993; 116:1575-1587.

Gottlieb G.L., Corcos D.M., Jaric S., Agarwal G.C. Practise improves even

the simplest movements. Exp Brain Res 1988; 73:436-440.

Guadagnoli M.A., Leis B., Van Gemmert A.W., Stelmach G.E. The

relationship between knowledge of results and motor learning in

parkinsonian patients. Parkinsonism Relat Disord 2002; 9:89-95.

Harrington D.L., Haaland K.Y., Yeo R.A., Marder E. Procedural memory

in Parkinson’s disease: impaired motor but not visuoperceptual learning. J

Clin Exp Neuropsychol 1990; 12:323-329.

Heindel W.C., Salmon D.P., Shults C.W., Walicke P.A. Butters N.

Neuropsychological evidence for multiple implicit memory systems: a

comparison of Alzheimer’s, Huntington’s, and Parkinson’s disease. J

Neurosci 1989; 9:582-587.

Hikosaka O., Rand M.K., Nakamura K., Miyachi S., Kitaguchi K., Sakai

K., Lu X., Shimo Y. Long-term retention of motor skill in macaque

monkeys and humans. Exp Brain Res 2002; 147:494-504.

Hufschmidt A., Lucking C.H. Abnormalities of tracking behavior in

Parkinson’s disease. Mov Disord 1995; 10:267-276.

102

Iansek R. Interdisciplinary rehabilitation in Parkinson's disease. Adv

Neurol. 1999; 80:555-9

Karlsen K., Larsen J.P., Tandberg E., Jorgensen K. Fatigue in patients with

Parkinsons’s disease. Mov Disord 1999; 14:237-241.

Karni A., Meyer G., Jezzard P., Adams M.M., Turner R., Ungerleider L.G.

Functional MRI evidence for adult motor cortex plasticity during motor

skill learning. Nature 1995; 377: 155-158.

Karni A., Meyer G., Rey-Hipolito C., Jezzard P., Adams M.M., Turner R.,

Ungerleider L.G. The acquisition of skilled motor prestazione: fast and

slow experience-driven changes in primary motor cortex. Proc Natl Acad

Sci USA 1998; 95:861-868.

Laforce R., Doyon J. Distinct contribution of the striatum and cerebellum

to motor learning. Brain Cogn 2001; 45:189-211.

Lou J.S., Kearns G., Oken B., Sexton G., Nutt J. Exacerbated physical

fatigue and mental fatigue in Parkinson’s disease. Mov Disord 2001;

16:190-196.

Marsden C.D., Obeso J.A. The functions of the basal ganglia and the

paradox of stereotaxic surgery in Parkinson’s disease. Brain 1994; 117;

877-897.

Nutt J.G., Lea E.S., Van Houten L., Schuff R.A., Sexton G.J. Determinants

of tapping speed in normal control subjects and subjects with Parkinson’s

disease: differing effects of brief and continued practise. Mov Disord 2000;

15:843-849.

Penhune V.B., Doyon J. Dynamic cortical and subcortical networks in

learning and delayed recall of timed motor sequences. J Neurosci 2002;

22:1397-1406.

Platz T., Brown R.G., Marsden C.D. Allenamento improves the speed of

aimed movements in Parkinson’s disease. Brain 1998; 121:505-514.

Proctor R.W. and Dutta A. Skill acquisition and human prestazione. Sage

Publications, Thousand Oaks, California, USA, 1995.

Sabatini U., Boulanouar K., Fabre N., Martin F., Carel C., Colonnese C.,

Bozzao Berry L.,, Montastruc J.L., Chollet F., Rascol O. Cortical motor

reorganization in akinetic patients with Parkinson's disease: a functional

MRI study. Brain 2000; 123:394-403

103

Sanes J.N. Information processing deficits in Parkinson’s disease during

movement. Neuropsychologia 1985; 23:381-392.

Sarazin M., Deweer B., Merkl A., Von Poser N., Pillon B., Dubois B.

Procedural learning and striatofrontal dysfunction in Parkinson’s disease.

Mov Disors 2002; 17:265-273.

Smiley-Oyen A., Worringham C.J., Cross C.L. Practise effects in three-

dimensional sequential rapid aiming in Parkinson’s disease. Mov Disord

2002;17:1196-1204.

Soliveri P., Brown R.G., Jahanshahi M., Marsden C.D. Effect of practise on

prestazione of skilled motor compito in patients with Parkinson’s disease. J

Neurol Neurosurg Psychiatry 1992; 55:454-460.

Soliveri P., Brown R.G., Jahanshahi M., Caraceni T., Marsden C.D.

Learning manual pursuit tracking skills in patients with Parkinson’s

disease. Brain 1997; 120:1325-1337.

Swinnen S.P., Steyvers M., Van Den Bergh L., Stelmach G.E. Motor

learning and Parkinson’s disease: refinement of within-limb and between-

limb coordination as a result of practise. Behav Brain Res 2000; 11:45-59.