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3S TASC II Documento di Consenso InterSocietario TransAtlantico per il trattamento dell’arteriopatia periferica Editors LARS NORGREN, WILLIAM R. HIATT Associate Editors JOHN A. DORMANDY , MARK R. NEHLER Contributing Editors KENNETH A. HARRIS E F. GERRY , R. FOWKES Consulting Editor ROBERT B. RUTHERFORD Realizzato in collaborazione con il Working Group TASC II Le seguenti Società hanno partecipato al Working Group TASC II e all’elaborazione delle linee guida attraverso la partecipazione di loro rappresentanti: MARK A. CREAGER, rappresentante American College of Cardiology PETER SHEEHAN, rappresentante American Diabetes Association JOSEPH M. CAPORUSSO, rappresentante American Podiatric Medical Association KENNETH A. HARRIS, rappresentante Canadian Society for Vascular Surgery JOHANNES LAMMER, MARC SAPOVAL, rappresentanti Cardiovascular and Interventional Radiology Society of Europe DENIS CLEMENT, rappresentante CoCaLis Collaboration HENRIK SILLESEN, CHRISTOS LIAPIS, rappresentanti European Society for Vascular Surgery NICHOLAAS C. SCHAPER, rappresentante International Diabetes Federation SALVATORE NOVO, rappresentante International Union of Angiology KEVIN BELL, rappresentante Interventional Radiology Society of Australasia HIROSHI SHIGEMATSU, KIMIHIRO KOMORI, rappresentanti Japanese College of Angiology CHRISTOPHER WHITE, KENNETH ROSENFIELD, rappresentanti Society for Cardiovascular Angiography and Intervention JOHN WHITE, rappresentante Society for Vascular Surgery MAHMOOD RAZAVI, rappresentante Society of Interventional Radiology MICHAEL R. J AFF, rappresentante Society for Vascular Medicine and Biology JOHN V. ROBBS, rappresentante Vascular Society of Southern Africa Ulteriori contributi alle linee guida ISABELLE DURAND-ZALESKI, per i consigli di economia sanitaria EMILE MOHLER, rappresentante American College of Physicians Traduzione italiana a cura di Salvatore Novo, Giuseppina Novo, Concetta Mattina, Maria Cristina Mulè, Valentina Pitruzzella. (G Ital Cardiol 2007; 8 (Suppl 2-12): 3S-71S)

TASC II Documento di Consenso InterSocietario ... · Introduzione Il Documento di Consenso InterSocietario TransAtlan-tico (TASC) sul trattamento dell’arteriopatia periferica è

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TASC IIDocumento di Consenso InterSocietarioTransAtlantico per il trattamentodell’arteriopatia perifericaEditorsLARS NORGREN, WILLIAM R. HIATT

Associate EditorsJOHN A. DORMANDY, MARK R. NEHLER

Contributing EditorsKENNETH A. HARRIS E F. GERRY, R. FOWKES

Consulting EditorROBERT B. RUTHERFORD

Realizzato in collaborazione con il Working Group TASC II

Le seguenti Società hanno partecipato al Working Group TASC II e all’elaborazione dellelinee guida attraverso la partecipazione di loro rappresentanti:MARK A. CREAGER, rappresentante American College of CardiologyPETER SHEEHAN, rappresentante American Diabetes AssociationJOSEPH M. CAPORUSSO, rappresentante American Podiatric Medical AssociationKENNETH A. HARRIS, rappresentante Canadian Society for Vascular SurgeryJOHANNES LAMMER, MARC SAPOVAL, rappresentanti Cardiovascular and InterventionalRadiology Society of EuropeDENIS CLEMENT, rappresentante CoCaLis CollaborationHENRIK SILLESEN, CHRISTOS LIAPIS, rappresentanti European Society for Vascular SurgeryNICHOLAAS C. SCHAPER, rappresentante International Diabetes FederationSALVATORE NOVO, rappresentante International Union of AngiologyKEVIN BELL, rappresentante Interventional Radiology Society of AustralasiaHIROSHI SHIGEMATSU, KIMIHIRO KOMORI, rappresentanti Japanese College of AngiologyCHRISTOPHER WHITE, KENNETH ROSENFIELD, rappresentanti Society for CardiovascularAngiography and InterventionJOHN WHITE, rappresentante Society for Vascular SurgeryMAHMOOD RAZAVI, rappresentante Society of Interventional RadiologyMICHAEL R. JAFF, rappresentante Society for Vascular Medicine and BiologyJOHN V. ROBBS, rappresentante Vascular Society of Southern Africa

Ulteriori contributi alle linee guidaISABELLE DURAND-ZALESKI, per i consigli di economia sanitariaEMILE MOHLER, rappresentante American College of Physicians

Traduzione italiana a cura di Salvatore Novo, Giuseppina Novo, Concetta Mattina,Maria Cristina Mulè, Valentina Pitruzzella.

(G Ital Cardiol 2007; 8 (Suppl 2-12): 3S-71S)

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Introduzione

Il Documento di Consenso InterSocietario TransAtlan-tico (TASC) sul trattamento dell’arteriopatia perifericaè stato pubblicato nel gennaio 20001-3 come risultatodella cooperazione tra 14 società mediche e chirurgiche(chirurgia vascolare, cardiochirurgia, radiologia vasco-lare e cardiovascolare) in Europa e nel Nord America.Questo esauriente documento ha avuto un impatto im-portante tra gli specialisti della terapia vascolare. Neglianni successivi, l’argomento è stato approfondito con lapubblicazione del documento CoCaLis4 e delle lineeguida dell’American College of Cardiology/AmericanHeart Association (ACC/AHA) sul trattamento dell’ar-teriopatia periferica (AOP)5. Intendendo continuare arivolgersi a specialisti vascolari, ma anche a medici dimedicina generale che vedono pazienti con AOP, la ste-sura di un altro Documento di Consenso è stata avviatanel 2004. Questo nuovo documento di consenso è statosviluppato con una più ampia rappresentanza interna-zionale, includendo Europa, Nord America, Asia, Afri-ca e Australia, e con una maggiore diffusione delleinformazioni. Obiettivi di questo nuovo consenso sonodi fornire un documento abbreviato (rispetto alla pub-blicazione del 2000), per concentrarsi su aspetti chiavedella diagnosi e della terapia, e di aggiornare le infor-mazioni sulla base di nuove pubblicazioni e di più nuo-ve linee guida, e non per aggiungere un ampio elenco diriferimenti bibliografici. Le dichiarazioni non referen-ziate possono essere riportate a condizione che sianoconsolidate nella pratica clinica quotidiana. Le racco-mandazioni sono classificate in base ai livelli di evi-denza. Dovrebbe essere sottolineato che la buona prati-ca clinica si basa su una combinazione di prove scien-tifiche descritte di seguito, preferenze dei pazienti esulla disponibilità di strutture locali e di professionisti.La buona pratica comprende il riferimento a uno spe-cialista appropriato.

Sviluppo I rappresentanti di 16 società provenienti da Europa,Nord America, Australia, Sud Africa e Giappone sonostati eletti dalle rispettive società e sono stati chiamatiinsieme nel 2004 per formare il nuovo gruppo di lavo-ro. Specialisti in economia sanitaria, nel mantenimentodella salute e nella medicina basata sulle evidenze sonostati convocati per elaborare sul documento le seguentisezioni: storia, epidemiologia e fattori di rischio; ge-

stione dei fattori di rischio; claudicatio intermittens(CI); ischemia critica degli arti (CLI); ischemia acutadegli arti (ALI); e tecnologie (interventi, rivascolariz-zazione e imaging).

Il gruppo di lavoro ha esaminato la letteratura e, do-po un’ampia corrispondenza e riunioni, ha propostouna serie di progetti con chiare raccomandazioni per ladiagnosi e il trattamento dell’AOP. Ogni società parte-cipante ha rivisto e commentato le proposte del Docu-mento di Consenso, il membro rappresentativo di ognisocietà ha riportato queste opinioni all’attenzione delWorking Group, in tale sede sono stati discussi tutti gliemendamenti, le aggiunte e le modifiche suggerite daogni società partecipante ed è stato concordato il Do-cumento di Consenso finale. Le società partecipanti so-no state poi invitate a rivedere il documento finale e sot-toscrivere il loro consenso al contenuto. Se un indivi-duo delle società partecipanti non avesse accettato unaspecifica raccomandazione ciò sarebbe stato scritto neldocumento finale. Quindi, salvo qualche esclusione, ilDocumento di Consenso rappresenta i punti di vista ditutte le società partecipanti. Rispetto al documento TA-SC originale, maggiore enfasi è data ai rapporti fra dia-bete e AOP. Il testo è presentato in modo che gli spe-cialisti vascolari possano trovare la maggior parte delleinformazioni di cui hanno bisogno, mentre i medici dimedicina generale possano avere una guida per la dia-gnosi e le procedure diagnostiche, il riferimento dei pa-zienti e gli esiti aspettati in base alle varie opzioni ditrattamento.

Classificazione delle raccomandazioniLe raccomandazioni e le dichiarazioni selezionate sonoclassificate secondo le linee guida emesse dalla ex USAgency for Health Care Policy and Research6, adessodenominata Agenzia per la Sanità e la Ricerca di Qua-lità.

Si sottolinea che la classe delle raccomandazioni èbasata sul livello di evidenza disponibile, senza esserenecessariamente correlata all’importanza clinica.

Ringraziamenti La formulazione di questo documento è stata supporta-ta da un grant educazionale fornito dalla Sanofi-Aven-tis. Un ulteriore supporto alla pubblicazione del docu-mento è stato inoltre fornito da Bristol-Myers Squibb.Lo sponsor non ha partecipato a nessuna delle discus-sioni né ha dato indicazioni nella preparazione di que-

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G Ital Cardiol Vol 8 Suppl 2-12 2007

Classe Raccomandazione

A Dati derivati da numerosi trial clinici randomizzati o metanalisi

B Dati derivati da un singolo trial clinico randomizzato o da ampi studi non randomizzati

C Consenso degli esperti e/o studi di piccole dimensioni; studi retrospettivi e registri

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ste linee guida. Il comitato esecutivo della TASC II rin-grazia l’assistenza logistica e amministrativa della Me-dicus International, con grande apprezzamento del la-voro effettuato dalla Dr.ssa Barbara Byth.

SEZIONE AEPIDEMIOLOGIA DELL’ARTERIOPATIA PERIFERICA

A1 Epidemiologia

La terapia del paziente con AOP deve essere pianifica-ta tenendo conto dell’epidemiologia della malattia, del-la sua storia naturale e in particolare dei fattori di ri-schio modificabili per la malattia sistemica, nonché diquelli che predicono il deterioramento della circolazio-ne dell’arto.

A1.1 Incidenza e prevalenza dell’arteriopatiaobliterante periferica asintomaticaLa prevalenza totale della malattia basata su test og-gettivi, valutata in diversi studi epidemiologici, ha unrange dal 3 al 10%, incrementandosi al 15-20% neisoggetti con più di 70 anni7-9. La prevalenza dell’AOPasintomatica della gamba può essere stimata usandomisurazioni non invasive nella popolazione generale.Il test maggiormente utilizzato è la misurazione del-l’indice di pressione sistolica caviglia-braccio (ABI)(per una discussione dettagliata sull’ABI, vedere se-zione C2.1). Un ABI a riposo <0.90 è causato da ste-nosi arteriose emodinamicamente significative e spes-so è usato come definizione emodinamica di AOP. Neisoggetti sintomatici, un ABI <0.90 ha una sensibilitàdel 95% nell’individuazione di un’angiografia positivaper AOP e una specificità di quasi il 100% nell’indivi-duare soggetti sani. Utilizzando questo criterio diversistudi hanno ricercato i pazienti sintomatici e asintoma-tici per AOP nella stessa popolazione. Il rapporto traquesti è indipendente dall’età ed è di solito in un rangedi 1:3-1:4. L’Edinburgh Artery Study ha riscontrato,attraverso un esame eco-Doppler, che un terzo dei pa-zienti con AOP asintomatica ha un’occlusione comple-ta di un’arteria principale della gamba10. Lo studioPARTNERS (PAD Awareness, Risk, and Treatment:New Resources for Survival) ha valutato 6979 sogget-ti con AOP usando l’ABI (AOP definita da ABI <0.90o come precedente storia di rivascolarizzazione degliarti inferiori). Sono stati valutati soggetti di età ≥70 an-ni o di 50-69 anni con fattori di rischio per patologiavascolare (fumo, diabete) in 320 ambulatori di medici-na generale degli Stati Uniti11. L’AOP è stata diagno-sticata in 1865 pazienti, cioè nel 29% della popolazio-ne totale. La claudicatio classica era presente nel 5.5%del pazienti con AOP di nuova diagnosi e nel 12.6%dei pazienti con precedente diagnosi di AOP. La Natio-nal Health and Nutritional Examination Survey recen-temente ha riportato che su una popolazione non sele-zionata di 2174 soggetti di età ≥40 anni9, la prevalenza

di AOP, definita da un ABI ≤0.90, era compresa fra2.5% nel gruppo di età 50-59 anni a 14.5% nei sogget-ti >70 anni (non ci sono informazioni sulla proporzio-ne di soggetti con ABI <0.90 con sintomi alle gambe).In studi autoptici di adulti non selezionati, il 15% de-gli uomini e il 5% delle donne che erano asintomaticiaveva una stenosi ≥50% di un’arteria della gamba. Èinteressante confrontare ciò con la constatazione che il20-30% dei soggetti con occlusione completa di alme-no un’arteria coronaria all’autopsia è asintomatico. Al-cune di queste apparenti contraddizioni per quanto ri-guarda i dati sulla prevalenza di AOP sintomatica sonodovuti alla metodologia, ma in sintesi si può conclude-re che per ogni paziente con AOP sintomatica ci sonoda 3 a 4 soggetti con AOP che non soddisfano i critericlinici per CI.

A1.2 Incidenza e prevalenza dell’arteriopatiaobliterante periferica sintomaticaLa CI (vedere sezione C1.1 per la definizione) è solita-mente diagnosticata da una storia di dolore muscolarealle gambe durante esercizio che cessa dopo un breveriposo. Diversi questionari sono stati sviluppati ad usoepidemiologico. Nella ricerca di metodi per identifica-re la CI nella popolazione, deve essere ricordato che èil principale sintomo di AOP, ma l’entità di tale sintomonon sempre predice la presenza o l’assenza di AOP. Unpaziente con AOP severa può non avere il sintomo del-la CI perché altre condizioni limitano l’esercizio o per-ché conduce una vita sedentaria. Al contrario, alcunipazienti che sembrano avere CI non hanno AOP (peresempio, una stenosi spinale può dare sintomi simili aCI in assenza di patologia vascolare). Allo stesso modo,i pazienti con AOP molto lieve possono sviluppare sin-tomi solo quando fanno molta attività fisica.

L’incidenza annuale di CI è più difficoltosa da valu-tare e forse meno importante della sua prevalenza a dif-ferenza della CLI, che presenta un numero di pazientirelativamente molto inferiore. La prevalenza di CI ap-pare in aumento dal 3% nei pazienti di 40 anni e al 6%in pazienti di 60 anni. Molti studi di popolazione han-no esaminato la prevalenza di CI e la Figura A1 mostrala prevalenza media calcolata in base al campione dipopolazione dello studio. Nei soggetti più giovani, laclaudicatio è più comune negli uomini, ma nei gruppidi maggiore età c’è poca differenza tra i due sessi. Stu-di di screening di popolazione hanno rilevato sorpren-dentemente che il 10-50% dei pazienti non ha mai con-sultato un medico per i loro sintomi.

A1.3 Epidemiologia dell’arteriopatia obliterantein differenti gruppi etniciL’etnia non bianca è un fattore di rischio per AOP. L’et-nia nera aumenta il rischio di oltre 2 volte e tale rischionon è spiegato da livelli più elevati di altri fattori di ri-schio quali diabete, ipertensione, obesità12. È stata de-scritta un’elevata prevalenza di arterite delle arterie di-stali nei giovani neri sudafricani.

TASC II Documento di Consenso InterSocietario TransAtlantico

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A2 Fattori di rischio per arteriopatiaobliterante periferica

Sebbene i vari fattori descritti in questa sezione sianonormalmente indicati come fattori di rischio, nellamaggior parte dei casi l’evidenza è solo per un’associa-zione. I criteri utilizzati a supporto di un fattore di ri-schio richiedono uno studio prospettico, controllatoche mostri che, modificando quel fattore, si modifichi losviluppo o il decorso dell’AOP, come è stato mostratoper la cessazione del fumo o per il trattamento della dis-lipidemia. Il rischio può essere conferito da altre ano-malie metaboliche o circolatorie associate al diabete.

A2.1 RazzaIl National Health and Nutrition Examination Surveynegli Stati Uniti ha rilevato che un ABI ≤0.90 era piùcomune nei neri non ispanici (7.8%) che nei bianchi(4.4%). Tale differenza nella prevalenza dell’AOP èstata confermata dallo studio GENOA (Genetic Epide-miology Network of Arteriopathy)13, che ha mostratoche essa non era spiegata da una diversa prevalenza deiclassici fattori di rischio per l’aterosclerosi.

A2.2 SessoLa prevalenza di AOP, sintomatica e asintomatica, èleggermente maggiore negli uomini rispetto alle donne,in particolare nei più giovani. Nei pazienti con CI, ilrapporto uomo-donna è tra 1:1-2:1. Tale rapporto in al-cuni studi è di circa 3:1 negli stadi più severi della ma-lattia come nella CLI cronica. Altri studi hanno mostra-to una più equa distribuzione dell’AOP tra i due sessi espesso una predominanza di donne con CLI.

A2.3 EtàIl clamoroso incremento sia di incidenza che di preva-lenza di AOP con l’età si evince dalla discussione pre-cedente di epidemiologia (Figura A1).

A2.4 FumoLa relazione tra fumo e AOP è stata riconosciuta fin dal1911, quando Erb ha riferito che la CI è 2-3 volte piùcomune tra i fumatori rispetto ai non fumatori. Inter-

venti di riduzione o eliminazione del fumo di sigarettasono fortemente indicati nei pazienti con CI. È statosuggerito che l’associazione tra fumo e AOP può esse-re più forte di quella tra fumo e malattia coronarica(CAD). Inoltre, la diagnosi di AOP viene posta appros-simativamente un decennio prima nei fumatori rispettoai non fumatori. La severità dell’AOP tende ad aumen-tare con il numero di sigarette fumate. Forti fumatorihanno un rischio 4 volte superiore di sviluppare CI ri-spetto ai non fumatori. La cessazione del fumo è asso-ciata con un declino dell’incidenza di CI. Risultati del-l’Edinburgh Artery Study10 hanno mostrato un rischiorelativo di 3.7 nei fumatori rispetto a 3.0 negli ex-fu-matori (che avevano smesso da meno di 5 anni).

A2.5 DiabeteMolti studi hanno mostrato un’associazione tra diabetemellito e lo sviluppo di AOP. Complessivamente, la CIè circa 2 volte più comune tra i pazienti diabetici che trai non diabetici. Nei diabetici per ogni aumento dell’1%di emoglobina glicosilata (HbA1c) c’è un incrementocorrispondente del 26% del rischio di AOP14. Negli ul-timi 10 anni, un numero crescente di evidenze hannosuggerito che l’insulino-resistenza gioca un ruolo fon-damentale nel raggruppamento dei fattori di rischiocardiometabolici, che includono iperglicemia, dislipi-demia, ipertensione e obesità. L’insulino-resistenza èun fattore di rischio per AOP anche nei soggetti nondiabetici, aumentando il rischio approssimativamentedel 40-50%15. L’AOP nei pazienti con diabete è più ag-gressiva rispetto ai pazienti non diabetici, con precoceinteressamento dei grandi vasi associato ad una neuro-patia simmetrica distale. La necessità di un’amputazio-ne maggiore è incrementata da 5 a 10 volte nei diabeti-ci rispetto ai non diabetici. A ciò contribuiscono la neu-ropatia sensoriale e la ridotta resistenza alle infezioni.Sulla base di queste osservazioni, l’Associazione Ame-ricana del Diabete raccomanda lo screening dell’AOPcon ABI ogni 5 anni nei diabetici16.

A2.6 IpertensioneL’ipertensione è associata con tutte le forme di malattiacardiovascolare, compresa l’AOP. Tuttavia, il rischiorelativo per lo sviluppo di AOP è più basso per l’iper-tensione rispetto al diabete o al fumo.

A2.7 DislipidemiaNello studio di Framingham, livelli di colesterolo a di-giuno >7 mmol/l (270 mg/dl) erano associati a un rad-doppiamento dell’incidenza di CI, ma il livello di HDLera il migliore predittore di insorgenza di AOP. In un al-tro studio, i pazienti con AOP avevano livelli significa-tivamente più alti di trigliceridi, di VLDL colesterolo,VLDL trigliceridi, VLDL proteine, IDL colesterolo,IDL trigliceridi e più bassi livelli di HDL rispetto aicontrolli17. Sebbene alcuni studi abbiano mostrato cheil colesterolo totale sia un potente fattore di rischio in-dipendente per AOP, altri non sono riusciti a conferma-

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G Ital Cardiol Vol 8 Suppl 2-12 2007

Figura A1. Prevalenza media della claudicatio intermittens (arteriopa-tia periferica sintomatica) basata su studi con ampia popolazione.

Fascia di età

Pre

vale

nza

(%

)

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re tale associazione. È stato suggerito che il fumo di si-garetta può aumentare l’effetto dell’ipercolesterolemia.C’è evidenza che il trattamento dell’iperlipidemia ridu-ca sia la progressione dell’AOP che l’incidenza di CI.È stata segnalata anche un’associazione tra AOP e iper-trigliceridemia, che si associa alla progressione dellecomplicanze sistemiche dell’AOP. La lipoproteina(a) èun fattore di rischio indipendente per AOP.

A2.8 Marcatori infiammatoriAlcuni recenti studi hanno mostrato che la proteina Creattiva (PCR) era aumentata in soggetti asintomaticiche nei successivi 5 anni sviluppavano l’AOP, rispettoa un gruppo controllo di pari età rimasto asintomatico.Il rischio di sviluppare l’AOP nel quartile più alto del-la PCR basale era il doppio rispetto al quartile più bas-so18.

A2.9 Iperviscosità e ipercoagulabilitàEmatocrito aumentato e iperviscosità sono stati ritrova-ti in pazienti con AOP, forse come conseguenza del fu-mo. In diversi studi livelli aumentati di fibrinogeno, cheè anche fattore di rischio per la trombosi, sono stati as-sociati all’AOP. È stato mostrato che iperviscosità eipercoagulabilità sono marcatori o fattori di rischio peruna prognosi sfavorevole.

A2.10 IperomocisteinemiaLa prevalenza di iperomocisteinemia è alta nella popo-lazione con patologia vascolare, confrontata con l’1%nella popolazione generale. L’iperomocisteinemia è ri-levata nel 30% dei pazienti giovani con AOP. Diversistudi hanno dimostrato che l’iperomocisteinemia è unfattore di rischio indipendente per l’aterosclerosi. Que-sta può essere un forte fattore di rischio sia per AOP cheper CAD.

A2.11 Insufficienza renale cronicaC’è un’associazione tra insufficienza renale e AOP; al-cune evidenze suggeriscono che possa essere causale.Nello studio HERS (Heart and Estrogen/Progestin re-placement Study), l’insufficienza renale, nella donnanel periodo postmenopausa, era indipendentemente as-sociata a insorgenza di AOP19.

A2.12 RiassuntoLa Figura A2 riassume graficamente l’influenza ap-prossimativa o l’associazione tra alcuni dei fattori di ri-schio citati e l’AOP, dando una visione globale delleevidenze esistenti.

A3 Destino della gamba

A3.1 AsintomaticiL’evidenza suggerisce che la progressione dell’AOPsottostante è identica tra i soggetti che hanno sintomialla gamba e quelli che non li hanno. Non c’è niente che

dimostri che il rischio di deterioramento locale, conprogressione verso la CLI, sia dipendente dalla presen-za o dall’assenza dei sintomi della CI. Lo sviluppo omeno dei sintomi dipende molto dal livello di attivitàdel soggetto. Questo è il motivo per cui la presentazio-ne iniziale di alcuni pazienti è la CLI, in assenza diqualsiasi precedente di CI. Pazienti che hanno una ri-duzione dell’ABI al di sopra della soglia ischemica didolore a riposo, ma troppo sedentari per avere claudi-catio, possono sviluppare CLI a causa di ferite provo-cate da traumi relativamente minori. In questo sotto-gruppo di pazienti è importante fare diagnosi in un mo-mento in cui la cura dei piedi e il controllo dei fattori dirischio hanno il loro maggiore potenziale per migliora-re la prognosi. Il declino funzionale nell’arco di 2 anniè associato al valore basale di ABI e ai sintomi dell’ar-to. Un più basso ABI era associato a un più rapido de-clino, per esempio al test del cammino in 6 min.

A3.2 Claudicatio intermittens Sebbene l’AOP sia progressiva in senso patologico, ilsuo decorso clinico, per quanto riguarda la gamba, èsorprendentemente stabile nella maggior parte dei casi.Tuttavia, il paziente sintomatico continua ad avere unadisabilità funzionale significativa. Ampi studi di popo-lazione hanno fornito cifre più affidabili. Tutte le evi-denze degli ultimi 40 anni, fin dal classico studio diBloor, non hanno alterato materialmente l’impressione

TASC II Documento di Consenso InterSocietario TransAtlantico

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Maschi (vs femmine)

Età (per 10 anni)

Diabete

Fumo

Ipertensione

Dislipidemia

Iperomocisteinemia

Razza (asiatica/ispanica/nera vs bianca)

Proteina C-reattiva

Insufficienza renale

Figura A2. Range approssimativo dell’odds ratio per i fattori di rischiodell’arteriopatia periferica. Il trattamento dei fattori di rischio e deglieffetti sulla prognosi dell’arteriopatia periferica sono descritti nel capi-tolo B.

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che solo un quarto dei pazienti con CI andrà incontro aun deterioramento significativo. Questa stabilizzazionesintomatica può essere dovuta allo sviluppo di circolicollaterali, ad un adattamento metabolico del muscoloischemico o ad una modificazione da parte del pazien-te del suo modo di camminare a favore di gruppi mu-scolari non ischemici. Il rimanente 25% dei pazienticon CI si deteriora in termini di stadio clinico; ciò è piùfrequente dopo il primo anno dalla diagnosi (7-9%)comparato con il 2-3% per ogni anno successivo. Que-sta stabilità clinica è rilevante per la percezione da par-te dei pazienti della gravità della claudicatio20. Quandoquesti pazienti hanno una valutazione globale del lorostato funzionale, la distanza percorsa si ridurrà pro-gressivamente nel tempo20.

Analisi recenti hanno evidenziato che l’amputazio-ne maggiore è relativamente rara come esito di claudi-catio, che solo dall’1 al 3.3% dei pazienti con CI ne-cessita di un’amputazione maggiore dopo un periodo di5 anni. Gli studi Basle e Framingham21,22, che sono duegrandi studi che hanno valutato pazienti non seleziona-ti, hanno rilevato che meno del 2% dei pazienti conAOP necessitano di un’amputazione. Sebbene l’ampu-tazione sia il principale timore dei pazienti che hannodisturbi circolatori alle gambe, loro possono essere ras-

sicurati che questo è un evento improbabile, eccetto neipazienti diabetici (Figura A3).

È difficile predire il rischio di deterioramento in unclaudicante di recente diagnosi. I vari fattori di rischiomenzionati nella sezione A2 probabilmente contribui-scono tutti alla progressione di AOP. Una variazionedell’ABI è probabilmente il migliore predittore indivi-duale, perché se l’ABI di un paziente si deteriora rapi-damente è probabile che continui a farlo anche in pre-senza di efficace trattamento. È stato mostrato che inpazienti con CI, il migliore predittore di deterioramen-to di AOP è un ABI minore 0.50 con un aumento del ri-schio di oltre due volte rispetto ai pazienti con ABI>0.50. Gli studi hanno anche indicato che, in questi pa-zienti con CI per i valori pressori più bassi alla caviglia(40-60 mmHg), il rischio di progressione verso un’i-schemia severa o la perdita effettiva dell’arto èdell’8.5% per anno.

A3.3 Ischemia critica degli artiL’unico studio prospettico di popolazione affidabile ri-guardante l’incidenza di CLI ha mostrato 220 nuovicasi ogni anno per milione di popolazione23. Tuttavia,vi sono evidenze indirette provenienti da studi epide-miologici di prevalenza e stime basate su tassi di am-

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G Ital Cardiol Vol 8 Suppl 2-12 2007

Figura A3. Destino del claudicante a 5 anni (adattato dalle linee guida ACC/AHA). AOP = arteriopatia periferica; CLI = ischemia critica degli arti;CV = cardiovascolare; IM = infarto miocardico. Riprodotta con il permesso da Hirsch et al. (J Am Coll Cardiolol 2006; 47: 1239-312).

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putazione maggiore. Sorprendentemente, l’incidenzacalcolata usando questi differenti metodi è molto simi-lare. Ci saranno approssimativamente da 500 a 1000nuovi casi di CLI ogni anno in Europa o nel NordAmerica per milione di popolazione.

Un certo numero di studi ha consentito un’analisidei fattori di rischio che sembrano essere associati allosviluppo di CLI (Figura A4). Questi fattori sembranoessere indipendenti e sono quindi, probabilmente addi-tivi.

Non è possibile descrivere la storia naturale dei pa-zienti con CLI perché la maggior parte di questi riceveuna qualche forma di trattamento attivo. Il trattamentodipende molto dal centro cui il paziente si rivolge. Di-verse evidenze suggeriscono che approssimativamentela metà dei pazienti con CLI sarà sottoposto a qualchetipo di rivascolarizzazione, anche se in alcuni centri,

particolarmente interventistici, circa il 90% dei pazien-ti con CLI è trattato con tentativi di ricostruzione. LaFigura A5 fornisce una stima del trattamento primariodi questi pazienti globalmente e del loro stato dopo 1anno.

Ci sono alcuni dati di buona qualità provenienti datrial multicentrici e di farmacoterapia per la CLI. Que-sti riguardano un sottogruppo di pazienti che non so-no suscettibili di ricostruzione o in cui i tentativi di ri-costruzione sono falliti (ciò riguarda pazienti che so-no stati arruolati in trial clinici randomizzati e con-trollati di farmacoterapia verso placebo). I risultati diquesto sottogruppo rivelano la terribile prospettivache approssimativamente il 40% dei pazienti perderàle gambe entro 6 mesi e fino al 20% morirà (si noti chequesti dati si riferiscono a un follow-up a 6 mesi chenon può essere direttamente confrontato con i dati ad1 anno).

A3.4 Ischemia acuta degli artiL’ALI dipende da una diminuzione della perfusioneche si sviluppa improvvisamente, producendo nuovisintomi e segni o peggiorandoli, spesso minacciando lavitalità dell’arto. La progressione dell’AOP dalla clau-dicatio al dolore a riposo, alle ulcere ischemiche o allagangrena possono essere graduali o rapidamente pro-gressive riflettendo un improvviso peggioramento del-la perfusione dell’arto. L’ALI può essere il risultato diun evento embolico o di una trombosi locale in pa-zienti precedentemente asintomatici. Ci sono pocheinformazioni sull’incidenza dell’ischemia acuta dellagamba; alcuni registri nazionali e sondaggi regionalisuggeriscono che l’incidenza è intorno a 140 per mi-lione di soggetti per anno. L’ischemia acuta della gam-ba a causa di emboli è diminuita negli anni, possibil-mente come conseguenza di un minore interessamentoreumatico delle valvole cardiache e di un più diffusoimpiego della terapia anticoagulante nella fibrillazioneatriale. Al contrario, l’incidenza di ischemia acutatrombotica della gamba si è incrementata. Anche con

TASC II Documento di Consenso InterSocietario TransAtlantico

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Rischio disviluppare CLI

Diabeticox4

Fumatorex3Alterazioni

lipidiTrigliceridi

x2

Età>65x2ABPI

<0.7

x2

<0.5

x2.5

Figura A4. Importanza approssimativa degli effetti dei fattori di rischiosullo sviluppo di ischemia critica degli arti (CLI) in pazienti con arte-riopatia periferica.

Figura A5. Destino dei pazienti che presentano ischemia critica cronica della gamba. CLI = ischemia critica degli arti.

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l’utilizzo estensivo delle più nuove tecniche endova-scolari, comprese la trombolisi, la maggior parte delleevidenze pubblicate riportano un tasso di amputazionea 30 giorni dal 10 al 30%.

A3.5 AmputazioneC’è una controversia in corso, spesso alimentata da da-ti retrospettivi non verificati su grandi e differenti po-polazioni, sull’esistenza di una riduzione significativadelle amputazioni come risultato di un più ampio ricor-so a procedure di rivascolarizzazione in pazienti conCLI. Accurati studi effettuati indipendentemente inSvezia, Danimarca e Finlandia suggeriscono che l’au-mentata disponibilità e l’uso di interventi endovascola-ri e chirurgici hanno portato ad una significativa ridu-zione delle amputazioni per CLI. Nel Regno Unito ilnumero di amputazioni ha raggiunto un “plateau”, ri-flettendo probabilmente un aumentato successo nel sal-vataggio dell’arto, ma studi precedenti compiuti negliStati Uniti non hanno dimostrato benefici della rivasco-larizzazione sul tasso di amputazione24.

Il concetto che tutti i pazienti che richiedono l’am-putazione regolarmente progrediscono attraverso unaclaudicatio sempre più grave fino al dolore a riposo, al-le ulcere e in ultima analisi all’amputazione non è cor-retto. È stato mostrato che più della metà dei pazientiche hanno avuto un’amputazione maggiore sotto al gi-nocchio per malattia ischemica non hanno avuto sinto-mi di ischemia alla gamba se non recentemente, comenei 6 mesi precedenti25. L’incidenza di amputazionimaggiori su un’ampia popolazione o su dati di rilevan-za nazionale varia da 120 a 500 casi/milione/anno. Ilrapporto amputazioni sotto il ginocchio/sopra il ginoc-chio è in ampi sondaggi di 1:1. Solo il 60% delle am-putazioni sotto il ginocchio è fatto in prima intenzione,il 15% guarisce dopo procedure secondarie e il 15% ne-cessita di essere convertito in un’amputazione al di so-pra del ginocchio e il 10% muore nel periodo periope-ratorio. La severa prognosi ad 1-2 anni è riassunta nel-la Figura A6.

A4 Coesistenza di malattie vascolari

Poiché AOP, CAD e patologie vascolari cerebrali sonotutte manifestazioni dell’aterosclerosi, non è sorpren-dente che le tre condizioni si verifichino contempora-neamente.

A4.1 CoronarieStudi sulla prevalenza delle malattie cardiovascolari inpazienti con AOP mostrano che la storia, la valutazioneclinica e l’elettrocardiogramma identificano una preva-lenza di CAD e di patologia cerebrovascolare nel 40-60% di tali pazienti. Nello studio PARTNERS il 13%dei soggetti selezionati aveva un ABI ≤0.90 e non erasintomatico per CAD o per patologia cerebrale, il 16%aveva contemporaneamente AOP e CAD sintomatica opatologia cerebrovascolare, il 24% aveva una CAD sin-tomatica e una patologia cerebrale con un normaleABI11. Come per l’AOP asintomatica, la diagnosi diCAD dipende dalla sensibilità dei metodi utilizzati. Nelcampo della medicina di base, approssimativamentemetà di questi pazienti con diagnosi AOP presentavaanche CAD e patologia cerebrovascolare; nei pazienticon AOP inviati in ospedale, la prevalenza di CAD pro-babilmente è più alta. L’estensione della coronaropatiavalutata sia all’angiografia che alla tomografia compu-terizzata (TC) mediante misurazione del calcium scoresi correla con l’ABI; non sorprende, che i pazienti conCAD documentata abbiano una maggiore probabilità diAOP. La prevalenza di AOP nei pazienti con cardiopa-tia ischemica varia dal 10 al 30%. Studi autoptici han-no dimostrato che pazienti morti per infarto miocardi-co hanno una probabilità doppia di avere una stenosi si-gnificativa delle arterie iliaca e carotide rispetto ai pa-zienti morti per altre cause.

A4.2 Malattia cerebraleIl legame tra AOP e malattia cerebrale sembra esserepiù debole rispetto a quello con CAD. La malattia ca-rotidea diagnosticata all’eco-Doppler si riscontra nel

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Figura A6. Destino dei pazienti con amputazione sotto il ginocchio.

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26-50% dei pazienti con CI, ma solo il 5% dei pazienticon AOP avrà un evento cerebrovascolare. C’ è ancheuna buona correlazione tra spessore dell’intima-mediacarotideo e ABI. La Figura A7 mostra semiquantitati-vamente il grado di sovrapposizione tra la malattia delcircolo coronarico cerebrale e periferico. Nello studioREACH (Reduction of Atherothrombosis for Conti-nued Health)26, tra i pazienti con AOP sintomatica, il4.7% aveva una CAD concomitante, l’1.2% una conco-mitante malattia cerebrovascolare e l’1.6% entrambe.Pertanto, circa il 65% dei pazienti con AOP ha eviden-za clinica di altre malattie vascolari. Tuttavia, in unostudio prospettico di 1886 pazienti di età ≥62 anni soloil 37% dei soggetti non ha avuto evidenza di malattia inuno qualsiasi dei tre territori27.

A4.3 RenaleAlcuni studi hanno anche esaminato la prevalenza distenosi dell’arteria renale in pazienti con AOP. La pre-valenza di stenosi dell’arteria renale ≥50% varia dal 23al 42% (rispetto alla prevalenza di stenosi dell’arteriarenale in una popolazione generale di ipertesi, che è cir-ca il 3%). Anche se non è stato studiato specificata-mente, è molto probabile che la stenosi dell’arteria re-nale sia anche un fattore di rischio indipendente permortalità in pazienti con AOP visto che la stenosi del-l’arteria renale ≥50% si associa ad un rischio di morta-lità 3.3 volte maggiore rispetto alla popolazione gene-rale.

A5 Destino dei pazienti

A5.1 Pazienti asintomatici e pazienti claudicanti con arteriopatia perifericaIl rischio aumentato di eventi cardiovascolari in pa-zienti con AOP è correlato con la gravità della malattiaalle gambe definito da una misurazione dell’ABI. Il tas-so annuo complessivo di un evento cardiovascolaremaggiore (infarto miocardico, ictus ischemico e mortevascolare) è circa del 5-7%.

Escludendo quelli con CLI, i pazienti con AOP han-no un’incidenza annua del 2-3% di infarto miocardiconon fatale e il rischio di angina è circa 2-3 volte supe-riore a quello di una popolazione di età corrispondente.A 5, 10 e 15 anni il tasso di morbilità e mortalità da tut-te le cause è, rispettivamente, del 30, 50 e 70% (FiguraA3). La CAD è la più frequente causa di morte nei pa-zienti con AOP (40-60%), e la malattia cerebrovascola-re è causa di morte nel 10-20% dei pazienti con malat-tie cerebrali. Altri eventi vascolari, soprattutto la rottu-ra di aneurisma dell’aorta, causano circa il 10% dei de-cessi. Pertanto, solo il 20-30% di pazienti con AOPmuore per cause non cardiovascolari.

Di particolare interesse sono gli studi in cui la diffe-renza dei casi di mortalità tra i pazienti con CI e una po-polazione controllo di età corrispondente è risultata ingran parte invariata nonostante la correzione dei fattoridi rischio quali il fumo, l’iperlipidemia e l’ipertensio-ne. Questi sorprendenti, ma coerenti, risultati suggeri-scono che la presenza di AOP indica la presenza di undiffuso e grave grado di aterosclerosi sistemica che èresponsabile di mortalità, indipendentemente dalla pre-senza di fattori di rischio. La Figura A8 riassume i ri-sultati degli studi che confrontano il tasso di mortalitàdei pazienti claudicanti con quello di una popolazionedi controllo di pari età. Come atteso, le due linee diver-gono, il che indica che in media il tasso di mortalità deipazienti claudicanti è 2.5 volte superiore a quello deinon claudicanti.

A5.2 Gravità dell’arteriopatia periferica e sopravvivenzaI pazienti con CLI cronica hanno una mortalità del 20%nel primo anno dopo l’esordio e i dati suggeriscono chea lungo termine il tasso di mortalità continua ad esserelo stesso. La mortalità a breve termine dei pazienti conischemia acuta è del 15-20%. Una volta sopravvissutiall’episodio acuto, il tasso di mortalità seguirà quellodel claudicante o del pazienti con CLI cronica, a se-conda del risultato dell’episodio acuto.

C’è una forte correlazione tra ABI, come misura di

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Figura A7. Tipica sovrapposizione delle malattie vascolari che interes-sano diversi territori26. Basata sui dati dello studio REACH. AOP = ar-teriopatia periferica.

Figura A8. Sopravvivenza dei pazienti con arteriopatia periferica. CI =claudicatio intermittens; CLI = ischemia critica degli arti.

Follow-up (anni)

So

pra

vviv

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(%

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gravità di AOP e mortalità. Numerosi studi, usando dif-ferenti cut-off, hanno dimostrato queste relazioni. Peresempio in uno studio di circa 2000 claudicanti, i pa-zienti con ABI <0.50 hanno avuto un rischio di morta-lità doppio rispetto a quelli con ABI >0.5028. L’Edin-burgh Artery Study ha anche dimostrato che l’ABI è unbuon fattore predittivo di eventi cardiovascolari fatali enon fatali, così come della mortalità totale in una popo-lazione non selezionata. È stato anche suggerito che viè una relazione lineare tra ABI ed eventi cardiovascola-ri fatali e non fatali; ogni riduzione dell’ABI di 0.10 puòessere associata ad un aumento del 10% nel rischio re-lativo di un evento vascolare maggiore. In uno studio ri-guardante pazienti con diabete di tipo 2, minore era l’A-BI maggiore era il rischio di eventi cardiovascolari a 5anni29.

SEZIONE BTRATTAMENTO DEI FATTORI DI RISCHIO E DELLE

MALATTIE CONCOMITANTI

B1 Fattori di rischio

B1.1 Identificazione del paziente con arteriopatia periferica nella popolazioneI pazienti con AOP hanno molti fattori di rischio atero-sclerotico e malattia aterosclerotica diffusa che li rendemarcatamente a rischio di eventi cardiovascolari in ma-niera simile ai pazienti con CAD nota30. Una riduzionedella pressione sanguigna alla caviglia rispetto al brac-cio indica la presenza di aterosclerosi periferica, ed èun fattore di rischio indipendente per eventi cardiova-scolari. Questo è stato recentemente valutato in unametanalisi di 15 popolazioni ed ha mostrato che un ABI≤0.90 è fortemente correlato con la mortalità da tutte lecause indipendentemente dal Framingham risk score31.Pertanto, le attuali raccomandazioni provenienti da nu-merosi documenti, comprese le linee guida del-l’ACC/AHA sull’AOP, identificano i pazienti con AOP

come una popolazione ad alto rischio che richiede unamodificazione dei fattori di rischio e necessità di tera-pia antitrombotica5. Questa sezione si propone di forni-re un approccio all’identificazione dell’AOP comemezzo per identificare una popolazione ad alto rischioe alla correzione di ciascuno dei principali fattori di ri-schio per ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari.Più di due terzi dei pazienti con AOP sono asintomati-ci o ha sintomi atipici alla gamba e pertanto non può es-sere fatta diagnosi di malattia cardiovascolare sistemi-ca. Inoltre, circa la metà dei pazienti con AOP non haavuto un evento cardiovascolare maggiore. Pertanto,molti pazienti con AOP non sono individuati, con con-seguente insufficiente identificazione e trattamento deiloro fattori di rischio aterosclerotici11.

La valutazione clinica iniziale dell’AOP comprendeuna storia anamnestica e un esame obiettivo. Una storiadi CI è utile nel sollevare il sospetto di AOP, sebbenesottostimi significativamente la vera prevalenza diAOP. La presenza di polsi pedidei ha un valore predit-tivo negativo di oltre il 90% e può fare escludere la dia-gnosi in molti casi. Al contrario una pulsazione anor-male (assente o diminuita) sovrastima significativa-mente la reale prevalenza di AOP. Così, un test obietti-vo dovrebbe essere richiesto in tutti i pazienti con AOPsospetta. Il test di screening primario non invasivo perAOP è l’ABI (vedere sezione C2 per ulteriore discus-sione dell’ABI e dei criteri di screening). Nel contestodella medicina di base o nella comunità di una popola-zione ad alto rischio i soggetti che dovrebbero essereconsiderati per uno screening dell’ABI sono: 1) sog-getti con sintomi da sforzo alla gamba; 2) soggetti di50-69 anni che hanno anche fattori di rischio cardiova-scolare e tutti pazienti di età >70 anni; 3) soggetti conun rischio di eventi cardiovascolari a 10 anni tra il 10 eil 20%, nei quali è giustificata un’ulteriore stratifica-zione del rischio. Calcolatori del rischio cardiovascola-re sono di facile accesso, come lo score in Europa(www.escardio.org) e il Framingham per gli Stati Uni-ti (www.nhlbi.nih.gov/guidelines/cholesterol).

I pazienti con AOP, definita come ABI ≤0.90, sonoad alto rischio di eventi cardiovascolari (Figura B1).Come discusso nella sezione A, i tassi di mortalità neipazienti con AOP sono in media del 2% annuo e il tas-so di infarto miocardico non fatale, ictus e morte va-scolare è del 5-7% per anno32,33. Inoltre, minore è l’ABI,maggiore è il rischio di eventi cardiovascolari, comemostrato in Figura B234. Un simile aumento del rischiodi mortalità è stato anche osservato in pazienti con ABIaumentato, come mostrato nella Figura B2. Pertanto,un ABI alterato identifica una popolazione ad alto ri-schio che necessita di una modificazione aggressiva deifattori di rischio e di terapia antiaggregante.

B1.2 Modificazione dei fattori di rischio perl’aterosclerosiCome evidenziato in precedenza, i pazienti con AOPhanno multipli fattori di rischio cardiovascolari, che li

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Figura A9. Odds degli eventi cardiovascolari regolato dall’indice cavi-glia-braccio (ABI)29. I dati del braccio placebo dello studio AppropriateBlood Pressure Control in Diabetes29 mostrano una correlazione inver-sa tra ABI e rischio di eventi cardiovascolari maggiori. CV = cardiova-scolare; IM = infarto miocardico. Riprodotta con il permesso da Mehleret al. (Circulation 2003; 107: 753-6).

ABI basale

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CV

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pongono ad un rischio aumentato di eventi. Questa se-zione discuterà un approccio a ciascuno dei principalifattori di rischio di questa malattia.

B1.2.1 Cessazione del fumoIl fumo è associato ad un aumentato rischio di atero-sclerosi periferica. Il numero dei pacchetti fumati peranno è associato alla severità della malattia, ad un au-mentato rischio di amputazione, di occlusione di graftperiferico e di mortalità. Tenuto conto di queste asso-ciazioni, la cessazione del fumo è stata una pietra mi-liare nella gestione dell’AOP così come nel caso dellaCAD35. Altri farmaci per smettere di fumare sono di-sponibili.

Nei pazienti di mezza età con ridotta funzione pol-monare, un consiglio medico a smettere di fumare, ac-coppiato con un programma di cessazione formale, euna sostituzione nicotinica è associato ad una cessazio-ne del 22% a 5 anni comparato con solo un tasso di ces-sazione del 5% con le consuete cure di gruppo36. Per 14anni l’intervento di gruppo ha avuto un vantaggio si-gnificativo in termini di sopravvivenza. Un certo nu-

mero di studi randomizzati ha supportato l’uso del bu-propione in pazienti con malattia cardiovascolare, conuna percentuale di astinenza a 3, 6 e 12 mesi rispettiva-mente del 34, 27 e 22%, rispetto al gruppo placebo cheaveva una percentuale di astinenza del 15, 11 e 9%37.La terapia combinata, bupropione e sostituzione nicoti-nica, ha dimostrato di essere più efficace della monote-rapia (Figura B3)38. Così, un approccio pratico da par-te del medico sarebbe quello di esortare ciascun pa-ziente, durante ogni visita, a modificazioni comporta-mentali, terapia sostitutiva con nicotina e l’utilizzo diantidepressivi come il bupropione per ottenere i mi-gliori tassi di cessazione. Il ruolo della cessazione delfumo nel trattamento dei sintomi di claudicatio non èchiara; alcuni studi hanno mostrato che la cessazionedel fumo è associata ad un miglioramento della distan-za percorsa, in alcuni, ma non in tutti i pazienti. Pertan-to, i pazienti dovrebbero essere incoraggiati a smetteredi fumare principalmente per ridurre i rischi di eventicardiovascolari, come quelli di progressione versol’amputazione e la progressione della malattia, ma nondovrebbe essere promesso un miglioramento dei sinto-

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Figura B1. Algoritmo per l’uso dell’indice caviglia-braccio (ABI) nella valutazione del rischio sistemico nella popolazione. Prevenzione primaria: Noalla terapia antipiastrinica; LDL (lipoproteine a bassa densità) <3.37 mmol/l (<130 mg/dl) eccetto nei diabetici dove l’obiettivo è <2.59 mmol/l (<100mg/dl) anche in assenza di malattia cardiovascolare (MCV); controllo ottimale della pressione arteriosa (<140/90 e <130/80 mmHg nei diabetici/neipazienti con insufficienza renale). Prevenzione secondaria: terapia antipiastrinica; LDL <2.59 mmol/l (<100 mg/dl) (<1.81 mmol/l [<70 mg/dl] nei pa-zienti ad alto rischio); controllo ottimale della pressione arteriosa (<140/90 mmHg e < 130/80 mmHg nei diabetici/o nei pazienti con insufficienza re-nale). Vedere sezione B1.2 e il testo per i riferimenti bibliografici. Nei diabetici HbA1c <7.0%. Vedere testo per i riferimenti bibliografici. AOP = arte-riopatia periferica; CLI = ischemia critica degli arti.

Figura B2. Tutte le cause di mortalità rapportate all’indice caviglia-braccio (ABI) basale. Un’aumentata mortalità è stata osservata a valori di ABI<1.00 e >1.4034. Riprodotta con il permesso di Resnick et al. (Circulation 2004; 109: 733-9).

ABI basale

Mortalità per tutte le cause

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mi subito dopo la cessazione. Recenti studi hanno an-che dimostrato un rischio 3 volte aumentato di occlu-sione del graft dopo intervento di bypass in pazienti checontinuano a fumare, e una riduzione del rischio neipazienti che hanno smesso di fumare39.

B1.2.2 Perdita di peso I pazienti che sono sovrappeso (indice di massa corpo-rea 25-30 kg/m2) o che sono obesi (indice di massa cor-porea >30 kg/m2) dovrebbero ricevere consulenza perridurre il peso seguendo una dieta a basso introito di ca-lorie, riduzione dell’introduzione di carboidrati e au-mento dell’attività fisica.

B1.2.3 Iperlipidemia I fattori di rischio indipendenti per AOP includono ele-vati livelli di colesterolo totale, colesterolo LDL, trigli-ceridi, lipoproteina(a). Fattori che sono protettivi per losviluppo di AOP sono elevati livelli di HDL colestero-lo e apolipoproteina (A1).

Evidenze dirette che supportano l’uso delle statineper abbassare i livelli di LDL colesterolo in pazienticon AOP provengono dall’Heart Protection Study(HPS)33. L’HPS ha arruolato oltre 20 500 soggetti ad al-to rischio di eventi cardiovascolari includendo 6748 pa-zienti con AOP; molti di questi non avevano una storiaprecedente di malattia cardiaca o ictus. I pazienti sonostati randomizzati a 40 mg di simvastatina, vitamineantiossidanti, con una continuazione di trattamenti o

Raccomandazione 1. Cessazione del fumo nel-l’arteriopatia periferica

• Tutti i pazienti che fumano dovrebbero esserefortemente e ripetutamente esortati a smetteredi fumare [B].

• Tutti i pazienti che fumano dovrebbero ricevereun programma di consulenza medica, incontridi gruppo e sostituzione nicotinica [A].

• La frequenza di cessazione dal fumo può esse-re aumentata con l’aggiunta di farmaci antide-pressivi (bupropione) e dalla sostituzione nico-tinica [A].

placebo, usando uno schema terapeutico 2 � 2, con fol-low-up a 5 anni. Il gruppo trattato con simvastatina 40mg mostrava una riduzione del 12% della mortalità to-tale, del 17% della mortalità vascolare, del 24% dellacardiopatia ischemica, del 27% di ictus e del 16% di ri-vascolarizzazioni non coronariche. Risultati similarisono stati ottenuti nel sottogruppo di pazienti con AOP,sia con che senza precedente di storia di cardiopatiaischemica. Inoltre, non vi era soglia di valore del cole-sterolo al di sotto del quale la terapia con statina non siassociasse a benefici. Così l’HPS ha dimostrato che inpazienti con AOP (anche in assenza di un precedenteinfarto miocardico o ictus) l’abbassamento aggressivodel colesterolo LDL era associato ad una riduzionemarcata di eventi cardiovascolari (infarto miocardico,ictus e morte vascolare). Una limitazione dell’HPS erache l’evidenza nell’AOP derivava dall’analisi di un sot-togruppo di pazienti con AOP sintomatica. Nonostantequeste limitazioni, tutti i pazienti con AOP dovrebberoavere livelli di colesterolo LDL <2.5 mmol/l (<100mg/dl). Per raggiungere questi livelli di lipidi la modi-ficazione della dieta dovrebbe essere l’approccio ini-ziale, ma in molti casi la dieta da sola non è in grado diottenere i livelli “target” prima menzionati. Quindi sirende necessario il trattamento farmacologico.

Una più recente metanalisi di terapie con statine haconcluso che in un ampio spettro di pazienti la riduzio-ne del colesterolo LDL di 1 mmol/L (38.6 mg/dL) eraassociata con una riduzione del 20% di eventi cardio-vascolari maggiori40. Questo miglioramento non era di-peso dai livelli iniziali di lipidi (anche pazienti con li-pidi nel range normale avevano risposto), ma dipende-va dal livello del rischio cardiovascolare. Così i pazien-ti con AOP sono ad alto rischio e sono stati inseriti co-me sottogruppo di questa metanalisi; la maggior partedi questi pazienti dovrebbe essere candidata alla terapiacon statine.

Le raccomandazioni attuali per la gestione dei di-sordini lipidici in pazienti con AOP sono di raggiunge-re un colesterolo LDL <2.59 mmol/l (<100 mg/dl) e ditrattare elevati valori di trigliceridi e bassi valori diHDL41,42. Le recenti linee guida ACC/AHA raccoman-dano come obiettivo generale il raggiungimento di unlivello di colesterolo LDL <2.59 mmol/l (100 mg/dl) intutti i pazienti con AOP e in quelli ad alto rischio (defi-

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Figura B3. Percentuale di astinenza con bupropione a lento rilascio, sostituzione nicotinica o entrambi, verso placebo38. Riprodotta con il permesso daJorenby et al. (N Engl J Med 1999; 340: 685-91).

6 mesi

Per

cen

tual

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12 mesi

Placebo

Sostituzione nicotinica

Bupropione

Bupropione esostituzione nicotinica

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niti come pazienti con malattia vascolare in più distret-ti), l’obiettivo dovrebbe essere un livello di colesteroloLDL <1.81 mmol/l (<70 mg/dl)5. In pazienti con AOPche hanno elevati livelli di trigliceridi in cui il coleste-rolo LDL non può essere calcolato correttamente, laraccomandazione è di raggiungere livelli di colesterolonon HDL inferriori a 3.36 mmol/L (<130 mg/dl)43, e inpazienti a rischio più elevato (con malattia vascolare inmultipli territori vascolari) l’obiettivo è di avere livellidi colesterolo non HDL <2.56 mmol/l (<100 mg/dl).

I pazienti con AOP hanno comunemente disordinidel colesterolo HDL e del metabolismo dei trigliceridi.L’uso dei fibrati in pazienti con coronaropatia che han-no livelli di colesterolo HDL <1.04 mmol/l (<40 mg/dl)e livelli di colesterolo LDL <3.63 mmol/l (>140 mg/dl)era associato ad una riduzione del rischio di infartomiocardico non fatale e morte cardiovascolare44. Laniacina è un potente farmaco usato per aumentare i li-

Raccomandazione 2. Controllo lipidico in pazien-ti con arteriopatia periferica (AOP)

• In tutti i pazienti con AOP sintomatica, il cole-sterolo LDL deve essere ridotto a <2.59 mmol/l(<100 mg/dl) [A].

• In pazienti con AOP e storia di malattia vasco-lare in altri territori vascolari è ragionevole ri-durre i livelli di LDL a <1.81 mmol/l (<70mg/dl) [B].

• Tutti i pazienti con AOP asintomatica e senzaaltre evidenze cliniche di malattia cardiovasco-lare dovrebbero tenere il colesterolo LDL a<2.59 mmol/l (<100 mg/dl) [C].

• Nei pazienti con livelli elevati di trigliceridi incui l’LDL non può essere calcolato corretta-mente, il valore di LDL dovrebbe essere misu-rato direttamente e trattato per raggiungere i va-lori di cui sopra. Alternativamente il colestero-lo non HDL potrebbe essere calcolato conside-rando come “target” livelli di <3.36 mmol/l(<130 mg/dl) e in pazienti ad alto rischio il li-vello dovrebbe essere <2.59 mmol/l (<100mg/dl) [C].

• Modificazioni dietetiche dovrebbero essere ilprimo intervento per controllare livelli di lipidialterati [B].

• In pazienti sintomatici per AOP, le statine do-vrebbero essere agenti di prima scelta per ab-bassare il colesterolo LDL e ridurre il rischio dieventi cardiovascolari [A].

• I fibrati e/o la niacina dovrebbero essere consi-derati per aumentare i livelli di colesterolo HDLe abbassare i livelli di trigliceridi in pazienti conAOP che hanno anormali frazioni di questi lipi-di [B].

velli di colesterolo HDL, con formulazione a rilascioprolungato fornendo un più basso rischio di vampate dicalore e di tossicità epatica. Nei pazienti con AOP, lasomministrazione di niacina è stata associata a regres-sione dell’aterosclerosi femorale45,46 e ridotta progres-sione dell’aterosclerosi coronarica. Non è ancora notose i fibrati e/o la niacina possano ridurre la progressio-ne dell’aterosclerosi coronarica e il rischio di eventicardiovascolari sistemici.

B1.2.4 Ipertensione L’ipertensione è associata ad un rischio aumentato 2-3volte per AOP. Le linee guida sull’ipertensione suppor-tano un aggressivo trattamento della pressione in pa-zienti con aterosclerosi, che presentano AOP. In questogruppo ad alto rischio, l’attuale raccomandazione è untarget di pressione arteriosa <140/90 mmHg e <130/80mmHg se il paziente è anche diabetico o ha insufficien-za renale47,48.

Per quanto riguarda la scelta del farmaco, tutti i far-maci che abbassano la pressione sono efficaci a ridurreil rischio di eventi cardiovascolari. I diuretici tiazidicisono agenti di prima scelta, gli inibitori dell’enzima diconversione dell’angiotensina (ACE-inibitori) o i sarta-ni dovrebbero essere usati in pazienti con nefropatiadiabetica o con scompenso cardiaco congestizio, e icalcioantagonisti per i pazienti con ipertensione pococontrollata. La maggior parte dei pazienti possono ri-chiedere un trattamento plurifarmacologico per rag-giungere i valori pressori “target”. Gli ACE-inibitorihanno anche mostrato un beneficio nel trattamento del-l’AOP in pazienti ad alto rischio. Questo è stato docu-mentato da risultati provenienti dallo studio HOPE in4046 pazienti con AOP49. In questo sottogruppo, c’erauna riduzione del rischio del 22% in pazienti rando-mizzati a ramipril confrontati con placebo, che era in-

Raccomandazione 3. Controllo dell’ipertensionein pazienti con arteriopatia periferica (AOP)

• Tutti i pazienti con ipertensione dovrebberomantenere i valori pressori al di sotto di 140/90mmHg o <130/80 mmHg se sono anche diabe-tici o hanno insufficienza renale [A].

• Dovrebbero essere seguite le linee guida delJNC VII e le linee guida europee ESC/ESH peril trattamento dell’ipertensione in pazienti conAOP [A].

• I tiazidici e gli ACE-inibitori dovrebbero essereconsiderati farmaci di prima scelta per il tratta-mento della pressione in pazienti con AOP al fi-ne di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari[B].

• I betabloccanti non sono controindicati in pa-zienti con AOP [A].

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dipendente dall’abbassamento pressorio. Sulla base diquesto risultato negli Stati Uniti la Food and Drug Ad-ministration ha approvato che il ramipril ha beneficicardiovascolari in pazienti ad alto rischio, includendoquelli con AOP; quindi in termini di classe di farmaco,gli ACE-inibitori dovrebbero essere raccomandati inpazienti con AOP.

I betabloccanti erano stati precedentemente sconsi-gliati nel trattamento dell’AOP per la possibilità di peg-giorare i sintomi di claudicatio. Tuttavia questa preoc-cupazione non è stata dimostrata da studi randomizza-ti; pertanto i betabloccanti possono essere utilizzati conragionevole sicurezza in pazienti con claudicatio50. Inparticolare i pazienti con AOP che hanno anche unaconcomitante CAD possono avere una cardioprotezio-ne aggiunta con agenti betabloccanti. Inoltre, questi ul-timi possono essere presi in considerazione nel tratta-mento dell’ipertensione in pazienti con AOP.

B1.2.5 Diabete (vedere anche sezione D2.4)Il diabete aumenta il rischio di AOP di circa 3-4 volte eil rischio di claudicatio di 2 volte. La maggior parte deipazienti con diabete hanno altri fattori di rischio car-diovascolare (fumo, ipertensione, dislipidemie) checontribuiscono allo sviluppo di AOP. Il diabete è ancheassociato alla neuropatia periferica e a una ridotta resi-stenza alle infezioni che porta ad un aumentato rischiodi ulcere ai piedi ed infezione ai piedi. Diversi studi suentrambi i tipi di diabete hanno dimostrato che l’abbas-samento aggressivo della glicemia può prevenire lecomplicanze microvascolari (particolarmente retinopa-tia e nefropatia); questo non è stato dimostrato perl’AOP, principalmente perché gli studi condotti fino adoggi per esaminare il controllo glicemico nei diabeticinon erano disegnati né avevano la potenza per esami-nare tali endpoint nei pazienti con AOP51,52. L’orienta-mento corrente dell’American Diabetes Associationraccomanda di mantenere i livelli di HbA1c <7% comeobiettivo per il trattamento del diabetico in generale,ma sottolinea che i livelli di HbA1c dovrebbero esserepiù vicini possibile al normale (6%), senza che si abbiasignificativa ipoglicemia nel paziente considerato indi-vidualmente. Tuttavia non è chiaro se il raggiungimen-to di questo obiettivo possa proteggere efficacemente lacircolazione periferica o prevenire l’amputazione53. Unsingolo studio in pazienti con diabete tipo 2 e storia dimalattia cardiovascolare non ha dimostrato il beneficiodell’abbassamento della glicemia con pioglitazone,

Raccomandazione 4. Controllo del diabete nel-l’arteriopatia periferica (AOP)

• I pazienti con diabete e AOP dovrebbero rice-vere un controllo aggressivo della glicemiamantenendo i livelli di HbA1c <7% o il più vici-no possibile al 6% [C].

agente insulino-sensibilizzante sull’endpoint primariodello studio (morbilità e mortalità cardiovascolare), maha mostrato una riduzione del rischio di endpoint se-condari quali infarto miocardico, ictus e morte vascola-re51-54. Ulteriori studi saranno necessari per definire ilruolo di agenti insulino-sensibilizzanti nella gestionedelle complicanze cardiovascolari del diabete in pa-zienti con AOP.

B1.2.6 OmocisteinaUn elevato livello di omocisteina è un fattore di rischioindipendente per AOP. Mentre il supplemento di vita-mina B e/o folati può ridurre i livelli di omocisteina,mancano evidenze forti che ciò possa produrre benefi-ci nella prevenzione di eventi cardiovascolari. Due stu-di riguardanti il supplemento con vitamina B e acidofolico in pazienti con AOP non hanno dimostrato bene-fici, cosicché questa terapia non può essere raccoman-data55,56.

B1.2.7 Infiammazione I marcatori di infiammazione sono stati associati con losviluppo di aterosclerosi e di eventi cardiovascolari. Inparticolare, la PCR è associata indipendentemente al-l’AOP.

B1.2.8 Terapia antipiastrinicaL’acido acetilsalicilico (ASA) è ben riconosciuto comefarmaco antiaggregante per la prevenzione secondariae presenta evidenti vantaggi in pazienti con malattiacardiovascolare. Numerose pubblicazioni provenientidall’Antithrombotic Trialists’ Collaboration hannoconcluso che i pazienti con malattia cardiovascolarepresenteranno una riduzione del rischio di successivieventi cardiovascolari del 25% grazie all’uso diASA57. Questi risultati possono essere applicati parti-colarmente a pazienti con CAD e malattia cerebrale.Una più recente metanalisi ha anche dimostrato chia-ramente che una bassa dose di ASA (75-160 mg) è pro-tettiva, e probabilmente più sicura in termini di san-guinamento gastrointestinale rispetto a dosi più alte.Così, le raccomandazioni attuali favorirebbero forte-mente l’uso di basse dosi di ASA nei pazienti con ma-lattia cardiovascolare. Tuttavia, la metanalisi Antith-rombotic Trialists’ Collaboration non ha trovato una ri-duzione statisticamente significativa di eventi cardio-vascolari in pazienti con AOP trattati con ASA che nonavevano altra evidenza di malattia vascolare in altri ter-

Raccomandazione 5. Uso di folati nell’arteriopa-tia periferica (AOP)

• I pazienti con AOP ed evidenza di altre malattiecardiovascolari non dovrebbero ricevere folatiper ridurre il rischio di eventi cardiovascolari[B].

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ritori58. In una più recente metanalisi che valutava piùtrial in cui i pazienti con AOP sono stati trattati non so-lo con ASA ma anche con clopidogrel, ticlopidina, di-piridamolo e picotamide, vi è stata una riduzione si-gnificativa del 23% di eventi ischemici in tutti i sotto-gruppi di pazienti con AOP. I farmaci antiaggregantisono indicati chiaramente nella gestione globale del-l’AOP, anche se l’efficacia dell’ASA è unanimementericonosciuta quando l’AOP e malattia cardiovascolarecoesistono59.

La picotamide, farmaco antiaggregante che inibiscela sintesi del trombossano A2 e antagonizza i recettoridel trombossano, determina una riduzione della morta-lità nel sottogruppo di pazienti con AOP che sono an-che diabetici60. In questo studio, il farmaco ha ridottosignificativamente tutte le cause di mortalità a 2 annima non l’incidenza di eventi cardiovascolari non fatali.Sulla base di questi dati può essere raccomandato l’usodella picotamide.

In aggiunta all’ASA, le tienopiridine sono una clas-se di antiaggreganti studiata in pazienti con malattiecardiovascolari. La ticlopidina è stata valutata in diver-si studi clinici in pazienti con AOP ed è stato riportatoche riduce il rischio di infarto miocardico, ictus e mor-te vascolare61. Tuttavia, l’utilità clinica della ticlopidi-na è limitata da effetti collaterali quali neutropenia etrombocitopenia. Il clopidogrel è stato studiato nellostudio CAPRIE ed è stato dimostrato che è efficace nel-la popolazione sintomatica per AOP a ridurre il rischiodi infarto miocardico, ictus e morte vascolare. Il bene-ficio globale in questo particolare gruppo era una ridu-zione del 24% del rischio relativo rispetto all’uso diASA32. Ciò indica che è necessario trattare 87 pazienticon clopidogrel rispetto ad ASA per prevenire un even-to. Il clopidogrel ha un profilo di sicurezza simile adASA, con rare segnalazioni di trombocitopenia. I pa-zienti sottoposti ad intervento chirurgico hanno un ri-schio aumentato di sanguinamento quando assumonoantitrombotici, inclusi eparina, ASA o clopidogrel. Co-sì, la sospensione temporanea di questi farmaci dovreb-be essere individualizzata in base al tipo di interventochirurgico, endovascolare/rivascolarizzazione per ri-durre il rischio di sanguinamento.

Recenti pubblicazioni in pazienti con sindromecoronarica acuta suggeriscono che la combinazioneterapeutica ASA e clopidogrel è più efficace rispettoal solo ASA, ma con un rischio di sanguinamentomaggiore62. Uno studio recente del clopidogrel com-binato con ASA (verso ASA da solo) è stato eseguitoin una popolazione ad alto rischio di pazienti con ma-lattia cardiovascolare confermata (includendo AOP) ein pazienti senza storia di malattia cardiovascolareche avevano molti fattori di rischio. Questo studio hamostrato che non c’è un beneficio globale attraversola combinazione di antipiastrinici in confronto conASA da solo riguardo a infarto miocardico, ictus emorte cardiovascolare63. Pertanto la doppia antiag-gregazione non può essere raccomandata in pazienti

con AOP stabile, e quindi se si prende in considera-zione il clopidogrel, questo dovrebbe essere usato inmonoterapia.

B2 Gestione economica e sanitariadei fattori di rischio

Per tutti i fattori di rischio, inclusa la cessazione del fu-mo, gli interventi più efficaci anche in termini di costo-beneficio sono quelli che combinano azioni regolamen-tate dal governo con interventi di prevenzione indivi-dualizzati. In altre parole, le leggi che riducono la quan-tità di sale aggiunto nei prodotti alimentari e che incre-mentano le tasse sul tabacco sono più efficaci degli in-terventi di prevenzione da soli, ma una combinazione diquesti sarebbe ottima64.

Il problema del trattamento dei fattori di rischio ri-guarda l’impatto, sul bilancio generale, del rinforzare ilrispetto delle linee guida pubblicate. Ciò è dovuto allegrandi dimensioni della popolazione a rischio e alla dif-ficoltà di organizzare il follow-up dei pazienti cronicitrattati da numerosi professionisti sanitari. Un’ulterioredifficoltà per i contribuenti è che i benefici sanitari edeconomici sono ritardati mentre le risorse per il tratta-mento devono essere impiegate subito. Studi sulla dis-lipidemia, diabete e ipertensione hanno mostrato che laconformità con le linee guida è efficace in termini dicosti, entro il range di 20-30 000$ per anno di vita gua-dagnato. Questo vale quando diversi fattori di rischiosono associati65,66.

L’efficacia e il rapporto costo-efficacia di un nume-ro di interventi riguardanti lo stile di vita, inclusi la ces-sazione del fumo, l’attività fisica e la dieta sono stativalutati dalla Cochrane Collaboration.

Raccomandazione 6. Terapia antipiastrinica nel-l’arteriopatia periferica (AOP)

• A tutti i pazienti sintomatici con o senza storiadi altre malattie cardiovascolari dovrebbe esse-re prescritta una terapia antipiastrinica a lungotermine per ridurre il rischio di morbilità e mor-talità cardiovascolare [A].

• L’ASA è efficace in pazienti con AOP chehanno evidenza clinica di altre forme di ma-lattie cardiovascolari (coronarica, carotidea)[A].

• L’uso di ASA può essere preso in considerazio-ne in pazienti con AOP che non hanno evidenzaclinica di altre forme di malattie cardiovascola-ri [C].

• Il clopidogrel è efficace nel ridurre gli eventicardiovascolari in un sottogruppo di pazienticon AOP sintomatica, con o senza evidenza cli-nica di altre malattie cardiovascolari [B].

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B2.1 Costo-efficacia degli interventi di cessazione del fumoPer la cessazione del fumo, l’intervento dei professio-nisti nella diagnosi e negli interventi (inclusi appunta-menti di follow-up, terapie di gruppo e di gomme allanicotina) è migliorato con il training, anche se l’effettoglobale sul tasso di cessazione è modesto. Tuttavia iltraining può essere costoso e, semplicemente fornendoprogrammi per i professionisti sanitari, senza affronta-re i vincoli imposti dalle condizioni in cui si pratica, èimprobabile che vi sia un sapiente utilizzo delle risorseper le cure sanitarie67. Consigliare i pazienti ad usare iservizi telefonici è una strategia efficace67.

Il costo del singolo consiglio è stimato di 5$ per pa-ziente, mentre il costo della consulenza è stimato di 51$per paziente. Agenti farmacologici in aggiunta alla con-sulenza possono incrementare il tasso di cessazione esono efficaci in termini di costi: supponendo che a lun-go termine chi smette di fumare aumenta la sua aspet-tativa di vita in media di 2 anni, il rapporto costo-effi-cacia di un intervento farmacologico aggiunto varia da1 a 3000$ per ogni anno di vita guadagnato68.

B2.2 Costo-efficacia degli interventi medianteesercizio fisicoGli interventi basati sull’esercizio sono eterogenei in-cludendo consulenze/consigli dati singolarmente o ingruppo; attività fisica autogestita o prescritta, supervi-sionata o non supervisionata; effettuata al domicilio opresso strutture; supporto fornito di presenza o telefoni-camente; materiale di insegnamento/motivazione scrittoe materiale educativo cartaceo e autocontrollo. Gli in-terventi possono essere effettuati da uno o più figureprofessionali includendo medici, infermieri, educatorisanitari, consiglieri, istruttori, allenatori e osservatori.Gli interventi hanno un effetto positivo di moderata en-tità nell’incrementare l’attività fisica, l’allenamento car-diorespiratorio almeno nel breve-medio termine69. Ipo-tizzando un’aderenza del 50% nel primo anno e del 30%negli anni successivi, il rapporto costo-efficacia dell’e-sercizio fisico non visionato è <12 000$ per anno di vi-ta guadagnato. L’esercizio supervisionato ha un rappor-to costo-efficacia che va da 20 000 a 40 000$ per annodi vita guadagnato (le strategie sono più efficaci negliuomini anziani con fattori di rischio multipli)70.

B2.3 Costo-efficacia degli interventi farmacologiciÈ difficile raccomandare un farmaco rispetto ad un al-tro per la modifica dei fattori di rischio considerando ilrapporto costo-beneficio, perché i prezzi del farmacosono soggetti a variazioni tra paesi e nel corso del tem-po. Anche se questo è vero per tutti gli interventi, il ca-so di un farmaco più recente usato nella prevenzionedei fattori di rischio cardiaco è particolare in quanto ibenefici medici di un trattamento rispetto ad un altrosono piccoli e quindi il rapporto costo-efficacia è forte-mente dipendente dal prezzo del farmaco. L’analisi glo-bale costo-efficacia sulla riduzione del rischio di malat-

tie cardiovascolari63 ha evidenziato che il trattamentocon una combinazione di statina, betabloccante, diure-tico e ASA era molto più efficace nell’evitare morte einvalidità. Qualora si prendano in considerazione an-tiaggreganti orali, presupponendo un costo massimo di20 000-40 000£ per un ulteriore miglioramento dellaqualità della vita annuo (QALY), il clopidogrel potreb-be essere considerato dotato di un buon rapporto costo-efficacia per trattamenti della durata di 2 anni in pa-zienti con AOP. Per una durata del trattamento a vita ilclopidogrel potrebbe essere considerato in termini dicosto-efficacia più favorevole dell’ASA se non si con-siderano gli effetti del trattamento sui decessi non va-scolari71.

Poiché recenti studi hanno spesso fallito nel dimo-strare un beneficio sulla mortalità, l’efficienza dei trat-tamenti farmacologici è stata misurata in “costo perevento maggiore allontanato” ed è quindi non parago-nabile “al costo per anno di vita acquisito”, anche se c’èuna relazione tra le due. Per esempio, il rapporto costo-efficacia di 40 mg/die di simvastatina in pazienti ad al-to rischio è di 4500£ (IC 95% 2300-7400) per ognievento vascolare maggiore evitato, ma il risultato è al-tamente influenzato dal costo della statina. In questocontesto, è probabile che l’uso di una statina generica sirivelerebbe più vantaggioso72.

Per pazienti ad alto rischio cardiovascolare, l’uso diACE-inibitori appare molto efficace in termini di costiin molti paesi, come dimostrano i risultati dello studioHOPE: meno di 10 000$ per ogni caso evitato nei varipaesi sviluppati dove sono state effettuate le analisieconomiche73.

In conclusione, la strategia scelta per la gestione delrischio può differire a seconda che si tratti di prospetti-ve individuali o di popolazione. In una prospettiva di po-polazione con obiettivo di sostenibilità e di accesso, gliinterventi pubblici da preferire sono la riduzione del fu-mo, dell’apporto di sale e di grassi combinata con la pre-scrizione di farmaci generici a basso prezzo. Se è consi-derata una prospettiva individuale i farmaci più recenti epiù costosi offrono ulteriori benefici per la salute.

B3 Aspetti futuri per il controllo dei fattoridi rischio ischemico

È chiaro che riducendo il livello di ogni fattore di ri-schio, quali pressione arteriosa e colesterolo LDL, laprognosi può migliorare. Tuttavia non è chiaro qualisiano i valori ottimali nella popolazione generale e nel-l’individuo con malattia. Gli studi futuri sono anche ne-cessari per definire le linee guida nelle diverse presen-tazioni cliniche: la pressione arteriosa dovrebbe essereabbassata a 140/90 mmHg in pazienti con AOP, o do-vrebbe essere ancora più bassa? Tali valori sono validianche per l’ischemia critica della gamba? C’è una cur-va a forma di J (un rischio aumentato a valori di pres-sione molto bassa)? Modificare più fattori di rischio è

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almeno tanto vantaggioso quanto modificarne uno so-lo? Una combinazione terapeutica con diversi farmacisarà inevitabile. Tuttavia, qual è la compliance dei pa-zienti che devono seguire tale terapia di associazione?Gli studi futuri dovrebbero chiarire se una “polipillola”(diversi farmaci in una sola pillola) potrà aiutare a otte-nere una migliore modificazione dei fattori di rischio.Dovrebbero essere fatti dei calcoli concernenti il rap-porto tra i costi della terapia di associazione terapeuti-ca e il cambiamento della prognosi a lungo termine. Ildiabete aumenta il rischio cardiovascolare globale; gliattuali obiettivi per abbassare la pressione arteriosa econtrollare l’assetto lipidico sono sufficienti per con-trollare questo rischio? Sono necessari degli studi perdimostrare se la scelta dei farmaci antipertensivi deveessere guidata dalla loro influenza sulla resistenza al-l’insulina o su altri parametri metabolici. Sta diventan-do evidente che i processi infiammatori svolgono unruolo importante nell’aterosclerosi. Non è ancora chia-ro se i farmaci che hanno come “target” l’infiammazio-ne cronica (antibiotici) potrebbero aggiungere alla ge-stione dei fattori di rischio tradizionali un contributocirca il controllo della progressione dell’aterosclerosi.

B4 Coesistenza di malattia coronarica

La prevalenza di CAD in pazienti con AOP è alta e au-menta fortemente il rischio di mortalità cardiaca e di mor-bilità in questi pazienti (vedere sezione A4.1)4,26. Quinditutti i pazienti con AOP dovrebbero essere considerati adalto rischio per CAD clinicamente significativa, per laquale esistono diverse linee guida74,75. I pazienti dovreb-bero essere quindi valutati per evidenziare la CAD.

La decisione di trattare una CAD coesistente do-vrebbe basarsi sulle attuali terapie standard e i pazientiche hanno sintomi instabili (sindrome coronarica acuta,scompenso cardiaco) dovrebbero consultare un cardio-logo per un’appropriata diagnosi e terapia. Per i pa-zienti con CAD stabile, il trattamento dovrebbe essereguidato dalla severità dei sintomi e dalle condizioni dicomorbilità. Molti pazienti con gravi sintomi cardiacirichiederanno angiografia coronarica per determinare ilmezzo più appropriato per la rivascolarizzazione76. Tut-ti i pazienti dovrebbero ricevere un’appropriata terapiamedica per il trattamento dei sintomi e dei fattori di ri-schio aterosclerotici.

Gli score di valutazione cardiaca possono essere uti-li riguardo a pazienti che devono essere considerati perla rivascolarizzazione periferica. Nei pazienti con sco-re ad alto rischio, le attuali linee guida raccomandanouna valutazione del paziente per una possibile rivasco-larizzazione coronarica. Tuttavia, nello studio Coro-nary Artery Revascularization Prophylaxis (CARP), larivascolarizzazione coronarica non ha ridotto la morta-lità globale o l’infarto miocardico perioperatorio in pa-zienti con malattia vascolare periferica che sono staticonsiderati ad alto rischio per complicanze periopera-

torie e che avevano una CAD significativa77. Inoltre, ipazienti che hanno subito una rivascolarizzazione coro-narica hanno più tempo per un intervento vascolare ri-spetto a pazienti che non lo hanno effettuato. Pertanto,la strategia di una rivascolarizzazione coronarica prece-dente all’intervento di chirurgia vascolare non dovreb-be essere perseguita.

Nella maggior parte dei pazienti l’uso perioperato-rio di agenti betabloccanti è associato a un ridotto ri-schio cardiovascolare. Recenti studi hanno mostratoche i betabloccanti come il bisoprololo riducono signi-ficativamente il rischio di eventi cardiovascolari duran-te l’intervento chirurgico e dopo78,79. Oltre il controllodei sintomi di ischemia miocardica, il trattamento conbetabloccanti influenza favorevolmente la prognosi diquesti pazienti80.

B5 Coesistenza di malattia carotidea

Anche la prevalenza di malattia carotidea in pazienticon AOP è alta e i pazienti con AOP hanno un rischioaumentato di eventi cerebrovascolari. La valutazionedella circolazione carotidea dovrebbe essere indicatasulla base di una storia di attacco ischemico transitorioo ictus. Ulteriori valutazioni e l’indicazione a un inter-vento di rivascolarizzazione dovrebbero basarsi sulleattuali linee guida81,82.

Raccomandazione 8. Uso di agenti betabloccantiprima dell’intervento di chirurgia vascolare

• In assenza di controindicazioni, i betabloccantidovrebbero essere somministrati perioperatoria-mente a pazienti con AOP che devono essere sot-toposti a intervento di chirurgia vascolare al finedi ridurre la morbilità e la mortalità cardiaca [A].

Raccomandazione 7. Trattamento della malattiacoronarica (CAD) in pazienti con malattia vasco-lare periferica

• Pazienti con evidenza clinica di CAD (angina,insufficienza cardiaca congestizia) dovrebberoessere valutati e gestiti secondo le linee guidaattuali [C].

• I pazienti con AOP e indicazione a chirurgia va-scolare possono essere sottoposti a ulteriorestratificazione del rischio e quelli ad alto rischiodevono essere gestiti in base alle attuali lineeguida per la rivascolarizzazione coronarica [C].

• La rivascolarizzazione coronarica di routine inprevisione dell’intervento vascolare non è rac-comandata [A].

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B6 Coesistenza di malattia renale

I pazienti con AOP sono a rischio aumentato di iperten-sione renovascolare. Il trattamento del paziente conAOP e malattia renale aterosclerotica è incentrato sulcontrollo dell’ipertensione e sulla conservazione dellafunzione renale. In tali casi, la valutazione e il tratta-mento dovrebbero essere basati sulle attuali linee gui-da5,83,84.

Questi pazienti dovrebbero essere valutati da unospecialista dell’area cardiovascolare.

SEZIONE CCLAUDICATIO INTERMITTENS

C1 Caratterizzazione dei pazienti

C1.1 Definizione della claudicatio intermittens e dei sintomi alla gamba nell’arteriopatia perifericaLa maggior parte dei pazienti con AOP hanno limitateprestazioni fisiche e abilità di camminare. Di conse-guenza, l’AOP è associata a ridotta funzione fisica equalità di vita. In pazienti con AOP, il sintomo classicoè la CI, che è un dolore muscolare agli arti inferiori ri-producibile con l’esercizio e alleviato dal riposo entro10 min. I pazienti possono descrivere affaticamentomuscolare, dolore o crampi da sforzo che sono allevia-ti dal riposo. I sintomi sono più comunemente localiz-zati al polpaccio, ma possono anche interessare la co-scia o i glutei. Una tipica claudicatio si verifica in unmassimo di un terzo di tutti i pazienti con AOP. Signi-ficativamente, i pazienti senza claudicatio classica han-

Raccomandazione 10. Trattamento della malattiarenale nei pazienti con arteriopatia periferica(AOP)

• Qualora si sospetti in pazienti con AOP una ma-lattia dell’arteria renale evidenziata da iperten-sione scarsamente controllata o da insufficienzarenale, i pazienti dovrebbero essere trattati inaccordo alle attuali linee guida ed essere valu-tati da uno specialista dell’area cardiovascolare[C].

Raccomandazione 9. Trattamento della malattiacarotidea in pazienti con arteriopatia periferica(AOP)

• Il trattamento della malattia carotidea sintoma-tica in pazienti con AOP dovrebbe essere basa-to sulle attuali linee guida [C].

no limitazioni nel camminare che possono essere asso-ciate a sintomi atipici o ad assenza di essi85. Sintomi ti-pici di claudicatio possono non verificarsi nei pazientiche hanno comorbilità che impediscono attività suffi-ciente a produrre sintomi all’arto (IC congestizia, ma-lattia polmonare grave, malattia muscolo-scheletrica) oin pazienti che sono così decondizionati da non effet-tuare esercizio fisico. Pertanto, i pazienti sospettati diavere AOP dovrebbero essere interrogati circa le limi-tazioni che accusano durante l’esercizio che coinvolgagli arti inferiori e che limiti la loro capacità di cammi-nare.

L’AOP è causata da aterosclerosi che conduce a ste-nosi arteriosa ed occlusione dei vasi principali cheriforniscono le estremità inferiori. I pazienti con CIhanno normale flusso sanguigno a riposo (e, quindi,non hanno sintomi a riposo). Con l’esercizio, lesioniocclusive dei vasi che irrorano i muscoli della gamba li-mitano l’incremento del flusso sanguigno, determinan-do una mancata corrispondenza tra apporto di ossigenoe domanda metabolica muscolare, che è associata con isintomi di claudicatio. Anomalie metaboliche acquisiteai muscoli delle estremità inferiori possono contribuirea ridurre le prestazioni fisiche nei pazienti con AOP.

C1.2 Diagnosi differenzialeLa Tabella C1 mostra la diagnosi differenziale della CI;la Tabella C2 mostra le potenziali cause di lesioni oc-clusive delle arterie degli arti inferiori che possono cau-sare claudicatio.

C1.3 Esame obiettivoL’esame obiettivo dovrebbe valutare il sistema circola-torio nel suo complesso. Le componenti chiave dell’e-same generale includono la misurazione della pressio-ne arteriosa in entrambe le braccia, la valutazione disoffi cardiaci, ritmo di galoppo o aritmie, e la palpazio-ne per ricercare un aneurisma dell’aorta addominale(che, tuttavia, non lo esclude). Aspetti meno specificidell’esame obiettivo per AOP includono i cambiamentidi colore e di temperatura della cute dei piedi, l’atrofiamuscolare dovuta all’inabilità all’esercizio, crescita deipeli ridotta e lenta crescita delle unghie. La presenza disoffi alla carotide, all’aorta o alla femorale possono na-scere da turbolenze e suggerisce un’arteriopatia signifi-cativa. Tuttavia, l’assenza di un soffio non esclude lamalattia arteriosa.

La valutazione specifica dei vasi periferici richiedela palpazione dei polsi delle arterie carotide, brachiale,radiale, ulnare, femorale, poplitea, pedidia dorsale e ti-biale posteriore. L’arteria tibiale posteriore è palpata almalleolo mediale. In un piccolo numero di adulti sani,la pulsazione della pedidia dorsale, sul dorso del pie-de, può essere assente a causa di una diramazione del-l’arteria tibiale anteriore a livello della caviglia. Inquesta situazione il polso della tibiale anteriore può es-sere rilevato e valutato alla caviglia. Inoltre, il ramoterminale dell’arteria peroneale può essere palpato al

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malleolo laterale. Per semplicità, le pulsazioni posso-no essere classificate da 0 (assente), 1 (diminuita) e 2(normale). Una pulsazione rilevante alla femorale o al-la poplitea dovrebbe sollevare il sospetto di un aneuri-sma. Una diminuita o assente pulsazione femoralesuggerisce un’occlusione dell’asse aorto-iliaco, che ri-duce il flusso all’arto. Al contrario, una normale pul-sazione femorale con assenza di pulsazione al piede,suggerisce una significativa arteriopatia obliterantenella gamba con afflusso preservato. Le pulsazioni do-vrebbero essere valutate in entrambe le gambe e leanormalità delle pulsazioni correlate con sintomi allagamba in modo da determinare il lato interessato dallamalattia.

I pazienti con un’occlusione isolata di un ramo del-l’iliaca interna (ipogastrica) possono avere pulsazionifemorali e pedidie normali a riposo e dopo esercizio,ma claudicatio alle natiche (e impotenza nei maschi).Sintomi simili possono verificarsi in pazienti con ste-

Raccomandazione 11. Anamnesi ed esame obiet-tivo in pazienti con sospetta arteriopatia periferica(AOP)

• Individui con fattori di rischio per AOP, sintomiall’arto da sforzo o ridotta funzione dell’artodovrebbero sottoporsi a valutazione della storiavascolare per valutare i sintomi di claudicatio oaltri sintomi che limitano la capacità di cammi-nare [B].

• I pazienti a rischio per AOP o i pazienti con ri-dotta funzione dell’arto dovrebbero ricevereuna valutazione dei polsi vascolari periferici[B].

• I pazienti con storia o esame suggestivi di AOPdovrebbero essere valutati mediante test obiet-tivi, incluso l’ABI [B].

nosi dell’arteria iliaca comune o esterna. Questi pa-zienti possono anche avere normale pulsazione a ripo-so, ma perdita della pulsazione pedidia dopo esercizio.La perdita della pulsazione pedidia coincide con un ca-lo di pressione alla caviglia dovuto all’incapacità deigrandi vasi (in presenza di malattia occlusiva) di forni-re un flusso sufficiente per mantenere la pressione di-stale con vasodilatazione muscolare durante l’eserci-zio.

Nonostante l’utilità della valutazione dei polsi, il ri-scontro di assenza di pulsazione pedidia tende a sovra-diagnosticare l’AOP, mentre se il sintomo della claudi-catio classica è usato per identificare l’AOP, esso tendea sottodiagnosticare l’AOP86. Quindi, in pazienti conAOP sospetta, la diagnosi di AOP deve essere confer-mata con test non invasivi usando l’ABI o altre tecnicheemodinamiche o di imaging descritti di seguito.

C2 Diagnosi e valutazione dei pazienticon arteriopatia periferica

C2.1 Misurazioni della pressione alla caviglia(indice caviglia-braccio)La misurazione della pressione alla caviglia è divenutauna parte standard della valutazione iniziale dei pa-zienti con sospetta AOP. Un metodo comune di misura-zione utilizza uno sfigmomanometro a bracciale di 10-12 cm posto al di sopra della caviglia e uno strumentoDoppler usato per misurare la pressione sistolica dellatibiale posteriore e della pedidia dorsale di ciascunagamba. Queste pressioni sono poi rapportate alle pres-sioni brachiali di ciascun braccio per formare l’ABI. Lagamba-indice è considerata la gamba con ABI più bas-so.

L’ABI fornisce informazioni considerevoli. UnABI ridotto in pazienti sintomatici conferma l’esisten-za di malattia vascolare occlusiva emodinamicamentesignificativa nel distretto compreso tra cuore e cavi-glia, un più basso ABI indica una maggiore severitàemodinamica della malattia occlusiva. L’ABI può ser-vire come ausilio nella diagnosi differenziale in queipazienti che presentano dolore alla gamba connesso al-l’esercizio da cause non vascolari che avranno unanormale pressione alla caviglia a riposo e dopo eserci-zio. Nei pazienti con AOP che non hanno claudicatioclassica (sono asintomatici o hanno sintomi atipici) unABI ridotto è associato fortemente a ridotta funzionedell’arto. Questo è definito da una ridotta velocità dicammino o una più breve distanza percorsa al test dei6 min. Da una prospettiva sistemica, un ABI ridotto èun potente predittore di rischio di eventi cardiovasco-lari futuri, come discusso nella sezione B1.1. Questorischio è correlato al grado di riduzione dell’ABI (unABI più basso predice un rischio più alto) ed è indi-pendente dagli altri fattori di rischio standard. L’ABIquindi ha il potenziale di provvedere ad una stratifica-zione addizionale del rischio in pazienti con rischio,

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Tabella C2. Potenziali cause di lesioni occlusive delle arterie de-gli arti inferiori che possono causare claudicatio.

Aterosclerosi (arteriopatia periferica)ArteriteCoartazione dell’aorta congenita o acquisitaEndofibrosi dell’arteria iliaca esterna (sindrome dell’arteria ilia-

ca nei ciclisti)Displasia fibromuscolareEmbolia perifericaAneurisma popliteo (associato a tromboembolia)Cisti avventiziale dell’arteria popliteaIntrappolamento dell’arteria popliteaTumori vascolari primariPseudoxantoma elasticumPregresso trauma o danno da irradiazioneMalattia di TakayasuTromboangioite obliterante (morbo di Buerger)Trombosi di un’arteria sciatica persistente

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secondo la carta di Framingham, del 10-20% a 10 an-ni; in questi casi il riscontro di un ABI anormale po-trebbe spostare il paziente verso un livello di rischiopiù alto che necessita di prevenzione secondaria, men-tre un ABI normale potrebbe abbassare la stima del ri-schio indicando la necessità di una prevenzione prima-ria (Figura B1).

L’ABI dovrebbe diventare una misurazione di routi-ne nella pratica della medicina di base. Usato in questocontesto come screening dei pazienti di 50-69 anni chesono anche diabetici o fumatori o come screening ditutte le persone di età >70 anni ha evidenziato una pre-valenza di AOP del 29%. La riproducibilità dell’ABIvaria in letteratura, ma è abbastanza significativo che sirilevi una variazione di 0.15 in una misurazione isolatain una visita standard perché sia considerata clinica-mente rilevante, o >0.10 se associata ad un cambia-mento di stato clinico. Punto tipico di cut-off per la dia-gnosi di AOP è un ABI ≤0.90 a riposo. Il valore di unABI ridotto è così riassunto:- conferma la diagnosi di AOP,- rileva AOP significativa in soggetti asintomatici (se-dentari),- è usato nella diagnosi differenziale di sintomi allagamba per identificare un’eziologia vascolare,- identifica i pazienti con ridotta funzione dell’arto (in-capacità a percorrere una determinata distanza o dicamminare alla velocità usuale),- fornisce informazioni chiave sulla prognosi a lungotermine, con un ABI ≤ 0,90 associato ad un rischio 3-6volte maggiore di mortalità cardiovascolare,- fornisce un’ulteriore stratificazione del rischio, indi-cando un ABI più basso una prognosi peggiore,- si associa fortemente a malattia coronarica e cerebrale,- può essere utilizzato per un’ulteriore stratificazionedel rischio in pazienti con rischio secondo lo score diFramingham tra il 10 e il 20%.

In alcuni pazienti con diabete, insufficienza renale oaltre malattie che causano calcificazioni vascolari i va-

Raccomandazione 12. Raccomandazioni per loscreening dell’indice caviglia-braccio (ABI) perrilevare l’arteriopatia periferica nel singolo pa-ziente

Un ABI dovrebbe essere misurato in:• Tutti i pazienti che hanno sintomi da sforzo al-

la gamba [B].• Tutti i pazienti di 50-69 anni che hanno fattori

di rischio cardiovascolare (particolarmente dia-bete o fumo) [B].

• Tutti i pazienti di età ≥70 anni indipendente-mente dagli altri fattori di rischio [B].

• Tutti i pazienti con Framingham risk score del10-20% [C].

si tibiali alla caviglia diventano non comprimibili. Que-sto porta ad una falsa elevazione della pressione alla ca-viglia. Questi pazienti tipicamente hanno un ABI >1.40ed in alcuni di questi pazienti, il segnale Doppler allacaviglia non può essere obliterato spesso anche con unapressione del manicotto di 300 mmHg. In questi pa-zienti ulteriori test diagnostici non invasivi dovrebberoessere eseguiti per valutare se il paziente ha un’AOP.Test alternativi includono la misurazione della pressio-ne arteriosa all’alluce, registrazione del volume di pol-so, pulsossimetria o imaging vascolare (più comune-mente con eco-Doppler). Quando uno di questi test èanormale può essere fatta diagnosi di AOP attendibil-mente.

C2.2 Test ergometrico per stabilire la diagnosidi arteriopatia perifericaCome discusso prima, i pazienti con claudicatio chepresentano una stenosi iliaca isolata possono non averealcun calo della pressione al di là della stenosi a riposoe, quindi, un normale ABI a riposo. Tuttavia, l’aumen-tata velocità di flusso indotta dall’esercizio potrà ren-dere tali lesioni emodinamicamente significative. Aqueste condizioni l’esercizio indurrà una riduzione del-l’ABI che può essere rilevato nell’immediato periododi recupero e quindi far porre la diagnosi di AOP. Laprocedura richiede una misurazione iniziale dell’ABI ariposo. Al paziente viene poi chiesto di camminare [ti-picamente su un treadmill a 3.2 km/h (2 mph), con unainclinazione del 10-12%] fino a quando si verifica do-lore di claudicatio (o fino a un massimo di 5 min); suc-cessivamente, la pressione alla caviglia viene nuova-mente misurata. Una riduzione dell’ABI del 15-20% èdiagnostica di AOP. Se non è disponibile un treadmilll’esercizio può essere effettuato salendo i gradini o per-correndo il corridoio.

C2.3 Test alternativi in pazienti che non possonoeseguire il test al treadmillAd alcuni gruppi di pazienti non dovrebbe essere ri-chiesto il treadmill test, inclusi quelli che hanno steno-si aortica severa, ipertensione non controllata o pazien-ti con altre comorbilità che limitano l’esercizio, inclu-dendo l’insufficienza cardiaca congestizia avanzata o lamalattia polmonare ostruttiva87.

I pazienti che non possono eseguire l’esercizio sutappeto possono essere testati con un’attiva flessioneplantare del piede. Essa ha dimostrato un’eccellentecorrelazione con il treadmill test e potrebbe essereconsiderata una valida alternativa a questo. Una se-conda alternativa consiste nel gonfiare un manicotto alivello della coscia ben al di sopra della pressione si-stolica per 3-5 min, producendo un analogo grado diiperemia reattiva. La riduzione della pressione alla ca-viglia nei 30 s dopo lo sgonfiaggio del bracciale cor-risponde approssimativamente a quella osservata 1min dopo l’insorgenza della claudicatio sul tappeto.

TASC II Documento di Consenso InterSocietario TransAtlantico

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Purtroppo molti pazienti non tollerano il dolore asso-ciato con tale grado e durata di insufflazione del ma-nicotto, e nei moderni laboratori vascolari esso è ese-guito raramente.

La discussione di ulteriori test diagnostici per stabi-lire la diagnosi di AOP si trova nella sezione G.

La Figura C2 mostra un algoritmo per la diagnosi diAOP.

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G Ital Cardiol Vol 8 Suppl 2-12 2007

Figura C1. Misurazione dell’indice caviglia-braccio (ABI).

ABI destro = rapporto tra

massima pressione sistolica alla caviglia destra (posterotibiale o pedidia dorsale)

massima pressione sistolica al braccio (destro o sinistro)

ABI sinistro = rapporto tra

massima pressione sistolica alla caviglia sinistra (posterotibiale o pedidia dorsale)

massima pressione sistolica al braccio (destro o sinistro)

- Età 50-69 anni e fumo o diabete

-età ≥70 anni

-Presentazione di sintomi alle gambe con l'esercizio e ridotta

funzione fisica

-Esame vascolare anormale della gamba

-Valutazione del rischio cardiovascolare

Misura dell’indice caviglia-braccio (ABI)

>1.40 0.91-1.40 ≤0.090

Sintomi della claudicatio

- ABI test al treadmill

Normale ABI post-esercizio:

no PAD

Altre cause valutate

Malattia arteriosa periferica

Riduzione dell’ABI

dopo l’esercizio

Laboratorio vascolare:

-TBI o VWF

-Duplex imaging

-PVR

Risultati normali: no PAD Risultati anormali

Figura C2. Algoritmo per la diagnosi di arteriopatia periferica (AOP). PVR = valutazione del volume del polso; TBI = indice alluce-braccio; VWF =morfologia dell’onda sfigmica. Riprodotta con il permesso da Hiatt (N Engl J Med 2001; 44: 1608-21).

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C3 Valutazione del trattamento dellaclaudicatio intermittens nella pratica clinica

La CI è una forma di AOP che limita profondamente lacapacità del paziente di camminare e di conseguenza èassociata ad una ridotta performance fisica. Questa ri-duzione nella performance fisica può essere facilmentequantificata mediante il treadmill test che valuta il tem-po di insorgenza del dolore di claudicatio (insorgenzadi claudicatio) e il tempo massimo di cammino. Iltreadmill test consente inoltre al medico di stabilire sel’esercizio determina l’insorgenza di un dolore tipico diclaudicatio o di altri sintomi che limitano l’esercizio.Questa valutazione può anche guidare la terapia, perchése la claudicatio non è il principale sintomo che limital’esercizio fisico allora non sono indicate terapie speci-fiche per la claudicatio. Una volta stabilito che la clau-dicatio è il sintomo principale che limita l’esercizio, al-lora il principale obiettivo terapeutico diviene quello dialleviare i sintomi durante la deambulazione, migliora-re la performance fisica e le attività sociali. Un tratta-mento appropriato della claudicatio deve affrontare ladisabilità dell’arto inferiore e il coinvolgimento siste-mico della malattia. Idealmente, il trattamento darà luo-go a un miglioramento della condizione vascolare dientrambi gli arti inferiori e ridurrà il rischio di eventicardiovascolari fatali e non fatali. Nei trial clinici sullaterapia della claudicatio, l’endpoint primario è di solitoil tempo/distanza massimi di cammino percorso altreadmill o il tempo/distanza per l’insorgenza di clau-dicatio88. Gli stessi parametri possono essere utilizzatiper determinare i benefici clinici della terapia nel sin-golo paziente. In aggiunta, modifiche del Medical Out-comes Short Form 36 (SF-36) o del Walking Impair-ment Questionnaire (WIQ) servono come misure pa-ziente-specifiche per valutare l’effetto del trattamento.Una valutazione completa dei risultati del trattamentonel claudicante richiede inoltre l’uso di parametri siaclinici che paziente-specifici.

C4 Trattamento della claudicatiointermittens

C4.1 La strategia complessiva e il trattamentodi base per la claudicatio intermittens C4.1.1 La strategia complessivaI pazienti con claudicatio hanno un’ischemia reversibi-le del muscolo mentre camminano, caratterizzata dacrampi e ischemia nel muscolo affetto. Questi sintomidanno luogo ad una limitazione severa durante laperformance dell’esercizio e nell’abilità di camminare.La limitazione all’esercizio è associata a una marcatariduzione della distanza percorsa, della velocità di cam-mino e della funzione globale. I pazienti con claudica-tio sono limitati fisicamente e, perciò, lo scopo del trat-tamento è alleviare i sintomi, migliorare la performan-ce dell’esercizio e le capacità funzionali quotidiane.L’approccio iniziale al trattamento dei sintomi dell’ar-to dovrebbe focalizzarsi su un esercizio strutturato e, inpazienti selezionati, sulla farmacoterapia per trattare lalimitazione all’esercizio della claudicatio (la modificadei fattori di rischio e la terapia antipiastrinica sono in-dicate per diminuire il rischio di eventi cardiovascolarie migliorare la sopravvivenza). La mancata risposta al-l’esercizio e/o alla farmacoterapia condurrebbe al livel-lo decisionale successivo che consiste nel considerarela rivascolarizzazione dell’arto. Tuttavia, nei pazienti incui è sospetta una lesione prossimale (claudicatio a li-vello delle natiche, e ridotto o assente polso femorale)il paziente potrebbe essere considerato per la rivascola-rizzazione senza essere sottoposto prima ad un’intensaterapia medica. La strategia complessiva è sintetizzatanella Figura C3.

C4.1.2 La riabilitazione all’esercizioNei pazienti con claudicatio, c’è una quantità conside-revole di evidenze a sostegno dei benefici clinici di unprogramma di esercizio sorvegliato nel migliorare l’e-secuzione dell’esercizio e l’abilità a camminare. Que-sto punto è stato completamente rivisto, sia in terminidi meccanismo dell’effetto dell’allenamento, che nellelinee guida pratiche per il programma di esercizio89,90.Alcuni studi hanno suggerito che è necessaria una su-pervisione di un certo livello per realizzare risultati ot-timali (le raccomandazioni generiche non ben struttu-rate date dal medico pare non diano luogo ad alcun be-neficio clinico). Negli studi prospettici basati sull’eser-cizio controllato condotto per 3 mesi o più, ci sonochiari aumenti nella performance dell’esercizio altreadmill e una diminuzione della gravità del dolore daclaudicatio durante l’esercizio91.

I predittori della risposta al programma di allena-mento includono il raggiungimento di un alto livello didolore da claudicatio durante le sedute di allenamentoe 6 mesi o più di allenamento formale e passeggiate (ri-spetto alle altre modalità di allenamento). Il training altreadmill si è dimostrato più efficace di un training in-tensivo o di modalità di training combinate. Tuttavia,

TASC II Documento di Consenso InterSocietario TransAtlantico

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Raccomandazione 13. Determinanti del successodel trattamento della claudicatio intermittens

L’accertamento degli outcome riguardanti il pa-ziente (includenti una storia focalizzata sul cam-biamento dei sintomi) è il punto più importante;tuttavia, se sono richieste misurazioni quantitativepossono essere usate le seguenti: 1. le misure obiettive includono un aumento nella

capacità dell’esercizio massimale al treadmill[B].

2. le misure riguardanti il paziente includerebberoun questionario sul miglioramento dello stato disalute specifico della malattia; o un questiona-rio generico sullo stato di salute relativo alla ca-pacità fisica [B].

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differenti modalità di allenamento all’esercizio sonostate utilizzate includendo un esercizio al cicloergome-tro degli arti superiori che è associato a una risposta altraining. I meccanismi di risposta all’esercizio di trai-ning sono stati esaminati preventivamente ed includonomiglioramenti dell’efficienza nel camminare, della fun-zione endoteliale e adattamenti metabolici del muscoloscheletrico90.

La prescrizione dell’esercizio dovrebbe essere ba-sata su sessioni di esercizio che vengono svolte 3 voltela settimana, cominciando con 30 min di training, au-mentando poi approssimativamente le sessioni ad 1 ora.Durante la sessione di training, l’esercizio al treadmillè compiuto ad una velocità e inclinazione tali da indur-re la claudicatio entro 3-5 min. Il paziente deve smette-re di camminare quando il dolore da claudicatio è con-siderato moderato (si verificherà una risposta al trai-ning meno ottimale quando il paziente si fermerà all’i-nizio della claudicatio). Il paziente allora dovrebbe ri-posarsi finché la claudicatio non sia diminuita, dopodi-ché il paziente dovrebbe riprendere a camminare fino aquando il dolore della claudicatio moderata si ripresen-ti. Questo ciclo di esercizio e riposo dovrebbe essere dialmeno 35 min all’inizio del programma ed aumentare

a 50 min quando il paziente si sente meglio con le ses-sioni di esercizio (ma evitando sempre la fatica ecces-siva e il disagio alla gamba). Nelle visite successive, lavelocità o l’inclinazione del treadmill vengono aumen-tati se il paziente è capace di camminare per 10 min opiù ad un carico di lavoro più basso senza arrivare al do-lore moderato da claudicatio. Sia la velocità che l’incli-nazione, possono essere aumentati, ma in particolarel’aumento dell’inclinazione è raccomandato se il pa-ziente può già camminare a 2 mph (3.2 km/h). Un ulte-riore obiettivo del programma è aumentare la velocitàdi cammino del paziente al di sopra di 3.0 mph (4.8km/h) rispetto alla velocità media di cammino del pa-ziente con AOP che è di 1.5-2.0 mph (approssimativa-mente 2.4-3.2 km/h).

Molti pazienti possono avere controindicazioni al-l’esercizio (severa CAD, limitazioni muscolo-schele-triche o danni neurologici). Altri pazienti possono nonessere disposti a partecipare alle sessioni supervisiona-te se vivono molto lontano dalla sede dove si effettual’esercizio, se un programma adatto di riabilitazionenon è disponibile nella loro zona, o se le spese a cui so-no esposti sono troppo alte. La prevalenza di controin-dicazioni ad un programma di esercizio varia dal 9 al

26S

G Ital Cardiol Vol 8 Suppl 2-12 2007

Malattia arteriosa periferica

Modifiche dei fattori di rischio:

-Smettere di fumare

-Colesterolo LDL <100 mg/dL

-LDL <70 mg/dL se ad alto rischio

-HbA1c < 7,0%

- PA < 140/90 mmHg

- PA < 130/80 mmHg se è presente malattia diabetica o

renale

-Terapia antipiastrinica

Assenza di limitazioni della qualità della vita o

riduzione della capacità di esercizio:

-monitorare il danno funzionale del paziente

Limitazione degli effetti sulla qualità della vita:

-Storia di significativa limitazione all’esercizio

o

-Ridotta performance al treadmill

o

- Ridotta funzione al questionario

Terapia medica della claudicatio

-Esercizio supervisionato o

farmacoterapia ( vedi sez. C.2.4.1)

Sospetta lesione prossimale

Miglioramento dei sintomi

Continua

Assenza di miglioramento dei sintomi

o peggioramento

Localizzare la lesione:

- angiografia convenzionale

- MRA o CTA

- Ultrasuoni

- localizzazione emodinamica

Rivascolarizzazione:

- endovascolare

- chirurgica

Figura C3. Trattamento strategico complessivo dell’arteriopatia periferica. CTA = angio-tomografia; HbA1c = emoglobina glicosilata; LDL = lipo-proteine a bassa densità; MRA = angio-risonanza; PA = pressione arteriosa. Riprodotta con il permesso di Hiatt (N Engl J Med 2001; 44: 1608-21).

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34% secondo la popolazione studiata. La limitazionemaggiore all’esercizio riabilitativo è la scarsa disponi-bilità di assegnare i pazienti ad un programma sorve-gliato. Sebbene la terapia fisica sia di efficacia provata,alcuni pazienti non vogliono continuare con un pro-gramma di esercizio per mantenere il beneficio. In ag-giunta, un programma di esercizio per la claudicatio, inun paziente con diabete che ha neuropatia distale seve-ra, può aggravare lesioni al piede in assenza di una cal-zatura appropriata.

C4.2 La farmacoterapia per la claudicatio intermittensI pazienti con CI dovrebbero tutti ricevere farmaci emodificazioni dello stile di vita per correggere i lorofattori di rischio cardiovascolare e trattare le comorbi-lità al fine di prevenire gli eventi cardiovascolari (l’in-farto miocardico, l’ictus e la morte) connessi all’atero-sclerosi. Tuttavia, questo approccio tipicamente non of-fre una riduzione significativa o l’eliminazione dei sin-tomi della claudicatio. La terapia farmacologica dellaclaudicatio prevede, per il sollievo dei sintomi, farmacidiversi rispetto a quelli utilizzati per la riduzione del ri-schio (un’eccezione può essere la terapia ipocolestero-lemizzante). Diverse categorie di farmaci sono state adogni modo proposte per il sollievo dei sintomi, con li-velli diversi di evidenza a supporto del loro uso. Nontutti i farmaci presentati in questa sezione sono univer-salmente disponibili; così il ricorso a certi agenti puòessere limitato in alcuni paesi. Infine, le opzioni tera-peutiche attuali non offrono lo stesso grado di beneficiodi un programma di esercizio sorvegliato o di una riva-scolarizzazione efficace.

C4.2.1 I farmaci con evidenza di utilità clinica nellaclaudicatio Da notare che non tutti questi farmaci sono disponibiliin ogni paese.

Cilostazolo. Il cilostazolo è un inibitore della fosfodie-sterasi III con attività vasodilatatrice, metabolica e an-

Raccomandazione 14. L’esercizio-terapia nellaclaudicatio intermittens

• L’esercizio sorvegliato dovrebbe essere reso di-sponibile come parte del trattamento inizialeper tutti i pazienti con AOP [A].

• I programmi più efficaci impiegano esercizi altreadmill o percorsi di camminata che sono diintensità sufficiente per indurre la claudicatio,seguiti dal riposo, nel corso di una sessione di30-60 min. Le sessioni di esercizio sono tipica-mente svolte 3 volte alla settimana per 3 mesi[A].

tipiastrinica. I benefici di questo farmaco sono stati de-scritti in una metanalisi di sei trial randomizzati e con-trollati, che includevano 1751 pazienti, 740 che assu-mevano placebo, 281 cilostazolo 50 mg 2 volte al gior-no (bid) e 730 cilostazolo 100 mg bid. I 73 pazienti cheavevano assunto cilostazolo 150 mg bid e i 232 trattaticon pentossifillina 400 mg 3 volte al giorno (tid) furo-no esclusi dall’analisi92. Questa analisi ha dimostrato ilnetto beneficio del cilostazolo sul placebo sull’end-point primario rappresentato dalla performance massi-ma al treadmill, in un range di 50-70 m, in base al tipodi test da sforzo effettuato. Il trattamento con cilostazo-lo ha avuto anche come risultato un miglioramentocomplessivo e significativo nella qualità della vita mi-surato dal WIQ e dallo SF-36. In uno studio che ha pa-ragonato il cilostazolo alla pentossifillina, il cilostazo-lo era più efficace93. Gli effetti collaterali includevanomal di testa, diarrea e palpitazioni. Un’analisi comples-siva sulla sopravvivenza dei 2702 pazienti ha rivelatoche la percentuale di eventi cardiovascolari gravi e dimortalità cardiovascolare e per tutte le cause erano si-mili tra i gruppi con trattati con farmaci e placebo94.Tuttavia, dal momento che il farmaco è nella classe deifarmaci inibitori della fosfodiesterasi III, non dovrebbeessere dato a pazienti con evidenza di scompenso car-diaco congestizio a causa di un possibile aumento delrischio di mortalità. Questo farmaco ha la migliore evi-denza complessiva di beneficio nel trattamento dei pa-zienti con claudicatio.

Naftidrofurile. Il naftidrofurile è stato disponibile per iltrattamento della CI per più di 20 anni in molti paesi eu-ropei. È un antagonista della 5-idrossitriptamina di tipo2 e può migliorare il metabolismo del muscolo e ridur-re l’aggregazione di eritrociti e piastrine. In una meta-nalisi di cinque studi che includevano un totale di 888pazienti con CI, il naftidrofurile ha aumentato la di-stanza di cammino libero dal dolore del 26% paragona-ta al placebo (p <0.003)95. Risultati simili, che mostra-no benefici nello svolgimento dell’esercizio al tread-mill e sulla qualità della vita, furono confermati in trerecenti studi su 1100 pazienti seguiti per 6-12 mesi96-98.In tutti e tre gli studi è stata somministrata la stessa do-se di 600 mg/die. Gli effetti collaterali erano minori enon differenti dal placebo; il più delle volte gli effetticollaterali che si verificavano nei diversi studi eranolievi disturbi gastrointestinali.

C4.2.2 Farmaci con evidenza in supporto dell’utilitàclinica nella claudicatio

La carnitina e la propionil-L-carnitina. I pazienti conmalattia arteriosa periferica sviluppano alterazioni me-taboliche nei muscoli scheletrici degli arti inferiori.Così la claudicatio non è semplicemente il risultato diun ridotto flusso ematico, ma le alterazioni del meta-bolismo del muscolo scheletrico sono parte della fisio-patologia della malattia. La L-carnitina e la propionil-

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L-carnitina interagiscono con il metabolismo ossidati-vo del muscolo scheletrico; questi farmaci sono asso-ciati ad un’aumentata performance durante l’esercizioal treadmill. La propionil-L-carnitina era più efficacedella L-carnitina nel migliorare la distanza di cammi-no durante l’esercizio al treadmill. In due trial multi-centrici con un totale di 730 pazienti, la distanza dicammino iniziale e massimale durante l’esercizio altreadmill è migliorata più con propionil-L-carnitinache con placebo99,100. Il farmaco ha migliorato anche laqualità della vita e aveva minimi effetti collaterali ri-spetto al placebo. Ulteriori trial in una vasta popola-zione di pazienti con claudicatio saranno necessari perstabilire l’efficacia complessiva e i benefici clinici diquesti farmaci.

I farmaci ipolipemizzanti. I pazienti con AOP hanno al-terazioni metaboliche ed endoteliali secondarie alla lo-ro aterosclerosi, che possono essere migliorate dalla te-rapia con statine. Ci sono molti studi promettenti chevalutano gli effetti delle terapie con statine sulla perfor-mance dell’esercizio. Sebbene i risultati siano prelimi-nari, la positività di molti trial suggerisce che sono ne-cessari ulteriori studi101,102. Per determinare i beneficiclinici di queste evidenze, quali la prevenzione dellaprogressione della malattia oltre che il sollievo dei sin-tomi, sono in corso degli studi.

C4.2.3 Farmaci con insufficiente evidenza di utilitàclinica nella claudicatio

Pentossifillina. La pentossifillina abbassa i livelli delfibrinogeno, migliora la deformabilità dei globuli ros-si e bianchi e riduce così la viscosità del sangue. Men-tre i primi trial erano positivi sul miglioramento del-l’endpoint dell’esercizio al treadmill, in un secondotempo alcuni studi dimostrarono che la pentossifillinanon era più efficace del placebo nel migliorare la di-stanza di cammino percorsa al test da sforzo o lo statusfunzionale stimato dai questionari. Molte metanalisihanno concluso che il farmaco è associato a modestiaumenti della distanza di cammino percorsa al tread-mill rispetto al placebo, ma i benefici clinici comples-sivi erano discutibili103-105. I benefici clinici della pen-tossifillina nel migliorare la qualità della vita del pa-ziente non sono stati valutati complessivamente. Seb-bene la tollerabilità del farmaco sia accettabile, non visono database ampi riguardo alla sicurezza della pen-tossifillina.

Emodiluizione isovolemica. L’emodiluizione isovole-mica è stata presa in considerazione per il trattamentodella claudicatio, presumibilmente perché riduce la vi-scosità del sangue intero, ma è ancora incerto se l’au-mento del flusso del sangue compensi la riduzione del-la capacità del sangue di trasportare l’ossigeno. I trial asostegno di questa terapia, che è solo di interesse stori-co, sono insufficienti.

Agenti antitrombotici. L’ASA e gli altri agenti antipia-strinici (il clopidogrel) sono importanti nel trattamentoa lungo termine di pazienti con AOP per ridurre il lororischio di eventi cardiovascolari con un’efficacia benstabilita. Tuttavia, nessuno studio ha mostrato un bene-ficio dei farmaci antipiastrinici o anticoagulanti neltrattamento della claudicatio106.

Vasodilatatori. I vasodilatatori arteriosi costituivano laprima classe di agenti usati per trattare la claudicatio.Alcuni esempi includono farmaci che inibiscono il si-stema nervoso simpatico (gli alfabloccanti), vasodilata-tori diretti (la papaverina), agonisti beta2-adrenergici (ilnilidrine), bloccanti dei canali del calcio (la nifedipina)e ACE-inibitori. Questi farmaci non hanno mostrato diavere efficacia clinica in trial randomizzati e controlla-ti107. Ci sono molti motivi teorici per i quali i vasodila-tatori non possono essere efficaci, includendo l’even-tualità che i farmaci vasodilatatori possano creare unfenomeno di furto dilatando vasi in tessuti normalmen-te perfusi, spostando così la distribuzione del flusso disangue lontano dai muscoli irrorati da arterie ostruite.

L-arginina. La L-arginina ha la capacità di migliorarel’ossido nitrico endotelio-derivato e, così, di migliorarela funzione endoteliale. Uno studio di supplemento nu-trizionale con L-arginina ha migliorato il tempo di cam-mino libero dal dolore ma non il tempo massimo dicammino108. Tuttavia, un recente studio sul trattamentocon L-arginina nell’infarto miocardico acuto non hamostrato nessun beneficio clinico ed un eccesso di mor-talità108. Sarebbero necessari ulteriori studi per deter-minare se questo trattamento abbia un beneficio e un ri-schio accettabile.

Inibitori dell’acil-coenzima A colesterolo acetiltransfe-rasi. I farmaci in questa classe possono ridurre l’accu-mulo di colesterolo nella placca arteriosa, modificandocosì la storia naturale dell’aterosclerosi. Uno studio conavasimibe nella claudicatio non ha dimostrato chiareevidenze di efficacia, ma possibili effetti avversi sui li-velli di colesterolo LDL109.

Antagonisti della 5-idrossitriptamina. La ketanserina èun antagonista selettivo dei recettori S2 della serotoni-na che abbassa la viscosità ematica e ha anche proprietàvasodilatatrici e antipiastriniche. Trial controllati suquesto farmaco non si sono mostrati efficaci nel tratta-mento della claudicatio110. Rilevante è il fatto che il far-maco è stato associato a un rischio aumentato di morta-lità in un sottogruppo di pazienti trattati con diuretici,precludendo il suo impiego per qualsiasi indicazio-ne111.

AT-1015 è un antagonista selettivo della 5-idrossi-triptamina che è studiato a dosaggi multipli nella clau-dicatio. Il farmaco era inefficace e c’erano problemi ditossicità alle dosi più alte. Pertanto, questo farmaco nonpuò essere raccomandato112.

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Il sarpogrelato ha mostrato promettenti risultati in364 pazienti studiati per 32 settimane senza problemi disicurezza113. Ulteriori trial saranno necessari per deter-minare i benefici complessivi e la sicurezza dei farma-ci di questa classe.

Prostaglandine. Le prostaglandine sono state usate indiversi studi condotti in pazienti con CLI con un cer-to successo nella guarigione della ferita e nella pre-servazione dell’arto. Nei pazienti con claudicatio, laprostaglandina E1 (PGE1) è stata meglio studiata. Lasomministrazione endovenosa di un precursore dellaPGE1 ha mostrato effetti positivi sulla performance altreadmill114. Molti studi sono stati compiuti con bera-prost orale. Mentre c’era un trial positivo in Europa,c’è n’è stato uno negativo negli Stati Uniti115,116. Seb-bene la somministrazione endovenosa di PGE1 possaavere modesti benefici, l’evidenza complessiva nonsupporta l’uso di questa classe di farmaci nella clau-dicatio.

Buflomedil. Il buflomedil ha effetti alfa1 e alfa2-adreno-litici che danno luogo a vasodilatazione. Questo farma-co ha anche effetti antipiastrinici, migliora la deforma-bilità dei globuli rossi e antagonizza debolmente i ca-nali del calcio. Due studi relativamente piccoli hannomostrato effetti marginalmente positivi sulla perfor-mance al treadmill117,118. Tuttavia, preoccupazioni sonostate rilevate sul “bias” di pubblicazioni di soli trial po-sitivi. Pertanto, l’evidenza è insufficiente per supporta-re l’uso di tale agente in questo momento.

Defibrotide. Il defibrotide è un polideossiribonucleoti-de con proprietà antitrombotiche ed emoreologiche.Diversi piccoli studi suggeriscono un beneficio clinico,ma un maggior numero di trial sarebbe necessario percapire meglio i benefici clinici ed alcuni rischi della te-rapia119-121.

Altri agenti. Molti studi hanno valutato il ruolo della vi-tamina E, della terapia chelante, degli acidi grassi ome-ga 3, del ginko-biloba e di una diminuzione dei livellidi omocisteina nel trattamento della claudicatio. Nes-suna di queste terapie si è dimostrata efficace.

C5 Trattamenti futuri per la claudicatio

I fattori di crescita angiogenetici. Il fattore di crescitaendoteliale vascolare (VEGF) e il fattore di crescita deifibroblasti (bFGF) basale sono agenti mitogeni che sti-molano lo sviluppo di nuovi vasi. Quando la proteinabFGF veniva somministrata a livello intra-arterioso, ipazienti con claudicatio avevano un miglioramento nel-la performance dell’esercizio122. Nuove applicazioni ri-lasciano l’agente come terapia genica mediante un vet-tore virale per via intramuscolare. Sfortunatamente, glistudi iniziali non hanno mostrato risultati positivi con ilVEGF123. Pertanto, ulteriori studi sono necessari perchiarire l’efficacia complessiva e i modi e la frequenzadi somministrazione dei fattori angiogenetici nel tratta-mento della claudicatio.

SEZIONE DISCHEMIA CRONICA CRITICA DEGLI ARTI

D1 Nomenclatura e definizioni

La CLI è una manifestazione dell’AOPAOP che inclu-de i pazienti con dolore ischemico cronico tipico a ri-poso (Tabella D1, classificazioni di Fontaine eRutherford) o pazienti con lesioni ischemiche trofiche,ulcere o gangrena. Il termine CLI dovrebbe essere usa-to solamente per i pazienti con malattia ischemica cro-

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Raccomandazione 15. La farmacoterapia per isintomi di claudicatio intermittens

• Un ciclo di cilostazolo da 3 a 6 mesi dovrebbeessere la terapia farmacologica di prima sceltaper il sollievo dei sintomi della claudicatio, sul-la scorta dell’evidenza mostrata sia nel miglio-ramento della performance dell’esercizio altreadmill che della qualità di vita [A].

• Il naftidrofurile può anche essere preso in con-siderazione per il trattamento dei sintomi dellaclaudicatio [A].

Tabella D1. Classificazione dell’arteriopatia periferica: stadiazione di Fontaine e classificazione di Rutherford.

Fontaine Rutherford

Stadio Clinica Grado Categoria Clinica

I Asintomatico 0 0 AsintomaticoIIa Claudicatio lieve I 1 Claudicatio lieveIIb Claudicatio moderata-severa I 2 Claudicatio moderata

I 3 Claudicatio severaIII Dolore ischemico a riposo II 4 Dolore ischemico a riposoIV Ulcere o III 5 Minore perdita tissutale

gangrena III 6 Maggiore perdita tissutale

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nica, definita come la presenza di sintomi per più di 2settimane. È importante notare che in questa sezione cisono dati disponibili limitati rispetto ad altre sezioni.Le popolazioni con CLI sono difficili da studiare per ilgran numero di pazienti persi durante il follow-up omorti negli studi longitudinali; ciò determina la raccol-ta di dati incompleti.

La diagnosi di CLI dovrebbe essere confermata dal-l’ABI, dalla pressione sistolica del dito del piede o dal-la tensione di ossigeno transcutanea. Il dolore ischemi-co a riposo si verifica più comunemente al di sotto diuna pressione alla caviglia di 50 mmHg o una pressio-ne del dito del piede <30 mmHg. Altre cause di dolorea riposo devono, pertanto, essere considerate in un pa-ziente con una pressione alla caviglia >50 mmHg, an-che se la CLI potrebbe essere la causa.

Alcune ulcere sono completamente di eziologiaischemica; altre inizialmente hanno altre cause (trauma-tiche, venose o neuropatiche) ma non guariscono a cau-sa della gravità dell’AOP sottostante. La guarigione ri-chiede una risposta infiammatoria e un’ulteriore perfu-sione rispetto a quella necessaria per la pelle integra e itessuti sottostanti. I livelli di pressione al dito del piedee alla caviglia necessari per la guarigione sono pertantopiù alti che le pressioni rilevate nel dolore ischemico ariposo. Per i pazienti con ulcere o gangrena, la presenzadi CLI è suggerita da una pressione alla caviglia <70mmHg o da una pressione sistolica al dito del piede <50mmHg (ciò è importante per capire che non c’è un con-senso completo riguardante i parametri emodinamicivascolari utilizzati per fare la diagnosi di CLI).

D1.1 Pazienti ritenuti a rischio per ischemia criticadegli artiUn sottogruppo di pazienti con AOP ricade al di fuoridella definizione sia di claudicatio che di CLI. Questipazienti hanno AOP severa con pressioni di perfusionebasse e basse pressioni sistoliche alla caviglia, ma sonoasintomatici. Sono di solito sedentari e, pertanto, nonpresentano claudicatio, oppure possono avere neuropa-tia diabetica e riduzione della percezione del dolore.Questi pazienti sono ritenuti a rischio per lo sviluppoclinico di CLI. La storia naturale di questo sottogruppocon AOP severa non è ben caratterizzata, ma ci si atten-de un eccesso di mortalità e di ricorso all’amputazione.Il termine di ischemia cronica subclinica è stato attri-buito a questo sottogruppo.

Raccomandazione 16. Definizione clinica diischemia critica degli arti (CLI)

• Il termine di CLI dovrebbe essere usato in tuttii pazienti con dolore ischemico cronico a ripo-so, ulcere o gangrena attribuibili alla malattiaocclusiva arteriosa obiettivamente provata. Iltermine CLI implica cronicità ed è distinto dal-l’ischemia acuta dell’arto [C].

La storia naturale di claudicatio documenta che po-chi pazienti progrediscono a CLI. Molti pazienti chepresentano CLI sono asintomatici prima del suo svilup-po54. Tuttavia, le indagini in questo campo sono caren-ti, chiaramente, per i pazienti asintomatici che possonoessere diagnosticati soltanto mediante una misurazionepiù routinaria dell’ABI.

D1.2 PrognosiÈ importante diagnosticare la CLI perché conferisce unalto rischio di perdita dell’arto e di eventi vascolari fa-tali e non fatali, infarto miocardico e ictus. In generale,la prognosi è peggiore rispetto a quella dei pazienti conCI. Studi osservazionali di pazienti con CLI che nonerano candidati alla rivascolarizzazione suggerisconoche 1 anno dopo l’insorgenza della CLI, soltanto lametà circa dei pazienti sopravvive senza un’amputa-zione maggiore, anche se alcuni di questi hanno dolo-re a riposo, gangrena o ulcere (vedere sezione A). Ap-prossimativamente il 25% muore e il 25% richiedeun’amputazione maggiore. La loro prognosi è in molticasi simile a quella di alcuni tumori maligni. La dia-gnosi di CLI predice così una scarsa prognosi per la vi-ta e per l’arto. I pazienti dovrebbero essere trattati conmodifiche aggressive dei loro fattori di rischio cardio-vascolari e con terapia antipiastrinica. Ultimamente èemerso che molte delle cure prestate ai pazienti conCLI sono palliative, pertanto è molto importante pren-dere in considerazione la rivascolarizzazione o l’am-putazione.

D2 Presentazione e valutazione clinica

D2.1 Il doloreLa CLI è dominata da dolore al piede (eccetto nei pa-zienti diabetici, in cui la sensazione di dolore superfi-ciale potrebbe essere alterata e potrebbero provare so-lamente dolori ischemici profondi, come la claudicatioal polpaccio e il dolore ischemico a riposo). Nella mag-gior parte dei casi, il dolore al piede è intollerabilmen-te severo; esso può rispondere a modificazioni postura-li del piede, ma altre volte risponde solo agli oppiacei.Il dolore è causato dall’ischemia, dalla perdita di tessu-to, dalla neuropatia ischemica o da una combinazionedi questi; esso si verifica o si aggrava con la riduzionedella pressione di perfusione. Nella maggior parte deicasi, la capacità di camminare è severamente disunita,diventando spesso quasi impossibile camminare.

Raccomandazione 17. Modifica del rischio car-diovascolare nell’ischemia critica degli arti (CLI)

• I pazienti con CLI dovrebbero modificare ag-gressivamente i loro fattori di rischio cardiova-scolare [A].

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Il dolore ischemico a riposo si verifica maggior-mente di notte, quando l’arto non è per lungo tempo inuna posizione declive, ma in casi gravi può essere con-tinuo. Il dolore è localizzato nella parte distale del pie-de o nelle vicinanze di un’ulcera ischemica o di un di-to del piede gangrenoso. Il dolore spesso sveglia di not-te i pazienti e li costringe a strofinare il piede, alzarsi, oa fare una breve passeggiata in giro per la stanza. Il sol-lievo parziale può essere ottenuto dalla posizione decli-ve, mentre l’elevazione e il freddo aumentano la gravitàdel dolore. Spesso i pazienti dormono con la loro gam-ba ischemica penzoloni dal bordo del letto, o sedendo-si su una poltrona; come conseguenza si sviluppa ede-ma alla caviglia e al piede. In casi gravi, il sonno divie-ne impossibile perché il dolore insorge soltanto dopoun breve periodo di riposo supino, causando in moltipazienti un ulteriore progressivo declino delle loro con-dizioni generali fisiche e psicologiche.

Il dolore ischemico a riposo è spesso accompagna-to da dolore causato da neuropatia ischemica periferica,il cui meccanismo non è ben stabilito. Questo determi-na un dolore lancinante severo e acuto che non seguenecessariamente la distribuzione anatomica dei nervima di solito è più pronunciato nelle parti distali dell’ar-to. Il dolore spesso si verifica di notte, con episodi chedurano da minuti ad ore, ma un dolore costante e conti-nuo rimane sempre di sottofondo. Il dolore ischemico ariposo non deve essere confuso con il dolore neuropati-co (vedere sezione D4.1).

D2.2 Ulcera e gangrenaI pazienti con CLI possono presentare anche ulcereischemiche o gangrena. È importante notare che alcunipazienti possono progredire dal dolore a riposo allaperdita di tessuto. Comunque, in molti pazienti, in par-ticolare quelli con neuropatia diabetica, la presentazio-ne iniziale avviene con un’ulcera neuroischemica ogangrena. Ci sono differenze significative tra pazienticon e senza diabete, in questa fase della CLI; queste so-no delineate nella sezione D2.4 che è dedicata specifi-camente alle ulcere del piede diabetico.

La gangrena colpisce di solito le dita o, in un pa-ziente costretto a letto, il tallone (poiché questo è unpunto di pressione). In casi gravi, la gangrena può coin-volgere le parti distali dell’avampiede. Essa è indotta disolito da un trauma locale minore. La pressione locale(l’uso di scarpe non appropriate) o lo sviluppo di calorelocalmente (che aumenta le richieste metaboliche) pos-sono anche condurre ad ulcera e alla formazione di gan-grena su altre sedi del piede o della gamba. Il tessutogangrenoso, se non infetto, può formare un’escara, puòrestringersi ed eventualmente mummificare e, se la cir-colazione sottostante è adeguata (o è stato fatto un trat-tamento adeguato) per sostenere il processo, può segui-re l’amputazione spontanea. A differenza delle lesioniaterosclerotiche focali e prossimali di AOP trovate tipi-camente negli altri pazienti ad alto rischio, nei pazienticon CLI e diabete le lesioni occlusive risultano solita-

mente più diffuse e distali, soprattutto per quanto ri-guarda le arterie infrageniculate. È importante notareche l’AOP in pazienti con diabete è accompagnata di so-lito da neuropatia periferica con danneggiamento delfeedback sensitivo e attivazione della progressione si-lente del processo ischemico. Così, un paziente con dia-bete e grave AOP asintomatica potrebbe avere anche unevento di fondamentale importanza che conduce adun’ulcera ischemica acuta e ad una situazione minac-ciante l’arto. Un esempio comune è l’uso di scarpe nuo-ve, strette o indossate male in un paziente con neuropa-tia. Così, di solito, un paziente asintomatico non dia-gnosticato può passare, improvvisamente, alla fase diCLI. Attraverso l’identificazione di un paziente con ma-lattia subclinica e l’istituzione di misure preventive, puòessere possibile evitare la CLI o almeno ricorrere a cureprecoci se il paziente sviluppa CLI.

D2.3 Diagnosi differenziale delle ulcereLa maggioranza delle ulcere della parte bassa dellagamba, sopra la caviglia, ha un’origine venosa mentrele ulcere del piede sono dovute più probabilmente al-l’insufficienza arteriosa (Figura D1).

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Figura D1. Frequenza approssimativa delle varie eziologie dell’ulcera.

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La Tabella D2 delinea le caratteristiche comuni del-le ulcere del piede e della gamba.

D2.4 Le ulcere del piede diabeticoMentre la CLI è un fattore di rischio significativo perla non guarigione delle ulcere del piede diabetico, es-sa non è il solo fattore maggiore associato allo svilup-po delle lesioni del piede diabetico. Le ulcere del pie-de diabetico sono discusse separatamente in questa se-zione. La Figura D2 dimostra la distribuzione delle ul-cere del piede diabetico. Le complicanze del piede dia-betico sono la causa più comune delle amputazioninon traumatiche degli arti inferiori nel mondo. Si sti-ma che il 15% delle persone con diabete svilupperàun’ulcera del piede durante la loro vita e approssima-tivamente il 14-24% delle persone con un’ulcera delpiede richiederà un’amputazione. L’85% delle ampu-tazioni può essere prevenuto dalla diagnosi precoce eda un appropriato trattamento124. I fattori di rischio perla formazione dell’ulcera includono la neuropatia pe-riferica, che porta ad un piede insensibile e alla defor-mazione strutturale del piede. Si stima che approssi-mativamente il 30% delle persone con diabete hannoforme di neuropatia diabetica da lievi fino a severe.Molte ulcere del piede diabetico e amputazioni degliarti inferiori possono essere prevenute tramite la pre-coce identificazione del paziente a rischio e alla curapreventiva del piede, sia ad opera dei sanitari che delpaziente, come descritto nella sezione D6 sulla pre-venzione della CLI.

D2.4.1 I “pathways” dell’ulcerazione Il più comune “pathway” associato allo sviluppo di ul-cere diabetiche include: la neuropatia (perdita dellasensazione protettiva), associata a punti di pressione(deformità del piede) e ad attività ripetitive126. I difettidel nervo motore e la mobilità limitata dell’articolazio-ne possono provocare la deformità del piede, con puntidi pressione ulteriormente predisponenti il paziente alesioni del piede. Conseguenze della neuropatia auto-nomica includono la perdita di traspirazione, la fissura-zione della pelle asciutta e l’incremento dello shunt ar-terovenoso. La guarigione richiede un miglioramentodella perfusione a livelli tali da mantenere la pelle in-tatta.

D2.4.2 Tipi di ulcere e presentazioneLe ulcerazioni del piede diabetico possono essere divi-se in tre grandi categorie: ulcere ischemiche, neuroi-schemiche e neuropatiche. La presentazione delle ulce-re classiche neuropatiche e ischemiche è rappresentatanella Tabella D3. Sebbene la maggior parte delle ulce-re diabetiche siano neuropatiche (Figura D3), l’ische-mia dove essere esclusa in tutte le ulcere dato il suo im-patto maggiore sull’outcome. Tutti i pazienti con ulce-ra al piede dovrebbero sottoporsi ad un accertamentoobiettivo del loro status vascolare alla prima presenta-zione e regolarmente; l’accertamento dovrebbe inclu-

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dere la storia (la claudicatio), i polsi e la valutazionedell’ABI. L’esame del polso da solo costituisce una va-lutazione vascolare inadeguata in questi pazienti. Tuttii pazienti diabetici con ulcera del piede dovrebbero es-sere valutati ulteriormente nel laboratorio vascolare(vedere sezione G).

Un aumentato flusso di shunt arterovenoso, dovutoad una neuropatia autonomica, può dare l’effetto di unpiede relativamente caldo, rassicurando erroneamenteil clinico. Questi dovrebbe essere consapevole dell’in-compressibilità relativa delle arterie calcifiche distali inun diabetico, così che l’ABI può essere entro limiti nor-mali. A causa della possibilità di un ABI erroneamenteelevato, l’importanza delle pressioni del dito del piedee la misurazioni della tcPO2 non possono essere sotto-valutate (vedere sezione D5). Alcuni pazienti hanno se-gnali chiari di CLI, per esempio una pressione al ditodel piede o una tcPO2 <30 mmHg, mentre altri hannoun flusso ematico meno ridotto, per esempio pressioni

del dito del piede tra 30 e 70 mmHg, ma tuttavia non siriesce a guarire le lesioni del piede.

Sintomi e segni delle ulcere neuropatiche in con-trapposizione alle ulcere ischemiche appaiono nella Ta-bella D3.

D3 La fisiopatologia macrocircolatoria dell’ischemia critica degli arti

La CLI si verifica quando le lesioni arteriose riduconoil flusso di sangue a tale livello che i requisiti nutritividei tessuti non possono essere soddisfatti. Questo ècausato di solito da malattie arteriose occlusive a moltilivelli128. In alcuni casi, le conseguenze emodinamichedelle lesioni arteriose possono essere accompagnate dauna portata cardiaca ridotta.

La CLI è ritenuta in molti casi il risultato di una ma-lattia occlusiva arteriosa multisegmentale. Rendersiconto di ciò è la cosa più importante nella gestione deipazienti con presunto dolore a riposo, così come ren-dersi conto dell’influenza della circolazione sulla sin-

Raccomandazione 18. Valutazione dell’arterio-patia periferica (AOP) nei pazienti con diabete

• Tutti i pazienti diabetici con un’ulcerazione do-vrebbero essere valutati per AOP mediante testobiettivo [C].

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Figura D2. Distribuzione delle ulcere del piede diabetico125. Copyright © 1999 American Diabetes Association da Diabetes Care 1999; 22: 157-62.Modificata con il permesso dell’American Diabetes Association.

Tabella D3. Sintomi e segni delle ulcere neuropatiche in rapporto alle ulcere ischemiche.

Ulcere neuropatiche Ulcere ischemiche

Assenza di dolore DolorePolso normale Polso assenteMargini regolari, in apparenza non colpiti Margini regolariSpesso localizzati sulla superficie plantare del piede Localizzati comunemente sulle dita del piede, margini glabriPresenza di calli Calli assenti o infrequentiPerdita della sensibilità, dei riflessi e della capacità vibratoria Variabile orientamento del sensorioIncremento del flusso ematico (shunt atrioventricolare) Riduzione del flusso ematicoVene dilatate Vene collassatePiede asciutto, caldo Piede freddoDeformità ossea Assenza di deformità osseaAspetto roseo Pallido, cianotico

Figura D3. Prevalenza relativa delle differenti eziologie dell’ulcera dia-betica127.

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drome del dolore, in particolare in pazienti con neuro-patia. • Pazienti con malattia diffusa multisegmentale, sia so-pra che infrainguinale hanno problemi significativi dimanagement, poiché la rivascolarizzazione prossimalepuò non rimanere pervia a causa della mancanza di“outflow” arterioso in assenza di ulteriori procedure in-frainguinali. Il rischio di non guarigione è notevole, acausa di una malattia occlusiva prossimale, nel caso sirenda necessaria un’amputazione maggiore.• Nei pazienti diabetici, le arterie prossimali rispetto al-l’articolazione del ginocchio sono spesso risparmiate omoderatamente malate, e la maggior parte delle occlu-sioni si verificano al tronco peroneale tibiale e distal-mente. Spesso, l’arteria peroneale e l’arteria pedidiadorsale sono aperte al di là di queste occlusioni e ser-vono come “target” potenziali distali per un bypass.

D3.1 La microcircolazione cutaneaLa microcircolazione cutanea è sotto molti aspetti par-ticolare, è molto rilevante che il flusso di sangue capil-lare nutritivo rappresenti approssimativamente solo il15% del flusso di sangue normale totale del piede,mentre la rimanente parte ha una funzione soltanto ter-moregolatoria non nutritiva. I pazienti con CLI svilup-pano difetti del microcircolo comprendenti disfunzioneendoteliale, alterazioni dell’emoreologia, attivazionedei globuli bianchi e infiammazione. La funzione nor-male della microcircolazione cutanea può essere consi-derata sotto due aspetti: un complesso sistema regola-tore di flusso microvasculare ed una serie di meccani-smi di difesa. Il sistema regolante il flusso microvasco-lare include meccanismi neurogenici estrinseci, media-tori locali intrinseci e la modulazione dei fattori umo-rali e cellulari circolanti. L’endotelio partecipa anchealla regolazione del flusso con la liberazione di media-tori vasodilatori come la prostaciclina e l’ossido nitricoe diversi fattori contrattili endotelio derivati (l’endote-lina). In aggiunta al sistema regolante il flusso micro-vascolare, ci sono altri meccanismi di difesa microva-scolare. Nella CLI, c’è una cattiva distribuzione del mi-crocircolo cutaneo in aggiunta alla riduzione del flussototale di sangue. L’importanza della risposta del micro-circolo locale in pazienti con CLI è suggerita dall’am-pia sovrapposizione dei valori della pressione sangui-gna della caviglia e del dito del piede, che sono deter-minanti della macrocircolazione, in pazienti con e sen-za CLI.

Gli studi al microscopio dei capillari hanno confer-mato una distribuzione eterogenea del flusso microcir-colatorio della pelle. Ciò è accompagnato anche da unariduzione nella tcPO2

129.Riassumendo, anche se l’AOP è il principale pro-

blema nei pazienti con CLI, la bassa pressione tissuta-le di perfusione avvia un numero di complesse rispostedella microcircolazione locale che possono contribui-re al dolore a riposo e a lesioni trofiche. Molti di que-sti processi possono essere interpretati come una ri-

sposta inappropriata del meccanismo regolatorio delflusso microcircolatorio e dei suoi normali meccani-smi di difesa. Perciò, anche se lo scopo primario deltrattamento deve essere la correzione dell’AOP, il ten-tativo di modificare e normalizzare farmacologica-mente le alterazioni microcircolatorie può migliorare irisultati della rivascolarizzazione ed essere una sceltanei pazienti in cui la rivascolarizzazione è impossibileo è fallita.

D4 Diagnosi differenziale del doloreischemico a riposo

Le varie cause del dolore al piede che possono essereconfuse per dolore ischemico a riposo sono considera-te nel loro ordine di frequenza approssimativo.

D4.1 La neuropatia diabeticaLa neuropatia diabetica dà luogo di solito ad una ridu-zione della sensibilità. In alcuni pazienti la neuropatiapuò dare un grave dolore al piede, seriamente disabili-tante. Questo spesso è descritto come sensazione uren-te e lancinante, soprattutto di notte, che lo rende di piùdifficile distinzione dal dolore a riposo atipico ischemi-co (è da notare che questo tipo di dolore si verifica so-litamente nella prima fase “neuritica” della neuropatiadiabetica, prima che la neuropatia diabetica sia ricono-sciuta clinicamente). Le caratteristiche diagnosticheche possono essere utili per la distinzione della neuro-patia diabetica dal dolore ischemico a riposo sono la di-stribuzione simmetrica in entrambe le gambe, l’asso-ciazione con ipersensibilità cutanea e l’impossibilità dialleviare il dolore attraverso la posizione declive delpiede. Il paziente può avere altri segni di neuropatiadiabetica come una riduzione della sensibilità vibrato-ria e dei riflessi.

D4.2 La sindrome del dolore regionale complessoI pazienti con sindrome di dolore regionale complesso(precedentemente chiamata causalgia o distrofia sim-patica riflessa) sono spesso inviati a specialisti vascola-ri per la valutazione della loro circolazione degli arti. Ingenerale, la circolazione è adeguata (ABI e TBI = indi-ce alluce-braccio normali). Una forma di sindrome didolore regionale complesso è causata da un improvvisodanno ischemico ai nervi periferici che può essere as-sociato a una rivascolarizzazione ritardata e, quindi,può essere classificata come una complicanza postope-ratoria. Questa è una delle rare condizioni in cui può es-sere indicata la simpatectomia lombare.

D4.3 La compressione della radice nervosaUna serie di condizioni spinali può dare luogo a unacompressione della radice del nervo, generando un do-lore continuo, tipicamente associato a mal di schiena ead una distribuzione del dolore lungo uno dei dermato-meri lombosacrali.

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D4.4 Neuropatie sensitive periferiche diverse dalla neuropatia diabeticaAlcune condizioni che generano neuropatia sensitivaisolata possono produrre dolore al piede che può esse-re confuso con il dolore ischemico a riposo. La neuro-patia periferica a differenza della neuropatia diabeticapuò essere causata da un deficit di vitamina di B12, osiringomielia. Anche la lebbra può raramente dar luogoad un’ulcera neuropatica. L’eccesso di alcol, le tossineed alcuni farmaci usati comunemente, come alcuniagenti chemioterapici, possono produrre in rare occa-sioni una neuropatia periferica.

D4.5 Crampi notturniI crampi notturni, sono l’opposto rispetto alla sindromedelle gambe senza riposo, sono molto comuni e occa-sionalmente difficili da diagnosticare. Sono di solito as-sociati a spasmo muscolare e spesso interessano il pol-paccio, molto raramente il piede. Possono essere asso-ciati a insufficienza venosa cronica, ma la loro causaprecisa è ignota.

D4.6 Morbo di Buerger (tromboangioite obliterante)Il morbo di Buerger può presentarsi anche con un dolo-re a riposo nelle dita del piede o al piede, di solito neigiovani fumatori e non è più visto esclusivamente neipazienti maschi. La fisiopatologia è l’ischemia distaledell’arto, dovuta a un processo vascolare occlusivo, in-fiammatorio, che interessa sia le arterie che le vene.

D4.7 MiscellaneaUna serie di altre condizioni miscellanee può causaredolore al piede, includendo le malattie locali infiamma-torie come la gotta, l’artrite reumatoide, il neuroma di-gitale, la compressione del tunnel del nervo tarsale o lafascite plantare.

D5 Indagini sull’ischemia critica degli arti

D5.1 Esame obiettivoPoiché la maggior parte dei pazienti con CLI non hasofferto di sintomi di AOP in precedenza (CI) è impor-tante pensare alla diagnosi di CLI quando si esaminaqualsiasi paziente con dolore alla gamba o sviluppo diun’ulcera.

Un primo passo è documentare la localizzazione ela qualità del polso. Gli altri risultati meno specificipossono includere la perdita dei peli, l’atrofia del mu-scolo, l’atrofia dei tessuti sottocutanei e cutanei, la fis-surazione della pelle secca, la discolorazione e l’ipere-mia subordinata.

In pazienti con ulcere ci possono essere altre ezio-logie oltre la malattia arteriosa (Figura D1 e TabellaD2). Il gonfiore è di solito caratteristico solamentequando c’è un’infezione attiva o dolore a riposo che im-pedisce ai pazienti di alzare il loro piede dal letto di not-te.

D5.2 Indagini• Indagini generali sulla malattia aterosclerotica (vede-re sezione B).• Fisiologiche - conferma della diagnosi e quantifica-zione del flusso arterioso:- pressione alla caviglia. In pazienti con ulcere ische-miche la pressione alla caviglia è tipicamente 50-70mmHg ed in pazienti con dolore ischemico a riposo es-sa è tipicamente 30-50 mmHg- pressioni all’alluce. Bisogna misurare le pressioni al-l’alluce nei pazienti diabetici (livello critico <50mmHg)- tcPO2 (livello critico <30 mmHg)- indagini sulla microcircolazione (di solito usata comeuno strumento di ricerca). La CLI è associata a flussototale ridotto, a maldistribuzione del flusso e ad attiva-zione dei processi infiammatori. Una combinazione diprove per valutare la guarigione e quantificare il flussodeve essere indicata, a causa della ridotta sensibilità especificità del singolo test. Le indagini includono:• capillaroscopia• videomicroscopia a fluorescenza• flussimetria laser Doppler• anatomiche (imaging). Si rimanda alla sezione G.

D6 Prevenzione dell’ischemia critica degli arti

Come in tutte le forme di aterosclerosi sistemica, lascoperta precoce di AOP e il trattamento aggressivo deifattori di rischio cardiovascolari dovrebbero ridurrel’incidenza e la gravità delle CLI. Per esempio, lo smet-tere di fumare è associato ad una riduzione del rischiodi progressione dagli stadi più precoci dell’AOP allaCLI130 (vedere sezione B).

D6.1 Fattori di rischio per il piedeLa precoce identificazione del paziente a rischio perCLI è essenziale per riconoscere i problemi potenzialie sviluppare le strategie di intervento preventive perevitare le complicanze. Pazienti con AOP ateroscleroti-

Raccomandazione 20. Indicazioni per la valuta-zione dell’ischemia critica degli arti

• Tutti i pazienti con sintomi di dolore ischemicoa riposo o ulcere del piede dovrebbero esserevalutati per CLI [B].

Raccomandazione 19. Diagnosi di ischemia criti-ca degli arti (CLI)

• La CLI è una diagnosi clinica ma dovrebbe es-sere sostenuta da indagini obiettive [C].

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ca, malattia di Buerger, diabete e qualsiasi altra condi-zione che può provocare una perdita della sensibilitàprotettiva del piede o interferire con la guarigione delleferite sono a rischio per lo sviluppo di ulcere e futuraamputazione. Le persone con diabete presentano un ri-schio più alto di sviluppare complicanze agli arti infe-riori. Un esame completo del piede aiuterà a identifica-re quei pazienti che sono a rischio. Quando un indivi-duo è classificato ad alto rischio, dovrebbe essere com-piuta, ad ogni visita, un’ispezione visiva del piede e do-vrebbe essere raccomandato un ulteriore approfondi-mento presso uno specialista per la cura del piede.

D6.2 Il ruolo della neuropatia perifericaLa perdita della sensibilità protettiva o la neuropatia pe-riferica espongono il paziente a rischio più alto per losviluppo di complicanze al piede. Le deformità del pie-de possono essere il risultato di una neuropatia motoria.Perciò, il riconoscimento delle deformità strutturali,come le dita del piede a martello o borsite, o della bio-meccanica alterata, come presenza di un callo causatodalla prominente deformità ossea, così come della li-mitata mobilità dell’articolazione, identifica il pazientead alto rischio. La calzatura dovrebbe essere ispeziona-ta per determinare se offre un appoggio adeguato e pro-tezione per il piede. Un piede deformato dovrebbe cal-zare scarpe adatte; scarpe inadatte o poco appropriatedanno un contributo maggiore allo sviluppo di ulceredel piede, soprattutto nelle persone con diabete.

Le strategie per la cura preventiva del piede in pa-zienti a rischio di sviluppare complicanze al piede sonoessenziali per la conservazione dell’arto. Queste strate-gie includono l’educazione del paziente ed un tratta-mento idoneo per i pazienti ad alto rischio. I pazientidovrebbero essere educati sull’importanza della curapersonale dei piedi, includendo un’appropriata puliziadel piede e la scelta oculata della scarpa. La precocescoperta dei problemi del piede ed un intervento preco-

ce possono diminuire la frequenza e la gravità dellecomplicanze agli arti inferiori. Sono consigliabili scar-pe ortopediche morbide e fatte su misura piuttosto chescarpe correttive. Pertanto, i pazienti (o i loro familiarise la loro vista è danneggiata) a casa dovrebbero com-piere quotidiane ispezioni del piede.

D7 Trattamento dell’ischemia criticadegli arti

D7.1 La strategia complessiva (Figura D4)Gli obiettivi primari del trattamento della CLI sono al-leviare il dolore ischemico, guarire le ulcere (neuro)ischemiche, prevenire la perdita dell’arto, migliorare lafunzione e la qualità della vita del paziente e prolunga-re la sopravvivenza. Un risultato principale sarebbe lasopravvivenza libera da amputazione. Per realizzarequesti obiettivi, la maggior parte dei pazienti avrà biso-gno alla fine di una procedura di rivascolarizzazione, ri-chiedendo quindi di essere inviata ad uno specialistavascolare. Altri interventi nella gestione dei pazienticon CLI sono interventi medici volti a controllare il do-lore e l’infezione nella gamba ischemica, prevenire laprogressione dell’aterosclerosi sistemica, e ottimizzare

Raccomandazione 21. L’importanza della precoceidentificazione dell’arteriopatia periferica (AOP)

• La precoce identificazione dei pazienti conAOP a rischio di sviluppare problemi al piede èessenziale per la preservazione dell’arto [C].Questo può essere realizzato da un’ispezionequotidiana da parte dei pazienti o della loro fa-miglia e visite periodiche dallo specialista delpiede.

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Figura D4. Algoritmo per il trattamento dei pazienti con ischemia critica degli arti (CLI). Le controindicazioni sono: pazienti non eleggibili alla riva-scolarizzazione; rivascolarizzazione tecnicamente non eseguibile; assenza di beneficio (ulcere o gangrena molto estesa – vedere anche sezione D7.5).CTA = angio-tomografia; MRA = angio-risonanza.

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la funzione cardiaca e respiratoria. Per alcuni pazienticon CLI con comorbilità grave o una chance molto li-mitata di successo della rivascolarizzazione, un’ampu-tazione primaria può essere il trattamento più adatto. Ilcontrollo dei fattori di rischio cardiovascolare è obbli-gatorio in pazienti con CLI così come in tutti i pazienticon AOP (vedere sezione B).

D7.2 Trattamento di base: controllo del doloreIl trattamento del dolore è essenziale per migliorare lafunzione e la qualità della vita. La caratteristica dellaCLI è il dolore ischemico a riposo e le ulcere dolorose.Il dolore di solito è localizzato sulla pelle e possibil-mente alle strutture ossee. Il controllo del dolore è unaspetto critico nella gestione di questi pazienti. Ideal-mente, il sollievo dal dolore viene ottenuto dalla riper-fusione dell’arto. Tuttavia, mentre viene programmatala rivascolarizzazione, un adeguato controllo del dolo-re deve essere un obiettivo del trattamento in tutti i pa-zienti. Inoltre, nei pazienti in cui la rivascolarizzazionenon è una scelta, comunemente è necessario il sollievodal dolore con narcotici.

I medici dovrebbero valutare regolarmente la gra-vità del dolore e l’adeguatezza della terapia analgesicain tutti i pazienti. I farmaci di prima scelta per la tera-pia del dolore dovrebbero includere l’uso di acetami-nofene/paracetamolo o farmaci antinfiammatori nonsteroidei, sebbene questi ultimi siano raramente effica-ci e siano richiesti frequentemente farmaci narcotici.Questi ultimi dovrebbero essere usati con cautela neipazienti con ipertensione o insufficienza renale. Il con-trollo del dolore è di solito più efficace se l’analgesia èsomministrata regolarmente piuttosto che su richiesta.Porre l’arto malato in posizione declive produce unsollievo parziale dal dolore ischemico in alcuni pa-zienti. Pertanto, l’inclinazione verso il basso del lettopuò essere una misura utile oltre all’analgesia. I pa-zienti con CLI spesso sono depressi e il controllo deldolore può essere migliorato dall’uso di farmaci anti-depressivi.

Raccomandazione 23. Approccio multidisciplina-re del trattamento dell’ischemia critica degli arti

• Un approccio multidisciplinare è ottimale per ilcontrollo del dolore, dei fattori di rischio car-diovascolare e delle altre comorbilità [C].

Raccomandazione 22. Valutazione precoce nell’i-schemia critica degli arti (CLI)

• I pazienti con CLI dovrebbero essere inviatiprecocemente ad uno specialista vascolare nelcorso della loro malattia per pianificare la scel-ta di una rivascolarizzazione [C].

D7.3 La rivascolarizzazioneLa storia naturale della CLI è tale che l’intervento è in-dicato per salvare la porzione di arto integra e libera daldolore. La scelta del trattamento dipende dalla condi-zione del paziente e dell’arto pre-morbilità così comedalla stima del rischio per l’intervento, basata sulle co-morbilità, e dall’attesa di pervietà e di durata della ri-costruzione. Nella CLI è frequentemente riscontratauna malattia multilivello. Deve essere ottenuto un ade-guato “inflow” prima di intervenire sull’“outflow”.

Dopo la rivascolarizzazione, l’ulcera, guarendo,può richiedere un ulteriore trattamento ottimizzabilecon una collaborazione tra lo specialista vascolare e lospecialista nella cura del piede.

(Vedere anche sezione F).

D7.4 La gestione delle ulcereIl trattamento del paziente con CLI e ulcere del piedenecessita di un approccio multidisciplinare. Questi pa-zienti dovrebbero essere trattati secondo i seguentiprincipi.

Riperfusione. Il successo nel trattamento dell’ulcera delpiede dipende dalla possibilità di migliorarne la perfu-sione. La fattibilità o meno di una procedura di riva-scolarizzazione indirizzerà il trattamento successivo.Una procedura di rivascolarizzazione dovrebbe essereconsiderata se sono presenti segni chiari di CLI o se laguarigione non si verifica in un’ulcera neuroischemicanonostante un’ottimale riduzione del carico, un tratta-mento dell’infezione se presente, e una cura intensadella ferita. Dopo la rivascolarizzazione dovrebbero es-sere considerate la cura locale della ferita e procedureper il recupero del piede.

Cura locale dell’ulcera e sollievo pressorio. Prima diuna procedura di rivascolarizzazione l’ulcera può es-sere trattata con una garza non aderente e dovrebbeessere ridotto il carico se c’è un aumento nella pres-sione o uno “shear stress”. La riduzione del carico puòessere realizzata con vari metodi includendo modifi-che della scarpa, scarpe ortopediche e tecniche di in-gessatura, a seconda della localizzazione dell’ulcera edella gravità dell’ischemia16,131,132. Una volta che laperfusione è migliorata, un’adeguata riduzione del ca-rico diviene più importante poiché l’aumento del flus-so di sangue non può compensare il trauma ripetitivodei tessuti a causa di scarpe poco adatte. Il trattamen-to locale di un’ulcera vascolarizzata del piede può es-sere eseguito in molti modi ed esiste una moltitudinedi prodotti. Un’accurata discussione su ciascun pro-dotto per la cura dell’ulcera va al di là dello scopo diquesto documento, tuttavia bisognerebbe seguire iprincipi base della cura della ferita. Questi principi in-cludono: la rimozione di tessuto necrotico/fibroticodall’ulcera, il mantenimento di un ambiente umidonella ferita e l’eliminazione dell’infezione, come ri-portato sotto.

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Trattamento dell’infezione. L’infezione locale è unacomplicanza grave di un’ulcera neuroischemica, poi-ché essa tende a svolgere un decorso più severo e do-vrebbe essere trattata urgentemente. I segnali della tos-sicità sistemica, come la febbre o la PCR elevata, nonsono comuni. L’infezione dovrebbe essere identificataal più presto possibile, valutata la sua gravità e trattataaggressivamente. Le infezioni gravi del piede in pa-zienti diabetici sono spesso polimicrobiche da cocchigram+, gram- ed organismi anaerobici133. Una volta po-sta la diagnosi clinica di infezione e ottenute le colturedalla ferita, il trattamento antibiotico empirico deve im-mediatamente essere iniziato. La terapia antibiotica alargo spettro può essere aggiustata una volta che i mi-crorganismi responsabili siano stati identificati e sianostati ottenuti i risultati dell’antibiogramma. Una cre-scente preoccupazione è legata all’aumento dell’inci-denza di stafilococco aureo resistente a molti farmaci,che è stato del 30% in alcuni studi134. Il trattamento diun’infezione grave include di solito anche il drenaggioe la toilette del tessuto necrotico. La terapia antibioticaè considerata importante nella prevenzione dell’ulterio-re diffusione dell’infezione in pazienti con CLI. Unavolta che l’infezione acuta è sotto controllo, una proce-dura di rivascolarizzazione può essere compiuta in unsecondo momento.

Procedure di salvataggio. Il salvataggio dell’arto doporivascolarizzazione è definito come la preservazione diparte o di tutto il piede. Dopo che è stata effettuata unaprocedura di rivascolarizzazione, dovrebbe eseguirsiun tentativo di salvataggio del piede. È stato suggeritoun periodo di attesa di almeno 3 giorni, ciò permette untempo sufficiente per il ripristino della perfusione e peril verificarsi della demarcazione.

Il ripristino di una circolazione adeguata, l’estensio-ne dell’infezione, e la preservazione di una certa inte-grità funzionale del piede sono i fattori considerati nel-la scelta della procedura di salvataggio del piede. Leprocedure di salvataggio del piede possono essere divi-se in due categorie. La prima categoria comprende

Raccomandazione 25. Trattamento delle infezioninell’ischemia critica degli arti (CLI)

• La terapia antibiotica sistemica è richiesta neipazienti con CLI che sviluppano cellulite o in-fezione estesa [B].

Raccomandazione 24. Trattamento ottimale per ipazienti con ischemia critica degli arti (CLI)

• La rivascolarizzazione è il trattamento ottimaleper pazienti con CLI [B].

l’amputazione di una parte del piede. La Tabella D4mostra i diversi livelli di amputazione del piede.

La storia naturale di un’amputazione minore delpiede deve essere considerata quando si sceglie l’ap-propriato livello di amputazione per spiegare i cambia-menti susseguenti nella forza meccanica e nella pres-sione sul piede. Per esempio, un’amputazione dell’al-luce o della prima articolazione può risultare in un au-mento del vettore di forza sulla seconda articolazione(attraverso l’asse metatarsale). L’aumento della forzache attraversa la seconda articolazione può provocareuna contrattura del secondo dito, conducendo ad unapressione aumentata ad entrambe le aree submetatarsa-li prossimali e distali del dito del piede. Questi cambia-menti della pressione richiedono una scarpa adatta emodifiche nella suola per evitare complicanze del pie-de. Una percentuale alta di pazienti con un’amputazio-ne dell’alluce o della prima articolazione va incontro auna seconda amputazione o sullo stesso piede o sul pie-de controlaterale.

L’amputazione delle dita laterali del piede e dellearticolazioni (quarto e quinto dito) non provoca lo stes-so aumento della forza meccanica e della pressione sul-le dita adiacenti. Sulla base di quanto detto, le conside-razioni sull’uso della scarpa e sulle modifiche dellasuola interna sono diverse con questo scenario.

Quando sono coinvolte articolazioni multiple o l’i-schemia è prossimale al metatarsale superiore, ma di-stale all’articolazione tarsometatarsale, dovrebbe esse-re considerata un’amputazione di metà del piede.Un’amputazione transmetatarsale offre un monconeadeguato per camminare con una piccola scarpa e mo-difiche nella suola interna.

La seconda categoria di salvataggio del piede com-porta il “debridement” delle ferite, inclusa l’incisionedell’osso. Queste procedure permettono al piede dimantenere il suo aspetto generale esterno, ma disturba-no l’architettura interna provocando un aumento dellapressione. Le procedure di salvataggio che possono es-sere usate nel piede rivascolarizzato includono l’eso-stectomia, l’artroplastica, l’incisione del metatarsalesuperiore e la calcanectomia.

Controllo del diabete e trattamento della comorbilità.Come in tutti i pazienti con diabete, quelli con conco-mitante CLI dovrebbero avere un’ottimizzazione delcontrollo della glicemia. I pazienti diabetici con ulceraneuroischemica al piede frequentemente hanno unoscarso status di salute. Fattori che possono avere un im-patto negativo sulla guarigione della ferita quali lo

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Tabella D4. Diversi livelli di amputazione locale del piede.

Digitale (parziale o totale)Articolazioni (digitale o metatarsale)Porzione mediale del piede (transmetatarsale, tarso-metatarsale,

tarsale trasverso)Caviglia

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scompenso cardiaco o uno scarso stato nutrizionale do-vrebbero essere valutati e trattati adeguatamente.

D7.5 L’amputazioneL’amputazione maggiore (sopra la caviglia) nelle CLI ènecessaria ed indicata quando c’è un’infezione graveche minaccia la vita del paziente, quando il dolore a ri-poso non può essere controllato, o quando la necrosiestesa ha distrutto il piede. Usando questi criteri, il nu-mero delle amputazioni maggiori dell’arto dovrebbeessere limitato.

L’amputazione primaria è definita come amputazio-ne dell’estremità ischemica inferiore senza un tentativoantecedente di rivascolarizzazione. L’amputazione èconsiderata come terapia primaria per l’ischemia dellaparte più bassa dell’arto solamente in casi selezionati.La malattia arteriosa non suscettibile di ricostruzione ègeneralmente dovuta alla natura progressiva della sot-tostante malattia aterosclerotica occlusiva .

La rivascolarizzazione degli arti inferiori rimane iltrattamento di scelta per la maggior parte dei pazienticon significativa malattia arteriosa occlusiva.

La malattia vascolare non suscettibile di ricostru-zione è divenuta l’indicazione più comune per l’ampu-tazione secondaria, e riguarda quasi il 60% dei pazien-ti. L’amputazione secondaria è indicata quando l’inter-vento vascolare non è più possibile o quando l’arto con-tinua a deteriorarsi nonostante la presenza di una rico-struzione pervia. L’infezione persistente, nonostanteestesa ricostruzione vascolare, è la seconda diagnosipiù comune.

Molte amputazioni possono essere prevenute e gliarti preservati attraverso un trattamento di salvataggiodell’arto dalla necrosi ischemica con antibiotici, la ri-vascolarizzazione e la chiusura della ferita che può ren-

Raccomandazione 26. La cura multidisciplinaredell’ischemia critica degli arti (CLI)

• I pazienti con CLI che sviluppano ulcerazioni alpiede richiedono una cura multidisciplinare perevitare la perdita dell’arto [C].

dere necessario l’uso di lembi di tessuto muscolare percoprire i difetti tissutali maggiori. Dall’altro lato, è im-portante notare come l’amputazione possa restituireun’accettabile qualità della vita, specialmente se è pre-visto un trattamento prolungato con scarsa probabilitàdi guarigione. I pazienti anziani non ambulatoriali conCLI rappresentano un gruppo particolarmente difficile.Questi pazienti hanno frequentemente contratture daflessione che sono la conseguenza del dolore prolunga-to. La ricostruzione vascolare non restituisce a questipazienti un arto stabile e funzionante, e quindi l’ampu-tazione primaria diviene una scelta ragionevole135. Per-tanto, una questione importante è l’identificazione diquel sottogruppo di pazienti con CLI in cui l’amputa-zione può essere più utile di un tentativo di rivascola-rizzazione. Dovrebbero essere considerati aspetti tecni-ci, il problema della guarigione della ferita del piede ele comorbilità dei pazienti.

L’obiettivo implicito dell’amputazione è ottenere laguarigione primaria dell’arto inferiore mediante una re-sezione più distale possibile. La spesa energetica per ladeambulazione aumenta all’aumentare dell’estensionedell’amputazione dal polpaccio alla coscia. La conser-vazione dell’articolazione del ginocchio ed una lun-ghezza significativa della tibia permettono l’uso di pro-tesi leggere, minimizzano l’energia per la deambula-zione, ed abilitano pazienti anziani o più fragili a cam-minare da soli136. Pertanto, il livello più basso di ampu-tazione che consentirà la guarigione è il sito ideale perla resezione dell’arto.

La guarigione primaria ininterrotta del moncone aldi sotto del ginocchio si ha in circa l’80% dei casi, e delmoncone sopra il ginocchio in circa 90% dei casi, qua-lora il livello di amputazione sia stabilito mediante unavalutazione clinica137. La misura della tcPO2 combina-ta con la valutazione clinica può essere utile per predi-re la guarigione a vari livelli di amputazione138. I nu-meri dei centri specializzati sono migliori dei numeridei centri generici come mostrato nella Figura A6. Leamputazioni hanno risultati variabili e sono più rischio-se nelle amputazioni più prossimali. Lo status ambula-toriale dei pazienti dopo l’amputazione è mostrato nel-la Tabella D5.

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Tabella D5. Stato ambulatoriale dopo 6-12 mesi dall’amputazione.

Autore (anno) N. Percentuale di pazienti Percentuale Commentitrattati con protesi ambulatoriale*

Ruckley (1991)139 191 80 74 Trial randomizzatoSiriwardena (1991)140 267 – 63 Dati US VAMCHagberg (1992)141 24 100 96Houghton (1992)142 193 – 16 20% perso al follow-upStirnemann (1992)143 126 70 70 Bypass primario vs fallitoMcWhinnie (1994)144 61 66 52Nehler (2003)145 94 – 39 11% perso al follow-up

VAMC = Veterans Affairs Medical Center. * gli intervalli di tempo del postoperatorio sono di 6-12 mesi nelle amputazioni sotto il gi-nocchio. I modesti risultati ambulatoriali sono dovuti a: 1) mortalità prima della riabilitazione; 2) impossibilità di guarigione nelle am-putazioni sotto il ginocchio; 3) impossibilità di completare un programma di riabilitazione.

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Un’amputazione maggiore, sopra il piede, richie-derà una protesi. È necessaria una tecnica particolar-mente precisa per assicurare un moncone ben formatoe ben perfuso con le estremità sezionate delle ossa ri-coperte da tessuto molle. Le amputazioni maggiori so-no generalmente eseguite al di sotto del ginocchio (pre-ferite) o sopra il ginocchio in rapporto al livello di oc-clusione arteriosa ed all’ischemia tissutale. Un ritornoalla deambulazione indipendente è una sfida fonda-mentale per i pazienti che subiscono un’amputazionemaggiore degli arti inferiori. I pazienti con un monco-ne di amputazione al di sotto del ginocchio ben guaritohanno una maggiore probabilità di deambulazione indi-pendente con una protesi rispetto a quelli con un’am-putazione sopra al ginocchio che hanno una possibilitàdi deambulazione indipendente <50%.

D7.6 La farmacoterapia nell’ischemia criticadegli artiQuando l’intervento a cielo aperto o endovascolare nonè tecnicamente possibile o ha fallito, la domanda che sipone è se il trattamento farmacologico sia una scelta.Le conseguenze della riduzione della pressione di per-fusione nella microcircolazione distale devono esseresuperate. È più probabile che la farmacoterapia o qual-siasi altro trattamento che produce miglioramenti an-che modesti nella circolazione, abbia successo in pa-zienti che erano asintomatici prima di sviluppare unalesione del piede e in quelli con lesioni del piede pocoprofonde in cui il livello di ischemia è limitato ai mar-gini (quelli con pressioni di perfusione borderline).

D7.6.1 I prostanoidiI prostanoidi prevengono l’attivazione delle piastrine edei leucociti e proteggono l’endotelio vascolare, ciò po-trebbe avere un ruolo nel trattamento delle CLI. Questifarmaci sono somministrati per via parenterale per mol-te settimane. Gli effetti collaterali includono vampate dicalore, mal di testa e ipotensione transitoria. Sono statipubblicati nove trial randomizzati in doppio cieco sultrattamento con prostanoidi146-154. Tre studi sulla PGE1hanno mostrato un beneficio nella riduzione delle di-mensioni dell’ulcera, ma questi studi non hanno mostra-to conseguenze favorevoli su altri endpoint clinici critici.Sono stati eseguiti sei studi sull’analogo della PGI2, l’i-loprost, ma non tutti hanno dimostrato risultati positivi.Una metanalisi dei dati ha dimostrato che i pazienti contrattamento attivo avevano una probabilità superiore di

Raccomandazione 27. Decisione di amputazionenell’ischemia critica degli arti (CLI)

• La decisione di amputare e la scelta del livellodovrebbe prendere in considerazione la possibi-lità di guarigione, la riabilitazione e il migliora-mento della qualità della vita [C].

sopravvivenza (55 vs 35%) e di conservare entrambe legambe, durante il periodo di follow-up. Nella pratica cli-nica, l’iloprost sembra essere di beneficio in circa il 40%dei pazienti in cui la rivascolarizzazione non è possibile.In un trial recente sul lipo-ecraprost verso il placebo,questo prostanoide non riuscì a ridurre la morte e l’am-putazione durante i 6 mesi di follow-up155. La predizio-ne della risposta è, comunque, difficile e per quanto det-to i prostanoidi sono usati raramente.

D7.6.2 VasodilatoriI vasodilatori ad azione diretta non hanno impiego, poi-ché essi aumentano prima di tutto il flusso di sanguenelle aree non ischemiche.

D7.6.3 Farmaci antipiastrinici Anche se il trattamento a lungo termine con ASA e ti-clopidina può ridurre la progressione dell’aterosclerosifemorale ed esercitare un effetto benefico sulla pervietàdel bypass periferico (review Cochrane156), non c’ènessuna evidenza che questi farmaci migliorino i risul-tati nella CLI. Comunque, come in tutti i pazienti conAOP, i farmaci antipiastrinici riducono il rischio dieventi vascolari e sistemici.

D7.6.4. AnticoagulantiL’ eparina non frazionata è frequentemente usata comeprofilassi e come trattamento adiuvante nelle procedurechirurgiche e vascolari, ma non è stata studiata nella CLI.Due studi hanno valutato l’eparina a basso peso moleco-lare in pazienti con CLI e ulcere. Questi trial erano ne-gativi. Gli antagonisti della vitamina K non sono statisperimentati per il trattamento dei sintomi della CLI.

Gli agenti fibrinolitici non hanno dimostrato di mi-gliorare la guarigione delle ulcere ischemiche o ridurreil numero delle amputazioni.

D7.6.5 Farmaci vasoattivi La Cochrane review157 ha valutato otto trial sul nafti-drofurile endovenoso nella CLI. Il farmaco non era ef-ficace nel ridurre i sintomi della CLI. La pentossifillinaè stata valutata in due studi controllati verso placebo inpazienti con CLI, con risultati non conclusivi158,159.

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Raccomandazione 28. L’uso di prostanoidi nell’i-schemia critica degli arti (CLI)

• Studi precedenti con prostanoidi hanno sugge-rito un miglioramento della guarigione delle ul-cere ischemiche e una riduzione delle amputa-zioni nella CLI [A].

• Tuttavia, i recenti trial non sostengono il bene-ficio dei prostanoidi nel promuovere la soprav-vivenza libera da amputazione [A].

• Non ci sono altre farmacoterapie che possonoessere raccomandate per il trattamento dellaCLI [B].

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D7.7 Altri trattamentiD7.7.1. L’ossigeno iperbaricoLa Cochrane review160 ha concluso che la terapia iper-barica riduce significativamente il rischio di una ampu-tazione maggiore nei pazienti con ulcere diabetiche.Tuttavia, i risultati dovrebbero essere interpretati concautela a causa dei difetti metodologici. Altre patologiecorrelate all’AOP e al diabete non sono state valutateusando questo tipo di trattamento. Perciò, data l’assen-za di un beneficio provato e l’alto costo, questa terapianon è generalmente raccomandata. L’ossigeno iperba-rico può essere considerato in pazienti selezionati conulcere ischemiche che non hanno risposto o non sonocandidati alla rivascolarizzazione.

D7.7.2 La stimolazione del midollo spinaleLa Cochrane review161, analizzando sei studi che inclu-devano pazienti con CLI, ha concluso che la stimola-zione del midollo spinale è significativamente più effi-cace rispetto al trattamento conservativo nel migliorarela salvezza dell’arto in pazienti senza indicazione allaricostruzione vascolare.

D8 Economia sanitaria

Studi pubblicati sul costo del trattamento della CLI for-niscono dati sulla rivascolarizzazione chirurgica, sul-l’angioplastica percutanea transluminale (PTA), sullostenting e sull’amputazione primaria162-166. Qualunquesia il trattamento considerato, i costi sono moltiplicatidi un fattore da 2 a 4 quando la procedura inizialmenteprogettata fallisce, per esempio l’angioplastica che ne-cessiti di immediato o successivo grafting crociato, by-pass che richieda revisione dopo trombosi o amputa-zione secondaria, e quando sono presenti comorbilitàrenali e polmonari o complicanze. I risultati sonoconformi nei vari paesi, anche se i costi individuali del-le procedure cambiano. L’ordine di grandezza per il co-sto della PTA è 10 000$ (20 000$ se la procedura falli-sce immediatamente o più tardi), il costo per l’innestodi bypass è 20 000$ (40 000$ se è richiesta la revisio-ne), il costo per l’amputazione è 40 000$. Aggiungen-do la riabilitazione i costi generalmente saranno rad-doppiati.

D9 Aspetti futuri del trattamento dell’ischemia critica degli arti

La caratteristica più impressionante della CLI è la cat-tiva prognosi sia per la vita e che per le conseguenzesull’arto, indipendentemente dal trattamento impiega-to. Ciò avviene perché la maggior parte dei pazientihanno un’aterosclerosi generalizzata. Perciò si puòcomprendere che importanza abbia una scelta realisti-ca del tipo di trattamento per il singolo paziente. Unarivascolarizzazione riuscita può ridurre il dolore e mi-

gliorare la qualità della vita per un periodo limitato ditempo, ma frequentemente questo scopo non si realiz-za. L’amputazione può essere una buona alternativaper ridurre il dolore, sebbene i pazienti amputati pos-sano avere anche un’aspettativa di vita più ridotta. Untrattamento medico per modificare il rischio cardiova-scolare è raccomandato per tutti i pazienti, mentre iltrattamento sintomatico dell’arto deve essere persona-lizzato.

Trial preliminari di trasferimento genico intramu-scolare utilizzando plasmidi puri di DNA codificanteper il phVEGF165 hanno dato risultati promettenti suisintomi della CLI mentre altri erano negativi167. Moltitrial che utilizzano vettori virali per aumentare l’effi-cienza del trasferimento genico sono in corso. Inoltre,il VEGF, il fattore di crescita dei fibroblasti, l’angio-poietina e altri fattori di crescita sono in fase di stu-dio168. Trial preliminari di iniezione intramuscolare dicellule autologhe mononucleari di midollo osseo perstimolare la crescita vascolare169 sono stati prometten-ti. La maggior parte dei trial sono in fase I o II e l’usoappropriato della terapia genica nella pratica vascolaredeve essere ancora provato.

In conclusione, c’è un basso livello di evidenza sul-la stimolazione del midollo spinale per migliorare glioutcome di pazienti con CLI, se la rivascolarizzazionenon dovesse essere possibile. Il trattamento con prosta-noidi può essere anche di qualche utilità; comunque,soltanto un campione limitato di pazienti risponderà aquesto trattamento, come già detto. Altre terapie farma-cologiche non hanno mostrato buoni risultati170,171. Laterapia genica ha mostrato un’efficacia precoce pro-mettente, ma sono necessari ulteriori trial.

SEZIONE EISCHEMIA ACUTA DEGLI ARTI

E1 Definizione e nomenclatura dell’ischemiaacuta degli arti

E1.1 Definizione/eziologia dell’ischemia acuta degli artiL’ALI è caratterizzata da un’improvvisa riduzionedella perfusione degli arti che determina una poten-ziale minaccia per la vitalità dell’arto stesso. L’esor-dio è normalmente fino a 2 settimane dall’evento acu-to. La Figura E1 mostra la frequenza delle diverseeziologie di ALI. Il timing di presentazione è correla-to alla severità dell’ischemia e all’inizio della terapia.I pazienti con embolia, traumi, aneurismi perifericicon emboli, occlusioni dei vasi ricostruiti tendono adun esordio più precoce (ore) dovuto alla mancanza dicircoli collaterali, all’estensione della trombosi a val-le, o ad entrambi i meccanismi. D’altro canto, gli esor-di più tardivi – nel giro di giorni – riguardano quei ca-si di trombosi ex-novo od occlusione delle ricostru-zioni (Figura E2).

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E2 Valutazione

E2.1 Valutazione clinica dell’ischemia acuta degli artiE2.1.1 AnamnesiLa raccolta dell’anamnesi avrebbe due principali scopi:indagare sui sintomi relativi alla presenza e alla severitàdell’ischemia (malattia attuale) e ottenere informazionianamnestiche (storia di claudicatio, recente interventosu arterie prossimali o cateterizzazione diagnostica car-diaca), risalire all’eziologia, diagnosi differenziale epresenza di malattie concomitanti.

Malattia attuale. I sintomi della ALI riguardano princi-palmente il dolore e la funzione. Devono essere inda-gate la rapidità e il momento di comparsa del dolore, lasua localizzazione e intensità, l’eventuale peggiora-mento. La durata e l’intensità del dolore e la presenzadi alterazioni della sensibilità e della motilità sono mol-to importanti per le successive decisioni cliniche e perstabilire l’urgenza dell’eventuale rivascolarizzazione.Per esempio, la trombolisi può essere meno efficace perle trombosi risalenti a più di 2 settimane rispetto alletrombosi più acute (secondo un’analisi dei dati dellostudio STILE174).

Anamnesi remota. È importante chiedere se il pazienteha avuto in passato dolore alla gamba (storia di claudi-catio), se ha subito interventi per “problemi di circola-zione” in passato, e se ha avuto diagnosi di malattie car-diache (per esempio fibrillazione atriale) o aneurismi

(possibile fonte emboligena). Il paziente, inoltre, deveinformare sull’eventuale presenza di malattie concomi-tanti o di fattori di rischio per aterosclerosi (ipertensio-ne, diabete, abitudine al fumo, dislipidemia, familiaritàpositiva per malattie cardiovascolari, ictus, alterazionidella coagulazione o amputazioni). Una più completadiscussione dei fattori di rischio si trova nella sezioneA.

E2.1.2 Esame obiettivoLe caratteristiche della ALI includono le 5 “P”:• Pain (dolore): momento di insorgenza, localizzazionee intensità, variabilità nel tempo.• Pulselessness (assenza di polsi): l’accuratezza dellapalpazione dei polsi del piede è variabile e, quindi, l’as-senza dei polsi è suggestiva ma non diagnostica di ALIe la sua presenza non la esclude. La misurazione dellapressione sanguigna alla caviglia potrebbe essere age-vole (tecnica descritta nella sezione C). Di solito si ot-tiene una bassa pressione o segnale assente al Doppler.Se eseguito correttamente, trovare segni di mancatoflusso è altamente compatibile con la diagnosi di ALI.• Pallor (pallore): il cambiamento di colore e della tem-peratura sono caratteristiche comuni nella ALI (sebbe-ne la temperatura può essere influenzata dalle condi-zioni ambientali); tali segni sono più caratteristici sedifferenti rispetto all’arto controlaterale. Il riempimen-to venoso può essere lento o assente.• Paresthesia (parestesia): è presente in più della metàdei pazienti.• Paralysis (paralisi): è uno scarso segno prognostico.

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Figura E1. Eziologia dell’ischemia acuta degli arti (estratto da Berridge et al. 2002 e da Campbell et al. 1998172,173)

Figura E2. Tempo di presentazione in relazione all’eziologia.

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E2.1.3 Classificazione clinica dell’ischemia acutadegli artiLa principale valutazione da fare mediante la storia cli-nica e l’esame obiettivo riguarda la severità della ALI,che è importante per le più immediate decisioni sul trat-tamento. L’arto è vitale (se non c’è ulteriore progres-sione della severità dell’ischemia), la sua vitalità è inpericolo (se la perfusione non è ristabilita velocemen-te), o ci sono alterazioni irreversibili che precludono alrecupero del piede?

Le tre cose che aiutano a distinguere gli arti “in pe-ricolo” da quelli “vitali” sono (Tabella E1):- presenza di dolore a riposo,- perdita della sensibilità, o - debolezza muscolare.

Rigidità muscolare, flaccidità, o riscontro di doloreal movimento passivo sono segni tardivi di ischemiaavanzata e probabile perdita tissutale.

I dati presentati sintetizzano sia i dati dei registri chedei trial clinici e mostrano la frequenza di presentazio-ne delle differenti categorie di ischemia acuta degli ar-ti (Figura E3).• Categoria III: tutti i pazienti dai registri sottoposti adamputazione.• Categoria II: tutti i pazienti dai trial randomizzati conperdita della sensibilità.• Categoria I: tutti i pazienti dai trial randomizzati sen-za perdita della sensibilità.

E2.1.4. Diagnosi differenziale di ischemia acuta degli artiCi sono tre livelli di diagnosi differenziale nella ALI:1. C’è una condizione che mima un’occlusione arteriosa?

Raccomandazione 30. Casi di sospetta ischemiaacuta degli arti (ALI)

• Tutti i pazienti con sospetta ALI dovrebbero es-sere valutati da uno specialista vascolare chepossa prendere immediate decisioni ed esegui-re rivascolarizzazioni al fine di evitare danni ir-reversibili a carico di nervi e muscoli che pos-sono verificarsi nel giro di ore [C].

Raccomandazione 29. Valutazione dell’ischemiaacuta degli arti (ALI)

• Per l’inaccuratezza della palpazione dei polsi edell’esame obiettivo, tutti i pazienti con sospet-ta ALI dovrebbero fare una valutazione Dop-pler dei polsi periferici al momento dell’esordiodella sintomatologia per determinare la presen-za di flusso [C].

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2. Ci sono altre cause non aterosclerotiche di occlusio-ne arteriosa presenti e, se no,3. È un’ischemia causata da trombosi o embolia?

Le condizioni che possono causare o mimare un’oc-clusione arteriosa acuta sono elencate nella Tabella E2.

Trauma arterioso o dissezione. È chiaro che non è dif-ficile la diagnosi di trauma arterioso, ma il trauma ia-trogeno, soprattutto in seguito a cateterismi, è spessotrascurato. Sarebbe da considerare in tutti i pazientiospedalizzati sottoposti a procedure diagnostiche o atrattamenti invasivi che si presentano con occlusionedella arteria femorale.

La dissezione dell’aorta toracica può progredire di-stalmente e interessare l’aorta addominale fino all’arte-ria iliaca. Dolore interscapolare o alla schiena associa-

to ad ipertensione potrebbe indicare dissezione del-l’aorta toracica, a volte mascherata da altri eventi o dal-la scarsa attendibilità della storia anamnestica fornitadal paziente. Dobbiamo considerarlo di fronte adun’occlusione acuta uni o bilaterale dell’iliaca.

Ergotismo. L’ergotismo è raro. Può colpire qualsiasi ar-teria e può progredire verso la trombosi, ma raramentesi presenta come un arto ischemico a rischio.

Arteriopatia HIV-correlata. I pazienti HIV-positivi consevera compromissione del sistema immune e conlinfociti CD4+ <250/cm3 possono sviluppare ischemiaacuta agli arti superiori o inferiori. Questo processocoinvolge le arterie distali con infiltrati cellulari acuti ecronici nei vasa vasorum e proteine virali nei linfociti.Occasionalmente, si trova un focus ipercoagulabile, maall’origine l’occlusione sembra essere dovuta ad unavasculopatia sottostante. Le terapie standard includonotrombectomie, bypass e trombolisi, con alta incidenzadi riocclusione e amputazione.

Cisti avventiziale e intrappolamento dell’arteria popli-tea. La cisti avventiziale della poplitea e l’intrappola-mento della poplitea possono essere scoperti prima cheinducano trombosi se causano claudicatio, ma qualchevolta la prima manifestazione è la trombosi. Come unaneurisma della poplitea trombizzato, il grado di ische-mia è spesso severo. L’intrappolamento della popliteacolpisce soggetti più giovani, ma la cisti avventizialedella poplitea può presentarsi in soggetti di età piùavanzata e può essere indistinguibile dall’AOP. L’as-senza di fattori di rischio aterosclerotici e la sede del-l’ostruzione, meglio accertati da indagini eco-Doppler,ne suggeriscono l’eziologia.

Aneurisma dell’arteria poplitea trombizzato. L’aneuri-sma dell’arteria poplitea trombizzata è spesso confusocon l’embolia arteriosa acuta. L’arteria poplitea è l’uni-ca arteria che attraversa assialmente il ginocchio. L’i-schemia severa si ha o a causa di trombosi in assenza diprecedenti stenosi arteriose e in assenza di circoli colla-terali oppure a causa di fenomeni embolici sintomatici oasintomatici che impediscono il flusso a livello tibiale.Poiché nel 50% dei casi gli aneurismi della poplitea so-no bilaterali, scoprire un’importante pulsazione a livel-

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Figura E3. Categorie di presentazione dell’ischemia acuta degli arti. * alcuni di questi pazienti sono moribondi. In alcuni casi questo gruppo rappre-senta oltre il 15%.

Tabella E2. Diagnosi differenziale dell’ischemia acuta degli arti.

Condizioni che mimano un’ischemia acuta degli arti*Shock sistemico (specie se associato a malattia cronica occlu-siva)Phlegmasia cerulea dolensNeuropatia compressiva acutaTrauma arterioso

Diagnosi differenziale dell’ischemia acuta degli arti (oltre chel’AOP acuta)Dissezione aortica/arteriosaArterite con trombosi (arterite a cellule giganti, tromboangioi-te obliterante)Arteriopatia HIV-correlataTrombosi spontanee associata a stato di ipercoagulabilitàCisti avventiziale della poplitea con trombosiIntrappolamento della poplitea con trombosiVasospasmo con trombosi (ergotismo)Sindrome compartimentale

AOP acutaTrombosi di un’arteria stenotica ateroscleroticaTrombosi di un graft arteriosoEmbolie a partenza da: cuore, aneurismi, placche o stenosi cri-tiche (includenti emboli di colesterolo o ateroremboli secon-dari a procedure endovascolari)Aneurismi trombizzati con o senza embolizzazione

AOP = arteriopatia periferica. * due delle tre condizioni (trom-bosi venosa profonda, neuropatia) che possono mimare occlu-sione arteriosa dovrebbero essere caratterizzate dalla presenza dipolsi arteriosi, a meno che la malattia arteriosa cronica periferi-ca occulta non esistesse prima dell’evento acuto. La bassa gitta-ta cardiaca rende più evidente l’ischemia cronica arteriosa in ter-mini di sintomi e segni fisici.

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lo della poplitea nell’arto controlaterale aiuta a risalirealla diagnosi. Tali pazienti inoltre tendono ad avere ar-terie femorali dilatate e aneurismi dell’aorta addomina-le. Nel dubbio si ricorre ad indagine ultrasonograficheper confermare più velocemente la diagnosi.

Tromboembolismo. L’embolia arteriosa va sospettata inpazienti con aritmie atriali (flutter/fibrillazione), scom-penso cardiaco congestizio, o patologie valvolari. Unacausa rara può essere l’embolizzazione paradossa inpazienti con tromboembolie venose e shunt intracardia-ci. L’arto controlaterale è spesso normale. I pazienti disolito non hanno avuto storia di claudicatio. All’arte-riografia si vedono multiple aree con difetto di riempi-mento (soprattutto alle biforcazioni), morfologia com-patibile con un embolo (segno del menisco), assenza dicircoli collaterali e di segni di malattia ateroscleroticain altri distretti. L’ecocardiografia (spesso transesofa-gea) viene usata per individuare la fonte emboligena.

Ateroembolismo. Emboli di cristalli di colesterolo e dialtri detriti staccatesi da placche aterosclerotiche friabi-li in arterie prossimali possono migrare distalmente eprovocare infarti tissutali. Sebbene chiamata “sindromedel dito blu” per la presenza di lesioni cianotiche sulledita dei piedi dei pazienti affetti, anche altri organi co-me i reni, intestino e pancreas possono esserne affetti.

Segmenti arteriosi trombizzati. Spesso la trombosi in-sorge nei tratti vascolari sede di aterosclerosi. Tali pa-zienti hanno spesso storia di claudicatio e l’arto contro-laterale presenta un anormale flusso sanguigno. Alcunistati di ipercoagulabilità, come la sindrome da anticor-pi antifosfolipidi o la trombocitopenia da eparina, pos-sono indurre trombosi in situ, da considerare in pazien-ti senza altri fattori di rischio per patologia vascolare.

Trombosi su bypass arterioso. Pazienti con trombosi su by-pass arterioso hanno una storia di malattia vascolare, cica-trici sugli arti da pregresso intervento chirurgico e un grafttrombizzato può essere visualizzato ecograficamente.

Sindrome compartimentale. Vedere sezione E3.7.1.

E2.2 Indagini diagnostiche nell’ischemia acuta degli artiI pazienti con ALI dovrebbero essere valutati allo stes-so modo dei pazienti con sintomi cronici (vedere sezio-ne G) ma la severità e la durata dell’ischemia al mo-mento dell’esordio raramente consentono di farlo. Teo-ricamente, tutti i pazienti con ALI dovrebbero esserestudiati con tecniche di imaging, però le condizioni cli-niche e la necessità di cure appropriate possono impe-dire di eseguire tali indagini.

E2.2.1 Altri esami di laboratorio di routineI seguenti esami di laboratorio dovrebbero essere ese-guiti nei pazienti con ALI: ECG, chimica clinica, emo-

cromo completo, tempo di protrombina, tempo di trom-boplastina parziale e creatinchinasi. Nei pazienti consospetto stato di ipercoagulabilità, bisogna eseguire an-che il dosaggio di anticorpi anticardiolipina, omocistei-na, anticorpi anti-fattore piastrinico IV.

E2.2.2 Imaging - arteriografiaL’arteriografia è la migliore metodica per individuare lasede dell’ostruzione e visualizzare l’albero arterioso di-stale. Consente di identificare i pazienti che benefice-ranno di più del trattamento percutaneo piuttosto chedell’embolectomia o di procedure di rivascolarizzazio-ne a cielo aperto. In caso di ischemia che mette a rischioun arto, occorre valutare se il ritardo conseguente all’e-secuzione dell’angiografia nel reparto adatto sia tolle-rabile. L’angiografia è particolarmente indicata quandosi opta per un trattamento percutaneo.

E2.2.3 Altre tecniche di imaging

Angio-tomografia/angio-risonanza. L’angio-TC e l’an-gio-risonanza (RM) possono essere utilizzate per dia-gnosticare l’ALI e per definire l’estensione della ma-lattia. La RM dell’albero vascolare richiede tempi talida ritardare l’eventuale trattamento. Mentre l’angio-TCè più veloce e di più facile esecuzione e utile per forni-re immagini traverse dei vasi. Lo svantaggio principaleconsiste nell’uso di mezzi di contrasto iodati. Nei pa-zienti con ALI, per i quali è richiesto intervento e an-giografia con catetere, l’aggiunta del mezzo di contra-sto potrebbe aumentare il rischio di danno renale.

E3 Trattamento dell’ischemia acuta degli arti

Il primo obiettivo della terapia dell’ALI è prevenire l’e-stensione della trombosi e il peggioramento dell’ische-mia. Dunque, è indicato l’inizio del trattamento con epa-rina. La terapia standard (eccetto nei casi di anticorpi an-tieparina) si basa sull’uso dell’eparina non frazionata pervia endovenosa (Figura E4). Basandoci su trial rando-mizzati172, non c’è un chiaro vantaggio della trombolisivs la chirurgia a 30 giorni sulla preservazione dell’arto oin termini di mortalità. La scelta di ricorrere all’uno o al-l’altra, poiché il tempo è un fattore critico, è una que-stione controversa. Dati provenienti da registri nazionalieuropei176 e americani177 indicano che la chirurgia è usa-ta da 3 a 5 volte più frequentemente della trombolisi.

Raccomandazione 31. Terapia anticoagulantenell’ischemia acuta degli arti (ALI)

• In tutti i pazienti con ALI è raccomandata unaterapia anticoagulante parenterale. Nei pazientiin attesa di eseguire esami diagnostici o terapia,può essere somministrata eparina [C].

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E3.1 Procedure endovascolariE3.1.1 Trombolisi farmacologicaTre studi randomizzati hanno confermato l’importanteruolo della terapia trombolitica loco-regionale nel trat-tamento dell’ALI174,178,179. La minor invasività di un ap-proccio loco-regionale risulta dalla minore morbilità emortalità se comparata con la chirurgia a cielo aperto.La terapia trombolitica è il trattamento di scelta perquei pazienti in cui il grado di severità ne dia il tempo(livello I e IIa di severità). I più recenti progressi sui di-spositivi e sulle tecniche endovascolari, tuttavia, con-sentono una più rapida rimozione del coagulo e per-mettono il trattamento di quei pazienti con un maggio-re grado di ischemia. I vantaggi della terapia tromboli-tica rispetto all’embolectomia percutanea consistononel ridurre il rischio di trauma endoteliale e la lisi delcoagulo nei rami vasali troppo piccoli per essere rag-giunti mediante embolectomia percutanea. La riperfu-sione graduale a bassa pressione può essere più vantag-giosa rispetto all’improvvisa riperfusione ad alta pres-sione ottenuta con l’embolectomia percutanea. Latrombolisi sistemica non trova indicazione per il tratta-mento dell’ALI.

La scelta della terapia litica dipende da diversi fatto-ri, come la sede e l’anatomia delle lesioni, durata del-l’occlusione, fattori di rischio legati al paziente (comor-bilità) e rischi legati alla procedura. Poiché gli emboliche arrivano alla gamba possono aver risieduto per deltempo nella sede d’origine, questi emboli “vecchi” risul-tano più resistenti alla trombolisi farmacologica rispettoa quelli più recenti. Bisogna ovviamente tenere contodelle controindicazioni alla trombolisi farmacologica.

E3.1.2 Controindicazioni alla trombolisiVedere Tabella E3.

E3.1.3 Altre tecniche endovascolariQuando la trombolisi rivela una malattia vascolare lo-calizzata sottostante, la rivascolarizzazione percutanea

è una buona opzione. Le stenosi e le occlusioni sono ra-ramente le sole cause di ALI o di severi sintomi croni-ci, ma questi comunemente conducono a una trombosisuccessiva e, quindi, devono essere trattati per evitarericorrenti trombosi.

La trombectomia con aspirazione percutanea (PAT)e la trombectomia meccanica percutanea (PMT) sonotrattamenti alternativi alla chirurgia per il trattamentodell’ALI senza l’uso di farmaci trombolitici. La combi-

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Anticoagulazione

Doppler

Categoria I Categoria IIA Categoria IIB Categoria III

imaging imaging

rivascolarizzazione± rivascolarizzazione± Rivascolarizzazione**±

amputazione

Anamnesi ed esame fisico

Tabella E3. Controindicazioni alla trombolisi.

Controindicazioni assolute 1. Eventi cerebrovascolari certi (esclusi TIA negli ultimi 2 mesi)2. Diatesi emorragica attiva3. Recente sanguinamento gastrointestinale (nei 10 giorni prece-

denti)4. Neurochirurgia (intracranica e spinale) nei 3 mesi precedenti5. Traumi cranici nei precedenti 3 mesi

Controindicazioni relative1. Intervento di rianimazione cardiopolmonare nei 10 giorni pre-

cedenti2. Chirurgia non vascolare maggiore o trauma nei 10 giorni pre-

cedenti3. Ipertensione non controllata (sistolica >180 mmHg o diastoli-

ca >110 mmHg)4. Puntura di vasi non comprimibili5. Tumore intracranico6. Recenti interventi chirurgici all’occhio

Controindicazioni minori1. Insufficienza epatica, in particolare se è presente coagulopatia2. Endocardite batterica3. Gravidanza4. Retinopatia diabetica proliferativa in fase attiva

TIA = attacco ischemico transitorio. Queste controindicazionierano stabilite per la trombolisi sistemica. Il migliorato profilo disicurezza della trombolisi loco-regionale è ben riconosciuto, ilrapporto rischio-beneficio della trombolisi loco-regionale nellesuddette condizioni è altamente dipendente dall’esperienza/pra-tica del medico. L’unica controindicazione nel trial TOPAS è lagravidanza.

Figura E4. Algoritmo per il trattamento dell’ischemia acuta degli arti. Categoria I: vitale. Categoria IIA: marginalmente a rischio. Categoria IIB: rischio im-mediato. * che conferma l’assenza o la marcata riduzione del segnale/pressione alla caviglia; ** in alcuni centri possono essere utilizzate tecniche di imaging.

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nazione di queste tecniche con la trombolisi farmacolo-gica può accelerare la lisi del coagulo, soprattutto nel-l’ALI avanzata in cui il momento della rivascolarizza-zione è critico. In pratica la combinazione è quasi sem-pre utilizzata.

Trombectomia con aspirazione percutanea. La PAT èuna tecnica che usa cateteri di ampio calibro e a paretesottile e aspirazione con siringhe da 50 ml per rimuo-vere l’embolo o il trombo dall’arteria nativa, dai bypasse dai vasi non perfusi. È stata usata assieme alla fibri-nolisi per ridurre il tempo e la dose dei farmaci fibrino-litici oppure da sola.

Trombectomia meccanica percutanea. Molti dispositi-vi della PMT si basano su principi di recircolazioneidrodinamica. Secondo quanto detto, la dissoluzionedel trombo avviene nell’ambito di aree di rimescola-mento continuo dette “vortici idrodinamici”. Esse in-trappolano selettivamente, dissolvono ed evacuano iltrombo. I dispositivi che non si basano su questo prin-cipio, ma sulla frammentazione meccanica diretta deltrombo, sono usati meno frequentemente per la patolo-gia arteriosa periferica a causa dell’alto rischio di em-bolizzazione periferica e potenziale danno vascolare.L’efficacia della PMT dipende principalmentedall’“età” del trombo; trombi freschi rispondono me-glio di quelli vecchi e organizzati. Piccoli studi hannodimostrato un recupero dell’arto a breve termine (30giorni) dell’80-90%.

E3.2 ChirurgiaE3.2.1 IndicazioniL’immediata rivascolarizzazione è indicata per l’ische-mia severa degli arti (classe IIb) (Tabella E1). Può es-sere indicata, inoltre, per quei pazienti con severi defi-cit motori e della sensibilità di breve durata, poiché larivascolarizzazione completa, eseguita nel giro di po-che ore dalla comparsa di sintomi severi, può conferireun importante recupero. Dopo questo breve intervallodi tempo, il danno neuromuscolare importante è inevi-tabile. Il metodo di rivascolarizzazione (chirurgia tradi-zionale o endovascolare) può variare a seconda della lo-calizzazione anatomica dell’occlusione, dell’eziologiadell’ALI, delle controindicazioni alla chirurgia tradi-zionale o al trattamento endovascolare e delle abitudinidei vari centri. La necessità di un trattamento urgenteha fatto, in passato, della chirurgia la metodica di primascelta in molti casi. Tuttavia, recenti progressi metodo-logici nel trattamento endovascolare e il riconoscimen-to che il ripristino del circolo influenzi significativa-mente il grado di pervietà hanno reso il fattore tempomeno importante, qualora le procedure endovascolarisiano prontamente disponibili.

Confrontando l’intervento chirurgico con la riva-scolarizzazione eseguita per via percutanea, bisogna ri-conoscere che il tempo dalla decisione di operare finoalla riperfusione può essere più lungo del previsto a

causa di fattori che esulano dal controllo dei chirurghi(per esempio disponibilità di sala operatoria, induzionedell’anestesia, dettagli tecnici dell’intervento).

Sede anatomica dell’occlusione acuta. In casi di occlu-sione al di sopra della piega inguinale (polso femoraleassente) la chirurgia tradizionale può essere il tratta-mento di scelta. Per esempio, un grosso embolo nel-l’arteria iliaca comune prossimale o nel tratto distaledell’aorta può trattarsi efficacemente con embolecto-mia percutanea. Ancora, l’occlusione del graft soprain-guinale può, in molti casi, essere trattata meglio con lachirurgia tradizionale. Il trattamento endovascolare conaccesso femorale di una lesione prossimale (si trattaspesso di trombosi) può non essere possibile/appro-priato o disponibile (vedere sotto).

Cause di ALI a livello sottoinguinale, sia di tipo em-bolico che trombotico, sono spesso trattate con tecni-che endovascolari. La trombolisi loco-regionale (CDT)potrebbe essere presa in considerazione nei casi ditrombosi acuta dovuta ad una lesione ateroscleroticavulnerabile o dopo chiusura del bypass. In questo mo-do si evidenzia la malattia occlusiva sottostante e puòessere scelto il trattamento aggiuntivo appropriato. Incaso di trauma, per molte ragioni, nella maggioranzadei casi la chirurgia sarà il trattamento di scelta. I graftinfrainguinali spesso si occludono per lesioni ostruttiveprossimali, all’interno o distalmente, di conseguenza lasemplice trombectomia non risolverà la lesione sotto-stante. La CDT, d’altro canto, liserà il coagulo e identi-ficherà la lesione sottostante responsabile. Si può ricor-rere al trattamento endovascolare di queste lesioni. Sela lesione è localizzata, ciò può bastare e spesso, se lalesione sottostante è diffusa ed estesa, può essere inte-so come provvedimento temporaneo nell’attesa di unsuccessivo bypass.

E3.2.2 Tecniche chirurgicheGli emboli localizzati prossimalmente nell’arto o al disopra del legamento inguinale sono rimossi chirurgica-mente. La chirurgia viene presa in considerazione qua-lora l’arto interessato non presenti segni di aterosclero-si. Quando il trombo non può essere più recuperato, so-no richieste alcune forme di accertamenti intraoperato-ri per l’adeguata rimozione del trombo. La più comunetra questi è l’angiografia di “completamento”; in alter-nativa, si può ricorrere ad indagini ultrasonografiche.

Trombi distali possono essere trattati con tromboli-si intraoperatoria con instillazione di alti dosi di farma-ci trombolitici per un breve periodo, seguito da irriga-zione o dilatazione con palloncino. Al tavolo operatoriosi può ripetere l’angiografia seguita dall’esame clinicodel paziente e dall’esame Doppler. Comunque, comedescritto nella sezione E3.2.1, se le condizioni permet-tono di utilizzarla, la CDT può avere molti vantaggi.

Nei pazienti con trombosi arteriosa, dopo asportazio-ne del trombo dovranno essere cercati eventuale lesionesottostante e residui del trombo stesso. Spesso ciò può

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essere sospettato da una sensazione tattile e dalla neces-sità di sgonfiare il palloncino in un determinato punto almomento del ritiro. L’angiografia di completamento ciaiuterà a decidere se procedere con bypass o PTA. For-tunatamente, le trombosi arteriose che si sviluppano inarterie già stenotiche causeranno un grado minore diischemia grazie alla presenza di circoli collaterali. Inquesti casi, i pazienti possono non essere operati subitoma piuttosto sottoposti a terapia litica loco-regionale.

Nei pazienti con occlusione soprainguinale può es-sere richiesta la chirurgia con bypass extra-anatomico.

E3.3 Risultati delle procedure chirurgiche ed endovascolari nell’ischemia acuta degli artiLa CDT è diventata la tecnica più impiegata nel tratta-mento dell’ALI. Tra il 1994 e il 1996 sono stati riporta-ti tre trial174,178,179 che hanno posto l’attenzione sul con-fronto tra la CDT e la rivascolarizzazione chirurgica peril trattamento dell’ALI. La preservazione dell’arto e lapercentuale di mortalità sono riconosciuti come i piùimportanti risultati e i dati a 1 anno sono riassunti nellaTabella E4172. Il confronto tra questi studi è limitato daalcune differenze nel protocollo e motivi rari (per esem-pio ischemia dell’arto acuta vs subacuta o cronica; oc-clusione trombotica vs embolica; occlusione del graft vsocclusione del vaso nativo; occlusione prossimale vs di-stale). Gli endpoint di ciascuno studio sono vari: lo stu-dio Rochester ha usato “sopravvivenza libera da even-ti”; il trial STILE ha usato “outcome clinici compositi”;lo studio TOPAS ha usato “la ricanalizzazione arteriosae l’estensione della lisi”. Soltanto il trial Rochester hamostrato qualche vantaggio della CDT per gli endpointprimari. Comunque, l’endpoint finale, ovvero la preser-vazione dell’arto, richiesto in questi trial, può aver favo-rito la chirurgia, poiché la CDT era naturalmente dipen-

Raccomandazione 32. L’arteriografia di comple-tamento

• A meno che non vi sia una buona evidenza cheun’adeguata circolazione sia stata ristabilita,l’angiografia intraoperatoria dovrebbe essereeseguita per identificare qualche occlusione re-sidua o lesioni arteriose critiche che richiedonoulteriore trattamento [C].

dente dal trattamento endovascolare delle lesioni sotto-stanti (il paziente doveva trovarsi al momento in un am-biente radiologico). Ad eccezione delle lesioni localiz-zate, la PTA non è durevole come il bypass, come emer-ge dai risultati di trial randomizzati con la chirurgia. Inpratica le lesioni sottostanti dovrebbero essere trattatecon metodi che portano a risultati più durevoli.

I dati degli studi prospettici randomizzati sull’ALI,suggeriscono che la CDT può offrire vantaggi se para-gonata alla rivascolarizzazione chirurgica. Questi van-taggi comprendono ridotte percentuali di mortalità eprocedure chirurgiche meno complesse a costo di più al-te percentuali di insuccessi nell’evitare ischemia persi-stente o ricorrente, maggiori complicanze e rischio diamputazione. In aggiunta, sembra che la riperfusionecon CDT sia ottenuta con una più bassa pressione e pos-sa ridurre il rischio di danno da riperfusione se parago-nata alla chirurgia tradizionale. Pertanto, se l’arto non èimmediatamente o irreversibilmente minacciato, la CDToffre un’opportunità meno rischiosa di rivascolarizza-zione arteriosa. Usando questo approccio, le lesioni sot-tostanti possono essere ulteriormente valutate all’angio-grafia e può essere programmata l’appropriata procedu-ra di rivascolarizzazione percutanea o chirurgica. Tutta-via appare ragionevole raccomandare la CDT come te-rapia iniziale in questi particolari casi per poi essere se-guita eventualmente, se necessario, dalla chirurgia.

E3.4 Trattamento della trombosi del graftIn generale, almeno un tentativo di salvare un graft do-vrebbe essere fatto, sebbene alcune condizioni debbanoessere valutate individualmente. Quando si tratta unatrombosi su graft, il principale obiettivo è rimuovere iltrombo e correggere la lesione sottostante che ha cau-sato la trombosi. L’alterazione dell’“inflow” e “out-flow” arterioso è di solito causato dalla progressionedell’aterosclerosi e dovrebbe essere trattata sia conPTA/stent sia con la chirurgia, come spiegato in altrasede. Le lesioni intrinseche del graft dipendono dal ti-po di condotto. I graft venosi possono sviluppare ste-nosi tipicamente a livello delle valvole. Dopo la trom-bolisi e l’identificazione della lesione, questa può esse-re trattata sia con PTA/stent sia con revisione chirurgi-ca, quest’ultima preferita per i suoi migliori risultati alungo termine. I graft protesici sviluppano iperplasiaintimale tipicamente sull’anastomosi distale. Queste le-sioni gommose rispondono differentemente alla PTArispetto alle tipiche ed eccentriche placche aterosclero-

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Tabella E4. Confronto tra la trombolisi locoregionale per via percutanea (CDT) e la rivascolarizzazione chirurgica nel trattamentodell’ischemia degli arti.

Risultati a Trombolisi percutanea Rivascolarizzazione chirurgica

Pazienti Salvataggio dell’arto Mortalità Pazienti Salvataggio dell’arto Mortalità

Rochester 12 mesi 57 82% 16% 57 82% 42%STILE 6 mesi 246 88.2% 6.5% 141 89.4% 8.5%TOPAS 12 mesi 144 82.7% 13.3% 54 81.1% 15.7%

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tiche e non si hanno risultati durevoli. Molti chirurghihanno suggerito che il trattamento potrebbe consisterenell’esposizione dell’anastomosi coinvolta, con trom-bectomia del graft e l’angioplastica del graft ristretto/anastomosi arteriosa o la sostituzione del graft. Co-munque, nel caso di quest’ultimo, si dovrebbe conside-rare di ripristinare la pervietà usando altri tipi di graft(sostituzione di un graft venoso difettoso).

E3.5 Trattamento degli aneurismi poplitei trombizzatiI pazienti con aneurismi poplitei trombizzati sono sot-toposti inizialmente ad arteriografia. Se è presente co-me target l’arteria tibiale distale, essi vengono trattaticon bypass tibiale, come nel caso di CLI. Se tali targetnon sono identificati all’arteriografia, la CDT è il trat-tamento di scelta a condizione che l’arto sia vitale. Po-chi casi hanno dimostrato con successo l’identificazio-ne dei “target” tibiali in oltre il 90% e una riuscita riva-scolarizzazione chirurgica.

E3.6 AmputazioneL’amputazione nell’ALI può essere complicata da san-guinamento a causa dell’incrementata prevalenza diconcomitante terapia anticoagulante. In aggiunta, la se-de dell’amputazione è più spesso prossimale, così che imuscoli del polpaccio sono abitualmente compromes-si. Il rapporto tra amputazione sopra e sotto il ginocchioè di 4:1 in confronto all’usuale rapporto di 1:1 nellaCLI. L’incidenza di amputazione maggiore è di oltre il25%. Quando valutato in un secondo momento, il 10-15% dei pazienti, sebbene candidati alla preservazionedell’arto mediante terapia, poi richiedevano un’ampu-tazione maggiore, e il 10% dei pazienti con ALI nonerano recuperabili.

E3.7 Effetti immediati postproceduraE3.7.1 Danno da riperfusioneSindrome compartimentale. Negli Stati Uniti dal 1992-2000 la fasciotomia dopo rivascolarizzazione per ALIera necessaria nel 5.3% dei casi. Negli ospedali di riferi-mento terziario la fasciotomia, eseguita nei casi più gra-vi era necessaria nel 25% dei casi177. Dopo riperfusionedegli arti inferiori, aumenta la permeabilità capillare,con edema locale e ipertensione compartimentale. Ciòconduce a ostruzione a livello venulare, disfunzione ner-vosa ed, eventualmente, ostruzione capillare e arteriola-re e necrosi muscolare e nervosa. La presentazione cli-nica include dolore sproporzionato rispetto ai segni fisi-

ci, parestesia ed edema. Possiamo misurare la pressionea livello compartimentale, e una pressione ≥20 mmHg èuna chiara indicazione alla fasciotomia. Il compartimen-to anteriore è più comunemente interessato, ma quelloposteriore, se coinvolto (in cui si trova il nervo tibiale),comporta maggiori alterazioni funzionali.

Rabdomiolisi. Evidenza di laboratorio di mioglobinuriaè stata riscontrata in oltre il 20%. Metà dei pazienti conlivelli di creatinchinasi >5000 unità/l svilupperà insuffi-cienza renale acuta. La mioglobina urinaria >1142nmol/l (>20 mg/dl) è inoltre predittivo di insufficienzarenale acuta. La fisiopatologia prevede necrosi tubulareda depositi di mioglobina (favoriti in urine acide), ne-crosi tubulare dovuta a perossidazione dei lipidi e vaso-costrizione renale. I segni clinici includono: urine iper-cromiche, elevati livelli serici di creatinchinasi e pre-senza di mioglobina nelle urine. La terapia è prima ditutto l’idratazione, alcalinizzazione delle urine ed elimi-nazione della fonte di mioglobina. L’uso del mannitoloe la plasmaferesi non hanno dimostrato beneficio.

E4 Risultati clinici

E4.1 Sistemici/localiLa percentuale di mortalità per ALI va dal 15 al 20%.In molti trial randomizzati non vengono indicate le cau-se di morte. Le principali morbilità includono richiestadi trasfusione di sangue e/o interventi chirurgici nel 10-15%, amputazione oltre il 25%, fasciotomia nel 5-25%e insufficienza renale in oltre il 20%. È relativamentesemplice verificare il miglioramento del flusso arterio-so in quanto la maggior parte dei pazienti con ALI nonpresentano segnali indicativi di flusso a livello della pe-didia al Doppler o hanno un ABI ≤0.20. Quindi un mi-glioramento di questi parametri nel postoperatorio so-no indicativi di successo.

E4.2 Follow-upTutti i pazienti dovrebbero essere trattati con eparinanell’immediato postoperatorio. Tale trattamento do-vrebbe essere seguito da warfarin spesso per 3-6 mesi opiù. Pazienti con fenomeni tromboembolici necessite-ranno di terapia anticoagulante a lungo termine, per an-ni o per tutta la vita. Tuttavia, non ci sono chiare lineeguida sulla durata della terapia. In trial randomizzati ilrischio di ischemia ricorrente dell’arto durante il fol-low-up è elevato174,178,179. La terapia prolungata conwarfarin è una buona strategia, malgrado il rischioemorragico. È importante individuare la fonte emboli-gena dopo rivascolarizzazione, sia cardiaca che arterio-sa; comunque, in molti casi essa non viene individuata.Ad ogni modo, se la terapia anticoagulante a lungo ter-mine è controindicata per la presenza di fattori di rischioemorragico, dovrebbe essere praticata terapia antiaggre-gante. Deve essere fornita la terapia sistemica appro-priata, come evidenziato sopra (vedere sezione B).

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Raccomandazione 33. Trattamento di scelta perla sindrome compartimentale

• Nei casi di sospetto clinico di sindrome com-partimentale, il trattamento di scelta è la fascio-tomia dei quattro compartimenti [C].

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E5 Aspetti economici dell’ischemia acuta degli arti

La recente letteratura ha aggiunto molto poco rispettoalla prima TASC. Quando la trombolisi viene usata as-sieme all’angioplastica, i costi sono identici a quellidella rivascolarizzazione chirurgica, intorno a 20 000$.Il beneficio relativo della chirurgia è stato discusso pre-cedentemente. La scelta della strategia si basa sulla di-sponibilità e sui risultati piuttosto che sui costi180.

E6 Trattamenti futuri

L’incrementato uso della terapia percutanea con o sen-za rivascolarizzazione chirurgica è la terapia futura ditendenza per ALI. L’uso di dispositivi per prevenirel’embolizzazione, come nel circolo carotideo, diven-terà parte della terapia. Una terapia orale anticoagulan-te alternativa potrebbe essere promettente.

SEZIONE FRIVASCOLARIZZAZIONE

F1 Sede della malattia

La scelta del miglior metodo di rivascolarizzazione peril trattamento dell’AOP si basa su un bilancio tra il ri-schio legato ad uno specifico intervento e il grado e ladurata dei miglioramenti ottenuti con tale procedura.L’adeguato “inflow” e l’appropriato “outflow” sononecessari per mantenere ben funzionante un segmentorivascolarizzato. La sede e le caratteristiche della ma-lattia devono essere valutate prima di qualsiasi proce-dura di rivascolarizzazione al fine di individuare quel-la più appropriata. Sono disponibili numerose metodi-che in grado di fornire informazioni di carattere anato-mico e fisiologico per verificare il flusso arterioso (sirimanda alla sezione G per le tecniche di imaging pre-ferite).

Nel caso in cui una stenosi prossimale sia di dubbiasignificatività emodinamica, bisogna misurare la pres-sione attraverso di essa per determinarne la significati-vità (criteri: soglia della differenza del picco sistolico5-10 mmHg pre-vasodilatazione e 10-15 mmHg post-

vasodilatazione). Recentemente si tende ad eseguire lemisurazioni tramite un catetere a termodiluizione piut-tosto che a gradiente di pressione. È stato suggerito an-che l’eco-Doppler con stimolazione iperemica.

In generale, i risultati della rivascolarizzazione di-pendono dall’estensione della malattia nell’albero arte-rioso (“inflow”, “outflow”, dimensione e lunghezza delsegmento malato), il grado della malattia sistemica (lecomorbilità possono influenzare l’aspettativa di vita ela pervietà del graft) e il tipo di procedura eseguita. Tut-to quello che si ricava dai trial deve essere calato nellasituazione individuale del singolo paziente, conside-rando tutte le sue comorbilità al fine di poter prenderedelle decisioni riguardo al trattamento.

Le tecniche endovascolari per il trattamento dell’i-schemia degli arti include angioplastica con palloncino,stent, stent-graft e procedure di dissoluzione della plac-ca. La trombolisi e la trombectomia percutanea sonostate descritte nella sezione riguardante la ALI. Le op-zioni chirurgiche includono bypass sintetici o autolo-ghi, endarterectomia o combinazioni di essi.

I risultati della rivascolarizzazione dipendono dafattori anatomici e clinici. La pervietà dopo PTA è mag-giore per lesioni dell’arteria iliaca comune e si riduceprogressivamente per i vasi più distali. I fattori anato-mici che influenzano la pervietà comprendono la seve-rità di malattia nel run-off arterioso, la lunghezza dellastenosi/occlusione e il numero delle lesioni trattate. Ifattori clinici includono diabete, insufficienza renale,fumo e la severità dell’ischemia.

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Raccomandazione 34. Misurazione della pressio-ne intra-arteriosa per verificare la stenosi

• In caso di dubbia significatività dal punto di vi-sta emodinamico sulla malattia aorto-iliaca par-zialmente occlusiva, bisogna misurare la pres-sione intra-arteriosa attorno alla stenosi a ripo-so e dopo iperemia indotta [C].

Raccomandazione 35. Scelta tra le tecniche conrisultati clinici a breve e a lungo termine equiva-lenti

• Nel caso in cui la rivascolarizzazione endova-scolare e la riparazione a cielo aperto/bypass diuna specifica lesione responsabile di sintomi daarteriopatia periferica diano gli stessi migliora-menti clinici a breve e a lungo termine, la tecni-ca endovascolare sarà la prima scelta [B].

F1.1 Classificazione delle lesioniMentre la seguente classificazione TASC delle lesionispecifiche è stata modificata rispetto a quella indicatanelle precedenti linee guida TASC per rispecchiare iprogressi tecnologici, i principi su cui si basa la clas-sificazione sono rimasti gli stessi. Così, le lesioni di ti-po “A” sono quelle che hanno eccellenti risultati e chequindi devono essere trattate con approccio endova-scolare; il metodo endovascolare fornisce risultati suf-ficientemente buoni per le lesioni di tipo “B” tanto cheè comunque il trattamento di prima scelta in questocaso, a meno che non sia richiesta una rivascolarizza-zione chirurgica per il trattamento di altre lesioni as-

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sociate nella medesima sede; lesioni di tipo “C” pro-ducono migliori risultati a lungo termine dopo riva-scolarizzazione chirurgica e pertanto il trattamentoendovascolare va riservato solo ai pazienti ad alto ri-schio chirurgico; le lesioni di tipo “D” non consento-no risultati accettabili con il trattamento endovascola-re, tanto che esso non è giustificabile come di primascelta. Concludendo, la maggior parte delle AOP cherichiedono intervento sono caratterizzate da più lesio-ni, ad uno o a più livelli, pertanto tali schemi sono li-mitati dalla necessità di considerare individualmenteil tipo di lesione.

F1.2 Classificazione della malattia “dell’inflow”(aorto-iliaco) (Figura F1, Tabella F1)

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Figura F1. La classificazione TASC delle lesioni aorto-iliache. AAA = aneurisma dell’aorta addominale; CFA = arteria femorale comune; CIA = ar-teria iliaca comune; EIA = arteria iliaca esterna.

Lesioni tipo A

• Stenosi unilaterale o bilaterale di CIA• Piccola singola stenosi unilaterale o bilaterale di EIA

(≤ 3 cm)

Lesioni tipo B

• Piccola stenosi (≤ 3 cm) dell’aorta infrarenale• Occlusione unilaterale CIA• Singola o multipla stenosi di 3-10 cm interessante la

EIA e non estendendosi a CFA• Occlusione unilaterale EIA non coinvolgente l’origine

dell’iliaca interna o CFA

Lesioni tipo C

• Occlusione bilaterale CIA• Stenosi bilaterale EIA lunga 3-10 cm non estesa alla

CFA• Stenosi unilaterale EIA estesa alla CFA• Occlusione unilaterale EIA che coinvolge l’origine del-

l’iliaca interna e/o CFA• Occlusione unilaterale molto calcifica della EIA con o

senza coinvolgimento dell’origine dell’iliaca internae/o CFA

Lesioni tipo D

• Occlusione aorto-iliaca infrarenale• Malattia diffusa interessante l’aorta ed entrambi le ilia-

che richiedenti trattamento• Multiple stenosi diffuse della CIA, EIA, CFA unilatera-

le• Occlusione unilaterale di entrambe CIA e EIA• Occlusione bilaterale di EIA• Stenosi iliache in pazienti con AAA richiedenti tratta-

mento e non suscettibili di posizionamento di endo-graft o altre lesioni che richiedono chirurgia tradizio-nale aortica o iliaca

Raccomandazione 36. Trattamento delle lesioni aorto-iliache

• Lesioni TASC A e D: la terapia endovascolare èil trattamento di scelta per le lesioni di tipo A ela terapia chirurgica è il trattamento di sceltaper le lesioni di tipo D [C].

• Lesioni TASC B e C: il trattamento endovascola-re è il trattamento preferito per le lesioni di tipoB e la terapia chirurgia è preferita per quelle di ti-po C per i pazienti con un rischio chirurgico ade-guato. Nel raccomandare il tipo di trattamentobisogna considerare l’esperienza dell’operatorelocale, le malattie concomitanti del paziente cheva informato in maniera adeguata [C].

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F1.3 Classificazione della malattia femoro-poplitea (Figura F2, Tabella F2)

F2 Rivascolarizzazione aorto-iliaca (soprainguinale)

F2.1 Trattamento endovascolare delle occlusioni aorto-iliacheSebbene il bypass aorto-bifemorale abbia una più lun-ga pervietà rispetto al trattamento endovascolare oggidisponibile nella malattia occlusiva diffusa a livelloaorto-iliaco, i rischi della chirurgia sono maggiori ri-spetto a quelli legati all’approccio endovascolare, intermini non solo di mortalità ma anche in termini dimorbilità e di ritardo nella ripresa delle normali attività.Dunque, la valutazione delle condizioni generali delpaziente e l’anatomia dei segmenti malati diventa unpunto centrale per scegliere il migliore approccio.

L’iniziale successo clinico e tecnico della PTA perle stenosi a livello iliaco supera il 90% in tutti i dati ri-

Raccomandazione 37. Trattamento delle lesionifomoro-poplitee

• Lesioni TASC A e D: il trattamento endovasco-lare è il trattamento di scelta per le lesioni di ti-po A e la terapia chirurgica il trattamento discelta per le lesioni di tipo D [C].

• Lesioni TASC B e C: il trattamento endovasco-lare è il trattamento preferito per le lesioni di ti-po B e la chirurgia per quelle di tipo C. Nel rac-comandare il tipo di trattamento bisogna consi-derare l’esperienza dell’operatore locale, le ma-lattie concomitanti del paziente che va informa-to in maniera adeguata [C].

portati dalla letteratura. Il 100% per le lesioni iliachefocali. La percentuale di successo di ricanalizzazione dilunghi tratti occlusi a livello iliaco è dell’80-85% con osenza fibrinolisi. I dispositivi di recente sviluppo usatiper il trattamento di occlusioni totali hanno, tuttavia,migliorato la percentuale di successo di ricanalizzazio-ne181.

Becher et al.182 hanno trovato una percentuale dipervietà a 5 anni del 72% in un’analisi di 2697 casi, sot-tolineando una migliore pervietà del 79% nei claudi-canti. Rutherford e Durham183 hanno trovato una per-vietà simile a 5 anni del 70%. Un recente studio ha ri-portato una pervietà del 74% (nei pazienti trattati per laprima volta dell’81%) 8 anni dopo il posizionamentodello stent a livello iliaco, suggerendo una significativadurata dello stesso184. Fattori che influenzano negativa-mente la pervietà in tali interventi includono la qualitàdel run-off vasale, la severità dell’ischemia e la lun-ghezza del tratto malato. Nel sesso femminile è stataosservata una riduzione della pervietà degli stent a li-vello dell’arteria iliaca esterna185. La Tabella F3 mostrala percentuale di successo dell’angioplastica dell’arte-ria iliaca in 2222 casi (range).

La scelta dello stent vs PTA con stent provvisori èstata studiata in uno studio randomizzato e multicentri-co186. I risultati mostrarono che la PTA con stent prov-visori aveva esiti simili a quelli ottenuti con posiziona-mento primario dello stent con incidenza di reinterven-to a 2 anni rispettivamente del 7 e 4% (non significati-vi). Anche i risultati a 5 anni furono simili con 82 e 85%per i segmenti dell’arteria iliaca trattati non sottoposti aprocedure di rivascolarizzazione dopo follow-up di 5.6± 1.3 anni187. Una metanalisi di Bosch e Hunink188 hacomparato i risultati della PTA aorto-iliaca vs il posi-zionamento dello stent mediante una ricerca su Medli-ne della letteratura successiva al 1989 e ha trovato solosei articoli (includenti 2116 pazienti) che fornivano

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Tabella F1. Classificazione TASC delle lesioni aorto-iliache.

Lesioni tipo A Stenosi uni o bilaterale della CIASingola breve stenosi (≤3 cm) uni o bilaterale della EIA

Lesioni tipo B Breve stenosi (≤3 cm) dell’aorta infrarenaleOcclusione unilaterale della CIASingola o multiple stenosi di lunghezza totale 3-10 cm che coinvolge la EIA e non estendentesi alla CFAOcclusione unilaterale dell’EIA che non interessa l’origine delle iliache interne o della CFA

Lesioni tipo C Occlusione bilaterale della CIAStenosi bilaterale della EIA lunga 3-10 cm che non si estende alla CFAStenosi unilaterale che si estende alla CIAOcclusione unilaterale che interessa l’origine dell’iliaca interna e/o CFAOcclusione calcifica unilaterale della EIA con o senza coinvolgimento dell’origine dell’iliaca interna e/o CFA

Lesioni tipo D Occlusione aorto-iliaca infrarenaleMalattia diffusa che interessa l’aorta ed entrambe le iliache richiedente interventoDiffuse multiple stenosi che interessano la CIA, EIA e CFA unilateraleOcclusione unilaterale di entrambe le CIA e EIAOcclusione bilaterale della EIAStenosi iliache in pazienti con AAA richiedente intervento e non suscettibili di posizionamento di endograft oaltre lesioni che richiedono chirurgia tradizionale aortica o iliaca

AAA = aneurisma dell’aorta addominale; CFA = arteria femorale comune; CIA = arteria iliaca comune; EIA = arteria iliaca esterna.

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informazioni per stratificare i vari sottogruppi in livellidi rischio per la pervietà a lungo termine. Maggioresuccesso si è avuto per lo stenting, dal momento chel’incidenza di complicanze e mortalità a 30 giorni nondifferivano in maniera significativa. In pazienti con CIla percentuale di pervietà a 4 anni (IC ± 95%) dopo averescluso gli insuccessi tecnici, per PTA e stenting eranorispettivamente 68% (65-71%) e 77% (72-81%). Inclu-dendo gli insuccessi tecnici, la percentuale di pervietàprimaria a 4 anni era 65% (PTA) vs 77% (stent) nel ca-so di stenosi e 54% (PTA) vs 61% (stent) nel caso di oc-clusioni. Il rischio relativo di fallimento a lungo termi-

ne era stato ridotto al 39% dopo posizionamento distent se confrontato alla PTA. Questi dati sono stati ri-cavati da studi precedenti ed è ragionevole attendersiche nuove tecniche e disponibilità di strumentazionipossano migliorare ulteriormente i risultati.

I risultati dei due differenti stent autoespansibili peril trattamento delle lesioni dell’arteria iliaca sono staticonfrontati in uno studio prospettico multicentrico erandomizzato189. Le pervietà ad 1 anno erano rispetti-vamente 94.7 e 91.1% (differenza non significativa),con complicanze e miglioramenti clinici simili indi-pendentemente dal tipo di stent usato.

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Lesioni tipo A

• Singola stenosi di lunghezza ≤10 cm.• Singola occlusione di lunghezza ≤5 cm)

Lesioni tipo B

• Multiple lesioni (stenosi o occlusioni), ciascuna ≤5 cm.• Singola stenosi o occlusione ≤5 cm non coinvolgente

l’arteria poplitea infragenicolata• Singole o multiple lesioni in assenza di vasi tibiali continui

per migliorare l’afflusso di sangue nel bypass distale• Occlusione calcifica severa di lunghezza ≤5 cm• Singola stenosi poplitea

Lesioni tipo C

• Multiple stenosi od occlusioni di lunghezza totale ≤15 cmcon o senza calcificazione

• Stenosi od occlusioni ricorrenti che necessitano ditrattamento dopo due interventi endovascolari

Lesioni tipo D

• Occlusione cronica totale di CFA o SFA (>20 cm,coinvolgente l’arteria poplitea)

• Occlusione cronica totale dell’arteria poplitea e dellatriforcazione vasale prossimale

Figura F2. Classificazione TASC delle lesioni femoro-poplitee. CFA = arteria femorale comune; SFA = arteria femorale superficiale.

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F2.2 Trattamento chirurgico delle occlusioni aorto-iliacheIl bypass chirurgico bilaterale dall’aorta addominaleinfrarenale alle arterie femorali è generalmente racco-mandata per malattia diffusa piuttosto che focale deltratto aorto-iliaco (Figura F3). L’aorta può essere rag-giunta con un approccio transperitoneale o retroperito-neale. L’approccio laparoscopico sta acquistando cre-scente interesse. Il tipo di anastomosi prossimale (ter-mino-terminale vs termino-laterale) non influenza si-gnificativamente la pervietà. L’uso della protesi inPTFE vs Dacron in questa posizione dipende dalle pre-ferenze del chirurgo. Pazienti più giovani (età <50 an-ni) con una minore pervietà primaria e secondaria han-no una maggiore necessità di un futuro bypass190.

Recentemente è stato rivalutato l’interesse per l’en-darterectomia, sebbene non sia una tecnica largamenteimpiegata come il bypass e possa costituire tecnica-mente una sfida. Le percentuali di pervietà a 5 anni ri-portati vanno da 60 a 94%, riflettendo un grado di va-riabilità dipendente dall’operatore.

In alcune situazioni, qualora debba essere evitatoun approccio addominale per motivi anatomici (“ad-dome ostile”), o per un alto rischio cardiaco e/o pol-monare, si può ricorrere ad un approccio retroperito-neale modificato o a bypass unilaterale con crossoverfemoro-femorale. Bisogna considerare l’uso di bypassaxillo-(bi)femorale (Figura F4) o bypass cross-overfemorale (Figura F5) nei pazienti con più comorbilitàche rendono poco attuabile un approccio transaddo-

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Tabella F2. Classificazione TASC delle lesioni femoro-poplitee.

Lesioni tipo A Singola stenosi di lunghezza ≤10 cmSingola occlusione di lunghezza ≤5 cm

Lesioni tipo B Multiple lesioni (stenosi o occlusioni), ciascuna ≤5 cmSingola stenosi od occlusione ≤5 cm non coinvolgente l’arteria poplitea infragenicolataSingole o multiple lesioni in assenza di vasi tibiali continui per migliorare l’afflusso di sangue nel bypassdistaleOcclusione calcifica severa di lunghezza ≤5 cmSingola stenosi poplitea

Lesioni tipo C Multiple stenosi od occlusioni di lunghezza totale >15 cm con o senza calcificazioni severeRicorrenti stenosi od occlusioni che necessitano di trattamento dopo due interventi endovascolari

Lesioni tipo D Occlusione cronica totale di CFA o SFA (>20 cm, coinvolgente l’arteria poplitea)Occlusione cronica totale dell’arteria poplitea e della triforcazione vasale prossimale

CFA = arteria femorale comune; SFA = arteria femorale superficiale.

Tabella F3. Percentuale di successo stimato dell’angioplastica sull’arteria iliaca dalle medie pesate (range) di 2222 arti.

% Claudicatio Successo tecnico Pervietà primaria

1 anno 3 anni 5 anni

76% (81-94) 96% (90-99) 86% (81-94) 82% (72-90) 71% (64-75)

Figura F3. Bypass bilaterale dall’aorta addominale infrarenale ad en-trambe le arterie femorali. Figura F4. Bypass axillo-(bi)femorale.

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minale. Le percentuali di pervietà dipendono dall’in-dicazione alla ricostruzione e dall’applicabilità di unbypass unilaterale (normale flusso arterioso vs alto ri-schio chirurgico). In alcuni casi, la pervietà di un by-pass unilaterale può essere migliorata da procedureendovascolari. L’aorta toracica è stata usata come “in-flow” arterioso.

Il bypass extra-anatomico è raramente eseguito, co-sì come il bypass aorto-bifemorale nella malattia diffu-sa e, comunque, di rado raccomandato nei casi di clau-dicatio. Non ci sono evidenze sufficienti nel raccoman-dare l’uso di un particolare materiale protesico per con-fezionare i bypass anatomici o extra-anatomici. La Ta-bella F4 riassume la pervietà a 5 e 10 anni dal bypassaorto-bifemorale e la Tabella F5 la pervietà a 5 anni dalbypass extra-anatomico.

mento di scelta nella malattia circoscritta (stenosi/oc-clusioni fino a 10 cm di lunghezza).

La percentuale di successo clinico e tecnico della PTAdelle stenosi dell’arteria femoro-poplitea va oltre il 95%(range 98-100%, errore standard 1.0%)192. Miglioramen-ti dei dispositivi, come il filo guida idrofilico, e migliora-menti tecnici, come la ricanalizzazione subintimale, con-tribuiscono all’alta incidenza di ricanalizzazione nelle oc-clusioni totali più dell’85% (range 81-94%, errore stan-dard 2.9%)193. La tecnica dell’angioplastica subintimalenon è tanto dipendente dalla lunghezza quanto piuttostodalla presenza di un vaso normale a valle e a monte dal-l’occlusione per consentire l’accesso194. La Tabella F6riassume i risultati delle dilatazioni femoro-poplitee.

Le percentuali di pervietà a medio e a lungo termi-ne sono state sintetizzate in una metanalisi di Mura-

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Figura F5. Bypass femorale cross-over.

Tabella F4. Pervietà a 5 e a 10 anni dopo bypass aortobifemorale191.

Indicazioni % pervietà a 5 anni (range) % pervietà a 10 anni (range)

Claudicatio CLI Claudicatio CLI

Riferita all’arto 91 (90-94) 87 (80-88) 86 (85-92) 81 (78-83)Riferita al paziente 85 (85-89) 80 (72-82) 79 (70-85) 72 (61-76)

CLI = ischemia critica degli arti.

Tabella F5. Pervietà a 5 e a 10 anni dopo bypass aorto-bifemo-rale.

Tecnica % pervietà 5 anni (range)

Bypass axillo-unifemorale 51a (44-79)Bypass bifemorale 71 (50-76)Bypass femoro-femorale 75 (55-92)

Tabella F6. Risultati delle dilatazioni femoro-poplitee.

% pervietà a 1 anno % pervietà a 3 anni % pervietà a 5 anni(range) (range) (range)

PTA: stenosi 77 (78-80) 61 (55-68) 55 (52-62)PTA: occlusione 65 (55-71) 48 (40-55) 42 (33-51)PTA + stent: stenosi 75 (73-79) 66 (64-70)PTA + stent: occlusione 73 (69-75) 64 (59-67)

PTA = angioplastica transluminale percutanea.

F3 Rivascolarizzazione infrainguinale

F3.1 Trattamento endovascolareIl trattamento endovascolare per la malattia infraingui-nale nei pazienti con CI è una modalità di trattamentogià stabilita. La bassa morbilità e mortalità della tecni-ca endovascolare come la PTA fa sì che sia il tratta-

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din192 e in tre studi randomizzati, verificando l’efficaciadegli stents195-197.

Fattori di rischio per la ricorrenza furono analizzatida analisi di regressione multivariate retrospettive invari studi. Lo stadio clinico di malattia (CI vs CLI), lun-ghezza della lesione e alterazioni di flusso si rivelaronofattori di rischio indipendenti per restenosi. Recente-mente, uno studio di Schillinger et al.198 di 172 pazien-ti sottoposti con successo a PTA dell’arteria femoralesuperficiale e dell’arteria poplitea ha mostrato che lapercentuale di pervietà a 6 mesi era correlata ai livellibasali e a 48 h dall’intervento di hs-CRP. I livelli diamiloide A sierica e fibrinogeno non erano significati-vamente predittivi.

Nel caso di fallimento della PTA in una lesione del-l’arteria femorale superficiale, è indicato il posiziona-mento di uno stent con accordo unanime. Un recentetrial randomizzato ha dimostrato una più alta pervietàdello stent vs PTA per le lesioni femoro-poplitee tipoTASC A e B dopo un follow-up di 1 anno199.

Non esistono trial randomizzati che confrontanoPTA con il bypass chirurgico nelle ostruzioni arterioseinfrainguinali. Questo può essere spiegato parzialmentedai seguenti fattori: il bypass chirurgico è più comune-mente usato nella malattia estesa con lunghe lesioni enella CLI. La PTA è invece più usata nella malattia cir-coscritta con CI e ostruzioni brevi (in accordo con leraccomandazioni originali TASC 34 e 35). Tuttavia,Wolf et al.200 hanno pubblicato un trial multicentrico,prospettico e randomizzato che comparava la PTA al by-pass chirurgico in 236 uomini con un’ostruzione del-l’arteria iliaca, femorale o poplitea. Questo studio, conassegnazione “random” dei pazienti a PTA o bypass chi-rurgico, non ha mostrato differenze significative nei ri-sultati ottenuti duranti un follow-up medio di 4 anni (so-pravvivenza, pervietà e recupero dell’arto). In 56 pa-zienti, la pervietà primaria cumulativa a 1 anno dopoPTA fu del 43% e dopo bypass chirurgico fu del 82%,dimostrando che per le stenosi lunghe od occlusioni del-l’arteria femorale superficiale, la chirurgia è miglioredella PTA. Questo contrasta con uno studio randomiz-zato di 452 pazienti, che ha dimostrato l’assenza di dif-ferenza in termini di sopravvivenza libera da amputa-zione a 6 mesi; la chirurgia, tuttavia, era più costosa201.

La terapia medica dopo PTA e posizionamento distent è raccomandata al fine di prevenire un insuccessoin fase precoce a causa di possibile sviluppo tromboti-co sulla sede dell’intervento. La terapia standard si ba-sa sull’uso di eparina durante l’intervento per aumenta-re il tempo di coagulazione a 200-250 s. Dopo PTA eposizionamento di stent sulle arterie femorali e popli-tee, è raccomandata una terapia antiaggregante per tut-ta la vita per garantire la pervietà (ASA o clopidogrel).Essa inoltre serve a prevenire gli eventi cardiovascolaricome raccomandato nella sezione B. La maggior partedelle evidenze che supportano la terapia antiaggregan-te periprocedurale e adiuvante derivano dall’esperienzasulla circolazione coronarica.

F3.2 Trattamento endovascolare per malattia occlusi-va infrapoplitea Le procedure endovascolari al di sotto dell’arteria po-plitea sono usualmente indicate per il recupero dell’ar-to e non ci sono dati che confrontano le procedure en-dovascolari al bypass chirurgico per CI in questa regio-ne.

L’angioplastica di brevi stenosi dell’arteria tibialeanteriore o posteriore può essere eseguita assieme aquella dell’arteria poplitea o femorale. L’uso di que-sta tecnica non è usualmente indicata nei pazienti conCI.

Vi sono evidenze a supporto di un’angioplastica neipazienti con CLI e occlusione dell’arteria infrapopliteanei quali il flusso al piede può essere ristabilito e ci so-no comorbilità mediche. In caso di angioplastica infra-poplitea, il successo tecnico si aggira intorno al 90%,con successo clinico intorno al 70% in alcune categoriedi pazienti con CLI. La percentuale di recupero è risul-tata leggermente più alta.

I predittori di risultati favorevoli comprendono unapiù breve lunghezza della stenosi e un minor numero divasi trattati. La percentuale di complicanze (2.4-17%secondo la definizione) può essere ridotta con tecnichechirurgiche o endovascolari e un’angioplastica fallitanon preclude un successivo bypass.

Rimane controverso se la PTA infrapoplitea e lostenting debbano essere praticati nei pazienti con CIper migliorare l’“outflow” e per aumentare la pervietàdella PTA prossimale, dello stent e del bypass chirurgi-co. Non ci sono evidenze sufficienti al fine di racco-mandare PTA o lo stenting infrapopliteo in pazienti conCI.

F3.3 Trattamento chirurgico della malattia occlusivainfrainguinaleNei casi di malattia a molti livelli, l’adeguatezzadell’“inflow” deve essere valutata anatomicamente omediante misurazioni di pressione e la malattia occlu-siva trattata prima di eseguire una procedura a livellodell’“outflow”. In alcune situazioni, si può ricorrere adun approccio combinato con dilatazione delle lesioniprossimali e bypass della lesione distale.

Un recente studio ha mostrato un aumentato ricorsoa bypass complessi (vene composite e unite) a livello diarterie più distali nei pazienti con maggiori comorbi-lità, come il diabete, l’insufficienza renale e la CAD;tuttavia, la percentuale di mortalità è rimasta costan-te202. Un recente ampio studio ha mostrato che il sessonon influisce negativamente sulla morbilità o sullamortalità della rivascolarizzazione delle estremità di-stali.

F3.3.1 BypassGli interventi di bypass infrainguinale dovrebbero es-sere effettuati utilizzando come “inflow” un’arteria per-via e ben funzionante, invece il sito (arteria femoralecomune vs arteria femorale superficiale o poplitea) non

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si correla con il fattore pervietà. Se il bypass infrain-guinale viene costruito seguendo procedure di “in-flow”, la pervietà è migliorata da un’anastomosi pros-simale con un’arteria nativa piuttosto che con un graft(di solito l’arto del bypass aorto-bifemorale)203. La qua-lità dell’efflusso arterioso è il determinante più impor-tante di pervietà piuttosto che il livello in cui viene fat-ta l’anastomosi. Un vaso distale della migliore qualitàdovrebbe essere usato per l’anastomosi distale. Non cisono evidenze oggettive per preferire l’arteria tibiale ola peroneale, in quanto di calibro simile. I risultati delbypass femoro-crurale non sono stati oggetto di meta-nalisi. Dopo 5 anni la percentuale di pervietà dei graftottenuti con vasi venosi è del 60% e quella dei graft co-struiti con materiale protesico è meno del 35%. Recen-ti dati hanno documentato le percentuali di suscettibi-lità a ricostruzione mediante bypass delle arterie plan-tari, con ragionevole successo (recupero a 5 anni 63%,pervietà a 5 anni 41%).

F3.3.2. Condotto La vena ha una pervietà migliore a lungo termine ri-spetto ai graft protesici nella regione infrainguinale(Tabella F7). Nel breve termine, la PTFE ha raggiuntorisultati equivalenti nella sede al di sopra del ginocchio(Figura F6). Una metanalisi suggerisce risultati menosoddisfacenti per i graft di politetrafluoroetilene (PTFE)a livello delle arterie infrapoplitee (pervietà a 5 anni:primaria 30%, secondaria 39.7%)204. Le conseguenzedell’occlusione di un graft protesico possono esserepiù severe di quelle di un graft venoso205. Un recentestudio si è chiesto se fosse opportuno usare un graftprotesico anche quando vi fosse una vena accettabiledisponibile al fine di “salvare la vena”. Usando questastrategia, fino al 33% di bypass secondari eseguiti suc-

Raccomandazione 39. Bypass femoro-distali co-me vasi di outflow

• In un bypass femoro-tibiale, l’arteria distalemeno malata con migliore run-off a livello ca-viglia/piede, dovrebbe essere usata come “out-flow” indipendentemente dalla sede, badandoche la vena sia di lunghezza adeguata [C].

Raccomandazione 38. Inflow arterioso per il by-pass femoro-distale

• Ciascuna arteria, indipendentemente dal livello(per esempio, non solo l’arteria femorale comu-ne), può servire come arteria di “inflow” perbypass distali provvedendo al flusso di tale ar-teria e per l’origine del graft, qualora esso nonsia compromesso [C].

cessivamente non avevano vene adeguate disponibilisul momento. La vena lunga safena (detta anche venagrande safena), sia usata in situ che in altra sede, si èrivelata la migliore in termini di misura e qualità. In as-senza di questa, si possono usare la vena grande safe-na controlaterale, la vena piccola safena, la vena fe-morale e le vene del braccio (Figura F7). Non ci sonodifferenze in termini di percentuale di pervietà tra levene omo e controlaterali. Le differenze dei risultatidipenderanno dal tipo di indicazioni alla chirurgia,dalla qualità dei vasi, e dalle comorbilità. I graft veno-si hanno tutti migliori risultati rispetto alle protesi sin-tetiche.

F3.3.3 Procedure aggiuntive Quando un graft protesico è posizionato a livello deltratto della poplitea al di sotto del ginocchio o ancorapiù distalmente, vengono suggerite procedure aggiunti-ve, come fistole arterovenose a livello o distalmente albypass e l’interposizione di una cuffia venosa. Tuttavia,trial randomizzati210 hanno mostrato che l’aggiunta diuna fistola arterovenosa distale non apporta maggiorebeneficio in termini di pervietà e, dunque, non è racco-mandata. L’uso di una cuffia o patch venoso si è dimo-strato promettente in alcuni casi di anastomosi distali oin quelle del tratto popliteo al di sotto del ginocchio,sebbene non esistono trial di comparazione che indica-no il miglior tipo di tecnica211.

Raccomandazione 40. Bypass femoro-poplitei aldi sotto del ginocchio e distali

• La vena grande safena è il miglior condotto usa-to nei bypass del tratto femorale e popliteo al disotto del ginocchio e distali [C]. In sua assenza,possono essere usate altre vene di buona qualità[C].

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Tabella F7a. Pervietà a 5 anni dopo bypass femoro-popliteo191.

Claudicatio CLI

Vena 80 66PTFE sopra il ginocchio 75 47PTFE sotto il ginocchio 65 65

CLI = ischemia critica degli arti; PTFE = graft di politetrafluo-rotilene.

Tabella F7b. Trial randomizzati sui tipi di condotti206-209.

Bypass femoro-popliteo sopra il ginocchio Pervietà a 5 anni

Vena 74-76%PTFE 39-52%

PTFE = graft di politetrafluorotilene.

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F3.3.4 ProfundoplasticaStenosi all’origine dell’arteria femorale profonda posso-no apportare una riduzione del flusso attraverso i vasi col-laterali in presenza di un’occlusione dell’arteria femora-le superficiale e possono compromettere la pervietà di unintervento di “inflow” aortico/extra-anatomico. In pre-senza di un’occlusione dell’arteria femorale superficialeè raccomandato che la stenosi dell’arteria femoraleprofonda sia corretta durante le procedure di “inflow”.Una profundoplastica isolata come procedura di “inflow”(evitando un bypass femorale distale) può essere consi-derata in presenza di: 1) eccellente “inflow”; 2) stenosi>50% del terzo prossimale dell’arteria femorale profon-da; 3) adeguati circoli collaterali a livello dei vasi tibiali.

F3.3.5 Procedure di rivascolarizzazione secondaria La pervietà secondaria deriva dal recupero di un bypassoccluso e la pervietà supportata deriva da un interventosu una precedente occlusione. La scarsa tolleranza deigraft venosi alla trombosi e il successo di una pervietà

supportata convalidano le precedenti raccomandazioni,ovvero che tutti i graft venosi debbano essere successi-vamente studiati con indagini eco-Doppler valutandouna serie di parametri necessari per eventuale interven-to includendo l’angioplastica (a cielo aperto o percuta-nea) o l’interposizione di brevi segmenti. Tale racco-mandazione è stata recentemente indagata mediante untrial controllato randomizzato che non ha mostrato nes-sun beneficio in termini di costi di tale approccio212. Inpresenza di un graft occluso ma stabilizzato, la trombo-lisi può trovare indicazione in una fase precoce per ri-muovere il coagulo e rivelare la causa della trombosi.Quando si stabilisce di salvare l’arto dopo occlusionedel graft l’iniziale indicazione alla chirurgia è un fatto-re importante. La percentuale di salvataggio a 2 anniper un graft occluso confezionato in seguito a claudica-tio è del 100%, per il dolore a riposo del 55% e, in ca-so di perdita tissutale, del 34%. L’occlusione precocedel graft (a meno di 30 giorni) presenta una percentua-le di salvataggio a 2 anni molto ridotta del 25%213.

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Figura F6. Bypass femoro-popliteo sopra il ginocchio. Figura F7. Bypass femoro-tibiale.

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F4 Terapia antipiastrinica ed anticoagulante

La terapia adiuvante è stata raccomandata per miglio-rare la percentuale di pervietà dopo bypass. I farmaciantiaggreganti offrono un maggiore beneficio nel casodi condotti protesici piuttosto che autologhi156. Unametanalisi pubblicata nel 1999 dimostra che il rischiorelativo di occlusione a livello dei graft infrainguinali inpazienti che assumevano ASA era dello 0.78214. Tale te-rapia è raccomandata anche ai pazienti sottoposti ad in-tervento di angioplastica delle estremità inferiori59.L’aggiunta di dipiridamolo o ticlopidina è stata suppor-tata da alcuni studi, ma richiede ulteriore conferma me-diante trial randomizzati più ampi215. Graft autologhipossono essere trattati con warfarin216 ma ciò può esse-re accompagnato da un maggiore rischio emorragico,pertanto tale decisione deve essere presa considerandoil paziente individualmente59. Tutti i pazienti dovrebbe-ro ricevere terapia antipiastrinica dopo rivascolarizza-zione. Per coloro ai quali viene somministrata terapiaanticoagulante, e per quei pochi casi trattati sia con far-maci antipiastrinici che anticoagulanti, è richiesta unamaggiore vigilanza per l’aumentato rischio di sangui-namento. Recenti articoli hanno espresso preoccupa-zione sul fatto che i pazienti sottoposti ad intervento perAOP non ricevevano una terapia ottimale per il tratta-mento della loro malattia aterosclerotica. Come prece-dentemente detto, tutti i pazienti dovrebbero essere sot-toposti ad indagini e trattamento della sottostante ate-rosclerosi indipendentemente dalla necessità di inter-vento per il recupero dell’arto.

F5 Programma di sorveglianza dopo rivascolarizzazione

Dopo aver eseguito bypass autologo infrainguinale, inpassato si raccomandava di iniziare un programma direvisione regolare del graft con tecniche ecografiche217.Ciò era motivato dall’interesse di identificare lesioniche potessero predisporre alla trombosi del graft e con-sentire l’eventuale riparazione prima dell’occlusione.Un recente trial randomizzato e controllato ha mostra-to che una sorveglianza mediante eco-Doppler dopobypass venoso femorale distale non apporta significati-vi benefici clinici o miglioramento della qualità di vitaa 18 mesi. La precedente raccomandazione di eseguire

Raccomandazione 41. Farmaci antipiastrinici co-me terapia adiuvante dopo rivascolarizzazione

• La terapia antipiastrinica deve essere iniziataprima dell’intervento e continuata come terapiaadiuvante dopo procedura endovascolare o chi-rurgica [A]. In assenza di controindicazione,deve essere continuata indefinitamente [A].

un Doppler di routine dopo bypass autologo degli artiinferiori non ha mostrato, sulla base di questo studio, diaver un rapporto costo-efficacia favorevole212. In prati-ca, molti chirurghi continuano un programma di sorve-glianza del graft venoso nell’attesa che questo trial ven-ga ulteriormente confermato.

F6 Terapie di avanguardia

Le tecniche chirurgiche più nuove hanno reso poco in-vasive le ricostruzioni arteriose incluse le riparazionilaparoscopiche dell’aorta. L’uso di terapie combinate(percutanee e chirurgiche) possono rendere la chirurgia“minimamente” invasiva. Nella ricostruzione infrain-guinale l’uso dell’endarterectomia non a cielo apertosta guadagnando interesse. In aggiunta, nel tentativo diridurre la morbilità legata alle complicanze della feritae agli effetti negativi di questa sulla pervietà, si sta in-dagando sull’uso di tecniche endoscopiche.

Recentemente, in uno studio randomizzato, sonostati testati gli stent medicati confrontati con quelli me-tallici in pazienti claudicanti con malattia ostruttiva del-l’arteria femoro-poplitea218. Questo studio ha valutatol’efficacia degli stent di nitinolo autoespandibili rive-stiti da un polimero impregnato con sirolimus (rapami-cina) vs stent di nitinolo non ricoperti nei pazienti conCI e ostruzioni dell’arteria femorale superficiale. Ilprincipale diametro interno degli stent era significativa-mente maggiore nel gruppo stent medicati (4.95 vs 4.31mm degli stent non medicati; p = 0.047). I risultati diquesto trial richiedono ulteriori conferme e follow-up alungo termine. I risultati di un piccolo e recente trialrandomizzato suggeriscono i vantaggi precoci superio-ri dello stenting con nitinolo primario per la dilatazione

Raccomandazione 42. Programma di sorveglian-za clinica del graft

• Pazienti sottoposti a bypass delle estremità peril trattamento della claudicatio o dell’ischemiacritica degli arti dovrebbero essere inseriti in unprogramma di sorveglianza. Tale programmaconsiste in:- valutazione della storia clinica intercorrente

(comparsa di nuovi sintomi),- esame vascolare dell’arto comprendente la

palpazione dei polsi prossimali del graft edell’“outflow”,

- misurazioni periodiche dell’indice caviglia-braccio a riposo e se possibile dopo eserci-zio.

• Il programma di sorveglianza clinica dovrebbeessere eseguito nell’immediato postoperatorioe ad intervalli regolari (generalmente ogni 6mesi) per almeno 2 anni [C].

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dell’arteria femorale superficiale rispetto alla sola esemplice dilatazione199.

L’impatto degli stent ricoperti con PTFE (stentgraft) è stato testato in un trial randomizzato da Saxonet al.219. Dopo un follow-up di 2 anni, la pervietà pri-maria è rimasta dell’87% (13 dei 15 pazienti) nel grup-po con stent graft vs solo il 25% (3 dei 12 pazienti) nelgruppo PTA (p = 0.002). La brachiterapia endovascola-re con fonti �-emittenti come 192Ir è stata valutata ri-guardo l’incidenza di iperplasia intimale e restenosi220.Minar et al.220 hanno testato la brachiterapia endova-scolare nei pazienti con CI e con ostruzioni femoro-po-plitee in un trial randomizzato. La percentuale totale diricorrenza a 6 mesi fu significativamente più bassa(28.3 vs 53.7%) per il gruppo PTA+brachiterapia con-frontato con la sola PTA. Anche la pervietà cumulativaè stata più alta a 12 mesi (63.6 vs 35.5%). Saranno ne-cessari studi più ampi e più lunghi per consigliarne l’u-so nella pratica routinaria.

Il punto centrale delle più nuove terapie adiuvanticonsiste nell’incrementare l’efficacia dell’interventopercutaneo rendendolo utilizzabile in un più vasto tipodi lesioni e più durevole. Queste terapie loco-regionalivanno combinate con il trattamento sistemico dell’ate-rosclerosi.

La Tabella F8 riassume i risultati in termine di mor-bilità cumulativa osservati per il bypass nell’ischemiacritica e la Figura F8 riassume i risultati medi per il trat-tamento chirurgico.

SEZIONE GTECNICHE DI IMAGING E DI LABORATORIO VASCOLARI

NON INVASIVE

G1 Il laboratorio vascolare non invasivo

La valutazione di routine dei pazienti con AOP può in-cludere esami di laboratorio vascolari. Le misurazioni

emodinamiche non invasive possono provvedere adun’iniziale verifica della sede e della severità della pa-tologia arteriosa. Tali test sono ripetibili per seguire neltempo la progressione della malattia.

G1.1 Misurazione della pressione sistolica segmentaria dell’artoLe misurazioni di pressione segmentaria dell’arto sonousate ampiamente per diagnosticare e localizzare seg-mentariamente le lesioni occlusive emodinamicamentesignificative dei grossi vasi degli arti inferiori. Le misu-razioni della pressione segmentaria sono ottenute a li-vello della coscia e del polpaccio allo stesso modo dellapressione alla caviglia. Un bracciale sfigmomanometri-co è posto ad un dato livello con la sonda del Dopplerposizionata sulle arterie pedidie, e la pressione sistolicanelle arterie maggiori viene misurata mediante il mani-cotto. La sede delle lesioni occlusive viene rivelata dalgradiente di pressione tra i due manicotti. I limiti delmetodo includono: 1) incapacità di individuare stenosi

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Tabella F8. Risultati cumulativi di morbilità osservati per bypass nell’ischemia critica degli arti.

Parametro Breve termine (primo anno) Lungo termine (3-5 anni)

Tempo di guarigione della ferita del piede 15-20 settimane –Complicazioni della ferita* 15-25% –Linfedema omolaterale persistente e severo** 10-20% SconosciutoStenosi del graft§ 20% 20-30%Occlusione del graft 10-20% 20-40%Studi di sorveglianza del graft 100% 100%Amputazione maggiore 5-10% 10-20%Neuropatia ischemica Sconosciuto SconosciutoInfezione del graft§§ 1-3% –Morte perioperatoria (specie cardiovascolare) 1-2% –Tutte le morti (specie cardiovascolari) 10% 30-50%

* non tutte richiedono reintervento; ** non ben studiati; § maggiore nei casi di condotti venosi compositi e alternati; §§ maggiore neigraft protesici.

Figura F8. Riassunto dei risultati: risultati medi per il trattamento chi-rurgico. Ao-bi-fem = bypass aortobifemorale; AxbiFem = axillo-bifemo-rale; AxuniFem = bypass axillo-unifemorale; BK = sotto il ginocchio;FP = femoro-popliteo; pros = protesico; PTA = angioplastica translu-minale percutanea.

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moderate (generalmente iliache) che non producono oproducono piccoli gradienti pressori a riposo; 2) riscon-tro di valori pressori falsamente elevati in pazienti dia-betici con arterie incomprimibili e calcifiche; 3) incapa-cità di differenziare le stenosi arteriose dalle occlusioni.

G1.2 Pletismografia segmentale o registrazioni di volume Il pletismografo è uno strumento che individua e se-gnala le modificazioni di volume dell’arto. I manicottisono posizionati attorno alla gamba nelle regioni sele-zionate e connessi al pletismografo, che produce un se-gnale pulsato registrante il volume (PVR). Normal-mente, viene usato un manicotto grande a livello dellacoscia assieme a quelli di dimensioni regolari posizio-nati a livello del polpaccio e della caviglia, e in più unmanicotto al braccio che registra il contributo cardiacoal flusso pulsatile arterioso. Quest’ultimo è utile nellastandardizzazione della PVR dell’arto inferiore e nel-l’individuare una funzione cardiaca ridotta che causaun tracciato di bassa ampiezza. Per ottenere accurateonde di PVR, il manicotto deve essere gonfiato di ~60-65 mmHg, il che è sufficiente a rivelare modificazionidi volume senza indurre occlusioni arteriose.

La pressione segmentaria dell’arto e il PVR da soliraggiungono un’accuratezza dell’85%, se comparateall’angiografia, nell’individuare e localizzare lesioniocclusive significative. Inoltre, quando usate insieme,l’accuratezza raggiunge il 95%221. Per tale ragione, nel-la valutazione di un’AOP vengono comunemente ap-plicate insieme. Ciò assicura che i pazienti diabeticicon calcificazioni arteriose, che producono erronea-mente elevate pressioni segmentarie dell’arto, siano ri-conosciuti e valutati correttamente mediante PVR.

G1.3 Pressione a livello del dito del piede e indicebraccio-dito del piedePazienti con una lunga storia di diabete, insufficienzarenale e altre alterazioni derivanti da calcificazioni va-scolari, possono avere arterie tibiali non comprimibili,ciò causa erroneamente alti valori pressori sistolici. Lemisurazioni non comprimibili sono definite da valoripressori alla caviglia molto elevati (≥250 mmHg) o daun ABI >1.40. In questa situazione, la misurazione del-la pressione al dito del piede rispecchia in modo accu-rato il valore della pressione sistolica dei vasi dell’artodistale che non sono comprimibili. Una piccola occlu-sione del manicotto viene applicata prossimalmente sulprimo o secondo dito del piede con un sensore di flus-so, come quello usato per la pletismografia digitale. Lapressione a livello del dito del piede è normalmente cir-ca 30 mmHg in meno rispetto a quella della caviglia el’indice braccio-dito del piede risulta alterato se <0.70.La misurazione della pressione del dito del piede deveessere eseguita in un laboratorio vascolare non invasivocon condizioni ambientali standard, competenza e stru-menti atti ad eseguire tali misurazioni. I falsi positivicon indice braccio-dito del piede sono rari. Il principa-

le limite nei pazienti diabetici è talora l’impossibilità dimisurare la pressione a livello del primo o secondo di-to del piede a causa di lesioni infiammatorie, ulcere, operdita di sostanza.

G1.4 Analisi delle onde di velocità al Doppler Attraverso il Doppler continuo si può valutare la velo-cità di flusso arterioso in più siti della circolazione pe-riferica. Le onde Doppler vanno da un normale patterntrifasico ad uno bifasico e, più tardivamente, monofasi-co in quei pazienti con AOP significativa. Quando mi-surata sull’arteria tibiale posteriore, una velocità diflusso anterogrado ridotta o assente è altamente predit-tiva di AOP (e anche di malattia occlusiva dell’arteriatibiale isolata frequente nei pazienti diabetici)12. Seb-bene il test sia operatore-dipendente, costituisce un al-tro mezzo per individuare AOP in pazienti con arterietibiali calcifiche.

G2 Tecniche di imaging

G2.1 Indicazioni e tipi di imaging in pazienti conclaudicatio intermittens e ischemia critica degli artiLo studio di imaging è indicato qualora vengano consi-gliate alcune forme di rivascolarizzazione (endovasco-lare o chirurgia tradizionale) per una lesione già dimo-strata. La disabilità e le limitazioni funzionali del pa-ziente dovute a ridotta capacità di deambulazione do-vrebbero essere il principale determinante per decidereper l’eventuale rivascolarizzazione. Questo viene con-siderato in termini di autonomia funzionale ed effettidella limitazione sullo stile di vita del paziente, comeautonomia e capacità di provvedere alla cura di sé. Neicasi di CLI, tecniche di imaging e di rivascolarizzazio-ne sono obbligatori, a meno che non vi siano controin-dicazioni all’intervento chirurgico o endovascolare.

I costi e la percentuale di morbilità dell’ecografia edi altre metodiche non invasive sono molto più bassi ri-spetto all’angiografia. Con l’introduzione dell’angio-RM e dell’angio-TC, adesso, in molte situazioni, è pos-sibile usare tecniche di imaging non invasive per verifi-care la suscettibilità della lesione sottostante all’inter-vento previsto prima di ricorrere all’angiografia.

G2.2 Scelta della tecnica di imagingLa principale ragione per cui si ricorre a tecniche diimaging è quella di identificare una lesione arteriosasuscettibile di rivascolarizzazione sia con tecniche chi-rurgiche tradizionali che endovascolari. Le opzioni so-no l’angiografia, eco-Doppler, angio-RM e angio-TC.Nella scelta della modalità di diagnosi vanno conside-rati i potenziali effetti collaterali e le controindicazioni.L’angiografia richiede l’impiego di un mezzo di con-trasto che è potenzialmente nefrotossico. L’angio-TCmultidetettore richiede un carico di mezzo di contrasto>100 ml. Esistono parecchi modi per ridurre il dannorenale, inclusa l’idratazione e l’uso di sostanze protet-

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tive come N-acetilcisteina. Inoltre può essere conside-rato l’uso di mezzi di contrasto alternativi (vedere se-zione G2.2.1). Qualora l’uso di mezzi di contrasto io-dati debba essere limitato o evitato, si può ricorrere al-l’angio-RM e alle tecniche ultrasonografiche per piani-ficare l’intervento chirurgico.

G2.2.1 AngiografiaL’angiografia, considerata il test di imaging “gold stan-dard”, ha certamente dei rischi: un rischio dello 0.1% dipossibili reazioni avverse al mezzo di contrasto, dello0.7% di rischio di complicanze serie tali da modificareil management del paziente, dello 0.16% di rischio dimortalità e costi elevati. Altre complicanze sono la dis-sezione arteriosa, ateroembolizzazione, insufficienzarenale indotta dal contrasto e complicanze a livello delsito di accesso (pseudoaneurismi, fistola arterovenosaed ematomi). Questi problemi sono stati ridotti al mini-mo grazie ai miglioramenti tecnici della procedura,quali l’uso di mezzi di contrasto non ionici, angiografiaa sottrazione digitale, misurazione della pressione in-tra-arteriosa in prossimità della stenosi con o senza l’u-so di sostanze vasodilatatrici (differenza del picco si-stolico pre-vasodilatazione 5-10 mmHg e post-vasodi-latazione 10-15 mmHg), una modalità più sofisticata divisualizzazione e archiviazione dell’immagine. Alter-nativamente, al posto dei mezzi di contrasto convenzio-nali ne possono essere usati altri, come il biossido dicarbonio e agenti di contrasto per la RM come il gado-linio. Nei pazienti ad alto rischio (con danno renale),l’abbreviazione del protocollo di studio, utilizzandoproiezioni selezionate piuttosto che visualizzare l’inte-ro albero arterioso infrarenale, ha ridotto il carico delcontrasto, la durata dell’esame e i rischi correlati. No-nostante ciò, l’angiografia completa, con possibilità divedere l’albero arterioso dall’arteria renale a quella pe-didia usando la tecnica di angiografia digitale a sottra-zione, rimane in molti casi la principale scelta.

G2.2.2 Ecografia color Doppler L’ecografia color Doppler è stata proposta come validaalternativa all’angiografia. Oltre ad essere sicura e me-no costosa, l’ecografia color Doppler, in mani esperte,può fornire informazioni anatomiche essenziali e alcu-ne informazioni funzionali (per esempio, il gradiente divelocità attraverso la stenosi). Può essere visualizzatol’albero arterioso degli arti inferiori, valutati l’estensio-ne e il grado di severità delle lesioni e misurata la velo-cità di flusso arterioso. Gli svantaggi sono dati dalla du-rata degli esami e dall’operatore-dipendenza della me-todica. Inoltre, le arterie crurali sono difficili da visua-lizzare nella loro interezza.

G2.2.3 Angio-risonanza magneticaIn molti centri, l’angio-RM sta diventando la tecnicapiù usata per la diagnosi e la programmazione di tratta-mento dei pazienti affetti da AOP. I vantaggi sono la suasicurezza e capacità di garantire un’alta risoluzione di

immagine tridimensionale degli organi addominali,della pelvi e degli arti inferiori in unica scansione. Lanatura tridimensionale della RM consente di ruotare leimmagini e di valutarle lungo un infinito numero di pia-ni dello spazio. L’angio-RM è utile per la pianificazio-ne dell’intervento e nel verificare la suscettibilità dellelesioni all’approccio endovascolare. La preparazioneprima della RM può minimizzare l’uso del contrasto io-dato e l’esposizione a radiazioni.

La presenza di un campo magnetico fa sì che sianoesclusi i pazienti portatori di defibrillatori, stimolatoridel midollo spinale, shunt intracerebrali, impianti co-cleari, ecc., e vengono esclusi circa il <5% dei pazientiaffetti da claustrofobia non trattabile con un’opportunasedazione. Gli stent all’interno di segmenti dei vasi peri-ferici possono produrre artefatti tali da renderne difficilela valutazione. Comunque, la perdita di segnale in pre-senza di stent dipende dalla lega metallica, gli stent di ni-tinolo che producono minori artefatti. Contrariamente al-l’angio-TC (vedere sezione G2.2.4), nell’angio-RM lapresenza di calcio a livello vasale non produce artefatti equesto potrebbe costituire un vantaggio nella valutazio-ne dei vasi diffusamente calcifici dei pazienti diabetici econ insufficienza renale cronica. Le tecniche di angio-RM possono prevedere l’uso del gadolinio come contra-sto (angio-RM con contrasto [CE-MRA]) o no (tecnica“time of fly”). In generale, le tecniche CE-MRA usanoun tavolo mobile e sequenzialmente boli di contrasto at-traverso multiple (in genere 3-4) scansioni dall’addomeal piede. La CE-MRA ha rimpiazzato l’angio-RM senzamezzo di contrasto per la valutazione dei vasi periferici,in quanto questa tecnica fornisce immagini più rapide econ meno artefatti222. La CE-MRA ad alta risoluzionetemporale, generalmente eseguita in coniugazione con ilmovimento del tavolo, fornisce informazioni aggiuntivesui vasi infrainguinali e sulle immagini dinamiche privedella fase venosa.

La CE-MRA ha una sensibilità e specificità >93%per la diagnosi di AOP se paragonata all’angiografia222.Un certo numero di studi ha dimostrato che la CE-MRAha un potere discriminante migliore rispetto all’ecogra-fia color Doppler per la diagnosi di AOP. Recenti pro-gressi nel campo della CE-MRA, che includono l’uso dimanicotti venosi occludenti a livello della coscia permodulare la distribuzione del contrasto al piede e meto-di di imaging parallelo, hanno prettamente migliorato larisoluzione delle immagini di vasi distali (<1�1mm)223,224. L’angio-RM può rilevare una maggior nu-mero di vasi pervi rispetto all’angiografia digitale a sot-trazione al di sotto del ginocchio e può potenzialmenteovviare alla necessità di eseguire l’angiografia225.

G2.2.4 Angio-tomografia multidetettoreL’angio-TC multidetettore viene sempre più frequente-mente utilizzata per l’iniziale valutazione diagnostica eper la pianificazione del trattamento dell’AOP. La rapi-da evoluzione della tecnologia, lo sviluppo di sistemi diangio-TC multistrato sempre più veloci, la familiarità

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con la tecnologia TC e la facilità di esecuzione concor-rono a garantire la sua popolarità. L’angio-TC multide-tettore elabora immagini veloci degli arti inferiori e del-l’addome nella loro interezza durante l’inspirazionecon una risoluzione sotto il millimetro. Sebbene nonesistano ancora studi sull’angio-TC multidetettore, visono dati emergenti su come la sensibilità, la specificitàe l’accuratezza di questa tecnica potrebbero soppianta-re l’angiografia226,227.

I principali limiti dell’angio-TC multidetettore sonodati dall’uso di mezzi di contrasto iodati (≈120 ml/esa-me), dall’esposizione a radiazioni e dalla presenza dicalcio226. Quest’ultimo può causare un “artefatto bloo-ming” e precludere la valutazione dei segmenti calcifi-ci. I segmenti stentati possono causare significativi ar-tefatti e precludere un’adeguata valutazione. Tuttavia,la capacità di valutare il lume vasale nei segmenti constent e calcifici dipende dalla tecnica (finestra/livello,ricostruzione nucleare e tipo di immagine [massima in-tensità di proiezione verso la multiplanarietà]).

Per riassumere, se un paziente ha indicazione a te-rapia invasiva, l’angiografia sarà richiesta in quasi tuttii casi elettivi, preoperatoriamente per la ricostruzionechirurgica e prima o durante l’intervento percutaneo.L’ecografia viene impiegata principalmente per caratte-rizzare quelle lesioni suscettibili di trattamento endova-scolare. Tuttavia, la ricostruzione chirurgica arteriosapuò essere programmata sulla base della sola valuta-zione ecografica solo in alcuni casi. Le differenti tecni-che di imaging sono comparate nella Tabella G1.

Raccomandazione 43. Indicazioni e metodi peridentificare le lesioni arteriose

• Pazienti con claudicatio intermittens che conti-nuano ad avere limitazioni della loro qualità divita dopo appropriata terapia medica (riabilita-zione fisica e/o farmacoterapia) o pazienti conischemia critica degli arti, possono essere can-didati alla rivascolarizzazione se rispondono aiseguenti criteri: a) viene identificata una lesio-ne suscettibile di intervento di rivascolarizza-zione; b) il paziente non ha controindicazionisistemiche alla procedura, e c) il paziente ri-chiede terapie aggiuntive [B].

• La sede iniziale della patologia deve essere va-lutata mediante misurazioni di tipo emodinami-co come la pressione a livello del segmento in-teressato e il volume pulsato [B].

• Quando è necessario sapere la sede dell’occlu-sione per poter prendere ulteriori decisioni, so-no raccomandate le seguenti tecniche di ima-ging: ecografia, angio-RM, angio-TC (a secon-da della disponibilità locale, esperienza e co-sti) [B].

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Gruppo di Stesura della TASC

Discostamento da conflitto di interesse

I seguenti autori hanno dichiarato di non avere conflitti d’inte-ressi: Kevin Bell; Joseph Caporusso; John Dormandy; IsabelleDurand-Zaleski; Kenneth A Harris; Kimihiro Komori; JohannesLammer; Christos Liapis; Salvatore Novo; Mahmood Razavi;John Robbs; Nicholaas Schaper; Hiroshi Shigematsu; Marc Sa-poval; Christopher White, John White.

I seguenti autori hanno dichiarato di avere conflitti d’inte-resse: - Denis Clement è stato invitato a parlare ai congressi e ai sim-

posi dalle principali case farmaceutiche - Mark Creager lavora come medico consulente per la Bristol-

Myers Squibb, Sanofi-Aventis, Genzyme, Sigma Tau, e Kos.Riceve fondi per la ricerca dalla Sanofi-Aventis ed è all’uffi-cio pubbliche relazioni della Bristol-Myers Squibb/Sanofi-Aventis associati

- Gerry Fowkes ha ricevuto supporto per la ricerca e compen-si per consulenze dalla Sanofi-Aventis

- Kenneth Harris è stato portavoce per la Sanofi-Aventis delprogetto TASC

- William Hiatt ha ricevuto supporto per la ricerca ed è all’uf-ficio pubbliche relazioni della Bristol-Myers Squibb/Sanofi-Aventis associati. Ha ricevuto onorari dalla Otsuka Farma-ceutici e fondi per la ricerca dalla Sigma Tau e Kos

- Michael Jaff è stato pagato per consulenze dalla Cordis en-dovascolare ed è all’ufficio pubbliche relazioni della Bristol-Myers Squibb/Sanofi-Aventis associati

- Emile Mohler III è all’ufficio pubbliche relazioni della Bri-stol-Myers Squibb/Sanofi-Aventis associati, Merck, Pfizer eAstra-Zeneca

- Mark Nehler ha ricevuto finanziamenti dalla Sanofi Aventise Mitsubishi Farmaceutici e diritti d’autore dalla Elsevier

- Lars Norgren è stato pagato per consulenze come mem-bro/presidente di trial clinici e come portavoce della Mitsu-bishi Pharma, Sanofi-Aventis, Schering Ag e Merck-Sante

- Robert B. Rutheford lavora come medico consulente per laEndovasc, Inc.

- Peter Sheehan ha ricevuto fondi per la ricerca dalla Genzy-me e Nissan, ed è all’ufficio pubbliche relazioni della Bri-stol-Myers Squibb/Sanofi-Aventis associati

- Henrik Sillesen ha ricevuto pagamenti per consulenze dallaPfizer, Sanofi-Aventis e Merck e pagamenti come portavocedalla Pfizer, Sanofi-Aventis, Merck, Astra Zeneca, Solvay eBristol-Myers Squibb. Gli è stato versato supporto finanzia-rio per collaborazione alla ricerca dalla Vivolution, Pfizer,Bristol-Myers Squibb e Gore

- Kenneth Rosenfield fa parte del comitato scientifico dellaAbbott, Boston Scientific, CardioMind, Cordis, ev3, Med-tronic; lavora come medico consulente per Abbott, Bard, En-dotex, Genzyme, Pathway Medical e Stent; ed è un azionistadella CardioMind, Medical Simulation Extent. In aggiuntaha ricevuto finanziamenti per la ricerca e per la formazioneda Abbott, Accumetrix, Bard, Boston Scientific, Cordis, TheMedicines Co. e Medtronic

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