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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA
Dipartimento di civiltà e forme del sapere
Tesi di laurea del corso di laurea in
Scienze per la pace: cooperazione internazionale e
gestione dei conflitti
Il conflitto organizzativo
nel terzo settore
Relatore: Prof. F. Corrieri
Candidato: Alessio Mancinelli
Anno accademico 2014/2015
2
Sommario INDICE
INTRODUZIONE 3
CAPITOLO 1 6
CONFLITTI E TENSIONI 6
1.1 TIPOLOGIE DI ATTORI 6
1.2 IL GRUPPO 10
CAPITOLO 2 12
RISORSE E ORGANIZZAZIONE 12
2.1 DISTONIA E DISSONANZA ALL’INTERNO DI UN ORGANIZZAZIONE 12
2.2 FUNDRAISING 14
2.3 IL COMPLESSO ORGANIZZATIVO 17
2.4 IL LEGAME CON IL TERZO SETTORE 18
CAPITOLO 3 20
ALCUNE CARATTERISTICHE INTERNE 20
3.1 LA COMUNICAZIONE INTERNA E LA MISSION 20
3.2LA CULTURA ORGANIZZATIVA 21
3.3 LE COOPERATIVE 22
3.4 FORPROFIT E NON PROFIT 23
CONCLUSIONI 26
BIBLIOGRAFIA 27
27
3
Introduzione
La questione centrale di questo testo è come può essere affrontato, gestito e
trasformato un possibile conflitto all’interno di enti che operano nel terzo
settore. Si vuole mostrare quali sono i passaggi di un percorso che analizza
realtà concrete di recente creazione. Analizzare un contesto non è mai facile
ma diventa ancora di più difficile quando nascono realtà nuove, con
dinamiche proprie che vanno a influenzarsi ed evolvono continuamente.
In una realtà in rapido cambiamento e sempre più veloce nei ritmi è
necessario approfondire quali sono i migliori strumenti per una gestione e
per un controllo efficace. Le realtà conflittuali di ogni settore della società
hanno delle dinamiche proprie e così è anche per il terzo settore.
Presso l’associazione Alba dove ho svolto il tirocinio sono entrato in contatto
con una realtà che comprendeva almeno quattro tipologie di gruppi,
volontari-utenti, tirocinanti, personale retribuito e personale a carico del
servizio civile e direzione. Partecipando come tirocinante e passando molto
tempo in questo ambiente ho avuto modo di osservare i rapporti esistenti tra
i gruppi in modo sia verticale che orizzontale. L’idea iniziale è stata quella di
immergermi nel circolo di relazioni tralasciando l’aspetto del ruolo di
tirocinante, cercando un’esperienza più coinvolgente. L’interesse che è nato
successivamente è andato verso un arricchimento personale e formativo.
Invece di concentrare questo lavoro esclusivamente sul tirocinio ho ritenuto
utile approfondire l’aspetto accademico creando un lavoro parallelo al
tirocinio. La nascita dell’argomento è nata dal confronto e dalla scelta tra
varie proposte. La ricerca dei testi è stata campionata sull’ateneo Pisano e
sulle biblioteche pubbliche della città. Le biblioteche delle facoltà
umanistiche, la provinciale e quella della facoltà di economia sono quelle che
hanno contributo maggiormente. Come ogni lavoro il momento iniziale è
4
cruciale per determinare la questione di continuare o meno. Dopo aver scelto
l’argomento generale il percorso è quello di individuare le parole chiave per
la consultazione, parole che si sono modificate ed adattate a seconda
dell’ambito della disciplina.
Il lavoro scritto segue il percorso della ricerca, cominciando da aree
tematiche che coinvolgono conflitti di relazione tra attori. Passando
successivamente ad aspetti più strutturali e di gestione, in particolare
vedendo come il processo di crescita dell’apparato dirigente subisca delle
trasformazioni che determinano in modo consistente il futuro
dell’organizzazione in questione. Analisi del funzionamento di un ente che
opera nella raccolta fondi e un aspetto più generale di chi opera nel terzo
settore, quello del servizio. Un paragrafo è stato dedicato alle cooperative, ed
un breve confronto tra il non profit e il forprofit. La valutazione delle parole
chiave durante la ricerca ha seguito uno schema per ogni ricerca fatta in ogni
biblioteca. Seguendo un ordine per aree tematiche è cominciato dalla
psicologia, per passare alle scienze sociali. I passaggi successivi si sono
spostati su tematiche più legate all’organizzazione e al terzo settore in una
prospettiva più economica. L’inizio della ricerca ha portato alla compilazione
di una griglia di ricerca per i testi. È stata composta inizialmente su dieci
concetti chiave. Alla fine delle consultazione delle biblioteche è stata
ampliata a quindici parole chiave. L’esperienza della ricerca ha portato ad una
conoscenza della catalogazione dei libri nelle biblioteche. Il fine è di scoprire
quali testi sul sistema bibliotecario di ateneo trattano il tema di argomento o
definiscono alcune tematiche nel particolare. La consultazione dei libri finale
è arrivata a centodieci testi tra libri e articoli recuperati sul sistema
informatico di ateneo. Di tutti i testi consultati in loco alle biblioteche i
riferimenti più significativi sono stati venticinque testi. Dopo la prima ricerca
grazie alla griglia elaborata i venticinque testi sono stati rivisti una seconda
5
volta. Considerando la mole di materiale che spaziavano su questo
argomento ma da vari punti di vista, ho passato i testi in rassegna
singolarmente per creare un’ulteriore suddivisione. Quello che ne è scaturito
è stato un filo conduttore che lega al tema scelto i riferimenti raccolti. La
seconda selezione del materiale è stata decisiva per circoscriver l’argomento
trattato. L’ultima parte del lavoro è stata di formulare un elenco ragionato su
come organizzare i riferimenti raccolti. La logica di questa parte è stata
partendo dagli argomenti scelti che avevano un carattere pratico e più in
contatto con dinamiche reali. L’elenco e la narrazione di possibile processi
non astratti è stato seguito da argomento di stampo più concettuale e più
accademico. Trovare teorie e definizioni puramente concettuali sul temi scelti
è stato lievemente più complesso perché il rischio di uscire fuori tema è
aumentato. La stesura finale è stata la parte più interessante perché il lavoro
è stato di far confluire due aspetti diversi tra loro. Si spera in una lettura
scorrevole e nel dare in un’idea chiara dell’argomento trattato nonostante la
sua ampiezza e complessità.
6
Capitolo 1
Conflitti e tensioni
La conflittualità presente oggi nella società è interdipendente. I modelli per la
gestione organizzativa vanno verso un cambiamento e un evoluzione dei loro
stessi strumenti. Negli ultimi anni tematiche di conflitto sono aumentate, o
meglio, è stato possibile approfondirle secondo metodologie, approcci e
contesti diversi. La crisi di oggi ha portato un aumento di tensioni nella
società, e queste hanno portato a una maggior condivisione tra le persone. La
comunanza di una difficoltà porta all’aggregazione sociale, e l’impegno
sociale sta subendo una trasformazione.
1.1 Tipologie di attori
Il conflitto interno alle organizzazioni di terzo settore è riferibile a vari
argomenti e tematiche. Prima di tutto la nascita di organizzazioni di terzo
settore che coinvolgono tipologie di attori differenti. Volontari e personale
retribuito e gestione di volontari “difficili” sono i primi casi di conflitti e
controversie. Gli individui hanno un proprio modo di vedere le cose, anche
quando condividono i soliti interessi. Nel gruppo di lavoro si condivide un
senso di unità, di appartenenza ma anche un senso di diversità. Nonostante
questo le differenze portano a dei conflitti che devono essere gestiti, come
l’attivazione di risorse interne o esterne per evitare che si aggravino certe
situazioni. La maggioranza dei casi di conflitto interno deriva da:
7
1) Differenze di idee rispetto a potere e autorità, visioni scopi e priorità
dell’organizzazioni, procedure e regole di lavoro, comportamenti,
problemi e possibili soluzioni.
2) Aspetti organizzativi-gestionali inadeguato sistema di management,
inadeguate risorse organizzative per il lavoro da svolgere, procedure
troppo complesse e regole troppo rigide.
3) Questioni personali: incompatibilità caratteriali, precedenti conflitti
irrisolti.
Secondo Adirondack (1992) il conflitto si verifica quando manca la
disponibilità ad accettare altri punti di vista e valori, un accordo sugli
standard da utilizzare per valutare azioni comportamenti e risultati, un
sistema di regole chiaro per risolvere i conflitti e prendere le decisioni, o se
qualcuno vuole prevalere o dominare o si irrigidisce sulle sue posizioni.
Quando avviene un conflitto i membri di un gruppo provano diverse strategie
per risolverlo autonomamente: far finta di niente, imporre una soluzione
sulla base di un potere formale o gerarchico, lasciare che le parti coinvolte
trovino una loro soluzioni o guidarle discretamente nel percorso. Può
accadere che se vi è un escalation della conflittualità si ricorra al ruolo di un
mediatore, che agisce come parte terza e neutrale, avendo strumenti per
prevenire l’aggravarsi dei conflitti. Le controversie nate posso diventare
stimolo di crescita per l’organizzazione se il mediatore riesce nel suo operato.
Inoltre le sue competenze gli permetteranno di distinguere opinioni, fatti
valori, pregiudizi, fantasie. Riconoscere e tenere distinte le proprie emozioni
e i propri giudizi. Riconoscere le negatività, usare la logica del perché è
successo invece del di chi è la colpa, mettere in luce le differenze senza
appiattirle. Il mediatore infine sa che ci sono tre modi possibili in cui il
conflitto può finire: un vincitore e un perdente, perdita di ambedue le parti,
vincono entrambe le parti. La prima presenta maggiori difficoltà per le parti
8
coinvolte e per l’organizzazione, la seconda non garantisce un reale
superamento del problema ma solo una riduzione temporanea del conflitto.
La terza invece è quella più ottimale perché permette il pieno superamento
del conflitto con soddisfazione a tutti i soggetti coinvolti.
Un altro problema che un’organizzazione può incontrare è la gestione di
volontari cosiddetti “difficili”, individui che in un contesto di gruppo tendono
a essere al centro dell’attenzione, bisogno eccessivo di socializzazione
parlano continuamente. Il coordinatore o il supervisore si possono quindi
trovare nella situazione di gestione relazioni che vanno a complicarsi. Un
rischio è quello che il volontario diventi improduttivo. A tal punto viene
messo in evidenza che in certi casi il supervisore non può essere in grado di
risolvere ogni difficoltà relazionale che si presenti. Tenere comportamenti
dove non viene data attenzione, o diventare troppo critici può far allontanare
il volontario.1
Altra natura conflittuale delle organizzazione è il rapporto che si istaura tra il
personale retribuito e il personale volontario. Il primo può garantire una
continuità nel lavoro, ed ha una professionalità specifica rispetto alle
esigenze della organizzazione. La figura del volontario invece è fondamentale
nelle piccole organizzazione non profit, dove diventa più importante l’aspetto
motivazionale rispetto a quello professionale. Infine per le organizzazioni non
profit, che spesso nascono su base volontaria, prosperano e crescono quando
l’aspetto motivazionale è alto e aspetti come entusiasmo intraprendenza
sono posti in primo piano. Per un lavoratore retribuito è difficile manifestare
questi aspetti. Ciò che offrono i volontari è l’energia mentre il personale
retribuito apporta competenze tecniche e professionali che al volontario
1 De Palma E, I volontari una risorsa da valorizzare, Edizione città aperta, capitolo 13
9
mancano. La gestione dei volontari è agevolata dalla mancanza di vincoli
sindacali e legislativi.2
Infine sembra che le tensioni siano causate dal fatto che i lavoratori retribuiti
detengano uno status elevato, cioè basato sulla conoscenza
dell’organizzazione sviluppata attraverso una più continua esperienza
lavorativa al suo interno e al valore attribuito alla “professionalità”, e questo
comporta un implicito rigetto dell’importanza del sacrificio di sé, dato che
ricevono un salario. I lavorati retribuiti hanno un doppio aspetto, uno
maggiore in quanto hanno capacità lavorative, e uno minore in quanto non si
sacrificano allo stesso modo dei colleghi volontari. Un altro elemento che
pone l’accento sulla differenza tra volontari e lavoratori retribuiti è lo status
professione. I lavoratori ne hanno uno più importante e direttamente
proporzionale al livello di specializzazione e di addestramento richiesto dalla
loro professione.3 Spostando l’attenzione dal conflitto tra volontari e
personale retribuito vi è anche una questione parallela legata alle
controversie interne, perché in un’organizzazione medio-piccola auto gestita
è possibile che si crei un “incertezza dei ruoli organizzativi”. Nasce dalla
riflessione che i volontari si ritrovano a sostenere ruoli o cariche organizzative
in contraddizione tra loro. I membri dell’associazione ne possono essere sia i
proprietari che i “volontari addetti al servizio diretto”. Ed in più gli stessi
membri dell’associazione possono esserne i diretti clienti in caso di
organizzazione self-help. Ogni ruolo di comportamento reca con sé una serie
particolare di attese di comportamento. Per esempio i proprietari
determinano l’orientamento di un’organizzazione, quindi collaborano a
determinarne strategia e politiche. Sono però anche lavoratori incaricati di
mettere in atto decisioni di altre persone. I volontari e le persone che
2 People raising, manuale pratico per la ricerca di volontari, Susan J. Ellis, Valerio Melandri. Cap 9
3 J. L. Pearce, Volontariato, capitolo 7
10
lavorano in tali circostanze sono pertanto liberi di dare maggior importanza
all’uno o all’altro ruolo o di combinarli tra loro. Altro motivo di controversia
può divenire nel caso in cui chi detiene la proprietà, quindi di livello
superiore, voglia mantenere i lavoratori volontari ad un livello inferiore,
portandoli ad assumere ruoli più adatti ai loro interessi e meno orientati alla
gestione e alle decisioni. Se un’organizzazione non riesce a gestire le
dinamiche di ruoli il potenziale del conflitto aumenta.4
1.2 Il gruppo
Il gruppo è un aspetto importante nelle relazioni e quando si crea tende a
categorizzarsi. Si definisce come quell’aggregazione tesa a raggiungere
finalità specifiche per cui i membri sono chiamati a contribuire fattivamente
tramite produttività tecnica e sociale. Tale gruppo è osservabile tramite la
teoria dello scambio: le persone decidono di restare in una relazione solo se
ciò che ricavano supera gli eventuali vantaggi di altre relazioni alternative
disponibili. Da qui si può integrare anche la teoria delle abilità sociali: le
persone impostano l’interazione secondo criteri inerenti ai loro bisogni
(intimità, dominanza, tono emotivo, concretezza, conoscenza dell’altro) e chi
non possiede abilità sociali può incontrare problemi nello stabilire rapporti
utili.5 Il gruppo sociale di appartenenza contribuisce alla formazione
dell’individualità del soggetto stesso, soprattutto quando si introduce il senso
comunitario di un organizzazione, ad esso si fa riferimento per esempio a dei
gruppi di volontariato, intesi come entità in cui la appartenenza del singolo
assume una valenza inter-soggettiva, fortemente orientata dalla solidarietà. Il
volontariato organizzato è una forma specifica di adesione libera del soggetto
ad un gruppo che esita, a livello sociale, nella costruzione di legami solidali.
4 Ivi.
5 De Sario P., Professione facilitatore, Edizione franco angeli, 5.6.1 Le relazioni di gruppo
11
Entrando in questo ambito bisogna inserire una visione più ampia, cioè
chiedersi come in un contesto di gruppo si può aumentare il senso di fiducia e
di appartenenza. Lavorare in un organizzazione non si limita a risolvere i
problemi e a prendere decisioni giuste. Questi sono aspetti che
caratterizzano le attività nelle quali gli individui sono immersi durante il
lavoro. Quello che viene alla luce in modo secondario sono le emozioni,
aspettative e i bisogni degli individui. Si identificano così due tipi di registri,
uno di carattere produttivo e uno di carattere psicologico. Possono essere
distinti solo da un punto di vista concettuale, mentre da uno fenomenologico
sono interdipendenti.6 Se un’organizzazione può essere vista come un
organismo, allora in questo organismo esistono varie parti che convivono. In
modo analogo si può affermare che in un’organizzazione di persone vi è una
convivenza, e questa viene basata su idee, regole, percezioni. In contesti
lavorativi, o di servizio nel caso di OTS (organizzazioni del terzo settore), i
soggetti si trovano nella condizione in cui non può essere scelto con chi
convivere. La qualità della convivenza organizzativa perciò riflette il livello di
“benessere”. A sua volta è conseguenza della qualità delle relazioni tra le
persone e il contesto di lavoro che si basa, appunto, sul livello di fiducia e di
affidabilità che regola i rapporti gerarchici tra gli individui, in senso sia
orizzontale che verticale7.
6 Quaglino G. P., Psicodinamica della vita organizzativa, Milano, Raffello Cortina, 1996, pp. 93-94
7 Bochicchio F., La convivenza nelle organizzazioni tra fiducia e affidabilità.
12
Capitolo 2
Risorse e organizzazione
Il cambiamento degli ultimi tre decenni ha portato la creazione e l’espansione
di realtà e iniziative prima meno sviluppate. L’impegno sociale da sempre ha
avuto un suo spazio nella società, ma solamente in tempi più recenti ha avuto
un ampio sviluppo di stampo economico e una grande espansione a livello
internazionale. Lo sviluppo tecnologico ha certo favorito questo
cambiamento, e allo stesso tempo questo sviluppo ha portato la necessità di
affrontare dinamiche che risiedono nella base del nostro sistema di crescita,
sia su un piano strutturale, ma soprattutto sociale e di conseguenza
ambientale.
2.1 Distonia e dissonanza all’interno di un’organizzazione
Un’organizzazione non profit può avere un struttura complessa al pari di ogni
altra impresa o azienda. Una struttura di carattere gerarchico, con gruppi e
individui portatori di rappresentazioni della realtà diverse tra loro. I primi
ostacoli all’avvio di una strategia fund raising possono derivare proprio dalle
differente rappresentazioni di cui sono portatori gli aderenti
dell’organizzazione. Essi tendono a produrre conflitti all’interno
dell’organizzazione stessa, nonché il prevalere di un atteggiamento passivo o
di rifiuto nei confronti delle attività di raccolta fondi. In merito a questo è
bene ricordare che ci possono essere dei fenomeni di distonia e dissonanza
(d’Andrea, Cancedda, CERFE, 1995). Si parla di distonia quando, all’interno di
un’organizzazione, vi sono rappresentazioni della realtà diverse e in conflitto
tra loro. È il caso della persistenza in una stessa organizzazione di gruppi che
percepiscono il marketing come un pericolo mortale e di altri che, al
13
contrario, lo ritengono l’unica strada da percorrere. Si parla, invece, di
dissonanza quando l’ambiente cognitivo del soggetto non è in grado di
controllare l’ambiente dove opera. È questo, ad esempio, il caso di un
organizzazione che valuta il risultato pur oggettivamente soddisfacente di
una iniziativa di fund raising in termini di “fallimento”, presupponendo che
ogni cittadino contattato avrebbe dovuto necessariamente far propria la
buona causa della organizzazione. In senso generico i conflitti più frequenti
da gestire nelle organizzazioni sono:
Contestazioni in merito alla raccolta di sponsorizzazioni da parte di
imprese considerate non in sintonia con le finalità sociali della
organizzazione;
Conflitti tra la struttura centrale e le sedi periferiche riguardo alle
metodologie di raccolta fondi e all’uso di questi ultimi che possono
comportare l’attivazione di forme di concorrenza interna;
Contestazioni della decisione di distogliere risorse finanziare e umane
dal perseguimento dei fini sociali della organizzazione per impegnarle
delle campagne di raccolta fondi.
I conflitti interni non sono categoricamente negativi, il pericolo da
scongiurare è che il conflitto rimanga latente, senza sedi per esplicitarsi. Una
situazione di tensione permanente può portare un fallimento sia nella
quotidiana gestione che nei progetti di più ampio interesse. 8
8 Ambrogetti F., Coen C. M., Milano F., Manuale di fund raising. La raccolta fondi per le organizzazioni
non profit, Carocci editore, Roma 1998.
14
2.2 Fund raising
Il fund raising si è andato sviluppando con l’evoluzione delle organizzazioni
non profit e delle fondazioni. In un mondo dove la prevalenza sono imprese a
carattere profit le organizzazioni che fanno ricorso a questo strumento si
avvalgono di tecniche e strategie innovative. Si tratta del complesso di
attività che l’organizzazione non profit mette in atto per la creazione di
rapporti di interesse fra chi chiede risorse economiche, materiali e umane, in
coerenza con lo scopo statutario, e chi è potenzialmente disponibile a
donarle. Dato che le organizzazione non profit utilizzano la rete del
volontariato si è aperta una porta anche in questo campo per le risorse
umane. Data la gratuità del volontariato sono state elaborate tecniche per la
valorizzare le persone. Avendo già analizzato il conflitto che può istaurarsi tra
gruppi di volontari e personale retribuito, si metterà l’attenzione sugli organi
di governo dell’organizzazione non profit e chi agisce per l’organizzazione alla
ricerca di fondi. La formazione degli organi di governo sono distribuiti su un
evoluzione dell’organizzazione stessa, ad un primo stadio vi è un organo
informale. È tipico degli albori di un’associazione e la forma può essere divisa
in organi di governo carismatici, i cui membri sono selezionati dal promotore
dell’associazione il quale vuole creare un organo direttivo a sua immagine e
somiglianza, oppure, al contrario organi di governo attivisti, formati dai
volontari che decidono di associarsi e iniziano a lavorare su progetti che
condividono. Nel primo caso si tratta un organo piccolo, con riunioni
informali dove i consiglieri si limitano a seguire la vocazione del leader senza
assumere troppe responsabilità. Il secondo caso di organo di governo
riguarda quelle associazione dove alla nascita non è presente un forte leader
carismatico, ma si associano volontari per lavorare su progetti che condivisi.
L’organo è composto da un piccolo e abbastanza omogeneo numero di
persone, disponibile a impegnarsi. Si crea un forte senso di responsabilità
15
verso l’organizzazione. Durante l’espansione dell’associazione si evita
l’assunzione di personale retribuito perché rimane il desiderio di mantenere
pura la vocazione e lo scopo sociale del gruppo. Nel caso di assunzione di
personale si potrebbero formare conflitti o controversie come:
1) Il personale retribuito toglie lo scopo personale alle persone che si
impegnano in modo gratuito.
2) I fondatori sono riluttanti a condividere il potere che è sempre stato
soltanto loro;
3) Alcuni membri dell’organo di governo, fra cui fondatori e più
impegnati, si candidano per diventare personale retribuito9.
Queste motivazioni spiegano come le associazioni di questo carattere evitano
il reclutamento di personale retribuito. La transizione che porta all’evoluzione
dell’organizzazione da informale a formale può essere dovuta a cattivi
rapporti tra leadership e personale pagato o crisi finanziarie. Questo
passaggio è dato anche dal fatto che membri dell’organo di governo escano
dall’organizzazione ed altri nuovi subentrano. Questo nuovo cambio porta
nuova vitalità, aspettative ed esperienze. Si forma uno scontro tra i membri
di recente entrata e quelli di vecchia data. Queste divergenze portano ai
sistemi di governo carismatico e attivista il desiderio di cambiare e sentono di
dover comportarsi più come organi ufficiali. Nella piena maturazione
dell’organo di governo formale si vede il direttore dell’organizzazione
emergere come leader principale e accetta la responsabilità di assicurare che
il lavoro dell’organo di governo e del personale retribuito venga svolto in
modo coordinato ed efficace. Man mano che gli organi di governo diventano
più grandi il lavoro viene concentrato nelle mani di più comitati e di unità
operative. Comincia così un allargamento dell’organico e spesso in modo
9 Melandri V., Masacci A., Fund raising per le organizzazioni non profit, capitolo 10.
16
poco razionale, trascurando le competenze per le posizioni di rilievo. Si
ipotizza che il direttore veda nella transizioni ad un organi di governo più
efficace costo in termini di tempistiche elevato. Se il Presidente dell’organo di
governo si assume la responsabilità di allargare e diversificare l’organo di
governo e sviluppare una dinamica di successo, il direttore esecutivo non
dovrà spendere troppo tempo in tali operazioni. Ma, inevitabilmente, il
tempo necessario per costituire un organo di governo è più lungo di quanto
immaginato dal direttore esecutivo e i risultati dello sforzo non sono
immediatamente visibili in termini di aumento della produttività dell’organo
di governo. Le commissioni allunga i tempi e necessitano di personale
retribuito e di sostegno. Si rendono necessari così l’orientamento dei nuovi
membri e incontri che consentono al direttore esecutivo di capire le idee dei
membri dell’organo di governo, i loro interessi e ciò che essi vorrebbero fare.
Il terzo passo dell’evoluzione dell’organo di governo passa da uno formale a
un organo di governo istituzionale, di orientamento fund raising. Questo
passaggio è necessario perché se l’organizzazione ha successo e continua a
crescere, cresce l’importanza dell’organo di governo e la necessità di
un’azione di fund raising diventa la componente più importante
dell’organizzazione.
Il carattere istituzionale del nuovo organo tiene conto di un grande numero di
membri, in grado di fare donazioni, oppure che hanno contatti con potenziali
donatori. Il naturale ruolo che li viene attribuito è la promozione e gestione
del fund raising, mentre la gestione dell’organizzazione è spesso delegata a
un comitato esecutivo o di gestione. Infine, sebbene conservi il suo ruolo di
governo e la sua autorità legale, l’organo istituzionale prende pian piano vita
autonoma rispetto alla vita dell’organizzazione; il numero dei suoi membri
aumenta per far fronte ai nuovi impegni assunti, e il focus dei compiti, se ben
guidato diventa principalmente l’azione di fund raising. Questo processo di
17
evoluzione dell’organo dirigente di un’associazione o organizzazione non
profit influenza il suo stesso sviluppo futuro. È chiaro come oltre a livello
inferiori la possibilità di conflittualità si sviluppi anche a livelli superiori,
dando un’idea di trasversalità.
2.3 Il complesso organizzativo
Quello che accade all’interno delle organizzazioni non profit spesso è un
adattamento al cambiamento o influenzamento di circostanze esterne
quanto hanno la caratteristica di organizzazioni aperte. Gran parte dei
conflitti organizzativi che si generano all’interno delle organizzazioni non
riflettono che la presenza di pressioni esterne che mettono in crisi le forme
consolidate di azione della non profit. Essendo per alcuni versi estranee a una
logica di controllo diretto della loro performance, le organizzazioni non-profit
sono particolarmente esposte a influenze di natura ideologica culturale,
mode. Conducono a privilegiare forme d’azione che rispondono più a modelli
culturali consolidati più che a bisogni sociali insoddisfatti10. Mai il punto
prima della nota. Un altro aspetto dove osservare la tensione esistente tra
identità e servizio è quello del cambiamento organizzativo. Un’idea diffusa
nella teoria sul terzo settore è che le organizzazioni non-profit siano vincolate
nella loro flessibilità d’azione dall’esigenza di mantenere una forte aderenza
con la missione originaria. Dato questo molte organizzazioni presentano una
notevole adattabilità all’ambiente e una grande flessione operativa. L’idea di
mantenere una missione o scopo originario non per tutte le organizzazioni è
un vincolo stretto, perché avere una formulazione di sé ambigua e la
necessità di reperire risorse le porta a sviluppare una capacità di
adattamento alle variazioni del contesto in cui opera. Il cambiamento
organizzativo è così molto più diffuso di quanto le teorie convenzionali sul
10
Ranci C., oltre il wefare state, pag. 138
18
terzo settore inducano a ritenere. E questo cambiamento diventa uno dei
campi principali in cui viene sfidata la capacità delle organizzazioni non profit
di giocare un ruolo sociale rilevante senza tradire la loro identità originaria. Le
forme di cambiamento che si va incontrando, nella maggior parte dei casi
hanno messo in evidenza una tendenza omogenea verso la progressiva
formalizzazione delle organizzazioni non-profit. Ciò è segnalato dall’aumento
progressivo delle entrate, organigrammi sempre più elaborati, maggiore
divisione dei ruoli, espansione della gerarchizzazione e un clima interno meno
informale.11
2.4 Il legame con il terzo settore
Il terzo settore è interpretato come l’economia dei servizi, successiva
all’economia post-industriale. Tali servizi sono considerati come un processo
organizzativo costituito da una rete di relazioni che generano altre relazioni.
Legame, comunicazione, cooperazione e conflitto fra gli attori interagenti
diventano i prodotti di questo nuova economia. La logica del servizio è infatti
incongruente con la logica del prodotto: il servizio è interpersonale ed è una
relazione mentre il prodotto è un artefatto che reifica e sostituisce la
relazione. Esistendo una qualità dei prodotti si affianca anche una qualità
sociale dei servizi, che si riferisci ad una qualità di relazioni più che di processi
sociali. In questa prospettiva viene in luce l’importanza di analizzare
altrettanto il “come”, cioè quali organizzazioni favoriscono visioni alternative
nel sociale. Come per esempio sono organizzati i servizi e come agiscono nel
sociale, e come le relazioni si instaurano al loro interno. Infine le
organizzazioni e istituzioni nella loro attività quotidiana sprigionano un
potenziale generativo che struttura la vita sociale, che la mette in forma, e
11
Ivi, p.139-140
19
funziona da cuore pulsante per la vita pubblica, democratica e sociale di un
paese.12
12
De Leonardis O, Vitale T., 2001, “Forme organizzative del terzo settore e qualità sociale”, in M. La rosa (a cura di), Le organizzazioni nel nuovo welfare: l’approccio sociologico. Pubblico, privato sociale, cooperazione e non profit, Maggioli, Rimini, pp. 113-130.
20
Capitolo 3
Alcune caratteristiche interne
Il lavoro contribuisce a osservare alcune caratteristiche interne, cioè quegli
aspetti che sono identificato con processi. La caratteristiche di questi è
un’invisibilità presente, come se non fossero tangibili ad occhio nudo ma che
vengono percepite da chi vive all’interno di un’organizzazione.
3.1 La comunicazione interna e la mission
I processi di comunicazione interna assumono ruoli rilevanti, e possono
essere la causa di conflitti interni. Ci si riferisce principalmente al saper
comunicare nei confronti del personale, motivare i volontari e far
comprendere al cittadino/utente il valore dei servizi offerti ed erogati. Quindi
comprende un insieme di attività e di strumenti di comunicazione mirati a
favorire un corretto funzionamento dell’organizzazione e una buona
collaborazione tra i membri di essa. In particolare deve migliorare il
collegamento tra le varie aree decisionali e funzionali, lo sviluppo di sistemi di
valore condivisi creando un forte senso di appartenenza.13 Negli aspetti
interni delle organizzazioni che promuovono attività basate
sull’empowerment, la comunicazione gioca un ruolo chiave in tutti i processi,
dalla selezione dei volontari a quella della progettazione. In particolare per
abbassare il rischio di turnover dei volontari bisogna fare largo uso della
comunicazione interna. È necessario trasmettere a chi impegna il proprio
tempo gratuitamente l’importanza della mission dell’organizzazione, del
13
Federici M. C. Elementi sociologici della comunicazione nella società postmoderna, Volume 2. Morlacchi Editore, Perugia 2003, p.209
21
contributo di ciascuno al suo perseguimento e condividere il livello del
raggiungimento dei risultati ottenuti.14
3.2La cultura organizzativa
La a cultura organizzativa comprende quel sistema di valori, simboli e assunti
che incidono sul comportamento dei partecipanti al di là del sistema dei ruoli
e che consente pertanto di spiegare atteggiamento altrimenti non
comprensibili se riferiti alla sola struttura sociale (Ferrante e Zan, 1998).15
L’evoluzione che avviene dentro un’organizzazione viene facilitata quando
riesce ad individuare altre strategie da far apprendere ai propri partecipanti,
grazie ad un apprendimento collettivo, dove gli individui della comunità sono
chiamati a fissare una nuova prassi sociale.16 Un elemento costitutivo di
questa cultura organizzativa è proprio il linguaggio. Un codice per lo scambio
di informazioni, come “modalità specifica della realtà e di distinzione delle
stesse organizzazioni dalle altre operanti nell’ambiente17”. Di fatto il
linguaggio è una delle prime cose che un individuo apprende entrando a far
parte di un’organizzazione, che gli consente di intendere correttamente le
istruzioni, di partecipare più o meno attivamente alla stessa vita
organizzativa. Mancando un linguaggio comune condiviso qualsiasi problema
diverrebbe insormontabile e qualunque soluzione improponibile.
14
Zerboni N., terzo settore: gli strumenti a sostegno del volontariato, paragrafo 7.5 15
Desinan C., formazione e comunicazione, Franco Angeli, Milano 2002 16
Migliorini M. E., Mazzoli G., Valenti O., Le voci dentro, Franco angeli, Milano 1997, p. 125 17
Ferrante M., Zan S., Il fenomeno organizzativo, Carocci, Firenze 1998, p. 109.
22
3.3 Le cooperative
Le aziende definite non-profit hanno come fine quello di produrre utilità
sociale, che si esprime in relazione alla quantità e qualità delle prestazioni
erogate ed alla quantità e qualità di bisogni soddisfatti. Si differenziano in
quanto nascono per soddisfare i bisogni di coloro che generano un attività
produttiva in forma concentrata ed organizzata. Coloro che si impegnano in
questo campo hanno bisogno loro stessi dei servizi che le cooperative
offrono. Questo loro interesse non ha come fine un profitto, cioè la
massimizzazione del risultato residuale che deve remunerare il rischio di
perdita economica che deriva da un attività di investimento, ma il
soddisfacimento dei loro stessi bisogni. Nasce così una visione non
utilitaristica del benessere sociale. L’organizzazione delle cooperative sociali
hanno come obiettivo la soddisfazione del capitale umano da esse stesse
utilizzato. Io non l ho capita metti una nota Le persone coinvolte nelle
associazioni rappresentano una vera e propria forma di capitale di queste
organizzazioni, in quanto producono beni e servizi dove la capacità
professionale assume un ruolo di rilievo nel determinare e valutare la
prestazione finale. L’espansione del mercato delle cooperative sociali ha
portato a sostenere che le cooperative attirano e selezionano persone
particolarmente motivate a operare in queste organizzazioni. In più si
sostiene che la crescita del numero e delle dimensioni delle cooperative
porta esse stesse a confrontarsi con un più ampio mercato del lavoro da cui è
possibile venire in contatto con risorse umane che non sono di per se
altamente qualificate e addestrate. Le forme della cooperazione sociale
vengono definite tramite dei modelli di sviluppo. Tali modelli cercano di
spiegare l’eterogeneità delle diverse esperienze di cooperazione sociale. Il
primo modello è definito “eterodiretto-adattativo”, dove lo sviluppo delle
23
cooperative sociali viene concepito come un percorso di progressivo
adattamento alle condizioni ambientali e al mutare dell’insieme di vincoli e
risorse che vengono dagli interlocutori esterni. Le organizzazioni di questo
modello affermano che l’ipotesi che il fenomeno in atto scaturisce dalle
politiche di esternalizzazione adottate dagli enti pubblici per limitare le spese
e ampliare l’offerta di servizi. Il secondo modello invece è stato denominato
“consapevole-proattivo”, perché in questo caso le cooperative hanno il fine
primario di influenza direttamente il proprio ambiente di rifermento,
proponendosi come attori in grado di costruire gli elementi dello scenario in
cui si trovano ad agire. Dal punto di vista di questa prospettiva la
cooperazione sociale diventa una reale espressione del tessuto comunitario
dove opera e si trova legittimata ad intervenire direttamente. Le cooperative
più vicine a questo modello sono più inclini allo sviluppo di idee innovative,
anche in carenza di sostegno finanziario pubblico.18
3.4 Forprofit e non profit
La gestione delle risorse umane e la pianificazione organizzativa sono i temi
più conflittuali dibattuti. Quello che accade realmente è che un OTS si ritrova
in una gestione che non può mettere troppa attenzione su risultati a medio-
lungo termine. Tali organizzazioni non possono basarsi su uno sviluppo
lineare tipico delle aziende di mercato, caratterizzato da tappe pianificate. La
maggior parte degli studi organizzativi che hanno avuto come oggetto
specifico le OTS rilevano una tendenziale minor rispondenza alle sfide
dell’ambiente da parte di questo tipo di organizzazioni rispetto alle imprese
18
Belardinelli S., Welfare community e sussidiarietà, Egea, Milano 2006, p. 229-236
24
forprofit. In particolare, le OTS vengono ritenute più impermeabili ai
mutamenti del contesto circostante a causa della loro particolare
collocazione in nicchie ambientali meno sensibili alle pressioni dei mercati.
Queste nicchie ambientali creano delle circostante dove le OTS si trovano
caratterizzate da rigidità organizzative che rendono loro difficile innovare o
cambiare. Di seguito un esempio tre elementi che incoraggiano il
rinnovamento e tre aspetti critici che allo stesso tempo lo ostacolano. I primi
comprendono:
a) Un’assunzione piena della validità dell’innovazione da parte dei
membri più anziani;
b) La presenza di una modalità di lavoro di gruppo, di tipo
collaborativo;
c) Un’ampia gamma di risorse esterne a disposizione dei manager
e delle figure professionali.
Invece i tre aspetti critici sono:
a) Varie forme di resistenza dei dirigenti e altri operatori chiave,
sia in forma passiva che attiva;
b) Una diffusa sensazione di “impotenza” che caratterizza i
dirigenti delle OTS rispetto ai loro colleghi di altri settori;
c) La mancanza di sistemi di premiazione e riconoscimento
utilizzabili per stimolare il personale ad adottare le innovazioni
proposte.
Un processo di cambiamento comporta un mutamento nell’aspetto tecnico-
strutturale e in quello delle relazioni umane. Entrambi dovrebbero procedere
in modo parallelo. Quando ciò non accade o uno è più rapido dell’altro si
formano attriti. Le OTS sono centrate sul fattore umano a differenza delle
forprofit. Altri studi di W. W. Powell e R. Friedkin ammettano che vi è
25
differenza tra le OTS e le forprofit in ambito di cambiamento. Dove le
secondo hanno una struttura più plastica, in quanto il loro fine ultimo, cioè il
profitto, permette loro una considerevole libertà nella scelta dei mezzi per
raggiungere tale obiettivo. In linea teorica un’impresa forprofit può cambiare
linea di prodotto, mentre una non profit ha più difficoltà a cambiare la
propria mission, perché viene messa in discussione l’operato per cui è nata.
Infine i due autori concludono affermando, non è possibile giungere a
determinare con sicurezza se le OTS siano più o meno soggette ai mutamenti
organizzativi delle imprese di mercato. Il quadro complessivo che emerge, è
comunque quello di organizzazioni altamente sensibili alle pressioni
ambientali e di attori organizzativi soggetti a costanti processi di adattamento
creativo, a fronte delle richieste provenienti sia dalle componenti interne che
dalle relazioni esterni.19
19 Colozzi I.,Bassi A., Una solidarietà efficiente, Nis, Urbino 1996
26
Conclusioni
Il terzo settore è costituito dal non profit, dalle associazioni alle onlus, fino
alle fondazioni. La presenza di tali associazioni, permette un miglioramento
della qualità degli scambi e un incremento della coesione sociale. Come altre
realtà organizzative anch’essi non sono esenti da dinamiche conflittuali. Nelle
organizzazioni ruoli e posizioni di individui o gruppi comportano relazioni e
questo è essenziale per la gestione costruttiva delle controversie. Questa
raccolta sulle dinamiche organizzative vuole comprendere come possano
essere gestiti costruttivamente aspetti divergenti di uno stesso sistema.
L’insieme dei riferimenti ha portato a vedere come le organizzazioni si
tutelano con strumenti creati da loro stesse e come la gestione deve
possedere le caratteristiche dell’efficacia e dell’efficienza. Il materiale
raccolto è soddisfacente nel comprendere la condizione delle situazioni
organizzative informali e fornisce dei dettagli concreti sull’esistenza di
letteratura che tratti tematiche tipiche degli ultimi due decenni. È possibile
affermare che soddisfa le aspettative sulle dinamiche e i processi che
volevano essere analizzati, in primo piano chi erano gli attori coinvolti in
questi ricerca, gli aspetti organizzativi, ed elementi di gestione interna. La
mancanza più evidente è come non sia ancora stato definito il conflitto
organizzativo del terzo settore inteso come particolarità che si differenzia dal
conflitto interno all’impresa dove esistono ruoli più marcati e decisi. Inoltre
vengono chiarite alcune linee guida, principi e idee in riguardo a chi sono i
soggetti interessati. Espone anche dei modelli di evoluzione delle stesse
organizzazioni che portano una visione più limpida dell’argomento.
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Bibliografia
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fondi per le organizzazioni non profit, Carocci editore, Roma 1998.
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organizzazioni di volontariato, NIS, Roma 1996.
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5. De Sario P., Professione facilitatore. Le competenze chiave del consulente
alle riunioni di lavoro e ai forum partecipati, Franco Angeli, Milano 2005.
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7. Ellis J. S., Melandri V., People raising Manuale pratico per la ricerca di
volontari, Carocci editore, Roma 2003.
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postmoderna, Volume 2. Morlacchi Editore, Perugia 2003, p.209.
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109.
10. Melandri V., Masacci A., Fund raising per le organizzazioni non profit. Etica
e pratica della raccolta fondi per il Terzo settore, Il sole 24 ore, Milano
2004.
11. Migliorini Mascilli E., G.MazzoliI, O. Valenti, Le voci dentro, Franco angeli,
Milano 1997, P. 125.
12. Quaglino G. P., Psicodinamica della vita organizzativa, Milano, Raffello
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13. Pearce J. L. Volontariato. Motivazione e comportamenti nelle
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14. Ranci C., Oltre il welfare state. Terzo settore, nuove solidarietà e
trasformazioni del welfare. Il Mulino, -Persiceto 1999.
15. Zerboni N. Terzo settore. Gli strumenti a sostegno del volontariato. Le
risorse finanziare nazionali e comunitarie per l’attività delle organizzazioni
di volontariato.