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Università degli Studi di Salerno Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Dipartimento di Fisica “E. R. Caianiello” Tesi di Laurea Classificazione spettrale delle stelle Relatore: Candidato: Ch.mo Prof. Aldi Giulio Francesco Valerio Bozza Matr.: 0512600038 Correlatore: Ch.mo Prof. Canio Noce Anno Accademico 2012/2013

Tesi di Laurea - infn.it Inoltre, gli spettri ottenuti in laboratorio sono confrontati con degli spettri presenti nella libreria del software RSPEC, che è stato utilizzato per l’estrazione

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Università degli Studi di Salerno

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Dipartimento di Fisica “E. R. Caianiello”

Tesi di Laurea

Classificazione spettrale delle stelle

Relatore: Candidato:

Ch.mo Prof. Aldi Giulio Francesco Valerio Bozza Matr.: 0512600038

Correlatore: Ch.mo Prof. Canio Noce

Anno Accademico 2012/2013

- 1 -

Indice Introduzione 2 1. Classificazione spettrale delle stelle 4

1.1 Formazione delle righe spettrali 4 1.1.1 La distribuzione di velocità di Maxwell-Boltzmann 7 1.1.2 L’equazione di Boltzmann 8 1.1.3 L’equazione di Saha 9 1.1.5 Combiniamo le due equazioni 11

1.2 Classificazione spettrale di Harvard 17 1.3 Diagramma di Hertzsprung-Russell 18 1.4 Classi di luminosità di Morgan-Keenan 23

2. Reticolo di diffrazione 25

2.1 Equazione del reticolo 25 2.2 Ordini di diffrazione 28

2.2.1 Sovrapposizione dei raggi diffratti 29 2.3 Dispersione 30

2.3.1 Dispersione angolare 30 2.3.2 Dispersione lineare 31

2.4 Potere risolutivo 31 2.5 Efficienza 33

3. Elaborazione e analisi degli spettri 34

3.1 Apparato sperimentale 35 3.1.1 Caratteristiche del telescopio e della CCD 35 3.1.2 Caratteristiche del reticolo 35

3.2 Descrizione del processo di elaborazione dei dati 36 3.2.1 Riduzione delle immagini grezze 37 3.2.2 Estrazione degli spettri con il software Rspec 38

3.3Analisi degli spettri 41 3.3.1 Spettro di Alphecca: classe A0V 41 3.3.2 Spettro di SAO 101623: classe F0IV 42 3.3.3 Spettro di Rastaban: classe G2II 43 3.3.4 Spettro di Unukalhai: classe K2III 45 3.3.5 Spettro di Yed Prior: classe M1III 46 3.3.6 Spettro di SAO 184014: classe B0.2IV 47 3.3.7 Spettro di SAO 34149: classe O6e 48

3.4 Conclusioni 50

- 2 -

Introduzione

<<Un filosofo una volta si chiese: "Siamo umani perché osserviamo le stelle

o le osserviamo perché siamo umani?" Quesito sterile.

Le stelle poi osservano noi? Questa si che è una domanda! >>1

Fin dalla nascita delle civiltà il genere umano deve essersi chiesto cos’erano quegli

irragiungibili puntini luminosi che brillavano in cielo sopra le loro teste, che mutavano con

il passare delle stagioni, che apparivano dall’oscurità prendendo il posto del Sole. E cosa

poteva essere quest’ultimo se non un’entità superiore che dispensa vita, calore e morte per

la siccità. Così sono nati i miti, cosi è nata l’astrologia, che associava ad ogni stella o

pianeta una figura divina capace di guidare le vicende umane. Figura divina che, da quella

posizione privilegiata, poteva controllarle, modificarle o determinarle, a seconda delle sue

simpatie e capricci. Con il passare dei secoli, acuti osservatori alzarono lo sguardo al cielo

con menti più critiche e cominciarono a porsi domande su questi oggetti, alcune delle quali

ancora oggi non hanno risposta. Iniziò, così, il lungo e difficile sviluppo dell’Astronomia e

le stelle da osservatrici invadenti divennero delle osservate speciali. Una delle domande

che ha tormentato le coscienze degli astronomi di tutti i tempi è stata: “Di cosa sono

composte le stelle? Possiamo risalire a queste informazioni anche se sono infinitamente

distanti da noi?” La risposta fu intuita, all’inizio del XIX secolo, dal gesuita padre

Secchi, il quale credeva che in quelle strisce colorate solcate da righe scure, quelli che noi

chiamiamo spettri stellari, vi era la chiave per capire la composizione chimica e la struttura

1 Citazione tratta dal film “Stardust” (2007)

- 3 -

fisica delle stelle. La completa comprensione e interpretazione degli spettri avvenne nel

XX secolo con l’avvento della descrizione quantistica dell’atomo.

Questo elaborato ha come obiettivo quello di guidare nel percorso che va dalla

descrizione dei meccanismi di formazione delle righe spettrali all’analisi degli spettri di

sette stelle acquisiti presso l’Osservatorio Astronomico del Dipartimento di Fisica “E. R.

Caianiello”. Vengono sviluppate problematiche sia teoriche che sperimentali. E’ descritto

il funzionamento di un reticolo di diffrazione, strumento fondamentale per la nostra

analisi. Inoltre, gli spettri ottenuti in laboratorio sono confrontati con degli spettri presenti

nella libreria del software RSPEC, che è stato utilizzato per l’estrazione degli stessi dalle

immagini scientifiche. Si osserva, infine, come l’ottimo accordo tra gli spettri elaborati e

quelli di riferimento ha permesso di dedurre interessanti risultati.

Giulio Francesco Aldi

- 4 -

1. Classificazione spettrale delle stelle

“Gli astronomi potranno ottenere misure sempre più precise della posizione e distanza degli astri,

ma non saranno mai in grado di stabilirne la natura fisica e la composizione chimica”

Auguste Comte

1.1 Formazione delle righe spettrali

Prima di iniziare la trattazione è necessario definire cosa è uno spettro: uno spettro è la

scomposizione della radiazione elettromagnetica proveniente da una sorgente, in questo

caso una stella, nelle sue componenti in funzione delle loro lunghezze d’onda.

Generalmente, sul fondo

continuo dello spettro

delle stelle si

sovrappongono delle

righe spettrali o righe di

assorbimento (in figura 1

sono le righe scure).

Le differenze principali

fra gli spettri stellari si

basano sul numero e

sull’intensità delle righe spettrali ed anche sulla distribuzione dell’energia nello spettro

continuo. Per comprenderne l’origine è necessario studiare la struttura atomica con gli

strumenti della meccanica quantistica, ed in particolare consideriamo l’atomo d’idrogeno,

l’elemento più semplice presente in natura che è l’unico caso in cui l’equazione di

Schroedinger è risolvibile esattamente. Inoltre, è necessario tener conto che la luce

Figura 1 - Fotografia dello spettro visibile del Sole – tratta dal libro"Astronomia generale" di P. Bakulin, E. Kononovic, V. Moroz

- 5 -

interagisce con la materia con scambi di energia discreti, per cui formata da quanti di

energia detti “fotoni” che hanno un’energia E pari a:

dove è la frequenza dell’onda elettromagnetica. L’atomo d’idrogeno consiste di un

protone e di un elettrone che gli ruota intorno. L’equazione di Schröedinger per gli stati

stazionari è

( ) ( ) ( )

con E si indicano gli autovalori e con 𝝍(r) le autofunzioni dell’ operatore Hamiltoniano

(| |) ( )

dove re , me e rn , e mn indicano rispettivamente il vettore posizione rispetto ad un

generico punto di riferimento e la massa dell’elettrone e del nucleo, e V(|re-rn|) è

l’operatore energia potenziale di Coulomb. Dopo aver separato il problema con un

opportuno cambio di variabili, si ottiene l’equazione per il singolo elettrone

( ) ( )

Dove r rappresenta il vettore posizione dell’elettrone rispetto al nucleo. A rigore nella (3)

dovrebbe comparire la massa ridotta µ del sistema definita dalla relazione

( )

Poichè l’elettrone ha una massa 2000 volte più piccola di quella del protone, µ si può

approssimare ad me. Risolvendo l’equazione (1) si ottengono gli autovalori E dell’energia

in funzione del numero quantico principale n, con n intero positivo, dati dalla relazione

- 6 -

( )

Risolvendo la (1) si può risalire anche alla struttura generale delle autofunzioni del

problema, ma non è rilevante ai fini della presente trattazione e non verrà riportata. Il

cuore del discorso risiede nella (5) poichè come si può vedere il problema ammette

soluzioni discrete, per cui l’elettrone legato al nucleo può assumere solo valori

dell’energia discreti permessi dalla (5). Alla luce di questo risultato si può spiegare la

discretizzazione delle righe spettrali. Le righe scure corrispondo alla lunghezza d’onda

della radiazione elettromagnetica (fotone) assorbita dall’atomo che fa transire l’elettrone

da uno stato con energia più bassa ad uno ad energia più alta. Lo spettro ottenuto è detto

spettro ad assorbimento, mentre nel processo inverso, in cui si ottengono gli spettri ad

emissione, un elettrone transita da un livello energetico più alto ad uno più basso. La

lunghezza d’onda del fotone allora dipende dalle energie degli orbitali atomici coinvolti

nella transizione. Per esempio, le righe di assorbimento di Balmer dell’idrogeno sono

dovute alla transizione dal livello energetico con n=2 ad orbitali con n superiori, si ha

l’inverso per le righe di emissione.

Figura 2 - In questa figura sono illustrate le serie di righe per l'idrogeno sia in assorbimento che in emissione

- 7 -

La lunghezza d’onda λ che corrisponderà alle transizionni è data dalla relazione:

( )

andando a sostituire nella (6) la (5) e ricordando che si ha

(

) ( )

La (7) è nota come equazione di Rydberg e ci permette di calcolare la lunghezza d’onda

delle diverse serie spettrali mantenedeno costante nbassa e facendo variare nalta .

1.1.1 La distribuzione di velocità di Maxwell-Boltzmann

La discretizzazione dei livelli energetici nell’atomo di idrogeno ha permesso la

comprensione completo del suo spettro. Nelle stelle gioca un ruolo fondamentale la

temperatura, infatti la distinzione tra gli spettri di stelle con diversa temperatura è causata

dai diversi stati di occupazione dei livelli energetici degli elettroni negli atomi che si

trovano nelle atmosfere delle stelle. I dettagli della formazione delle righe spettrali

possono essere molto complicati poichè gli elettroni possono trovarsi in qualsiasi orbitale

atomico. Inoltre, gli atomi possono trovarsi in vari stadi di ionizzazione generalmente con

dei numeri romani che seguono il simbolo dell’atomo. Per esempio, H I e He I sono neutri

(non ionizzati) mentre He II è l’elio al primo stadio di ionizzazione. Per descrivere

l’andamento delle righe spettrali si deve consocere il numero di atomi ionizzati

nell’atmosfera stellare e quali sono gli orbitali più probabili in cui possono trovarsi gli

elettroni atomici. Per fare ciò si utilizzano gli strumenti della meccanica statistica, in

particolare usiamo la distribuzione delle velocità di Maxwell-Boltzmann che è definita

dall’espressione

(

)

( )

- 8 -

La (8) conta la frazione di particelle che ha una velocità compresa tra v e v+dv, dove n e m

sono rispettivamente il numero di particelle per unità di volume e la massa delle

particelle, kB è la costante di Boltzmann 2 e T è la temperatura del gas in kelvin. Questa

relazione vale solo se il gas è all’equilibrio termodinamico. Si può applicare la (8) perchè

il gas che forma l’atmosfera è molto rarefatto per cui possiamo trascurare effetti quantistici

e trattare le particelle come oggetti classici. Possiamo trascurare anche effetti relativistici

poichè le particelle hanno una velocità dell’ordine di kBT che è molto minore della velocità

della luce, infatti dalla (8) si deduce che la velocità più probabile è

( )

Per avere una stima numerica della velocità media di un elettrone nell’atmosfera stellare si

può prendere in considerazione la temperatura efficace del Sole che si può ricavare dalla

legge di Stefan-Boltzmann

dove L è la luminosità3, R è il raggio del Sole e σ4 è la costante di Stefan-Boltzmann. Teff è

la temperatura efficace definita come la temperatura che ha un corpo nero delle stesse

dimensioni della stella e con la stessa luminosità. A partire dalla misura del raggio R e

della luminosità si ricava la Teff pari a 5777 K. Andando a sostiuire i valori numerici nella

(9) si ottiene

che è pari al 0.0018 % di c.

2 La costante di Boltzmann KB è pari a 1.3806504 x 10

-23 J K

-1

3 La luminosità è l’energia che emette la stella per unità di tempo

4 La costante di Stefan-Boltzmann è pari a 5.6704 x 10

-8 W m

-2 K

-4

- 9 -

1.1.2 L’equazione di Boltzmann

Gli atomi che formano il gas possono perdere e guadagnare energia a causa delle

collisioni. L’energia guadagnata o persa può tradursi in una transizione degli elettroni tra

orbitali con energie differenti. Come risultato, la distribuzione delle velocità di impatto

degli atomi data dalla (8) produce una definita distribuzione degli elettroni negli orbitali

atomici. Sia Sa un set di numeri quantici che definsice uno stato di energia Ea per un

insieme di elettroni atomici . Similmente sia Sb un set di numeri quantici che definisce uno

stato di energia Eb . Il rapporto della probabilità P(Sb) che l’elettrone si trovi nello stato Sb e

la probabilità P(Sa) che l’elettrone si trovi nello stato Sa è data da

( )

( )

( )

dove T è la temperatura comune ai due sistemi. Se la differenza tra i due livelli energetici

cresce, oppure la temperatura decresce, l'argomento dell'esponenziale assume valori grandi

e negativi, portando gli atomi ad occupare solo lo stato Sa ad energia più bassa.

Al contrario, se la temperatura cresce, l'argomento dell'esponenziale tende a zero e la

probabilità di occupazione dei due stati diventa identica. Gli atomi, così, si distribuiscono

equamente tra gli stati Sa e Sb. Viceversa se Eb < Ea otteniamo i risultati opposti. Tuttavia,

è necessario generalizzare la (10a) poichè non tiene conto della degenerazione che i livelli

energetici possono presentare. Due stati con diversi numeri quantici si dicono degeneri se

hanno la stessa energia. Nel calcolo delle probabilità P(Sa) e P(Sb) dobbiamo considerare

tutti gli stati degeneri separatamente, per cui si introducono i pesi statistici che

rappresentano il numero di degenerazioni per ogni livello energetico. Definiamo ga e gb i

pesi statisitici rispettivamente dei livelli energetici Ea e Eb, allora possiamo riscrivere la

(10) come segue

- 10 -

( )

( )

( )

Poichè l’atmosfera stellare contiene un enorme numero di atomi, allora, il rapporto tra il

numero di atomi che hanno energie differenti tende al rapporto delle rispettive frequenze

di probabilità di trovare un atomo con quell’energia, allora la (10b) si può riscrivere

( )

dove Nb e Na è rispettivamente il numero di atomi con energia Eb ed Ea . La (11) è

chiamata equazione di Boltzmann. Tuttavia, questa relazione da sola non basta a

descrivere gli spettri. Infatti, per un gas di idrogeno neutro è necessaria una temperatura di

almeno 85000 K affinchè gli elettroni siano equamente distribuiti tra lo stato fondamentale

e il primo stato eccitato, mentre si osserva sperimentalmente che le righe di assorbimento

di Balmer hanno un picco alla temperatura di 9520 K e perdono intensità a temperature

superiori. Ciò accade perchè la (11) non tiene conto della ionizzazione degli atomi che può

verificarsi ad alte temperature. Questo problema viene analizzato nel seguente paragrafo.

- 11 -

1.1.3 L’equazione di Saha

Consideriamo ora un sistema composto di atomi in differenti stati di ionizzazione.

Sia αi l’energia di ionizzazione necessaria per rimuovere un elettrone da un atomo nello

stato fondamentale, portandolo dallo stato di ionizzazione i allo stato di ionizzazione i+1.

Per effettuare un conteggio degli atomi nello stato i+1 bisogna tener conto di tutte le

possibili configurazioni in cui possono disporsi gli elettroni negli orbitali. Per fare ciò si

ricorre al calcolo della funzione di partizione canonica del sistema. Il calcolo della

funzione di partizione canonica è legittimo poichè si considera il sistema a temperatura

costante nello stato inziale i e finale i+1 di ionizzazione. Una definizione di funzione di

partizione canonica è

∑ ( )

dove E1 è l’energia dello stato fondamentale, Ej e gj sono rispettivamente l’energia e la

degenerazione del j-esimo livello. Se scriviamo la funzione di partizione Zi e Zi+1

dell’atomo nello stato iniziale e finale di ionizzazione, il rapporto del numero di atomi

nello stadio i+1 e il numero di atomi nello stadio i è dato dalla seguente relazione

(

)

(

) ( )

dove ne è il numero di elettroni liberi per unità di volume e me è la massa. Questa

equazione è nota come equazione di Saha, dall’astrofisico indiano che per primo la derivò

nel 1920. Dal secondo membro della (13a) si può vedere che al crescere della densità

degli elettroni il numero degli atomi ionizzati ad un livello superiore decresce. Ciò accade

perchè ci sono più elettroni che possono ricombinarsi con gli ioni. Il fattore 2 tiene conto

dei due valori del numero quantico ms che può assumere l’elettrone liberato dalla

- 12 -

ionizzazione pari a ± ½. La (13a) si può riscrivere in una forma più comoda introducendo

la pressione per libero elettrone Pe definita dall’equazione di stato dei gas perfetti

( )

allora la (13a) diventa

(

)

(

) ( )

Questa equazione ci permette di calcolare il numero di atomi della stessa specie in diversi

stati di ionizzazione.

1.1.5 Combiniamo le due equazioni

Nei paragrafi precedenti sono stati presi in esame separatamente due feonomeni

che si verificano nelle atmosfere stellari e che determinano la forma e l’andamento delle

righe spettrali. In questo paragrafo si considerano i due effetti combinati, in modo da

giustificare i risultati sperimentali esposti precedentmente e prevedere la forma e

l’intensità dello spettro solare a partire dalla composizione chimica della fotosfera.

Consideriamo in un’atmosfera stellare il grado di ionizzazione dell’idrogeno. Per

semplicità si assume che la pressione per elettrone sia costante e pari a Pe = 20 N m-2 .

Usiamo la (13b) per calcolare la frazione di atomi ionizzati, NII / (NII + NI ). Per far questo,

si determinano le funzioni di partizione ZI e ZII. L’idrogeno ionizzato non ha elettroni per

cui si ha che il peso statisico gII = 1. L’energia del primo stato eccitato dell’idrogeno è 10.2

eV sopra lo stato fondamentale ed è molto maggiore dell’energia termica kBT poichè la

temperatura effettiva è dell’ordine di migliaia di kelvin, per cui l’esponenziale è

molto minore di uno. Trascurando i termini successivi della sommatoria, la funzione di

partizione ZI = 2 dal momento che gI = 2. Sostituendo questi valori nell’equazione di Saha

- 13 -

con αi = 13.6 eV otteniamo il rapporto per gli atomi ionizzati NII/NI. Questo rapporto è

usato per trovare la frazione di atomi d’idrogeno ionizzati NII/Ntotali, scrivendo

Dalla figura 3 si può evincere che a 5000 K nessun atomo di idrogeno è ionizzato e metà

dell’idrogeno si ionizza quando si raggiungono i 9600 K. La zona di transizione in cui

l’idrogeno è parzialmente ionizzato è detta zona di ionizzazione parziale ed ha una

temperatura caratteristica di 10000 K. Applicando l’equazione di Boltzmann si calcolano il

numero di atomi che hanno l’elettrone nel livello energetico con n = 2 e l’intensità delle

righe di Balmer che dipende dal rapporto N2/ Ntotale , la frazione di atomi di idrogeno che si

trovano nel primo stato eccitato. A partire dal risultato ottenuto con la (13) si ha

Figura 3 - grafico in cui è riportato l'andamento di NII/Ntotali applicata all'idrogeno, in funzione della temperatura

- 14 -

(

) (

) (

) (

) ( )

Nella (15) è stata utilizzata l’approssimazione N1+ N2 ~ NI, poichè trascuriamo

l’occupazione degli stati eccitati superiori al primo. Il risultato ottenuto nella (15) è

riassunto nel seguente grafico

Il grafico mostra la diminuzione della frazione di atomi di idrogeno nel primo stato

eccitato e la conseguente diminuzione dell’intensità delle righe di Balmer in

corrispondenza dell’aumento della ionizzazione degli atomi di idrogeno, che avviene in

maniera significativa dai 10000 K in poi. Si passa alla fotosfera solare. La temperatura

caratteristica della fotosfera è Te = 5777 K. Essa contiene 500000 atomi di H per ogni

atomo di Ca con una pressione Pe di 1.5 N m-2 . 5 A partire da queste informazioni

possiamo applicare l’equazione di Boltzmann e l’equazione di Saha per determinare

l’intensità relativa delle righe di assorbimento dovute all’idrogeno e al calcio.

Analogamente al caso precedente si deve calcolare il numero relativo di atomi di H

5 Da Crox (2000), pag.348

Figura 4 - in figura è riportato l'andamento del numero relativo di atomi nel primo stato eccitato (n=2) in funzione della temperatura

- 15 -

ionizzati utilizzando la (13b). Una volta noto questo valore, si applica l’equazione di

Boltzmann per calcolare il numero relativo di atomi nel primo stato eccitato.

Dalla (13b) si ha

[ ]

(

)

(

) ( )

Andando a sostituire i valori numeri utilizzati precedentemente si ha

[ ]

Ciò significa che nella fotosfera vi sono 13000 atomi di idrogeno non ionizzati per ogni

atomo di idrogeno ionizzato H II. Ora calcoliamo le frazioni di atomi neutri che sono nel

primo stato eccitato. Dalla (11) si ha

[

]

( )

dove N2 , N1 e E1, E2 sono rispettivamente il numero e l’energia degli atomi nel primo

stato eccitato e nllo stato fondamentale. Inoltre, g2 è il peso statistico per il primo stato

eccitato e g1 è il peso statistico dello stato fondamentale. Poichè la degenerazione dei

livelli energetici dell’atomo di idrogeno è 2n2 , g2 = 8 e g1=2. Andando a sostiuire i valori

numerici nella (17), si ottiene

[

]

Per cui gli atomi che possono produrre le righe di Balmer sono 1 ogni 200 milioni di atomi

di idrogeno

- 16 -

(

) (

) 6 (

[ ]

)(

[ ]

)

( )

Da questo risultato si deduce che le righe di Balmer nello spettro solare sono molto deboli.

Analogamente s può procedere con il calcio. L’energia di prima ionizzazione β1 per Ca I è

pari a 6.11 eV. Valutare le funzioni di partizione dello stato iniziale Ca I e dello stato

finale Ca II è molto complicato e i risultati sono tabulati: ZI = 1.32 e ZII = 2.30.

Applicando la (13) si ha

[ ]

(

)

(

) ( )

Andando a sostituire i risultati numerici si ottiene

[ ]

da questo si deduce che praticamente tutto il calcio è al primo stadio di ionizzazione. Ora

non resta che applicare l’equazione di Boltzmann per stimare quanti di questi Ca II sono

nello stato fondamentale e capaci di formare le linee di assorbimento H e K7.

Consideriamo le righe K: il primo stato eccitato E2 ha energia 3.12 eV sullo stato

fondamentale E1, per cui E2 – E1 = 3.12 eV. La degenerazione dei due livelli e

rispettivamente di g2 = 4 e g1 = 2. Applicando l’equazione di Boltzmann si ha

[

]

Da questo risultato si ottiene che solo 1 atomo su 265 si trova nel primo stato eccitato. Alla

luce del risultato precedente si può dire che quasi tutto il calcio ionizzato è nello stato

fondamentale e può produrre le righe K. Infatti, si ha

6Abbiamo applicato l’approssimazione N1 + N2 = NI come nella (15)

7 Le nomenclatura H e K non si riferisce a transizioni di elettroni tra orbitali con energie diverse, ma

sono un retaggio della notazione usata da Joseph Fraunhofer nel suo studio dello spettro solare.

- 17 -

[

]

(

) (

)

(

)(

[ ]

[ ] )

Le righe H e K del calcio sono molto più intense delle righe di Balmer. In queste

condizioni di temperatura e pressione, la maggior parte dell’idrogeno presente nella

fotosfera è ionizzato. Questo risalta la forte dipendenza dalla temperatura degli stati

atomici di eccitazione e ionizzazione, che influenza fortemente la formazione degli spettri.

Infatti, ogni classe spettrale ha un range caratteristico di temperature alle quali

corrisponderà una preponderanza di righe spettrali di un composto, come vedremo nel

seguente paragrafo.

1.2 Classificazione spettrale di Harvard

La classificazione spettrale delle stelle è iniziata molto prima che si spiegasse il

meccanismo della formazione degli spettri che abbiamo precedentemente discusso.

Tuttavia, si è subito compreso che le particolarità fondamentali degli spettri sono associate

a differenze nelle proprietà fisiche delle stelle. La prima classificazione basata su elementi

spettroscopici è dovuta al padre gesuita Secchi. Nel 1866 egli divise le stelle in tre classi:

classe I: stelle bianche e azzurre con righe dell'idrogeno forti e larghe;

classe II: stelle gialle con righe dell'idrogeno meno marcate e con evidenti righe

caratteristiche dei metalli (calcio, sodio, ecc.);

classe III: stelle rosse, con uno spettro complesso con bande molto larghe.

- 18 -

Tutte le stelle che non corrispondevano alle caratteristiche appena descritte venivano

inserite in una quarta classe. Procedendo empiricamente, Edward C. Pickering negli anni

ottanta dell’ottocento cominciò a studiare presso l’Harvard College Observatory gli spettri

stellari facendo uso del prisma obiettivo. Nel 1901 Annie Jump Cannon, sulla base dei

lavori di Pickering, Williamina Fleming e Antonia Maury suddivise le classi spettrali in

sette classi ordinate e denotate con le lettere O, B, A, F, G, K ed M. Questa classificazione

è nota come “classificazione di Harvard”. Il criterio quantitativo dell’appartenenza di una

stella all’una o all’altra classe spettrale è fornito dal rapporto delle intensità di righe

spettrali. La caratteristica principale di questa classificazione è che ogni classe spettrale è

definita da un range di temperature. Infatti, come abbiamo visto nel paragrafo precedente,

la temperatura è un fattore determinante per la ionizzazione e l’eccitazione degli atomi che

influiscono sulla formazione degli spettri. La temperatura decresce dalla classe O alla

classe M e ognuna è divisa in 10 sottoclassi individuate da una cifra da 0 a 9 che segue la

classe spettrale. Inoltre, le stelle appartenenti ad una classe presentano una preponderanza

di righe spettrali relative ad un elemento oppure ad un composto che viene sintetizzato

nell’atmosfera stellare come accade per le stelle di classe M che hanno come composto

caratteristico l’ossido di titanio TiO (figura 5).

Di seguito sono riportate le classi spettrali con le loro caratteristiche:

Figura 5 - in figura è mostrato l'andamento delle righe dell'elemento preponderante per ogni classe spettrale

- 19 -

Classe O

Appartengono a questa classe le stelle con temperatura superficiale maggiore di 33,000 K.

Gran parte dello spettro è compreso nell’ultravioletto. Compaiono righe di assorbimento e

qualche volta di emissione dell’ He II. Sono più forti le righe di assorbimento di He II. Le

righe della serie di Balmer dell'idrogeno sono presenti, ma deboli. Appaiono di colore blu.

Classe B

Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 10,000 K e 33,000

K. Sono più forti le righe dell’He I in particolare per le B2. Cominciano a diventare

importanti le righe di Balmer per l’H I. Gli ioni metallici predominanti sono Mg II and Si

II. Appaiono di colore blu.

Classe A

Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 7,500 e 10,000 K. Le

righe della serie di Balmer raggiungono la massima intensità. Le righe del Ca II sono ben

nette e si osservano anche righe di altri metalli ionizzati come Fe II e Mg II. Appaiono di

colore bianco.

Classe F

Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 6,000 K e 7,500 K.

Le righe di Balmer perdono intensità mentre si rinforzano quelle dei metalli ionizzati come

il calcio, ferro e titanio. Cominciano ad apparire le righe dei metalli neutri. Appaiono di

colore giallastro.

Classe G

Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 5,200 K e 6,000 K.

Le righe di Balmer sono impercettibili, sono presenti metalli ionizzati come Fe II e Mg II.

Appaiono di colore giallo.

Classe K

Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 3,700 K e 5,200 K.

Anche in questa classe le righe dell’idrogeno sono impercettibili fra le righe dei metalli,

- 20 -

molto intense. L’estremità violetta dello spettro continuo è sensibilmente indebolita, il che

testimonia un forte abbassamento della temperatura rispetto alle prime classi (O, B, A). Il

colore della stella è arancione.

Classe M

Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 2,000 K e 3,700 K.

Le righe dei metalli si indeboliscono. Lo spettro è tagliato da bande di assorbimento delle

molecole dell’ossido di titanio e da altre combinazioni molecolari. Il colore delle stelle è

rossastro.

- 21 -

1.3 Diagramma di Hertzsprung-Russell

All’inizio del ventesimo secolo, gli astronomi accumularono un incredibile

quantità di dati relativi alle magnitudini e alle luminosità di molte stelle. Grazie alla

raccolta di questi dati, l’astronomo danese Hertzsprung e più tardi l’astrofisico Russell

mostrarono che esiste una relazione fra la forma dello spettro e la luminosità delle stelle.

Questa relazione è rappresentata da un diagramma nel quale si riportano in ascissa la

classe spettrale ed in ordinata la magnitudine assoluta. Tale diagramma si chiama

diagramma spettro-luminosità o diagramma di Hertzsprung–Russell. Al posto della

magnitudine assoluta si può riportare la luminosità ed al posto delle classi spettrali gli

indici di colore oppure la temperatura efficace. Il diagramma di Hertzsprung-Russell ci ha

permesso di formulare una prima teoria sull’evoluzione stellare facendo corrispondere

ogni stadio evolutivo ad una classe spettrale. Il primo stadio della vita stellare era

assegnato alla classe O a cui si pensava appartenessero giovani stelle molto brillanti e con

temperature effettive elevatissime. Quest’ipotesi era basata sull’osservazione sperimentale

che tutte le stelle di classe O sono molto più luminose e calde di quelle appertenenti a

classi successive, in particolare modo di quelle meno brillanti e relativamente più fredde

appartenti alla classe M. Inoltre, mostra un andamento regolare in funzione delle classi

spettrali anche la legge empirica che collega massa e luminosità

(

)

( )

dove e sono rispettivamente la luminosità e la massa del Sole e “a” è un

parametro che dipende dal tipo spettrale e dalla posizione della stella nel diagramma H-R.

Attualmente l’evoluzione stellare è basata su dei modelli molto più complessi ed è

completamente diversa.

La posizione di ogni stella nel diagramma è definita dalla sua struttura fisica e dal suo

stadio di evoluzione. Esso consente di individuare i diversi gruppi di stelle associate da

- 22 -

comuni proprietà fisiche e evidenzia la caretterstica che in prima approssimazione le stelle

sono diverse realizzazioni dello stesso sistema fisico.

La parte superiore del diagramma riguarda le stelle di alta luminosità e che, per dati valori

della temperatura sono molto grandi. La parte inferiore del diagramma è riservata alle

stelle di debole luminosità. A sinistra si trovano le stelle calde delle prime classi spettrali

mentre a destra si trovano le stelle più fredde delle classi avanzate.

Come si può notare dalla figura vi sono tre zone del grafico particolermente popolate: in

alto a destra si trovano stelle con elevata luminosià ma con basse temperature, e per la

legge di Stefan-Boltzmann stelle con la stessa temperatura ma con luminosità più alta

devono avere un raggio più grande; per questo motivo sono dette giganti o supergiganti

rosse. In basso a sinistra si trovano, invece, stelle ad elevata temperatura ma con bassa

luminosità, quindi con raggi modesti e sono chiamate nane bianche. La diagonale più ricca

che va dall’alto in basso, da sinistra a destra, è chiamata sequenza principale. Al suo

estremo superiore vi sono le stelle di classe con 90 masse solari mentre al suo estremo

inferiore vi sono le stelle di classe M con 0.08 masse solare. Le stelle che appartengono

Figura 6 - Esempio di diagramma H-R, in basso è riportato l'indice di colore B-V, sull'asse in alto la temperatura efficace con le classi spettrali mentre sull'asse delle ordinate è riportata la magnitudine assoluta relativa alla parte visibile dello spettro elettromagnetico

- 23 -

alla sequenza principale sono dette in termini tecnici nane. Il diagramma ci permette di

risalire al raggio delle stelle a partire dalle misure di luminosità o magnitudine assoluta,

utilizzando la legge di Stefan-Boltzmann

Se riportiamo i valori della temperatura e della luminosità in scala logaritmica, le stelle

aventi lo stesso raggio giacciono su rette di pendenza 4. In alcune zone del diagramma si

trovano stelle variabili a causa delle pulsazioni regolari dell’inviluppo. La zona più

importante occupata dalle Cefeidi e dalle RR-Lyrae si trova in corrispondenza dei 7,000 K.

Il fatto che in quella precisa zona del diagramma tutte le stelle abbiano una pulsazione del

loro inviluppo esterno è una conferma del fatto che le stelle siano realizzazioni dello stesso

sistema fisico regolato dagli stessi principi fisici e da pochi parametri.

- 24 -

1..4 Classi di luminosità di Morgan-Keenan

Quando le stelle escono dalla sequenza principale e diventano

delle giganti aumentano considerevolmente il loro volume e di conseguenza diminuiscono

la loro densità. Questo influisce sugli spettri di stelle che appartengono alla stessa classe

spettrale poichè l’allargamento collisionale, cioè la larghezza di ogni riga spettrale,

dipende dalla pressione superficiale che a sua volta dipende dall’accelerazione di gravità

superficiale g

dove MS e R sono rispettivamente la massa e il raggio della stella. All’aumentare della

gravità superfciale l’allargamento collisionale aumenta, quindi, a parità di classe spettrale,

gli spettri delle giganti rosse presentano una larghezza delle righe spettrali minore rispetto

alle stelle della sequenza principale. Il parametro osservabile che risente di questo

cambiamento è la luminosità che, per la legge di Stefan-Boltzmann, dipende dal raggio.

Per tener conto di questa variazione nel 1943 fu introdotto da Wiliam W. Morgan e Phillip

C. Keenan un ulteriore classificazione, in aggiunta alla classificazione di Harvard,

costituita da classi di luminosità, cioè classi definite da un range di luminosità. Le classi di

luminosità vengono usualmente denotate con numeri romani; per esempio la numero “I” è

riservata alle supergiganti rosse, mentre la “V” denota le stelle che appartengono alla

sequenza principale. La figura 7 mostra come queste classi dividono il diagramma H-R.

In conclusione, una volta fissata classe spettrale e classe di luminosità possiamo risalire a

tutte le caratteristiche chimiche e fisiche di una stella, come il raggio, la luminosità, la

temperatura senza conoscerne la distanza. Anzi, le informazioni spettrali possono

consentire di stimare la distanza con il metodo della della parallasse spettroscopica data

dall’equazione

- 25 -

( )

che deriva dalla definizione di magnitudine apparente, data dalla relazione

(

)

una volta dedotta la magnitudine assoluta M dal diagramma H-R e misurata la

magnitudine apparente m. La sua accuratezza è limitata poichè non c’è una ben definita

correlazione tra la magnitudine assoluta e la classe di luminosità. Se si considera ± 1

l’errore sulla magnitudine assoluta per una specifica classe, l’incertezza su d è 101/5 = 1.6 .

Figura 7 - in figura è mostrato un diagramma H-R in cui appaiono chiare le classi di luminosità indicate con numeri romani con le relative sottoclassi, sull'asse delle ascisse sono riportate le classi spettrali e sull'asse delle ordinate la luminosità rispetto a quella solare.

- 26 -

2. Reticolo di diffrazione

Nel capitolo precedente sono stati illustrati i meccanismi della formazione degli

spettri. In questo capitolo si vuole illustrare come si ottengono sperimentalmente, in

particolare si analizzeranno le caratteristiche più importanti di un reticolo di diffrazione

che permette la dispersione delle onde elettromagnetiche su un rivelatore come una lastra

fotografica o una camera CCD.

2.1 Equazione del reticolo

Un reticolo è un componenete ottico costituito solitamente da una lastra di vetro

sulla cui superficie è incisa una trama di linee parallele, uguali ed equidistanti, a distanze

confrontabili con la lunghezza d'onda della luce che si sta studiando. La caratteristica

principale del reticolo è la modulazione spaziale dell’indice di rifrazione. Quando un

raggio monocromatico incide sulla superficie del reticolo è diffratto in direzioni discrete.

La luce diffratta da ogni scalanatura si combina formando un set di forme d’onda diffratte.

L’utilità del reticolo sta nel fatto che, assegnata una spaziatura d tra una scalanatura e

l’altra, tutte le componenti diffratte sono in fase tra loro facendo interferenza costruttiva.

Figura 8 - reticolo di diffrazione e un fascio di luce incidente con un angolo a

- 27 -

In figura 8 è mostrato un reticolo ed un fascio di luce monocromatico di lunghezza d’onda

λ che, incidendo con un angolo a su di esso, viene diffratto lungo un set di angoli {βm}.

Tutti gli angoli sono misurati rispetto alla normale del reticolo. Inoltre, la normale divide il

piano in due semipiani, in figura 8 sono denotati con + e −. Il semipiano + è quello in cui

giace il raggio incidente. E’ attribuito il segno meno agli angoli riferiti a raggi diffratti o

riflessi che non appartengono al semipiano +, il segno più agli altri. Il principio di

interferenza costruttiva impone che la differenza di cammino ottico tra due raggi di deve

essere un multiplo intero della loro lunghezza d’onda λ .

La figura mostra che la differenza di cammino ottico tra due raggi che incidono sul

reticolo con un angolo α è pari a d sin α + d sin β.

Questa relazione definisce l’equazione del reticolo

( ) ( )

dove β è la direzione del raggio diffratto, che regola le posizioni angolari dei picchi

d’intensità quando un fascio di lunghezza con lunghezza d’onda λ è diffratto da un

reticolo di passo d. Nella (21) m è detto ordine di diffrazione ed è un intero. Per una

Figura 9 - due raggi 1 e 2 in fase tra loro (fronte d'onda A) incidono sul reticolo di passo d e vengono diffratti. Dopo la diffrazione ricostruiamo il fronte d'onda B tra i raggi che escono paralleli e ancora in fase tra loro.

- 28 -

particolare lunghezza d’onda λ, tutti i valori interi di m per i quali | | corrispondono

ad ordini di diffrazione permessi. Per m = 0 si ottiene la legge di riflessione, β = - α. Di

solito la (21) è riportata nella forma

( ) ( )

dove G = 1/d è la densità di reticolo. La (21) e la (22) sono forme equivalenti

dell’equazione del reticolo, ma la loro validità è ristretta al caso in cui i raggi incidenti

appartengono al piano ortogonale al piano del reticolo. Se i raggi non sono perpendicolari

al piano del reticolo, l’equazione va modificata nel modo seguente

( ) ( )

dove e è l’angolo tra la proiezione del raggio sul reticolo e la direzione perpendicolare ai

solchi giacente sul reticolo stesso. Se quest’angolo è zero la (23) si riconduce alla (22).

Per un reticolo di passo d, si può ricavare una relazione tra la lunghezza d’onda e gli

angoli d’incidenza e di rifrazione. Fissato l’ordine di diffrazione m, un’onda policromatica

che incide sul reticolo con un angolo α è separata nelle sue componenti con angoli dati

dalla relazione

( ) (

) ( )

Quando m = 0, il reticolo agisce come uno specchio, e le onde non vengono separate;

questo fenomeno è detto riflessione speculare. Un caso speciale ma comune è quello in cui

la luce è diffratta indietro nella stessa direzione della luce incidente. Questo

configurazione è detta configurazione di Littrow, la (21) diventa

( )

- 29 -

2.2 Ordini di diffrazione

Per un fissato passo reticolare d, lunghezza d’onda λ, e angolo di incidenza α, la

(21) è generlamente soddisfatta da più di un angolo di diffrazione β. Ciò accade perchè per

avere interferenza costruttiva si richiede semplicemente che la differenza di cammino

ottico sia un multiplo intero della lunghezza d’onda. Questa condizione è rispettata se la

differenza di cammino è pari a λ (m = 1), oppure per il second’ordine di diffrazione (m =

2) o per il second’ordine negativo di diffrazione (m = -2), casi in cui la differenza di

cammino è due volte la lunghezza d’onda. Dall’equazione del reticolo si deduce che solo

gli ordini che rispettano la condizione | | possono esistere, poichè | |

non ha significato. Questa restrizione garantisce che la luce venga diffratta solo in un

numero finito di ordini. La riflessione speculare (m = 0) è sempre permessa. Nella maggior

parte dei casi, l’equazione del reticolo permette alla luce di lunghezza d’onda λ di essere

diffratta sia in ordini positivi che negativi. Ricapitolando, esistono tutti gli ordini di

diffrazione per i quali vale

Per λ/d << 1, esisteranno molti ordini di diffrazione. La convenzione dei segni per m

richiede che m > 0 se il raggio diffratto giace a sinistra dell’ordine zero (m = 0), e m < 0 se

il raggio diffratto giace a destra dell’ordine zero. Questa convenzione è illustrata in figura

10.

Figura 10 - convenzione per i segni degli ordini di diffrazione

- 30 -

2.2.1 Sovrapposizione dei raggi diffratti

L’aspetto più delicato del comportamento degli ordini successivi è che si

sovrappongono, come mostrato in figura 11.

Dall’equazione del reticolo, un raggio di lunghezza d’onda λ diffratto nella direzione β

sarà accompagnato dalle frazioni λ /2, λ /3, ecc.; ciò accade in ogni configurazione: la luce

di linghezza d’onda λ diffratta al prim’ ordine (m = 1), coinciderà con il raggio luminoso

di lunghezza d’onda λ /2 diffratta al second’ordine (m = 2). In figura 11, il color rosso

(600 nm) diffratto al prim’ordine si sovrapporrà all’ultravioletto (300 nm) diffratto al

second’ordine. Un rivelatore sensibile a entrambi gli ordini vedrà entrambi

simultaneamente. Quest’ambiguità nei dati spettroscopici è risolta inserendo opportuni

filitri chiamati filtri d’ordinamento, capaci di selezionare un ordine per volta.

Figura 11 - la luce con lunghezza d'onda di 100 nm, 200 nm, e 300 nm viene diffratta al second’ordine nella stessa direzione del raggio che lunghezza d'onda di 200 nm, 400 nm, 600 nm nel primo ordine

- 31 -

2.3 Dispersione

La principale applicazione di un reticolo di diffrazione è quella di scomporre

spazialmente la luce nelle lunghezze d’onda componenti. Un fascio di luce bianca che

incide su un reticolo di diffrazione verrà seperato nelle lunghezze d’onda che lo

compongono, ognuna diffratta in direzioni diverse. La dispersione è la misura della

separazione (lineare o angolare) tra i raggi diffratti di lunghezza d’onda differente.

2.3.1 Dispersione angolare

L’intervallo angolare Dβ di uno spettro di ordine m con lunghezze d’onda

comprese tra l e l + dl può essere ottenuto derivando l’equazione del reticolo, assumendo

costante l’angolo d’incidenza α. L’intervallo angolare Dβ per unità di lunghezza d’onda è

( )

dove β è dato dalla (24). La quantità Dβ è detta dispersione angolare. Se la densità di

righe G aumenta, la dipersione angolare aumenta. Sostituendo l’equazione del reticolo

nella (26a) si ottiene una relazione ancora più generale

( )

Per una data lunghezza onda la dispersione angolare può essere considerata solo funzione

degli angoli d’incidenza e di diffrazione.

- 32 -

2.3.2 Dispersione lineare

Per un raggio di lunghezza d’onda λ diffratto nell’ordine m, a cui corrisponde un

angolo di diffrazione β, la dispersione lineare di un reticolo è il prodotto della dispersione

angolare Dβ e la lunghezza focale del sistema ottico f(β)

( ) ( )

( ) ( )

Per molte applicazioni è utile definire il reciproco della dispersione lineare o plate factor

( ) ( )

P è la misura della variazione in lunghezze d'onda corrispondente alla variazione della

posizione sullo spettro.

2.4 Potere risolutivo

Il potere risolutivo R del reticolo è la misura della sua capacità di separare righe

spettrali adiacenti di lunghezza d’onda media λ . Si esprime come il rapporto

( )

qui dλ è il limite di risoluzione, la differenza in lunghezze d’onda tra due linee di intensità

uguale che può essere distinto. Il potere risolutivo teorico di un reticolo di diffrazione

piano, riportato in tutti i testi di ottica, è

( )

- 33 -

dove m è l’ordine di diffrazione e N è il numero di scalanature illuminate dalla radiazione.

Per ordini di diffrazione negativi si prende il valore assoluto. Sostituendo nella (29)

l’equazione del reticolo si ha

( )

( )

Se il reticolo ha un passo costante ed il substrato è planare la (30a) si scrive

( )

( )

dove W = Nd. Dal momento che | sin α + sin β| <2, il massimo potere di risoluzione RMAX

è

Questa condizione di massimo corrisponde alla configurazione di Littrow. Il potere

risolutivo può essere determinato a partire dalla misura del massimo ritardo di fase agli

estremi dei raggi diffratti dal reticolo, misurando la differenza in cammino ottico tra i raggi

diffratti ai lati opposti del reticolo. Dividendo questa quantità per la lunghezza d’onda del

raggio diffratto si ottiene il potere risolutivo. L’accordo tra il valore teorico è quello reale

non solo dipende dagli angoli di diffrazione e di incidenza, ma anche dalle condizioni,

dalla qualità del sistema ottico, dall’omogeneità del reticolo e da molti altri fattori. Inoltre,

possono interferire notevolmente nella misura anche vibrazioni e correnti d’aria.

- 34 -

2.5 Efficienza

La distribuzione di energia per una data lunghezza d’onda diffratta nei vari ordini

di diffrazione dipende da molti parametri come l’angolo d’incidenza, la polarizzazione e

l’indice di rifrazione dei materiali sulla superfice del reticolo. Tuttavia si posso fare delle

stime facendo alcune approssimazioni. La più semplice condizione usata frequentemente è

la nota condizione di fiammata (blaze)

( )

dove θB è l’angolo di fiammata, cioè l’angolo compreso tra la faccia del reticolo e il piano

in cui è contenuto il reticolo.

Quando è soddisfatta questa condizione, il raggio incidente e diffratto seguono le regole di

riflessione rispetto al piano della superficie del reticolo e, come si può vedere dalla figura,

si ricava

Quando si verifica questa condizione il reticolo si comporta come un piccolo specchio, per

cui esso funziona con la massima efficienza. Allontanandosi dalla configurazione di

fiammata, l’efficienza del reticolo diminuisce.

Figura 12 – sono mostrati gli angoli di incidenza e di diffrazione in relazione dell’angolo di fiammata

- 35 -

3. Elaborazione e analisi degli spettri

In quest’ultimo capitolo si affronterà l’analisi degli spettri di sette stelle, ognuna

appartenente ad una delle sette classi principali di Harvard, acquisiti presso l’Osservatorio

Astronomico del Dipartimento di Fisica “E. R. Caianiello”. L’Osservatorio è situato sul

tetto del Dipartimento di Fisica, alle coordinate geografiche (40° 46’ 16” N, 14° 47’ 26” E,

300 m). E' costituito da una cupola Sirius di 6.7 m di diametro, che ospita il telescopio e il

PC dedicato all'acquisizione delle immagini.

3.1 Apparato sperimentale

In questa sezione verrano elencate le caratteristiche tecniche principali degli

strumenti utilizzati per l’acquisizione delle immagini grezze

3.1.1 Caratteriste tecniche del telescopio e della CCD

Il telescopio utilizzato per effettuare le misure è un Celestron C14 in

configurazione Schimdt-Cassegrain, 356 mm di apertura con riduttore di focale e rapporto

di focale equivalente f/8. All’epoca delle nostre osservazioni, il tubo ottico era posto su

una montatura CI-700, ora sostituita da una più robusta e precisa GM4000HPS. La CCD è

una SBIG ST-2000XM con una risoluzione di 1600 x 1200.

3.1.2 Caratteristiche tecniche del reticolo

Il reticolo Baader Planetarium ha un passo di 207 righe per millimetro e un

diametro di 26 mm per un totale di 5400 scalanature. La zona di blaze è posta sul primo

ordine di diffrazione, il suo potere risolutivo teorico è di 0,1 nm.

- 36 -

3.2 Descrizione del processo di elaborazione dei dati

Sono stati elaborati gli spettri delle stelle riportate in tabella 1 ognuna appartente

ad una classe spettrale diversa.

Tabella 1 - in questa tabella sono riportate la classe spettrale a cui appartiene la stella,

la sua magnitudine apparente e le sue coordinate equatoriali

Nella ruota portafiltri delle CCD è stato selezionato il reticolo di diffrazione. Sono state

acquisite 20 immagini per ogni stella con un tempo di esposizione di 1 secondo, solo per

SAO 34149 è stato necessario un tempo di esposizione di 5 secondi poichè la sua

magnitudine apparente è più alta rispetto alle altre stelle. Inoltre, per rimuovere il

contributo del rumore termico dalle immagini sono stati acquisiti 10 Dark (immagini

riprese con l’otturatore chiuso), 5 dei quali sono stati acquisiti con un tempo di esposizione

di 1secondo e i rimanenti 5 con un tempo di esposizione di 5 secondi.

Nome stella Classe spettrale

Magnitudine apparente

Coordinate equatoriali

SAO 34149 O6e 5.05 α δ

22 h 11 min 31 sec + 59° 24’ 52”

SAO 184014 B0.2IV 2.29 α δ

16 h 1 min 20 sec – 22° 37’ 18”

Alphecca A0V 2.22 α δ

15 h 34min 41sec +26° 42’ 53”

SAO 101623 F0IV 3.80 α δ

15 h 34 min 48 sec +10° 32’ 20”

Rastaban G2II 2.79 α δ

17 h 30 min 26 sec + 52° 18’ 5”

Unukalhai K2III 2.63 α δ

15 h 44 min 16 sec + 6° 25’ 32”

Yed Prior M1III 2.73 α δ

16 h 14 min 21 sec - 3° 41’ 40”

- 37 -

3.2.1 Riduzione delle immagini grezze

Per ottenere le immagini scientifiche, da cui sono stati determinati gli spettri, è

stata effettuata la riduzione delle immagini grezze con un software in cui è stata

implementata la seguente operazione. Dai due gruppi di immagini di Dark con diversi

tempi di esposizione, sono stati ricavati due Master Dark effettuando la mediana pixel per

pixel di ciascun gruppo di immagini. Poichè la CCD può essere schematizzata come una

matrice di pixel, possiamo identificare il singolo pixel, che forma l’immagine,

univocamente con i due indici i e j. Con l’indice i si indica la riga e con l’indice j la

colonna. Sia Sij il generico pixel che compone l’immagine scientifica, Dij il generico pixel

che forma il Master Dark e Rij il generico pixel che compone l’immagine grezza,

l’operazione implementata è la seguente

Per ottenere l’immagine scientifica è stato sottratto al generico pixel dell’immagine grezza

il corrispondente pixel del Master Dark. Per le immagini di SAO 34149 è stato utilizzato il

Master Dark con un tempo di esposizione di 5 secondi, mentre per le immagini delle altre

stelle il Master Dark con un tempo di esposizione di 1 secondo. Il risultato ottenuto è il

seguente

Figura 13 – immagine scientifica di Alphecca

- 38 -

A titolo di esempio è mostrata un’immgine scientifica di Alphecca, dalla quale possiamo

trarre informazioni scientifiche. Nell’immagine si possono osservare l’ordine zero di

diffrazione, che corrisponde proprio alla stella, il primo ordine di diffrazione, per il quale

il reticolo è in condizione di blaze e si intravedono anche il second’ordine e il prim’ordine

negativo di diffrazione.

3.2.2 Estrazione degli spettri con il software Rspec

L’estrazione degli spettri dalle immagini scientifiche è stata svolta con il software

RSpec e consta di varie fasi. Per prima cosa si ottengono dei profili in cui sull’asse delle

ascisse sono riportati i pixel, mentre sull’asse delle ordinate è riportato il flusso, espresso

in unità arbitrarie, ottenuto sommando il flusso della colonna relativa ad un pixel compresa

in un riquadro contenente l’immagine di diffrazione. In figura 14 viene mostrata la

situazione appena descritta.

Figura 14 - in figura è mostrata la figura di diffrazione di Alphecca, le righe arancioni orizzontali identificano il riquadro, la linea bianca verticale indica la colonna corrispondente ad un pixel, e il tratto giallo identifica la parte della colonna selezionata su cui è effettuata la somma dei flussi dei singoli pixel

- 39 -

In figura 15 è mostrato un primo profilo digitalizzato, in cui sull’asse delle ascisse sono

riportate le posizioni dei pixel e sull’asse delle ordinate il flusso. Si può osservare il picco

con massimo sul pixel 531, che corrisponde all’ordine zero di diffrazione, mentre si può

osservare la zona relativa al primo ordine di diffrazione dal pixel 700 al 1200.

A questo punto è necessario effettuare la calibrazione del profilo passando da una scala in

pixel ad una in angstrom. Per fare ciò si prende un punto di riferimento, come l’apice

dell’ordine zero, a cui si assegna una lunghezza d’onda nulla e si sceglie un plate factor,

cioè quanti angstrom corrispondono ad ogni pixel. In questo modo si è realizzato

l’allineamento ad un punto e sull’asse delle ascisse saranno riportate le lunghezze d’onda

in angstrom. In alcuni casi, per ottenere una calibrazione più accurata, è necessario

effettuare un’allineamento a due punti, che si realizza prendendo come punti di riferimento

due punti del profilo a cui si assegna una lunghezza d’onda nota. Ad esempio, se al suo

interno si riconoscono le righe di assorbimento di un certo elemento, nota la lunghezza

d’onda si possono impostare come riferimenti i baricentri delle buche corrispondenti. Il

grafico che si ottiene è il seguente.

Figura 15 - profilo ottenuto con il processo descritto a cui è stato sottratto il background

- 40 -

Il profilo ottenuto non è lo spettro vero, ma si deve tener conto della risposta quantica della

CCD. Il flusso, per ogni lunghezza d’onda, infatti, è moltiplicato per la risposta quantica

della CCD, quindi il profilo della Fig. 16 deve essere diviso per il profilo strumentale. Il

profilo strumentale, ottenuto da accurate calibrazioni in osservazioni precedenti alla nostra

tesi, è mostrato in Fig. 17 con la linea blu. Una volta effettuate la divisione per il profilo

strumentale, otteniamo il risultato finale, che mostreremo nella prossima sezione.

Figura 16 - profilo calibrato

Figura 17 - in questo grafico è rappresentato il profilo della stella (rosso) insieme al profilo strumentale (blu)

- 41 -

3.3 Analisi degli spettri

In quest’ultima sezione verranno analizzati gli spettri delle stelle riportate

precedentemente in tabella 1. Tutti gli spettri, ottenuti con il procedimento illustrato nella

sezione precedente, verranno confrontati con quelli riportati nella libreria di RSpec.

3.3.1 Spettro di Alphecca: classe A0V

Alphecca è un sistema binario, il suo periodo è di 17,36 giorni. La principale ha

massa e raggio tripli di quelli del Sole. Il suo spettro è mostrato in Fig. 18 in rosso,

sovrapposto ad uno spettro, mostrato in blu, della stessa classe spettrale estratto dalla

libreria di spettri stellari contenuta nel programma RSPEC. Non è possibile separare gli

spettri delle due componenti, ma quello che domina è quello della principale, visto che la

secondaria è molto meno luminosa. Le righe di Balmer della serie dell’idrogeno sono

molto marcate, come accade per ogni stella appartenente a questa classe spettrale. Il buon

accordo con lo spettro in libreria ci permette anche di apprezzare l'impatto del seeing

atmosferico nel contrasto delle righe spettrali quando si fa spettroscopia senza fenditura.

Infatti, rispetto allo spettro in libreria, le nostre righe appaiono meno profonde e più

larghe, ma ancora ben distinguibili. Il picco dello spettro è nel vicino ultravioletto, fuori

dall’intervallo di sensibilità della nostra CCD.

Figura 18 - spettro di Alphecca ottenuto (rosso) e spettro di riferimento preso dalla libreria (blu)

- 42 -

3.3.2 Spettro di SAO 101623: classe F0II

Nello spettro di SAO 101623 si possono osservare le righe di Balmer Hα e Hβ e,

inoltre, cominciano a formarsi le righe di metalli neutri come il ferro e il silicio. Sono

visibili le righe telluriche (cioè formate dall'assorbimento da composti nell'atmosfera

terrestre e non intrinseche all'atmosfera stellare) dai 7000 Angstrom in poi. Lo spettro

ottenuto mostra un ottimo accordo con lo spettro di riferimento presente in libreria.

Figura 19 - spettro di SAO 101623 ottenuto (rosso) e spettro di riferimento preso dalla libreria (blu)

- 43 -

3.3.3 Spettro di Rastaban: classe G2II

Rastaban appartiene alla stessa classe spettrale del Sole, ma, a differenza della

nostra stella, è una gigante brillante di classe di luminosità II. E’ la terza stella più

luminosa della costellazione del Dragone. E’ sei volte più massiccia del Sole. Ha una

debole compagna, una nana rossa di quattordicesima magnitudine che dista dalla

principale almeno 450 U.A., e ha un periodo di rivoluzione di almeno 4000 anni. Notiamo

le righe di Balmer dell'idrogeno, che però sono molto deboli. Dai 7000 Angstrom in poi, lo

spettro acquisito da noi si discosta da quello in libreria poiché in quest'ultimo è stato

sottratto l'effetto dell'assorbimento atmosferico, importante nell'infrarosso. Si osservano le

righe telluriche del potassio e dell’acqua.

Figura 20 - spettro di Rastaban, lo spettro elaborato è riportato in rosso, mentre lo spettro presente in libreria è riportato in blu

- 44 -

3.3.4 Spettro di Unukalhai: classe K2III

Unukalhai appartiene alla classe spettrale K, ha una massa 1,8 volte quella del Sole

ma con un raggio 15 volte maggiore. Si può ancora osservare una debole riga dell’Hα,

sono presenti le righe del Fe I, del Mg I e del Na I e infine del Fe ionizzato. Anche qui

sono evidenti le righe telluriche del potassio e dell’acqua. Dagli spettri precedenti si

osserva lo spostamento del picco verso lunghezze d’onda maggiori in accordo con il fatto

che le classi spettrali costituiscono una sequenza in temperatura, e le stelle di classe K

sono più fredde di quelle G. Dalla legge di Wien

dove T è la temperatura assoluta della stella e λMAX è la lunghezza d’onda corrispondente

al picco dello spettro, si ricava che all’aumentare della temperatura il picco si sposta verso

lunghezze d’onda minori. Una volta determinato il valore della lunghezza d’onda a cui

corrisponde il picco si può fare una stima della temperatura della stella. Lungo le classi

spettrali da O a M, λMAX cresce dall’ultravioletto al vicino infrarosso.

Figura 21 - spettro di Unukalhai, lo spettro elaborato è riportato in rosso, mentre lo spettro presente in libreria è riportato in blu

- 45 -

3.3.5 Spettro di Yed Prior: classe M1III

Yed Prior è una gigante rossa, ha 1,5 masse solari, ma ha un raggio 58 volte più

grande. Si suppone che sia variabile, in quanto pare avere una variazione di luminosità di

±0,03 magnitudini. Come si può notare della figura lo spettro è solcato dalle bande

dell’ossido di titanio, che è una caratteristica delle stelle appartenenti alla classe M. Lo

spettro elaborato è in perfetto accordo con quello presente in libreria fino a 7000

Angstrom. Da questo valore in poi si osservano righe telluriche dovute all’atmosfera,

infatti, sono particolarmente evidenti le righe del potassio e dell’acqua. Si osserva, inoltre,

l’assorbimento di gran parte della radiazione infrarossa da parte dell’atmosfera. Per poter

studiare gli spettri nell'infrarosso occorrono CCD appositamente studiate. Dallo spettro in

Fig. 20 si può vedere che il picco è spostato più a destra rispetto allo spettro di Unukalhai.

Da ciò si deduce che le stelle di classe M sono più fredde rispetto a stelle che

appartengono ad altre classi spettrali.

Figura 22 - spettro di Yed Prior (rosso) e spettro di riferimento (blu)

- 46 -

Per evidenziare che le righe osservate sono proprio quelle dell’ossido di titanio, si riporta

un grafico tratto dall’articolo di A. Lançon e P. R. Wood del 2000. Nella parte superiore

della figura è riportato lo spettro dell’ossido di titanio, se si confronta con lo spettro

ottenuto si può riscontrare lo stesso andamento tra i 4000 e 7000 Angstrom.

Figura 23 - spettro di TiO

- 47 -

3.3.6 Spettro di SAO 184014: classe B0.2IV

Fino ad ora sono stati analizzati gli spettri di stelle a partire dalla classe A e

proseguendo con le classi successive, corrispondenti a stelle con temperature più basse.

Adesso ci spostiamo verso temperature più alte, esaminando una stella di classe B. Questa

stella in particolare è un oggetto molto complicato che è ancora oggi in fase di studio. A

quanto pare, è un sistema binario con la primaria di 13 masse solari e la secondaria di 6.

La primaria ha un disco di accrescimento caldo che dà origine ad alcune linee di

emissione, in particolare la Hα. Poiché il picco dello spettro capita nell'ultravioletto, nel

nostro spettro osserviamo solo la coda della distribuzione di corpo nero. Nel nostro spettro

è perfettamente visibile la riga di emissione della Hα. Questo risultato è davvero notevole,

considerando che questa stella è molto particolare e tutt’ora oggetto di molti studi.

Figura 24 - spettro di SAO 184014 ottenuto (rosso) e spettro di riferimento (blu)

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3.3.7 Spettro di SAO 34149: classe O6e

SAO 34149 è una superigante blu, la sua massa è 30 volte maggiore di quella del

Sole, mentre la sua luminosità è 2800 maggiore quella del Sole nella luce visibile, ma sale

a 370000 volte se si considera anche l’ultravioletto. La lettera “e” nella classificazione

vuole indicare la presenza di righe di emissione nello spettro. Si registra un andamento

fedele allo spettro presente in libreria, tuttavia non sono visibili righe di alcun elemento

poichè, la CCD utilizzata non è sensibile all’ultravioletto, range nel quale la stella emette

maggiormente. Lo spettro ottenuto rappresenta la coda della distribuzione di energia di

Rayleigh-Jeans per il corpo nero. Con questa scala non sono apprezzabili le righe

telluriche.

Figura 25 -- spettro di SAO 34149 O6e ottenuto (rosso) e spettro di riferimento (blu)

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3.4 Conclusioni

Nella presente trattazione, sono stati affrontati sia l’aspetto teorico che

sperimentale della spettroscopia stellare. Nel primo capitolo sono state descritte e applicate

le leggi che ci permettono di descrivere, predire la forma degli spettri e da questi trarre

delle informazioni sulla composizione chimica delle fotosfere stellari. Successivamente è

stata esposta la classificazione spettrale di Harvard che ha portato alla scoperta del

diagramma H-R, uno degli strumenti più potenti di cui l’Astrofisica dispone. Negli ultimi

capitoli sono state affrontate delle problematiche sperimentali che hanno permesso

l’elaborazione di sette spettri e la loro analisi. Grazie all’analisi di questi spettri si è avuto

un riscontro sperimentale di quanto detto nel primo capitolo. Tutti gli spettri elaborati

risultano conformi alle previsioni teoriche, in quanto per ogni spettro si sono riscontrate le

righe corrispondenti agli elementi o ai composti caratteristici di ogni classe. Inoltre, fra gli

spettri elaborati e quelli di riferimento si riscontra un accordo estremamente soddisfacente.

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Bibliografia

1. Bradley W. Carroll and Dale A. Ostlie, “An Introduction to Modern

Astrophysics”, Person Addison-Wesley, 2007;

2. J. D. Griffiths, “Intoduzione alla Meccanica Quantistica”, Casa Editrice

Ambrosiana, 2005;

3. Bakulin, Kononovic, Moroz, “Astronomia generale”, Editori riuniti, 1984;

4. Diffraction Grating Handbook, Newport grating Publications;

5. R. Eisberg and R. Resnick, “Quantum Physics: Of Atoms, Molecules,

Solids, Nuclei, and Particles”, Wiley and Sons, 1985;

6. A. Lançon and P. R. Wood, “A library of 0.5 to 2.5 µm spectra of

luminous cool stars”, Astronomy and Astrophysics Supplement Series 146,

Ottobre II 2000, pag. 217.