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tesi sulla casa editrice Marcos y Marcos. Discussione il 4 aprile 2012
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Introduzione
Questo lavoro di tesi si pone come obiettivo quello di dare risalto e importanza
all’attività della casa editrice milanese Marcos y Marcos fondata da Marco
Zapparoli, e da Claudia Tarolo poi, all’inizio degli anni Ottanta. Con i suoi trent’anni
di esperienza la coppia di editori è riuscita a distinguersi all’interno del mercato
editoriale italiano, per la scelta di strategie controcorrente, per la produzione di una
narrativa giovane, originale e innovativa, ma non per questo priva di riferimenti
culturali, e per la riscoperta di classici del passato ormai dimenticati dal grande
pubblico.
Nella prima sezione si fornisce una breve storia della casa editrice suddivisa per i
suoi tre decenni di vita, che mira a sottolineare i cambiamenti di cui è stata oggetto e
l’evoluzione dei libri, sia stranieri che italiani, editi dai due editori. All’inizio Marco
Zapparoli era affiancato dall’amico Marco Franza, quando negli anni Novanta
quest’ultimo lascia la casa editrice, Zapparoli prosegue il suo cammino da solo,
senza farsi scoraggiare. Il passaggio verso il nuovo Millennio coincide invece
l’arrivo della Tarolo e del grafico Lorenzo Lanzi che danno una svolta decisiva
all’immagine della Marcos y Marcos. Nonostante i mutamenti intercorsi in questo
1
periodo la coppia milanese mantiene salda l’idea di affiancare ad una narrativa
insolita e geniale la realizzazione di una solida poesia. I primi anni sono caratterizzati
da una riscoperta di classici del passato come Italo Svevo, Iginio Ugo Tarchetti,
Mario Luzi, Novalis, Friedrich Dürenmatt e Heinrich Von Kleist, mentre la
produzione in versi si avvale di figure come George Heym, Dino Campana, Arturo
Onofri, e Giovanni Orelli. Tali autori sono inseriti nella collana Biblioteca germanica
e nella serie Le foglie. Prima dell’avvento di Lanzi le edizioni si caratterizzavano per
uno stile ricercato e dalle tirature limitate, che Zapparoli definirà successivamente
come Vintage.
Dopo queste pubblicazioni e con l’aiuto della Tarolo il catalogo della casa editrice si
arricchisce di una nuova collezione intitolata Gli alianti. Quest’ultima diventa la
vetrina fondamentale della MyM nella quale sono inseriti nuovi scrittori inediti come
Cristiano Cavina, Fulvio Ervas, Michael Zadoorian, Jasper Fforde, Ángeles Caso e
tanti altri. Compaiono anche poeti emergenti come Fabio Pusterla e Umberto Fiori.
Gli alianti, grazie alla mano del disegnatore Lanzi, appaiono colorati, spiritosi, dalle
copertina accattivanti e ben distinguibili dalle altre case editrici.
La seconda parte del lavoro fornisce una panoramica della narrativa proposta dagli
editori della Marcos y Marcos. Come si potrà notare, la nostra attenzione si è
focalizzata esclusivamente sulla presentazione degli autori italiani, in quanto ci è
sembrato che, nell’ambito degli studi di cultura editoriale, avesse più importanza per
noi realizzare un quadro esaustivo dei libri nazionali.
Tale panoramica è stata delineata attraverso la strategia editoriale adottata da
Zapparoli e Tarolo, fondata principalmente su una politica d’autore, ben visibile
nell’impostazione con cui hanno redatto il catalogo e il sito internet. Tuttavia la
2
rassegna tenta di seguire la suddivisione dei titoli in collane. Questa prospettiva
consente, infatti, di cogliere più nello specifico, l’evoluzione della MyM lungo l’asse
diacronico, per poi soffermarci su un’analisi che comprenda un’indagine sulla
politica d’autore adottata, sui modelli narrativi proposti e, più in generale, sulle idee
di letteratura portate avanti dalla casa editrice.
Infine, la terza sezione di questa tesi delinea nel dettaglio le caratteristiche che
rendono la casa editrice milanese degna di una maggiore attenzione. Inizialmente
viene descritto il rapporto con gli scrittori, con i lettori e i librai, per poi analizzare
l’intera fase del lavoro editoriale. Essa è realizzata da tutti gli addetti della Marcos y
Marcos senza che vi siano differenze di ruoli, creando un ambiente in cui si sviluppa
uno scambio proficuo di idee e contributi atti a migliorare ogni edizione. Qualche
accenno è poi fornito sul progetto grafico voluto da Zapparoli e Tarolo, poiché
anch’esso concorre a tratteggiare l’immagine fedele e particolare della loro attività.
Infine, nonostante avessimo cercato di rivelare l’unicità della casa editrice milanese,
si è tentato comunque di trovare delle affinità tra la coppia di editori e quelli che
sono gli editori protagonisti artefici delle politiche editoriali più importanti dello
scorso secolo. Le ultime pagine sono invece dedicate ad un’espisiozione, seppur
riassuntiva, della letteratura straniera pubblicata dalla MyM e al rapporto che
Zapparoli e Tarolo hanno instaurato con la città di Milano, sede e ambiente in cui
cresce la loro attività.
3
Trent’anni di storie
1.1. L’inizio della casa editrice
La Marcos y Marcos nasce nel 1981 dalla travolgente passione per i libri nutrita da
due studenti dell’Università Statale di Milano poco più che ventenni, Marco Franza e
Marco Zapparoli, che sognavano di fondare una casa editrice di nicchia.
Il suo bizzarro nome trae origine dall’amicizia che intrattennero con un poeta cileno,
di quelli che vendono oggettini in via Festa del Perdono, il quale, intenerito
dall’ambizioso progetto dei due ragazzi, quando riuscì a pubblicare la sua prima
raccolta in versi la dedicò proprio a loro: «para Marcos y Marcos con todo cariño».
In principio la MyM più che una casa editrice è una piccola mansarda, trasformata in
un instancabile laboratorio in via Settala, a due passi da Porta Venezia. All’epoca
non esisteva il computer e il lavoro era fatto tutto su carta e giri di bozze. Il clima
editoriale era in fermento, nascevano dibattiti ad ogni decisione di pubblicare un
titolo o un autore e la politica era un aspetto molto rilevante.
Qui i due amici inventano, assemblano e spediscono nel mondo edizioni numerate
che sembrano uscite dal ciclostile di un gruppo scout. I titoli della prima collana
4
Biblioteca germanica sono un’alternanza di poesia e narrativa tedesca, le due
passioni di Zapparoli. Non a caso il volume iniziale è una collezione di poesie
surrealiste di George Heym. Subito dopo arriva la serie Le foglie in cui l’occhio è
rivolto ad autori classici come Leonardo da Vinci, Italo Svevo, Mario Luzi, Novalis,
Friedrich Dürenmatt e Heinrich Von Kleist, e tra i poeti italiani, Alessandro Ceni e
Arturo Onofri. Le edizioni sono di 16 o 32 pagine con carta fabbricata a mano e
splendidi caratteri Garamond. Le tirature iniziali consistono di 500-1.000 copie.
Quella di testa riporta illustrazioni ad acquaforte per i trenta amici che al costo di
50.000 £, comprano in abbonamento i primi libri, mentre le altre recano stampe
d’artista o riproduzioni del manoscritto originale. Come ammette lo stesso Zapparoli:
L’idea originale era quella di inseguire, chiaramente nella debita proporzione, il
catalogo di editori come Guanda o Franco Maria Ricci: stampare dei volumi che
coniugassero l’eleganza delle edizioni, magari numerate, a tiratura limitata e
impreziositi da riproduzione iconografiche, di grandi piccoli classici purtroppo
dimenticati.1
Ben presto gli editori, forti dell’entusiasmo mostrato dalla piccola cerchia di lettori
alla quale si erano rivolti inizialmente, cercano di ampliare il loro pubblico. Il lettore
a cui si indirizza la MyM è un “ricercatore” che ama la letteratura straniera e si affida
alla curiosità, apprezza sia la qualità di una veste grafica ben curata che il contenuto
di un libro dallo stile originale. Non ha infatti paura di esplorare nuovi territori
letterari e si lascia incantare dalle piacevoli riscoperte di classici del passato. Il
lettore MyM è dunque molto simile ai due editori: condivide con loro una
consolidata e sfrenata passione per i libri.
1 G. P. Serino, Marcos y Marcos, in «Il Mucchio selvaggio», marzo 2002, pag. 12.
5
Nei primi tre anni, dall’1981 all’1983, sono gli stessi Zapparoli e Franza a piegare i
quarti sciolti e a distribuirli personalmente presso librerie e librai che, piuttosto
incuriositi, offrono loro qualche spazio ospitando alcune copie.
C’era molta militanza -anche come semplice comportamento- all’interno della
macchina editoriale e nella vendita […] Il mio punto di partenza di allora è stato
quello di guardare come lavoravano queste persone, far loro delle domande […]
Lunghe telefonate con editori e puntate dai librai, in particolare due: Fausta Bizozzero
di Utopia e Amilcare Di Francesco della Feltrinelli Santa Tecla.2
Fuori Milano Zapparoli e Franza affidano la distribuzione ad alcuni amici e nelle
altre regioni firmano i primi piccoli contratti con distributori locali. «Marcos y
Marcos è nata un po’ alla volta. Per qualche anno è stata piccolissima, poco più che
un sogno, poi si è evoluta pian piano, sempre più intenta a mettere radici piuttosto
che a crescere troppo rapidamente in altezza».3
Nel 1983 nuovi titoli arricchiscono la collana Le foglie, il filo rosso dedicato al
rilancio di grandi autori raccoglie testi di poesia e narrativa contemporanea in cui
sono inseriti, tra gli altri, Chester Himes, Walker Percy, e Thompons Carlene. La
veste grafica muta in un motivo molto semplice, spesso di un pittore celebre del
Novecento: Arp, Braque,o Kleen, e le copertine si colorano di tinte pastello.
L’ambiente in cui cerca di farsi spazio la MyM è una città degli anni Ottanta il cui
stile può essere riassunto nel famoso slogan “Milano da bere”.4 Nel capoluogo
lombardo converge il potere socialista del periodo craxiano, caratterizzato dal
2 G. Peresson, Trent’anni da piccoli, in «Giornale della libreria», dicembre 2010, pag. 74.3 G. Raponi, Un bravo editore non ha pregiudizi: esce a caccia e si lascia guidare dal fiuto, in «La luna di traverso», dicembre 2009, pag. 31.4 “Milano da bere” era lo slogan di una campagna finalizzata alla ricostruzione dell’immagine dell’amaro Ramazzotti di Marco Mignani del 1987. In realtà finì per delineare l’ambiente socialista della città, e nei primi anni Novanta venne usato con connotazioni negative per descrivere gli esponenti politici e imprenditoriali coinvolti nell’inchiesta Mani pulite.
6
benessere diffuso, dal rampantismo di ceti sociali emergenti e influenzato dal mondo
della moda. Ciononostante tale periodo coincide con una pesante crisi finanziaria e la
conseguente recessione economica. Per rendersene conto basta guardare al settore
dell’editoria libraria che vive un momento di paralisi e soffocamento causato
dall’alto costo del denaro e dal ritmo dell’inflazione. Il “best seller all’italiana”5,
modello narrativo degli anni Sessanta, subisce un brusco calo: i titoli di narrativa
scendono dal 25% al 13% insieme alla saggistica, mentre incrementano i consensi la
manualistica pratica e il romanzo “rosa”6 con il lancio di serie come Harmony, nata
dall’accordo tra Mondadori e la società Harlequin che possedeva i diritti sui volumi
tradotti, o Blue Moon di Curcio. Per risanare le perdite le case editrici ripensano ai
loro assetti in termini imprenditoriali e spesso si riorganizzano attraverso l’afflusso di
capitali e progetti esterni, puntando a un’ottimizzazione dei processi produttivi e a un
progressivo ampliamento del mercato. Tuttavia fanno il loro ingresso nel settore
svariate iniziative come Piemme e la Marcos y Marcos. «Siamo nati nell’81 quando a
corso Manzoni sfilavano i dipendenti della Feltrinelli in crisi -ricorda Zapparoli in
un’intervista- ma la crisi faceva venire voglia di fare. Ed era un’epoca di dibattito
politico e culturale».7
Ciò che in principio sembra solo un’avventura inizia a concretizzarsi seriamente, ma
a questo punto Marco Franza lascia il progetto perché, essendo più che altro un
5 Il “best seller all’italiana” è quel tipo di romanzo che coniuga, negli anni Sessanta e Settanta, qualità letteraria con elementi accattivanti per il consumo e la vendita del libro stesso. Cfr. G. C. Ferretti, Il best seller all’italiana, Laterza, Bari 1983.6 «Il romanzo “rosa” è un tipo di romanzo seriale e ripetitivo in cui l’attenzione è focalizzata sulle vicende amorose di eroi e eroine travolti dal destino del proprio sentimento. Rispetto al classico romanzo sentimentale è più anonimo e standardizzato». Cfr. M. Rak, Rosa: la letteratura del divertimento amoroso, Donzelli editore, Roma 1999, pagg. 44-46.7 M. S. Palieri, Marcos, correva l’anno…, in «L’Unità», 4 marzo 2011, pag. 37.
7
teorico e un intellettuale, non voleva veder contaminato il suo amore per i libri dal
commercio e dalle leggi di mercato. Comincia così un lungo periodo mono-marcos8.
Nel 1985 l’editoria ottiene un sostanziale recupero puntando sulla tecnologia,
l’innovazione e la promozione. Scomparsa ormai la figura dell’ “editore
protagonista”9, «l’idea di cultura si concretizza nella formazione del “catalogo”, vale
a dire nel complesso degli autori che costituiscono nel tempo il vero patrimonio della
casa editrice».10
Sebbene il mercato tenda a creare molte comunità di lettori diversi, marginalizzati da
una collettività che punta all’omogeneizzazione di ogni esperienza culturale,
compresa la lettura, Zapparoli sembra voler seguire la diversa strada inaugurata negli
anni Settanta da Calvino con Centopagine e conclusa proprio in questo periodo:
ovvero una riabilitazione del romanzesco, attraverso la lettura di vecchie e nuove
opere in chiave moderna e attualizzante.
Nel 1986 Zapparoli riceve il suo primo successo con Storie per bambini di Peter
Bichsel che sfiora le 10.000 copie vendute. E alla fine del decennio la collana Le
foglie si arricchisce dei titoli di Giovanni Galdini, Dino Campana, Gaetano Neri e
Ludovico Geymonat. Viene pubblicato anche il primo libro in versi di Fabio
Pusterla, considerato dalla critica uno dei migliori poeti italiani contemporanei, che
sancisce l’esordio di una lunga e intensa collaborazione con l’editore. A differenza
dell’ambiente circostante la Marcos y Marcos decide di proseguire senza rinunciare
a un progetto editoriale preciso e ben delineato, tentando di fornire al lettore sia una
8 Cfr. http://www.marcosymarcos.com/30_anni_di_storie/30_anni_di_storie.html.9 L’editore protagonista è «un editore capace di imprimere una forte personalizzazione al suo progetto e all’intero processo che va dalla scelta del testo alla veicolazione del prodotto». Sono da considerare tali tutti i personaggi che dagli anni Trenta fondano le più grandi case editrici del secolo, Valentino Bompiani, Giulio Einaudi, Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli e Aldo Garzanti. Cfr. G. C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Einaudi, Torino 2003, pagg. 4-5.10 A. Cadioli, G. Vigini, Storia dell’editoria italiana, Editrice Bibliografica, Milano 2004, pag 139.
8
lettura di intrattenimento gradevole che una ricezione consapevole dei contenuti e dei
valori trasmessi dai testi pubblicati.
In particolare, qui l’editore si pone in risalto poiché è riuscito, facendo propria la
“filosofia del catalogo”, a creare una casa editrice che seleziona i propri titoli
basandosi sull’istinto di chi «esce a caccia e si fa guidare dal fiuto»11 compiendo
scelte temerarie, originali e controcorrente. Tale modo di operare all’interno
dell’editoria sembra richiamare alla mente alcune delle caratteristiche degli “editori
protagonisti” artefici delle politiche editoriali dei decenni precedenti. L’elemento
rilevante che rende l’attività della MyM oggetto di un’attenzione più approfondita
risiede dunque nel fatto che questa maniera di “sentire” il mestiere dell’editore da
parte di Zapparoli coincide ormai con l’immagine stessa della casa editrice,
influenzando non solo la produzione ma anche la promozione e la vendita dei libri.
1.2. Gli anni Novanta
Il secondo periodo di vita della Marcos y Marcos è caratterizzato da un riassesto
della casa stessa. Una produzione di libri più corposa coincide con il trasferimento
della sede negli ampi locali di via Padova, redazione e magazzino insieme, con
colonne di libri molto suggestive sparse dappertutto. Nel 1990 Zapparoli affida la
distribuzione dei suoi volumi alla Garzanti e nel 1995, quando questa viene
11G. Raponi, Un bravo editore non ha pregiudizi: esce a caccia e si lascia guidare dal fiuto , in «La luna di traverso», dicembre 2009, pag. 32.
9
smembrata e acquisita da altri, la MyM passa alle Messaggerie libri instaurando la
collaborazione con Promedi12 per quanto concerne la promozione.
Nel contempo la frammentazione del pubblico attuata nello scorso decennio si rende
ancor più evidente attraverso la moltiplicazione di richieste. Per far fronte a tale
diversificazione, nonostante il calo dei libri e la crisi in corso, si assiste ad un
allargamento del settore dei tascabili.
Nel 1992 esplode il fenomeno dei Millelire di Stampa Alternativa e nel 1995 della
sottocollana I miti di Mondadori. Scorgendo nel loro successo una via d’uscita, molte
sigle iniziano così un massiccio processo di “tascabilizzazione” dell’editoria:
Uno sbilanciamento inconsapevole di tutta l’editoria verso il tascabile, inteso più come
espressione di un concetto e di una funzione che non come tipologia di formati e
livelli di tiratura. Essendo infatti diventato il tascabile un punto di riferimento primario
per un pubblico sempre più vasto, e trovandosi tutto il resto quasi a girargli intorno
come se fosse una produzione di nicchia, si era arrivati in pochi anni a “tascabilizzare”
gran parte dell’editoria.13
Tuttavia il mercato stenta a risalire e le esperienze dei Millelire e de I miti rimangono
episodi che nel giro di poco tempo esauriscono le proprie fortune.
Alla Marcos y Marcos si lavora, invece, puntando su tutt’altra direzione. Dopo il
contratto con la Garzanti nasce la collana Gli alianti. Essendo più forte, l’editore può
ora permettersi di tentare con titoli e scrittori più impegnativi e moderni. Il fiuto dello
Zapparoli si dirige verso lo stesso pluralismo di lettori a cui mira il settore degli
economici ma con esiti totalmente diversi. Sperimenta una narrativa contemporanea
12 Nata nel 1983, la Promedi promuove presso librerie indipendenti e di catena, un gruppo scelto di case editrici tra le più rappresentative dell’editoria nazionale attraverso una capillare rete di agenti sul territorio. Tutti gli editori rappresentati da Promedi vengono poi distribuiti da Messaggerie italiane. Cfr. www.promedi.it.13 A. Cadioli, G. Vigini, op. cit., pag. 148.
10
che include molti scrittori d’oltreoceano e la produzione italiana si avvale di alcune
fra le sue collaborazioni più durature. Difatti questi anni portano la firma dei già
citati Ceni e Pusterla, oltre a Umberto Fiori, Luca Giachi e Giovanni Orelli, racchiusi
ora nella nuova serie Poesia, interamente dedicata ai libri in versi. La forte presenza
di questo genere letterario diviene uno dei capisaldi del catalogo, come testimonia
l’uscita di un titolo di poesie inserito, da circa una decina d’anni ne Gli alianti. Nella
raccolta Le foglie compare ancora Gaetano Neri e una serie di racconti di Roberto
Cazzola. Due generi letterari, la poesia e il romanzo, segregati all’ombra del
tascabile, prendono vita nel catalogo della casa editrice milanese per chi non sa
rinunciare alle buone letture e si accosta con gusti e stili diversi alla loro scoperta.
Gli anni Novanta vedono un po’ tutto il panorama editoriale cambiare paesaggio. Per
affrontare la crisi nei paesi europei crescono il numero di acquisizioni e fusioni di
case editrici. Si creano nuovi scenari in cui aziende di notevoli dimensioni con
contributi provenienti da nuovi colossi della comunicazione e dell’industria
elettronica sostengono un futuro realizzato sull’armonica unione di vari progetti
integrati. L’Italia dal canto suo, cerca di consolidare il proprio mercato interno non
solo attraverso le acquisizioni di sigle editoriali ma puntando anche su un notevole
investimento nella riorganizzazione dei punti vendita, nell’ampliamento dei canali e
nell’incremento di risorse umane.
L’editore quindi deve reinventarsi il mestiere operando su nuovi fronti con maggiore
flessibilità, come dimostrano i progetti “fuori e dentro al libro” ideati in questo
periodo dallo stesso Zapparoli.
Dal 1991 infatti, la sua produzione di libri è affiancata dalla presenza della rivista
«Riga», (poi trasformata in collana), diretta da Marco Belpoliti e Elio Grazioli, e
11
dedicata ai protagonisti del Novecento, i grandi personaggi della letteratura, dell’arte
e della musica che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra cultura, «per usare
le parole dei creatori di Riga, il taglio monografico risponde al desiderio di costruire
una biblioteca del contemporaneo. Non è una rivista, o meglio: lo è formalmente; dal
punto di vista culturale, sono in realtà dei volumi tematici di vari autori».14
A quest’ultima si aggiunge poi la pubblicazione di «Testo a Fronte», un semestrale
che trae origine dall’esigenza dell’editore di puntare sulla qualità e sulla
valorizzazione della traduzione dei testi. Diretto da Franco Buffoni, Paolo Proietti e
Gianni Puglisi, presenta al pubblico italiano le maggiori teorizzazioni del campo
traduttologico, affiancando alla teoria la dimostrazione pratica con le versioni inedite
di alcuni poeti traduttori, da Luzi a Fortini, da Caproni a D’Elia, da Magrelli a
Cucchi. Ogni uscita di «Testo a fronte» si conclude con il «Quaderno di Traduzioni»,
dove molto spazio è destinato a giovani poeti e studiosi del settore. L’obbiettivo è
quello di distinguere la traduzione letteraria da quella di tipo tecnico e «togliere ogni
rigidità all’atto traduttivo, mirando a configurarlo come un incontro tra poetiche: la
poetica del tradotto che incontra quella del traduttore e, nel caso di incontro felice,
produce un testo provvisto di valore estetico autonomo».15
L’editore comincia a farsi notare anche attraverso l’assidua presenza alle svariate
iniziative nazionali di Fiere e Saloni del libro16 sparsi in tutta Italia che mettono in
stretto contatto editori, librai e lettori. In questo modo la Marcos y Marcos instaura
sin dall’inizio, un intenso rapporto tra la casa editrice e i librari, nella convinzione
che per la promozione del libro, fungano un ruolo essenziale anche «i consigli
14 G. P. Serino, Marcos y Marcos, in «Il Mucchio selvaggio», marzo 2002, pag. 13.15 Cfr. www.marcosymarcos.com/testo_a_fronte.html.16 Il primo Salone del Libro viene inaugurato nel maggio del 1988 a Torino, per grandezza ed esposizioni è il secondo in Europa, mentre il primo è la Fiera Internazionale del Libro di Francoforte, fondata nel 1949. A questa si aggiungono numerose Fiere del Libro sparse in tutta Italia, come quella di Roma per i piccoli e medi imprenditori o quella di Bologna dedicata all’editoria per ragazzi.
12
elargiti da un buon libraio o da un commesso coscienzioso».17 Inoltre i lettori
apprezzano e sostengono incuriositi tutte le proposte che Zapparoli e i suoi
collaboratori propongono durante le grandi esposizioni.
Il momento che rappresenta la svolta e il successo della casa editrice milanese si
colloca però al tramonto dei complicati anni Novanta. «Siamo entrati, infatti, nella
fase matura della società dei consumi, e dunque anche dei consumi letterari. Gli stili
si moltiplicano e ogni lettore se ne costruisce uno più o meno complesso»18 al quale
Zapparoli cerca di rispondere con la pubblicazione di autori stranieri dall’impronta
espressiva molto originale. La vampata di notorietà non tarda a farsi vedere: nel
1997-98 arrivano i primi successi con scrittori come Boris Vian, Woody Guthrie e
Jonh Fante. È proprio grazie alla MyM che i lettori italiani possono riscoprire la
scrittura di quest’ultimo ennesimo esempio di autore strappato alla polvere. Sempre
nel 1997, esce Una banda di idioti di John Kennedy Toole che con 140.000 copie
rappresenta il primato di vendite in assoluto della casa editrice. Tutti questi titoli
descrivono bene la strada intrapresa da Gli alianti: partita da un America classica
anni Trenta-Sessanta segue poi un excursus letterario che intende incrociare lingue e
paesi con l’ambizione di «costruire un mappamondo letterario con voci di popoli e
nazioni disparate».19
A tale biennio risale anche l’arrivo nel 1997 del grafico Lorenzo Lanzi e nel 1998 di
Claudia Tarolo. Lo stile di Lanzi rende i libri della MyM inconfondibili, con
copertine spensierate dai colori accessi e un’immagine che solitamente richiama
elementi significativi del testo. Il suo lavoro li trasforma in volumi divertenti, giocosi
17 N. Cavazzuti, Piccoli editori crescono, in «E Polis Milano», 6 dicembre 2006, pag. 42.18 G. Ragone,Tascabili e nuovi lettori, in Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di, G. Turi, Giunti Editore, Firenze 1997, pag. 472.19 R. Folatti, Fare gli editori a Milano, in «viveremilano.it», 2006.
13
e capaci di catturare l’attenzione del lettore. La Tarolo invece, attua una svolta
significativa nella linea editoriale. Dato il suo impiego all’Oracle Italia come
direttore legale, possiede un’eccellente capacità organizzativa e avendo alle spalle
importanti esperienze di traduzione e revisione di testi, condiziona fortemente tutto il
lavoro di editing dando una sferzata di aria fresca e innovativa alla casa editrice.
Pur mantenendo come capi saldi il rilancio di grandi autori dimenticati e il piacere
della poesia, la Tarolo e Zapparoli si lasciano guidare dall’intuito lanciandosi con
temerarietà e coraggio verso nuove prospettive. La coppia scommette da un lato su
scrittori poco conosciuti nel nostro Paese e dall’altro si rivolge, in maniera molto
cauta, agli esordienti italiani, ampliando di fatto il catalogo di narrativa, con quelli
che di lì a poco diverranno autori simbolo della Marcos y Marcos.
Tanti cambianti dunque in pochi frenetici anni. Ciononostante possiamo individuare
nello stile della casa editrice alcuni elementi ricorrenti. In primo luogo, la ricerca di
autori e visioni originali si intensifica grazie all’intervento della Tarolo, unito alla
passione e all’istinto di chi vuole scommettere puntando sul diverso. In secondo
luogo, la MyM continua ad apparire come un “laboratorio di idee e libri”, rafforzato
dalla proposta di riviste alternative e dallo stretto rapporto instaurato con librai e
lettori nelle fiere ed eventi. Infine, la costante attenzione dedicata all’oggetto libro
che lavorato e pensato come un oggetto artigianale si arricchisce del tocco artistico di
Lanzi.
1.3. Verso il nuovo Millennio
14
Nel 2000 Claudia Tarolo decide di abbandonare definitivamente il suo lavoro
all’interno della multinazionale scegliendo di unirsi a Zapparoli nella vita e
nell’avventura editoriale. «Non rinnego le mie scelte, ma vedendo che la casa
editrice aveva bisogno di un cambiamento ho pensato di accettare il rischio. Così mi
sono licenziata da una situazione privilegiata. Ho fatto diversi passi indietro
(l’editoria è un ambiente maschilista), ma non me ne sono mai pentita. Mi piace
quello che facciamo e come lo facciamo. Insieme».20 Da questo momento in poi la
Marcos y Marcos torna così ad avere due anime:
Abbiamo unito forze, competenze e responsabilità su tutti i fronti. La co-progettazione
è diventata una risorsa peculiare della nostra storia editoriale e personale: scelta dei
libri, invenzione di copertina, gestione, e gli altri mille aspetti creativi che convivono
in una casa editrice.21
Tra di loro non esistono zone di frizione, la Tarolo si occupa di talent scouting e di
editing mentre Zapparoli cura gli aspetti esterni promozionali e commerciali infatti in
un’intervista confida «da ragazzino mi interessavo di Borsa. Mi piace l’aritmetica, mi
piacciono le statistiche, proiezioni e calcoli, ad esempio mai vendere meno di 1.4000
copie!».22 Tutto ciò che riguarda la produzione, la grafica e il testo viene invece
deciso insieme.
Alla nuova organizzazione della MyM corrisponde il trasloco in via Ozanam, a due
passi dal centro, separando così la redazione dal magazzino. L’ufficio ricorda molto
la mansarda iniziale per l’assidua presenza di libri sparpagliati un po’ ovunque e per
20 R. Salemi, The book of love. Claudia e Marco, editori famosi, raccontano la loro storia vera, in «Elle», 2006, pag. 508.21 G. Peresson, Trent’anni da piccoli, in «Giornale della libreria», dicembre 2010, pag. 75.22 R. Salemi, The book of love. Claudia e Marco, editori famosi, raccontano la loro storia vera, in «Elle», 2006, pag. 508.
15
un silenzio quasi surreale, tanto che ci si dimentica di essere in una delle zone più
movimentate di Milano.
Con il sopraggiungere del nuovo Millennio l’editoria italiana mostra «il passaggio da
una politica di formazione e di collana a una politica di titolo e di mercato»23 che
vede arrivare in testa alle classifiche solo le novità di stagione, che insignite dei
maggiori premi letterari raramente però riescono a superare quattro settimane di
successo. La mobilità del mercato attuale fa sì che ci sia sovrabbondanza di best
seller quasi tutti rigorosamente pubblicati dai maggiori gruppi editoriali.
Parallelamente crescono i protagonisti editoriali che tentano di far aumentare i propri
bilanci con titoli selezionati in base al modo di ricezione del lettore, offrendo testi di
scarsa qualità vissuti all’interno di diversi livelli di “consumabilità”: dalla pubblicità
su periodici e quotidiani nazionali alle trasmissioni televisive che dedicano uno
spazio alla promozione dei libri, dalla diffusione di informazioni su internet ai
commenti personali che ogni utente lascia sui social network o sui canali di vendita
on-line. Tutto ciò determina una spettacolarizzazione di scrittori e titoli mediante la
circolarità su segmenti multimediali diversi che non si preoccupa della formazione
culturale dell’acquirente perché l’obiettivo principale è quello di catturare
l’attenzione del lettore occasionale, protagonista delle spese librarie di questi ultimi
vent’anni.
In tal modo le case editrici più piccole, anche se non mutuano di molto le logiche
imperanti, non possono far altro che intraprendere scelte alternative puntando
sull’originalità dei propri contenuti e delle proprie iniziative.
È questo il caso di Zapparoli e della Tarolo che nell’estate del 2000 inaugurano per la
prima volta in Italia, un corso di editoria firmato Marcos y Marcos, con lo scopo di
23 G. C. Ferretti, op. cit., pag. 311.
16
fornire ai lettori curiosi, agli addetti ai lavori nel settore, agli aspiranti editori,
redattori, traduttori, librai e scrittori, le basi che permettono di lavorare nel fantastico
mondo dei libri. Le lezioni illustrano come cercare e portare al successo un autore,
come impostare collane e progetti grafici, e un metodo per gestire contratti,
tipografia e distribuzione. Dopo dieci anni dall’inaugurazione il corso si rinnova ogni
anno con molto successo, tanto che molti hanno chiesto alla casa editrice di esportare
la loro testimonianza diretta anche all’estero.
Nel frattempo si intensificano le ricerche su scrittori d’oltre confine. Rovistando tra
le librerie europee e non solo, i due editori scovano Jumpha Lahiri, premio Pulizer
del 2000, autrice sulla quale nessun “grande” dell’editoria osava scommettere, gli
inglesi Jasper Forde, Michael Zadoorian e Miriam Toews, gli spagnoli Ricardo
Menéndez Salmon, Angeles Caso e Maria Barbal, l’olandese Leo De Winter, il
tedesco Jakob Arjouni, e gli statunitensi Thompson Carlene, Fante Dan, William
Goldman e Furutani Dale, infine il cileno Pedro Lemebel.
Nel primo periodo da editore la Tarolo, sempre sostenuta dal parere del compagno,
inizia a puntare su alcuni esordienti del nostro Paese. Fanno la loro prima
apparizione autori come Davide Longo, Cristiano Cavina e i fratelli Ervas Fulvio e
Luisa Carnielli. L’idea della coppia è quella di aggiungere al catalogo titoli italiani,
operando in maniera molto cauta. La scommessa è che si impongano sulla lunga
distanza creando con la casa editrice un forte legame di fedeltà.
A tali anni corrisponde anche la messa a punto del sito internet della MyM,
caratterizzato da un costante aggiornamento dei contenuti e da una grafica sempre
accattivante che ricorda i libri stampati. Nel 2005 le vendite online rappresentavano
il 5% del fatturato e la crescita continua a salire nei tre anni successivi al 30%.
17
Nel 2006 la Marcos y Marcos compie venticinque anni di attività con un catalogo
che comprende 380 titoli, 130 autori di 20 nazioni diverse, e 750 mila euro di
fatturato annuo. Nonostante gli obiettivi raggiunti, la Tarolo e Zapparoli decidono di
cambiare strategia attuando la politica “meno tre” libri all’anno. Da quest’anno
infatti pubblicano 14 libri (13 di narrativa, più uno di poesia) anziché 18. Questo
perché nel nostro Paese, è ormai chiaro a tutti come il mercato del libro sia
costantemente invaso dalle novità. Con circa 60 mila libri in uscita ogni anno, da una
parte si pubblica in modo disordinato e frettoloso, e dall’altra i librai non hanno il
tempo di seguire a pieno tutti i volumi, quindi molti cadono nel dimenticatoio. Per
tale motivo i due editori hanno scelto di muoversi controcorrente con una decisione
molto coraggiosa.
Ecco perché abbiamo deciso di festeggiare i primi venticinque anni della casa editrice
–come si legge nel comunicato stampa di allora- proponendo qualche libro in meno
(nella fattispecie, tre), siglando una sorta di contratto con i librai: meno libri, più
tempo per conoscerli e farli conoscere. Per impegnarci a promuovere la lettura. Per
promuovere ciò che si può sostenere. Per contribuire in piccolo, a evitare che il caos, e
il deserto, guadagnino terreno.24
La politica del “meno tre” porta la casa editrice a una “decrescita felice”25: a fronte
del 15% di novità tagliate, le altre pubblicazioni restano sugli scaffali dei librai il
15% di tempo in più: «È una scelta precisa e i numeri ci hanno dato ragione. Per fare
un esempio, basti pensare che il libro meno venduto dell’anno scorso è arrivato a 600
copie. Quest’anno, con soli 14 autori, il meno venduto ne ha totalizzate 1000».26
24 E. Camurri, L’aereoplanino di carta, in «Il Foglio Quotidiano», 18 marzo 2006, pag. 10.25 Cfr. www.marcosymarcos.com/30_anni_di_storie.html.26 F. Madrigali, Le strategie “salva-libro”, in «Il Sardegna», ottobre 2006.
18
Aumentando dunque il tempo del turnover, i libri vendono di più, prova ne è il fatto
che, già nello stesso anno, le vendite sono cresciute.
Preferiamo offrire pochi libri, curarli al massimo e soprattutto investire tempo e
risorse per farli conoscere. A distanza di dieci mesi, possiamo dire che i risultati hanno
superato le nostre più rosee aspettative. Rispetto all’anno scorso, abbiamo venduto più
libri producendone di meno. I librai hanno apprezzato il tentativo di allentare la
pressione numerica e di migliorare il dialogo sui contenuti.27
Tale crescita non è però solo un momento passeggero poiché, nonostante l’attuale
crisi della carta stampata i due editori hanno visto, nel 2010, aumentare il proprio
fatturato del 25%. Inoltre, questa scelta non solo aiuta i librai ma permette alla casa
editrice di instaurare un rapporto più fedele con gli autori, di seguire al meglio le
campagne promozionali dei libri e, cosa da non sottovalutare, regala al lettore il
tempo di assimilare e gustare al meglio il testo, facendolo proprio.
La politica del “meno tre” è accompagnata dalla volontà, cara alla coppia Tarolo-
Zapparoli, di usare nella stampa dei propri volumi solo carta riciclata: «troppi libri
troppo in fretta creano solamente una giostra confusa, e il meglio spesso va perduto.
Anche la carta, a furia di essere riciclata, si stanca: va usata con parsimonia, è un
bene prezioso da utilizzare, e al meglio, quando ne vale la pena».28 E a Milano, due
fan del velocipede come loro, non potevano far altro che affidare le spedizioni che ai
postini in bicicletta. Iniziative dunque, che evidenziano uno stile lavorativo mirato al
rispetto dell’ambiente.
A contribuire alla crescita della casa editrice è anche il semestrale «The Spicer», una
newsletter cartacea, in abbonamento gratuito sul sito, che propone le novità del
27 P. Lala, Venticinque anni di Marcos y Marcos, in «coolclub.it», 2006, pag. 34.28 Cfr. www.marcosymarcos.com/30_anni_di_storie.html.
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catalogo, ma che è allo stesso tempo ben lontana dall’essere soltanto un mero
supporto di marketing.
Con «The Spicer» vogliamo raccogliere idee e progetti che nascono intorno alla MyM:
chiaramente essendo una pubblicazione dedicata ai nostri lettori, le anticipazioni
hanno un ampio spazio, ma non mancano approfondimenti e “assaggi” che rendono
questo semestrale una rivista con una propria dignità.29
Il 2009 è l’anno di nascita di due nuove collane. La prima, i MiniMarcos, sono i
tascabili della Marcos y Marcos che, con un formato più piccolo e un prezzo ridotto,
raccolgono gli autori più longevi e i libri più rappresentativi del catalogo. La seconda
invece, la MarcosUltra, unisce alle tematiche forti trattate la firma tutta italiana di
scrittori come Lello Gurrado, Quaglia Stefano, il già citato Fulvio Ervas, e Franco
Buffoni, traduttore-direttore di «Testo a Fronte», il semestrale della casa.
«Paradossale, estrema, sovversiva - questa collana - nasce dal desiderio di far
circolare idee forti».30
La schiera degli autori nazionali si è inoltre arricchita convergendo anche nella
vetrina d’eccellenze Gli alianti, attraverso le recenti pubblicazioni di Maurizio
Matrone, Osimo Bruno e Paolo Nori, nonché le raccolte in versi di Fabio Pusterla e il
nuovo libro di Cristina Alziati che rendono i titoli di poesia della casa editrice perle
di letteratura uniche e sorprendenti.
Come tutte le aziende del settore editoriale moderne anche l’attività dei due editori
milanesi ha trasformato alcuni volumi del proprio catalogo in ebook, sceglie però di
non mettere in competizione il nuovo formato con il libro, nonostante sia la pratica
più diffusa, e di proporre qualcosa che sia complementare ad esso, non per forza una
29 G. P. Serino, Marcos y Marcos, in «Il Mucchio selvaggio», marzo 2002, pag. 14.30 M. Appiotti, Marcos fa il giro del mondo, in «lastampa.it», 13 marzo 2009.
20
sua alternativa. Al Salone Internazionale del Libro 2011 di Torino presentano infatti
un ebook che “accompagna” la lettura del testo vero e proprio in cui sono inseriti
soltanto approfondimenti e curiosità sull’autore e sul titolo scelto. Partendo dal
presupposto che l’Italia si dimostra un paese lento nell’acquisire novità del genere,
vogliono creare un prodotto “lettibile”, un oggetto ben curato da poggiare sul
comodino, che aspetta per essere goduto e sfogliato i momenti di relax che ogni
lettore si crea durante la giornata.
La MyM vanta 600 titoli in catalogo e un fatturato che come si diceva è cresciuto del
25% in più nonostante la crisi. Il suo organico si compone di sole otto persone che si
occupano di tutta la fase di editing, curano gli autori, la promozione dei libri e la
dimensione commerciale. Dunque siamo di fronte ad un piccolo organico che lavora
il doppio per sostenere l’intera produzione e ogni aspetto del lavoro editoriale.
Tuttavia ciò che assume maggiore importanza, soprattutto in un ambiente
caratterizzato da enormi colossi editoriali, è che a tutt’oggi, la Marcos y Marcos
riesce a sostenersi con la sola vendita dei libri rimanendo una delle poche aziende
ancora totalmente indipendente. Tutto questo le conferisce ancora più prestigio se
pensiamo che la città in cui si fonda e cresce, Milano, è per antonomasia la capitale e
l’immagine di quasi tutti i grandi gruppi editoriali italiani.
Nel 2011 la Marcos y Marcos festeggia trent’anni e i due editori celebrano tale
avvenimento con una collana in serie limitata a cui sono legate svariate iniziative, e
un nuovo entusiasmante progetto per chi ama scrivere e leggere libri. La collana
Tredici (come le novità di narrativa proposte ogni anno), riunisce in una spiritosa
veste grafica i romanzi cult del catalogo. L’originale copertina di Lanzi è sdoppiata
in due creando un simpatico effetto “carta da gioco” mentre Franco Matticchio firma
21
il marchio dei volumi a tiratura limitata con una cicogna che vola accompagnata
dalla scritta “ trent’anni di storie”. Un mazzo di carte è anche l’edizione speciale del
catalogo. Al posto delle tradizionali figure si trovano i volti degli autori e le copertine
più celebri, perché come affermano gli editori stessi: «per festeggiare, insomma, ci
giochiamo tutte le carte!».31 Ogni libro è accompagnato dall’introduzione di alcuni
noti intellettuali dei nostri tempi che lo hanno amato di più, ad esempio Massimo
Cirri, Stefano Benni, Ivano Fossati, Paolo Giordano e Cristiano Cavina.
Prolungamento della collana Tredici è la mostra itinerante di 24 maxi-copertine della
casa editrice che hanno fatto il giro delle principali librerie Feltrinelli di tutta Italia, al
ritmo di una al mese. Nell’estate scorsa una piccola mostra che celebra queste tre
decadi di attività è stata esposta presso la Biblioteca Sormani di Milano.
Quest’ultima rassegna in particolare, non testimonia solo l’evoluzione della grafica e
della stampa: propone una selezione di locandine, cartoline, notiziari che segnano le
tappe della storia della casa editrice e accompagnano il lancio nel mondo dei libri più
importanti.
L’altro progetto nato sotto il segno dei festeggiamenti è la Piccola Scuola di Arti
Narrative, inaugurata a marzo 2011, che si propone come un corso di scrittura
creativa di nuova concezione in cui editori, scrittori e lettori si mettono in gioco
seguendo un copione davvero innovativo. La Marcos y Marcos dimostra la sua
esperienza in tal senso e le sue iniziative per coinvolgere lettori e appassionati del
settore si riflettono anche in idee dal respiro più ampio. È questo il caso di Route 45,
un corso di scrittura locale di sette giorni per talenti italiani dedicato alle meraviglie
della cittadina di Bobbio e della Val Trebbia o di Letteratura rinnovabile e Libri a
Teatro. Questi ultimi due, lanciati tra il 2009 e il 2010, hanno lo scopo di
31 Cfr. www.marcosymarcos.com/30_anni_di_storie/30_anni_di_storie.html.
22
promuovere soprattutto la lettura. Letteratura rinnovabile unisce infatti, la riscrittura
creativa di un brano tratto da un classico con il piacere della lettura, e le sue prime
iniziative sono il BookJockeyday svoltosi nel novembre 2009 e Parole Illuminanti,
un premio letterario sponsorizzato da Eni. Libri a Teatro nasce dalla collaborazione
con la storica compagnia teatrale milanese “Quelli di Grock” e consiste in un ciclo di
letture basate su una messa in scena dei romanzi pubblicati dalla casa editrice,
iniziando dai classici intramontabili come Boris Vian per passare poi agli autori più
contemporanei.
1.4. Una storia da raccontare
Come abbiamo notato nelle pagine precedenti i trent’anni della Marcos y Marcos
simboleggiano l’esistenza di una casa editrice che, sebbene sia nata nel moderno
contesto editoriale italiano, si configura come un’azienda che non segue le politiche
imperanti bensì le volontà letterarie e i gusti dei due editori Marco Zapparoli e
Claudia Tarolo.
Tale coppia ha infatti speso tutte le proprie energie su scelte particolari e sempre
controcorrente. Lo si nota fin dall’inizio quando Zapparoli e Franza decidono di
fondare una casa editrice di nicchia con edizioni ben curate e opere spesso
emarginate di autori classici dimenticati. Negli anni Novanta avviene la spinta verso
nuovi orizzonti, eppure mentre aleggia il mito dei volumi tascabili, la MyM
concentra il proprio sforzo nella poesia e in una narrativa più contemporanea che non
dimentica però la riscoperta di scrittori del passato. Infine gli editori operano la teoria
23
del “meno tre” proprio nel momento in cui l’editoria si delinea come il campo di
battaglia di un’infinita produzione di novità stagionali e best seller. Scelgono quindi
di agire nel mercato attraverso una filosofia che da sempre si pone in direzione
opposta al presente in cui operano. Sfruttando la stessa pluralità di stili e gusti che i
lettori creano in questi ultimi anni, la Tarolo e Zapparoli riescono però a giungere ad
esiti completamente diversi rispetto agli altri colleghi del settore.
Questo modus operandi li ripaga in pieno, non solo perché le vendite e il fatturato
della casa editrice continuano a crescere nonostante la crisi, ma soprattutto perché
sono riusciti a crearsi un gruppo di lettori “forti” che, identificandosi con loro, segue
fedelmente ogni nuovo titolo proposto. Inoltre il rapporto instaurato nel tempo con i
librai e la politica del “meno tre” che cerca seppur in minima parte di alleggerirgli il
lavoro, ha l’effetto di fidelizzare anche quest’ultimi. Tutto ciò è riscontrabile negli
eventi promozionali ideati dai due editori: i librai sono sempre disponibili ad aprirgli
le porte e i lettori arrivano numerosi e incuriositi. «Il mestiere, Claudia e Marco, lo
hanno imparato strada facendo, misurandosi di volta in volta con problemi nuovi e
affinando gli strumenti per superarli».32
Possiamo dunque riassumere i trent’anni del lavoro editoriale della Marcos y Marcos
all’insegna di tre parole chiave: indipendenza, innovazione e originalità.
In primo luogo, come abbiamo già detto, l’indipendenza di tale casa editrice appare
oggi come una caratteristica rara e importante.
Queste tre decadi vorranno pur dire qualcosa. Si tratta di un tempo troppo dilatato nel
tempo per considerare l’indipendenza come qualcosa che si va perdendo, una sorta di
32 D. Pirrera, Un incontro con Marcos y Marcos, in «Sul romanzo», 9 settembre 2010, pag. 5.
24
adolescenza delle case editrici che lavorano nell’attesa di essere comprate e/o
inglobate. Non è così.33
Zapparoli e Tarolo vogliono trasmettere l’idea potente che essere piccoli e flessibili
ha i suoi vantaggi: l’editore indipendente può concentrarsi maggiormente sul
contenuto dei titoli che pubblica; ha tempo e risorse umane per poter curare ogni
aspetto dell’edizione e del rapporto con l’autore; riesce a seguire al meglio le
campagne promozionali, gli incontri con i lettori, e gli eventi nazionali e stranieri;
trova i momenti per “far sentire la propria voce” durante i dibattiti riservati al
mercato e alla situazione editoriale italiana; e in ultimo, non deve garantire per forza
tirature dai numeri elevati che lo obblighino poi a rientrare di costi esorbitanti.
L’autonomia dei creatori della MyM nasce dalla convinzione che «il mercato non va
assecondato ma creato, che a volte la domanda non necessita di risposte ma di offerte
differenti, che è possibile educarla senza costringerla».34
L’altro elemento che distingue la Marcos y Marcos è l’aver puntato su
un’innovazione guidata dal “buon senso”. La carta stampata riciclata; l’uso dei
postini in bicicletta; la sensibilità per il paesaggio mostrata durante i corsi locali,
costituiscono solo alcuni esempi di un modo di concepire il mestiere dell’editore nel
pieno rispetto dell’ambiente. Il buon senso è riscontrabile per di più nelle scelte tese
al futuro: un sito facile da utilizzare e sempre ben aggiornato; ebook concepiti come
aiuto e approfondimento del libro; corsi che aprono le porte del mondo editoriale e
svariate iniziative che coinvolgono diversi campi culturali dimostrano come si può
sopravvivere alla crisi senza rinunciare alla propria identità. Innovazione vuol dire
anche trattare il libro “artigianalmente” come una creazione d’artista che prende luce 33 F. Camilli, Più libri più liberi 2010: di fiera d’indipendenza, di indipendente fierezza, in «fuorilemura.com», 7 novembre 2011.34 Ibidem.
25
da più mani per essere regalata ad un pubblico che sa apprezzarne i più piccoli
dettagli.
Infine l’originalità è il punto essenziale su cui si basa l’intero progetto di Zapparoli e
Tarolo. Come ammette quest’ultima in un’intervista:
I piccoli e medi editori dispongono di un’arma micidiale, il suo nome è originalità.
Tale originalità se la giocano in tanti modi. A partire dalle scelte editoriali: possono
scommettere su nuovi autori o su quelli rifiutati o del passato che tutti hanno ormai
dimenticato, poiché è un terreno su cui i “grandi” si muovono molto più guardinghi.
Nella grafica: la scelta delle carte, delle copertine o dei caratteri più particolari arriva
soprattutto dagli editori piccoli e medi. Nella comunicazione: anche qui i piccoli
inventano formule innovative, promuovendo in generale una visione più gioiosa e
meno doveristica della lettura. […] Fra editori indipendenti e lettori si crea, nel tempo,
una sorta di piacevole complicità. Un patto. L’editore non tradisce le aspettative dei
lettori che seguono libro dopo libro quel che l’editore propone. E il lettore gli resta
fedele. Questo è assolutamente vincente. Tenere il filo del discorso in modo corretto,
senza tradire le aspettative.35
L’originalità di cui parliamo si rivela anche nei contenuti dei titoli pubblicati
«Pubblichiamo solo testi che amiamo e che offrono un punto di vista forte sul
mondo».36 Inoltre risulta particolare e piuttosto singolare l’intera schiera degli autori
che compongono il catalogo della casa editrice, gli stessi editori confidano «spesso i
nostri autori ci assomigliano, inutile negarlo: avventurosi e folli, capaci di
entusiasmo, e di non mettere il successo, o l’illusione del successo, davanti a tutto».37
35 D. Agrosì, Fra editori indipendenti e lettori si crea, nel tempo, una sorta di piacevole complicità , in «La Nota del traduttore», dicembre 2009.36 G. P. Serino, L’avventura di Marcos y Marcos gli studenti che diventarono editori, in «La Repubblica», 4 ottobre 2005, pag. 15.37 G. Raponi, Un bravo editore non ha pregiudizi: esce a caccia e si lascia guidare dal fiuto, in «La luna di traverso», dicembre 2009, pag. 32.
26
Attraverso l’indipendenza, l’innovazione e l’originalità, la MyM si pone come
obiettivo quello di pubblicare titoli che forniscono al lettore accorto un tipo di
intrattenimento diverso, non condizionato dalle mode, attento agli stimoli di
provenienza estera, e che sappia proporre temi audaci e inediti. Il proposito con cui
lavorano i due editori è innescare scintille nei lettori, promuovere incontri e
riconoscimenti che li avvicinino il più possibile al mondo del libro e dell’editoria in
maniera tale da creare un proficuo rapporto d’intesa. Nel capitolo successivo
noteremo come questi tre elementi influiscano nella scelta dei titoli e quindi nella
produzione della casa editrice.
La produzione italiana della Marcos y Marcos
2.1. Indipendenza, innovazione e originalità
In questo capitolo cercheremo di vedere come la personalità e lo stile dell’editore
Zapparoli e della Tarolo poi, hanno influenzato la produzione italiana della Marcos y
Marcos. Appare chiaro che la loro azione unita ai tre punti di forza di cui abbiamo
27
accennato precedentemente costituiscono il suo successo. Attraverso tale lavoro la
casa editrice è riuscita a proporre un modello di narrativa valido e ben delineato che
spicca rispetto alle innumerevoli pubblicazioni di bestseller lanciate nel nostro
mercato. Infatti ciascun titolo pubblicato, sebbene cambino i contenuti e gli autori,
rispecchia una sola e unica immagine della MyM. Questo non è dovuto soltanto al
fatto che il pubblico riconosce i volumi negli scaffali delle librerie grazie alle
simpatiche copertine, si tratta piuttosto di un criterio di scelte preciso: ogni volta che
il lettore prende in mano un libro di Zapparoli e Tarolo sa che lo aspetta una lettura
“fuori dal comune” perché ogni testo veicola un messaggio forte mediante uno stile
linguistico che non è mai causale. «In un mondo caratterizzato da una massiccia
presenza di grandi case editrici, con grandi mezzi e molto potere, per la piccola
Marcos y Marcos, specializzata in narrativa, è una condizione di esistenza proporre
un’impostazione differente».38
La formula vincente della coppia di editori coniuga tre caratteristiche: indipendenza
innovazione e originalità per sviluppare non solo una narrativa dal gusto folle e
tenace ma anche un modello di poesia squisitamente letterario.
L’autonomia finanziaria gli permette innanzitutto di scegliere scrittori con stili anche
molto diversi fra loro e di instaurare uno stretto rapporto basato sullo scambio
efficace di idee e pareri. L’autore non si sente così solo un dettaglio all’interno di un
meccanismo, ma la componente di un organismo dall’ambiente familiare e proficuo.
Tarolo e Zapparoli si configurano come “cercatori di storie solitarie”che non si
pongono confini né di genere né di territorio, secondo un criterio che è sempre lo
38 M. P. Porcelli, Noi Marcos y Marcos cercatori di storie solitarie, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 13 maggio 2007, pag. 19.
28
stesso: tendere occhi e orecchie per concentrare l’attenzione sulla qualità dei testi,
aiutati da una vantaggiosa riduzione delle novità in uscita.
I libri descritti nelle pagine di questa sezione danno una panoramica dell’innovativa
evoluzione della MyM. Durante un’intervista la Tarolo, rivendicando la propria cifra
stilistica, ricorda «noi siamo stati i primi a usare l’illustrazione grafica, aprendo una
strada che poi hanno copiato in tanti».39 Il concetto di “artigianalità” si concretizza
pure
nella scelta di testi che abbaino un valore in sé, che non vengono selezionati in virtù
del loro potenziale di vendibilità ma per il loro significato. Con Marco, poi, seguiamo
personalmente tutte le fasi della pubblicazione. Ecco: in tutte le fasi e le attività noi
editori della Marcos y Marcos interveniamo proprio come fa un artigiano che cura il
suo prodotto, sin dalla materia prima. Un’impostazione aziendale cui è estraneo il
concetto di elevata specializzazione.40
L’originalità è una caratteristica fondamentale della narrativa della casa editrice e
persino della sua immagine. Tutti gli autori scelti hanno in comune la volontà di
trasmettere un punto di vista della realtà “altro” che non si unisce alle logiche
imperanti o alle tendenze di moda nel nostro Paese. I temi sono potenti e insoliti,
variano toccando spesso punte di ironia che a volte, vogliono schernire giocosamente
e altre, celano verità da svelare o vizi tipici del genere umano. Soprattutto negli
ultimi anni, i due editori si sono potuti permettere di pubblicare testi in cui sono
presenti tematiche a loro molto care, come quelle legate al rispetto dell’ambiente,
alla sicurezza nell’ambiente di lavoro e all’attenzione verso il sistema di istruzione.
39 A. Bonetti, Se il successo da bestseller è questione di copertina, in «Il Sole 24 Ore», 17 gennaio 2011, pag. 22.40 N. P. Porcelli, Noi Marcos y Marcos cercatori di storie solitarie, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 13 maggio 2007, pag. 19.
29
L’intera produzione italiana della casa editrice offre una miscellanea visione
d’insieme che unisce modelli di narrativa intramontabili con scrittori moderni e
attuali, e un percorso poetico teso a trovare le proprie radici nella tradizione per poi
individuare esempi più contemporanei. Ciò che ne viene fuori è che la MyM non è
disposta a scindere i due generi letterari perché li considera gemelli diversi nati dalla
stessa madre, ai quali bisogna dare carattere e attenzione senza rinunciare però al
loro comune denominatore: lo stile e il gusto letterario inconfondibile dei due editori.
È bene precisare che Zapparoli e Tarolo hanno adottato per la loro casa editrice una
strategia editoriale fondata principalmente su una politica d’autore, ben visibile
nell’impostazione con cui hanno redatto il catalogo e il sito internet (quest’ultimo
organizzato, appunto, per autore).41 Tuttavia, in questa sede, si è preferito analizzare
la produzione seguendo la suddivisione dei titoli in collane. Questa prospettiva
consente, infatti, di cogliere più nello specifico, l’evoluzione della Marcos y Marcos
lungo l’asse diacronico, per poi soffermarci su un’analisi che comprenda un’indagine
sulla politica d’autore adottata, sui modelli narrativi proposti e, più in generale, sulle
idee di letteratura portate avanti dalla casa editrice.
2.2. I Marcos Vintage
I primi titoli della MyM sono delle edizioni a tiratura limitata assemblate dagli stessi
editori e pubblicate tra il 1983 e il 1989 per le storiche collane Biblioteca germanica
e Le Foglie e oggi simpaticamente denominate i Marcos Vintage: «Libri d’annata.
41 Cfr. http://www.marcosymarcos.com.
30
Come il vino, più invecchiano più diventano buoni».42 Tale periodo corrisponde
all’iniziale direzione editoriale di Zapparoli e dell’amico Marco Franza.
I volumetti da poche pagine annoverano, tra autori stranieri e due testi classici come I
giovani e Teseo di Bacchilide e Il rapimento di Proserpina di Claudiano, una breve
prosa del grande poeta e scrittore italiano Mario Luzi Arnia edita nel 1938 sulla
rivista letteraria «Campo di Marte»43. In essa riscontriamo i temi cari al giovane
Luzi, uno stile “orfico” appartenente alla lirica moderna di Mallarmé con cenni di un
romanticismo visionario legato alla tradizione italiana di Arturo Onofri e Dino
Campana. La sua poesia si configura da subito come un’“impresa” dominata e
animata dalla ricerca dell’amore, e per il poeta cercare l’amore significa trovare il
luogo in cui si è perso. Il buio e il sonno, come in Campana sono le condizioni da
accettare affinché abbia inizio. Il porto sicuro in cui si arriva, il luogo della quiete
ultima, non segna tuttavia una stasi beata, ma l’apertura verso un nuovo viaggio nel
centro oscuro della terra: nell’attimo stesso dell’approdo si apre una dimensione
“altra”, inesplorata e terribile, verticale e centripeta.
L’impresa di Luzi si configura già nelle sue linee fondamentali: la ricerca dell’amore
significa l’ingresso nel buio della perdita, l’azzeramento di ogni luce o suono che lo
distolga; la fedeltà al mondo esterno e all’invocazione del mondo interno. […] Il poeta
che ha accettato l’impresa non pensa a scrivere poesia, ma sta nella poesia per
scrivere.44
42 Cfr. http://www.marcosymarcos.com/Vintage/Marcos_vintage.html.43 La rivista «Campo di Marte» nasce nel 1938 per opera di Vallecchi, in realtà fu animata dai redattori Alfonso Gatto e Vasco Pratolini. Proponeva tendenze letterarie controcorrente rispetto alla cultura imperante fascista, per tale motivo venne chiusa della censura del regime dopo solo un anno di vita con l’inizio della Seconda Guerra mondiale. Oltre a Luzi figurano gli scritti di Sereni, Landolfi e Montale e molti altri autori stranieri come Paul Valéry.44 R. Mussapi, Il centro e l’orizzonte. La poesia in Campana, Onofri, Luzi, Caproni, Bigongiari, Jaca Book, Milano 1985, pagg. 50-51.
31
Successivamente i versi di Luzi si faranno più cupi e inquietanti tesi a sciogliere il
nodo tra essere e divenire, per alleggerire la penosa insensatezza del vivere. Con
questi il poeta tenta di esprimere la “povertà” e la “miseria” umana mediante un
monolinguismo che non è più quello petrarchesco-leopardiano bensì un altro
tentativo di “volgare illustre”: una lingua quasi smorta, non espressionistica, mediana
eppure mai quotidiana.
Luzi è l’immagine di un uomo che si ottiene, per così dire, prolungando questo
linguaggio. Nella situazione dell’Italia di oggi, quell’ideale linguistico, quella proposta
umana si oppongono così radicalmente al mondo del neocapitalismo da diventare una
proposta che mira al di là delle illusioni riformiste, scommette su di una integrità
umana. Il piccolo borghese impoverito, umiliato, schernito, ideologicamente ancorato
al suo onore spiritualistico, è testimone, nella lingua che lo porta, di qualcosa di
essenziale al domani.45
La tiratura di Arnia è di 500 esemplari, di cui 300 su carta Manuzia e 200 su carta
Rusticus risalenti all’ottobre del 1982, e le prime trentatré copie, riservate agli amici,
sono state impresse a torchio.
Dopo due anni i ragazzi scelgono di donare nuova luce a un testo poco conosciuto di
Leonardo da Vinci Il diluvio con 1.500 copie di cui 50 stampate su carta Ventura
Affresco e 12 segnate in corsivo a mano con rivestimento in mezza pelle. Il diluvio è
un tema che l’artista ha descritto in molti scritti e fogli sciolti, influenzato dal clima
culturale dell’epoca che al suo arrivo prospettava l’Apocalisse o la fine del mondo.
Quello che però ha interessato di più la critica novecentesca sono due descrizioni
presenti nel Codice Windsor46 e seguite da una serie di disegni, i quali
45 F. Fortini, Saggi italiani, De Donato Editore, Bari 1974, pag. 114.46 Disegni e fogli sparsi di Leonardo da Vinci sono raccolti in vari codici, che presentano i manoscritti scientifici dell’artista, sparsi oggi in svariate biblioteche europee e italiane. Il Codice Windsor, in
32
«rappresentano la congiunzione ultima fra scienza, scrittura e pittura».47 Con una
prosa di altissima qualità Leonardo tenta di restituire un’immagine artistica del
diluvio che sintetizzi il caos primordiale e le variegate reazioni psicologiche
provocate dall’evento.
Altro classico intramontabile della cultura italiana con cui decidono di cimentarsi è
La novella del buon vecchio di Italo Svevo uscito nel 1985 per soli 500 volumi. Un
racconto postumo che narra la storia di un vecchio che compra i favori di una bella
fanciulla mantenendola e scopre il piacere della scrittura nella senilità, metafora
autobiografica dell’autore, cominciando una monografia sui rapporti tra giovani e
anziani. Il suo carattere quasi favolistico e bonario non deve tuttavia trarre in inganno
perché dietro il sorriso ironico Svevo cela, con acume e nettezza psicologica, la
natura dei rapporti umani senza smorzare la negatività della realtà. L’autore sfugge a
una lettura moralistica mediante la stratificazione di temi e motivi: la vecchiaia,
l’amore tardivo, la scoperta della scrittura. Continua in questa breve opera il lavoro
di correlazione tra arte romanzata e psicoanalisi elaborato nella Coscienza di Zeno.
Se in quest’ultimo è essenzialmente la persona ad essere impossibilitata a vivere,
spettatrice di un sé che non riesce ad affermarsi, qui invece l’estro del singolo genera
estri creativi, bisogni che partono dall’appagamento emozionale per giungere a
quello dell’intelletto. Tuttavia la parabola della soddisfazione non è mai così
semplice, si evince infatti il carattere corrompente e disgregante della pulsioni, che
non risultano mai pacificanti e tranquille, nemmeno quando vengono dirette a mire
culturali. Un affresco dell’insanabile sete di sapere e di sperimentare dell’uomo, che
non ottiene la serenità neanche nella condiscendenza con i propri desideri.
particolare, è conservato presso il Castello di Windsor nel Berkshire e raccoglie scritti dal 1478 al 1518 e circa seicento illustrazioni.47 C. Scarpati, Leonardo scrittore, Vita e pensiero, Milano 2001, pag. 159.
33
Emblematica resta dunque la fine, segno di uno “scacco matto” giocato dal destino:
«lo trovarono stecchito con la penna in bocca sulla quale era passato l’ultimo anelito
suo».48
Nelle edizioni limitate molto spazio è dato anche alla poesia per mezzo della
pubblicazione di Arturo Onofri, uno tra i maggiori poeti metafisici italiani e
collaboratore di riviste storiche come la «Voce» e «Lirica», e dello scrittore-
traduttore Alessandro Ceni. Per vivere, soltanto edito con 1000 esemplari, racchiude
alcun versi scelti di Onofri.
O Terra, o Madre, fa ch’io più non riesca a pensare / ma ch’io viva soltanto; viva
come, d’agosto, / i nidi delle rondini partite verso il mare: / i nidi dove al vento
tremano ancora, nascoste, / tenere piume dei nati che per la prima volta / le madri
spinsero al volo […] Ch’io dimentichi tutte ma tutte le parole, / ch’io senta i polmoni
gonfiarsi del tuo fresco respiro / e ch’io non lo sappia lodare che in un lungo respiro.49
L’idea principale che muove la lirica di questo poeta è quella di ritrovare una
centralità dell’essere attraverso e nella parola poetica. Rappresenta il tentativo più
rigoroso e coerente di affermazione dell’assoluto poetico vitale che il nostro
Novecento abbia mai visto. Onofri aspira ad una poesia capace di riconciliare
l’interno con l’esterno, penetrando l’origine dell’atto vitale e divenendo essa stessa
origine di vita. Per realizzare tale obiettivo, che sente e vive come una vocazione,
svolge una ricerca poetica e teorica costante. Tale atteggiamento, sempre teso verso
le altre culture, per una parte della critica è stato il pretesto per incatenarlo nello
stereotipo del letterato affascinato da letture esoteriche. In realtà Onofri è molto di
più di questo, lo si percepisce nelle opere mature quando si scorge l’ossessione sul 48 I. Svevo, La novella del buon vecchio, Marcos y Marcos, Milano 1985, pag. 59.49 Poiché non è stato possibile consultare l’opera edita dalla Marcos y Marcos si fa qui riferimento al volume di A. Dolfi, Arturo Onofri, La Nuova Italia, Firenze 1979, pag. 47.
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problema del tempo e della metamorfosi, e nasce una centralità organica di temi per
cui nella sua immobilità si svolge un perenne moto cellulare.
Onofri voleva raggiungere una parola poetica in grado di rilevare l’istante,
dilatandolo, penetrare l’essenza del vivente, proiettare fuori dall’individuo il suo
spirito ricongiungendolo alla vita cosmica, atemporale. Nel pensiero di autori così
distanti coglieva il comune interesse per questo rapporto essenziale tra vita e tempo,
tra esterno e interno, tra dissoluzione e rinascita.50
Mentre la raccolta I fiumi (1983-1986), in 600 copie, è il simbolo della realtà poetica
di Ceni. Essa appare senza orpelli inutili, capace di costruire visioni complesse in cui
ricercare costantemente la verità. Gli elementi naturali rendono vive le sue forme
mentali guidando il lettore oltre le barriere di una banale visione. Ogni lirica
costituisce così un universo parallelo descritto con una sensibilità pungente
mantenendo un particolare contatto con i riferimenti che circondano il nostro
ambiente. Oltre a scrivere Ceni è un noto traduttore di classici della letteratura
inglese e americana quali Stevenson, Coleridge, Conrad, Poe, Milton e molti altri.
Nel 1986 compare la piccola narrazione Lorenzo Alviati inserita nella raccolta
L’Amore nell’arte di Iginio Ugo Tarchetti. Lo scrittore-giornalista, esponente della
Scapigliatura milanese, dà vita a tre musicisti Lorenzo Alviati, Riccardo Waitzen e
Bouvard uniti dal marchio del genio creativo. La loro arte, però, inestricabilmente
connessa ai sentimenti, li condurrà fatalmente alla pazzia o alla morte secondo il
modello d’amore tipico degli Scapigliati, visto nei suoi risvolti morbosi e patologici.
La musica sembra essere l’espressione che maggiormente si avvicina alle passioni
ma per Tarchetti si trasforma in un pretesto per caratterizzare l’anormalità dei suoi
50 R. Mussapi, op. cit., pag. 39.
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personaggi, come ad esempio la necrofilia del nostro protagonista Lorenzo Alviati.
L’incipit del racconto ben introduce la sua personalità eccentrica:
Lo conobbi nel collegio di Valenza. Io aveva allora quattordici anni, egli ne aveva
diciassette compiuti, ma il suo corpo erasi già sviluppato come a venti; in quella
scolaresca di fanciulli egli rappresentava colla sua statura elevata, colla sua testa di
Apollo, un personaggio assai più imponente del maestro.51
Le pagine di una scrittura ardita si concentrano sull’ossessivo rapporto metafisico
esistente tra la vita e la morte e sull’eccezionalità del genio, in un’analisi lucida e
spietata della follia che conduce l’uomo ad estraniarsi dalla realtà.
2.3. Le foglie
La seconda metà del decennio vede i Marcos Vintage editi nei primi titoli della
collana Le foglie, un filone dedicato alla riscoperta di molti autori contemporanei
dimenticati e di testi di poesie dall’alto contenuto letterario. I due editori non si
lasciano affatto intimidire dall’instabile mercato italiano, certi di poter contare sui
lettori figli degli anni Settanta, che si sono iniziati attraverso le letture dei volumi
della BUR Rizzoli o dell’Universale Economica Einaudi e ora desiderano scoprire
visioni diverse, più mirate e particolari.
Lo dimostra nel 1988 il successo della pubblicazione inedita dei racconti L’orso buco
di Giovanni Gandini, storico fondatore della rivista «Linus»52. L’autore scherza sui
51 Poiché non è stato possibile consultare l’opera edita dalla Marcos y Marcos si fa qui riferimento all’edizione di I.U. Tarchetti, Amore nell’arte: tre racconti, E. Treves, Milano 1869, pag. 5. 52 Celebre rivista di fumetti fondata da Gandini nel 1965. Linus van Pelt è uno dei protagonisti dei Peanuts, una delle più famose e importanti strisce presentate sulle pagine del periodico.
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vizi, comportamenti, costumi e abitudini dei suoi simili. Sottoponendoli volentieri a
processi di metamorfosi che ne fanno degli animali o della creature più o meno
umane, aiutato dalla padronanza totale del fumetto e dalle illustrazioni di Frank
Dickens. L'orso buco appartiene a una specie non protetta. Vive nella città di
Traverso, nel paese di Li Muri, dove è inutile pensare in grande, nelle fabbriche per
gatti, dove si vendono topi d'Africa. Suoi amici e compagni di avventura sono il
califfo canterino, il gatto dai capelli turchini e l'uomo con gli stivali.
L’orso fece tsk coi denti. Si sentì tutto consolato: orso buco sì, ma non più di dentro,
solo di fuori, come capita a tutti. Gongolando come fanno gli orsi attraversò a zampe
nude lo stagno, raggiunse l’autogrill e chiese un rum e una ciambella di miele. “Col
buco, per favore” aggiunse, e se la mangiò beato, senza nemmeno guardarci dentro.
Poi tornò nel risotto e si addormentò.53
Come ricorda Zapparoli in un’intervista di Giovanni Peresson questo libro significa
anche la «svolta distributiva che colloco con L’orso buco di Giovanni Gandini.
Belloni dell’ALI54 per un anno e mezzo, dal 1989 al 1991, ci distribuì attraverso i suoi
distributori italiani».55
Nel 1989 compare uno dei più grandi poeti del Novecento, una riedizione di Dino
Campana, che con una sola opera riuscì a ispirare personaggi come Mario Luzi, Pier
Paolo Pasolini e Andrea Zanzotto. Il manoscritto di cui parliamo, Canti Orfici, ha
una storia singolare e tribolata che rispecchia a pieno la travagliata vita del suo
autore. Campana nasce a Mallardi e sin dai primi anni di scuola soffre di crisi
nervose che peggiorano col tempo. Il suo “male oscuro” si esprime in un
53 G. Gandini, L’orso buco, Marcos y Marcos, Milano 1988, pag. 20.54 Associazione Librai Italiana o ALI, promuove gli interessi di oltre 3.600 librerie e aziende commissionarie di tutta Italia attraverso le Confcommercio provinciali. Cfr. www.libraitaliani.it.55 G. Peresson, Trent’anni da piccoli, in «Giornale della libreria», dicembre 2010, pag. 75.
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irrefrenabile bisogno di fuggire che lo porta a scappare da vari manicomi per scoprire
l’Europa e l’America. Nel 1913 si reca a Firenze presso la sede della rivista
«Lacerba» di Papini e Soffici, suo lontano parente, a cui consegna l’unica copia della
sua opera Il più lungo giorno con l’intento di farla pubblicare da Vallecchi o sulla
rivista. Dopo mesi di attesa scopre che Soffici ha perduto il manoscritto. Campana
però non si lascia scoraggiare e, nonostante l’amarezza, riscrive tutto affidandosi alla
memoria. Il libro viene finalmente pubblicato a pagamento presso l’editore Bruno
Ravagli nell’estate del 1914 con l’attuale titolo. I Canti in onore alla tradizione di
Leopardi e Dante di cui si l’autore si sente l’erede diretto, e orfici in riferimento a
una scrittura “orfica” ovvero ignota e oscura, adatta ad esprimere la natura divina e
misteriosa della poesia. In realtà, con la stampa del manoscritto, Campana imbocca la
strada senza ritorno della follia. Dal 1918 viene internato presso un ospedale
psichiatrico dove si spegne precocemente nel 1932. A dare luce ai versi di questa
poeta saranno poi il critico Emilio Cecchi e Mario Luzi che il 17 giugno 1971 scrive
nel «Corriere della Sera» un bellissimo articolo intitolato Un eccezionale
ritrovamento fra le carte di Soffici. Il quaderno di Dino Campana in cui spiega che
la figlia di Soffici, dopo la morte del padre, aveva ritrovato tra i suoi scritti privati
l’originale copia Il più lungo giorno.
In effetti si trattò di una scoperta per i postumi dal grande valore letterario che
permise di ridimensionare la figura del Campana “poeta pazzo”, esempio di una
specie di Rimbaud italiano, per sottolineare invece i magnifici versi del “poeta
visionario” di Marradi. Zapparoli, come il resto della critica italiana, preferisce
ripubblicare non il manoscritto Il più lungo giorno bensì la seconda versione.
L’editore si muove in tale direzione in quanto Canti orfici oltre ad essere
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incredibilmente simile nei contenuti alla prima versione, presenta poesie e versi in
prosa scritti successivamente che non possono essere tralasciati poiché mostrano
l’evoluzione poetica di Campana.
Nonostante ciò nell’edizione Vintage de Le foglie Zapparoli inserisce una copia del
frontespizio della prima edizione di Bruno Ravagli del 1914 e l’attacco manoscritto
de La notte da Il più lungo giorno, quasi a voler sottolineare il filo di continuità che
lega le due opere del poeta di Marradi.
Curato da Gianni Turchetta, Canti Orfici è una raccolta di ventinove componimenti
letterari scritti in prosimetro, secondo la lunga tradizione greca e medievale. I due
temi su cui si svolge l’opera sono la notte e il viaggio. La prima è per il poeta la
protagonista di ogni forma di esistenza, dove si celebra o si chiarisce ogni mistero
«Chi le taciturna porte / Guarda che la Notte / ha aperte sull’infinito? / Chinan l’ore:
col sogno vanito / China la pallida Sorte…».56 Gli aggettivi e gli avverbi ritornano
con insistenza come chi parla durante un sogno «E tremola la sera fatua: è fatua la
sera e tremola ma c’è / Nel cuore della sera c’è / Sempre una piaga rossa
languente».57 Tuttavia i versi di Campana possiedono anche la promessa di un
viaggio, onirico e reale, lontano e vicino, in cui appaiono tutti i suoi miti
fondamentali: la matrona barbarica, le città portuali, le enormi prostitute, la schiava
adolescente e le pianure ventose. Mediante l’uso dell’interazione e delle elissi,
l’impiego drammatico dei superlativi e il ricorrere delle parole chiave, il poeta crea
versi scenografici nei quali si mescolano suoni e colori in un’architettura musicale
che dona alla sua poesia una potenza visionaria.
56 D. Campana, Canti orfici, Marcos y Marcos, Milano 1984, pag. 23. 57 Ivi, pag. 24.
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Nel viola della notte odo canzoni bronzee. La cella è bianca, il giaciglio è bianco. La
cella è bianca, piena di un torrente di voci che muoiono nelle angeliche cune, delle
voci angeliche bronzee è piena la cella bianca. Silenzio: il viola della notte: in
arabeschi dalle sbarre bianche il blu del sonno.58
Nel 1937 Giovanni Contini scrisse su di lui: «Campana non è un veggente o un
visionario: è un visivo, che è quasi la cosa inversa».59
Il 1989 coincide anche con la stampa di Ludovico Geymonat La società come milizia
a cura di Fabio Minazzi. In tale volume, il grande filosofo della scienza, propone la
tesi provocatoria secondo la quale malgrado la Resistenza, il fascismo è riuscito a
salvarsi dalle sue stesse rovine, condizionando l’intera vita dell’Italia repubblicana.
Geymonat ci pone di fronte a una limpida testimonianza nella quale l’amarezza del
partigiano si intreccia alla lucidità di analisi.
Dopo la riscoperta dell’opera di Campana, nello stesso periodo, Zapparoli e Franza
sono abbastanza maturi da pubblicare un poeta inedito. Fabio Pusterla con Bocksten
conquista il gusto degli editori e diventa un amico e collaboratore stabile della casa
editrice. Il titolo si riferisce al ritrovamento intorno agli anni Trenta di un uomo del
Medioevo che venne ucciso e abbandonato in una palude nei pressi della fattoria
svedese Bocksten, regolarmente svuotata durante l’estrazione della torba. L’ottimo
stato del cadavere riaffiorato dalla melma svela che indossava una mantella
dell’epoca e fu ucciso con tre pioli conficcati nel cuore e nella schiena. La voce che
parla in questo libro viene dunque da molto lontano. Il Bockstenmannen riemerge dal
nulla, con le sue parole secche e taglienti; lo accompagna una natura primordiale,
franosa e selvaggia.
58 Ivi, pag. 43.59 G. Contini, Esercizi di lettura sopra autori contemporanei, Le Monnier, Firenze 1947, pag. 18.
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La mia gente è di un popolo che parte, / non lascia tracce o resti dentro il tempo / degli
altri. Solo, su certi massi, / paure, animali, barche, / il poco che abbiamo avuto. Fatti
nostri. / Poi un giorno un cane abbaia, tamburi e chiodi / battono all’orizzonte: torna il
male, / rinserra, forza il vento, s’allontana / la vela.60
Una poesia essenziale, violenta e meditativa che conclude degnamente i Marcos
Vintage. Successivamente Bocksten ritorna ne Gli alianti nel 2003, sotto una veste
grafica più moderna.
Alla fine degli anni Ottanta inizia per la Marcos y Marcos la proficua collaborazione
con lo scrittore surrealista Gaetano Neri. Dimenticarsi della nonna, riunisce
trentasette rapidi racconti di stampo grottesco e insolito, popolati da strani animali,
uomini che cadono a pezzi ma non sanguinano, poeti cocciuti che si ritrovano a
vivere nell'armadio tra giacche di tweed e cravatte, mogli oppressive che vegetano a
cavalcioni del marito. Brani di quotidiana follia, dove la realtà è deformata del gusto
del bizzarro e dall'anticonformismo e l'atmosfera elegiaca è corretta da una certa dose
di distaccata ironia. Costituiscono delle piccole illuminazioni sull’avventurosa vita
negli appartamenti dell’anonimato cittadino. Una prosa colloquiale, tersa, in grado di
dare compimento a testi anche brevissimi: veri e propri flash narrativi che si
consumano nello spazio di poche pagine, a volte di poche righe.
Nel 1990 Neri propone il racconto lungo Conversazioni con un branzino, una storia
fatta anch’essa di tante ossessioni inoffensive, comiche e terribili. Il protagonista è
Tito, esperto in nastri perforati. Le sue giornate di silenzio sono disturbate da un mal
di pancia incessante tanto che non gli resta altra scelta se non quella di andare in
ospedale. In realtà l’edificio si rivela un labirinto, e i dottori sono gli artefici di un
sistema ben architettato per impedire qualsiasi guarigione. In un sottoscala Tito 60 F. Pusterla, Bocksten, Marcos y Marcos, Milano 1989, pag. 65.
41
incontra Nenia, lei pure prigioniera dei camici bianchi per via di un foruncolo.
Scappano insieme e si rifugiano in una collina sul mare, allontanando
progressivamente il mondo dalle loro vite. Eppure una sera Tito scende in paese a
fare la spesa e si ritrova talmente solo da conversare con un branzino morto.
Dopo una breve pausa la MyM edita nel 1996 un altro titolo di Neri, Un momento
delicato, finalista del Premio letterario Piero Chiara di Varese. Invocare la poesia
sdraiato sul tavolo, discutere con le proprie tibie, cercare in un garage il perché della
vita, trascinare la moglie in un “giallo” universale, per Giano è arrivato il momento
delicato, quando tutto cambia e bisogna opporsi al declino, almeno con l’ironia. Tutti
momenti scabrosi e cruciali per una piccola schiera di personaggi a fargli compagnia,
che sembrano soggetti a una Musa stravagante: due occhi maliziosi spiano
l’abbandono a un piacere proibito, mentre c’è chi sopravvive rubacchiando sulla
spesa dopo essere stata una piccola regina della mala o chi prepara trappole mortali
per chi ha insultato e deriso gli altri. Neri narra con la scrittura limpida che i suoi
lettori conoscono bene, lo scrittore-burattinaio scava nel cuore di un mondo crudo e
tenero, divertito e malinconico. Infine nel 2000 viene pubblicato Centro buon umore.
C’è, nel primo racconto di questa nuova raccolta, un signore che, quando va a dormire,
stacca dal muro i trentadue quadri che possiede e l’orologio elettrico della cucina, in
modo che, almeno durante la notte, i chiodi non siano sottoposti a sforzi e tutta la casa
riposi con lui. Allo stesso modo, la letteratura di Neri sembra voler alleggerire il peso
della vita, descrivendo i nostri quotidiani disagi e tic in una chiave fantastica e spesso
irresistibilmente comica. Di Neri nessuno parla, nonostante qualche recensione
autorevole (Almansi, Pampaloni, Cherchi); eppure i microracconti di questo
acquarellista dell’assurdo hanno un’originalità infinitamente superiore a quella di tanti
42
autori che si autocandidano alla grandezza. Gaetano Neri è un “piccolo grande
scrittore”.61
Questo narratore ha la mano aggraziata di un gentleman ancora capace di apprezzare
il bello delle cose semplici, paladino nostalgico di verità che non vede più nessuno. È
lirico e leggero, a volte un po’ ossessivo, quasi maniacale, come i suoi scritti. Centro
buon umore raccoglie storie inedite e il meglio degli ultimi dieci anni.
Il volume di Neri del 1996, Un momento delicato, segna il cambiamento della
collana Le foglie: la copertina si trasforma dando ai testi l’aspetto di un libro giovane
eppure rigoroso, accompagnato da tonalità chiare e una raffigurazione molto
semplice, spesso di un pittore del Novecento. Così infatti appare nel 1999 l’insieme
di racconti di Roberto Cazzola La fedeltà. Una donna fa ritorno alla sua baita nella
valle, dove ha vissuto momenti felici con il marito. L’età d’oro è alle spalle, Leo è
ormai una figura assente. Juliane lo cerca negli oggetti e nei luoghi della passione,
nella memoria, dove incalzano immagini nostalgiche, quasi allucinate: tra i tetti di
una Vienna aurorale e una casa di montagna in cui si intrecciano molteplici storie e
destini con distese innevate e vele battute dal vento nelle acque di un lago assolato.
Hans è partito per il fronte e Barbara non rivedrà più il padre che la portava in
bicicletta lungo il Danubio, sotto gli albicocchi in fiore. Fra l’arido autoritarismo
della madre e l’amorevole pietas della figlia, Barbara scivolerà lungo le derive della
mente. Alma, esule argentina, adotta Alvaro. Ma Luca, il padre che quel figlio non ha
mai voluto, si trova ben presto solo con il piccino. E il bambino malato diviene
progressivamente il “nemico fragile”. Tre storie sulla forza della debolezza e
dell’assenza, sull’importanza estrema di un rapporto fedele con gli oggetti, il passato
61 G. Mariotti, Gaetano Neri, il piccolo grande surrealista, in «Corriere della Sera», 31 gennaio 2001, pag. 33.
43
e le scelte autentiche. Cazzola è un noto germanista italiano che lavora presso
l’Adelphi, coordinando insieme a Rusconi la Storia della letteratura tedesca dal
Settecento ad oggi per l’Einaudi. Uscendo fuori dall’attività editoriale che gli è più
congeniale, Cazzola compone una riflessione sul valore della memoria quale forma
estrema di fedeltà:
[…] La memoria si rivela alla fine la vera sostanza umana dei personaggi, la forma
etica della loro inconsapevole resistenza alla morte che spazza via tutto. Questo basso
continuo filosofico, che modula l’intreccio dei racconti, si accorda a uno stile che, pur
nella diversità delle tre voci, mantiene invariato il suo rigore: nostalgia e rabbia,
spensieratezza e spavento scandiscono la narrazione senza alcuna sbavatura di phatos.
E mentre l’esperienza vissuta si placa nella memoria dei protagonisti, le loro parole si
depositano sulla pagina e vi trovano catarsi.62
I titoli italiani di tale serie si concludono nello stesso modo in cui si erano aperti: al
posto dello scienziato-artista del passato Leonardo, troviamo uno studioso del
presente, Enzo Tiezzi con l’edizione del 2006 Di terra, di aria, di mare. Come in un
quaderno di viaggio fissa nella memoria e nel tempo le immagini e i colori e li
arricchisce di riflessioni, poesie e citazioni. Enzo Tiezzi è un chimico fisico di fama
internazionale. La sua ricerca è stata un succedersi di avventure intraprese con lo
spirito di un appassionato pioniere. Dagli anni di studio sulla risonanza magnetica
alle ricerche nei settori delle scienze evolutive e dell’ecologia, è stato un autentico
precursore delle scienze e delle nuove discipline dell’ambiente, fino agli studi recenti
sulle proprietà complesse dell’acqua. Il suo sapere si è espresso in mille forme, con
grande coerenza, sia nelle sue fotografie, più volte esposte in mostre in giro per
62 Cfr. http://lindiceonline.com.
44
l’Italia, che nelle sue poesie. Insieme testimoniano il suo essere un meticoloso
scienziato e un creativo passionale.
2.4. La Poesia
Il decennio degli anni Novanta porta la firma di un lungo periodo editoriale
monomarcos: Franza abbandona la nave e Zapparoli tenta di inseguire il suo sogno
impegnandosi nella realizzazione di due collane nuove: da una parte, Gli alianti,
dedicata alla narrativa più contemporanea, e dall’altra Poesia che raccoglie testi in
versi particolarmente amati dall’editore.
In quest’ultima serie, in particolare, il primo titolo italiano scelto è Esempi di
Umberto Fiori. Cantante e autore degli Stormy six, storico gruppo rock degli anni
Settanta. Fiori scrive poesie da qualche anno e con questo libro segna l’inizio di un
legame con la Marcos y Marcos solido e duraturo. Illuminazioni intermittenti,
apparizioni come quelle che tra una galleria e l’altra si offrono a chi viaggia in treno:
finestre, ponti, capannoni. Il paesaggio urbano è la scena, il terreno e il movente di
queste poesie. Un paesaggio familiare, sono «i posti che ci reggono / e ci
risparmiano»63. Ma al pedone che li ripercorre, seguito dallo «sguardo buono / di un
muro cieco o di un cavalcavia»64 può spalancarsi sotto, tra due palazzi, uno scavo.
Chi spia dalle fessure tra le tavole vede bene quanto poco somigli, quel cratere, alla
casa che verrà. Il fondo delle cose, il loro oscuro fondamento, minaccia in ogni
esempio di rivelarsi, come al passante la strada: «la terra sotto i piedi / sentire com’è
dura, com’è solida, / ci fa paura»65. I versi di Fiori hanno le movenze del discorso più
63 U. Fiori, Esempi, Marcos y Marcos, Milano 1992, pag. 22.64 Ivi, pag. 83.65 Ivi, pag. 42.
45
chiaro, più quotidiano, loro chimerico modello è la “frase normale” evocata in una
poesia. Non si tratta dunque solo di una scelta di stile, la ricerca di una parola
comune, per «dire le cose / con gli occhi e con la bocca, da pari a pari» e imparare
infine «a stare al mondo», «a parlare al muro […] a sentire / nel chiaro dei discorsi /
la luce di questo muro».66 è l’altro filo conduttore di questo libro. Il talento poetico di
Fiori riscuote molto successo tanto che nel 2004, Esempi viene ripubblicato nella
collana principale Gli alianti.
Intanto nel 1995 viene alla luce il suo secondo libro Chiarimenti. Una raccolta di
poesie dove l’urgenza di chiarimenti, nelle relazioni quotidiane, diventa quasi una
passione carnale. Guardando nella ricerca lirica di Fiori ciò che colpisce
immediatamente è la volontà di raggiungere una piena trasparenza comunicativa e
una relazione diretta, quasi fisica, con il lettore. I suoi versi riescono a mantenere un
dettato colloquiale, quasi rasoterra, e a cogliere allo stesso tempo, senza livellanti
semplificazioni, tutti i grumi irrisolti del reale.
Ero stanco della poesia scritta per gli iniziati, per i critici -racconta Fiori in
un’intervista- se non per i poeti stessi. Se la poesia è questo esercizio di stile, di
finezza letteraria, mi dicevo, allora non mi interessa; o ci sono delle cose da dire, un
senso da mettere in gioco, oppure tanto vale lasciar perdere. Così mi sono messo sulle
tracce di quella che chiamavo la mia “parola normale”. Pensavo a una poesia il più
possibile chiara, che non bara, che si sforza di essere fedele al mondo, alle cose. Il mio
lettore ideale non era (non è) uno che di poesia se ne intende: era (è) una persona
capace di ascoltare quello che un altro ha da dirle, di confrontare con la sua la propria
esperienza, senza troppi filtri estetico-letterari.67
66Ivi, pag. 88. 67 F. Giaretta, Intervista a Umberto Fiori, in «eternosplendore.blogspot.com», 8 luglio 2006.
46
L’anno seguente vengono pubblicate sedici poesie dello stesso Fiori accompagnate
da otto immagini del pittore Marco Petrus, in 500 esemplari numerati, come omaggio
alle case di città: Parlare al muro è il titolo del bel volume, arricchito da riproduzioni
a colori o in bianco e nero che ricordano i quadri di Sironi, di Boccioni, le loro
periferie milanesi, gli edifici grigi e fascisteggianti, incombenti, squadrati, qui ancora
più lugubri e angosciosi, nel segno severo di Marco Petrus, che non concede nulla
alla fantasia o alla levità di un'eventuale, futura primavera. Altrettanto fattuali,
scomode, per nulla consolanti sono le poesie di Fiori, “recitate al muro” e da esso
respinte al lettore in un pingpong scandito in versi secchi, oggettivamente disillusi.
Un gusto metropolitano, fatto di cantieri e scavi, brutture edilizie e lavori in corso,
dove chi guarda e descrive è estraniato, a disagio, pare non capire cosa sta a farci,
proprio lì in quel posto, davanti a quel muro, da cui sembra aspettarsi una parola, una
rivelazione. In qualsiasi posto si trovi il poeta attende sempre la salvezza dall'esterno,
spera in un riconoscimento altrui che lo faccia sentire vivo e vero. Narratore dello
squallore quotidiano, del grigiofumo di strade e marciapiedi, Umberto Fiori sa
raccontarci di asciugamani sventolanti nell'aria, di scavi come torrenti di montagna,
di caseggiati affioranti da albe nebbiose, e offrirci un'ancora, un respiro che ci
riempia il pensiero e per un attimo ci pulisca dentro: «La sera sull’angolo / davanti ai
davanzali illuminati / senti il pensiero che si dilata, / che cresce, come sulle guance /
il boccone al bambino che non mangia, / come in chiesa cresce la faccia / sotto le
mani dei comunicandi».68 Il contributo di Fiori in Poesia si conclude infine con
l’uscita di Tutti nel 1998.
Dopo Bocksten anche Pusterla rinnova la sua partecipazione al progetto editoriale di
Zapparoli affidandogli ogni cinque anni la pubblicazione di una nuova raccolta.
68 U. Fiori, Parlare al muro, Marcos y Marcos, Milano 1996, pag. 23.
47
Nasce così nel 1994 Le cose senza storia che ottiene l’approvazione di critici e
colleghi, e soprattutto conquista il pubblico. Versi selvatici, luminosi e comprensibili
che combinano tempeste e spiragli. Nature sublimi e catrame. Cose infinitesime e
gigantesche paure. Lampi lirici ma anche tuoni politici. Moniti, carezze, visioni.
Pusterla vive tra Albogasio e Lugano, dove insegna, dedicandosi agli studi di
linguistica e tradizione locale, inoltre fonda la celebre associazione di intellettuali
svizzeri il Gruppo di Olten; anima per un decennio la rivista letteraria «Idra» e si
occupa di traduzioni letterarie come ad esempio, i testi di Philippe Jaccottet, famoso
poeta francese con il quale instaura una proficua e significativa amicizia. «Dicevi che
di giorno / il buio sta negli armadi, / o dietro i monti, / e viene fuori solo verso sera
…».69 Gli oggetti dimenticati nel giardino attirano a scavare, a scoprire. E mentre
qualcuno se ne va, perché non ha più senso rimanere, perché le cose non hanno più
senso né storia, allora qualcuno si aggrappa alle parole, alla loro forza immane,
perché sono uniche e non si possono rubare. C’è sempre un rumore cupo di fondo,
nel racconto di queste poesie, ma accanto a esso ci sono suoni, colori positivi, aria,
mare e molti bambini che giocano. Bambini che escono dalla preistoria e cercano un
senso trovandosi di fronte a loro solo le cose che li osservano. Vogliono essere,
fortemente. Con la grande limpidezza di sempre, Pusterla attraversa dramma e
speranza con pensieri ed immagini forti, alternando denuncia, sogno, infanzia,
assurdità.
L’anno seguente Zapparoli edita un altro poeta svizzero di lingua italiana, la raccolta
di poesie Né di timo né di maggiorana di Giovanni Orelli, considerato, insieme ad
altri scrittori come Vittorio Sereni e Piero Chiara, uno dei membri della cosiddetta
“Linea Lombarda”, nella quale si tende a includere anche il già citato Fabio Pusterla.
69 F. Pusterla, Le cose senza storia, Marcos y Marcos, Milano 1994, pag. 7.
48
Questo filone letterario prende il nome da un’antologia di Anceschi del 1952 che
riunisce autori non rappresentabili da un’unità stilistica analoga ma piuttosto da una
visione del mondo tipicamente lombarda espressa attraverso una comunanza di
tematiche, idee e ambientazioni molto legate alla tradizione.
Al 1996 risalgono altri due titoli della collana: Il respiro di Luca Giachi e Il pieno e il
vuoto di Alessandro Ceni. Quest’ultimo volume, in particolare, raccoglie una vasta
scelta di poesie uscite in un arco di tempo quasi ventennale. La preziosa prefazione
di Piero Bigongiari e l'attenta cura di Roberto Carifi fanno il punto sul lavoro fin qui
condotto da Ceni, che ancor giovane e caparbiamente fuori dal coro - già dagli esordi
la sua è stata una voce riconoscibile, particolarmente autonoma e, pertanto, solitaria -
rappresenta con la sua opera un sicuro esempio della poesia più significativa apparsa
nel nostro Paese negli ultimi anni. Gli esempi a cui si appoggiano i suoi versi sono
molteplici fonti della letteratura: dallo Stilnovo ai metafisici inglesi, dai romantici
anglo-tedeschi al pensiero orientale, ma non posso mancare Dante, Leopardi e
Petrarca. Come ammette egli stesso:
Nella sostanza fonti e materiali che descrivono l’assoluta realtà. Cerco di scrivere il
“reale”. Può sembrare un’affermazione paradossale o almeno difficile da accettare da
parte di coloro che parlano della mia poesia in termini di “oscurità” […] se il poeta ha
una pretesa è quella di vedere, egli vede le cose per quello che mostrano e per quello
che non mostrano, nella loro lucida verità (che è esattamente il contrario del realismo
o del surrealismo) sottratta dal velo (di tessuto assai pesante, pare) della quotidianità.70
Alla fine degli anni Novanta l’editore decide di pubblicare l’ultima collezione del
poliedrico insegnante e critico letterario Giorgio Manacorda, ovvero Soldato segreto
70 D. Fasoli, Tra la prosa di Stevenson, Il vento e l’acqua. Conversazione con Alessandro Ceni, in «riflessioni.it», giugno 2005, pag. 2.
49
in cui sono inserite le liriche scritte fra il 1981 e il 1995. Questi ventidue
componimenti, dal taglio breve e decisamente autobiografico, sono intrisi dal ricordo
dell’amico scomparso Alberto Scandone e costituiscono un piccolo capolavoro che
trasfigura le venature e le occasioni del profondo rapporto ormai perduto. Di fronte
ad esso nemmeno l’amore sembra dare conforto divenendo un sentimento
conflittuale rinchiuso in costanti momenti di congedo. «C’era una volta una guerra
d’inverno / e un giovane uomo, / che aveva gran timore dei nemici, / pregò Dio che si
innalzasse un muro / per proteggerlo dall’invasione. E Iddio / seppellì la casa sotto la
neve. I nemici, / fuori, non videro la casa, e il ragazzo / non vide i nemici che aveva
dentro».71
L’ultimo titolo italiano di cui si ha notizia in Poesia è di Gianni D’Elia, un ragazzo
venticinquenne che esordisce con Non per chi và nel 2001. Versi forti in cui è molto
evidente l’esempio di Pasolini. Una poetica potente al punto da poter coincidere
totalmente con la storia personale dell'autore.
Pasolini è importante per chi, come me, è arrivato alla poesia attraverso la
consumazione dell’esperienza della nuova sinistra o di quella estrema degli anni
Settanta. Pasolini ha significato un riesame e anche un accorgersi che la nostra lotta
non era così bella, forte, come doveva o poteva essere. Lui richiamava la nostra
generazione alla consapevolezza […] È importante, quindi, perché è uno scrittore di
sinistra che vi porta dentro una poesia contestativa dove l’io è indispensabile, dove dal
sentimento nasce il contraddittorio con l’ideologia, e quest’ultima è un processo che
mescola marxismo, psicoanalisi, strutturalismo, e soprattutto l’esistenza, la vita
privata, il corpo; tutto ciò è fondamentale per me.72
71 G. Manacorda, Soldato segreto, Marcos y Marcos, Milano 1999, pag. 16.72 I. Malcotti, Tre Interviste a Gianni D’Elia, in «pasolini.net», febbraio 2001, pag. 1.
50
D’Elia oggi è un libero docente, traduttore e critico che scrive per lo più romanzi.
Non per chi và è un poema giovanile nel quale si mescola la storia privata con quella
collettiva, un diario di viaggio in giro per l’Italia e una meditazione sulla sconfitta
della generazione che aveva sognato di cambiare il mondo. Una critica della stessa,
per recuperarne la parte migliore e rinnovarla con la poesia.
Per volere di Zapparoli, Poesia è strettamente legata ai versi presenti nelle
pubblicazioni del contemporaneo semestrale «Testo a Fronte». Esempi italiani di
queste insolite integrazioni di collana sono: Allergia di Massimo Ferretti, Premio
Viareggio “Opera Prima” 1963, pubblicato per la MyM nel 1994; Al ballo della
clinica di Massimo Bocchiola 1997; Il secondo fine di Paolo Febbraro 1999; e infine
Songs of spring del 1999, Premio Mondello per la traduzione di Franco Buffoni.
2.5. Gli alianti
I primi dieci anni di vita della collana simbolo della Marcos y Marcos sono segnati
dalla pubblicazione di numerosi titoli stranieri, poiché, come abbiamo visto, l’intento
iniziale di Zapparoli è quello di creare una narrativa moderna che si occupi di una
letteratura il più vasta possibile creando una visione universale. Per tale motivo sono
presenti pochi autori italiani.
Dopo l’esordio nel 1989 con Dimenticarsi della nonna e Conversazioni con un
branzino del 1990, torna due anni dopo, Gaetano Neri con una nuova collezione di
altri trentasei racconti brevi L’ora di tornare. Anche qui l’autore non ha perso il
gusto surrealista e ironico delle opere precedentemente pubblicate ne Le foglie.
51
Consapevole che se il mondo non fosse imperfetto non esisterebbe la comicità,
pittore di xilografie, giornalista milanese, Neri costruisce trentasei storie, disegna
piccoli ritratti di visionari che scoprono nella tenerezza l’unica arma per combattere
la crudeltà e l’indifferenza. Tippa, Timbro, Buio, Grifo, sono alcuni dei personaggi
dai nomi bizzarri che popolano le pagine dell’autore e si differenziano dalle persone
normali attraverso quello scarto fantastico che li proietta in una realtà surreale. La
vecchia che soffre di amnesia e non sa tornare a casa, l’ubriaco che al bar rimprovera
la donna con cui si è divertito come se fosse una moglie che lo trascura, una
sessantenne che per passare il tempo calcola quanto ancora dovrà sedersi a tavola per
il pranzo prima di morire.
Anche se non è sempre felice nelle soluzioni proposte, Neri ha il merito di affrontare
con linguaggio nitido e preciso una tastiera del comico assai varia, dall'umorismo
gelido, ritagliato nei cieli dell'assurdo, della coppia che va al ristorante, ordina molti
piatti e non mangia nulla essendo impegnata a discutere, per poi protestare sul risotto
freddo quando arriva il conto, alla vena malinconica e desolata della novantenne di
una casa di riposo a cui hanno proibito le cuffie per ascoltare la televisione e isolarsi
dal mondo.73
Sembrano strategie maniacali escogitate per sopravvivere e sfuggire alla noia della
solitudine quotidiana, alle quali non si sottrae nemmeno l’autore:
Non ho ancora trovato un antagonista migliore di me. Per questo mi piace tanto stare
da solo. […] Sono matto come tutti, ma più pacifico, meno invadente. Sto per conto
mio. Mi piace pensare alle cose passate. Guardare un posto perché è bello. Uscire per
un aperitivo immaginando che i bar in Brera siano gli stessi di un tempo. […] Non mi
sono mai dato da fare per conquistare qualcosa. Sono stato giornalista il tempo
73 M. Romano, Com’è surreale vivere a Milano, in «La Stampa Tuttolibri», 25 aprile 1992, pag. 2.
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necessario alla pensione, facendo attenzione a scrivere il meno possibile, stavo in
tipografia. Ho cercato di limitare i danni stando fuori dalla vita attiva e sciocca. Ho
vissuto in perdita e sono soddisfatto.74
Il secondo volume italiano di tale periodo è La scena è la stessa di Massimiliano
Sossella, direttore marketing per famose sigle italiane, è oggi considerato un pioniere
di internet nel settore pubblicitario e nei linguaggi per i nuovi media. Il suo romanzo
descrive infatti i personaggi di un’importante agenzia pubblicitaria divertendo il
lettore e svelando le fitte trame che regolano la loro vita professionale, arrivando ad
un finale shock dal sapore sheakspeariano.
Nel 2002 esce la quarta raccolta del poeta Umberto Fiori, inaugurando una nuova
politica della casa editrice che mira a pubblicare nella collana Gli alianti almeno un
libro di poesie all’anno, secondo una visione di insieme che mira a integrare questo
genere “elitario” con l’originale narrativa proposta. Ne La bella vista si può
rintracciare l’evoluzione stilistica e tematica condotta da Fiori fin qui.
In Esempi avevo quasi del tutto eliminato, per una sorta di inibizione, la prima
persona, il soggetto lirico. Non potevo più dire “noi”, ma nemmeno “io”. Il soggetto
era per lo più “uno”, o un “si” impersonale. Da un libro all’altro ho recuperato
gradualmente la prima singolare, fino a restituirle una posizione centrale nella Bella
vista. Sul piano del linguaggio, mi pare che non ci siano state svolte importanti dopo
Esempi. Nella Bella vista c’è la novità di un paesaggio naturale e ben identificato,
rispetto agli imprecisati scenari urbani dei libri precedenti. Ma in fondo, quel
panorama marino è stretto parente dei muri, degli scavi e delle case degli altri libri. Al
di là delle differenze, ho l’impressione di avere scritto quattro capitoli di un unico
libro.75
74 P. Corrias, Dandy con branzino, in «La Stampa TuttoLibri», 22 dicembre 1990, pag. 6.75 F. Giaretti, Intervista a Umberto Fiori, in «eternosplendore.blogspot.com», 8 luglio 2006.
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La bella vista che dà il titolo al libro è quella di un golfo, l’aperta nudità di una gioia
perfetta. La prima parte del poemetto costituisce un’invocazione a questa «altissima
visione che si nasconde / dentro gli occhi di tutti»76 perché ci salvi dalle nostre
pretese, ci insegni a mancare, a liberarci dallo zelo delle etichette, alla fine però la
risposta invocata non sarà quella attesa. Non molto rassicuranti sono gli idoli che
appaiono nella seconda sezione. I vigilantes che non vedranno la fine, il bambino
ingigantito in eterno dal suo capriccio, la vipera che canta in mezzo al sentiero. Nella
terza parte le statue, prende corpo uno dei motivi centrali di Fiori: la tensione tra ciò
che vive e ciò che durerà, tra «l’ansia di questa luce, di questa data»77 e la sua traccia
nel tempo. Sono versi che invitano a cercare un “bene diverso”, un amare e godere
dei momenti semplici e dei gesti quotidiani.
Con l’arrivo del nuovo millennio e di Claudia Tarolo, Zapparoli può cimentarsi in
progetti diversi, mentre si consolida la produzione estera e la poesia. Dal canto suo la
stessa Tarolo, dopo aver raccolto consensi di critica e pubblico, si impegna nella
ricerca di esordienti nazionali che possiedono un punto di vista narrativo originale e
in sintonia con l’immagine della casa editrice. La sua idea si affianca all’iniziale
progetto universale di Zapparoli cercando di consolidare il catalogo della MyM.
L’intento è quello di far crescere gli scrittori in seno alla casa editrice instaurando
con loro una collaborazione proficua e duratura, simile a quella creata con gli autori
stranieri e i poeti analizzati nelle precedenti collane.
Al 2001 risale dunque il debutto di Davide Longo che con Un mattino a Irgalem
vince il Premio Grinzane Cavour come miglior esordiente dell’anno.
76 U. Fiori, La bella vista, Marcos y Marcos, Milano 2002, pag. 29.77 Ivi, pag. 101.
54
Il trentenne Davide Longo ha scritto un libro scabro, essenziale, che ricorda da vicino
le pagine di Fenoglio e Pavese, per via di una narrazione fatta di vuoti ed elisioni, e
tuttavia perfettamente tornita e compiuta. Molto belle le descrizioni del paesaggio
africano, vuoto e misterioso. Al pari del tenente di Flaviano, Pietro esprime un male di
vivere, un senso di disagio, che in Tempo di uccidere prende la forma della paura e
dello squilibrio mentale, mentre qui quella di un impulso improvviso e inatteso, un
piccolo colpo di scena nella storia. Il destino manovra la vita e Pietro si culla
nell’illusione di esserne fuori, mentre è già stato giocato. Scritto con un piglio sicuro,
Un mattino a Irgalem è decisamente una storia del nostro tempo, un buon esempio di
romanzo italiano di cui si erano smarrite le tracce.78
La storia è ambientata in Etiopia nel 1937. Pietro, avvocato torinese, si ritrova col
grado di tenente, in Africa per una missione spinosa: difendere un uomo che tutti
vogliono morto. Il sergente Prochet, condottiero dei cosiddetti “gruppi esploratori”,
ha ucciso crudelmente molti civili e devastato interi villaggi. Attorno alla sua figura
aleggia un alone di mistero e paura testimoniato dalla sparizione di due pattuglie
inviate nel deserto per recuperarlo. In realtà il suo destino è segnato da tempo poiché
è stato solo uno strumento nelle mani di superiori che si sono serviti di lui e della sua
natura indubbiamente violenta, per poi sbarazzarsene quando è diventato una figura
seccante e fuori controllo. Quando Pietro lo raggiunge, Prochet è ormai un
personaggio scomodo chiuso in una cella buia di Addis Abeba. L’avvocato torinese
tenta di aprire un varco nel suo silenzio ostinato, raccogliendo informazioni che lo
ritraggono per alcuni, come un eroe di guerra che ha dato all’Italia un impero, e per
altri come «un matto, una bestia, uno che l’Africa gli ha fatto male»79. Durante il suo
lavoro Pietro è scortato dal caporale Pigafetta, un «ragazzino dagli occhi azzurri, in
78 Belpoliti M., Un mattino a Irgalem, in «L’Espresso», 28 giugno 2001, pag. 149.79 D. Longo, Un mattino a Irgalem, Marcos y Marcos , Milano 2001, pag. 46.
55
una divisa cachi troppo grande»80 mentre è incalzato dai superiori che spingono
affinché il caso venga chiuso al più presto. I suoi unici momenti sereni, in una
situazione che si presenta fin dall’inizio complicata e oscura, sono le partite a scopa e
le conversazioni con il tenente medico Viale, omosessuale e amico di vecchia data
rifugiatosi nell’altopiano per non incappare nell’intransigenza fascista. In un
continuo gioco di buio e luci il protagonista si lascia andare a una vampata di
passione per Teferi, splendida “donna d’ambra” figlia del ciabattino, che non lo
distoglie però dal ricordo nostalgico delle fughe amorose con Clara, simbolo della
bella vita torinese. Per tutta la narrazione Pietro continuerà a chiedersi perché hanno
affidato proprio a lui il caso di Prochet senza trovare alcuna risposta fino al termine
della sua missione. Si sale sul treno polveroso dei militari al primo capitolo, e fra una
sigaretta fumata “stretta” da Pietro e un ruvido paesaggio africano, non si scende fino
all’epilogo.
Una decina di uccelli neri avevano preso a volteggiare sopra un punto lontano dai
binari. Con pochi colpi d’ali si inseguivano in giri regolari sfruttando l’aria calda che
saliva dalla sabbia. Non erano avvoltoi. Le ali erano troppo brevi, la testa incassata.
Ma li ricordavano per la traiettoria lugubre. Con un rapido calcolo si sarebbe risaliti da
quel cerchio a qualcosa di morto che faceva da centro. Pietro restò a guardarli finché il
treno non fu troppo oltre.81
In meno di 200 pagine, attraverso uno stile asciutto, Longo racconta la storia
personale di un singolo, esempio di quella “impresa d’Africa” che è stata uno sfogo
delle manie di grandezza e imperialismo di tutta una nazione. Con un linguaggio
breve e spezzato, Longo riesce a costruire, in poche pagine, un romanzo che offre al
80 Ivi, pag. 35.81 Ivi, pag. 14.
56
lettore tutto il senso della tragedia e del dolore provocati dalla guerra. Scrittore,
documentarista e insegnante, collabora attualmente anche con la Scuola Holden di
Torino. Come ricorda Zapparoli in un’intervista del 2002: «Longo è stata una
scommessa che ci premia, ha avuto un ottimo successo di critica ma anche di
pubblico».82
Nel 2004 la Marcos y Marcos propone il suo secondo libro Il mangiatore di pietre.
Un noir dalla scrittura nitida, fatta di brevi frasi, molti a capo e dosati silenzi. Un
risultato maturo che pone in relazione la reticenza dei personaggi montanari di
confine le cui poche parole sono frutto di una diffidenza auto protettiva, e la storia
che ruota attorno a un omicidio.
Un romanzo sul trasmigrare (lineare o adulterato) tra generazioni di tradizioni e
soprattutto valori, modi di essere e vivere d' una terra. Un romanzo di figure che
parlano soprattutto con gli sguardi. E di silenzi. Dove fondamentale è lo stile: dalla
scrittura eloquentemente reticente, in cui il non detto intensifica la trama.83
Una sera di settembre dalle acque del torrente di una valle piemontese affiora il
cadavere di un uomo, qualcuno lo ha ucciso con due colpi di fucile. Il corpo è quello
di Fausto, trentenne pregiudicato. A ritrovarlo è Cesare, che tutti chiamano il
“Francese”. Emigrato a Marsiglia ancora bambino, Cesare si era messo nei guai con
la giustizia ed era stato espulso dal Paese. Tornato alle sue montagne, eredita dallo
zio un “mestiere” antico e tutt’altro che legale. Il passeur, un lavoro fatto di risalite
notturne, silenzi e numerose fatiche. Grazie all’amicizia con Parin Giors il
“Francese” apprende la tradizione dei passatori di montagna e ben presto introduce
82 G. P. Serino, Marcos y Marcos, in «Il Mucchio selvaggio», marzo 2002, pag. 13.83 E. Paccagnini, Amori e vendette del passeur occitano, in «Corriere della Sera», 28 novembre 2004, pag. 40.
57
nell’ambiente il giovanissimo Fausto. Tuttavia il ragazzo si dimostra poco incline a
sottomettersi ai rigidi principi che regolano questo mestiere e per tale ragione i
rapporti tra i due si spezzano definitivamente. Sebbene la sorte di Fausto non
sorprenda nessuno perché si è guadagnato una pessima reputazione, Cesare tenta
comunque di svelare il mistero della sua morte. C’è qualcuno che, pochi giorni prima
del delitto, risalendo al buio il sentiero verso il confine, ha visto Fausto e un gruppo
di persone. È Sergio, poco più che un ragazzo, stanco di vivere sotto il dominio
paterno fatto di mucche da accudire e formaggi da rivoltare. Sergio ha intuito che la
morte di quell’uomo ha interrotto un “lavoro” a metà: nelle montagne infatti sono
rimasti al gelo in una caverna molti extracomunitari, il carico abbandonato del
passeur morto. Portare a termine questa missione con l’aiuto di Cesare, cambierà la
sua vita. In quella del “Francese”, invece, potrebbe accendersi un ultimo imprevisto
bagliore: nella valle infatti è arrivata da qualche giorno una donna che lo cerca e farà
capire al lettore se Cesare è un eroe o un fuorilegge.
La storia di Longo è imperniata su un doppio destino, quello di Cesare, uno di quei
déraciné che possiedono una propria radice in un passato perduto, nel mondo
contadino e nel paese, e Sergio, un giovane che ne ripercorrerà inconsapevolmente i
passi. Il mangiatore di pietre è un libro vero, leggerlo significa incontrare un mondo,
un piccolo cosmo.84
Longo conferma di prediligere i personaggi duri e solitari, come se tra lui e il mondo
ci fosse una barriera insuperabile, scrive badando a dire solo l’essenziale con un
periodare breve e secco. Costruisce una storia nelle meravigliose valli di confine, con
scenari in cui regnano le ombre e appare nella sua interezza la natura crudele, bella
84 M. Belpoliti, Giallo come il destino, in «espresso.repubblica.it», dicembre 2004.
58
ma crudele. «Cesare alzando lo sguardo trovò il baluginare d’un rivo d’acqua
lontano. Sorrise del dolore che la vita chiede per continuare».85
I due editori agiscono quindi con l’ambizione di veder maturare gli autori italiani
mediante un rapporto solido, duraturo e quasi familiare che rispecchia a pieno la
conduzione della casa editrice, poiché sostengono che «…l’orgoglio più vivo è
legato agli italiani che abbiamo fatto esordire e che poi si sono fatti amare; lì hai
proprio l’impressione di svolgere una funzione importante, di aiutare qualcosa a
“venire al mondo”».86 Nonostante ciò, proprio Davide Longo ne rappresenta
l’eccezione. Lo scrittore piemontese decide infatti, dopo la pubblicazione del suo
ultimo romanzo, di lasciare la MyM passando alla Fandango. Come ricordano spesso
Zapparoli e Tarolo, a chi dirige una realtà piccola e indipendente può capitare di
incontrare il “pesce grande” dell’editoria che si porta via, con una proposta
economica più alta, l’esordiente su cui si era tanto investito. Momenti difficili
dunque, ma fortunatamente molto rari. Lo dimostrano le lunghe collaborazioni che i
due editori hanno instaurano nel tempo con i poeti Fiori e Pusterla, e soprattutto, la
stabile partecipazione di nuovi scrittori contemporanei a Longo, come i fratelli Ervas
e Cristiano Cavina. «Non sempre succede così. Con Cavina ad esempio, è accaduto
l’esatto contrario. Dopo il successo l’hanno cercato in tanti […] ma lui è rimasto con
noi, perché dice di sentirsi come Asterix nell’ultima provincia della Gallia! Qui può
rimanere indipendente e comunque di successo».87
La Romagna in un percorso narrativo
85 D. Longo, Il mangiatore di pietre, Marcos y Marcos, Milano 2004, pag. 187.86 A. Prudenzano, Ecco perché Marcos y Marcos ha lasciato i Mulini a Vento. A malincuore…, in «affaritaliani.it», 21 gennaio 2011.87 I. Traboni, Marcos y Marcos: indipendenti e fieri di restare così. Come i loro autori , in «Il Secolo d’Italia», 2009.
59
Per descrivere l’esordio di Cristiano Cavina dobbiamo fare qualche passo indietro e
arrivare al 2002, quando debutta con il suo primo romanzo Alla grande. Siamo a
Casola Valsenio una cittadina romagnola che ospita in viale Neri lo stravagante
mondo degli abitanti delle case popolari: c’è il Mago Mammola con le gambe
arrossate e piene di lividi, Mone che non vuole che lo guardi quando scendi le scale,
e Noemi la matta, alla quale porta da mangiare la panda dell’assistenza sociale. In
questo quartiere vive anche Bastiano Casaccia, detto Bla, il piccolo protagonista del
romanzo. Del padre si sa poco o nulla mentre la mamma lavora duramente per pagare
le bollette. «Un giorno mi pareva di conoscerla a menadito, come il bosco attorno al
laghetto, e un giorno scoprivo di non sapere un accidenti. E la cosa che mi faceva
pensare era che, anche quando non mi raccapezzavo più, sentivo che era giusto
così».88 Bastiano è una peste, un bambino che finge con gli amici di essere un pirata,
un po’ ingenuo ma leale e pieno di grinta, «il futuro mi fece una sfilata davanti agli
occhi, ammiccando sopra una scia di raso rosso. Mi passai la lingua sulle labbra,
cercando il sapore. Una delizia».89 Bla si rivela sostanzialmente un ragazzino buono
dai pensieri limpidi e divertenti, anche se a volte gli piacerebbe imitare le malefatte
di zio Paolo, fuggito in Germania dopo un clamoroso furto di pellicce. Intanto
sfreccia per il paese con la sua bicicletta –la Turboberta– come se cavalcasse una
pallottola. E stupirà tutti, ne è convinto, costruendo un favoloso sommergibile per
recuperare un prezioso tesoro di monete d’oro nascosto in fondo al laghetto, in modo
tale da aiutare la madre nelle spese e sconfiggere Mirko Contoli, piagnone riccastro
rivale in amore. Nel grandioso mondo di Bastiano si nasconde però un’insidia:
qualcosa si sta annidando dentro di lui, come un ostacolo, un nemico oscuro che
88 C. Cavina, Alla grande, Marcos y Marcos, Milano 2002. Le citazioni qui di seguito riportate fanno però riferimento all’edizione tascabile dei MiniMarcos pubblicata nel 2010, pag. 122.89 Ivi, pag. 96.
60
occorre affrontare. Alla realizzazione del sommergibile manca solo il silicone per
tappare i buchi, così decide di rubarlo nel magazzino della palestra comunale. Dopo
aver compiuto questa missione da agente segreto si imbatte però in Mone e nella sua
banda. I teppisti lo prendono in giro, chiamando “mongoli” i suoi amici e soprattutto
Saura, la sua vicina diversamente abile. Solo allora Bla tira fuori tutto ciò che da
tempo gli si era nascosto dentro ed esplode con una rabbia inconsapevole sparando
sul viso di Mone tutto il tubo di silicone appena trafugato. Bastiano scopre dunque la
possibilità, per reazione, di poter fare del male anch’egli. Fugge e poi ritorna,
trasformato e adulto, ma sempre sospeso su quel bilico incantato tra malinconia e
comicità, sempre carico di quell’immaginazione con cui si ostina a manipolare il
reale. Per il protagonista si aprono le porte del riformatorio eppure questo non gli fa
perdere la grinta né l’ottimismo che lo caratterizza.
Questo romanzo ha il pregio di raccontare la visione fantastica che un ragazzino ha
del mondo con il suo linguaggio semplice e immediato,
un libro scanzonato, leggero e divertente, che sta su con nulla; una di quelle storie che
se ti sbagli anche di poco, colano a picco in modo inesorabile. Invece lui,
ventinovenne di Casola Valsenio, in provincia di Ravenna, non sbaglia un colpo.
T’incanta con il suo periodare breve, rapido, conciso, ricco di metafore infantili,
perfettamente calato nella testa e nella voce del protagonista, Bastiano Casaccia, una
specie di Gianburrasca, ingenuo ed estremo, leggero e terribile, artefice di piccoli e
grandi guai, sempre proteso verso avventure mirabolanti.90
A fare da collante nella storia c’è una forte componente morale, un senso di
solidarietà e di compartecipazione con la sorte dei poveri di oggi, con gli abitanti dei
rioni popolari e delle periferie degradate delle città. A sole due settimane dall’uscita, 90 M. Belpoliti, Bastiano è un Gianburrasca, in «espresso.repubblica.it», maggio 2003.
61
Alla grande conquista uno scalino nella classifica dei dieci libri più letti e
successivamente vince il premio Tondelli 2006. Cavina cresce con la mamma e i
nonni paterni in un piccolo appartamento delle case popolari, traboccante di energia
“catastrofica”: si sfianca sul campo da calcio e macina chilometri in bicicletta.
Ascoltando racconti nei bar sviluppa una passione viscerale per le storie e i libri
diventano la sua seconda casa. Si paga gli studi da solo lavorando come pizzaiolo,
cinque anni di superiori e due alla scuola di scrittura Holden: «Una vitaccia. Ma mi
considero una persona fortunata. Scrivo e sano le ferite che mi porto dentro».91
Attraverso l’edizione dei due editori milanesi Alla grande ottiene il successo di
critica e pubblico sperato, tanto che viene messo in scena nei teatri e nelle scuole di
tutta Italia e adottato da un intero paese del Piemonte nell’ambito dell’iniziativa
“Volvera legge Alla grande: un libro in comune”.
Il protagonista, Bastiano, un po’ è come me: soffre perché non ha mai conosciuto suo
padre e perché vede sua madre sbattersi da una casa all’altra, a lavare e stirare panni,
con l’incubo delle bollette da pagare. Un po’ è come avrei voluto essere: meno timido
e un po’ più audace, e anche più gioioso.92
Cavina si configura come esempio di tutti quegli italiani che oggi hanno trenta,
quarant’anni, che dalla vita non hanno avuto nulla gratis e si sono arrangiati con
mille lavori diversi. Un autore vero, il cui fascino non si manifesta nella fama da
scrittore lontano dal mondo, ma piuttosto nella sua vita da uomo comune che lo ha
trasformato in una delle più sorprendenti rivelazioni della narrativa del nostro Paese.
91 C. Vulpio, Tra la Romagna e il West, il pizzaiolo che sforna libri, in «Corriere della Sera», 15 aprile 2003, pag. 37.92 Ibidem.
62
Due anni dopo la MyM edita il suo secondo libro Nel paese di Tolintesàc, storia di
una famiglia romagnola che è un nucleo a sé, un’entità in perenne disfacimento con
sventure, colpi di scena, ossessioni, e slanci verso il futuro. La voce narrante è quella
di un bambino inatteso che racconta gli avvenimenti sulla guerra e sul paese
Purocielo tramandategli dalla saggia nonna. Con ironia e umorismo Cavina
rappresenta il periodo buio di un’Italia ormai passata, dove la miseria e la rinuncia
erano all’ordine del giorno, come sentenzia magnificamente la vecchia al nipotino:
«Tutti perdono qualcosa –pontificava nonna Cristina– Tu sei stato molto precoce:
non eri ancora nato che già avevi perso il babbo».93 Questo mondo di campagna gli
insegna così tante cose che quando diventa adulto sente il bisogno di fissarlo nella
memoria. Per tale motivo racconta le gesta, straordinarie e normalissime, degli
uomini che l’hanno popolato. La narrazione è inoltre intervallata dai pensieri che il
protagonista rivolge al padre mai conosciuto. Tolintesàc è una tipica espressione di
Fellini del dialetto romagnolo che ruvidamente si traduce in “prender su e portare a
casa”, il che significa che di fronte a certi eventi non rimane altro che rassegnarsi,
così come fanno gli uomini di Purocielo quando gli viene annunciato che sono tutti
obbligati ad andare in guerra.
Ciò che più conta, in ogni vita è il marchio e il segno di un destino. Una saga minima
che parte (del tutto tangenzialmente) dalla prima guerra mondiale e tra fascismo,
seconda guerra e dopoguerra, arriva a lambire l’altra metà del cosiddetto secolo breve.
Anche se a vincere non è la volontà di dare un senso hai fatti della storia che restano
fondali, ma il gusto di raccontare –tra dialetto demotico e lingua eletta– il sentimento
di un mondo distante, l’evocazione di una lontananza definitiva, impestata di detti
93 C. Cavina, Nel paese di Tolintesàc, Marcos y Marcos, Milano 2005, pagg. 29-30.
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comuni, parole corali, di precetti memorabili (“Tutti perdono qualcosa”) che
rappresenta il filo rosso dell’intera vicenda.94
Nel 2006 arriva Un’ultima stagione da esordienti, un omaggio al calcio e alla
provincia che non esiste più, cancellata dalla ricchezza del nuovo secolo e dal
neocapitalismo rampante del Nord-est. La penna di Cavina crea figure divertenti,
patetiche e ironiche, sotto lo sguardo vigile di un ragazzino tredicenne e della sua
squadra. Non è la terza media a dare il via alla loro avventura bensì il calendario
delle partite. Questi preadolescenti sprofondano nella bassa, sotto un cielo esagerato,
circondati da milioni di peschi, o si inerpicano tra i monti, su campetti gelati, in cima
a tornanti interminabili. Il tutto per tentare di battere squadre di geometri ben
pettinati che li disorientano con finte, passaggi e triangoli di una perfezione assoluta.
La finale del torneo è dunque sentita dalla squadra come un evento epico dove si
gioca il campionato e molto di più. Cavina dedica un romanzo allo sport più popolare
d’Italia descrivendo la passione che molti ragazzini di provincia hanno coltivato nella
loro giovinezza. Il medesimo sentimento brucia ora nello sguardo dei protagonisti
che escono dagli spogliato sentendosi dei piccoli eroi. Si tratta di un libro
autobiografico che mira ad essere un omaggio alle sfide che ci si pone da ragazzini, e
nello stesso tempo, un tributo all’ambiente in cui è cresciuto l’autore.
Un’ultima stagione da esordienti è pervaso da una sottile malinconia, un tono
affabulatorio che a tratti ricorda quello del Barone rampante di Calvino. Ma mentre lo
sguardo dello scrittore ligure era intriso di politica e utopia, di miti resistenziali,
seppur traditi, quello di Cavina è solo nostalgico, privo di speranze collettive,
94 G. Tesio, Quella volta a Purocielo, in camporella, in «La Stampa TuttoLibri», 26 novembre 2006, pag. 5.
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ricondotto al solo punto di vista del narratore: un ragazzo che ha vissuto su quei campi
da calcio la sua ultima epopea prima del balzo nell’età adulta.95
Non è un caso infatti che il promettente calciatore chiuda la storia augurandosi di
diventare subito vecchio, saltando la fase adulta, da lui considerata quale spinoso e
difficile momento contrapposto alle due età estreme dell’esistenza.
Nel 2008 l’autore romagnolo scrive I frutti dimenticati. Questa volta però non si
limita a delineare i luoghi e i personaggi della sua infanzia, ma cresce ancor di più il
carattere autobiografico della sua scrittura. Il protagonista non a caso si chiama
Cristiano e a trent’anni incontra il padre mai conosciuto, nel momento esatto in cui
anche lui sta per avere un figlio da una donna che non ama più. All’inizio è uno
sconosciuto come tanti altri che pare annegare in dei vestiti color cachi un po’ troppo
grandi. «Mi guarda e capisco che non sa cosa fare con i lineamenti del suo volto, se
ridere o stare serio. Metà dei miei trentatré anni li ho passati a chiedermi come
sarebbe stato questo momento. L’altra metà a chiedermi se ci sarebbe mai stato». 96
Questo padre gli ha lasciato un vuoto clamoroso, colmato attraverso la fantasia e la
passione per i libri, in modo tale da costruirsi «quel babbo tutto mio, ed era
implacabile. Era D’Artagnan, Sandokan, Tom Sayer, Jean Valjean, il conte di
Montecristo. Era pieno di ricordi di tutte le persone che avevo vissuto fino ad allora,
era sempre con me, indomabile come Cirano».97 Tuttavia, nonostante il dolore e la
rabbia qualcosa cede nel cuore di Cristiano, sarà perché sta per diventare genitore o
perché gli sembra di vedere tutto con occhi diversi. Si ritrova così al capezzale di un
padre malato terminale che sta per andarsene proprio nel momento in cui iniziano a
conoscersi veramente. Mediante il suo stile ironico ed esilarante cerca allora di 95 M. Belpoliti, Profumo di Romagna, in «espresso.repubblica.it», febbraio 2007.96 C. Cavina, I frutti dimenticati, Marcos y Marcos, Milano 2008, pag. 22.97 G. Fontana, I frutti dimenticati di Cristiano Cavina, in «ilsole24ore.com», 28 novembre 2008.
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riassumergli la sua infanzia con nonna Cristina che si crede una santa, con la mamma
e con le suore orsuline. Gli racconta anche dei momenti più belli trascorsi a curare e
raccogliere alcuni frutti di cui molte persone hanno scordato l’esistenza.
Ogni anno infatti a Casola Valsenio si celebra la Festa dei frutti dimenticati. Sulle
bancarelle in piazza vengono esposte giuggiole, sorbi, bacche di prugnolo e tutte le
essenze autoctone dimenticate dalla frutticoltura industriale, ma non dagli abitanti del
paese che meticolosamente li coltivano nei loro orti privati e nel giardino delle suore.
Tale avvenimento costituisce una metafora da cui parte l’appello dell’autore a dar
spazio alle piccole cose della vita smarrite che si rivelano le più preziose, a non
sciuparle con l’imprevidenza e la disattenzione. Questo romanzo ci invita a scoprire,
proteggere e salvare ogni possibile “frutto dimenticato”. Vuole essere un tributo
profondo ad un amore che non conosce limiti e stagioni. Per un padre che muore c’è
poi un bimbo che lotta per sopravvivere. E alla fine, quando Cristiano smette di
venire a patti con Dio per la sua salvezza, può di nuovo permettersi di sentirsi quel
piccolo palombaro che si divertiva a scovare meraviglie nel comò della nonna: ha di
fronte a sé il tesoro più grande da accudire e far crescere attraverso quell’amore
paterno che gli è sempre mancato. «Sentii la sua presenza dentro di me…come se lui
avesse fatto nascere me».98
I frutti dimenticati è stato tra i finalisti del Premio Strega, dei premi Alassio e
Vigevano, e si aggiudica il Premio Castiglioncello della sezione di narrativa nel
2009. Come ricordano i due editori, è stato uno dei giorni più belli della Marcos y
Marcos «quando Cristiano, dopo essere entrato in classifica, essere arrivato secondo
98 C. Cavina, op. cit, pag. 124.
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al Premio Strega, ha vinto il suo primo premio letterario importante: il
Castiglioncello. Avevamo le lacrime in tre!».99
Nel 2010 la casa editrice pubblica Scavare una buca, il romanzo che segna la
maturità dello scrittore romagnolo. Cavina si stacca completamente dal mondo
casoliano della sua giovinezza per addentrarsi nel racconto di un uomo che per
lavoro sta sotto una montagna, scavatore di una cava di gesso dalla quale esce ogni
volta ricoperto di polvere bianca. Lui padre di tre figli, con una moglie che per
arrotondare fa la bracciante, narra le vicende di chi svolge un lavoro tradizionale
durissimo e quasi sconosciuto. C’è nel suo tono una forma di disillusione allegra che
a volte assume un passo grave e altre leggero, rendendo perfettamente la sapienza
degli scavatori e a un tempo la loro malinconia. Uomini come lui, il Necci, o lo zio
Jair ogni giorno perforano, frantumano e manovrano mezzi giganteschi più grandi
delle case dove tornano a sera inoltrata. Potrebbero sentirsi invincibili, in mezzo a
quella montagna che pare un anfiteatro a gradoni scavato su misura per far sedere gli
dei, se non fosse per quel rosso che al tramonto tinge la pietra e li fa sentire piccoli,
minuscoli. «Laggiù c’è solo l’aria fredda che risale dalle viscere della terra e una
montagna intera intorno, e l’oscurità che ti circonda è così grande e impenetrabile
che essere uomo è come non essere niente».100 Questo non è un modo come un altro
per guadagnarsi uno stipendio. Nel loro lavoro infatti l’incuranza e l’impazienza si
pagano a caro prezzo. Edmeo e Cavalletta per esempio sono entrati in cava come due
uomini normali e per una disattenzione sono rimasti mutilati. Sotto la terra c’è
qualcosa che parla, una forza che li spia tutte le volte in cui aprono fori sulla sua
superficie. Un mestiere di frontiera dove se hai fretta e non agisci con la testa ne
99 A. Prudenzano, Ecco perché Marcos y Marcos ha lasciato i Mulini a Vento. A malincuore…, in «affaritaliani.it», 21 gennaio 2011.100 C. Cavina, Scavare una buca, Marcos y Marcos, Milano 2010, pag. 190.
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subisci le conseguenze. E poi c’è Luciano, vent’anni soltanto, che non vorrebbe
essere lì, il padre Edmeo ce l’ha mandato nonostante il suo incidente, perché «se
avesse aspettato che qualcuno lo chiamasse per fare il geometra avrebbe fatto in
tempo a diventare vecchio»101 e ora lui spera che qualcuno lo tiri fuori di lì. I suoi
passi affondano nel terreno e i suoi occhi cercano un consiglio, un appoggio, un
aiuto. Si sposta nella cava con movimenti incerti e pieni di paura segno di una
tragedia preannunciata. Luciano non capisce che nel frastuono degli scavi, mentre i
camion alzano scie di polvere che sembrano sventurate comete, le parole sono poche
e difficili da pronunciare. La storia di questo giovane sprovveduto diventa un agile
controcanto grazie al quale il narratore svela le proprie inquietudini esistenziali:
come ha imparato a convivere con la polvere, a fare le domande giuste alle pietre di
gesso, a trovare le risposte che danno la forza e il coraggio per andare avanti. Eppure
è incapace di spiegare a quel ragazzo come si vive facendo un lavoro del genere e
non ne ha neanche il tempo. Luciano finisce infatti in coma per un incidente e mentre
tutti ritornano a loro solita vita sotto terra, egli si spegne in ospedale. Ha ragione
dunque il vecchio Necci quando all’inizio del romanzo sintetizza ironicamente che a
furia di scavare sarebbero arrivati all’inferno.
Questo libro è una storia di miniera e rende testimonianza della prima regola di vita
che bisogna osservare severamente: niente scorciatoie, niente compromessi. Al
contempo però Cavina pone in evidenza quanto sia difficile fare un mestiere dove è
molto labile il confine che separa il rispetto per la nostra terra dalle reali esigenze
umane che spingono per trasformala a proprio vantaggio.
Sembra quasi il ritorno a un mondo verghiano pre-digitale (il libro si apre citando
Rosso Malpelo) il quinto romanzo di Cristiano Cavina: una discesa nelle viscere della
101 Ivi, pag. 134.
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montagna […] è un racconto lungo, essenziale e intriso di pietas sulla dignità del
lavoro e l’impossibilità di modificare davvero gli eventi. Qualcuno si farà male. Ma
poi la vita riprenderà.102
sotto il segno di una perdita che è già fatto quotidiano, è già polvere che si consuma
e scivola via, come avveniva d’altronde anche in Verga.
I fratelli Ervas
Dopo Cavina, l’editrice Tarolo non si lascia intimorire e scopre una perla della
narrativa odierna. In realtà sono due, fratello e sorella, Luisa Carnielli e Fulvio Ervas.
Fulvio insegna scienze naturali all’interno della Pubblica istruzione a Mestre mentre
vive in provincia di Treviso, con la moglie, la figlia e un numero imprecisato di
animali domestici. Luisa lavora in un maglificio e si licenzia dopo diciassette anni
per dedicarsi alla famiglia. Aspetta il fratello che di ritorno dal lavoro si ferma nel
suo giardino profumato a Mulise del Piave per confrontarsi sulle infinte storie che
ordiscono alle spalle di coniugi e pargoli.
Durante una gravidanza difficile Luisa scrive, con il prolifico aiuto del fratello, La
lotteria. Il libro incanta tutta la famiglia e quasi per scommessa viene inviato al
Premio Calvino ma senza il nome di Fulvio come autore, poiché si rifiuta
categoricamente di considerarlo anche un suo frutto d’ingegno. Antonio Moresco,
uno dei membri della giuria, se ne innamora fin da subito e non ha esitazioni quando
dichiara che è uno dei romanzi più belli che siano pervenuti al Premio: originale,
fuori da ogni schema, un gioiello tutto da scoprire. Luisa Ervas si aggiudica il
Calvino come miglior romanzo d’esordio nel 1999 e nonostante ciò, grazie alle
102 D. Pappalardo, Polvere e fatica la vita è una miniera, in «La Repubblica», 27 novembre 2010, pag. 46.
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dinamiche sciagurate che caratterizzano l’editoria italiana, rimane senza editore, fino
al provvidenziale recupero attuato dalla MyM nel 2005, come ricorda la stessa
autrice in un’ intervista: «Credo che se non avessi trovato la Marcos y Marcos il
premio Calvino sarebbe finito nel dimenticatoio: un ramo secco dell’evoluzione
letteraria».103 I due editori fiutano la situazione, si propongono e ne viene fuori un
romanzo più fluido e snello della prima stesura.
L’Arcipelago Lansbergis, nel Mare del Nord, un tempo era popolato solo da
pescatori. La caccia alla balena reggeva l’economia locale e aleggiava dovunque
l’odore dell’olio di cetaceo. Quando le balene migrano altrove, e quell’antica attività
va in crisi, nasce l’idea della Lotteria internazionale, una lotteria grandiosa, che attira
le folle di tutto il mondo risanando così la debole economia delle isole. L’Arcipelago
si riempie di alberghi, la radio parla solo di vincite e di episodi collegati alle
estrazioni: eventi clamorosi, sempre più celebrati, mentre rimangono nell’ombra
alcune morti misteriose. Il giovane Kosh, da poco ispettore di polizia, se ne trova fra
le mani una fresca fresca: qualcuno ha fatto fuori il vecchio Cornelius Monk in casa
sua e ha frugato dappertutto. Cercando di far luce sull’intera faccenda Kosh si spinge
nei meandri dell’Arcipelago, dal Museo dei Cetacei a Lowe, l’Isola delle Tempeste,
una torba morbida sedimentata sotto tappeti di muschio e alghe marcite, dove i turisti
vanno a scavarsi una fossa per un bagno rinvigorente. Incontra la bella Hilde -capelli
rossi, occhi cerulei, «gocce abbandonate distrattamente da cieli d’inverno»104- a cui il
vecchio Monk aveva scritto più volte. E man mano che procede, annota coincidenze,
scoperchia silenzi, riapre casa e segreti della vita privata di suo padre, anch’egli
come tutti i Kosh, ispettore di polizia. Scopre intrighi sconvolgenti, vicine al Potere
103 A. Bertante, La Lotteria di Luisa Carnielli, in «Pulp Libri», settembre-ottobre 2005.104 L. Carnielli, La lotteria, Marcos y Marcos, Milano 2005, pag. 33.
70
Supremo, ovvero il Ministero della Lotteria. Soprattutto, rintraccia biglietti sempre
più inquietanti che sembrano annunciare per ogni destinatario il pericolo della fine.
Intanto tutti sull’Arcipelago Lambergis credono che le vincite siano il frutto di un
destino favorevole anche se a Kosh gli indizi sussurrano l’intervento di una mano
tutt’altro che divina. Al termine delle proprie indagini il commissario approda a una
verità inconfessabile, esempio dei problemi della contemporaneità ormai confusi e
omologati con la realtà da una macchina spettacolare priva di limiti etici e morali.
Si viene rapiti dall’originalità della trama e dalla calda, straordinaria fantasia
dell’autrice che costruisce una narrazione ricca di atmosfere avvolgenti, riflessioni
radicali e un sapiente umorismo femminile.
Il caso domina le gesta dell’uomo o la volontà è in grado di deviare il destino? Senza
tentare di rispondere a questa domanda, l’autrice ci regala una storia di grande forza
immaginifica, un garbato viaggio nelle aspirazioni e debolezze umane, nei suoi limiti e
nella sua assurda volontà di piegare le leggi della natura.105
La “piccola cooperativa di scrittura” dei fratelli Ervas sforna un altro successo,
questa volta sancito ufficialmente come libro composto a quattro mani nel settembre
del 2006. Commesse di Treviso ha infatti due voci e due amine che si alternano in
una magnifica armonia come se fossero una sola senza rinunciare a un’insolita
alternata visione che non disturba mai il lettore. Anche la trama è costruita su due
storie che scorrono parallele, alternandosi, per poi incrociarsi sul più bello.
Si inaugura in tal modo l’esordio dell’ispettore Stucky, un personaggio divenuto
ormai una figura di rilievo dei romanzi editi della casa editrice milanese.
105 A. Bertante, Recensione a Luisa Carnielli, in «Pulp Libri», luglio 2005.
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Il racconto è ambientata all’inizio delle festività natalizie e mentre le vetrine
traboccano di attrazioni sfiziose qualcuno molesta le commesse di Treviso. Un
allarme crescente fatto di telefonate anonime e aggressioni. La spinosa indagine
piomba sulla scrivania dell'ispettore Stucky, che gira a vuoto, si perde per canali e
osterie. Finché una bella commessa nera non ci lascia la pelle. La stampa si scatena,
il questore, il segretario del vescovo premono affinché risolva il mistero, ristabilendo
la normalità e un clima più propizio alla campagna acquisti natalizia. Stucky
interroga commesse belle e altissime, seguendo piste sfuggenti attraverso una
Treviso profumata e acquatica. Entra nel mondo della vittima, Jolanda, con pudore e
umanità, quasi sentendosi attratto dalla sua personalità. La commessa pare attorniata
da molti uomini, ma l’ispettore capisce che ella provava un amore inconfessabile,
qualcosa per cui vivere in gran segreto. Allora scopre seconde case e seconde vite.
Jolanda voleva un bambino da un sentimento impossibile, e ha pagato a caro prezzo
il suo desiderio nonostante avesse compreso, prima di essere uccisa, che non poteva
averne. Intanto Kuto Tarfusser, aspirante psicologo, ascolta il lungo monologo di un
nuovo paziente: Max Pierini, fondatore di discarica a conduzione familiare. Confida
al dottore di sentirsi un eroe, martire della raccolta differenziata, genio della piccola
impresa al margine dei margini. Con stile inimitabile, un’energia e una comicità che
conquistano fin dalle prime righe, Pierini celebra l’arte di adattarsi, di sfruttare al
meglio ogni circostanza, di cadere in piedi, di aderire a un’etica quanto mai
flessibile. Che si dibatta tra proteste ambientaliste, diserzioni fraterne e la
concorrenza del vicino inceneritore dei milanesi, che sbeffeggi con assoluta lucidità
le ipocrisie che lo circondano, Pierini ci cattura e ci sorprende. Diventa sempre più
sottile il passaggio dalle meraviglie avvolgenti del centro città alla commedia
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infernale della discarica infestata dai gabbiani. L’ispettore Stucky firma l’epilogo
della commessa in riva al fiume in un venticinque dicembre che gli appare senza
santità.
Il suo bioritmo, o qualche coincidenza astrale, lo trascinava in una pista di malumore e
fastidi […] Forse era la sensazione di esser al traguardo e sapeva bene quanto
detestasse quel momento, quella traiettoria putrida dove tutta la faccenda si riduce alla
mesta considerazione che una vita se n’era evaporata per qualche umana debolezza.106
Il distretto in cui opera l’ispettore Stucky è la città di Treviso, costruita e conservata
«per mostrare una certa grazia di acque ed edifici, di angoli e vedute. Per indurre una
certa arte. Per far nascere artisti».107 Eppure i fratelli Ervas includono tra le sue
meraviglie una velata ironia che colpisce il sentimento in parte nazionalista degli
italiani del nord-est, senza scivolare mai nel grottesco. La scrittura potenzia lo stile
leggero e divertente dei due autori evitando di offendere esplicitamente i trevigiani.
Non sarà un caso dunque se proprio l’ispettore è mezzo veneziano e mezzo persiano
o se il racconto si apre con una pagina del «Gazzettino» che recita con orgoglio:
Oggi possiamo dire che la città è diventata un organismo aperto: nessuno è foresto a
Treviso. Si moltiplicano le iniziative di accoglienza, gli stranieri che vivono in questo
territorio hanno ricevuto un pass, da fissare sugli abiti, su cui svetta la scritta
BENVENUTO, e sono stati rieducati i “teroristi”, coloro che misurano le qualità umane
in funzione dell’essere nati più vicino o più lontano dall’equatore. Se qualcosa rimane
sono battute da osteria. Se qualche fastidio insorgerà, sarà come un vento leggero.108
106 L. Carnielli Ervas, F. Ervas, Commesse di Treviso, Marcos y Marcos, Milano 2006, pag. 248.107 Ibidem.108 Ivi, pag. 11.
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Questa brezza sembra passare quando Landrulli, collega e ombra del commissario,
chiede informazioni venendo etichettato come terun, o quando a rimettere tutto in
equilibrio resta la saggezza di zio Cyrus o Dadà, che in mezzo al suo negozio di
tappeti persiani dispensa per il nipote ispettore piccole perle capaci di indurre Stucky
a profonde riflessioni.
Un romanzo riuscito, che con garbo, senza pretendere di farci lezione, tocca grandi
temi: il consumo ipnotico, lo sfracello del territorio, la tirannia della spazzatura,
l’atavica paura dell’altro da sé (o di quello che si crede l’altro da sé). Perfetto il
personaggio dell’imprenditore della discarica, una sorta di “filosofo della spazzatura”,
che riesce il più simpatico, e attraverso cui, senza parere, vediamo scorrere la storia
economica e sociale del Nord-est dell’ultimo trentennio. Ironia nell’ironia, la sua
storia la conosciamo attraverso le sedute analitiche, a basso costo, che egli frequenta
dopo il crollo economico.109
L’anno seguente i fratelli Ervas si lasciano incantare da un viaggio in Portogallo,
terra di confine tra l’oceano e l’Europa, e da questa esperienza nasce Succulente, un
romanzo circolare, una spirale delicata che passa dalle calli di Lisbona alle spiagge
infinite dei territori costieri. Avvolge il lettore a ritmo di fado e sorprende con un
finale inaspettato, tipico della scrittura ardita dei suoi compositori.
In una serra umida e verdissima, una donna scivola sul muschio viscido di un
gradino, batte la testa e muore. L’indomani il direttore della serra viene trovato a
pancia in giù nel laghetto delle tartarughe. Britto Mendes, medico delle piante, si
aggira inquieto per le calli, oppresso dal mistero di queste morti improvvise,
sognando la sua amata Amalia, capace di scacciare i tarli dalla sua mente. Amalia
però è fuggita da lui e da Lisbona, trovando un lavoro in riva al mare, nella Laguna
109 M. Marchetti, La striscia di Calvino, in «L’indice dei libri del mese», aprile 2007.
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di Aveiro, e ha incontrato Estrela, in fuga come lei. Insieme, disegnano sulla sabbia,
aspettano che l’acqua dissolva ogni cosa, anche le loro ansie, aprendole alle
meraviglie di un futuro possibile. A Fatima, intanto, serpentoni di pellegrini
chiedono grazia alla Senhora. Humberto, fedele factotum di padre Viseu, rimpiazza
candele e rincuora malati. Si presta a intercedere presso la Senhora per ottenere
grazie di ogni tipo, finché una donna gli chiederà l’impossibile: far morire suo figlio
Manuelito per liberarlo da una malattia senza speranza. Manuelito è a Lisbona, nella
penombra di una stanza. Dopo tante esitazioni Humberto decide di incontrarlo. Per
vie misteriose, nel suo inquieto girovagare, anche Britto Mendes giunge al suo
capezzale. Come una pianta, come l’oceano, Manuelito, essere umano reietto, malato
dalla nascita, aiuta tutti a guardare un po’ più in là. Ai confini con l’occidente, dove
il mare smonta la terra frammento dopo frammento, quattro persone cercano risposte
alle loro perdite trovando un nuovo modo di esistere.
Le Succulente che danno il titolo al libro sono delle piante grasse che crescono
ovunque e non hanno bisogno quasi di nulla. Sono l’immagine perfetta della capacità
di adattarsi alla vita, di mettere radici ovunque, come il direttore della discarica
Pierini protagonista di Commesse di Treviso, o gli stessi personaggi di questo nuovo
romanzo, che cercano disperatamente una strategia per salvare se stessi dal dolore di
ciò che hanno perso. È la stessa Luisa Carnielli a spiegare in un’intervista che, al pari
del libro precedente,
tutto parte dalla morte di qualcuno. Perché è ciò che illumina un’esistenza e ciò che la
circonda, l’ambiente sociale, le persone che conosceva, i luoghi che frequentava. Un
buon modo per iniziare una storia, ma poi volevamo parlare d’altro: del dolore di
ritrovarsi senza qualcosa che è importante e di reinventarsi una vita.110
110 L. Crinò, Tenaci come le piante, in «D la Repubblica delle donne», settembre 2007.
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Eppure cercare nelle pagine dei due autori una trama gialla è fatica sprecata.
Piuttosto viene alla luce in che modo i protagonisti del romanzo riescono a
sopravvive al dolore guardandosi dentro e scoprendosi insolitamente più forti di
quanto pensavano.
Le avventure dell’ispettore Stucky
Nel 2008 Fulvio Ervas decide di percorrere la strada da solista riprendendo un
vecchio protagonista creato con la sorella Luisa, l’ispettore Stucky con al seguito un
nutrito gruppetto di personaggi insoliti e particolari, dallo zio Cyrus al fedele
compagno Landrulli, e allo sporadico Spreafico, dall’oste Secondo alle sorelle vicine
di casa.
Ritorna dunque, sempre in chiave trevigiana, irriverente e sarcastico, con la sua
esclamazione preferita “Antimama!” e quattro casi irrisolti: due incendi, un
“fustacchione” che spinge chi corre sulle alzaie, il suicidio di una suora e l’omicidio
di un prete. Intanto Ervas delinea al meglio il nostro singolare eroe della giustizia. Ha
fatto rugby al liceo e si è quasi laureto in chimica. Approda a Venezia ad inizio
carriera trovandosi in un ambiente che non gli piace per niente, quindi scappa dalla
città d’origine per godersi la quiete di Treviso, dove vive in vicolo Dotti con una
fidanzata in “pausa di riflessione”.
Sono tempi di spritz e prosecchi in osteria quando la mattina di pasqua viene
ritrovato sulle scale del Tempio di Possagno il nero cadavere del sacerdote don
Primo che turba il panorama armonioso e solare dei colli. L’evento funesto era stato
preannunciato da un incendio doloso a un allevamento di tacchini. Si prospetta
un’indagine delicatissima, soprattutto perché il cappellano del morto è un prete
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motociclista dagli occhi fin troppo blu, don Francesco, difensore delle sorgenti
naturali contro le multinazionali dell’acqua minerale. Per di più una bella suora a lui
vicina ha gettato il velo e se stessa dalla tromba delle scale. Stucky affronta
un’inchiesta che parte in canonica, prosegue al bar e devia in casa di un matto
dall’aria di profeta. Mentre l’ispettore si immerge di gusto tra la più varia e
affascinante umanità, i trevisani devono affrontare lo scoppio di una grande fabbrica
di mangimi dalla quale si solleva una minacciosa colonna nera di fumo. Il nuovo
caso dell’ispettore puzza fin troppo. «Ma che razza di odore, caro Secondo». «Eh, si.
Terribile». «Non riesco a decifrarlo». «Strano, in effetti. Potrebbe essere …» «Dica
signor Secondo, lei che è un ottimo naso». «Pinguini arrosto. Sa di pinguini
arrosto».111 Si tratta quindi di una commedia poliziesca delicata, sottile, piena di
umorismo e di atmosfera. Ervas compone una rassegna saporita di tipi umani, ansie
di fiumi, terre sempre aggredite e nonostante ciò ancora d’incanto.
In Pinguini arrosto Ervas si lascia ispirare da un fatto realmente accaduto: l’incendio
della De Longhi a Treviso avvenuto un paio di anni fa che provocò la fuoriuscita di
sostanze velenose. Lo scrittore mescola dunque l’attenzione per l’ambiente con la
lotta contro la privatizzazione dell’acqua, perché il prezzo del progresso e dello
sviluppo a volte gli pare fin troppo caro. Il racconto è cadenzato da pagine in prima
persona, esilaranti e potenti, nella voce di Ma’ria Floreanu, un’altra “forestiera”,
badante rumena, ex passeggiatrice, profonda conoscitrice dei Promessi Sposi e
dell’animo veneto. Attraverso le sue parole la penna di Ervas si fa satirica e leggera,
snocciolando usi e costumi del nostro bel paese. Qui il romanzo smette di essere un
semplice noir e lascia spazio a considerazioni e riflessioni acute che non risparmiano
nessuno.
111 F. Ervas, Pinguini arrosto, Marcos y Marcos, Milano 2008, pagg. 210-211.
77
Prolifico come pochi, Ervas confida di essere assediato dalle storie, vicende e
personaggi gli si affollano in testa, e non gli danno pace finché non li mette al sicuro
in un romanzo. Sarà per questo che già nel 2009 pubblica con la Marcos y Marcos il
suo secondo romanzo da solista Buffalo Bill a Venezia.
Stucky ritorna nella sua città natale per aiutare la cara amica e collega Scarpa, in
nome dei vecchi tempi, quando insieme pattugliavano la laguna. Strani fatti accadono
nella Serenissima: qualcuno invia lettere anonime al «Gazzettino» contro i “barbari
invasori” mentre turisti stranieri annegano misteriosamente nei canali. L’ispettore
approda a Venezia per scatenare il suo famoso fiuto, ma è estate e si fa cogliere dalla
magia delle calli e dalla passione per le pietre millenarie che, secondo lui, hanno tutte
le risposte se sai ascoltare. Contemplando un’umanità appiedata Stucky si lascia
incantare dall’amore di un passato che non scintilla più e da due labbra carnose
create apposta per essere baciate. Sulla tortuosa strada del mistero, compaiono
personaggi stravaganti, “casi umani” che affollano le pagine e diventano simbolo
della scrittura di Ervas. Da Morgan o il signor Refosco, un uomo senza una gamba
che diventerà il suo temporaneo suggeritore, a Giovanna d’Arco o Alvise che si era
dato fuoco per illuminare la via di ritorno della donna che lo aveva abbandonato, per
concludere con l’omo de note, giustiziere dei canali, soprannominato anche dai due
ispettori Buffalo Bill, in onore all’eroe del West che arrivò a Venezia nel 1906 in
tournée con i suoi cento indiani, da vedere al prezzo di sole otto vecchie lire.
Nonostante gli ostacoli e gli intrighi un primo barlume di verità si accende nella
mente di Stucky nella notte del Redentore, quando i fuochi d’artificio di centomila
barche sfidano il buio della laguna.
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Stucky rappresenta lo sforzo di introdurre, nel panorama poliziesco nazionale, il punto
di vista di un meticcio, dato che è un po’veneziano e un po’iraniano. Questo per
sostenere che il Veneto deve sforzarsi di narrare con brio le sue trasformazioni e che la
mescolanza di geni può davvero aiutare a vedere in profondità.112
Questa volta a intercalare il racconto ci sono le lettere spedite al «Gazzettino» che
mirano a descrivere lo stato d’animo di chi patisce l’entità numerica del fenomeno
turistico in una città in cui senza di essi ci sarebbe un collasso economico di ampia
portata.
L’anno successivo compare un’altra storia dell’accattivante ispettore trevigiano
Finché c’è prosecco c’è speranza. Lo attende un ferragosto di fuoco in gita tra le
colline del prosecco con le sorelle vicine di vicolo Dotti, dove si sveglia in un letto
non suo. L’unica certezza che ha è quella di aver visto delle stelle meravigliose. Di
ritorno a Treviso, cercando conforto nel vino frizzante si imbatte nell’oste Secondo,
malinconico a causa del suicidio dell’amico conte Ancillotto, fornitore di prosecco
d’eccellenza. Perché dovrebbe suicidarsi così platealmente un uomo che ama le
donne, non ha problemi di soldi e si gode il piacere del vino? Mentre Stucky indaga a
modo suo conversando con la governante, con l’amante occasionale e il prete,
piomba in paese Celinda Salvatierra, focosa e appassionata come le terre andine da
cui proviene. Celinda è l’unica erede del conte che semina il panico tra i viticoltori
minacciando di sradicare le vigne per piantare filari di banane a perdita d’occhio. Nel
frattempo, in una notte di temporale tre colpi di pistola si confondono con i tuoni. A
finire nel fango è l’ingegner Speggiorin direttore del cementificio. L’ispettore
intravvede, grazie l’aiuto dei suoi colleghi Landrulli e Spreafico, i soliti intrighi
mondani: tradimento, vendetta e rivalità. Sentimenti che si mescolano alle bollicine 112 O. Possanza, Intervista a Fulvio Ervas, in «terranews.it», 2 luglio 2009.
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del prosecco per arrivare a un’unica verità nascosta tra la polvere che si innalza dai
camini del cementificio posandosi su insalate, acque e grappoli dorati. Occultata dal
matto del paese Isacco Pituzzo che gratta la ruggine dalle tombe e dai cancelli dei
concittadini impartendo benedizioni e “fragnoccole a destra e a sinistra con un palo
di robinia” per chi sbaglia, per chi non capisce. La penna di Ervas compone un giallo
frizzante, ironico e scorrevole, che porta il lettore in un viaggio insolito per le
meraviglie della regione veneta anche se l’autore non manca di sottolineare
puntualmente i crimini che ogni giorno commettiamo nei confronti dell’ambiente.
L’evasione riflessiva di Ervas si sofferma sui pensieri di Isacco che descrive con
sincerità e sguardo acuto i personaggi defunti del paese avvolti nei peggior vizi e
difetti, suscitando risate di buon gusto. Memorabile il momento in cui Stucky prende
lezioni da Secondo per iniziarsi all’arte del vino:
[…] I vini di qualità suscitano impressioni perse nella memoria. Quelli che
percepiamo sono i ricordi più profondi. Come se il vino fosse ancora ricolmo di elfi
impollinatori che distribuiscono tra le vigne i meravigliosi aromi della natura. Come
se il vino, e solo il vino, fosse un’enorme libreria di suggestioni olfattive. Per questo il
buon vino è cultura: come i buoni libri, ci fa immaginare.113
Nel 2010 esce l’ultimo aneddoto della fortunata serie dell’ispettore Stucky L’amore è
idrosolubile. Uno scheletro riaffiora in una porcilaia dopo un’alluvione; si mormora
che sia Alice Beltrame, una donna bella e intraprendente, scomparsa nel nulla dieci
anni prima. Così almeno sostiene una bambina veggente marocchina interpretando
un’apparizione della Madonna. Ne è certa: quei resti sono di Alice, partita con lo
zaino un bel mattino per una gita in montagna senza ritorno. L’agente Sperelli non
113 F. Ervas, Finché c’è prosecco c’è speranza, Marcos y Marcos, Milano 2009, pagg. 192-193.
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crede in tale apparizione mistica. Anche il commissario, scosso da troppe novità, è
perplesso: scheletri, madonne e la sua tranquilla quotidianità sta andando a pezzi.
Deve portare a spasso Argo, cagnetto che ride e si rimpinza di salmone come un orso
norvegese. È apparso pure Michelangelo, un adolescente da redimere armato di
ormoni simili a bombe a mano, e sua madre Elena, una donna che Stucky considera
pericolosa e portatrice di guai. Al contempo Treviso è invasa da bianchi fogli
manoscritti. Sui tavolini all’aperto, sulle panchine e sui parapetti compaiono le
fotocopie di un’agenda. Nelle pagine vengono ritratti rispettabili professionisti e
nomi di spicco della società trevisana nel loro più intimo comportamento amoroso,
paragonati a insetti, millepiedi, vermi solitari, cavallette e larve. Sono gli amori di
Alice, instabili, deboli e idrosolubili, come il sale e lo zucchero. Tremano così gli
amanti della ragazza, cercando di nascondersi e sperando di non essere riconosciuti.
Per fortuna il commissario stavolta sembra più forma che mai, pronto a trovare una
soluzione che gli pare di fiutare nell’aria.
Un giallo accattivante che unisce alla fitta trama tipica di Ervas delle pagine
accattivanti e ipnotiche, mostrando le umane debolezze di uomini tanto potenti nella
vita pubblica, quanto piccoli e insignificanti in quella privata accanto ad Alice.
Questa ragazza dall’amore innato per gli insetti è stata uccisa o si è dileguata
approfittando della sua competenza di agente turistico? E Michelangelo, lo aveva
fatto arrabbiare in quel modo? Molte domande, pochi riscontri. «Ecco un
bell’argomento: avere problemi! Soluzioni, il mondo scarseggia di soluzioni e il
punto è: non riesce a trovare le soluzioni adatte».114 Il quinto episodio della saga
poliziesca di Ervas si mette in moto con tutti gli elementi della continuità seriale
114 F. Ervas, L’amore è idrosolubile, Marcos y Marcos, Milano 2011, pag. 15.
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tipica di questo genere, e con le novità rappresentate da nuove tipologie umane
sempre in bilico tra la più alta stramberia e un pizzico di sana normalità.
È all’insegna della gradevolezza il tempo che finisci per passare con Stucky,
l’ispettore italo-persiano di Treviso protagonista dei romanzi di Fulvio Ervas, alla sua
quinta avventura con L’amore è idrosolubile. Romanzi sì gialli, ma dove i fatti
potenzialmente criminali lievitano accampandosi in primo piano solo nelle fasi
conclusive grazie a un’accelerazione dovuta a indizi emergenti proprio dallo sguardo
sull’ ambiente in cui la vicenda si svolge. Insomma: ironici romanzi d’ambiente col
morto. […] Un Ervas di piena appartenenza alla tradizione narrativa veneta, ricca di
sapori e dissapori, humor nero e un pizzico di follia: sia pur nella versione che al
grottesco sostituisce il sorriso.115
I versi di Pusterla
I due editori decidono di includere nell’intento nei titoli de Gli alianti anche la
poesia, in modo tale che la produzione in versi venga percepita dal lettore come
elemento importante che distingue la Marcos y Marcos e nello stesso tempo, si
accompagna alla produzione di narrativa.
Nel 1999 pubblicano la terza raccolta di Fabio Pusterla. Dopo Bocksten e Le cose
senza storia, è il momento di Pietra sangue. La penna del poeta tratteggia muri che
crollano, rottami sulle onde, come in un trionfo di pagine e brandelli. Sfilano le cose
tra luce e oscurità e sono quasi più i drammi che le gioie descritte. Vengono cantati
luoghi cupi e immagini piene di strappi, da una voce sommessa che sale dal basso e
parla piano. Traccia cammini fatti di contrasti vivi, dolorosi: ma è la forza di quella
115 E. Paccagnini, Mistero di donna per il commissario, in «Corriere della Sera», 18 giugno 2011, pag. 55.
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voce poi, a condurre ben oltre la disperazione. Proprio ciò che è inutile sa di intenso,
ciò che cade in rovina alimenta la memoria. Con l’aiuto della penna, la voce per un
istante ricompone lo strappo, lo sguardo avvista qualcosa che rimane: la poesia,
appunto. Ritroviamo in questo libro tutte le componenti pusterliane: il gelo, il vento,
il silenzio. Ci portano in una terra desolata, dove l’inverno sembra non finire mai e il
sole quando arriva va via subito, depositando qua e là gocce di luce. A differenza
delle precedenti raccolte si respira l’inarrestabile incedere del vuoto «so troppo bene
cos’è svegliarsi di notte, / tendere invano l’orecchio, maledire / il nulla che ti
attornia, / un muro inerte»,116 di un crollo che risucchia ogni cosa, comprese la
memoria e la parola.
Se è vero che questi sono sempre stati i temi amati da Pusterla, rispetto al passato
però si nota che le sue immagini non hanno quasi più alcuna connotazione simbolico-
esistenziale. Per il poeta ticinese il confronto con gli elementi più cupi della vita
coincide con il disperato tentativo di vivere nella verità, di non gridare solo per
paura, di accettare senza inganni la vita per quello che effettivamente è:
un’esperienza in fondo inconcludente priva di un senso vero. Insomma, Pusterla
vuole imboccare la strada impervia della verità, accedere a quel giardino dove le cose
non sono solo nere o bianche, ma dolcissimo appare un campo di colori. La sua
speranza, forse, è di fuoriuscire da quel nero abisso nel quale si è gettato con
Bocksten e, dopo aver affrontato il buio, la privazione, vedere una nuova luce. Se in
parte la speranza si è ridestata in Le cose senza storia, in Pietra sangue tutto ritorna a
essere un sogno, anzi tutto ritorna a essere vita, solo dura vita. «Se la nebbia si apre,
per un attimo, / se il vento delle altezze alza il sipario in un turbine, / proprio là dove
116 F. Pusterla, Pietra sangue, Marcos y Marcos, Milano 1999, pag. 84.
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il caso indirizza lo sguardo, / appare, chiaro, un lembo di montagna, ma staccata / da
terra, quasi in volo: aquila immensa / di roccia nera e neve, artiglio ed ala».117
Il titolo allude alla lavorazione artigianale della scagliola o “marmo dei poveri”.
Pusterla, nelle fitte note al libro, spiega come in una valle comasca, gli scagliolisti
usavano lucidare la lastra dallo sfondo generalmente nero, decorato da intagli e
disegni stilizzati in vari colori, con sette diverse pietre gelosamente custodite.
L’ultima di queste pietre, verosimilmente l’ematite, è detta in dialetto piétra saanch.
La lucidatura con questa pietra era importantissima ma non priva di rischi: infatti
l'ematite la tìra fö 'l bèl e la làsa lì 'l brüt. Tanto lavoro dunque per pochi istanti in
cui mostra bagliori luminosi. È difficile capire veramente cosa rappresenti per
Pusterla la “luce”, l’entità più ricorrente di tutte le sue composizioni. Si scorgono qua
e là, fra forme cupe desolanti e fortemente malinconiche, bandiere sgualcite di una
sconfitta inesorabile e senza appello, mentre si insinuano sottili brandelli di qualcosa
che vuole sopravvivere, qualcosa che possa essere ricordato, vissuto nella serenità di
un vuoto che appare al poeta inarrestabile, totale. Nell’ultima significativa poesia
Pusterla scrive:
qui / non si può più parlare delle cose, / ormai scomparse o scordate o inconoscibili; /
solo resta l’amore o la sua ombra, / il segno di una luce traslocata, unica traccia / esile,
filiforme, da seguire / a distanza, come un volo / improbabile, alto / e forse in grado /
di attraversare la tormenta, di forare / la spessa volta del cielo. Ora è viaggio / muto.118
Alla fine del 2011 Pietra sangue è riproposto in una nuova edizione con una veste
grafica più moderna che non muta l’aspetto elegante e sobrio donatogli dalla casa
editrice dieci anni prima.
117 Ivi, pag. 16.118 Ivi, pag. 132.
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Puntuale per tradizione, il poeta dopo cinque anni, assembla i suoi scritti nella nuova
collezione di versi del 2004. In Folla sommersa molte voci si levano dal disastro
contemporaneo, come un coro sommesso. Corpi sfiniti si alzano in piedi, guardano
verso l’alto, verso le nuvole che a tratti si squarciano anche solo per pochi istanti.
Appare la vastità di uno spazio, un po’ a forza. Una speranza simbolicamente
rappresentata dal volo di due alianti sopra Lione o dal respiro profondo dei nostri
anni disorientati. Appaiono allora lo sguardo misterioso di un animale, la corsa a
perdifiato di un bambino: oggetti e eventi in dissolvenza, presenze che confondono
con la gente.
La poesia di Pusterla assume il tono di un ampio recitativo, cerca il suo cammino
faticoso in mezzo alla folla degli esseri umani: volti senza volto, non ancora del tutto
sconfitti, fantasmi della memoria che perdurano, occhi sbarrati, mani sfuggenti. Le
parole cercano allora la materia delle cose, la luce che rade il mondo e lo rivela, l’eco
di un canto impossibile a cui non si può rinunciare. Qualcosa preme di nuovo verso il
basso, schiaccia l’orizzonte e morde i giorni: fiumi che si gonfiano e spazzano via il
paesaggio, franamenti, anonime tragedie quotidiane. La storia, umana e inumana, la
cronaca impietosa, il ricordo e l’oblio si affrontano sotto un cielo plumbeo e pesante.
«Perché vivere qui? Chiede ogni voce / che ammira la nostra rovina. Perché
insistere / in una lotta assurda, in una sfida / ormai priva di senso? Anche questo, /
anche questo dunque ci vorreste levare, / ipocriti compagni di disastro».119
La terra montanara del poeta diviene dunque esempio del lento scivolamento nel
buio e nel fango causato delle effimere rimozioni degli uomini. Non resta allora che
imparare dalle semplici creature una “lezione salvifica” che riconduca alla perduta
innocenza. Può essere il volo degli uccelli che installa un desiderio di elevazione,
119 F. Pusterla, Folla sommersa, Marcos y Marcos, Milano 2004, pag. 21.
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oppure l’illimitata pietas di un felino bianco rimasto un’intera giornata presso il
compagno massacrato sul ciglio di una strada a suscitare l’attenzione di due ragazzi
appena iniziati alla vita. Nei nuovi versi del poeta ticinese, rispetto alle opere
precedenti, è più forte e sentito il contenuto civile, i rimandi alla sua tradizione, a una
civiltà che si rivela in pieno disfacimento.
Intanto nel 2007 gli viene conferito il Prix Gottfried Keller, prestigioso
riconoscimento letterario elvetico e nel 2009 vince il Premio Dessì. L’anno dopo
arriva il più importante e antico premio letterario svizzero, il Prix Schiller, per
l’ottima pubblicazione della sua ultima raccolta Corpo stellare edita nel 2010, ancora
una volta, presso la MyM.
Spicca il volo l’ultima fatica poetica di Pusterla con quella sua solita inclinazione a
percepire nel paesaggio che ama luoghi incerti e franosi, misteriose caverne e dirupi,
corsi d’acqua in movimento, che amplificano il senso di precarietà ben espresso in
Folla sommersa. Lo scavo interiore prosegue nel seguire le tracce dell’armadillo,
animale notturno dalla vita scarsa, che tuttavia «si incammina controvento»120.
L’armadillo parla come un poeta capace di pensare che lo spazio riesca a serbare
qualche traccia del suo fantasticare controcorrente, per tale motivo esorta il lettore a
guardarlo in maniera diversa: «Leggetemi al contrario: sono il viaggio / da compiere,
la meta non raggiunta, / il corpo da ritrovare».121 Risiede nel viaggio di quest’animale
insolito il senso della poesia di Pusterla, facendo dei versi un canto che ingloba
animali e uomini dispersi, sradicati, emigrati, esclusi. Solo alla fine scorgiamo «gli
improvvisi incanti, i misteriosi segnali di una vita ancora possibile laddove
sembrerebbe più negata, la tenacia della speranza e della “gioia intraducibile”, la
120 F. Pusterla, Corpo stellare, Marcos y Marcos, Milano 2010, pag. 120.121 Ivi, pag. 65.
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luce, l’anima».122 Riscontriamo una voce più tenue e lirica in poesie come Distanza o
Corpo stellare, che dà il titolo al libro e ci trasporta attraverso un senso cosmico
profondo, simbolo della tradizione di Orelli e Sereni: «Sei una cosa / che nessuna
parola può dire e che in ogni parola / risuona come l’eco di un lento respiro».123
Reinventarsi la letteratura
Nel 2009 la coppia Tarolo-Zapparoli pubblica un nuovo autore, Maurizio Matrone,
ex poliziotto già avvezzo alla scrittura, nell’ambito dell’iniziativa Letteratura
rinnovabile. Il commissario incantato è infatti un romanzo-cover di uno dei testi più
amati dall’autore ovvero La vita intensa di Massimo Bontempelli. L’idea da cui
partono Matrone e i suoi editori consiste nel riscrivere un romanzo: «Similmente al
Disk Jockey, non può esistere un Book Jockey capace di far “risuonare” i libri che
più si amano? Cover mix e re-mix letterari possono dar vita ad opere nuove e
sorprendenti. E talvolta più interessanti degli originali».124 Di Bontempelli sono
rimasti alcuni pezzi mentre altri sono nuovi. L’intera vicenda è spostata da Milano a
Bologna e il protagonista è diventato un poliziotto-scrittore.125 Eppure lo scheletro
del romanzo originale è rimasto.
Un commissario appena promosso per meriti letterari scrive all’amica Wilma
affinché si distragga un po’. Wilma è morta qualche tempo prima e non può più
lasciarsi trasportare dai libri come era solita fare nella sua libreria. Il suo amico
122 G. Tesio, L’armadillo controvento, in «La Stampa TuttoLibri», 21 agosto 2010, pag. 6.123 F. Pusterla, op. cit., pag. 106.124 G. Randaccio, Intervista a Maurizio Matrone, in «re-censore.com», novembre 2008.125 La vita intensa è il titolo del primo dei dieci micro romanzi di Massimo Bontempelli pubblicati nel 1919, da marzo a dicembre, su «Ardita», il supplemento letterario del «Il Popolo d’Italia» diretto da Arnaldo Mussolini. Ciascuno dei primi nove episodi ha il sottotitolo «romanzo d'avventure», che manca invece al decimo episodio, Romanzo dei romanzi. Quando nel 1920 i dieci racconti furono pubblicati insieme (Firenze, Vallecchi, 1920), Bontempelli volle presentarli come «un» romanzo, aggiungendo al titolo La vita intensa il sottotitolo Romanzo dei romanzi.
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poliziotto non smette però di raccontarle le avventure esilaranti capitategli prima e
dopo essere entrato nell’Arma. Avventure con donne dai capelli rossi, tentativi di
allevare gatti da pesca, scherzi macabri a una tabaccaia e appostamenti falliti. Fatti
accaduti a Bologna in anni recenti. Vicinissimi però nello spirito agli avvenimenti
vissuti da uno scrittore a Milano, novant’anni fa. Storie recitate da Bontempelli e ora
riaffiorate attraverso una nuova voce. Il migliore omaggio possibile a un grande
autore del secolo passato.
Non a caso, Matrone ci consiglia la lettura di Bontempelli […] che sosteneva
l’importanza dell’immaginazione, come strumento di lavoro della scrittura,
denominando la sua poetica “realismo magico”. È quindi una maniera per avvertirci di
una volontà di sperimentazione, senza prescindere dalla sua anima nera. Un
cambiamento di cui molti lettori avvertono la necessità.126
L’anno scorso la MyM edita l’ultimo romanzo di Matrone Piazza dell’Unità. Schen
Li è bellissima e ama Mohammad di un sentimento divorante e viscerale. Pure lui
prova qualcosa, però adora anche la cocaina e la spaccia per comprarsi vestiti firmati
e qualche volta, rapporti orali dalle russe di via Stalingrado. Per esempio da Tatiana
Dragan, una gran bella ragazza, che quando bacia Mohammad non capisce più
niente. Scherza con il fuoco, questo ragazzo. Schen Li sente il suo corpo diventare
zucchero filato quando fanno l’amore, tuttavia gli ha giurato che se lo becca con
quella Tatiana glielo taglia. Si preannuncia una tremenda vendetta che potrebbe
rimanere impunita se non fosse per Michel, testimone involontario. Michel è un
ragazzo di colore enorme vestito sempre di nero. Studia medicina ma poco importa a
Gigliola e Arturo che sfogano su di lui un vizio segreto per motivi inerenti al
126 S. Mammano, Vita di un commissario bohémienne, in «La Repubblica», 15 aprile 2008, pag. 13.
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“sistema metrico decimale”. Più che un sottobosco Matrone descrive una fitta
foresta, la Bologna dello sbando, del piccolo e del grande crimine, del chiodo fisso:
sesso, denaro, cocaina, sesso. Ogni tanto troviamo piccoli barlumi di speranza dove
l’amore dolce si mescola al coraggio e alla poesia. Intanto cinquemila euro volano di
tasca in tasca per finire nelle mani di un bambino ed esaudire un sogno. Un romanzo
disincantato che incanta, incrociando destini comici e tragici come nel canto di un
coro o in una danza. Un libro che narra le difficoltà degli immigrati di seconda
generazione che pur nascendo in Italia sono ancora stranieri, più che all’unità degli
italiani, lo scrittore mira infatti all’unità di tutte le etnie che compongono la nostra
nazione.
I giochi narrativi di un giornalista
Si moltiplica in modo propizio la schiera degli scrittori italiani che compongono il
catalogo della Marcos y Marcos includendo tre romanzi del giornalista Lello
Gurrado. Il primo, Assassinio in libreria edito per la collana MarcosUltra, il secondo
La scommessa, è invece inserito ne Gli alianti nel 2010. Allo scrittore piace giocare
al limite tra il mondo dei libri e la realtà. Pare un azzardo infatti la storia raccontata
dall’abile penna di Gurrado.
Potrebbe essere l’incubo di ogni scrittore finire in carcere con il critico letterario che
lo segue da sempre e indovina fastidiosamente il finale di tutti i suoi gialli. In cella,
in refettorio, in infermeria non gli dà tregua: vuole proporgli una scommessa e cova
propositi sinistri. Lo sfida invitandolo a dar vita ad un romanzo davanti a lui,
convinto di poter indovinare anche così chi è l’assassino. È difficile desistere quando
la posta in gioco propostagli è la libertà. Lo scrittore allora cede, e scandisce la storia
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su una vecchia macchina da scrivere subendo le continue interruzioni del critico
impertinente. Nel frattempo Baby Evert, ragazza solare e coraggiosa, muore in
circostanze misteriose, e nella casa dell’amante, sposatissimo finanziere
cinquantenne, penetrano spifferi, esplodono uragani. Personaggi e racconti invadono
la cornice fin troppo tranquilla e silenziosa del carcere modello di Santa Vittoria.
Cosa ci fanno un critico e un autore lì è un mistero da svelare. «La risposta finale si
cela nell’artificio letterario, dove solo un bravo scrittore sa intervenire con l’arma
della seduzione. C’è una risposta a tutto, prima però bisogna arrivare al cuore
nascosto di questa singolare scommessa».127
Il terzo titolo del giornalista pubblicato con la casa editrice milanese è Invertendo
l’ordine dei fattori pubblicato nel 2011. Gianni era un orologiaio esperto, come suo
padre, come suo nonno. Nel suo negozio si circondava di meccanismi eleganti e
perfetti. Ogni sera alle sei aspettava con il fiato sospeso il magico coro dei cucù. Di lì
a poco però la plastica, i centri commerciali e gli orologi usa e getta fanno
impolverare le sue vetrine. Il figlio Marco tesse dunque alleanze con la famigerata
Clock House per salvare la famiglia e il negozio diventa uno dei tanti, con una
musica di sottofondo uguale a quella che si sente negli outlet, niente più ticchetii e
gong. Gianni è ancora direttore, ma nessuno sembra avere bisogno di lui. Quindi
basta, è necessario cambiare. Smontare gli ingranaggi prima che gli ingranaggi
smontino lui. Gli si apre una strada, un mondo, pieno di incontri, scoperte e sorprese.
Il suo sguardo è più aperto e il suo cuore più caldo. La vita d’un tratto, gli appare
destinata alla gloria. Per Gianni è arrivato quel giorno in cui un uomo non riconosce
l’ambiente in cui vive e il suo lavoro non ha alcun senso. Entra dunque in una
profonda crisi esistenziale. Solo per poco però, perché il nostro protagonista ci
127 S. Pent, Due enigmi in carcere, in «La Stampa TuttoLibri», 3 luglio 2010, pag. 3.
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mostra come abbandonarsi alla vita senza rimpianti né rimorsi, uscendo dalla fila
della normalità per scoprire che sulla soglia della follia c’è la libertà.
Lello Gurrado approfitta, ancora una volta, di una situazione estrema, quasi
paradossale, per raccontarci tramite un romanzo le virtù del cambiamento e delle
trasformazioni. Immediatezza e realismo sono i pregi portanti di questo romanzo, che
lungi dall’essere un trattato filosofico, traccia in maniera indelebile i tratti umani dei
personaggi della storia. Una perla di saggezza in cui la follia si lega alla virtù del saper
comprendere.128
2011: Il boom dei libri italiani
L’anno in cui la Marcos y Marcos festeggia i suoi trent’anni coincide con l’uscita di
molti titoli italiani. Chi aveva pubblicato precedentemente con loro, come Fulvio
Ervas, Maurizio Matrone e Lello Gurrado, propone un nuovo romanzo e allo stesso
tempo si intensificano le uscite di autori inediti. Ne sono un esempio i romanzi di
Felice Cimatti con Senza colpa, Osimo Bruno e il suo Dizionario affettivo della
lingua ebraica e Giorgio Caponetti con Quando l’automobile uccise la cavalleria.
Per la poesia invece i due editori si spingono in là pubblicando la rivalutazione della
lettura orale dei versi introdotta da Paolo Nori nel suo La meravigliosa utilità del filo
a piombo, un vecchio classico della scrittura lirica nostrana La corsa dei mantelli di
Milo De Angelis, e Come non piangerti di Cristina Alziati, definita nell’introduzione
redatta da Pusterla «una scrittrice vera, in grado di emergere e mantenere il passo
poetico che al momento nessuno possiede in Italia». In un’intervista sono gli stessi
editori a spiegare le loro scelte in tal modo:
128 E. Cristofaro, Lello Gurrado Invertendo l’ordine dei fattori, in «martemagazine.it», novembre 2011.
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Per noi il 2011 rappresenta l’anno della fierezza, l’anno in cui festeggiamo la nostra
indipendenza, il lavoro di anni e anni accanto ai nostri autori. La poesia è un
giacimento inesauribile di immagini, pensieri, forze. Chi la ama la segue con una
passione immutata, oggi come trent’anni fa. La corsa dei mantelli è un libro che
abbiamo ammirato e riletto da giovanissimi, appena prima che nascesse la casa
editrice. […] La riproposta di Pietra sangue di Pusterla si affianca perfettamente a una
pietra miliare come De Angelis. A chiudere il cerchio, Cristina Alziati, che per noi
rappresenta la grande scoperta del momento. Questi tre libri fanno famiglia, così come
per noi la casa editrice è davvero, soprattutto una casa.129
La MyM festeggia anche con una nuova collana di titoli in edizione limitata, Tredici,
che raccoglie il meglio della produzione. Oltre a libri di culto come Una banda di
idioti di John Kennedy Toole, Boris Vian La schiuma dei giorni, In viaggio
contromano di Michael Zadoorian o Ángeles Caso con il suo Controvento, spiccano
due autori italiani che non potevano mancare, con i loro romanzi più apprezzati.
Stiamo parlando di Fulvio Ervas con Finché c’è prosecco c’è speranza e I frutti
dimenticati di Cristiano Cavina.
2.6. I MarcosUltra e altri racconti
Chiudiamo la panoramica di libri italiani fin qui prodotta con la descrizione di una
collana giovane ed eclettica che fa la sua prima apparizione nel 2009 insieme ai
tascabili MiniMarcos. I MarcosUltra sono interamente dedicati ad autori nazionali
129 A. Prudenzano, Marcos y Marcos il coraggio di insistere con la poesia, in «affaritaliani.it», 1 novembre 2011.
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che si contraddistinguono per una scrittura inconsueta e tematiche forti, dalle quali
nascono esperimenti narrativi davvero singolari.
Sono inseriti dunque in questa scelta i romanzi Follia docente del già citato Ervas;
Zamel del direttore di «Testo a fronte» Franco Buffoni; Il tartufo e la polvere del
regista Quaglia Stefano, e Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare del
narratore e ironico poeta Vincenzo Costantino. L’emblema del carattere originale
della collezione è rappresentato dalla prima pubblicazione Assassinio in libreria di
Lello Gurrado. Assistiamo nelle pagine di tale scrittore ad un gioco letterario dai
risvolti imprevedibili.
Chi ha ucciso Tecla Dozio? Con un prosecco al cianuro la libraia cade a terra nella
sua libreria, la mitica Sherlockiana di Milano, sotto gli occhi stupefatti degli amici
scrittori venuti a festeggiarla. Pinketts, Biondillo, Faletti, Lucarelli, Camilleri
vorrebbero contribuire alle indagini; Fred Vargas, Jeffrey Deaver, Michael Connoly
e gli altri divi internazionali dubitano dei metodi della polizia italiana e si
intromettono a più non posso. L’assassino, intanto, trama nell’ombra, deciso a
pubblicare i suoi romanzi che tutti, a partire da Tecla, hanno sempre respinto,
assorbendo la peggior qualità dell’ambiente letterario: l’invidia. Un intreccio
narrativo tutto da gustare che suscita la curiosità del lettore continuando a stupirlo
con un linguaggio ironico e diretto. Il romanzo di Gurrado si delinea per uno stile
paradossale e sovversivo come il resto dei titoli MarcosUltra. Assassinio in libreria è
presentato il giorno della festa d’addio alla storica libreria milanese di via Peschiera,
che chiude i battenti perché inglobata in logiche di mercato troppo dure. Un gran
dispiacere per gli amanti del giallo e per i lettori affezionati a questo luogo di culto e
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cultura indimenticabile. Un caro omaggio dei due editori e dello scrittore a un pezzo
di storia di Milano.
Durante l’intero arco di vita della casa editrice al catalogo si aggiunge
sporadicamente una raccolta di racconti. Nel 2001 viene pubblicata l’antologia
California realizzata insieme alla collaborazione con gli allievi del terzo corso di
editoria. Si tratta di un percorso che tocca, attraverso undici parole chiave, altrettante
stazioni e fermate in giro per la California. L’anno dopo esce Il quarto re magio.
Storie di natale che riunisce racconti di tutto il continente in cui spiccano tra gli altri
gli italiani Cavina, Pasolini e Tondelli.
Sotto l’attenta cura di Enrico Fermi, la MyM edita nel 2005 Racconti di un giorno
che sai. In un mondo dove non è più concesso invecchiare, la morte è l’ultimo tabù:
relegata in un luogo a parte, passa per indecorosa mancanza di stile, imperdonabile
carenza della scienza medica. Chi ha il cattivo gusto di ammalarsi e morire, è invitato
a farlo discretamente, negando fino all’ultimo l’evidenza.
L’idea di questo libro è nata in riva al mare, nel carnaio della riviera adriatica in piena
estate. Ricordando la valigia di cartone che un tempo nelle campagne dell’Emilia tutti
tenevano pronta. Dibattendo, in quel contesto stranamente propizio, della dignità che
l’uomo deve conservare. Anche quando si appresta a sciogliere le vele.130
Quattordici autori hanno affrontato di petto questo tema così scomodo: da Daniele
Benni a Paolo Nori, da Giovanni Busetta a Maurizio Matrone, da Sandro Veronesi a
Dario Voltolini e Emidio Clementi. Ciascuno a suo modo racconta la morte in chiave
comica, appassionata, riflessiva e poliziesca. Questi racconti sono testimonianze
umanamente autentiche che desiderano rimediare alla negazione e al silenzio
130 E. Ferri, a cura di, Racconti di un giorno che sai, Marcos y Marcos, Milano 2005.
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imperante. Un libro per richiamare l’attenzione di chi –associazioni di volontari,
medici di base, medici palliativisti- affronta ogni giorno i problemi dei malati gravi o
inguaribili, lottando contro la cultura dominante che sponsorizza l’eterna giovinezza
e la medicina onnipotente.
Allora si fermò di nuovo e capì che c’era una cosa che doveva sapere, una domanda
che solo lì, al largo, durante quel bagno fuori stagione, avrebbe potuto fare. In quello
spazio che percepiva puro, libero da ogni scoria di banalità, in cui nemmeno della
paura si provava imbarazzo. E così, tenendosi a galla solo con le gambe, aspettò che
l’amico lo raggiungesse, e quando gli fu accanto gli chiese: Come funziona quando
succede, Sergio? Come funziona in quell’attimo secco, quando la luce si spegne?131
Da tre anni gli editori si impegnano a pubblicare i racconti inediti dei partecipanti al
premio letterario che la città di Carpi organizza per onorare lo scrittore Arturo Loira.
Dall’’iniziativa nascono quindi, in compartecipazione con la biblioteca comunale, le
raccolte Il comunista e altri racconti 2008, Funeral Train e altri racconti 2009, Due
clips di bakelite e altri racconti 2010. Inoltre, nell’ambito dell’iniziativa Letteratura
rinnovabile, esce l’almanacco delle cover vincitrici del concorso L’arte di copiare,
sottolineando l’apertura, voluta da Zapparoli e Tarolo, verso nuovi orizzonti di
narrativa e composizione inedita.
2.7. Uno stile narrativo differente
131 E. Clementi, Un bagno al largo fuori stagione, Ivi, pag. 101.
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La rassegna di titoli fin qui condotta mostra come la produzione italiana sia ricca di
voci, riferimenti culturali e visioni differenti. Come si è avuto modo di notare, gli
autori della casa editrice si distinguono per uno stile narrativo originale e inconsueto.
Qui di seguito cercheremo di delinearlo meglio, analizzando gli scrittori più
rappresentativi del catalogo.
Gaetano Neri pubblica con la Marcos y Marcos cinque romanzi nei quali mostra lo
stile surrealista e ironico della sua scrittura. Con un linguaggio semplice che non
porta mai il lettore a mirabolanti giri di parole, Neri descrive le piccole manie a cui
sono soggetti tutti gli esseri umani, trasformandole però in tormenti che
condizionano la vita dei suoi personaggi, intrappolati nelle loro follie. Nonostante ciò
la scrittura non è mai torbida o complicata, anzi appare sempre limpido e scevro da
ogni tipo di orpelli. Attraverso il tema dell’assurdo la scrittura si fa lirica e tesa a
descrivere ossessioni che, nonostante il loro taglio surrealistico, sembrano vere e
vissute appassionatamente. Neri cela dietro l’ironia le fragilità umane rivelando come
gli uomini siano soggetti a un destino crudele e malinconico.
I primi due romanzi di Davide Longo mostrano una forma di espressione particolare,
tesa a giocare con zone di luce e ombra. La sua scrittura coincide con un
avvicendarsi di vuoti e descrizioni dettagliate. Il fatto di non esserci il dialogo diretto
non rappresenta un impedimento alla trama, perché i gesti o i piccoli dettagli fornitici
da Longo permettono al lettore di comprendere la trama della storia. La sua penna si
fa essenziale e concreta, il linguaggio definisce le emozioni dei protagonisti senza
troppe parole. Niente infatti è lasciato al caso e in tal modo chi legge resta coinvolto
nel mistero dall’incipit del romanzo all’epilogo. Ne Il mangiatore di pietre ad
esempio, Longo costruisce un noir nel quale affida al suo destinatario il compito di
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capire cosa si svela dietro i tanti silenzi dei personaggi. Fino alle ultime pagine non si
comprende se Cesare, il protagonista, è un eroe o un uomo che fa un lavoro illegale.
L’autore sospende ogni giudizio per poi dedicargli un finale inaspettato che tenta di
elevare il personaggio a modello di un’etica fondata sulla tradizione e su valori
positivi. Lo stile di Longo non cede mai il passo alla retorica o a trasalimenti lirici,
divenendo impeccabile nel descrivere la cronaca di eventi che possono turbare
l’animo umano. Racconta le vicende con ritmo lento, scandito da molte pause,
delineando l’aspetto calmo e solitario della montagna. Non per nulla molti critici,
come abbiamo già rilevato, lo accostano alla scrittura di Pavese e Fenoglio per le sue
spezzature del testo, per le minuziose descrizioni e la volontà di lasciar parlare la
storia.
Quella di Cazzola è invece una scrittura segnata da un impeto morale. Lungo i tre
racconti de La fedeltà quest’ultima si caratterizza come un sentimento che i
personaggi provano verso un amore assente, al quale l’autore dà un’immagine e una
voce più forte, più chiara dell’io che parla. Una strategia narrativa che procede
dunque per rilevare il peso del vuoto lasciato da chi non c’è più. Se i primi due
racconti risultano stilisticamente e strutturalmente perfetti, l’ultimo propone una
storia incompiuta ancora da perfezionare: la brevità del testo lascia spazi bianchi o
addensa materiali che sembrano aspettare un più esteso sviluppo. Cazzola rifinisce la
pagina arricchendola di molti riferimenti colti che attraggono l’attenzione del lettore.
Eppure il suo sguardo è una sonda puntualissima che lo riporta subito a cogliere il
disagio di vivere, il malessere della sopravvivenza, lo strazio di chi non vuole
dimenticare o non può. Un’idea di narrazione e di scrittura essenziale e rarefatta che
ha il gusto di un lungo e malinconico addio.
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Lo stile narrativo di Cristiano Cavina è l’esempio perfetto di come un autore cresce
all’interno della Marcos y Marcos giungendo a scelte stilistiche più definite e mature.
Nei tre romanzi iniziali l’io narrante prediletto dall’autore è sempre un bambino. La
lingua perciò è costruita attraverso un periodare secco, dal ritmo entusiasta e veloce,
ricco di metafore infantili perfettamente calato nella parte del protagonista. Ne è un
esempio Alla grande, un libro che ha il pregio di essere sincero e immediato mentre
si viene travolti dalla fantasia deformante del protagonista. Lo spazio in cui si muove
Bla, e con lui anche i personaggi dei romanzi successivi, è Casola Valsenio, il paese
d’origine dello stesso Cavina. Grazie ai riferimenti autobiografici anche le figure
secondarie tratteggiate dello scrittore si rivelano sempre autentiche nei gesti come
nelle parole. I ragazzi a cui dà voce l’autore appaiono così veri che il lettore spesso
finisce per dimenticarsi della realtà attraverso la capacità di spalancare davanti agli
occhi un mondo che, senza lo sguardo ingenuo e scanzonato dell’infanzia, sarebbe
desolato e privo di magia. Un’ultima stagione da esordienti che dà il titolo al terzo
libro di Cavina segna invece l’evoluzione dell’autore. Come i ragazzi della squadra
di calcio si accingono a diventare adolescenti, così Cavina passa da autore emergente
a scrittore affermato, apprezzato sia dalla critica che dal pubblico. Con I frutti
dimenticati e Scavare una buca, Cavina affronta infatti temi più complessi. Se il
primo mette a nudo la difficoltà della perdita di una persona amata e dell’essere
padre, con il secondo lo scrittore romagnolo si imbatte in un tema delicato e
controverso. Lo spazio in cui si muovono entrambi i romanzi è sempre Casola
Valsenio, anche se nell’ultimo libro lo scrittore sposta l’ambientazione dal paese alla
cava di gesso a pochi chilometri. Cavina mantiene intatto quello stile semplice, con
molte frasi brevi e punti a capo delle opere precedenti, ma il ritmo è più dolce e
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lento, teso a cogliere lo scavo interiore delle figure che appaiono nelle pagine. In
Scavare una buca, in particolare, si coglie perfettamente la dura esistenza condotta
dai minatori e la denuncia delle enormi responsabilità che ci si assume quando si fa
un lavoro pericoloso. Grazie al sapiente lavoro di ricerca condotto da Cavina sul
mondo dei minatori il lettore riesce a immaginare senza difficoltà l’ambientazione.
Con puntigliosa attenzione vengono descritti persino i grossi mezzi usati per scavare
e perforare, in modo tale che non sfugga niente.
Nel catalogo della casa editrice ritroviamo poi un altro modello narrativo originale,
questa volta firmato dalla scrittrice Luisa Carnielli Ervas. Il suo romanzo La lotteria,
premio Calvino 1999, è composto mediante una fitta trama a cui partecipa anche la
creatività del fratello Fulvio Ervas. La Carnielli Ervas sfodera una scrittura attenta
ma non pedante. Anzi attraverso un’insolita leggerezza costruisce il racconto
basandolo sulla creazione di un mondo, l’arcipelago Lansbergic, molto lontano da
noi, eppure in certi aspetti così vicino. Come spiega l’autrice in un’intervista questo
luogo rappresenta l’emblema di cosa succede quando:
costruisci una società fondandola sull’insensatezza, sia essa spreco, distruzione, debito
o avidità, arrivi a dover affrontare contraddizioni sempre più difficili da risolvere. Una
delle idee del romanzo è che se sbagli ad impostare la tua esistenza materiale, ti
condanni a grottesche soluzioni, come appunto la Lotteria.132
La trama della scrittrice riesce a trovare un equilibrio tra molti aspetti fantasiosi e un
tocco di sapiente ironia. In un tempo e in un luogo che ne fanno un mondo a parte si
muove l’ispettore Kosh che arriverà a scoprire che morte, vita, fortuna, caso e
necessità, sono determinate da un grande imbroglio istituzionale. Mediante il
132 A. Bertante, La lotteria di Luisa Carnielli, in «Pulp Libri», settembre- ottobre 2005.
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protagonista la Carnielli spazia con una certa abilità in vari registri narrativi e
ricostruisce suggestive atmosfere naturali. Nonostante la trama si faccia sempre più
intensa lo stile mantiene il suo carattere semplice e leggero. Al finale inconsueto
spetta poi il compito di lasciare una riflessione profonda sullo stato della nostra
società. La Carnielli porta all’attenzione del lettore i modelli incoerenti e
contraddittori offerti da una società fondata sulla spettacolarizzazione del nulla e
sulla mancanza di valori etici nonché morali.
La vena creativa di questa autrice non si esaurisce qui anzi si arricchisce, qualche
anno dopo, dell’inventiva del fratello Fulvio Ervas con cui costruisce l’inizio della
fortunata saga dell’ispettore Stucky. Il romanzo Commesse di Treviso è infatti scritto
a quattro mani ma il lettore non subisce il peso di variazioni di stile troppo diverse
fra loro. La trama scorre senza che si percepisca cosa è frutto di Luisa e cosa di
Fulvio e si ha così l’impressione di una visione d’insieme redatta da una sola mano.
La scrittura degli Ervas è carismatica e allo stesso tempo semplice, segue i pensieri e
le azioni del protagonista valorizzando la lingua con forme dialettali e spontanee
esclamazioni. Il tempo della narrazione scorre lungo lo svelamento dei misteri che
tingono di giallo i casi irrisolti in cui si imbatte Stucky. Sono dunque frequenti i
flashback e il ricorso a eventi passati che non interrompono però il flusso naturale del
racconto. Lo spazio in cui si muove la vicenda è la città di Treviso cara ai due autori.
Essa diviene lo strumento con cui svelano pregi e difetti della popolazione veneta,
glorificandola nelle digressioni sul paesaggio e le bellezze naturali e,
contemporaneamente, ponendo in evidenza gli aspetti critici e contraddittori come la
chiusura verso gli stranieri o lo sfruttamento imperante delle industrie. La trama si
sviluppa intorno a due storie che sembrano evolvere parallelamente se non fosse per
100
il finale comune. La scrittura quindi non è lineare ma interrotta da pagine in cui gli
Ervas danno voce al direttore della discarica Pierini, che con energia e comicità
celebra l’arte di adattarsi secondo un’etica flessibile alle sue esigenze.
Quando Fulvio Ervas decide di proseguire da solo la strada dello scrittore, le
avventure di Stucky non si discostano tanto dalle caratteristiche che erano emerse nel
primo episodio redatto con la sorella. L’autore definisce in modo più dettagliato la
personalità del commissario, i suoi caratteri mediterranei e il mondo dei personaggi
che gli ruotano intorno. Le sorelle di vicolo Dotti, i colleghi Landrulli e Spreafico,
l’ostiere Secondo, hanno delle peculiarità che li rendono in qualche modo stravaganti
e insoliti. Ogni personaggio, attraverso l’arte della discussione tipica di Stucky,
partecipa alle indagini facendo emergere il proprio punto di vista, come accade
durante le conversazioni che l’investigatore intraprende con zio Cyrus o Dadà.
Compaiono, inoltre, tutti gli elementi seriali tipici del romanzo giallo che tanta
fortuna sta avendo nell’ultimo decennio italiano, basti pensare a tal proposito al
celebre commissario Montalbano di Andrea Cammilleri e all’irriverente ispettore
Coliandro di Carlo Lucarelli. La storia è narrata mediante la struttura classica del
romanzo poliziesco: dalla scoperta di un delitto o di un crimine, si passa alla ricerca
delle cause, alla rimozione dei falsi indizi e infine, all’individuazione del colpevole.
Il punto di vista narrativo coincide con quello di Stucky, mentre è presente la
differenza tra tempo delle storia e tempo del racconto. Il primo è sempre al passato
poiché quando interviene l’ispettore il crimine è già avvenuto e si svela con il
proseguire della trama. Il secondo riguarda invece la distanza tra il momento in cui il
fatto è avvenuto e quello in cui è raccontato, inizia infatti con il crimine o con la sua
101
scoperta e solo più tardi, a seguito dell’indagine o per confessione dello stesso
colpevole si risale agli eventi più remoti.
A creare suspance e sorpresa nella serie ci pensano due elementi sapientemente
mescolati dall’autore all’interno del curioso mondo con cui si confronta il
protagonista: una valorizzazione delle peculiarità meridionali e regionali che fanno
parte della personalità di Stucky e l’uso del montaggio alternato delle sequenze
narrative. Per quanto riguarda il primo aspetto, il racconto non solo è impreziosito da
termini arabi e persiani provenienti dalla famiglia del commissario, ma anche da
parole o espressioni tipiche del dialetto trevigiano, per non far dimenticare che,
sebbene le sue origini siano straniere, lui è un italiano a tutti gli effetti. Rispetto
all’intreccio Ervas continua la strategia intrapresa con la sorella di intervallare la
narrazione con lunghi monologhi scritti in corsivo da un personaggio che sembra
secondario alla storia principale ma che alla fine si ritrova immischiato nel delitto. È
qui che lo scrittore costruisce pagine finalizzate alla riflessione su molti aspetti della
nostra società. Va comunque sottolineato che lo scrittore è ben lontano dal costruire
istanze dal forte eco moralizzante. Il successo di queste sequenze è affidato all’uso
dell’ironia e dell’umorismo che hanno l’effetto di generare nel lettore risate di gusto.
In ogni libro Ervas dà voce a un personaggio bizzarro, ancor più strampalato degli
altri, che con acume e incisività si lascia andare a dei veri e propri soliloqui. Ne sono
un esempio il già citato Pierini in Commesse di Treviso, il matto del paese Pituzzo in
Finché c’è prosecco c’è speranza e la badante rumena Ma’ria Floreanu in Pinguini
arrosto.
Sia Cristiano Cavina che Fulvio Ervas, nonostante si ispirino a generi letterali
diversi, prediligono un’ambientazione familiare dai contorni regionali. Va detto però
102
che se Cavina abbandona i riferimenti autobiografici solo nell’ultimo romanzo, Ervas
li inserisce nei piccoli dettagli della storia. Ad esempio la descrizione degli amanti di
Alice paragonati a insetti e vermi ne L’amore è idrosolubile, deriva sicuramente
dagli studi e dal lavoro come insegnante di scienze naturali.
Un discorso a parte meritano i libri pubblicati nella collana MarcosUltra. Nelle
pagine precedenti abbiamo osservato come tale serie si distingua per lo stile
irriverente e particolare dei suoi autori. Assassinio in libreria di Lello Gurrado pone
difatti in scena un omicidio le cui indagini saranno sorprendenti. Con uno stile
divertente e raffinato l’autore fa comparire i più importanti giallisti italiani e stranieri
per risolvere il caso dell’avvelenamento della libraia milanese Tecla Dozio. Il ritmo è
veloce e nella scrittura emerge lo stile giornalistico di Gurrado. Inoltre tutti i
personaggi noti del thriller, grazie all’abile presentazione dell’autore, non appaiono
mai irreali o favolistici. Sono invece caratterizzati da piccole manie, ossessioni
banali, che li rendono ironici e divertenti.
Altro esempio della nuova serie firmata MyM è Il tartufo e la polvere di Stefano
Quaglia. Un breve noir in cui l’arma del delitto è un pregiato tartufo bianco d’Alba.
Attraverso un prolungato discorso indiretto l’autore conduce il lettore lungo le
indagini del commissario milanese Arnaboldi, riempiendo il racconto di riferimenti
letterari, cinematografici, calcistici e televisivi che sono il simbolo della generazione
anni Ottanta. Lo stile di Quaglia si identifica con un linguaggio “parlato” e leggero.
Dopo le prime battute si ha quasi la sensazione di un romanzo da non prendere molto
sul serio che paradossalmente stimola la curiosità del lettore. Le vicende e le
ambientazioni sono narrate di getto senza alcuna retorica. I personaggi sono come
centrifugati dagli eventi così la scrittura segue il flusso di ciò che succede loro.
103
Anche la poesia procede lungo l’evoluzione stilistica della nuova narrativa proposta
dagli editori. Da versi di poeti classici ma dimenticati quali Onofri, Campana e
Orelli, passano alla pubblicazione di nuove proposte che, pur legandosi ai modelli
del passato, rivelano un’espressività moderna e d’avanguardia. In particolar modo
Fabio Pusterla e Umberto Fiori ricercano, attraverso temi diversi, l’uso della parola
comune. Le immagini dei due poeti evocano un ambiente cittadino più vicino ai
lettori odierni, capace di far nascere sensazioni desolanti e malinconiche, mentre la
natura nella sua grandiosità dona serenità e un provvisorio sollievo dai dolori
moderni. Pusterla compone i suoi versi ispirandosi alla tradizione poetica lombarda e
nei momenti più lirici sembra richiamare il romanticismo italiano di Campana e Luzi.
La poesia di Fiore fa riferimento piuttosto alla scuola emiliana di Daniele Benati e
Paolo Nori che tenta di valorizzare una lettura orale dei componimenti poetici.
Va comunque sottolineato come ognuno di questi scrittori, pur conservando intatte le
caratteristiche uniche del proprio stile, condivida alcuni elementi comuni che
riconducono al progetto editoriale intrapreso dai due editori milanesi. L’intera
narrativa italiana MyM si caratterizza infatti per l’uso di un punto di vista
inaspettato, ne sono esempio i piccoli protagonisti a cui dà voce Cristiano Cavina
come Bla di Alla grande, i misteriosi personaggi che popolano le pagine di Davide
Longo quali il sergente Prochet di Un mattino a Irgalem o il “Francese” Cesare di Il
mangiatore di pietre, per non parlare di tutte le strambe figure surrealiste messe in
scena da Gaetano Neri.
Altro elemento chiave dei romanzi editi dei due editori milanesi è la ricerca di un
linguaggio semplice e immediato ma non per questo povero di figure retoriche e
riferimenti culturali, di cui ci forniscono un’ottima dimostrazione la revisione
104
letteraria attuata da Maurizio Matrone con Il commissario incantato e i giochi
narrativi costruisti da Lello Gurrado in Assassinio in libreria.
Infine, gli scrittori del catalogo della Marcos y Marcos pongono spesso l’attenzione
sulle contraddizioni e sui problemi della società italiana, come rivela l’uso eccessivo
della spettacolarizzazione in La lotteria di Luisa Carnielli e i temi ecologici che
fanno da sfondo alla fortunata serie dell’ispettore Stucky di Fulvio Ervas.
2.8. Il percorso editoriale della Marcos y Marcos
Per concludere questa parte del lavoro resta da capire in cosa consista il progetto e la
linea editoriale intrapresa da Zapparoli e Tarolo. L’evoluzione dello stile narrativo
proposto dalla casa editrice MyM cambia in rapporto ai mutamenti che, nel corso
degli anni, sono avvenuti all’interno dell’azienda. Non bisogna inoltre dimenticare,
come abbiamo visto nelle pagini precedenti, che la narrativa cresce e muta insieme
alla pubblicazione di lirica e poesia.
All’inizio dell’attività gli editori milanesi si pongono come obiettivo quello di
rilanciare autori classici che molti hanno dimenticato o rilegato alla lettura delle
opere più importanti.
I primi titoli italiani scelti da Franza e Zapparoli appartengono ad autori o personaggi
noti che hanno influenzato il secolo scorso. Eppure le opere edite sono ben poco
conosciute e marginalizzate. Ne sono un esempio La novella del buon vecchio di
Italo Svevo, e Lorenzo Alviati di Iginio Ugo Tarchetti. Accanto a questo tipo di
rilancio gli editori mostrano un interesse per la prosa legata al romanticismo
105
visionario della tradizione italiana mediante la riedizione delle liriche di Arturo
Onofri e Dino Campana. In tale cornice nasce anche la riproposta della prosa Arnia
di Mario Luzi. Successivamente Zapparoli, rimasto solo, prosegue ponendo
l’attenzione sulla poesia di Giovanni Orelli che trae spunto dalla “linea lombarda”, di
cui si considera erede Fabio Pusterla, poeta che esordisce proprio con la MyM. La
raccolta Pietra sangue è l’esempio perfetto di come i versi di Pusterla riflettano
tematiche e ambientazioni molto legate alla tradizione lombarda.
Nel frattempo l’editore apre cautamente i propri orizzonti verso una narrativa italiana
che rifletta però l’originalità e l’inventiva della più corposa letteratura straniera,
come i racconti surrealisti del narratore dandy Gaetano Neri.
La fine degli anni Novanta coincide con l’arrivo di molti autori esordienti che danno
modo agli editori di pubblicare titoli nuovi affiancati al continuo rilancio di classici.
Queste ultime edizioni toccano gli aspetti della società ai quali Zapparoli e Tarolo si
sentono più legati e coinvolti: l’ambiente, l’inquinamento, e l’apertura verso nuovi
orizzonti letterari che riguardano sia il contenuto che una trasformazione della lingua
stessa.
Se le liriche di Ceni, dello scienziato Tiezzi e la prosa di Leonardo da Vinci
mostrano come la natura sia un elemento protagonista dei libri realizzati da
Zapparoli, è con l’arrivo della Tarolo che la questione della tutela dell’ambiente
assume più peso e rilievo. Basti pensare all’ambientazione di Scavare una buca di
Cavina o all’incendio della De Longhi da cui trae spunto Pinguini Arrosto di Ervas.
Quest’ultimo autore in particolare si dimostra molto sensibile al tema dell’eccessiva
industrializzazione di cui soffre la regione veneta, così come dimostra la scelta di
106
porre al centro della scena personaggi come il fondatore di discarica o il direttore di
un cementificio.
Un altro aspetto ricorrente nella produzione dei due editori consiste nella necessità di
fornire al lettore accorto molti spunti per una riflessione sulla società italiana odierna
e passata. Un omaggio disincantato alla nostra storia ci viene offerto da Cavina che
con Nel paese di Tolintesàc ritrae la gente comune affrontare il periodo compreso tra
la Seconda Guerra mondiale e gli anni Sessanta. Un’altra esperienza ambientata nel
passato è Un mattino a Irgalem di Davide Longo che pone luce sugli aspetti più
contraddittori della conquista dell’Etiopia da parte dell’esercito fascista.
Svariate considerazioni sull’attuale stato delle nostre istituzioni trapelano invece
dalle vicende narrate da Luisa Carnielli Ervas ne La lotteria dove è evidente la
fragilità delle società basate sulla spettacolarizzazione di valori inadeguati e vani. In
tale direzione si configura anche l’evoluzione dei cittadini italiani racchiusa nelle
pagine di Maurizio Matrone che con Piazza dell’Unità mostra come gli immigrati di
seconda generazione si sentano e, sono sentiti, ancora come degli “stranieri”. Lo
scrittore spera che l’unità di tutte le etnie possa cambiare la chiusura e il severo
bigottismo di cui soffre l’intero Paese.
Un altro argomento importante per gli editori è rappresentato dalla volontà di aprire
gli orizzonti letterari a tutti gli amanti del libro e della scrittura attraverso un
rinnovamento della letteratura stessa. Accanto alle varie esperienze create dagli
editori con i concorsi inscritti nell’iniziativa più generale Letteratura rinnovabile,
pubblicano la revisione del testo letterario La vita intensa di Massimo Bontempelli
sapientemente attualizzato dallo scrittore Maurizio Matrone in Il commissario
incantato. Altri esperimenti ben riusciti che indagano sulla possibilità di creare o
107
utilizzare la lingua in maniere diverse sono La meravigliosa utilità del filo a piombo
di Paolo Nori e il Dizionario affettivo della lingua ebraica di Osimo Bruno.
Entrambi raccontano una storia in cui la lingua costituisce un’accorata strategia di
resistenza in un mondo difficile.
Concludendo, è possibile rintracciare il progetto editoriale della Marcos y Marcos
nelle parole che Zapparoli e Tarolo hanno rilasciato in una recente intervista:
Siamo una casa editrice indipendente che da trent’anni pubblica una narrativa che
secondo noi ha un senso pubblicare e difendere: perché trasmette idee, provocazioni,
emozioni, sostanza, energia. Pubblichiamo libri che ci sembrano autentici, nati da
impulsi reali e non costruiti a tavolino per andare incontro a ipotetiche “richieste del
mercato”. Pubblichiamo libri molto diversi perché ci preme valorizzare le differenze,
il confronto, la letteratura che si muove, viva e vitale. Pubblichiamo pochi libri perché
vogliamo difendere con tutte le nostre forze tutto quello che pubblichiamo, perché
nulla cada nel vuoto, con spreco di carta e delusione delle aspettative dell’autore.133
133 G. Severino, L. Monaco, Editori in via d’estinzione?Sette domande che salvano la vita, in «shilab.it», agosto 2011.
108
Marcos y Marcos: piccoli editori con grandi progetti
3.1. Gli autori, i lettori e i librai
Abbiamo ampiamente parlato nelle pagine precedenti degli scrittori che compongono
il catalogo della Marcos y Marcos. In questa sezione si tenterà dunque di darne una
visione d’insieme ponendo l’attenzione sugli aspetti non ancora indagati in relazione
al pubblico destinatario delle opere e all’azione congiunta dei librai.
Gli autori della casa editrice sono quasi tutte persone che oltre a scrivere fanno un
altro lavoro: Ervas è un insegnante di scienze naturali, Cavina lavora nella propria
pizzeria, Gurrado è un giornalista, Matrone è un ex poliziotto che si occupa di teatro
e scrive per riviste specializzate e Pusterla si dedica agli studi linguistici e alla critica
letteraria.
109
Se da una parte la scelta di rimanere fedeli alla MyM inficia la possibilità di
raggiungere le alte tirature e la visibilità dei prodotti editi dalle grandi case editrici,
dall’altra questa stessa decisione garantisce agli scrittori il particolare impegno e la
cura che Zapparoli e Tarolo dedicano a tutti i loro autori. Sono certi infatti che gli
editori impiegheranno tutta la loro conoscenza ed esperienza per promuovere il libro
nel migliore dei modi. In tale contesto quindi il lavoro di editing assume particola
importanza: «soprattutto il rapporto fra autore ed editor, un rapporto basato sullo
fiducia, sullo scambio aperto e cooperativo, è fondamentale».134
Va inoltre rilevato che il taglio regionale di alcuni autori, in primis Cavina ed Ervas,
non deve trarre in inganno. Il successo di loro libri è confermato dall’apprezzamento
entusiasta che forniscono i lettori fuori dal confine della regione alla quale fanno
riferimento. Un esempio di ciò è fornito dalla prenotazione nel maggio-luglio 2011
dell’ultimo titolo di Fulvio Ervas L’amore è idrosolubile in cui abbastanza cospicue
risultano anche le copie prenotate nel Meridione: a Palermo e a Cagliari sono
attestate intorno alla quarantina, mentre a Napoli il numero si aggira sulla
centinaia.135
Gli editori della Marcos y Marcos infine spingono affinché ogni autore si renda
disponibile al contatto diretto con i lettori per mezzo delle letture e delle
presentazioni organizzate presso le librerie. Anche la loro presenza alle svariate
iniziative collaterali delle casa editrice è ben apprezzata sia dal pubblico che dalla
critica.
134 Grigo, Twenty questions 2010 a Marcos y Marcos, in «milanoweb.com», 16 giugno 2010. 135 In particolare la casa editrice registra a Palermo 47 copie prenotate, a Cagliari 40 e a Napoli 86. Questi dati sono stati forniti dagli editori durante il loro ultimo corso di editoria tenutosi a Milano nel maggio del 2011.
110
Come è stato notato più volte in questo lavoro, il pubblico a cui si rivolge la Marcos
y Marcos può riassumersi nella denotazione di “lettore forte”. Quest’ultimo
aggettivo deve essere inteso nell’accezione di destinatario selettivo, preparato e
colto. Questo si configura per un’esperienza consolidata attraverso vari generi di
letteratura. Anche se nel nostro paese tale pubblico è abbastanza piccolo «chi legge,
però, è spinto da un forte desiderio, e a volte legge molto, legge bene, nel senso che
curiosa, sceglie, sa quello che vuole. Pretende qualità».136 L’obiettivo che si
propongono gli editori è allora quello di fornire un modello narrativo originale che
sia ben distinguibile dagli altri, agevole e immediato.
Guardando alle persone che partecipano ai corsi promossi dalla casa editrice si può
delineare un nutrito gruppo di lettori: commessi e librai, insegnanti che vogliono
ampliare le proprie possibilità di carriera in altri settori come la scrittura, autori
dilettanti, addetti che lavorano in case editrici specializzate, lettori curiosi che si sono
affezionati grazie all’efficace promozione dei fedeli librai, bibliotecari che
desiderano approfondire le proprie conoscenze sul mondo del libro. Questo pubblico
ha acquisito la consapevolezza della diversità dei valori trasmessi dai libri della
Marcos y Marcos e la condivisione di un insieme di aspettative dall’alto
coinvolgimento emotivo. Volendo fare una panoramica nazionale, il 30% delle
vendite della casa editrice proviene dalla Lombardia ma molto numerosi appaiono
anche i lettori del Lazio, dell’Emilia Romagna e della Toscana. Per di più l’esempio
di Ervas, poco sopra riportato, dimostra che anche il pubblico del sud Italia e delle
isole apprezza gli autori e la produzione degli editori milanesi. Rispondendo a
136 D. Agrosì, Fra editori indipendenti si crea , nel tempo una sorta di piacevole complicità, in «La Nota del traduttore», dicembre 2009.
111
un’intervista di qualche anno fa, Zapparolo e Tarolo hanno così descritto i propri
lettori forti:
Sono personaggi rari, ma molto fedeli, molto ferrati, molto esigenti. Conviene stare
all’occhio: se si propone una porcheria, o anche solo una mezza porcheria, ti
impallinano subito. […] I lettori che cercano i nostri libri sono come noi: indipendenti.
Si fidano del loro gusto, del loro giudizio, non hanno bisogno di rifugiarsi in ciò che è
paludato, o certificato dalla televisione. Gente piuttosto simpatica a occhio e croce.137
Con i librai la Marcos y Marcos può vantare un rapporto privilegiato. Quasi nessun
editore del nostro panorama editoriale insiste così tanto sull’importanza della
mediazione attuata da questi ultimi. Mentre i grandi gruppi editoriali affidano tutto
alle grandi catene di distribuzione o alla vendita on-line, per un’impresa di piccole
dimensioni come quella della casa editrice milanese diventa essenziale investire sulla
figura del libraio. A testimonianza di questa esigenza c’è il lungo e consolidato
rapporto che ha instaurato con varie librerie non solo milanesi. Torino, Parma,
Bologna, Padova, Firenze e le relative provincie sono solo un accenno della fitta rete
di cui dispongono gli editori. Per comprendere quanto questa collaborazione sia
fondata sulla fiducia è bene fare un esempio.
Durante la scrittura del suo ultimo libro Scavare una buca Cristiano Cavina ebbe
molta difficoltà relativa a redigere sia il contenuto che la forma stilistica del
racconto. L’autore difatti non era riuscito e terminare il romanzo nei termini di
consegna stabiliti con gli editori. Bisognava ancora aggiungere tutte le informazioni
tecniche utili a far capire nella sostanza come si lavora in una cava di gesso, e la
trama non era come lui l’aveva immaginata. A due settimane dalla presentazione del
137 Ibidem.
112
titolo con i librai, il racconto di Cavina presentava molte lacune, tanto che era
difficile anche per gli editori formulare la sezione ad esso dedicata nel copertinario,
perché non si sapeva come il libro si sarebbe evoluto. Zapparoli e Tarolo scelsero
comunque di presentarlo ai librai, spiegando con pochi, essenziali elementi, di cosa
trattava il romanzo e quali erano i suoi punti di forza. Il risultato fu che molti librai
prenotarono il libro “a scatola chiusa” fidandosi solo delle parole espresse in suo
favore dagli editori che puntarono l’attenzione sullo svolta di stile più matura che
l’autore stava affrontando.
Tanta fiducia verso la casa editrice viene poi ricambiata dagli editori per mezzo di
scelte promozionali e di vendita che tentano di non sminuire l’importanza della
mediazione attuata dai librai. La decisione di diminuire il numero dei titoli attraverso
la politica del “meno tre” e di fornire in formato e-book solo alcuni assaggi del testo
o curiosità sulla storia e sull’autore vuole evitare che la figura del librario sparisca
dietro la produzione sempre più imponente di una miriade di volumi e la conversione
di intere collane nel nuovo formato digitale.
Gli autori, i lettori e i librai che entrano a far parte dell’orizzonte della Marcos y
Marcos si caratterizzano quindi per l’esistenza di una stretta rete di rapporti basata su
una fiducia e una lealtà veramente sentite che li vuole coinvolti nel creare la fortuna
dei libri pubblicati.
3.2. Il lavoro editoriale
113
Un libro non è solo il frutto del talento e della fatica di un autore, dietro le sue pagine
si nasconde un complicato e delicato lavoro d’equipe. Le attività editoriali della
Marcos y Marcos vengono svolto mediante dieci passi fondamentali a cui si dedicano
le otto persone che lavorano all’interno della struttura.
Innanzitutto bisogna chiedersi come vengono scelti i libri della MyM? Con quali
modi i due editori vengono a contatto con un libro? I manoscritti arrivano in sede
seguendo due flussi principali. Da una parte ci sono i libri che arrivano mediante
plico postale, circa 1.200 manoscritti l’anno, e le svariate proposte inviate dagli
scrittori, dagli agenti letterari, dalle case editrici estere, da istituti, o dai traduttori.
Dall’altra parte invece sono gli stessi Zapparoli e Tarolo a ricercare nuovi testi per
esplorare settori di loro interesse.
Occorre cercare i libri con lo stesso spirito con cui un bravo cuoco predilige
ingredienti di origine locale, freschi, di stagione e non trattati. […] Occorre poi
rivolgersi ai lettori senza dire troppe sciocchezze. Parlare alla sua intelligenza e
curiosità, invece di perdere tempo dicendo che qualcosa è bello perché è fantastico o
perché dieci recensori americani hanno detto che è inimmaginabilmente al di sopra di
ogni altro libro ricevuto negli ultimi duecento anni.138
I testi pubblicati spesso sono frutto di ricerche lunghe e complesse o di rapporti
coltivati negli anni. Altri nascono da curiose ricerche nelle librerie d’Europa e non
solo, magari durante una vacanza come è successo con Jasper Fford, uno scrittore
geniale, scovato a Copenhagen durante un viaggio in bicicletta.
I due editori leggono personalmente tutto ciò che sembra loro interessante e se
possibile in lingua originale. Se il libro non li convince immediatamente non iniziano
138 P. Lala, Venticinque anni di Marcos y Marcos, in «coolclub.it», 2 novembre 2006.
114
le trattative. «Pubblichiamo solo quello che ci piace davvero, che ha un’idea, una
voce. È una scelta per molti versi istintiva, da lettori onnivori e voraci, ma sempre
convinta».139
La casa editrice si comporta in maniera opposta rispetto ai grandi editori che non
investono eccessive energie nella scoperta di nuovi autori e pubblicano, per la
maggior parte dei casi, solo testi di autori di sicuro successo. Sono quattro le
tipologie di opere alle quali la MyM può dedicarsi perché considerate troppo
rischiose per i grandi gruppi editoriali. Il libro letterario di un autore non famoso che
inevitabilmente si rivolge ad un mercato molto ristretto; un titolo già pubblicato che
si può riproporre a un pubblico diverso, come è accaduto con Chiedi alla polvere di
John Fante di cui gli editori milanesi pubblicano la terza edizione italiana
accogliendo in pieno la lezione di Donald F. McKenzie secondo cui nuovi lettori
producono nuovi testi140. Uno dei primi successi per cui la Marcos y Marcos si fece
notare fu infatti, la scelta di ripresentare il grande scrittore statunitense in una veste
grafica più accattivante attraverso una promozione che ne attualizzava i contenuti e
l’espressione letteraria. Un testo difficile da tradurre per uno stile che rimane troppo
legato alla lingua o con argomenti che hanno senso in un Paese e non in un altro. Ad
esempio Il caso Jane Eyre di Jasper Fforde era ritenuto troppo ostico da tradurre, e
più in generale, da importare a causa di tutte le invenzioni linguistiche e i riferimenti
letterari tipici dello scrittore inglese. Infine, la casa editrice può concentrarsi nel
pubblicare il libro di uno scrittore inedito. Il fatto che un autore sia sconosciuto non è
mai una pregiudiziale negativa, eppure Zapparolo sottolinea come la corsa alla
139 P. Zoppi, Il mondo editoriale. Intervista a Claudia Tarolo, Marcos y Marcos, in «librinterra.it», 2009.140 Cfr. D. F. Mckenzie, Bibliografy and the Sociology of Texts,The Panizzi Lectures 1985, London 1986. [Trad. It. Bibliografia e sociologia dei testi a stampa, Sylvestre Bonnard, Milano 1998].
115
pubblicazione avvenuta in questi ultimi anni rischi di essere un falso traguardo per
l’esordiente
Quindici anni fa un bestseller vendeva centomila copie: oggi, per essere tale deve
venderne un milione. Favorire un gruppo ristretto di autori danneggia il pluralismo
della diffusione, sembra un paradosso ma l’Italia non è il Paese dei bestseller.[…]
Oggi sarebbe difficilissimo vendere un Calvino al suo debutto. Ci sono libri che
possono essere apprezzati solo in tempi lunghi e sarebbe impossibile riconoscere la
novità rappresentata da un Calvino in una manciata di giorni.141
Scelto il libro, il secondo passo da intraprendere è quello di valutare la giusta
proposta di contratto. In genere la coppia milanese decide il proprio impegno
stabilendo il 7% su 1.000 copie, l’8% su 3-4.000 copie e il 9% oltre le 5.000 copie.
L’anticipo all’autore è determinato in base alle prospettive di vendita del titolo. Nella
storia della Marcos y Marcos l’offerta più esosa che hanno formulato era destinata a
Cristiano Cavina. «La curiosità è che non è stato lui a farsi avanti ma noi sapevamo
già che aveva ricevuto diverse offerte. In tal modo lui si sente più tutelato e cresce il
rapporto di fiducia».142
Un esordiente viene lanciato nel mercato con massimo 3-4.000 copie. Per sceglierlo
gli editori si chiedono se realmente questo testo racconti una storia, se metta in scena
personaggi autentici, e se disponga di uno stile che è capace di interessare persone
con gusti diversi dai parenti o dagli amici di chi l’ha scritto. Il numero delle copie
dipende poi da molte variabili, ad esempio, per Controvento di Ángeles Caso,
esordiente spagnola e premio Planeta 2009, la prima edizione è stata fissata sui 5.000
volumi. Nel caso di autori già affermati, come Cristiano Cavina o Michael Zadoorian
141 L. Lipperini, Pronti alla resa, in «La Repubblica», 14 gennaio 2011, pag. 43.142 F. Musolino, Gufetto incontra la Marcos y Marcos, in «gufetto.it», 16 novembre 2007.
116
la prima edizione è intorno alle 10.000 copie. Sono autori che crescono lentamente
ma solidamente. Più che bestseller, i libri MyM sono dei longseller che, come
Cavina, hanno due o tre settimane di media classifica, riuscendo però a ottenere
anche 15-20.000 copie vendute. Anche Ervas sta crescendo progressivamente e a
ogni libro ristampa di più. In genere la tiratura scelta tende sempre a essere
leggermente maggiore rispetto al numero delle prenotazioni ottenute tramite gli
agenti commerciali.
Dopo aver stabilito il contratto si passa alla programmazione editoriale che serve a
presentare il titolo alle librerie: occorre quindi pensare all’aspetto fisico, trasmettere
informazioni salienti mediante gli agenti commerciali della Promedi, e parlare anche
delle proposte ideate per i due mesi successivi dalla data della riunione con
quest’ultimi e i librai. Attraverso il copertinario gli editori presentano difatti tre
uscite nuove e due riedizioni nei tascabili MiniMarcos.
Successivamente Zapparoli e Tarolo devono scegliere e aiutare il grafico Lorenzo
Lanzi a costruire la copertina che viene disegnata apposta per ogni libro.
Il quinto passaggio da esaminare consiste nella scelta del titolo più adatto. Esso deve
essere intrigante e curioso, conciso ma non riassuntivo. All’interno della linea
editoriale della Marcos y Marcos il titolo deve solo accennare, ammiccare
all’argomento senza svelare troppe informazioni per lasciare invece un alone di
mistero e curiosità. L’importanza di questa decisione è evidente in Scavare una buca
di Cavina, un titolo duro e poco attraente che non ha finora influito sulla fortuna
dell’opera. Al contrario, Finché c’è prosecco c’è speranza è il libro di Ervas che ha
avuto più successo, grazie al titolo spiritoso e ironico. Vieni via con me di Castle
Freeman era considerato un titolo rischioso da utilizzare, perché è uguale a quello del
117
romanzo di Roberto Saviano, eppure la copertina e le ottime recensioni hanno aiutato
il lettore a eliminare possibile dubbio di omonimia.
Successivamente gli editori redigono un fitto calendario del tempo che hanno a
disposizione per intervenire sul testo e trasformarlo in un libro vero e proprio.
Se il testo da analizzare è di un autore straniero si realizza l’editing della traduzione
insieme al traduttore scelto. La predilezione verso un traduttore rispetto ad un altro
dipende della posizione interpretativa che è più in linea con lo stile dello scrittore in
modo da ridurre al minimo le incoerenze di stile interne.
L’ottavo passo consiste nell’affrontare l’impaginazione, l’uniformazione e la
correzione di bozze. La prima è costruita mediante l’uso di programmi di
impaginazione sempre più dettagliati e competenti come il QuarkXpress o il più
moderno In design dell’Adobe. L’uniformazione prevede che tutti i segni grafici, i
discorsi diretti, indiretti, o pensati siano segnalati attraverso un criterio che sia ben
omogeneo in tutti i libri. Ogni casa editrice di norma prevede un sistema chiaro e
definito di regole su come uniformare il testo. Nel caso della Marcos y Marcos
possiamo fare qualche esempio: usare nei dialoghi contestuali allo svolgersi
dell’azione principale le virgolette doppie a caporale, mentre per quelli non
contestuali all’azione o nei discorsi pensati le virgolette alte, doppie e orientate; la
“d” eufonica si usa solo se la parola seguente inizia per la stessa vocale della
congiunzione, e infine il corsivo si usa per i termini stranieri e per i titoli di libri,
dischi e opere d’arte.
La correzione di bozze è un aspetto molto importante e cruciale che viene svolto
dall’intero organico della casa editrice. I giorni che precedono l’invio del file alla
tipografia sono molto frenetici e per tale ragione è essenziale che tutti partecipino
118
alle correzioni in modo tale che nessun errore venga tralasciato. La coppia di editori
milanesi prevede per questa attenta fase alcune regole sistematiche che non devono
essere trascurate. Innanzitutto ogni lavoratore della MyM deve conoscere il testo che
si andrà a correggere, successivamente si procede per “controlli sistematici”: ogni
aspetto grafico come le parentesi, le virgolette, i trattini, le frasi orfane o vedove e le
sillabazioni, viene controllato uno per volta. Fatto questo si passa alla lettura vera e
propria del testo appuntando gli errori attraverso una corretta segnalazione, con una
panna colorata ben visibile e usando i simboli della correzione voluti dagli editori.
Affinché non sfugga niente Zapparoli e Tarolo consigliano di attuare una lettura al
contrario partendo dall’ultimo paragrafo in modo tale che, eliminato il senso logico
del testo, si notino solo gli errori grafici o i refusi. Quando si arriva alla lettura
normale per essere più sicuri suggeriscono poi di coprire con un foglio le righe
successive a quella che si sta leggendo per non distogliere lo sguardo che altrimenti
potrebbe essere distratto da altri dettagli. Infine si procede per una verifica finale
delle correzioni apportate. In tutto possiamo dire che ogni libro della MyM viene
pubblicato dopo sei, sette giri di bozze.
Per quanto riguarda i testi stranieri, come abbiamo notato più sopra, molta attenzione
è dedicata alla scelta del traduttore. Questo perché ogni traduttore possiede, come gli
autori, un suo stile. Bisogna quindi scegliere il traduttore giusto per l’autore giusto.
Tale operazione è particolarmente sentita della Tarolo, in quanto è considerata dalla
critica una delle più notevoli traduttrici italiane. Sua è ad esempio la traduzione de Il
correttore di Ricardo Menéndez Salmón. In un’intervista è lei stessa ad osservare che
Il traduttore si assume una responsabilità enorme, perché in realtà trasforma il testo
originario in qualcosa di nuovo, che riparte da zero, creando un nuovo tessuto da
119
offrire al lettore ignaro. Certo, è una bella trasposizione culturale, frutto di un viaggio
lungo e faticoso. Per tradurre un testo, secondo me, bisogna possederlo,
appropriarsene in senso fisico, che lo si ami o meno. Personalmente ho bisogno di
leggerlo e rileggerlo e poi partire.143
Una revisione efficace delle traduzioni per i due editori deve contemplare due
aspetti: quelli oggettivi che concernono i refusi, i salti di frase e una correzione
attuata confrontando il testo originale con la nuova traduzione; e quelli soggettivi
derivanti dalle scelte fatte dal traduttore come i calchi dalla lingua di partenza e le
modifiche fatte mediante la lingua d’arrivo del revisore stesso. Una buona correzione
deve quindi essere dialettica, cioè deve controllare sia gli errori grafici che gli sbagli
di stile e deve attenersi a quattro regole generali. Primo: non nuocere, ovvero non
inserire errori o correzioni banali. Secondo: a parità di correttezza prevale la scelta
del traduttore. Terzo: la motivazione argina l’arbitrio, ogni correzione cioè deve
essere motivabile. Quarto: tutte le correzioni devono essere sottoposte al traduttore
che ha il diritto di respingerle. L’importanza della traduzione è inoltre rivelata dalla
presenza della rivista «Testo a fronte», interamente dedicata a tale ambito. Va
comunque sottolineato che i due editori milanesi affidano i propri testi stranieri
anche a traduttori esterni, ad esempio Vieni via con me del già citato Castle Freeman
è stato tradotto da Daniele Benati.
Tramite questa rapida analisi si capisce bene quanta importanza abbia tutta la fase di
correzione delle bozze poiché è con il libro che la casa editrice si offre al lettore e
dunque preferisce revisionare tutto con estrema attenzione, rigore e puntigliosità.
143 P. Zoppi, Il mondo editoriale. Intervista a Claudia Tarolo, Marcos y Marcos, in «librinterra.it», 2009.
120
Dopo la spinosa fase di correzione di bozze si passa a definire le ultime fasi, vale a
dire la consegna del file alla stamperia attraverso il “visto si stampi” e il lancio del
libro con la sua conseguente promozione.
La differenza del lavoro di editing affrontato della Marcos y Marcos risiede nel fatto
che mentre i grandi editori editano molti libri e non possono curarli tutti allo stesso
modo, questa piccola realtà editoriale mostra una qualità superiore per mezzo di
revisioni dai sacrifici disumani, un po’ ossessive e minuziose che indicano una cura e
un impegno costante in tutti i libri che pubblicano. Persino Fulvio Ervas,
inizialmente riluttante alla pubblicazione perché ritenuta «un disvelamento di sé che
può creare turbamenti e traumi», ammette oggi sinceramente l’importanza del lavoro
di editing: «Un autore non è mai contento di rimaneggiare, cambiare o limare un
proprio testo. Dentro di sé è quasi sempre convinto di aver scritto una nuova Divina
Commedia. Ma è giusto essere umili. L’editing è un lavoro severo e fondamentale
che consente di attribuire il giusto peso alle parole».144
Il “peso” a cui fa riferimento l’autore è sinonimo del valore di un libro, inteso come
forma d’arte e non come mero strumento commerciale da piazzare sul mercato per
attirare l’ignaro lettore occasionale. Quello che fanno dunque gli editori della Marcos
y Marcos è rivedere insieme agli autori i testi in modo tale da renderli congrui per i
lettori della casa editrice e adatti a veicolare nel miglior modo possibile la voce
interiore più autentica di un’opera originale.
144 A. Prudenzano, Marcos y Marcos il coraggio di insistere con la poesia, in «affaritaliani.it», 1 novembre 2011.
121
3.3. La grafica
In tale sezione analizzeremo l’innovazione insita nello stile grafico scelto dai due
editori milanesi. L’importanza di questo aspetto è ben rilevata dalle parole di Roger
Chartier che con i suoi scritti ha influenzato l’intera storia del libro:
Occorre concentrare l’attenzione sulla maniera in cui avviene l’incontro tra il mondo
del testo e il mondo del lettore […] Ricostruire un tale processo impone, in primo
luogo, di considerare che i significati dei testi dipendono dalle forme e dalle
circostanze attraverso le quali i loro lettori (o ascoltatori) li recepiscono e se ne
appropriano. Questi ultimi non si confrontano mai con testi astratti, ideali, distaccati
da ogni materialità: maneggiano oggetti, ascoltano parole le cui modalità informano la
lettura e l’ascolto e, ciò facendo, governano la possibile comprensione del testo. […]
Bisogna tenere presente il fatto che le forme producono senso e che un testo è
investito di un significato e di uno statuto inediti quando cambiano i supporti che lo
propongono alla lettura.145
Chartier invita dunque a considerare il testo anche nella sua forma materiale, poiché i
supporti con i quali esso viene trasmesso influenzano sia il senso che la ricezione del
testo stesso. Inoltre tutti gli elementi materiali che ruotano intorno ad esso, siano essi
la copertina, la carta, la legatura o il formato, lo trasformano da un testo in un libro.
La Marcos y Marcos rivela una particolare attenzione in tal senso, pubblicando fin
dall’inizio titoli curati e selezionati nel minimo dettaglio. I primi libri hanno l’aspetto
di un volume che intende ricordare antiche edizioni. La copertina è bianca e dal
taglio minimalista: sono infatti presenti centrati o in alto l’autore e il titolo, mentre
sotto o sopra viene riportata una piccola stampa d’artista o una riproduzione del
145 G. Cavallo, R. Chartier, a cura di, Storia della lettura, Laterza, Bari 2009, pag. 6.
122
manoscritto originale. La carta utilizzata è spesso fabbricata a mano mentre i caratteri
scelti sono i Garamond che donano un aspetto semplice ma elegante. Anche il
formato scelto è molto particolare poiché i Vintage sono più lunghi e stretti del
normale sedicesimo. La collana Le foglie in principio si sviluppa attraverso le
edizioni Vintage sopra riportate e con l’arrivo del grafico Lorenzo Lanzi uniforma il
proprio aspetto alla collana main streaming de Gli alianti. La dimensione dei titoli
della nuova serie cambia utilizzando il classico formato in sedicesimo, mentre le
collane più nuove, i tascabili MiniMarcos e i MarcosUltra sono stampati in un
formato più piccolo.
Dal 1997 avviene infatti la svolta creativa delle copertine firmate Marcos y Marcos.
La collaborazione con Lanzi coincide con l’arrivo della Tarolo e di un cambiamento
generale della casa editrice stessa. Come ricorda Zapparoli «Lorenzo collabora con
noi dal ‘97 ed è un valido e prezioso supporto soprattutto perché comprende
benissimo lo spirito dei libri Marcos. Interpreta le idee e le traduce in copertine
meravigliose: non è poco».146
I nuovi libri di Zapparoli e Tarolo non perdono il loro carattere ricercato, anzi
attraverso la mano di Lanzi acquistano personalità e si fanno ancor più originali.
Ogni copertina ha una storia a sé ed è sempre un’invenzione a tre. I due editori
discutono a lungo sull’idea che vogliono tradurre in immagine e inviano al grafico tre
o quattro illustrazioni alle quali si sono inspirati, e successivamente Lanzi ne dà una
propria interpretazione. A volte sono tutti convinti al primo tentativo, mentre altre
volte capita che l’idea debba essere rivista fino a trovare la soluzione che agli editori
piace di più. Le cover sono tinte da colori pastello e ruvide al tatto, interamente
146 G. P. Serino, Marcos y Marcos, in «Il Mucchio selvaggio», marzo 2002, pag. 14.
123
fabbricate con carta riciclata. In alto compare il nome dell’autore in caratteri più
grandi, poi il titolo del volume e infine il disegno di Lanzi, che a volte può occupare
tutto lo spazio frontale della copertina oppure è di dimensioni più piccole e in
posizione centrale. Di solito richiama elementi e dettagli presenti all’interno della
storia in modo tale che il lettore fedele può divertirsi a riconoscerli.
Per comprendere come nascono le copertine della MyM è bene fare un esempio: il
libro di Felice Cimatti Senza colpa racconta di un gruppo di scimpanzé rinchiusi in
un centro di sperimentazioni. Fin dall’inizio era chiaro agli editori l’idea di voler
mettere in copertina tale animale, eppure sorgeva il problema di come renderlo
originale e divertente. Lanzi fece tanti tentativi finché ai due editori non venne in
mente l’intuizione giusta, ovvero la celebre copertina dell’album Abbey Road dei
Beatles in cui sono ritratti i componenti del gruppo mentre attraversano la famosa
strada. È da qui che nasce la copertina in cui quattro scimpanzé camminano
evolvendosi man mano verso la posizione eretta dell’uomo mentre uno di loro si
ferma a guardare cosa si nasconde sotto i suoi piedi.
I registi sono dunque gli editori, ma la realizzazione si deve tutta al grafico che ormai
è giunto a quasi 200 copertine disegnate. «È come se io fossi la mano dell’editore.
Raramente riesco e leggere il libro che devo illustrare, è l’editore che mi racconta il
contenuto e quindi lavoro per intuizione seguendo una suggestione, una scena, il tono
della narrazione».147 Il libro e la copertina non sono visti come oggetto autonomo,
bensì fanno parte di un marchio che deve essere immediatamente riconoscibile.
Questa filosofia è una caratteristica tutta italiana, infatti se si fa un giro nelle librerie
anglosassoni si nota come le copertine siano quasi tutte uguali e prive di segni
147 A. Bonetti, Se il successo del best seller è questione di copertina, in «Il Sole 24 Ore», 12 gennaio 2011, pag. 22.
124
distintivi. Nel nostro Paese la copertina non è quindi solo un accessorio per vendere,
identifica al meglio l’autore ponendolo all’interno di uno stile grafico che mira a
differenziare una casa editrice dall’altra. Da ciò si capisce perché, per una casa
editrice di modeste dimensioni come la MyM, sia essenziale e indispensabile
distinguersi, per riuscire a catturare negli scaffali delle librerie l’attenzione del lettore
accorto. Il pubblico della casa editrice è costituito da lettori esigenti che apprezzano
moltissimo la buona qualità della carta, la rilegatura a filo e il fatto che non ci siano
troppi refusi. «La grafica per noi dovrebbe trasmettere molto dell’anima di un libro,
la pasta con cui è fatta la casa editrice che lo propone».148
Va inoltre sottolineato che essendo i due editori della MyM particolarmente sensibili
al tema della salvaguardia dell’ambiente, anche la carta utilizzata all’interno dei libri
è del tutto riciclata, per tale motivo i fogli assumono una colorazione giallastra. In
questa direzione sperimentano l’uso, in diversi ambiti, di carte molto particolari,
come la carta Alga derivata appunto dalle alghe che crescono nella laguna di
Venezia. Durante i primi anni si riforniscono dalla storica Cartiera Paolo Pigna,
quando quest’ultima ha chiuso nel 2008, dopo una lunga e accurata ricerca decidono
di rifornirsi presso le cartiere di Cordenons e di Fedrigoni, mentre la tipografia a cui
affidano i loro testi è la Arti Grafiche Bianca&Volta di Truccazzano in provincia di
Milano.
La redazione del sito internet della casa editrice ben dimostra la linea di continuità
voluta dagli editori milanesi. Quest’ultimo infatti ha uno sfondo colorato che
richiama le tonalità dei libri e ogni pagina aperta riporta ai lati le copertine delle
nuove edizioni o di quelle più importanti. Il sito è semplice, dall’accessibilità
148 G. Raponi, Un bravo editore non ha pregiudizi: esce a caccia e si lascia guidare dal fiuto, in «La luna di traverso», dicembre 2009, pag. 33.
125
immediata e pone al centro dell’attenzione del visitatore le ultime uscite e le
iniziative in corso. Dalla barra degli strumenti è poi semplice trovare tutte le
informazioni disponibili. Nella struttura interna è possibile trovare un’ampia sezione
di pareri e interviste e le finestre dedicate a ogni libro sono collegate con un’ampia
pagina di recensioni e un assaggio del titolo scelto. Come avevamo già rivelato nel
secondo capitolo, il catalogo on-line è strutturato secondo una politica autoriale che
vede gli scrittori organizzati per ordine alfabetico con accanto le icone delle
copertine dei propri libri che aprono la pagina a loro dedicata.
Infine è importante ricordare che le copertine della nuova serie i MarcosUltra
riportano illustrazioni diverse da quelle di Lorenzo Lanzi, ad esempio Assassinio in
libreria di Lello Gurrado e Il tartufo e la polvere di Stefano Quaglia riportano
dettagli dei dipinti del giovane artista David Dalla Venezia.
L’attenzione e la cura riservate alla scelta delle copertine, alla preferenza per
determinati materiali e alla qualità di stampa mostrano dunque uno stile molto
personale che caratterizza e contraddistingue da sempre l’attività della Marcos y
Marcos. L’originalità e l’innovazione con cui tenta di operare nel settore editoriale
italiano appare ancora più importante poiché è affiancata da una sensibilità tesa a
contrastare le problematiche sull’ambiente di cui soffre l’odierna società. Zapparoli e
Tarolo oltre ad utilizzare solo carta riciclata, impiegano per le spedizioni a Milano
esclusivamente pony express in bicicletta, e nella vita privata si impegnano
fattivamente utilizzando solo l’amato velocipede e rinunciando alla macchina e ai
cellulari.
126
3.4. Marcos y Marcos: moderni editori protagonisti
Questo lavoro di tesi pone in rilievo l’operato della casa editrice Marcos y Marcos
poiché è riuscita, all’interno del variegato panorama editoriale italiano, a distinguersi
attraverso la scelta di attuare strategie controcorrente e la produzione di una narrativa
dallo stile unico e originale. Zapparoli e Tarolo si configurano così come moderni
editori capaci di dare un’impronta personale ai libri editi e all’intero sistema che
coinvolge la loro pubblicazione. La loro politica editoriale rispecchia le
caratteristiche dell’editore protagonista delineato da Gian Carlo Ferretti nel suo
importante volume Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, inserendosi
nella lunga schiera di personaggi di rilievo quali Arnoldo Mondadori, Angelo
Rizzoli, Giulio Einaudi e Valentino Bompiani.
L’inizio dell’attività della Marcos y Marcos coincide proprio con la scomparsa di
questi grandi editori responsabili delle politiche che hanno influenzato tutta l’editoria
italiana del Novecento. Mentre quest’ultima si evolve nella costituzione di grandi
gruppi editoriali, Zapparoli e Franza decidono di intraprendere una strada
completamente diversa. Rimasto solo, Zapparoli prosegue cercando di aprirsi nuovi
spazi senza rinunciare all’immagine di casa editrice di nicchia fondata con il collega.
Con l’arrivo della Tarolo il catalogo si arricchisce di nuovi autori e della scoperta di
una narrativa giovane e originale. Il modus operandi degli editori è dunque rimasto
sempre fedele all’idea originale riuscendo a legare a sé un gruppo di lettori forti, di
scrittori capaci e di fidati librai. Tali proficue relazioni mostrano una lealtà al
marchio che sembra difficile da raggiungere. Il mercato italiano dominato dai grandi
gruppi editoriali manifesta, per la maggior parte dei casi, rapporti altalenanti sia con
127
il pubblico che con i rivenditori per cui sembra non mantenere la fedeltà palesata
invece dall’attività della Marcos y Marcos.
La coppia milanese raggiunge questo risultato mediante un lavoro che ormai conta
trent’anni di esperienza e si fonda sulla volontà di pubblicare libri e inaugurare
iniziative facendo sempre riferimento a tre elementi essenziali. Queste tre
componenti sono una carica innovativa e un’originalità di contenuti e progetti che,
come abbiamo sottolineato nel paragrafo precedente, influiscono sulla cifra stilistica
della produzione MyM. Rimane tuttavia da chiarire per quella che si presenta come
la più importante caratteristica della casa editrice: l’indipendenza. Tale autonomia è
frutto di un arduo e continuo bilanciamento tra il capitale umano e quello economico.
L’indipendenza è mantenuta tramite una serie di accorgimenti e rischi da evitare. Per
tale motivo implica l’osservanza di alcuni punti chiave che non vanno mai trascurati.
Innanzitutto deve esserci una chiara corrispondenza tra le aspettative dei lettori e i
risultati portati a termine della casa editrice. In secondo luogo, non bisogna tradire
l’identità trasmessa, distinguendosi attraverso la creazione di una formula originale
che possa lanciare ogni libro. Questo approccio nel caso della Marcos y Marcos, non
viene affidato alla spettacolarizzazione, quanto piuttosto alla capacità di comunicare
il valore di un libro e l’idea di fondo che lo rappresenta. Infine, è necessario far leva
sulla lettura unendo il piacere che quest’ultima provoca con una sapiente
promozione. Tutte le iniziative fuori e dentro al libro create dagli editori si muovono
in tale direzione. Va però sottolineato che questi eventi sono sempre centrati
sull’intreccio dei titoli promossi più che sulla personalità degli autori. Diventa
dunque basilare per la casa editrice milanese bilanciare aspirazioni e possibilità di
realizzare. Ne è un esempio il caso del poeta Paolo Nori. Nonostante Zapparoli
128
desiderasse pubblicare un suo libro si è visto costretto a rimandare ogni trattativa per
mancanza di disponibilità dell’autore, impegnato con altre case editrici, e per
l’impossibilità di elargirgli un compenso adeguato. Solo nel 2011 quando la casa
editrice è diventata economicamente più stabile e forte grazie alla pubblicazione di
molti autori inediti, è stato possibile editare La meravigliosa utilità del filo a piombo.
Non bisogna dimenticare che proprio l’indipendenza permette ai due editori di
attuare scelte controcorrente, basate interamente sul loro gusto letterario, così come
riflette la pubblicazione, ormai storica, di un’ottima poesia sia classica che
contemporanea o la preferenza di scrittori che svelano particolari aspetti della nostra
società. Autori come Cristiano Cavina e Fulvio Ervas propongono infatti romanzi
che hanno il pregio di affrontare alcuni dei problemi dell’Italia contemporanea. In
particolare Ervas racconta in modo spiritoso i problemi e le contraddizioni del Nord-
Est proponendo con eleganza tematiche ecologiche e tecnologiche.
Sul piano organizzativo, i due editori possono agire nel mercato praticando strategie
inusuali come la già citata politica del “meno tre”. Riducendo la produzione annuale
di libri è stato possibile trasferire maggiori energie nella promozione, offrendo ai
librai indipendenti condizioni più agevoli. Mentre i grandi editori aumentano le
pubblicazioni pensando di poter compensare le rese e far quadrare in tal modo il
budget, la casa editrice milanese punta invece su una decrescita felice e vantaggiosa
per tutti. I librai e i lettori infatti possono apprezzare ancor di più l’impegno investito
nella cura della veste grafica e nel contenuto dei titoli. Zapparoli e Tarolo rendono
giustizia e danno importanza ad ogni volume pubblicato, realizzando un prodotto che
non ha solo fini commerciali, ma che vorrebbe avere anche un valore letterario e
culturale.
129
Svolgendo il loro lavoro senza farsi trascinare dalle mode attuali gli editori della
Marcos y Marcos delineano un chiaro progetto editoriale che si rivolge a quel settore
di lettori in cerca sia di nuove proposte che di una riscoperta di classici trascurati. Per
tutte queste ragioni ricordano gli editori protagonisti sopra citati. Seguendo
l’accezione di Ferretti noteremo qui di seguito le caratteristiche per cui siamo arrivati
a credere che tale figura non sia del tutto scomparsa, semmai essa ha seguito
un’evoluzione moderna e in un ambito di mercato più ristretto, ma non per questo
marginale.
Zapparoli e Tarolo si configurano come editori protagonisti perché sono riusciti a
personalizzare l’intero processo di edizione dei loro libri basandosi sulla volontà di
esprimere un tipo di cultura innovativa che nasce dalle loro preferenze letterarie,
come la poesia per Zapparoli e la letteratura straniera per la Tarolo, e dalla capacità
di ricercare costantemente libri che esprimano novità stilistiche e contenutistiche. La
pratica dell’editing viene vissuta come sperimentazione che, soprattutto nelle
traduzioni, viene considerata un atto creativo e, allo stesso tempo, una proposta
culturale. Il catalogo inoltre si compone di lunghe e intense collaborazioni, nelle
quali l’autore cresce all’interno della casa editrice rimanendogli fedele, come è
successo con Cavina, con il quale gli editori sono riusciti a collaborare
evidenziandone il processo di maturazione stilistica. L’abilità nel proporre
un’immagine della casa editrice sempre lineare e fedele a se stessa concorre nel
delineare la coppia milanese come degni successori degli importanti protagonisti del
secolo scorso. Per comprendere meglio come la Marcos y Marcos possa essere
accostata a queste importanti figure, occorre riportare la riflessione dello stesso
Ferretti:
130
Personaggi e destini diversi che tuttavia, si riconoscono in alcuni tratti comuni:
personalizzazione del progetto e della strategia; amore per il buon libro e per il libro
ben fatto; sicurezza nelle scelte dei quadri interni, dei consulenti, degli autori […];
politica d’immagine completamente fondata sulla politica d’autore; estesa rete di
rapporti internazionali; tempestività e insieme lungimiranza editoriale; senso del
momento e del tempo (il cosiddetto fiuto), e cioè capacità di lettura ricettiva o
anticipatrice dei processi di trasformazione della società […]. Derivando poi da tutto
ciò una forte specificità della Casa, una costante alimentazione del catalogo, e una
tendenziale formazione di lettori abituali. […] Un altro aspetto significativo
dell’editore protagonista è la convivenza tra forme diverse di mecenatismo e
paternalismo da un lato, e di aziendalismo e autoritarismo dall’altro.149
Dalle parole dello studioso di editoria si evince che è possibile rintracciare in
Zapparoli e Tarolo una linea di continuità con gli editori protagonisti poiché appare
chiaro che il loro agire nel mondo dell’editoria italiana coincide con i requisiti sopra
citati.
Il nostro intento è allora quello di mostrare che esistono svariati elementi di affinità
capaci di avvicinare la Marcos y Marcos ad alcuni grandi editori descritti dallo studio
di Ferretti.
Dal Club Bompiani sembra derivare il gusto, il rigore e la determinazione di
Zapparoli e Tarolo, oltre a una fisionomia tradizionale e insieme moderna che porta
nel lavoro editoriale una consapevole istanza intellettuale tesa a rappresentare le
contraddizioni della società odierna. Altro fattore in comune con la storica casa
editrice, anch’essa milanese, è l’attaccamento verso gli autori, ben dimostrato
dall’amarezza con cui gli editori hanno annunciato l’abbandono dell’autore Davide
149 G. C. Ferretti, op. cit., pagg. 3-4.
131
Longo. Anche l’immagine da Club dell’attività di Valentino pare essere simile a
quella della MyM: una casa editrice che sta tra la piccola azienda e il sodalizio
intellettuale con una cerchia eletta di lavoratori, scrittori e librai. Fin dal periodo
fascista la Bompiani si differenzia per il suo stato di «casa editrice innovatrice,
controcorrente, lungimirante e ben inserita nel mercato»150 coprendo un’area di lettori
che, seppur ristretta, mantiene un rapporto costante e duraturo. Come si può notare,
sembra di esporre alcune delle singolari caratteristiche che abbiamo usato per
descrivere l’attività della coppia milanese.
Rispetto al modello einaudiano possiamo riscontrare altre affinità quali un’istanza
democratica e l’importante ruolo assunto dal sistema integrato di libri e riviste. Tutto
ciò è ben dimostrato dalla pubblicazione di «Testo a fronte», nella quale appare
centrale il ruolo svolto dalla traduzione, e di «Riga» che pone in risalto i personaggi
che hanno influenzato la nostra cultura. La strategia e l’immagine di una casa editrice
Laboratorio risulta in tale contesto molto calzante, poiché sottolinea la continua
ricerca e sperimentazione operata da Zapparoli e Tarolo, che si dimostrano molto
sensibili alle tensioni politiche e culturali contemporanee. Così come all’Einaudi si
era formato un cervello collettivo151, dove ogni collaboratore si occupava di tutto in
un continuo scambio di idee e valutazioni, allo stesso modo lavorano gli addetti della
casa editrice milanese. Persino il carattere familiare, più volte sottolineato da Calvino
parlando dell’ambiente einaudiano, pare coincidere con quello della MyM. Non per
nulla è la stessa Tarolo a ricordare in un’intervista come quest’ultima sia «una casa
editrice a conduzione familiare dove la nostra impronta personale è dappertutto».152
Infine, un altro elemento comune alle due realtà editoriali è quello di aver costruito
150 Ivi, pag. 28.151 Ivi, pag. 34.152 C. Caramaschi, Wuz intervista Claudia Tarolo, in «wuz.it», 9 giugno 2009.
132
una casa editrice capace di offrire un’alta cultura. Va tuttavia sottolineato che se il
Laboratorio Einuadi mirava ad un pubblico il più largo possibile, gli editori milanesi
si rivolgono a un settore di lettori forti e per questo meno numerosi.
Concludendo, l’intero lavoro fin qui svolto aspira da un lato a definire lo stile
narrativo originale espresso dall’innovativo modello culturale proposto della Marcos
y Marcos, e dall’altro tenta di ricondurre l’attività di Zapparoli e Tarolo all’interno
del panorama editoriale novecentesco che ha influenzato l’intero sistema odierno.
Se da un lato la casa editrice milanese può essere assunta come uno dei pochi
soggetti editoriali italiani capaci di offrire ancora una buona letteratura di
intrattenimento e una solida poesia, dall’altro lato gli editori si specializzano anche
per un forte legame con i lettori e con i librai che esorta a insistere sulla lettura e su
una riscoperta dei classici attraverso la creazione di iniziative “fuori e dentro il
libro”.
133
Conclusione
In conclusione possiamo notare che l’attività della Marcos y Marcos si differenzia
dalle altre per non aver mai rinunciato ad un progetto editoriale ben preciso. Come
abbiamo visto nelle pagine precedenti, tale percorso editoriale si caratterizza per una
riscoperta di autori classici stranieri e italiani a lungo trascurati e riproposti in chiave
attualizzante; per la pubblicazione di scrittori nazionali inediti che hanno il pregio di
porre in luce aspetti e contraddizioni della nostra società; e infine, per la volontà di
fornire un panorama il più vasto possibile della letteratura straniera contemporanea.
Marco Zapparoli e Claudia Tarolo fondano la loro attività su tre elementi
fondamentali: indipendenza, innovazione e originalità. L’autonomia finanziaria
permette loro di attuare scelte controcorrente, come la politica del “meno 3”,
finalizzata a una riduzione dei titoli annuali pubblicati da 18 a 14 (13 di narrativa e
uno di poesia). Tale strategia consente agli editori di investire maggiore impegno
nella realizzazione e nella promozione dei libri pubblicati e, inoltre, aiuta i librai
indipendenti martellati da una iper-produzione che crea confusione e accorcia il ciclo
di vita dei libri. L’indipendenza fa si che la coppia milanese possa scegliere con
maggiore libertà i testi da pubblicare affidandosi al proprio gusto personale, e
orientando la scelta verso i temi ai quali sono più legati.
134
La spinta innovatrice della Marcos y Marcos è ben presente all’interno di tutto il
processo grafico che ne compone l’immagine. Ne sono un esempio la carta riciclata,
l’uso dei pony express in bicicletta e il lavoro del grafico Lorenzo Lanzi. Il modus
operandi con cui gli editori inaugurano iniziative “fuori e dentro il testo”, come
Letteratura rinnovabile o il corso di editoria mostrano, inoltre, la capacità della casa
editrice di configurarsi quale laboratorio che apre le porta al pubblico dei lettori e si
delinea attraverso la scoperte di tecniche di lavoro moderne e d’avanguardia.
L’originalità è la caratteristica sulla quale Zapparoli e Tarolo insistono
maggiormente poiché è il requisito fondamentale con cui scelgono i titoli che
andranno a pubblicare. La produzione italiana è caratterizzata da una ricchezza di
voci, riferimenti culturali e visioni differenti. Mentre gli autori che compongono il
catalogo della casa editrice milanese si distinguono per uno stile narrativo originale e
inconsueto. Bisogna però sottolineare che, sebbene ognuno di loro conservi intatte le
componenti uniche del proprio stile, condivide anche alcuni elementi comuni
riconducibili al percorso editoriale intrapreso dai due editori milanesi. L’intera
narrativa italiana MyM si delinea infatti per l’uso di un punto di vista inaspettato; per
la ricerca di un linguaggio semplice e immediato; e per l’attenzione mostrata nei
confronti delle contraddizioni e dei problemi della società italiana.
La Marcos y Marcos si configura quindi come una casa editrice che offre un sistema
integrato di libri e riviste («Testo a fronte»e «Riga») in cui sono fondamentali una
buona cura redazionale e una promozione basata su un’ottima comunicazione fresca
e divertente. In tal modo Zapparoli e Tarolo editano solo libri che hanno un valore
aggiunto, capaci di veicolare messaggi forti e importanti, e dedicati ad un pubblico
ristretto ma colto e molto fedele al marchio milanese. Gli editori hanno così costruito
135
una piccola realtà che mira però a grandi progetti, senza farsi influenzare da mode
passeggere e imperanti e focalizzando le proprie energie su una produzione di
intrattenimento unica, particolare e frutto di un sapiente lavoro editoriale. I libri della
Marcos y Marcos sono quindi l’emblema di come un’attività editoriale di nicchia
possa pubblicare, in Italia, una solida letteratura di intrattenimento e un’ottima
poesia.
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