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CAPITOLO PRIMO LE ALPI: MUTAMENTI SOCIO-AMBIENTALI E MACROTENDENZE NEL TERRITORIO MONTANO
1.1. Il contesto alpino
Prima di analizzare le problematiche ed i processi relativi alle regioni di
montagna che contraddistinguono la maggior parte delle Alpi, si propone una
panoramica generale di questo unico e vasto territorio, da sempre visto sia
come luogo di incontro e fusione di popoli sia come meta di migrazioni e guerre.
Il comprensorio alpino è stato spesso definito come un insieme di monti terribili
e poi terribilmente belli, di monti affascinanti, ricchi di memoria, quella
memoria che ci riporta alla prima colonizzazione da parte dei Romani, quasi
2000 anni or sono e che passando attraverso le epoche ci conduce senza
perdere d’importanza agli scenari delle devastanti battaglie del ‘900, fino al
presente, il nuovo millennio (A. G. dal Borgo 2009, 19-20).
Sono passati molti secoli da quando sembra sia stato coniato, nella sua
primordiale forma, Albus1 (in seguito Alpus), il nome delle odierne Alpi.
Albus, in latino bianco, stava ad indicare il colore sempre bianco della catena
innevata anche nella stagione estiva.
1 Storia delle Alpi http://www.viestoriche.net/indexold-a/ali-opera.htm
2
Territorio mutevole ed immutato quello delle Alpi, che in una personificazione
immagino trasformate in un sorridente anziano, saggio, ricco di storia, che ha
dovuto adattarsi ai cambiamenti del mondo, adattandosi al peso della sua età.
Sulle spalle il peso degli anni, delle trasformazioni, dei mutamenti climatici e
degli sfruttamenti territoriali. Vestito di toppe, tante quante sono le popolazioni
e le altrettanto differenti culture che lo hanno caratterizzato. Invariato
nell’anima, immutata, fin’ora radicata e protetta. L’anima della montagna, quella
che ci fa immergere in un mondo assolutamente unico e raro, naturale, wild. Ma
nonostante ciò, fatta eccezione per la sua massiccia imponenza e forza il
complesso alpino rimane fragile sotto l’intervento dell’uomo, ed ecco perché i
suoi monti sono universi da comprendere, studiare proteggere e tutelare.
Tralasciando questa breve introduzione pare lecito analizzare le tre diverse
prospettive che mi hanno guidato nella stesura dell’ elaborato nonché nella
ricerca attorno alle dinamiche socio-ambientali e delle complesse
macrotendenze delle aree alpine. Sinteticamente le tre prospettive riguardano:
- la regione dal punto di vista geografico morfologico;
- le mutevoli dinamiche socio-demografiche.;
- il ruolo delle Alpi in un clima di cambiamento globale.
Tali prospettive verranno ampiamente trattate nello svilupparsi dei
successivi paragrafi.
1.1.1 Il complesso alpino
Sebbene siano l’arco montuoso più grande ed imponente d’Europa, determinare
i confini di questa regione non sembra a prima vista così semplice, data la
grandezza e la vastità del territorio e la molteplicità di stati che essa stessa
comprende.
3
Fig. 1.1 - Carta fisica del complesso Alpino
(Fonte http://www.lib.utexas.edu/maps/historical/history_europe.html)
È deciso, per convenzione, che le Alpi inizino a ovest del Colle di Cadibona
(Savona) e terminano a ovest della città di Vienna, coprendo una distanza di
circa 1.300 km a forma di arco tra l'Italia settentrionale, la Francia sud-
orientale, la Svizzera, il Liechtenstein, l'Austria, il sud della Germania, la
Slovenia e l'Ungheria occidentale. La cima più alta è costituita dal Monte Bianco
che con i suoi 4.810 m è considerato anche il tetto d'Europa; seguono il Monte
Rosa (4.634 m), il Dom (4.545 m), il Weisshorn (4.505 m) e il Cervino (4.476 m).
Altre vette importanti sono il Finsteraarhorn (4.274 m), l'Aletschhorn
(4.193 m), la Jungfrau (4.158 m), il Gran Paradiso (4.061 m), il Bernina
(4.049 m), l'Ortles (3.902 m), il Monviso (3.842 m), il Großglockner (3797 m), la
Presanella (3558 m) e la Marmolada (3.343 m)2.
Quasi un secolo fa, precisamente nel 1926 ed in seguito al IX° Congresso
Geografico Italiano, vennero ufficializzate le suddivisioni del sistema alpino
sulla base del documento Nomi e limiti delle grandi parti del Sistema Alpino. Tale
2 Descrizione Complesso Alpino www.spere.it/enciclopedia/alpi/html
4
ripartizione individua tre grandi parti: Alpi Occidentali, Alpi Centrali e Alpi
Orientali, suddivise a loro volta in 26 sezioni e 112 gruppi.
Fig. 1.2 - I gruppi Montuosi delle Alpi
Fonte (http://www.dislivelli.eu/files/albums/Documenti/cartina_1.jpg)
Le strutture che così si delineano rendono conto delle attuali forme della catena
alpina. Anzitutto esse sono all'origine della diversa altitudine della catena nelle
sue varie parti, poi della sua conformazione così dissimile passando dalla
sezione occidentale a quella orientale. Questa ha forme più distese, meno aspre,
e qui infatti si trovano i valichi più bassi della catena3.
Alla dissimmetria dei versanti nelle sezioni centrale e occidentale si deve il
diverso sviluppo delle vallate, che sul lato padano sono piuttosto brevi, mentre
su quello esterno hanno uno sviluppo molto maggiore. Le maggiori valli sono
tendenzialmente longitudinali, cioè parallele all'asse principale della catena (è il
caso della Valtellina, del Vallese, dell'Engadina, nella parte occidentale),
nonostante siano altrettanto numerose anche quelle trasversali che consentono
3 Descrizione Complesso Alpino www.spere.it/enciclopedia/alpi/html
5
l'accesso ai valichi e che in molti casi rappresentano l'allacciamento, attraverso
le fasce prealpine, con quelle longitudinali: si hanno così comunicazioni dirette
dall'interno fino alla periferia della catena. Degna di nota, fra le vallate
trasversali, è la valle dell'Adige, lungo e profondo solco che spezza il largo
versante meridionale delle Alpi Orientali4.
Data la sua altitudine e la sua posizione latitudinale l'area alpina è stata tutta
sottoposta al glacialismo. Proprio a tale escavazione glaciale le vallate alpine
devono le loro forme, nella maggior parte dei casi ancora immutate,
caratterizzate da ripidi versanti e da caratteristici profili a U con fondivalle
relativamente estesi oggi colmati dai più recenti depositi alluvionali.
Conseguenza dell’apporto detritico dei ghiacciai sono i grandi accumuli
morenici che, spesso in perfetta forma ad anfiteatro, si dispongono allo sbocco
delle vallate. Questo fenomeno si verifica sia nel versante settentrionale,
all'altezza del corso medio dei fiumi danubiani, sia in quello meridionale, dove
essi giacciono al di sopra delle più antiche coltri alluvionali e diluviali che
formano la Pianura Padana. All'erosione glaciale si deve anche la forma assunta
dalle cime alpine, sebbene essa sia essenzialmente determinata dalla particolare
struttura delle rocce e dalla loro giacitura. Il glacialismo, è limitato in genere alle
aree poste al di sopra dei 3000 m e dà origine ad alcuni ghiacciai vallivi
importanti, specie sul versante settentrionale, dove il limite delle nevi è più
basso e dove alcune lingue glaciali si spingono fin sotto i 2000 m.
Il ghiacciaio più vasto è quello dell'Aletsch, nelle Alpi Bernesi, lungo 22,3 km, cui
seguono quello del Gorner e della Mer de Glace.
Nel Settecento, durante quella che si suole definire piccola età glaciale, la loro
lunghezza era di circa un terzo maggiore di quella odierna e attualmente il loro
ritiro è continuo; complessivamente i ghiacciai coprono un'area di ca. 2.500
km². Il resto dell'area alpina è sottoposto all'erosione propria delle aree
temperate e dovuta in particolare all'azione prevalente delle acque correnti,
cioè al ruscellamento.
4 Atlante delle Alpi http://www.alleanzalpi.org/it/attualita/news/3115/?set_language=it
6
Caso particolare è il fenomeno dell’erosione carsica perché prevalentemente
sotterranea e quindi meno intensa in superficie, la quale ha i suoi modelli più
caratteristici nelle Alpi Giulie, ma che interessa tutta la grande fascia periferica
di rocce calcaree sia sul versante esterno sia su quello interno, centrale e
orientale. Glaciazioni, erosione, agenti atmosferici5. Sono questi effetti che
rimandano tutti ad un unico grande agente, in continua evoluzione e
mutamento: il clima.
1.2 Il clima alpino
La regione alpina si trova sotto l'influenza delle tre masse di aria che
condizionano il clima dell'Europa: quella marittima o atlantica, quella
continentale di Nord-Est, quella meridionale o subtropicale. Risulta interessante
sottolineare come rispetto ad esse le Alpi agiscono al tempo stesso da barriera
che da area di transizione. Nella parte più elevata, centrale, l'altitudine impone
le sue leggi e determina condizioni abbastanza omogenee, salvo le influenze
attribuite ai fattori locali. Anche nelle aree meno elevate l'altitudine ha però la
sua influenza, soprattutto sulle temperature, ciò nonostante l'esposizione ivi
riscontrata è particolarmente decisiva.
In generale il versante settentrionale delle Alpi ha temperature più basse e
piovosità più elevata di quello meridionale, e la situazione si ripete a livello di
microclimi locali, per cui nelle vallate disposte in senso Ovest-Est, il versante
esposto a Nord, meno soleggiato, è più freddo (e quindi in genere più boscoso,
meno coltivato e meno abitato) di quello opposto. Sensibile è anche la diversità
delle manifestazioni tra le Alpi Orientali e le Occidentali, in quanto le prime sono
soggette alle masse continentali di aria fredda: nella regione dolomitica, per
esempio, si registrano d'inverno i minimi termici a pari altitudine.
Fatta eccezione per tali differenze dovute agli influssi esterni,si può facilmente
riscontrare come i valori termici scendano con l'altitudine in misura di 1 °C ogni
5Comprensorio alpino http://www.alleanzalpi.org/it/attualita/news/3115/?set_language=it
7
170 m. Si calcola che in media la temperatura annuale sia di 8,5 °C a 500 m sul
versante settentrionale (su quello meridionale è più elevata di qualche grado).
Si abbassa poi a 4,4 °C a 1300 m, a 0,3 °C a 2100 m6. Questa progressione non si
verifica in certe situazioni invernali legate alla cosiddetta inversione termica7,
molto frequente sulle Alpi quando le pianure e i fondovalle sono avvolti dalle
6 Clima Monitor, una verità scomoda http://www.climatemonitor.it/?p=7128
7 L’inversione termica è un fenomeno meteorologico molto particolare caratterizzato da un
raffreddamento dello strato d’aria prossimo al suolo che determina una inversione del “gradiente termico verticale”, dove la temperatura dello strato atmosferico coinvolto aumenta con la quota. Come è noto questo tipo di inversione termica è causato dall’irraggiamento notturno del suolo e interessa gli strati più bassi della troposfera. Quando il cielo è sereno, in una condizione anticiclonica, con venti deboli o assenti e poco o nullo rimescolamento delle masse d’aria, il terreno irradia calore verso la media atmosfera, liberandolo rapidamente verso l’alto. Tali condizioni agevolano un forte raffreddamento del terreno, favorendo la formazione di uno strato di aria fredda che ristagna presso il suolo, a circa 100-200 metri di altezza. Questo strato di aria fredda e stabile, essendo più pesante, rimane a livello del suolo e con la condensazione dell’umidità origina le temute nebbie d‘irraggiamento, molto note in inverno nella pianura Padana e nelle vallate alpine e appenniniche. Essa raggiunge un massimo di intensità al primo mattino per poi scomparire durante le ore più calde della giornata. Inoltre questo fenomeno assume maggior evidenza in inverno e in presenza di cieli sereni o poco nuvoloso. Durante il giorno, nel periodo invernale, i raggi solari spesso non riescono a riscaldare il suolo, sia per l’aumentata inclinazione d’inverno che per la ridotta durata del giorno e per l’eventuale presenza di neve che riflette fortemente la luce solare diretta (effetto Albedo). L’aria a contatto con il terreno al calar del sole di conseguenza si raffredda molto rapidamente, raggiungendo temperature inferiori rispetto agli strati atmosferici sovrastanti. La temperatura risulta quindi più bassa in pianura che nelle aree collinari o in montagna, con scarti di anche +10° +12°. Di frequente si salda con l’inversione dinamica superiore, associata quest’ultima all’effetto adiabatico dei moti discendenti caratteristici di un’area anticiclonica. Di solito durante la formazione dell’inversione termica si può osservare come l’andamento termico negli strati d’aria prossimi al suolo rimanga pressoché costante. Le inversioni termiche che interessano le nostre regioni si possono suddividere anche in “inversioni dinamiche” e “inversioni per avvezione calda”. Le “inversioni dinamiche” sono provocate sia dalla compressione adiabatica generata dai moti discendenti tipici di un’area anticiclonica dinamica che dall’orografia locale. In genere questo tipo di inversione si estendono dai 850 hpa ai 600 hpa, ma in presenza di forti e robusti anticicloni possono investire anche gli strati più prossimi al suolo. Sono identificabili da una debole diminuzione della temperatura man mano che si sale di quota, o al più da un lieve incremento, oltre ad una contemporanea e netta diminuzione della temperatura di rugiada. Un altro tipo di “inversione termica dinamica” è possibile ritrovarla sottovento ad una catena montuosa soggetta a correnti più o meno ortogonali ad essa. In Italia le “inversioni termiche dinamiche” sono molto comuni in presenza di correnti occidentali o meridionali che investono l’arco alpino occidentale e l’Appennino settentrionale. Le “inversioni termiche per avvezione calda” si presentano molto spesso negli strati medio - bassi e sono generate dall’irrompere di avvezioni d’aria calda, generalmente di tipo pre-frontale o identificabili con il passaggio di una Warm Conveyor Belt (lo scorrimento d’aria calda e umida lungo il settore caldo di una depressione delle medie latitudini). Sovente gli aspetti che identificano la presenza di una “inversione termica per avvezione calda” sono riscontrabili da un aumento della temperatura e della temperatura di rugiada nello strato d’aria interessato, fino a raggiungere frequentemente la saturazione. In genere questo tipo di inversioni termiche vengono accompagnate da sostenute correnti che tendono a disporsi dai quadranti meridionali, trasportando masse d’aria calde e piuttosto umide. (http://www.meteoweb.eu/2012/05/il-fenomeno-dellinversione-termica-la-differenza-fra-quella-di-natura-dinamica-e-da-avvezioni-calda/132740/).
8
nebbie. Per tale motivo, ad esempio, si riscontra come durante la stagione
invernale la temperatura nelle Prealpi Italiane arriva a 10 °C, quando nella
sottostante pianura, avvolta nella nebbia, erano presenti condizioni di gelo.
Fig. 1.3 - Cartina Temperature Alpine negli ultimi anni
(Fonte http://personalpages.to.infn.it/~cassardo/pensieri/2010_07_20.html)
Continuando con l’analisi climatica si può asserire che generalmente anche le
precipitazioni aumentano con l'altitudine: ciò secondo una progressione
regolare fino a 2500 m, oltre la quale esse, di norma, decrescono. Al di sopra dei
3500 m le precipitazioni hanno in genere sempre carattere nevoso, anche
d'estate. Sulle cime più elevate del Monte Bianco, infatti si riscontra che cadono
annualmente sino a 40 m di neve. Di seguito, passando alle altitudini di 2000 m,
gli spessori nevosi scendono fino 200 mm e anche meno sulle Prealpi italiane.
9
In merito alle stagioni, va evidenziato che l'inverno registra i più lunghi periodi
di tempo stabile, legati all'influsso delle masse d'aria secca continentale. L'estate
d’altro canto è caratterizzata da manifestazioni temporalesche molto frequenti
cui si deve un apporto di precipitazioni e una nuvolosità pari a quelle delle
stagioni maggiormente instabili, ossia la primavera e l'autunno. Ma com’è
cambiato il clima nel corso degli ultimi anni? Quali sono stati i problemi legati
ad esso? Qual è la responsabilità dell’uomo?
1.2.1 I cambiamenti climatici
Negli ultimi anni il clima ha manifestato cambiamenti significativi, riscontrabili
principalmente in un consistente aumento delle temperature. La preoccupante
tendenza, aggravata anche dalla persistente mancanza di attenzione dell’uomo
nel diminuire i danni ambientali causati dall’emissione di gas serra in atmosfera,
induce gli esperti a prevedere un ulteriore innalzamento di due o tre gradi in un
arco di tempo compreso fra il presente ed i prossimi cinquanta anni. Quello che
a primo impatto può sembrare un problema relativo e di scarsa importanza,
risulta invece essere, se sottoposto ad un’attenta analisi, il colpevole di
molteplici conseguenze.
In primo luogo, si riscontrerà un aumento delle precipitazioni nevose nella
stagione invernale e al contrario una diminuzione durante la stagione estiva.
Anche in questo caso, è facile saltare a conclusioni positive. Tuttavia
l’innalzamento delle temperature condurrebbe ad una significativa riduzione
della copertura nevosa ad altitudini inferiori ai 1.500-2.000 m s.l.m.8, causando
gravi aumenti nei costi relativi all’innevamento artificiale contingente all’
industria dello sci, resa a questo punto ancor meno sostenibile di quanto già non
sia. In secondo luogo, da un punto di vista prettamente ambientale, il
surriscaldamento globale si rifletterebbe nelle Alpi con il peggiorare del
8A. G. dal Borgo, (2009), Il futuro delle Alpi sui sentieri della sostenibilità
10
secolare fenomeno del ritiro dei ghiacciai e delle zone di permafrost9. Oltre ai
pericoli più immediati legati a questo evento, individuabili in un aumento del
rischio di valanghe, frane e inondazioni, va ricordato il progressivo venir meno
della notevole riserva d’acqua utilizzabile nell’agricoltura e nell’industria,
nonché come fonte per la produzione di energia elettrica. Come ultima ma non
meno rilevante conseguenza, la perdita irreversibile di paesaggi naturali di
valore unico e incalcolabile. Alla luce di suddetti cambiamenti climatici, risulta
quindi innegabile la necessità di sviluppare strategie idonee e comuni di
contenimento del fenomeno, per l’arco alpino e per il pianeta tutto.
1.3 Popolamento nelle Alpi: una prospettiva storica
Le asprezze dell'ambiente hanno da sempre fortemente limitato il popolamento
umano nella regione alpina. Nei suoi caratteri tradizionali esso è il risultato di
un adattamento ambientale sopracitati fattori imposti dalla natura quali il clima
e le condizioni morfologiche. In generale c'è la tendenza a rinchiudersi e ogni
invenzione culturale non esce dall'ambiente particolare in cui è nata. Il mondo
alpino, come del resto ovunque il mondo montanaro, ha la tendenza ad essere di
per sé statico, conservatore, basato su un legame strettissimo tra uomo e natura.
Quel legame rinsaldato dagli stessi immani sacrifici che richiedono
l'insediamento e lo sfruttamento dell'ambiente, vera e propria sfida dell'uomo
con la montagna. Certe forme di vita tipiche della regione alpina si sono
conservate immutate fin dall'epoca in cui l'uomo ha cominciato a vivere in
montagna. Non solo, si potrebbero anche citare numerose analogie, sul piano
ecologico e culturale, tra mondo alpino e mondo montanaro dell'Asia (Anatolia,
Caucaso, Elburz, Hindukush, Himalaya), entrambi frutto di condizioni
ambientali analoghe, anche se non è improbabile che le originarie forme di vita
montanara abbiano avuto una comune matrice culturale.
9
Il permafrost, o permagelo, è un terreno dove il suolo è perennemente ghiacciato (non necessariamente con presenza di masse di acqua congelata). Convenzionalmente con questo termine si indica un terreno ghiacciato da almeno 2 anni (http://www.wordreference.com/definizione/permafrost).
11
Fig. 1.4 - Cartina demografica delle Alpi
(Fonte http://www.dislivelli.eu/files/albums/Documenti/cartina_10c.jpg)
In tutto l’arco alpino il popolamento inizia in età preistorica a partire dalle zone
prealpine, primo arroccamento all'epoca dei grandi movimenti etnici in Europa,
che portavano gruppi umani a valicare la catena attraverso i passi più agibili,
come nelle Alpi Orientali.
A testimonianza delle prime forme di popolamento, vanno citati i numerosi
reperti archeologici appartenenti presumibilmente a cacciatori e raccoglitori,
ritrovati nelle grotte di montagna e risalenti circa a 100.000 anni fa.
Decisamente ad un’epoca più recente, nello specifico a partire dal 5000 a.C.,
risalgono invece gli indizi riguardanti le prime forme di allevamento e
agricoltura. Da quest’epoca in poi, il territorio alpino vede l’avvicendarsi di
molte popolazioni. Furono i Romani circa 2000 anni or sono a conquistare le
Alpi, ponendo così fine alla cosiddetta preistoria alpina e apportando importanti
12
innovazioni in campo agricolo come in quello delle infrastrutture, costruendo
un’articolata rete stradale in grado di favorire i commerci10.
Conseguentemente alla fine di quest’epoca relativamente positiva ed in
concomitanza con la fine dell’Impero Romano, si registra l’inizio di un lungo
periodo di crisi causato dalle invasioni barbariche ad opera dei germani del
nord, come dei saraceni da sud e degli slavi da est. Tale periodo proseguirà,
accompagnato da un decremento della popolazione, fino agli inizi del primo
millennio d.C. Segue l’inizio di una lenta e progressiva fioritura delle regioni
alpine all’insegna del commercio e dell’agricoltura e risulterebbe che
“le trasformazioni apportate dall’uomo all’ambiente e al paesaggio alpino attorno al 1350 abbiano raggiunto un punto culminante, che non si differenzia qualitativamente dalla situazione ecologica che si ritrova all’inizio del XIX secolo”11.
Il successivo popolamento relativo all’età medievale fu possibile grazie allo
sfruttamento silvo-pastorale che i grandi feudatari avevano sollecitato, senza
tuttavia intaccare quell'organizzazione sociale che spontaneamente si era
formata su una base essenzialmente comunitaria. Ogni comunità si ripartì il
territorio di sfruttamento dato in concessione nella misura necessaria alle
proprie esigenze, fatto questo che giustifica il tipico frazionamento della
montagna in tante piccole unità insediative. Il villaggio alpino è infatti all'inizio
“una riunione di comunitari, di consorziati, di comproprietari da cui erano esclusi i foranei. Un'attitudine caratteristica degli alpini ebbe così origine: il gusto della cosa pubblica, l'indipendenza riguardo alle tutele esterne, il paradossale miscuglio di individualismo e spirito comunitario”12.
Per meglio approfondire le dinamiche di popolamento relative agli ultimi secoli
del secondo millennio e più nello specifico riguardanti gli anni dal 1871 al 2000,
pare lecito fare riferimento alla periodizzazione dell’andamento demografico
suggerita dal geografo tedesco Werner Bätzing13, consulente scientifico presso
la CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) e 10
Descrizione Complesso Alpino www.spere.it/enciclopedia/alpi/html. 11 W. BÄTZING, Le Alpi. Una regione unica, cit., p. 94. 12 E. TURRI, Storia e civiltà delle Alpi, 1987. 13 Cfr. W. BÄTZING, Le Alpi. Una regione unica.
13
collaboratore nei progetti della Convenzione delle Alpi14, istituzioni delle quali
pare opportuno trattare successivamente nel corso dell’elaborato.
Fig. 1.5 - Perimetro di influenza e lavoro della Convenzione delle Alpi
(Fonte http://www.dislivelli.eu/blog/disegnare-le-alpi.html)
Non a caso l’analisi proposta da Bätzing prevede come data di origine il 1871,
anno a partire dal quale vengono condotti i primi censimenti con metodologie
moderne che producono dati sufficientemente affidabili per l’intera regione
alpina. Da questo anno, fino al 2000, la popolazione delle Alpi passa da
7.800.000 a 14.200.000 di persone, registrando in questo modo l’incremento
degno di nota dell’82%. Per meglio illustrare i processi che hanno contribuito ad
14 La Convenzione delle Alpi è una convenzione internazionale nata nel 1991, intesa a realizzare la protezione e lo sviluppo sostenibile dell'arco alpino.
14
apportare un così importante incremento, il geografo suddivide tale periodo
(1971-2000) in tre fasi principali:
- La prima fase, occupa il periodo dal 1871 al 1951, in concomitanza con lo
sviluppo della società industriale: la popolazione alpina aumenta da
7.800.000 a 10.800.000. Le cause sono da ricondurre al processo di
sviluppo economico che dal 1880 fino al 1939 favorisce la fioritura nel
territorio alpino di città dotate di migliore accessibilità e il sorgere di
aziende ed aree industriali che hanno contribuito in gran parte ad
incentivare l’insediamento anche in zone meno agiate come quelle in
questione.
- La seconda fase, compresa nel trentennio ’51–’81, è quella che vede le
zone alpine godere del miracolo industriale conseguente al secondo
dopoguerra. La forte ripresa economica fa si che numerose aziende
sorgano soprattutto nelle valli maggiormente collegate con le più
importanti città extra – alpine. A tal proposito si assiste al diffondersi del
turismo di massa che induce, nelle regioni coinvolte in tale fenomeno, il
proliferare di infrastrutture turistiche. Da sottolineare, dal punto di vista
tecnologico, l’innovazione e la modernizzazione delle tecniche impiegate
nel settore agrario. E’ il trentennio che vede la popolazione da
18.800.000 a 13.000.000. Lo sviluppo della società dei servizi è senza
dubbio il fattore principale dell’incremento demografico riscontrato
negli anni dal 1981 al 2000, racchiusi da Bätzing nella terza ed ultima
fase. La progettazione e la costruzione di nuove strade, consente inoltre
maggior mobilità dai paesi e città alpine ai fondovalle come d’altro canto
dalle città alpine a quelle “extra - alpine” e gli stessi collegamenti sono
favoriti dal trasporto su gomma. Si raggiungono dunque, nel 2000, i
14.200.000 abitanti. Fattori differenti rispetto a quelli fin’ora analizzati
nell’ambito del popolamento alpino, vanno anche ricercati in una
tendenza già notabile sin dai primi insediamenti, che però volge ad
assumere maggiore rilevanza in tempi più maturi, come quelli
contemporanei.
15
- La tendenza ad diventare alpini o meglio ancora montanari, la quale
asserisce ovviamente al movimento di popolazione dalla pianura e dai
fondovalle in passato e dalla città ai paesi di montagna in tempi odierni, è
infatti materia di studio per coloro che analizzano il fenomeno del
popolamento alpino. A contribuire all’incremento demografico di alcune
di queste aree sarebbe dunque la volontà e la ricerca di uno stile di vita
diverso dal quello legato alle dinamiche ed ai processi caratteristici delle
zone di pianura o collina per avvicinarsi ad una prospettiva di vita legata
agli aspetti tipici della vita montana. Una scelta di libertà in terre
povere15, che include la ricerca della terra estrema, della terra d’alta
quota. Una scelta di libertà ed indipendenza. Tendenza che rimanda
inoltre all’avvicinamento a due caratteristiche imprescindibili della
cultura montana quali l’inclinazione ad intrattenere una continua
interazione di adattamento con la natura e in secondo luogo la
propensione alla conservazione della propria identità e della propria
cultura 16. Lo stile di vita montano - alpino è anche caratterizzato dalla
scelta etica imperniata sulla capacità di resistenza esistenziale nella
solitudine delle montagne, godendo di indipendenza e libertà e
raccogliendo i frutti della fatica sottoforma di radicamento della socialità
nella solidarietà, di governo sereno e di accorta misura della propria sorte
entro un rigoroso rispetto della natura 17.
Sebbene si sia fin’ora trattato del fenomeno relativo al popolamento delle alpi
nel corso della storia, è d’obbligo porre l’attenzione sul più che mai attuale
fenomeno opposto, quello relativo allo spopolamento delle Alpi.
15L. ZANZI, L’Europa e lo spopolamento delle Alpi: una scelta politica, in Spopolamento montano: cause ed effetti, a cura di M. Varotto e R.Psenner, cit., p.38-39 16 Ibidem 17 Ibidem
16
1.4 Spopolamento montano: cause ed effetti
Il problema dello spopolamento delle Alpi è compreso, dal un punto di vista più
generale, nel problema dell’abbandono delle montagne che sta avvenendo ora,
seguendo modalità differenti, in quasi tutte le regioni montuose del pianeta.
Sebbene notevolmente aggravatosi negli ultimi anni, il problema nasce già nel
XIX secolo e va ricondotto alle migrazioni dei popoli montani, dapprima
periodiche e in seguito irreversibilmente definitive. Le cause di questo
fenomeno sono facilmente ascrivibili a diversi fattori:
- Fattori ambientali, quali l’altimetria e le relative condizioni climatiche;
- Fattori economici quali l’abbandono delle attività tradizionali comprese
quelle agricole e pastorali, dettate dall’insufficienza del reddito percepito
e dalla concorrenza delle economie di pianura e più in generale dalle
leggi del mercato globale in cui la società odierna opera;
- Fattori riguardanti la mancanza, l’insufficienza o l’inadeguatezza dei
servizi, con particolare riferimento all’educazione e alla sanità come
d’altro canto alla scarsa viabilità dettata dalla presenza di una rete
stradale ed infrastrutturale scomoda e purtroppo legata alla
conformazione del territorio.
Questi fattori, accompagnati da una legislazione nazionale che, ignorando i
caratteri propri dell’ambiente alpino, impone norme standardizzate non adatte
alla realtà del mondo della montagna, concorrono a spingere gli abitanti della
montagna a desiderare maggiori guadagni, prospettive di vita più allettanti, stili
di vita diversi e un miglioramento della posizione sociale, concretizzando queste
aspettative altrove.
Va inoltre notato il processo che a mio avviso, dà al fenomeno dello
spopolamento una connotazione di tipo virale in quanto l’abbandono delle zone
insediative genera solitamente e quasi irreversibilmente, ulteriore abbandono.
17
Il progressivo svuotamento delle città alpine come dei paesi in quota, intesi
come unità insediative, sembra infatti essere motore di una perdita di fiducia
nei valori e nelle radici culturali come nelle attitudini a rimanere, insite
nell’animo di coloro che ancora resistono nei territori in questione.
Facendo riferimento all’ultimo processo, considerabile causa ed allo stesso
effetto dello spopolamento, la domanda da porre sorge spontanea: quali sono le
conseguenze di tale fenomeno? Per rispondere a tale domanda, la letteratura, in
questo caso con particolare riferimento al lavoro di Luigi Zanzi in Spopolamento
montano: cause ed effetti, ci propone il riassunto delle molteplici conseguenze al
progressivo abbandono del suolo alpino, individuandolo in tre macrotendenze:
“in primo luogo, il processo di degrado da un montagna colta a una montagna incolta (con valenza molteplice di tali termini, non solo in chiave di ruralizzazione e di deruralizzazione) e con tutte le connesse incidenze sulle trasformazioni ambientali indotte da tale processo; in secondo luogo, la connessione di tale vicenda socio-culturale di abbandono di una montagna già popolata (talora anche con modalità intensive) con l’avvento e l’insediamento di alcuni nuovi processi di sfruttamento delle risorse montane da parte della civiltà di pianura o di città; infine, la perdita senza rimedio di un retaggio culturale già maturato in montagna e disperso fino alla sua estinzione attraverso lo spopolamento della montagna18.”
Ponendo l’attenzione sul primo dei punti menzionati, è opportuno constatare
come nonostante tale dinamica sia riscontrabile in tutte le regioni montuose del
mondo, alcune zone come il versante sud-occidentale delle Alpi italiane ed in
particolare nelle regioni meridionali e sud-orientali di esse (Lombardia, Veneto
e Friuli) siano maggiormente interessate.
Il motivo va ricercato nel mancato avvento in queste specifiche zone di quel
miracolo industriale comprensivo di innovazioni e sviluppo dal punto di vista
tecnologico le quali, come già spiegato nel precedente paragrafo relativamente
agli studi di Bätzing sull’incremento demografico, hanno garantito la
modernizzazione delle tecniche impiegate soprattutto nel settore agrario. Come
affermato precedentemente, tale progresso portò all’incremento della
popolazione alpina negli anni compresi fra il 1951 e il 1981, incremento
contrapposto da un marcato calo demografico nelle zone non modernizzate. 18 Ibidem, cit.
18
Sempre secondo Bätzing, i comuni alpini che presentano una diminuzione
generale della popolazione negli anni fra il 1871 e il 2000 sarebbero il 33% dei
6123 analizzati nel suo studio e riguarderebbero proprio le sopracitate Alpi
italiane, occidentali e orientali. D’altro canto, va inoltre evidenziata un’altra nota
dolente del processo di deruralizzazione, che vede come vittima l’ambiente. La
presenza dell’uomo in montagna è fattore imprescindibile per la cura e il
mantenimento dell’ambiente, dal momento che come ci ricorda Zanzi:
“l’idea che la natura senza l’uomo, sia meglio della natura con l’uomo, è uno dei pregiudizi della tradizione del pensiero ambientalista e un idea del tutto fuorviante che conviene abbandonare se si vuol tentare di recuperare l’ambiente montano dal degrado di cui esso attualmente è teatro proprio in conseguenza delle vicende di spopolamento19.”
In questo contesto pare doveroso, invece, porre l’attenzione sul secondo dei
punti sopra elencati, relativo alle problematiche inerenti i processi di
sfruttamento delle risorse montane, da parte della civiltà di pianura o di città. Va
purtroppo riscontrato l’avverarsi in questo caso della nota espressione
popolare: oltre al danno, la beffa.
Come più volte finora evidenziato, vivere nelle Alpi e vivere le Alpi, non è cosa
facile. Le disparità con le zone altre d’Europa e del mondo, quelle con assente
tasso di montanità, sono numerose e aggiungono costantemente ostacoli a
quella che abbiamo chiamato la sfida dei popoli alpini. Decisamente poca
attenzione viene posta a suddette problematiche da parte degli organi
istituzionali, associazioni ed enti competenti in merito. Come se non bastasse,
oltre ad una montagna metaforicamente abbandonata a sé stessa, si assiste
sempre più alla tendenza allo sfruttamento delle sue risorse da parte del mondo
cittadino. Non sono così nuovi i casi, ad esempio, di sfruttamento turistico,
concentrato prevalentemente sulle attrezzature per il turismo sciistico ed
invernale o del più importante caso di sfruttamento edilizio del territorio
montano. In questo caso, si assiste in quelle zone già avviate al processo di
spopolamento, a quel fenomeno che vede la mancanza di una reazione e di una
19 Ibidem
19
resistenza da parte della locale popolazione. Quest’ultima, sembra
tendenzialmente chiudersi nella convinzione (per certi aspetti giustificabile) che
le opportunità di miglioramento non dipendano da essa e talvolta, se così non
fosse, si trova costretta a dover lottare contro le mal assortite amministrazioni
locali che in virtù di avventate e mal indirizzate prospettive o promesse di
sviluppo, concedono senza scrupoli la possibilità d’azione al mondo cittadino,
industriale, lontano. Questa ed altre problematiche simili, troveranno spazio per
un approfondimento più avanti nel corso dell’elaborato.
A conclusione di questa analisi, pare opportuno proporre quello che vuole
essere l’invito ad una riflessione riguardo alla forte necessità di una quanto più
immediata inversione di tendenza del fenomeno dello spopolamento delle Alpi e
più in generale, di tutte le regioni montane del pianeta. Inversione di tendenza
che si impernia proprio sulla figura dell’uomo e sul suo ritorno nelle zone
abbandonate o meglio ancora sulla sua presa di coscienza di quella sorta di
responsabilità verso l’ambiente, verso la comunità e nei confronti dell’impegno
per un mantenimento delle radici culturali che da sempre lo legano all’identità
montana. In altre parole, citando ancora Zanzi:
“(...) è evidente come soltanto la presenza di un popolo montano che viva del suo radicamento in montagna con uno stile di vita adeguato alla sopravvivenza con risorse montane, possa agire effettivamente come fronte di resistenza contro tali tentativi di violazione dell’integrità ambientale20.”
E’ evidente allora a questo proposito, e con riferimento al terzo dei punti sopra
indicati come distintivi delle tendenze in atto nei luoghi in continuo calo
demografico, la necessità di chiedersi come, dove e a chi spetti coltivare le
speranze di conservazione dell’identità culturale propria delle regioni in
questione.
Quanto fin’ora detto ha messo in evidenza quanto l’ambiente montano sia
incerto e costituisca una continua sfida nei confronti dei suoi abitanti ma ha
altrettanto testimoniato come tale sfida sia elemento immemore di quella
matrice comprendente l’insieme di valori che persistono nell’animo del vecchio,
20
Ivi, p. 47
20
saggio anziano vestito di toppe. Occorre però tralasciare il rimpianto
malinconico del passato ed operare in direzione di un rinnovamento della
cultura montana e alla sua conservazione attraverso la sua rinascita e
modernizzazione.
Prima di passare al terzo ed ultimo capitolo del suddetto elaborato, pare
opportuno affrontare la tematica della sostenibilità, andando ad analizzare non
solo l’evoluzione di tale concetto nella storia, ma anche le sue implicazioni nelle
politiche ambientali.
Verranno poi presi in esame alcuni progetti sostenibili che consentiranno
facilmente di calare le diverse direttive teoriche all’interno di una realtà
concreta, quella del Comelico Superiore.
21
CAPITOLO SECONDO
SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE: ANALISI TEORICA E PRATICA DELLO SVILUPPO
MONTANO
2.1 Sostenibilità è consapevolezza
Dopo aver delineato i diversi cambiamenti che hanno caratterizzato le Alpi negli
anni, appare opportuno fare una premessa sulla nozione di sviluppo sostenibile.
Per delineare al meglio tale concetto, pare lecito partire dalla definizione di
sviluppo sostenibile data dalla legislazione europea:
“Secondo la definizione tradizionale, lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che risponde alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie. In altri termini, la crescita odierna non deve mettere in pericolo le possibilità di crescita delle generazioni future. Le tre componenti dello sviluppo sostenibile (economica, sociale e ambientale) devono essere affrontate in maniera equilibrata a livello politico.”.21
Da ciò si può facilmente dedurre che il principio, per il quale lo sviluppo deve
rispondere alle necessità delle generazioni attuali senza compromettere la
possibilità delle generazioni, è universalmente condiviso. Tralasciando il
consenso generale di cui è circondata la tematica dello sviluppo sostenibile, il
quale sembra essere caratterizzato da una sorta di omologazione etica per cui
21http://europa.eu/legislation_summaries/environment/sustainable_development/index_it.htm
22
le persone risultano condividere tale pensiero più per paura di un giudizio
morale che per reale convinzione, le modalità attuative e concrete di tale
concetto risultano ancora vaghe.
Nell’articolo pubblicato da Andrea Cerise in Environnement si legge che:
“Lo sviluppo sostenibile non è solo una risposta ad esigenze di natura ecologica, ma fondandosi su di un patto generazionale e su di una visione globale che ingloba tutti gli aspetti della vita umana, esige delle politiche economiche, ecologiche, finanziarie, commerciali, energetiche, industriali, educative ed altre ancora, intese a favorire un modello di sviluppo economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibile. Qualsiasi forma di consumo che produca degli indebitamenti, compreso quello ecologico, a carico delle future generazioni, costituisce un pregiudizio per la sostenibilità”.
Da ciò si evince come lo sviluppo sostenibile ingloba in sé una progettazione dei
consumi regolamentata e pianificata, che permetta a tutte le società di accedere
in egual modo alle risorse ambientali, senza però deturpare l’equilibrio delle
risorse e della natura stessa. Va quindi da sé che lo sviluppo sostenibile debba
anche essere il riflesso di una generale presa di consapevolezza dei cittadini che
le risorse ambientali non sono inestinguibili e che un corretta gestione delle
stesse aiuta e migliora la vita di tutta la popolazione. Non è possibile ipotizzare
uno sviluppo sostenibile con l'attuale ritmo di consumo di ambiente. Sempre
citando Cerise
“(…) è più corretto pensare che sia necessario addirittura restituire dei quozienti di risorse all'ambiente; o come oggi si usa dire, è necessario ridurre "l'impronta ecologica", intesa come la dimensione ambientale occupata dall'uomo.”
Si evince quindi che lo sviluppo sostenibile è un processo finalizzato al
raggiungimento di obiettivi di miglioramento ambientale, economico, sociale ed
istituzionale, sia a livello locale che globale. Tale processo lega quindi, in un
rapporto di interdipendenza, la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali
alla dimensione economica, sociale ed istituzionale, al fine di soddisfare i
bisogni delle attuali generazioni. In questo senso la sostenibilità dello sviluppo è
incompatibile in primo luogo con il degrado del patrimonio e delle risorse
23
naturali (che di fatto sono esauribili) ma anche con la violazione della dignità e
della libertà umana, con la povertà ed il declino economico e con il mancato
riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità.
Per tali motivi, la sostenibilità coincide con l’intersezione delle seguenti quattro
componenti fondamentali:
- Sostenibilità economica: intesa come capacità di generare reddito e
lavoro per il sostentamento della popolazione.
- Sostenibilità sociale: intesa come capacità di garantire condizioni di
benessere umano (sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite
per classi e genere.
- Sostenibilità ambientale: intesa come capacità di mantenere qualità e
riproducibilità delle risorse naturali.
- Sostenibilità istituzionale: intesa come capacità di assicurare condizioni
di stabilità, democrazia, partecipazione, giustizia22.
Un’altra definizione di sviluppo sostenibile venne data alla fine degli anni
Ottanta dall’economista Herman Daly23 il quale lo definisce come l’evolversi ed
il crescere rimanendo e non prevaricando capacità di carico degli ecosistemi e
quindi secondo le seguenti condizioni generali, concernenti l'uso delle risorse
naturali da parte dell'uomo, ossia:
- il peso dell'impatto antropico sui sistemi naturali non deve superare la
capacità di carico della natura;
- il tasso di utilizzo delle risorse rinnovabili non deve essere superiore alla
loro velocità di rigenerazione;
- l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie non deve superare la
capacità di assorbimento dell'ambiente;
22All’interno di questo portale è stato possibile reperire le nozioni circa lo sviluppo e l’implemento dei concetti di Sostenibilità ambientale in diversi settori e ambiti http://www.ecologicacup.unile.it/SvilSos_03Evoluzione.aspx 23
M. IANNANTUONI e E. MARIOTTI, Il nuovo diritto ambientale, cit., pp. 21-27.
24
- il prelievo di risorse non rinnovabili deve essere compensato dalla
produzione di una pari quantità di risorse rinnovabili, in grado di
sostituirle.
In tale definizione, viene introdotto anche un concetto di equilibrio auspicabile
tra uomo ed ecosistema, alla base di un'idea di economia per la quale il consumo
di una determinata risorsa non deve superare la sua produzione nello stesso
periodo24.
2.1.1 L’evoluzione della sostenibilità
Dopo aver chiarificato gli ambiti operativi della sostenibilità ambientale, nonché
delineato le caratteristiche principali del concetto stesso, appare utile
sottolineare le tappe storiche che hanno fatto si che lo sviluppo ambientale
rivestisse, nella cultura odierna, un ruolo così importante. Ciò ci permetterà
anche di passare al paragrafo successivo con una maggiore consapevolezza delle
convenzioni che stanno alla base delle attuazioni operative del concetto stesso.
In prima istanza partiremo da un’analisi storico economica della prima metà
degli anni 70, periodo in cui, dal punto di vista delle politiche ambientali, ci
furono i primi segnali di quella che sarebbe poi diventata un’enorme svolta
storica.
Nel 1973 un grave avvenimento scosse l’economia mondiale: la crisi petrolifera.
A seguito della guerra fra Israele e Paesi arabi, questi ultimi decisero di
diminuire le esportazioni di petrolio verso l’Occidente e di aumentarne il prezzo
per fare pressioni sugli Stati Uniti e l’Europa in favore della causa palestinese.
Diversi Paesi del mondo si trovarono così ad affrontare una grave crisi
finanziaria, e come conseguenza dell’aumento del costo del petrolio
aumentarono i costi dell’energia e quindi l’inflazione. La conseguenza della crisi
energetica del 1973 fu l’applicazione di politiche di austerità da parte di vari
24 P. GRECO e A. P. SALIMBENI in Lo Sviluppo insostenibile, dal vertice di Rio a quello di Johannesburg, pp. 77-80.
25
Paesi nel mondo, che presero misure drastiche per limitare il consumo di
energia.
Questa crisi rappresentò per l’Occidente un’occasione di riflessione sull’uso
delle fonti rinnovabili che vennero per la prima volta prese in considerazione in
alternativa ai combustibili fossili come il petrolio. La crisi, dunque, portò i paesi
occidentali a interrogarsi per la prima volta riguardo i fondamenti della civiltà
industriale e riguardo la problematicità del suo rapporto con le risorse limitate
del pianeta.
A tal proposito appare coerente ricordare come nel 1972 era stato pubblicato ad
opera di alcuni studiosi del Massachusetts Institute of Technology il rapporto sui
Limiti dello sviluppo, commissionato dal Club di Roma25. In questo lavoro si
delineava come la crescente e cospicua crescita economica sarebbe stata
necessariamente bloccata e interrotta dalla limitata disponibilità delle risorse
naturali, focalizzandosi soprattutto su una di queste, ossia il petrolio. Ciò che si
reputa necessario sottolineare è l’inusuale volontà di enfatizzare su un tema
delicato come l’ambiente. È risaputo, infatti, che all’epoca, il tema dell’ambiente
e la volontà di determinare una regolamentazione nello sviluppo della civiltà in
modo non invasivo, fossero delle tematiche trattate molto di rado, dal momento
che era non comune il pensiero che le risorse disponibili potessero prima o poi
esaurirsi. Sebbene tutto ciò appaia strano, vanno tenute in considerazione le
plurime e diverse variabili che caratterizzavano gli anni Settanta. Sia il periodo
storico, che la dimensione culturale hanno notevolmente infatti influenzato la
mancata considerazione di tematiche legate all’ambiente.
Evitando di indugiare sulle motivazioni culturali che hanno fatto si che per
troppo tempo tale tematica non venisse affrontata, appare lecito descrivere in
modo più approfondito quello che è stato non solo il lavoro degli studiosi, ma
anche le modalità di lavoro che hanno portato, per la prima volta, a focalizzarsi
sulla Sostenibilità.
Partiamo quindi dal rapporto stilato dal MIT nella prima metà degli anni
Settanta che riportava l’esito di una simulazione al computer delle interazioni
25
Storia dello sviluppo della Sostenibilità http://www.impresaoggi.com/it/d_ec.asp?cacod=56
26
fra popolazione mondiale, industrializzazione, inquinamento, produzione
alimentare e consumo di risorse nell’ipotesi che queste stessero crescendo
esponenzialmente con il tempo.
Dalla simulazione veniva messo in evidenza che la crescita produttiva illimitata
avrebbe portato al consumo delle risorse energetiche ed ambientali. Il rapporto
sosteneva, inoltre, che era possibile giungere ad un tipo di sviluppo che non
avrebbe portato al totale consumo delle risorse del pianeta26.
Nonostante tale relazione abbia ormai 40 anni, essa mette in evidenza problemi
attualissimi legati all’ambiente e alla necessità di uno sviluppo sostenibile, e ciò
viene messo in evidenza da una delle frasi più famose contenute nel report:
"Nell'ipotesi che l'attuale linea di sviluppo continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali dello sviluppo entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale27”.
Dunque l’idea di un modello di crescita economica che non consumasse tutte le
risorse ambientali e le rendesse disponibili anche per il futuro si fa strada a
partire dalla prima metà degli anni ’70, e infatti proprio nel giugno del 1972 si
tenne la Conferenza ONU sull’Ambiente Umano.
A tale conferenza venne richiamata per la prima volta l’attenzione sul fatto che,
per migliorare in modo duraturo le condizioni di vita, occorre salvaguardare le
risorse naturali a beneficio di tutti e per raggiungere questo obiettivo è
necessaria una collaborazione internazionale. A Stoccolma si è posto l’accento
sulla soluzione dei problemi ambientali, senza tuttavia dimenticare gli aspetti
sociali, economici e quelli relativi allo sviluppo28. La dichiarazione, adottata a
Stoccolma ed elaborata in comune accordo tra i Paesi industrializzati e i Paesi in
via di sviluppo, contiene una serie di principi per la protezione dell’ambiente e
per lo sviluppo nonché un centinaio di relative raccomandazioni di attuazione.
26 Limiti dello sviluppo http://www.instoria.it/home/limiti_sviluppo_club_roma.htm 27
Ibidem 28
Spiegazione e delineazione della principali linee guida presenti nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972 http://www.are.admin.ch/themen/nachhaltig/00266/00540/00541/index.html?lang=it
27
Questa Dichiarazione può essere considerata come una tappa fondamentale
della politica internazionale che più tardi troverà la sua caratterizzazione nello
Sviluppo sostenibile. Viene infatti definita come:
“il primo strumento internazionale che sul piano generale enuncia alcune regole di condotta basilari in materia di protezione dell’ambiente, dalle quali emerge la convinzione della maggioranza degli Stati che non è possibile affrontare e risolvere i problemi ambientali del nostro secolo29".
A tal proposito pare lecito riportate due punti analizzati dalla Dichiarazione:
“3. L'uomo deve costantemente fare il punto della sua esperienza e continuare a scoprire, inventare, creare e progredire. Al presente, la capacità dell'uomo di trasformare il suo ambiente, se adoperata con discernimento, può apportare a tutti i popoli i benefici dello sviluppo e la possibilità di migliorare la qualità della vita. Applicato erroneamente o avventatamente, lo stesso potere può provocare un danno incalcolabile agli esseri umani ed all'ambiente. Vediamo intorno a noi con crescente evidenza i danni causati dall'uomo in molte regioni della terra: pericolosi livelli d'inquinamento delle acque, dell'aria, della terra e degli esseri viventi; notevoli ed indesiderabili perturbazioni dell'equilibrio ecologico della biosfera; distruzione ed esaurimento di risorse insostituibili e gravi carenze dannose alla salute fisica, mentale e sociale dell'uomo nell'ambiente da lui creato e in particolare nel suo ambiente di vita e di lavoro. 6. Siamo arrivati ad un punto della storia in cui dobbiamo regolare le nostre azioni verso il mondo intero, tenendo conto innanzitutto delle loro ripercussioni sull'ambiente. Per ignoranza o per negligenza possiamo causare danni considerevoli ed irreparabili all'ambiente terrestre da cui dipendono la nostra vita ed il nostro benessere. Viceversa, approfondendo le nostre conoscenze ed agendo più saggiamente, possiamo assicurare a noi stessi ed alla nostra posterità, condizioni di vita migliori in un ambiente più adatto ai bisogni ed alle aspirazioni dell'umanità. Esistono ampie prospettive per il miglioramento della qualità dell'ambiente e la creazione di una vita più felice. Quello che occorre è un'entusiastica, ma calma disposizione d'animo ed un intenso ma ordinato lavoro. Per godere liberamente dei benefici della natura, l'uomo deve valersi delle proprie conoscenze al fine di creare in cooperazione con la natura, un ambiente migliore. Difendere e migliorare l'ambiente per le generazioni presenti e future, è diventato per l'umanità un obiettivo imperativo, un compito per la cui realizzazione sarà necessario coordinare e armonizzare gli obiettivi fondamentali già fissati per la pace e lo sviluppo economico e sociale del mondo intero”30.
Da questi due punti si evince come la motivazioni che hanno portato alla stesura
della Dichiarazione stessa siano attuali. La volontà di proteggere l’ambiente e la
voglia di costruire un mondo vivibile anche per le generazioni future non trova
però riscontro nello sviluppo delle politiche attuative della Dichiarazione. 29
Ibidem 30
Dichiarazione di Stoccolma 1972
28
Tralasciando la retorica circa l’adempimento o meno dei punti mossi dalla
Dichiarazione di Stoccolma,dal momento che tale riflessione risulterebbe
fuorviante ai fine del suddetto elaborato, pare lecito e doveroso riflettere
sull’importanza della presa di consapevolezza della popolazione circa un
argomento così importante.
2.2 Da Stoccolma a Johannesburg: la sostenibilità internazionale
Appare ora necessario ed utile ripercorrere le tappe storiche che hanno
permesso di stilare i protocolli attuali della sostenibilità.
L'inizio del percorso culturale e politico relativo allo sviluppo sostenibile, si può
far coincidere con la Conferenza ONU sull'Ambiente Umano 31 tenutasi a
Stoccolma nel 1972, già trattata nel paragrafo precedente32.
Senza ripercorrere e riportare quanto detto precedentemente, prendiamo la
Dichiarazione di Stoccolma come base per le successive Conferenze sullo
sviluppo sostenibile. Fu infatti grazie all’enfasi, alla criticità e alla cura dei
dettagli posta in tale documento che esattamente 20 anni dopo si tenne la
Conferenza ONU sull’Ambiente e Sviluppo a Rio de Janeiro.
Senza soffermarci sui dettagli specifici del Convegno di Rio, appare lecito
riportare un estratto di quanto contenuto nel report finale, dal momento che
sono funzionali alla stesura del suddetto elaborato:
"Gli Stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare e ripristinare la salute e l'integrità dell'ecosistema terrestre. Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, a diversi livelli. […] Gli Stati faciliteranno e incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico, rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Gli Stati dovranno cooperare per promuovere un sistema economico internazionale aperto e favorevole, idoneo a generare una crescita economica e uno sviluppo sostenibile in tutti i Paesi, a consentire una lotta più efficace ai problemi del degrado ambientale. […] Le misura di lotta ai problemi ecologici transfrontalieri o mondiali dovranno essere basate, per quanto è possibile, su un consenso internazionale. La Comunità e i singoli
31
Conferenza ONU http://italiaecosostenibile.it/la-conferenza-onu-sullambiente-umano-unche-del-1972/ 32
Dichiarazione di Stoccolma, 1972
29
cittadini devono assumersi in prima persona le proprie responsabilità. La condivisione della responsabilità impone un'azione collettiva […].33"
Da tale estratto si evince come l’attenzione al tema dell’ambiente e della
sostenibilità stia progressivamente assumendo un ruolo sempre maggiore
all’interno delle politiche economiche degli Stati Europei, ne sono prova le
plurime e successive azioni e convegni tenutisi dopo il 1992. Senza dilungarsi
descrivendo tutte le realtà nello specifico, pare opportuno riflettere circa la
mancata attuazione di molteplici punti presenti nei diversi documenti. Ciò che
ha spinto la stesura di tale capitolo è la volontà di capire perché a distanza di
anni, vi sia la difficoltà da parte degli Stati Nazionali di adempiere a quanto
sottoscritto nelle diverse Dichiarazioni di Sostenibilità.
Sorge quindi la preoccupazione che la volontà concretizzare i documenti sia
alquanto labile, e che la sottoscrizione degli stessi sia mossa piuttosto dalla
ricerca di consenso e dalla volontà di adeguarsi a quello che la comunità
mondiale si aspetta che venga fatto. Questi dubbi sorgono da fatto che quanto
promosso negli anni Settanta sia stato difficilmente attuato, e che le stesse
proposte, seppur vestite di nuovo, vengano ripresentate con scadenza periodica.
Se tale dubbio fosse fondato, ne scaturirebbe che l’immagine degli Stati
risulterebbe agli occhi di chi li gestisce come più importante rispetto alla
sopravvivenza dell’ambiente e degli Stati stessi, nonché della vita delle
generazioni future.
A prescindere da tali riflessioni va comunque precisato e sottolineato che la
presa di consapevolezza dell’importanza dell’ambiente e di uno sviluppo
sostenibile sta rivestendo un ruolo sempre maggiore anche all’interno delle
comunità dei cittadini. Questo è un forte segnale di cambiamento che costringe
ed impone agli Stati europei di attuare quanto scritto e firmato, per dare un
senso di concretezza e di interesse.
33 All’interno di questo portale è stato possibile acceder ai documenti relativi alla Conferenza di Rio de Janeiro http://www.ecoage.it/conferenza-rio-de-janeiro-1992.htm
30
2.3 Agenda 21 : la nuova frontiera della sostenibilità
La Conferenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite su "Ambiente e Sviluppo"
tenuta a Rio de Janeiro nel giugno 1992, come accennato pocanzi, ha cercato di
integrare le questioni economiche e quelle ambientali in una visione
internazionale, cercando di definire e coordinare tutta una serie di strategie ed
azioni volte a migliorare lo sviluppo sostenibile. Da ciò ne è scaturito un vero e
proprio programma d’azione che ha preso il nome di Agenda 21(tale nome
deriva dal fatto che tutte le iniziative proposte sarebbero state attuate entro il
XXI secolo). All’interno di tale documento si affermava che:
"I Governi dovrebbero adottare una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile. Tale strategia dovrebbe essere predisposta utilizzando ed armonizzando le politiche settoriali. L'obiettivo è quello di assicurare uno sviluppo economico responsabile verso la società, proteggendo nel contempo le risorse fondamentali e l'ambiente per il beneficio delle future generazioni. Le strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile dovrebbero essere sviluppate attraverso la più ampia partecipazione possibile e la più compiuta valutazione della situazione e delle iniziative in corso34”.
Senza scendere troppo nei dettagli di tale Documento, si può dedurre che gli
obiettivi proposti dai 183 Paesi partecipanti fossero i seguenti:
- l'integrazione delle considerazioni ambientali in tutte le strutture dei
Governi centrali e in tutti i livelli di Governo per assicurare coerenza tra
le politiche settoriali;
- un sistema di pianificazione, di controllo e gestione per sostenere tale
integrazione;
- l'incoraggiamento della partecipazione pubblica e dei soggetti coinvolti,
che richiede una piena possibilità di accesso alle informazioni.
34
Portale ove è stato possibile reperire il testo del protocollo dell’Agenda 21 http://www.un.org/esa/dsd/agenda21/res_agenda21_00.shtml
31
Da ciò possiamo facilmente osservare come lo sviluppo sostenibile ricerca un
rapporto di armonia con la natura e con l'ambiente, ricercando un
miglioramento della qualità della vita pur rimanendo nei limiti della ricettività
ambientale. Secondo Paolo Bagnod35, giornalista impegnato nello sviluppo
sostenibile montano,
“Sviluppo sostenibile non vuol dire bloccare la crescita economica, perciò un piano di azione per lo sviluppo sostenibile non deve solo promuovere la conservazione delle risorse, ma anche sollecitare attività produttive compatibili con gli usi futuri. Ne deriva che l'applicazione del concetto di sviluppo sostenibile è, da un lato, dinamica ovvero legata alle conoscenze e all'effettivo stato dell'ambiente e degli ecosistemi, dall'altro consiglia un approccio cautelativo riguardo alle situazioni e alle azioni che possono compromettere gli equilibri ambientali, attivando un processo continuo di correzione degli errori”36.
È per questa ragione che i piani per lo sviluppo sostenibile devono scaturire da
un forte coinvolgimento di tutti i soggetti che interferiscono con gli equilibri
ambientali: dal cittadino, che può contribuire con il proprio comportamento
anche come consumatore di beni offerti sul mercato, ai gruppi di opinione e ai
mezzi di informazione, alle imprese, agli enti locali che amministrano il
territorio, ai ministeri responsabili delle politiche settoriali.
La cosa interessante da analizzare in questa sede è l’intento di attuare l’Agenda
21 a livello locale, e non solo globale, sviluppando con modalità diverse i
seguenti punti:
- migliorare la qualità dell'ambiente;
- ridurre lo spreco delle risorse a nostra disposizione;
- combattere contro le ineguaglianze sociali;
- coinvolgere sempre più la collettività locale nella gestione dell'ambiente;
- mobilitare le risorse disponibili al fine di incrementare la cooperazione
tra collettività locali;
- garantire una buona gestione nel tempo delle scelte effettuate.
35
Sviluppo o consumo? Articolo di Paolo Bagnod http://www.regione.vda.it/gestione/riviweb/templates/aspx/environnement.aspx?pkArt=842 36
(Idem)
32
Si evince quindi che l'Agenda 21 locale rappresenta il principale momento di
valorizzazione degli strumenti di pianificazione attraverso la redazione di un
Piano ambientale. Citando sempre Paolo Bagnod, egli sostiene che
“L'aspetto più interessante a mio avviso è rappresentato dal momento di aggregazione, dibattito e partecipazione diretta alle scelte per lo sviluppo sostenibile da parte della collettività locale, mediante azioni concrete. Si garantisce in tal modo l'integrazione delle politiche ambientali con le politiche di settore”37.
A distanza di qualche anno dalle decisioni di Rio è possibile rilevare come i
principi generali sono stati recepiti in diverse realtà europee e italiane, anche se
i percorsi seguiti e le applicazioni concrete sono di diversa natura. Questa
diversificazione era peraltro prevedibile, in quanto nelle diverse realtà l'Ente
locale, o comunque il promotore dell'Agenda 21, ha saputo adattare e
modificare i principi generali in funzione delle esigenze e delle problematiche
presenti sul territorio con l'obiettivo di realizzare un piano d'azione per la
sostenibilità in una dimensione strettamente territoriale, essendo proprio la
forte caratterizzazione territoriale locale un elemento distintivo del processo.
2.4 Lo sviluppo sostenibile: l’Agenda 21 nelle regioni montane
La montagna è sempre stata considerata come un territorio diverso, in primo
luogo per ragioni legate alla morfologia fisica, ma anche per una certa specificità
culturale, uno stile di vita adattatosi nel corso del tempo a situazioni limite.
Marginalità, declino demografico, abbandono, sono ancora oggi realtà che
caratterizzano molte aree della montagna e che non si possono trascurare nel
quadro della pianificazione di un territorio regionale sano ed equilibrato. Ma
questa non è l'unica caratteristica della montagna: ad aree marginali fanno da
37 Ibidem
33
contrappunto vallate più dinamiche, che hanno saputo elaborare un loro
specifico modello di sviluppo38.
Una politica territoriale per la montagna deve considerare non solo la diversità
rispetto all'esterno, alla pianura, ma anche la differenziazione al suo interno: in
una stessa provincia, dove le vallate affrontano diversi processi di sviluppo o di
declino, che conservano in maggiore o minore misura una significativa cultura
locale o attivano azioni di resistenza al declino, ma addirittura in una stessa
vallata che, come spesso accade, può essere colpita dall'abbandono nelle
frazioni più alte, ma essere area di urbanizzazione nel fondovalle39 .
Queste caratteristiche chiedono prima di tutto di essere osservate con pazienza
e con strumenti adeguati; in secondo luogo chiedono provvedimenti specifici e
calati nel contesto, capaci sia di riconoscere la diversità che di articolarsi
secondo le differenziazioni interne.
Considerato che in montagna è più percettibile che in qualsiasi altro ambito il
limite delle risorse ambientali e spesso della loro irripetibilità, dovrebbe essere
più semplice tradurre in azioni i principi dello sviluppo sostenibile. Proprio nel
momento che vengono redatte queste annotazioni la montagna pare intenda
con inusuale e determinata forza riprendere il dominio assoluto degli spazi
imponendoci delle severe riflessioni sulla nostra convivenza con il territorio
montano, il suo linguaggio e la sua potenza.
Tutto ciò viene messo chiaramente in evidenza dall’ art.13 contenuto nell’
Agenda 21:
“13.1. Mountains are an important source of water, energy and biological diversity. Furthermore, they are a source of such key resources as minerals, forest products and agricultural products and of recreation. As a major ecosystem representing the complex and interrelated ecology of our planet, mountain environments are essential to the survival of the global ecosystem. Mountain ecosystems are, however, rapidly changing. They are susceptible to accelerated soil erosion, landslides and rapid loss of habitat and genetic diversity. On the human side, there is widespread poverty among mountain inhabitants and loss of indigenous knowledge. As a result, most global mountain areas are experiencing
38
Regione Veneto http://www.ptrc.it/ita/cartografia-ambiente-veneto-tavolo-coordinamento-ptcp.php?pag=ptcp 39
Ibidem
34
environmental degradation. Hence, the proper management of mountain resources and socio-economic development of the people deserves immediate action. (a) Generating and strengthening knowledge about the ecology and sustainable
development of mountain ecosystems; (b) (b) Promoting integrated watershed development and alternative livelihood
opportunities. 13.4. Mountains are highly vulnerable to human and natural ecological imbalance. Mountains are the area most sensitive to all climatic changes in the atmosphere. Specific information on ecology, natural resource potential and socio-economic activities is essential. Mountain and hillside areas hold a rich variety of ecological systems. Because of their vertical dimensions, mountains create gradients of temperature, precipitation and insolation. A given mountain slope may include several climatic systems - such as tropical, subtropical, temperate and alpine - each of which represents a microcosm of a larger habitat diversity. There is, however, a lack of knowledge of mountain ecosystems. The creation of a global mountain database is therefore vital for launching programmes that contribute to the sustainable development of mountain ecosystems. 13.5. The objectives of this programme area are: (a) To undertake a survey of the different forms of soils, forest, water use, crop, plant and animal resources of mountain ecosystems, taking into account the work of existing international and regional organizations; (b) To maintain and generate database and information systems to facilitate the integrated management and environmental assessment of mountain ecosystems, taking into account the work of existing international and regional organizations; (c) To improve and build the existing land/water ecological knowledge base regarding technologies and agricultural and conservation practices in the mountain regions of the world, with the participation of local communities; (d) To create and strengthen the communications network and information clearing-house for existing organizations concerned with mountain issues; (e) To improve coordination of regional efforts to protect fragile mountain ecosystems through the consideration of appropriate mechanisms, including regional legal and other instruments; (f) To generate information to establish databases and information systems to facilitate an evaluation of environmental risks and natural disasters in mountain ecosystems.
A) Data and information 13.7. Governments at the appropriate level, with the support of the relevant international and regional organizations, should: (a) Maintain and establish meteorological, hydrological and physical monitoring analysis and capabilities that would encompass the climatic diversity as well as water distribution of various mountain regions of the world; (b) Build an inventory of different forms of soils, forests, water use, and crop, plant and animal genetic resources, giving priority to those under threat of extinction. Genetic resources should be protected in situ by maintaining and establishing protected areas and improving traditional farming and animal husbandry activities and establishing programmes for evaluating the potential value of the resources; (c) Identify hazardous areas that are most vulnerable to erosion, floods, landslides, earthquakes, snow avalanches and other natural hazards; (d) Identify mountain areas threatened by air pollution from neighboring industrial and urban areas.
35
B) International and regional cooperation 13.8. National Governments and intergovernmental organizations should: (a) Coordinate regional and international cooperation and facilitate an exchange of information and experience among the specialized agencies, the World Bank, IFAD and other international and regional organizations, national Governments, research institutions and non-governmental organizations working on mountain development; (b) Encourage regional, national and international networking of people's initiatives and the activities of international, regional and local non-governmental organizations working on mountain development, such as the United Nations University (UNU), the Woodland Mountain Institutes (WMI), the International Center for Integrated Mountain Development (ICIMOD), the International Mountain Society (IMS), the African Mountain Association and the Andean Mountain Association, besides supporting those organizations in exchange of information and experience; (c) Protect Fragile Mountain Ecosystem through the consideration of appropriate mechanisms including regional legal and other instruments. (…)40.
40 Mia Traduzione "13.1. Le montagne sono una fonte importante di acqua, energia e biologici. Inoltre, sono fonte di risorse fondamentali come minerali, prodotti forestali e prodotti agricoli e di ricreazione. Come un ecosistema importante che rappresenta la complessa ecologia e interconnesse del nostro pianeta, gli ambienti montani sono essenziali per la sopravvivenza dell'ecosistema globale. Ecosistemi di montagna sono, tuttavia, in rapida evoluzione. Essi sono suscettibili di erosione del suolo accelerata, frane e rapida perdita di habitat e della diversità genetica. Dal punto di vista umano, c'è povertà diffusa tra gli abitanti di montagna e la perdita di conoscenze indigene. Di conseguenza, le zone montane più globali stanno vivendo degrado ambientale. Pertanto, la corretta gestione delle risorse montane e sviluppo socio-economico del popolo merita un intervento immediato. 13.4. Le montagne sono estremamente vulnerabili per la salute umana e naturale squilibrio ecologico. Le montagne sono le aree più sensibili a tutti i cambiamenti climatici in atmosfera. Informazioni specifiche sull'ecologia, il potenziale di risorse naturali e socio-economiche è essenziale. Le zone di montagna e collina tenere una ricca varietà di sistemi ecologici. A causa delle loro dimensioni verticali, montagne creare gradienti di temperatura, precipitazione e insolazione. Un pendio di montagna dato può includere diversi sistemi climatici - come tropicale, subtropicale, temperato e alpino - ciascuno dei quali rappresenta un microcosmo di diversità degli habitat più grande. Vi è, tuttavia, una mancanza di conoscenza degli ecosistemi montani. La creazione di un database globale di montagna è quindi essenziale per l'avvio di programmi che contribuiscono allo sviluppo sostenibile degli ecosistemi montani. 13.5. Gli obiettivi di questa area programma sono: (A) Per effettuare uno studio delle diverse forme di suoli, foreste, uso delle risorse idriche, le risorse delle colture, animali e vegetali degli ecosistemi montani, tenendo conto del lavoro delle attuali organizzazioni internazionali e regionali; (B) Al fine di mantenere e generare sistemi di database e informazioni per facilitare la gestione integrata e valutazione ambientale degli ecosistemi montani, tenendo conto del lavoro delle organizzazioni internazionali esistenti e regionali; (C) Al fine di migliorare e costruire l'attuale terra / acqua base ecologica la conoscenza di tecnologie e pratiche agricole e la conservazione nelle regioni di montagna del mondo, con la partecipazione delle comunità locali; (D) Per creare e rafforzare la rete della comunicazione e dell'informazione centro di coordinamento per le organizzazioni esistenti che si occupano di questioni di montagna;
36
(E) Al fine di migliorare il coordinamento delle iniziative regionali per la protezione degli ecosistemi montani fragili attraverso la considerazione di appropriati meccanismi regionali, tra cui strumenti giuridici e di altro tipo; (F) Per generare informazioni per stabilire basi di dati e sistemi informativi per facilitare una valutazione dei rischi ambientali e le catastrofi naturali in ecosistemi montani. Attività A) la gestione di attività connesse 13.6. I governi a livello appropriato, con il sostegno delle organizzazioni internazionali e regionali competenti, dovrebbero: (A) Rafforzare le istituzioni esistenti o crearne di nuove a livello locale, nazionale e regionale per generare un multidisciplinare terra / acqua base ecologica delle conoscenze sugli ecosistemi montani; (B) promuovere le politiche nazionali che forniscono incentivi alle popolazioni locali per l'utilizzo e il trasferimento di tecnologie rispettose dell'ambiente e delle attività agricole e delle pratiche di conservazione; (C) Costruire la base di conoscenze e la comprensione attraverso la creazione di meccanismi di cooperazione e scambio di informazioni tra le istituzioni nazionali e regionali che lavorano su ecosistemi fragili; (D) Incoraggiare le politiche che consenta di ottenere gli incentivi per gli agricoltori e la popolazione locale ad intraprendere misure di conservazione e di rigenerazione; (E) Diversificare le economie montane, tra l'altro, attraverso la creazione e / o rafforzamento del turismo, in base alla gestione integrata delle zone montane; (F) Integrare tutte le foreste, le attività di pascolo e la fauna selvatica in modo tale che gli ecosistemi montani specifiche sono mantenute; (G) stabilire adeguate riserve naturali in rappresentanza ricchi di specie i siti e le aree. B) I dati e le informazioni 13.7. I governi a livello appropriato, con il sostegno delle organizzazioni internazionali e regionali competenti, dovrebbero: (A) mantenere e stabilire meteorologiche, analisi di monitoraggio idrologico e fisico e le capacità che comprendono la diversità climatica e distribuzione di acqua delle regioni di montagna diverse parti del mondo; (B) Costruire un inventario delle diverse forme di suoli, foreste, l'utilizzo dell'acqua e delle colture vegetali e animali, risorse genetiche, dando priorità a quelli in via di estinzione. Le risorse genetiche devono essere protetti in situ attraverso il mantenimento e l'istituzione di aree protette e di migliorare l'agricoltura tradizionale e le attività di allevamento e che istituisce programmi per valutare il valore potenziale delle risorse; (C) individuare aree a rischio che sono più vulnerabili ad erosione, inondazioni, frane, terremoti, valanghe e altri pericoli naturali; (D) Identificare le zone di montagna minacciate da inquinamento atmosferico dalle zone industriali e urbane. C) la cooperazione internazionale e regionale 13.8. I governi nazionali e le organizzazioni intergovernative dovrebbero: (A) Coordinare la cooperazione regionale e internazionale e facilitare lo scambio di informazioni ed esperienze tra le agenzie specializzate, la Banca mondiale, le organizzazioni internazionali e regionali IFAD e altri, governi nazionali, istituti di ricerca e organizzazioni non governative che lavorano sullo sviluppo montano; (B) Incoraggiare la collaborazione regionale, nazionale e internazionale, di iniziative popolari e le attività di internazionali, regionali e locali, organizzazioni non governative che lavorano sullo sviluppo di montagna, come le Nazioni Unite (UNU), gli Istituti Montagna Woodland (WMI), la Centro Internazionale di Integrated Mountain Development (ICIMOD), l'International Mountain Society (IMS), l'africano Montagna Associazione e la Comunità andina Montagna Associazione, oltre a sostenere le organizzazioni nello scambio di informazioni e di esperienze;
37
Data l’importanza all’interno delle comunità montane, possiamo facilmente
sottolineare quali siano le ricchezze della montagna da proteggere e tutelare:
riserve idriche, energia, biodiversità; nonché le loro risorse essenziali come i
minerali, i prodotti forestali e agricoli, gli spazi ricreativi. Viene quindi
riconosciuto agli ecosistemi montani un ruolo fondamentale per tutto
l’ecosistema planetario e non solo per la sopravvivenza degli stessi. Proprio per
tali motivi gli interventi da sviluppare per salvaguardare le montagne possono
essere diversi e trasversali:
- dalla predisposizione di indagini conoscitive su tutti gli aspetti
ambientali: suolo, foreste, acque, raccolti, risorse vegetali e animali; alla
creazione di banche dati e sistemi informatici che agevolino la gestione
integrata e la valutazione ambientale degli ecosistemi montani;
- dal miglioramento e lo sviluppo della base esistente di conoscenze sul
suolo e delle acque e i loro rapporti con la tecnologia, con le pratiche
agricole e con le esigenze di conservazione;
- alla creazione e al potenziamento di reti di comunicazioni e centri di
informazione per tutti gli organismi che si occupano di problemi della
montagna;
- dal coordinamento delle iniziative regionali a protezione degli ecosistemi
montani fragili;
- alla promozione dell'informazione per la creazione di banche dati e
sistemi informativi in grado di facilitare la valutazione dei rischi
ambientali e dei disastri naturali negli ecosistemi montani41.
Se è vero che Agenda 21 è formulata secondo una prospettiva mondiale, e per
tale motivo contiene delle proposte concettuali che ci paiono lontane o poco
attuali per le nostre realtà, sarebbe un errore gravissimo quello di stabilire una
(C) proteggere il fragile ecosistema di montagna attraverso la considerazione di appropriati meccanismi regionali tra cui strumenti giuridici e di altro tipo. 41
Andrea Cerise http://www.regione.vda.it/gestione/
38
distinzione tra problemi ecologici che si pongono su scala mondiale e quelli che
si pongono su scala locale. In un caso e nell'altro le soluzioni alle problematiche
ambientali, che sono reali e pregiudiziali per l'uomo passano l'attuazione dello
sviluppo sostenibile.
La sostenibilità, quindi, non deve rimanere un mero concetto filosofico,
auspicabile e riproducibile solo su larga scala, ma deve essere pensato come
attuabile non solo nelle piccole realtà, ma anche all’interno della quotidianità
dell’uomo moderno.
Partendo proprio da questa riflessione, nel paragrafo successivo, caleremo la
realtà della sostenibilità e delle realtà rappresentate dall’Agenda 21 all’interno
di quelle che sono le regioni montane.
2.5 Convenzione delle Alpi: un punto di partenza per progetti sostenibili
Dopo aver delineato i punti fondamentali riguardati l’attuazione dell’Agenda 21
a livello territoriale montano, prendiamo ora in considerazione quanto di
attuativo è stato fatto per mettere in risalto le potenzialità di sviluppo
sostenibile per le regioni montane.
Il sistema degli obiettivi e delle azioni del PTRC (Piano territoriale
Coordinamento Regionale), che risulta diverso da regione a regione, si fonda su
alcuni principi imprescindibili comuni a tutte le regioni montane:
- il riconoscimento della fragilità del territorio montana e dell'importanza
del presidio dell'uomo a garanzia di manutenzione del territorio;
- la necessità di comprendere e tutelare una civiltà alpina che è in realtà
un insieme variegato di culture;
- il riconoscimento dello straordinario valore ambientale di questi
territori, preziosi habitat per specie rare e protette;
- la necessità della responsabilizzazione delle amministrazioni e degli
abitanti nella gestione sostenibile del proprio territorio;
39
- la necessità di orientare il turismo verso modi di frequentazione
rispettosi della natura, delle tradizioni e della cultura locale;
- l'opportunità di seguire strategie di sviluppo economico integrato,
capace di allontanare il rischio della "monocoltura turistica", anche
lavorando in sinergia con le attività primarie e puntando
sull'innovazione e sullo scambio di buone pratiche tra aree alpine42.
Questo è quanto chiedono anche gli strumenti internazionali per le montagne,
come la Convenzione delle Alpi, nella fattispecie all’art. 2, del citato documento.
Pare quindi opportuno riportare tale articolo, che fungerà come base di
partenza per l’analisi di quali progetti sono stati messi appunto nelle regioni
montane.
“Le Parti contraenti, in ottemperanza ai principi della prevenzione, della cooperazione e della responsabilità di chi causa danni ambientali, assicurano una politica globale per la conservazione e la protezione delle Alpi, tenendo equamente conto degli interessi di tutti i Paesi alpini e delle loro Regioni alpine, nonché della Comunità Economica Europea, ed utilizzando le risorse in maniera responsabile e durevole. La cooperazione transfrontaliera a favore dell'area alpina viene intensificata nonché ampliata sul piano geografico e tematico. Le Parti contraenti prenderanno misure adeguate in particolare nei seguenti campi: a)Popolazione e cultura al fine di rispettare, conservare e promuovere l'identità culturale e sociale delle popolazioni locali e di assicurarne le risorse vitali di base, in particolare gli insediamenti e lo sviluppo economico compatibili con l'ambiente, nonché al fine di Convenzione quadro favorire la comprensione reciproca e le relazioni di collaborazione tra le popolazioni alpine ed extra - alpine. b)Pianificazione territoriale al fine di garantire l'utilizzazione contenuta e razionale e lo sviluppo sano ed armonioso dell'intero territorio, tenendo in particolare considerazione i rischi naturali, la prevenzione di utilizzazioni eccessive o insufficienti, nonché il mantenimento o il ripristino di ambienti naturali, mediante l'identificazione e la valutazione complessiva delle esigenze di utilizzazione, la pianificazione integrata e a lungo termine e l'armonizzazione delle misure conseguenti. c)Salvaguardia della qualità dell'aria al fine di ridurre drasticamente le emissioni inquinanti e i loro effetti negativi nella regione alpina, nonché la trasmissione di sostanze inquinanti provenienti dall'esterno, ad un livello che non sia nocivo per l'uomo, la fauna e la flora.
42
PTRC http://www.ptrc.it/ita/cartografia-ambiente-veneto-tavolo-coordinamento-ptcp.php?pag=ptcp
40
d)Difesa del suolo al fine di ridurre il degrado quantitativo e qualitativo del suolo, in particolare impiegando tecniche di produzione agricola e forestale che rispettino il suolo, utilizzando in misura contenuta suoli e terreno, limitando l'erosione e l'impermeabilizzazione dei suoli. e) Idroeconomia al fine di conservare o di ristabilire la qualità naturale delle acque e dei sistemi idrici, in particolare salvaguardandone la qualità, realizzando opere idrauliche compatibili con la natura e sfruttando l'energia idrica in modo da tener parimenti conto degli interessi della popolazione locale e dell'interesse alla conservazione dell'ambiente. f)Protezione della natura e tutela del paesaggio al fine di proteggere, di tutelare e, se necessario, di ripristinare l'ambiente naturale e il paesaggio, in modo da garantire stabilmente l'efficienza degli ecosistemi, la conservazione della flora e della fauna e dei loro habitat, la capacità rigenerativa e la continuità produttiva delle risorse naturali, nonché la diversità, l'unicità e la bellezza della natura e del paesaggio nel loro insieme. g)Agricoltura di montagna al fine di assicurare, nell'interesse della collettività, la gestione del paesaggio rurale tradizionale, nonché una agricoltura adeguata ai luoghi e in armonia con l'ambiente, e al fine di promuoverla tenendo conto delle condizioni economiche più difficoltose. h)Foreste montane al fine di conservare, rafforzare e ripristinare le funzioni della foresta, in particolare quella protettiva, migliorando la resistenza degli ecosistemi forestali, in particolare attuando una silvicoltura adeguata alla natura e impedendo utilizzazioni che possano danneggiare le foreste, tenendo conto delle condizioni economiche più difficoltose nella regione alpina. i)Turismo e attività del tempo libero al fine di armonizzare le attività turistiche e del tempo libero con le esigenze ecologiche e sociali, limitando le attività che danneggino l'ambiente e stabilendo, in particolare, zone di rispetto. j)Trasporti al fine di ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico interalpino e transalpino ad un livello che sia tollerabile per l'uomo, la fauna, la flora e il loro habitat, tra l'altro attuando un più consistente trasferimento su rotaia dei trasporti e in particolare del trasporto merci, soprattutto mediante la creazione di infrastrutture adeguate e di incentivi conformi al mercato, senza discriminazione sulla base della nazionalità. k)Energia al fine di ottenere forme di produzione, distribuzione e utilizzazione dell'energia che rispettino la natura e il paesaggio, e di promuovere misure di risparmio energetico. l)Economia dei rifiuti al fine di assicurare la raccolta, il riciclaggio e il trattamento dei rifiuti in maniera adeguata alle specifiche esigenze topografiche, geologiche e climatiche dell'area alpina, tenuto conto in particolare della prevenzione della produzione dei rifiuti"(Convenzione per la Protezione delle Alpi, art.2)43.
43
Convenzione per la Protezione delle Alpi http://www.cipra.org/it/convenzione-delle-alpi/protokolle-pdf-it/rahmenkonvention_i.pdf
41
Ma cosa hanno fatto e stanno facendo le Regioni? Quali sono stati i progetti
messi in atto per trasformare le preziose risorse montane in ambienti
sostenibili?
Prima di addentarci in quelli che a nostro avviso sono i progetti più significativi,
e che indicano un preciso intento di cambiamento e salvaguardia dell’ambiente,
pare utile sottolineare e ribadire come i progetti sostenibili spazino in diversi
ambiti. Quando si parla di sostenibilità, infatti, nell’immaginario collettivo si
configurano progetti di grande importanza, quali impianti eolici, idroelettrici e
via discorrendo. Ma la sostenibilità non è solo questo. Sostenibilità è un uso
consapevole e calibrato delle risorse naturali, è una corretta informazione circa
il riciclaggio, sostenibilità è consapevolezza dell’importanza dell’ambiente.
Dopo tale premessa, andiamo ad analizzare alcuni dei numerosi progetti di
sostenibilità che sono stati attuati nel nostro Paese, nella fattispecie nel
territorio alpino.
a. Progetto MountEE – Friuli Venezia Giulia
ARES (Agenzia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile) ha presentato lo
scorso anno il progetto europeo MountEE nell'ambito del programma
IEE Intelligent Energy Europe, le peculiarità del progetto e la sua perfetta
attuazione hanno fatto si che questo risultasse come uno dei progetti
finanziati dall’Unione Europea.
Secondo la Direttiva europea 2012/31/CE, dal 2018 tutti gli edifici
pubblici nuovi e edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni importanti
dovranno soddisfare gli standard di edifici ad energia quasi zero. Per
molti comuni la transizione verso questo nuovo modo di costruire è un
grande sfida, poiché presentano mancanza di know-how, esperienza e
soprattutto dei finanziamenti necessari ad attuare i loro progetti.
I Comuni montani si trovano ad affrontare ulteriori sfide: clima più
rigido, scarsa accessibilità, piccole imprese, mancanza di massa critica,
bassa densità di popolazione. Proprio per tale motivo, il progetto
MountEE si propone di dare sostegno ai Comuni in tre aree di montagna
42
europee (Scandinavia, Alpi, Pirenei) al fine di aiutarli a cambiare il loro
modo di costruire e ristrutturare le costruzioni edilizie, orientandoli
verso una maggiore efficienza energetica e un maggiore utilizzo delle
fonti energetiche rinnovabili.
In questo senso la Regione Friuli Venezia Giulia è all’avanguardia avendo
previsto l’applicazione della certificazione VEA (Valutazione Energetica
Ambientale44).
Il progetto MountEE segue un approccio partecipativo, coinvolgendo
tutti i soggetti coinvolti nelle azioni regionali: politici a tutti i livelli
(regionale, provinciale e comunale), tecnici e personale amministrativo a
livello locale e regionale, i decisori nelle istituzioni di finanziamento e gli
attori chiave nella catena della costruzione.
Il progetto prevede i seguenti step sia all’interno della propria regione
montuosa, sia rispetto al confronto tra i diversi Stati:
- Analisi dello stato dell’arte riguardo esempi di edifici sostenibili
nel territorio (in particolare quelli pubblici), analisi delle
conoscenze tecniche dei professionisti, analisi delle varie tipologie
di finanziamento rispetto all’efficienza energetica e alla
sostenibilità ambientale degli edifici;
- Analisi della strategia nelle aree montane nei confronti
dell’efficienza energetica e della sostenibilità in edilizia (sia come
istituzioni che come enti di finanziamento quali le banche);
- Studio di un possibile miglioramento della strategia sia rispetto
alle azioni possibili (consulenza tecnica, servizi ai comuni) sia
rispetto alle possibili fonti di finanziamento;
- Formazione dei professionisti attraverso scambi con gli altri
progettisti europei, attraverso seminari, viaggi e visite a casi
studio (sia regionali che internazionali);
44 Protocollo per la Valutazione Energetica Ambientale www.veafvg.com/protocollo_vea_1.html
43
- Formazione anche attraverso due giornate con gli esperti del
Vorarlberg;
- Informazione dei decisori politici e del personale degli uffici
tecnici attraverso seminari e visite a casi (sia regionali che
internazionali);
- Selezione di almeno 6 progetti pilota all’interno di ciascuna area e
loro accompagnamento verso l’efficienza energetica e la
sostenibilità ambientale, attraverso la proposizione e
l’adattamento regionale del pacchetto servizi edilizia sostenibile
per i comuni, che è stato attuato con successo nella regione alpina
del Vorarlberg (Austria);
- Il servizio sarà rivolto agli Enti locali e sarà gratuito e sarà
effettuato dai professionisti formati allo scopo attraverso le azioni
precedenti;
- I professionisti saranno remunerati attraverso il finanziamento
europeo;
- Disseminazione dei risultati45.
Tale progetto, che coinvolge altri Stati Europei, rappresenta un
importante punto di svolta per quella che è la salvaguardia dell’ambiente
montano. Si presenta anche con il preciso intento da parte della Regione
Friuli Venezia Giulia di attuare delle politiche volte a tutelare il territorio.
b. Sviluppo di un modello sostenibile di turismo rurale – Friuli Venezia
Giulia
Come trattato nel primo capitolo, il territorio montano e collinare con
l'andare del tempo ha vissuto un lento e continuo abbandono delle
attività antropiche, ed una progressiva e proporzionale di munizione
45
http://www.mountee.eu/it/progetto/
44
della densità demografica, e, allo stesso tempo, rimane un territorio ricco
di biodiversità, risorse paesaggistiche e storico-culturali, ed un tessuto
economico dove il turismo non si è ancora sviluppato.
Il progetto promosso dal Comune, pedemontano e parzialmente montano
di Budoia, nella Regione Friuli Venezia Giulia, si sviluppa attorno all'idea
che sia possibile una fruizione turistica rispettosa di ambiente e cultura
locale, ma allo stesso tempo capace di innescare nuovi e diversi processi
produttivi, in una parola sostenibile.
L'obbiettivo principale del progetto è quello di creare una proposta
organica che raccolga le diverse peculiarità territoriali, ambientali e
storico-paesaggistiche rendendole fruibili al turismo rurale. Tale
iniziativa non è indirizzata esclusivamente alla fruizione turistica, ma
anche alla crescita della consapevolezza nella comunità locale delle
opportunità e potenzialità presenti sul territorio46.
Tutto ciò verrà realizzato individuando, mediante il coinvolgimento delle
realtà locali e l’attivazione di una rete interessata di cittadini, quali sono
le emergenze culturali, storiche e naturaliste da valorizzare ed
implementare. Verrà inoltre estesa la rete dei percorsi già esistenti, in
ambito turistico territoriale, collegandoli ed integrandoli tra loro, in
modo da ampliare il raggio del progetto a tutto il territorio
pedemontano.
Risulta inoltre interessante sottolineare come tale progetto prevede
un’attiva partecipazione dei giovani, per far si che venga sensibilizzata e
responsabilizzata anche questa fascia della popolazione che, magari,
nutre un attaccamento affettivo nei confronti del territorio, minore
rispetto a chi è nato e cresciuto in un dato posto.
Infine gli effetti economici che scaturiscono da tale progetto possono
essere riassunti in:
46
Progetto di turismo rurale sostenibile http://www.alpenallianz.org/it/buone-pratiche/302
45
- sviluppo di nuove attività economiche legate al turismo leggero,
rilancio delle attività agricole e artigianali;
- valorizzazione dei saperi locali, recupero della cultura del
territorio, partecipazione (in particolare delle realtà giovanili);
- Arresto dell'abbandono del territorio, tutela della natura e del
paesaggio.
A differenza del primo progetto descritto, questo si focalizza sul turismo
rurale e sulla valorizzazione del territorio, e presenta uno diverso ambito
della sostenibilità. Valorizzare ed implementare il territorio montano,
rendendolo idoneo ad un tipo di turismo diverso rispetto a quello
comune, determina la volontà di uscire dal vecchio paradigma di
pensiero, per cui il turismo montano veniva, e tuttora viene visto, come
un turismo o sportivo o rivolto ad una fascia della popolazione non
giovane. Scardinare tale pensiero rappresenta un punto di partenza
fondamentale per l’attuazione di una serie di progetti di riqualificazione
territoriale, sociale e anche economica.
c. Teleriscaldamento Pusteria – Comune di Dobbiaco
Questo progetto di Teleriscaldamento, prevede la costruzione di un
impianto termico a biomassa per la fornitura al paese di energia a
distanza, derivata da risorse locali e rigenerabili.
Rispetto ai riscaldamenti singoli spesso, dallo scarso grado di efficacia, la
centrale di teleriscaldamento presenta numerosi vantaggi,non solo
permette di ridurre la percentuale dell’inquinamento derivante dalle
sostanze nocive abitualmente utilizzate per il riscaldamenti, ma permette
parallelamente di valorizzare le risorse locali, diminuendo, non dovendo
ricorrere a fonti estere, i costi dell’energia per i consumatori.
Il progetto fu pensato nel 1995 ed attuato nella città di Dobbiaco. Appare
interessante riflettere non solo sulla data dello sviluppo del progetto ma
46
anche sul perché progetti simili non siano stati attuati nei Comuni
limitrofi. Senza voler polemizzare, appare evidente come il progetto,
sviluppato ben 17 anni fa, rappreseti una valida alternativa sia per
l’ambiente che per i cittadini. In un periodo di crisi, sia economica ed
ambientale, dove le fonti energetiche esauribili vanno progressivamente
diminuendo, la creazione di centrali di biomassa rappresenti una valida
soluzione sia per alleggerire i costi energetici sostenuti dai cittadini, sia
per salvaguardare e tutelare il microclima montano e, applicandolo
anche alle regioni della pianura, anche a quello dell’intero mondo.
Pare lecito chiedersi ed interrogarsi circa il perché della mancata
realizzazione di progetti analoghi e soprattutto circa il perché della
scarsa informazione circa tali proposte di Sostenibilità ambientale47.
d. Vacanza senz’ auto in Alta Pusteria - Comune di Sesto
Questo progetto, mira a fornire una possibile alternativa al classico
turismo montano, andando a ridurre drasticamente l’utilizzo delle
automobili per gli spostamenti, andando a salvaguardare la purezza del
territorio montano e prevenendo l’accumularsi di smog e polveri sottili
durante i periodi di vacanza.
Grazie ad una serie di provvedimenti si dovrà riuscire a calmierare il
traffico automobilistico in una regione a vocazione turistica, optando per
proposte che rinuncino all‘auto.
Riduzione del traffico automobilistico ed implementazione di alcuni degli
elementi di un turismo duraturo sono le parole chiave che caratterizzano
tale progetto. Per attuare tutto ciò verranno migliorati i servizi pubblici
comunali che forniranno una valida alternativa all’automobile. VA
comunque precisato che l’intento di questo progetto non è solo quello di
47
Progetto di sviluppo di Centrali energetiche a Biomassa www.alpenallianz.org/it/buone-pratiche
47
sensibilizzare i turisti, ma anche coloro che abitano nel comune di Sesto,
cercando di migliorare e cambiare la abitudini dei cittadini stessi, per far
si che il cambiamento d’atteggiamento sia duraturo e diventi un vero e
proprio stile di vita48.
Ecco che quindi anche lo sviluppo ed il miglioramento di quelli che sono i
servizi pubblici rientrano nell’ambito della Sostenibilità.
e. Rete Museale della Carnia
La rete museale della Carnia è nata per l’esigenza di valorizzare e
promuovere il patrimonio museale della Carnia. Essa era composta da
cinque realtà principali e da altre quindici realtà pre-museali e proto
museali coordinate al fine di realizzare la gestione delle risorse
disponibili.
Gli obiettivi di tale progetti sono:
- Sviluppare una nuova politica museale in tutto il territorio carnico
con un’azione coordinata di cogestione delle strutture museali.
- Agevolare l’apertura delle strutture museali con l’obiettivo di
ottimizzare i tempi di apertura ed i servizi dei musei.
- Creare percorsi integrati coinvolgendo più realtà museali e/o
culturali artistiche, ed itinerari di interesse turistico-culturale-
naturalistico che permettano di soddisfare più tipi di utenza.
- Diminuire i costi di gestione delle strutture museali.
- Valorizzare il patrimonio esistente anche mediante interscambi
con altre realtà museali operanti sia in Regione che in ambito
nazionale ed estero.
- Sviluppare il turismo scolastico legate alle attività didattiche
realizzabili all’interno dei vari musei.
48
Comune di Sesto, progetto per le vacanze senz’auto, per un turismo eco-sostenibile http://www.alpenallianz.org/it/buone-pratiche
48
- Creare possibilità lavorative per i giovani del territorio.
Grazie a questo progetto si è potuto superare, tramite la rete museale
della Carnia, la situazione di precarietà in cui versavano piccoli musei 49.
Tale progetto, a mio avviso assolutamente interessante, rappresenta
un’ulteriore variabile dei campi d’attuazione della sostenibilità. Il
miglioramento delle aree museali non solo aumenta la possibilità
d’interesse verso le realtà montane, ma contribuisce ad aumentare la
consapevolezza negli abitanti, delle svariate potenzialità e ricchezze che
il territorio offre loro.
La cultura e la diffusione della stessa, nella fattispecie la cultura
territoriale, permette un approccio più consapevole ed influenzante circa
la tutela del territorio.
f. Progetto transfrontaliero di valorizzazione della filiera turistica
integrata con le filiere del legno e dell'agro-alimentare, per la
promozione del turismo alpino nelle stagioni intermedie
Il progetto si propone di formulare proposte turistiche concrete e
innovative per le mezze stagioni (primavera e autunno), affinché le
stazioni montane, che finora hanno puntato prevalentemente sulla
stagione invernale, si attrezzino per promuovere un turismo
maggiormente diversificato, esteso a vasti territori, capace di orientare lo
sviluppo delle località turistiche in termini di spiccata sostenibilità
ambientale e sociale.
Il progetto mira a definire un prodotto turistico capace di garantire un
notevole valore aggiunto, esteso all'economia locale dei tre comuni
montani dell'area di frontiera, grazie alla caratteristica di essere basato
sulla stretta integrazione tra azioni pubbliche e interventi privati e sul 49 Progetto Museale Carnia http://www.carniamusei.org
49
fatto che si punti a rivitalizzare le stagioni intermedie tradizionalmente
morte rispetto al turismo invernale ed estivo.
La sfida più difficile è rappresentata dalla volontà di costruire un
prodotto che trae il suo punto di forza dalla valorizzazione dell'intera
filiera turistica e delle filiere ad essa più legate (agro-alimentare e legno)
che coinvolgono numerosi operatori locali. Un dettagliato programma di
formazione, comunicazione, promozione e commercializzazione punterà
a rafforzare l'identità locale, la coesione sociale transfrontaliera e
l'attrattività residenzale delle località. Gli obiettivi più importanti che si è
posto tale progetto sono:
- Costruzione di un nuovo modello di turismo che consideri le
stagioni autunnali e primaverili in modo da rivitalizzare in quei
mesi le località sia dal punto di vista sociale che economico;
- Azioni di comunicazione interna ed esterna rivolta all'intera area
di interesse;
- Attività di formazione rivolta agli operatori commerciali,
albergatori, ristoratori, guide naturalistiche e alpine, maestri di
sci;
- Organizzazione di un forum aperto rivolto alle popolazioni;
- Interventi manutentivi al servizio del ponte tibetano più lungo del
mondo sulla Piccola Dora tra i Comuni di Clavière e Cesana e
lungo il percorso pedonale e cicloturistico in alta quota
denominato Clavierissima che si sviluppa nei territori comunali di
Clavière, Cesana e Montgenèvre;
- Interventi promozionali vari;
- Coordinamento generale tra le attività.
Tale progetto fornisce un importante spunto di riflessione circa la
volontà di rendere il territorio montano come più accessibile,
svecchiandolo dal pregiudizio cui viene rivestito. Comunemente
infatti, nell’immaginario collettivo, i territori montani non vengono
50
considerati come luogo di vacanza nelle stagioni intermedie, vengono
infatti considerati come luoghi da visitare durante la stagione estive
ed invernale soprattutto dagli amati dello sport. Ma la montagna non
è solo questo e non può continuare ad essere vista come tale dai
cittadini. È proprio per tale motivo, e per l’intento di riqualificare i
territori montali, che tale progetto rientra nella categoria dei progetti
sostenibili.
Dopo aver analizzato questa rassegna significativa di progetti, che
rappresentano dei casi esemplari, volti ad approfondire la tematica della
sostenibilità montana, risulta più semplice passare al capitolo successivo in cui
si calano i progetti di sostenibilità ambientale nella realtà della regione montana
del Comelico Superiore.
51
CAPITOLO TERZO
IDEE, PROPOSTE E OPPORTUNITÀ FRA MARGINALITÀ E SVILUPPO: IL CASO DI
COMELICO SUPERIORE 3.1 Analisi ambientale: non un comune Comune di montagna
E’ risaputo che nel raccontare ad altri il luogo in cui si è nati e cresciuti si abbia
la tendenza a esagerare nel descrivere bellezze e particolarità che spesso
riportano alla mente ricordi positivi e talvolta nostalgici. Non posso fare a meno,
in questo caso, di coinvolgere mia nonna: ottant’anni, una vita di duro lavoro e
sacrificio, due guerre mondiali vissute sulla propria pelle; abbandonandosi ai
ricordi non manca mai di rievocare col sorriso e con visibile gioia le lunghe
giornate passate sui prati con le mucche al pascolo, quelle nei boschi a
raccogliere funghi da barattare con il primo mercante di città o le notti a
dormire nel fienile di famiglia. E’ innegabile, al di là dei sentimenti e delle
emozioni che tali immagini rievocano, la reale bellezza di un territorio con
un’inconfondibile fisionomia costituito da immensi boschi di abeti, alternati a
verdissimi prati picchiettati qua e là di case e di fienili, in un succedersi di paesi
coronati da cime che formano un panorama a dir poco suggestivo.
Lungi da descrizioni di parte, è stato proprio il poeta italiano Giosuè Carducci in
Cadore a descrivere il territorio che andrò a sescrivere in questo capitolo:
52
“Afferran l'armi e a festa i giovani tizianeschi scendon cantando Italia: stanno le donne a' neri veroni di legno fioriti di geranio e garofani; Pieve che allegra siede tra' colli arridenti e del Piave ode basso lo strepito, Auronzo bella al piano stendentesi lunga tra l'acque sotto la fosca Ajàrnola; e Lorenzago aprica tra i campi declivi che d'alto la valle in mezzo domina, e di borgate sparso nascose tra i pini e gli abeti tutto il verde Comelico; ed altre ville ed altre fra pascoli e selve ridenti i figli e i padri mandano: fucili impugnan, lance brandiscono e roncole: i corni de i pastori rintronano50”.
Il Comelico, con estensione di 280 kmq, è un’area montuosa del Veneto situata
nella parte più a nord della provincia di Belluno; in senso geografico appartiene
alla zona più conosciuta del Cadore. Storicamente il Comelico fece parte per
secoli della Comunità Cadorina e ne costituì una delle dieci centurie. Tutt’oggi è
baluardo montano del Veneto, confinante con Friuli Venezia Giulia, Trentino
Alto - Adige e Austria; le cime che invece racchiudono la valle del Comelico sono
le Dolomiti, nominate dall’Unesco nel 2009 Patrimonio dell’Umanità. Questa
valle è chiusa a nord dall’arco appartenente alla catena carnica con cime
superiori ai 2.000 metri quali il Peralba (monte che ospita le sorgenti del Piave),
Vallona e Cavallino; a sud-est dal Siera, dalle Terze, dal Tudaio, dal Popera di
Valgrande; infine a sud-ovest dalla catena dell’Aiarnola-Popera.
50
www.letteraturaitaliana.nt/pdf/volume_9/t215.pdf
(Fonte: http://www.valcomelicodolomiti.it/it)
Fig. 3.1 – Cartina panoramica Comelico Superiore
53
(Fonte: http://www.valcomelicodolomiti.it)
Il Comelico si presenta ricco di boschi di abeti e si distingue per il vasto tappeto
di prati da fieno e da pascolo; sui pendii sono generalmente poste le abitazioni
permanenti riunite in borgate e villaggi, dove alle antiche costruzioni
prevalentemente di legno, si vanno sostituendo case di più recente
fabbricazione. Dal punto di vista ambientale alle abitazioni si affiancano i laghi
di origine naturale nonché i corsi d’acqua che scorrono verso l’Adriatico. Il
fiume Padola, rilevante a livello storico in quanto teatro di scontri e battaglie
durante la Grande Guerra, fluisce nella valle del Comelico per poi affluire
assieme al torrente Digon nel Piave. A questo proposito è di fondamentale
importanza il limite altimetrico dell'area permanentemente abitata,
corrispondente all’isoipsa di 1.400 metri ed è raggiunto dalle case più elevate di
Danta. Se si dovesse altresì prendere in considerazione la quota più alta delle
case di ciascuno dei paesi più elevati, si potrebbe ricavare per le abitazioni
permanenti una media altitudine di 1.319 metri, quota che per le Alpi Venete
risulta essere piuttosto elevata.
Conseguenza diretta di tale altimetria e più in generale della posizione
geografica della zona, è il clima. Di pari passo con le caratteristiche climatiche
delle regioni alpine ci troviamo in presenza di autunni e inverni rigidi e di
primavere ed estati miti. La temperatura media annua oscilla tra i 6.6 °C
Fig. 3.2 – Cartina del comprensorio montano del Comelico
54
registrati nella stazione di S.Stefano e i 4,8 °C rilevati in corrispondenza del
passo Monte Croce-Comelico51. Durante i mesi più freddi ossia quelli compresi
fra dicembre e febbraio, le temperature raggiungono anche picchi di -20 °C
seppur le medie di stagione si aggirino attorno ai -3 °C. Tali condizioni
favoriscono le abbondanti precipitazioni nevose, le quali se da un lato creano
numerosi disagi legati soprattutto alla viabilità e alla mobilità, dall’altro creano
il presupposto per il buon andamento dell’economia legata al settore turistico,
non meno rilevante nella stagione estiva.
E’ dunque nel contesto sopra descritto che si pone il Comune di Comelico
Superiore, diviso nelle quattro frazioni di Candide (sede municipale),
Casamazzagno, Dosoledo e Padola. Con i suoi 2.343 abitanti, insediati a
un’altitudine media di 1210 metri sul livello del mare, è il Comune più
settentrionale della regione Veneto, una vera e propria culla ambientale e
culturale nel cuore delle Alpi Orientali.
Legati storicamente ad una forte tradizione e ad un’identità culturale tipiche dei
villaggi alpini, che si rispecchia ancora in molti ambiti della quotidianità, gli
abitanti sono testimoni attivi di quella che nei capitoli precedenti abbiamo
chiamato la sfida del vivere in montagna. Il Comelico Superiore non è infatti
considerabile come una semplice isola felice in mezzo al verde ma va inserito in
quel contesto che vede le zone di montagna come zone svantaggiate, fragili e
marginali rispetto ai poli di sviluppo maggiori, situati in zone di pianura. Ad
aggiungersi ai già citati motivi di questa marginalità vi è la storica chiusura, di
questa zona rispetto a quelle confinanti, dovuta alla già descritta conformazione
naturale montuosa che la caratterizza. Solo negli anni ’80 fu costruita e aperta al
traffico la Galleria Comelico, provvidenziale per la sostituzione nell’utilizzo
dell’unica strada per il collegamento con il Cadore presente in precedenza,
alquanto tortuosa e di difficile percorribilità. Chiusura peraltro rafforzata dal
confine con il Trentino Alto Adige, che nella fattispecie si concretizza nei
territori di matrice tedesca del Sud-Tiröl (matrice riscontrabile anche nella
cultura popolare del vicino paese di Sappada) e nella conseguente difficoltà di
51
Dati relativi agli studi sul clima inseriti in www.comelicocultura.it
55
comunicazione e collaborazione, incrementate inoltre dallo storico astio dovuto
agli avvenimenti relativi alle guerre del ‘900 che, in parte, si combatterono
proprio in queste zone.
Forse, volendo dare una diversa connotazione a questa forma di isolamento, si
possono notare alcuni fattori positivi a dimostrazione della forte capacità di
adattamento della popolazione comelicense. Sembra infatti inconfutabile il
mantenimento di una forte matrice culturale legata ai valori tradizionali,
tramandati in passato per via orale e giunti quasi immutati fino ai giorni nostri.
Tali valori si riflettono essenzialmente in alcuni ambiti lavorativi legati ai settori
silvo-pastorali o artigianali e più in generale nell’attaccamento alle tradizioni
folcloristiche e popolari, riscontrabili per esempio nel caratteristico carnevale.
Espressione massima di questa matrice culturale è il tipico dialetto parlato in
Comelico di matrice ladina e unico nel suo genere.
A sottolineare ulteriormente il forte connubio tra la popolazione locale e il
territorio vi è la particolare forma di organizzazione sociale che fonda le sue
radici nella storia e che si concretizza nel ruolo gestionale delle Regole di
Comunione Familiare che verranno in seguito specificate, che da secoli operano
allo scopo di incrementare il benessere nell’area in modo sostenibile in
collaborazione con la Comunità Montana, di più recente istituzione.
3.2 Dinamiche demografiche ed economiche
L’evoluzione storica del Comelico presenta molti caratteri comuni a quella del
resto della montagna bellunese, caratterizzata da una lunga fase di economia
agricola e pastorale che, a partire dalla seconda metà del ‘900, è stata affiancata
e in seguito quasi del tutto sostituita, dall’economia industriale sviluppatasi in
Cadore e più in generale nelle zone prealpine. Quando, nel 1895, a Comelico
Superiore si contava una popolazione totale di 3066 abitanti52, il dato parallelo
relativo al numero di capi di bestiame registra 2372 unità. E’ dunque di estrema
52
Gruppo di ricerche culturali di Comelico Superiore, Care vecchie immagini, pag. 14, 1985
56
facilità constatare come l’allevamento sia stato inizialmente la principale fonte
di sostentamento, grazie alla conseguente produzione di generi alimentari di
primaria importanza e alla più ampia gamma di lavori legati a tale pratica. Quasi
tutto, doveva essere prodotto in valle e la parola d’ordine era autosufficienza.
Ecco allora il sorgere di necessità come la produzione del pane attraverso la
macinazione della farina al mulino piuttosto che lo svolgimento dei lavori che
oggi chiamiamo tradizionali quali l’arrotino, lo stagnino, il fabbro o il falegname.
Ricchezza storica del Comelico, in quanto zona di montagna, era costituita dal
pregiato legname delle foreste; oltre allo smisurato valore intrinseco del
materiale, va sottolineato il grande apporto all’economia della zona che esso ha
donato, specialmente fino alla metà del ‘900.
Tutt’oggi le attività relative alla lavorazione del legno costituiscono
un’importante fonte di reddito e si possono inoltre ammirare gli sbarramenti
artificiali costruiti in prossimità dei fiumi (particolare oggetto d’attrazione
turistica è quello situato a Padola e chiamato in dialetto Stua), che hanno
storicamente reso possibile la fluitazione dei tronchi verso la pianura e la città.
Nel dopoguerra, l’incapacità di creare occasioni di lavoro stabili che fossero
diverse dalle attività tradizionali, riscontrabili in una marcata difficoltà di
sostentamento, sfociarono nel fenomeno dell’emigrazione prevalentemente
verso il mercato tedesco. Purtroppo ad andarsene non furono solamente operai
generici o specializzati ma anche tecnici, diplomati e laureati, impoverendo così
la terra natale dal punto di vista culturale. Nel Comune di Comelico Superiore,
nel 1971, l’emigrazione incideva per il 10% sul totale della popolazione che
contava 3489 abitanti.
Più in generale, confrontando i dati ISTAT relativi alle tendenze demografiche
negli anni tra il 1951 e il 2011, si registra un marcato fenomeno di
spopolamento, con il passaggio da 4102 unità a 2343, per un decremento totale
pari al 43%53. A porre l’accento sulla negatività di questa tendenza si aggiunge il
saldo sociale annuo quasi sempre negativo e l’aumentare dell’indice di
invecchiamento affiancato dal decremento dell’indice di natalità.
53
ISTAT, Censimenti generali della popolazione.
57
Fig. 3.3 – Popolazioni residente ai censimenti
Più in generale, tali dinamiche demografiche sono facilmente riconducibili al più
ampio e complesso fenomeno di spopolamento delle aree alpine riscontrabile
inoltre in tutte le zone montuose del pianeta.
Dal punto di vista delle attività economiche la situazione non è poi molto più
rosea. In primo luogo, il numero degli occupati impiegati nel settore silvo-
pastorale è in continuo calo benché alcune aziende agricole si mantengano in
attivo stando al passo con le tendenze del mercato attraverso l’uso di moderne
tecnologie. In secondo luogo, la competitività dei mercati esteri e la drammatica
riduzione del valore di vendita del pregiato legno del quale sono ricche le
foreste del Comelico (81,2% in meno rispetto al prezzo espresso in €/mc del
195554), ha fortemente condizionato uno sviluppo del settore legato alle risorse
forestali, portando alla chiusura della maggior parte delle segherie, nonostante
la marcata presenza sul territorio di attività legate specialmente all’artigianato
del legno, specializzato nella produzione di arredamenti in stile montano e in
forme d’arte come la scultura.
A proposito dell’artigianato è d’obbligo ricordare la tipicità comelicense del
settore dell’antiquariato che rappresenta una cospicua fonte di reddito, senza
lasciar scomparire quella che è un’attività tradizionale, collegamento tra un
presente e un passato non poi così lontano. Infine, va evidenziato come la
posizione in quota del Comune e più in generale la sua conformazione
54
D. Pettenella e M. Ciotti, Le Alpi che cambiano, a cura di M. Pascolini, cit. p.512
58
territoriale, non abbiano favorito nel corso degli anni all’insediamento di medie
e grandi industrie, soprattutto a causa della scarsa accessibilità territoriale.
Tale marginalità ha imposto, nella maggior parte dei casi, flussi pendolari verso
zone diverse, come quella del Cadore o Longarone piuttosto che Belluno, più
sviluppate e ricche di possibilità occupazionali.
Le zone soggette a pendolarismo sono infatti note per la presenza dell’industria
dell’occhiale che avviatasi già a fine ‘800, ha raggiunto l’apice del suo sviluppo
negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso per poi precipitare nell’attuale crisi.
Apparentemente in contrasto con questo quadro negativo è il settore turistico
che riveste un ruolo importante nell’economia della zona. Comelico Superiore
gode in questo caso di una bellezza paesaggistica senza eguali, la quale attira
molti amanti della montagna e della natura sia durante la stagione invernale che
in quella estiva. Una forma di turismo minoritario, rispetto a quella della
decisamente più conosciuta e vicina Cortina d’Ampezzo, che si fonda
principalmente sul turismo invernale grazie alla presenza nella frazione di
Padola, di moderni impianti sciistici collegati con il complesso della Val Pusteria
e inseriti nel rinomato circuito del Dolomiti Superski. Sarà interessante capire
nei paragrafi a seguire, come questa forma di turismo non sia sufficientemente
redditizia per l’economia dell’area e come abbia inoltre lasciato spazio a quella
che ritengo essere una non controllata speculazione edilizia.
Fig. 3.4 - Distribuzione della popolazione nella Comunità Montana di Comelico e Sappada
(Fonte Le Alpi che Cambiano, a cura di Mauro Pascolini)
59
Per concludere vorrei proporre una differente interpretazione delle dinamiche
economiche recenti, avvalendomi della classificazione dei comuni alpini redatta
da Bätzing55.
Ecco allora che l’applicazione di questo modello, di seguito illustrato, permette
di integrare le riflessioni in termini di caratterizzazione specifica delle porzioni
di queste aree e dei rapporti interni ed esterni che esse stesse intrattengono.
Fig. 3.5 - I Bätzing Types per i comuni del Cadore
(Fonte Le Alpi che Cambiano a cura di Mauro Pascolini, p.97 )
Come si evince dalla figura 3.5, Comelico Superiore (che ho marcato sulle carta
con un punto nero) è considerato, da tale classificazione, un comune in
equilibrio e ha mantenuto tale denominazione, in mancanza di dati più recenti,
nel trentennio fra il 1981 e il 2001.
55
BÄTZING in Le Alpi che Cambiano, a cura di Mauro Pascolini, p.97
60
Secondo Bätzing, rientrano in questa categoria i comuni che presentano una
relazione equilibrata fra tutti e tre i settori di impiego e una percentuale di
pendolari in uscita non superiore al 50%.
E’ dunque opportuno riflettere sul fatto che nonostante le sopracitate difficoltà
legate ai fattori morfologici e di accessibilità nonché il calo dell’impiego nel
settore agricolo, il Comelico è comunque caratterizzato da un economia di tipo
polifunzionale.
E’ infine constatabile come tale polifunzionalità sia ritenuta dagli esperti un
indice positivo poiché essa:
“(...)coniugata con il policentrismo già presente, permette di superare i rischi connessi con un’eccessiva polarizzazione dello sviluppo e prospetta le potenzialità di un’integrazione tra aree con funzioni differenti 56”.
3.3 Le Regole: tra passato, presente e nuove prospettive
In molte località europee sopravvivono delle proprietà collettive. Vicinie, regole,
partecipanze, consorterie sono alcuni dei nomi che le contraddistinguono. La
parola Regola in Cadore e in Comelico indica allo stesso tempo un insieme di
beni agro-silvo-pastorali quali boschi, prati, pascoli e una comunità di persone,
dette regolieri, che possiede e gestisce collettivamente questi beni. Attestate nei
documenti fin dal XII secolo, ma certamente di origini ben più antiche, le Regole
furono abolite nel XIX secolo per essere ripristinate nel 1948 e amministrano
ancora oggi il patrimonio comune. Risalgono addirittura al Duecento i patti o
statuti formalizzati, per iscritto detti laudi, i quali sancirono i diritti di gestione e
godimento del territorio e regolarono l’uso delle proprietà collettive, le quali, in
quanto appartenenti da tempo immemorabile alla comunità originaria, furono
più tardi riconosciute essere indivisibili, inalienabili e vincolate in perpetuo alla
loro destinazione d’uso. Un patrimonio in comproprietà quindi, da trasmettere
di padre in figlio, dove uso conservativo e produttivo coincidono. Va altresì
56
B. CASTIGLIONI, La rappresentazione delle dinamiche territoriali in area alpina, in Le Alpi che cambiano, a cura di M. Pascolini, cit. p 98
61
riconosciuto alle Regole di Comunione Familiare, il grande merito di aver saputo
adeguare nel tempo la propria funzione, promuovendo fino ai giorni nostri
numerose azioni di valorizzazione dell’ambiente indirizzate alla fruizione
sostenibile del territorio. Ciò non solo per il mantenimento delle estese
proprietà boschive e per l'assetto socio-economico della popolazione (a maggior
ragione fino a quando è perdurato lo stretto rapporto tra la natura dei beni
comuni e le attività lavorative proprie di una economia fondata su agricoltura e
pastorizia) ma anche per il ruolo di ente autonomo locale con ampi spazi di
autogoverno che ha condotto alla costruzione, nel corso degli anni, di vere e
proprie opere pubbliche quali case, edifici scolastici, strade e opere per il culto.
Rimane importante, in questo caso, evidenziare come suddetto merito si sia
progressivamente attenuato essenzialmente per due ragioni riconducibili a
fattori esterni alle Regole. In primo luogo, il subentrare delle competenze
amministrative dei Comuni che dal dopoguerra in poi hanno contribuito a
incrementare l'intervento pubblico a livello frazionale, affiancato alla naturale
evoluzione socio-economica di molte zone di montagna nelle quali il turismo e
le attività del terziario hanno soppiantato l'antico sistema economico agro-silvo-
pastorale. Secondariamente, la forte crisi del mercato del legno, risorsa prima e
unica nel bilancio di questi enti, ha impedito ulteriori investimenti
rappresentando, ancora oggi, un fattore critico decisamente rilevante.
Oltre ai fattori già elencati è d’obbligo tenere in considerazione il fenomeno che,
a mio avviso, mina maggiormente le basi per un futuro prospero e durevole di
questi enti, con particolare riferimento alle sedici Regole presenti nel territorio
del Comelico (non ho elementi a sufficienza per estendere il personale giudizio
ad altre simili realtà, quali per esempio quelle d’Ampezzo). Si tratta dell’ormai
avviato e continuo calo di interesse e di fiducia verso queste istituzioni, in primo
luogo da parte di una fetta di popolazione contraddistinta per lo più dai giovani
e in seconda analisi, fatto assai più negativo, da parte degli stessi regolieri, i
quali sembrano tendenzialmente allettati dai diritti acquisiti senza
preoccuparsi degli altrettanto importanti doveri.
Quest’ultimo punto è testimoniato dalla scarsa affluenza dei capifamiglia alle
assemblee generali, momento fondamentale della vita comunitaria durante il
62
quale, di norma, si dovrebbe discutere, deliberare nonché votare. Ecco allora
che si viene a creare un governo di pochi, una sorta di oligarchia tendente per
natura all’accentramento e all’impoverimento ideologico che lascia,
conseguentemente, ampio spazio alla cura degli interessi personali a discapito
della comunità. E’ quindi evidente come questo fenomeno cresca di pari passo
con la perdita di fiducia nelle Regole e come, d’altro canto, sia difficile
mantenere o creare interesse e partecipazione nelle nuove generazioni le quali
sembrano essere distanti dal comprendere e abbracciare l’insieme di valori e
presupposti che un tempo furono fondamentali per la vita della comunità.
E' indubbio comunque che le potenzialità delle Regole e di simili enti siano assai
ampie e importanti, benché questi ultimi richiedano a mio avviso, per potersi
riappropriare del ruolo primario acquisito nel tempo, una modernizzazione
strutturale.
Dalla ridefinizione istituzionale e statutaria, necessaria dopo secoli di
immutabilità, al rinnovamento delle forme di intervento in modo consono allo
sviluppo economico e sociale delle genti di montagna.
Contestualmente al primo dei due punti e con riferimento all’attuale assetto a
Comelico Superiore, risulta lecito e spontaneo chiedersi se siano ancora
necessarie quattro distinte Regole, una per frazione, per gestire il patrimonio
boschivo e le poche pratiche burocratiche o se non sia migliore l’idea di un
accorpamento in un unico ente, operante a livello comunale.
Limitare, dunque, i costi burocratici e di mantenimento di ogni singola Ceda d’la
Regola57, unendo il patrimonio accumulato nel tempo al fine di poter operare
con scelte ed interventi mirati all’intera comunità e non al singolo paese,
eliminando in questo modo anche gli antichi campanilismi che tutt’oggi
rovinano quella che dovrebbe essere un’opportunità da sfruttare per migliorare
il territorio e favorire il benessere degli abitanti.
Politiche per agevolare l’inserimento dei giovani e incrementare in essi
l’interesse e la credibilità nei confronti dell’ente, dovrebbero di fatto essere
57
Espressione usata nel tradizionale dialetto di Comelico Superiore per indicare la Casa della Regola, ossia la sede fisica di questa istituzione, nella quale si svolgono le assemblee tra i regolieri e si svolgono le principali funzioni di carattere burocratico.
63
inserite nelle agende dei regolieri, anche per tentare di garantire continuità e
futuro al ruolo di un’istituzione sempre meno considerata.
In relazione al secondo punto, una volta constatato il superamento
dell’importante ruolo un tempo acquisito, quando l’economia locale andava
pressoché di pari passo con quella della Regola, e appurato il forte decremento
delle possibilità di spesa per gli interventi pubblici dovuto al già citato drastico
calo del valore del legno in quanto unica entrata di bilancio, risulta necessario
trovare nuove forme di guadagno derivante da attività sostenibili, a
giustificazione dello stesso perdurare di tali istituzioni.
A tal proposito, rimando le proposte e i sentieri percorribili al prossimo
paragrafo, nel quale saranno proposte alcune delle possibili applicazioni del
concetto di sostenibilità nel contesto socio-economico di Comelico Superiore.
Per concludere, l’auspicio è che in questa prospettiva di modernizzazione e
rinnovamento si possa ritrovare l’importanza sociale e ambientale che da
sempre caratterizza le Regole di Comunione Familiare, affinché,
nell’indifferenza sempre maggiore, non si segni il destino di tali antiche ed
originali istituzioni.
3.4 Sui sentieri della sostenibilità
La riflessione, proposta nei paragrafi precedenti, riguardo alle trasformazioni
strutturali relative alla demografia, all’economia, alla società e all’ambiente del
Comune di Comelico Superiore, non solo mette in luce la grande problematicità
di questo territorio ma pone anche l’accento sulla necessità di ricercare
strategie comuni per un futuro sviluppo in chiave sostenibile.
Ecco allora il delinearsi di quattro sentieri percorribili. I primi tre hanno a che
fare strettamente con la valorizzazione e la fruizione delle risorse rinnovabili
presenti in Comelico quali le foreste, le risorse idriche, il fotovoltaico ed il
biogas. L’ultimo percorso, propone una revisione delle politiche relative al
turismo di montagna calato nella realtà comelicense, con l’intento di evidenziare
le molteplici applicazioni sostenibili di questo settore.
64
a) Le risorse forestali
Il mercato dei prodotti e dei servizi forestali ha subito radicali trasformazioni
nel corso degli ultimi decenni, con un immediato impatto negativo e
significativo sulle attività economiche di settore e sulle forme di gestione dei
terreni boschivi, risorsa fondamentale per il suolo montano. E’ constatato come
questo fenomeno si possa riscontrare senza difficoltà anche nella realtà del
Comelico non solo per la caratteristica gestione del patrimonio da parte delle
Regole che provvedono regolarmente alla vendita di lotti boschivi, ma anche per
l’effettiva specificità e qualità del legname locale, la zona è stata infatti oggetto
di un’indagine volta a definire con certezza numerica il processo di svalutazione
della materia prima in questione.
Fig- 3.4 - Andamento del prezzo del macchiatico in euro
(Fonte: Le Alpi che Cambiano a cura di Mauro Pascolini)
Tale analisi, svolta da Davide Pettenella e Michele Ciotti entrambi membri del
Dipartimento di Territorio e sistemi agro-forestali dell’Università di Padova,
65
prende in considerazione la variazione del prezzo di vendita del macchiatico in
circa 1330 lotti, negli anni tra il 1955 e il 200558.
Come si può notare dal grafico qui sopra, che riporta i dati dell’indagine, a parte
le oscillazioni positive registratesi negli anni tra il 1973 e il 1980, nei quali le
due crisi petrolifere59 causarono un momentaneo effetto al rialzo nel prezzo di
tutte le materie prime, il valore del macchiatico è andato via via drasticamente
calando, passando dal prezzo medio di 276, 46 €/mc nel 1955 ai 51,96 €/mc nel
2005, con un’effettiva riduzione dell’81,2% del valore iniziale60. Tra le principali
cause di tale andamento negativo, senza voler entrare nello specifico, troviamo:
- in primo luogo l’aumento del commercio internazionale che ha favorito
nel tempo l’importazione di grandi quantità di legname dall’estero a
prezzi inferiori;
- in secondo luogo, un aumento qualitativo dei sostituti del legno, tra i
quali vanno ricordati per esempio i prodotti MDF o in PVC;
- in terzo luogo, fattore non meno importante, l’influenza sul mercato di
eventi naturali catastrofici come per esempio gli uragani Lothar e Vivian,
che hanno provocato in Europa ingenti danni alle foreste, causando di
fatto un’ulteriore decremento del prezzo di macchiatico.
Ora, dal momento che il mercato sarà sempre più aperto e competitivo, le
nuove tecnologie e la ricerca permetteranno di mettere a punto ulteriori
prodotti sostitutivi del legno e tenuta in considerazione l’impossibilità di
evitare l’accadere di catastrofi naturali, risulta improbabile che si possano
58
Riferito al valore delle piante in piedi che hanno ormai raggiunto la maturità per il taglio. Si tratta di un particolare valore di trasformazione che si ottiene dalla differenza tra il prezzo di mercato dei prodotti trasformati (assortimenti mercantili prima di ulteriori lavorazioni) e le spese necessarie per la trasformazione stessa. La sua importanza deriva dal fatto che, generalmente, il proprietario quasi mai abbatte direttamente il bosco ma lo affida ad imprese contoterziste che dispongono di personale specializzato e adeguate attrezzature per l’abbattimento e che pertanto acquistano dal proprietario stesso le piante in piedi. Il prezzo di macchiatico è quindi ciò che, al momento del taglio, viene percepito dal proprietario del bosco. 59
Si fa riferimento alle crisi energetiche che causarono l’aumento del prezzo del petrolio, dovute rispettivamente alle conseguenze della Guerra del Kippur nel 1973 e della rivoluzione iraniana del 1979. 60
D. Pettenella e M. Ciotti, Le Alpi che cambiano, a cura di M. Pascolini, cit, p.51
66
cambiare in termini significativi le condizioni attuali di remuneratività.
Occorre, quindi, individuare quelle che sono le possibili linee d’intervento, in
chiave sostenibile, da inserire in un più generale progetto di valorizzazione
delle risorse forestali e del settore economico da esse generato, che
comprenda le attività di lavorazione del legno e l’erogazione di beni e servizi
a esso collegati e volte a rilanciare anche il ruolo degli enti gestori di tale
patrimonio.
Si potrebbe iniziare, per esempio, con l’adottare politiche volte a valorizzare
le locali produzioni, da sempre di qualità rispetto a quelle di altre zone,
puntando sulla creazione di consorzi di gestione in grado di pubblicizzare e
promuovere un marchio certificato.
A tal proposito, sono fondamentali le azioni di marketing, riassumibili nei
seguenti interventi, evidenziati con queste parole da Pettenella e Ciotti:
“(...) puntare a produzioni di qualità, su filiere corte e per nicchie di mercato (prodotti artigianali, interventi edilizi di ristrutturazione o edifici pubblici di alta qualità), (...) differenziando le produzioni locali rispetto a quelle estere per la provenienza del boschi, gestiti con alti standard ambientali e sociali, certificati secondo i due sistemi di certificazione forestale del Forest Stewardship Council (FSC) e del Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes (PEFC)61”.
Si evince dunque l’importanza di considerare le risorse forestali come un valore
aggiunto a livello zonale nonché regionale e di conseguenza, l’imminente
bisogno di operare e agire in quest’ottica. Ecco, allora, come la certificazione del
legno e la creazione di un marchio di qualità, sarebbero motore non solo di un
rilancio dell’economia di settore ma anche di un incremento del valore di
vendita intrinseco del legname.
Le pregiate produzioni artigianali del Comelico acquisterebbero maggiore
visibilità e valore sul mercato, aprendo la strada al nascere di nuove realtà
imprenditoriali e di conseguenza più opportunità di lavoro.
61
D. PETTENELLA e M. CIOTTI, Legname e nuovi mercati per le risorse forestali: quali prospettive per i boschi delle Alpi?, in Le Alpi che cambiano, a cura di M. Pascolini, cit, p. 60
67
Le stesse Regole trarrebbero un consistente vantaggio economico grazie
all’aumento del prezzo del macchiatico, disponendo quindi di maggiori fondi da
reinvestire sul territorio e tentare di riacquistare il vecchio e importante ruolo
sociale per cui si sono distinte nell’arco della storia.
Negli ultimi anni, inoltre, relativamente alle strategie atte a superare la più
ampia crisi del settore forestale, l’attenzione si è spostata su precisi strumenti
economici, tra i quali, i sistemi per pagamenti ambientali. Sorge a questo punto
la necessità di una breve spiegazione che permetta di comprendere le
meccaniche relative a tali forme retributive.
I Payments for Environmental Services (PES)62 sono uno strumento economico
volto a erogare incentivi ad agricoltori e silvicoltori da parte dei beneficiari di
beni e servizi ambientali, per l’adozione di pratiche agricole sostenibili in grado
di generare effetti positivi per l’ambiente. In altre parole, dato che molti beni e
servizi ambientali non hanno un mercato, coloro che ne godono i benefici non
pagano alcun prezzo mentre coloro che li erogano non sono ricompensati
affatto. Ecco allora che i PES sono un meccanismo che prevede che i fornitori di
suddetti servizi ricevano un compenso per essi (provider gets) e che i beneficiari
paghino il relativo prezzo (user pays).
Risulta quindi ovvio come queste strategie siano facilmente applicabili alle
realtà silvicolturali del Comelico. Si delineano in particolare tre possibili rendite
ambientali divise in:
- servizio idro-geologico;
- servizio di fissazione del carbonio;
- mantenimento della biodiversità.
Esistono, attualmente, schemi PES previsti per tale tipo di prodotti sostenuti
principalmente da fondi pubblici ma per i quali si riscontra un crescente
interesse da parte del settore privato. Per quanto riguarda le risorse idriche, è
risaputo che coloro i quali usano la terra nelle aree a monte, influenzano la
quantità e qualità delle acque a valle. E’ altrettanto noto che la regimazione del
62
Per un ulteriore approfondimento tematico, maggiori informazioni si possono trovare sul sito internet http://www.fao.org/es/esa/pesal/index.html
68
ciclo dell’acqua, rientri nella categoria di competenze assegnate ai gestori delle
proprietà silvo-agricole. Vien da sé affermare che enti come le Regole e le
Comunità Montane potrebbero ricevere un compenso per il lavoro svolto, che
garantisca a valle il consumo di acqua potabile, come l’ingente impiego della
risorsa nei settori agricoli ed industriali, per la pesca ed infine che sia in grado
di permettere il mantenimento degli ecosistemi.
Allo stesso modo, la rimuneratività deriverebbe anche dal processo naturale di
fissazione del carbonio operato dalle foreste, tema di grande attualità, che ha la
tendenza ad assumere un’importanza sempre maggiore.
E’ risaputo che questo processo contribuisce alla diminuzione delle emissioni
nocive di Co², rientrando a pieno titolo negli aspetti cardine per il rispetto delle
direttive impartite nel Protocollo di Kyoto. Di conseguenza, è sempre più in voga
il mercato del carbonio, che trova i principali acquirenti in enti pubblici locali,
regionali o statali, come d’altro canto in industrie private interessate a
compensare le loro emissioni nocive al fine di evitare le pesanti sanzioni
altrimenti imputabili. Che dire poi se gli sforzi e i costi sostenuti per la gestione
dei boschi fossero ricompensati con incentivi per la conservazione della
biodiversità? E sarebbe troppo se anche i responsabili di attività turistiche,
ricreative e sportive, piuttosto che culturali, contribuissero con pagamenti ai
proprietari per la pulizia, la cura e la manutenzione del territorio operate?
Credo che i tempi siano maturi, affinché vengano riconosciuti e remunerati
anche quei prodotti, servizi e benefici derivanti dagli ecosistemi (ecosystem
services), per i quali non esisteva fino a poco tempo fa un mercato.
Per tornare nuovamente a quelle che potrebbero essere, a mio avviso, le linee
d’intervento per tentare di risollevare il trend negativo nel campo delle risorse
forestali, vorrei far notare come un’ulteriore opportunità da sfruttare da parte
dei gestori e dei proprietari dei boschi, tenuti in considerazione i continui
aumenti del prezzo dei combustibili fossili, è la produzione e la vendita di
materiale legnoso da biomassa, atto alla produzione di energia prevalentemente
termica.
69
Per natura, il legno rappresenta da sempre un’importante risorsa energetica che
oltre ad essere rinnovabile, risulta essere pulita in quanto la sua combustione
non genera emissioni nocive e inquinanti.
Se di primo acchito appare scontata la necessità di sviluppare una filiera
produttiva che utilizzi gli scarti della lavorazione di legname derivanti
dall’industria del legno, una volta constatata l’attuale situazione di mercato di
quest’ultima in Comelico, non va tralasciata l’idea di impiegare direttamente
anche tronchi di grande diametro e di buona qualità.
In questa maniera, oltre a percepire un guadagno dalla vendita a terzi del
materiale, si agevolerebbe la costruzione di moderne centrali a biomassa per la
produzione di energia termica e la sua successiva distribuzione, mediante
apposite reti, ad enti pubblici come ad edifici privati, fornendo in questo modo
un’importante servizio alla comunità, sinonimo anche di sviluppo sostenibile.
Per concludere, con una sana dose di realismo e senza molte illusioni, credo che
queste, assieme ad altri interventi inseriti in un più ampio contesto di sviluppo
rurale montano, sembrino essere le misure atte a promuovere il settore
forestale e migliorare le condizioni del mercato del legname e più in generale a
valorizzare le ricche risorse boschive di cui il territorio di Comelico Superiore
dispone, in un’ottica di modernizzazione e rinnovamento in grado di far
comprendere come sia sempre più necessario prestare maggiore attenzione allo
sfruttamento sostenibile delle risorse locali.
b) Le risorse idriche
Si è già parlato, nel corso dell’elaborato, di fonti d’energia rinnovabili e del loro
inserimento nell’ambito dello sviluppo sostenibile. Vale la pena però
approfondire, contestualizzando il tema alla situazione del mio caso di studio,
ponendo maggiore attenzione sulle possibilità offerte da produzione e utilizzo
di codeste risorse.
Nel precedente sottoparagrafo è stata messa in evidenza, tra le altre proposte, la
necessità di utilizzare scarti di lavorazione del legname e non solo, al fine di
70
produrre energia termica da biomassa. Focalizzerei ora l’attenzione sul ruolo
primario che volge ad assumere un’altra risorsa, quella idrica.
Per quanto riguarda la questione acqua, è immediato il collegamento che la
associa alla produzione di energia idroelettrica e alla capacità remunerativa ad
essa relativa. Delicata è invece la questione che tenta di definire a chi
appartenga l’acqua e a chi spettino, e quali siano i diritti del suo utilizzo in modo
da non provocare danni alla collettività e all’ambiente.
Le risorse idriche di Comelico Superiore sono sottoposte, in quanto inserite nel
più ampio contesto alpino, ad una costante pressione causata dalle crescenti
esigenze energetiche delle realtà di pianura piuttosto che cittadine,
specialmente in relazione all’utilizzo nel campo dell’agricoltura, dell’industria e
del turismo.
Tale fenomeno, è testimoniato anche nelle affermazioni di Roland Psenner,
dell’Università di Innsbruck, il quale sostiene che:
“privatizzazioni e liberalizzazioni fanno si che le regioni alpine siano sempre meno in grado di definire se stesse e le proprie esigenze, cosicché gli interessi sociali, ecologici, vitali degli abitanti sono tenuti sempre meno in considerazione.63”
Lo scenario sul territorio in analisi, vede attualmente la presenza di tre
cosiddette centraline per la produzione di energia elettrica che sfruttano il corso
dei fiumi locali, già citati nel primo paragrafo di questo capitolo. Nello specifico,
mi riferisco alla centralina esistente in località Sopalù, che usufruisce delle
acque del fiume Padola, gestita dall’ENEL. Oltre a questa, vi sono altre due
strutture, cogestite dal Comune di Comelico Superiore e dal BIM (Bacino
Imbrifero Montano), poste rispettivamente nella frazione di Padola in
prossimità dell’omonimo corso d’acqua e nella frazione di Sega Digon, ospite di
un’altro degli affluenti del Piave, il Digon appunto.
Di fatto, per quanto riguarda il ricavato dalla vendita dell’energia elettrica
prodotta, si evincono due differenti destinazioni. Nel primo caso, non vi è infatti
alcuna redistribuzione sul territorio dei guadagni, in quanto essi finiscono per
63 R. Psenner, Le Alpi che cambiano, a cura di M. Pascolini, cit, p. 43
71
intero nelle casse dell’ENEL. Nel secondo invece, nonostante il rapporto di
cogestione con un ente esterno che ne trattiene una parte, gli utili sono percepiti
direttamente dal Comune, il quale può utilizzarli e reinvestirli per interventi
utili alla comunità locale.
E’ opportuno in questo caso sottolineare l’importanza rappresentata dall’ultima
realtà configuratasi. In molte regioni montane infatti, l’energia idroelettrica
generata dalle turbine è una fondamentale risorsa e riesce, spesso, a sopperire
al fabbisogno di interi villaggi o comunque quello relativo alle necessità di
edifici pubblici come scuole, ospedali e uffici governativi. Talvolta, in casi
eccezionali dove si riscontra la presenza di centrali di grandi dimensioni, oltre
alle esigenze interne alla comunità è fattibile pensare di soddisfare anche le
richieste di quello che è diventato ormai un vero e proprio mercato dell’energia,
vendendo in questo modo i KW64 prodotti in eccesso. E’ questo, per esempio, il
caso della Val Poschiavo, una regione periferica della Svizzera italiana, dove la
comunità guadagna addirittura il 38% del proprio reddito esclusivamente dalla
produzione e dalla vendita di energia65.
Lungi dal pensare che tale consistente risultato sia perseguibile a Comelico
Superiore, occorre però rimarcare la necessità di definire quali siano le scelte di
natura politica migliori, affinché lo sfruttamento di un bene prezioso come
quello dell’acqua generi ricchezza, prima di tutto per azzerare le spese
energetiche comunali e di conseguenza un riscontrabile ritorno in termini di
beni e servizi di ordine pubblico alla popolazione.
A tal fine, pare lecito, come punto di partenza, operare nella direzione di un
totale affidamento gestionale all’ente comunale delle già presenti centrali, nella
prospettiva che sia proprio quest’ultimo il primo artefice di ulteriori
investimenti nel campo. Più dettagliatamente, andrebbe a mio parere realizzata
la proposta, già inserita nei futuri piani d’intervento, d’installazione di un
ulteriore impianto presso le cascate del Pisandalo66, sfruttando appieno la
64
Unità di potenza elettrica equivalente a 1.000 Watt 65
A.G. DAL BORGO, Il futuro delle Alpi sui sentieri della sostenibilità, cit., p. 105 66
Le cascate del Pisandalo, appartengono al territorio del Comelico e sono situate ad un km dal Passo Monte Croce, linea di confine tra la regione Veneto e il Trentino Alto Adige
72
naturale potenza dell’acqua in caduta libera, che si riversa nuovamente nel
fiume Padola per essere riutilizzata nelle centraline già citate.
Tornando ora all’affidamento gestionale e alle politiche per la concessione
d’utilizzo idrico, preme il bisogno di sottolineare come sia utile e indispensabile,
al fine di evitare lo sperpero di una delle poche fonti ancora a disposizione della
cittadinanza, il ruolo degli enti pubblici. Colgo l’occasione per rafforzare questo
mio pensiero riportando un breve estratto da un’intervista fatta nel 2011 all’ex
Sindaco di Comelico Superiore, Luca De Martin, nel corso della quale affermava:
“A mio parere la concessione di derivazione e intervento su corsi d'acqua deve essere data solo a enti pubblici, per finalità pubbliche. Dobbiamo chiedere che la legge riservi queste iniziative solo agli enti pubblici. Se ci passa davanti il privato ci porta via le uniche risorse che la cittadinanza ha per sopravvivere67”.
A tal fine, urge una immediata inversione dell’attuale tendenza, che denota il
prevalere di progetti presentati da realtà imprenditoriali private.
In sostanza, nella gara per la produzione di energia, i privati fanno risultano ad
oggi vincenti. Essi sembrerebbero più efficienti e più abili degli enti pubblici ad
approfittare delle opportunità che il quadro normativo offre a chi voglia
produrre energia pulita in tempi di crisi del clima e della disponibilità delle
tradizionali fonti fossili. Tale efficienza non si rifletterebbe però, a mio avviso,
nell’amministrazione degli introiti e nel duraturo rispetto dell’ambiente in
chiave sostenibile.
Una situazione simile a quella appena descritta, è constatabile nel risultato di
quello che è stato, in principio, il tentativo di sfruttare intelligentemente le
proprietà mediche intrinseche all’acqua.
Per questo aspetto Comelico Superiore non ha bisogno di presentazioni. Sono
ormai conosciute e riconosciute le proprietà curative delle acque solforose che
sgorgano nella splendida area di Valgrande, ai piedi di alcune delle più belle
montagne dolomitiche, convogliate nella struttura che da queste ultime prende
il nome di Terme delle Dolomiti. Come già citato precedentemente nel corso del
67
Intervista a Luca De Martin su: Attività compatibili alla montagna, (2011) riportata integralmente nel sito www.comelicopedia.net
73
capitolo come attività fonte d’attrazione turistica, dopo qualche anno
dall’istituzione, risultano purtroppo, ad oggi, chiuse.
In questo caso, a dimostrazione di quanto poco fa affermato, la gestione di un
bene pubblico come l’acqua da parte di una società privata, ha condotto ad una
serie di fattori per i quali gli iniziali presupposti positivi legati principalmente
all’ottica del conseguimento di un profitto e non adeguatamente inseriti in un
progetto di ritorno per la comunità, si sono rivelati sinonimo di scarsa efficienza
e affidabilità.
Questa riflessione non vuole erigersi come manifesto di verità assoluta, ma
vuole essere la base per un invito, estendibile anche ad enti pubblici quali
Comune, Comunità Montana e Regole di comunione familiare, ad attivarsi con
maggiore enfasi per aggiudicarsi l’importante ruolo gestionale di queste risorse
ed attività che, in linea con il più generale ambiente alpino, rappresentano il
concretizzarsi delle maggiori opportunità per il fruizione sostenibile montano.
c) Fotovoltaico e Biogas
In un comune come quello di Comelico Superiore con un bilancio di circa tre
milioni di euro di investimenti annui, l’attenzione alle spese energetiche, deve
essere all’ordine del giorno. E’ già stata menzionata la necessità di puntare
all’azzeramento di tali spese grazie allo sfruttamento del potenziale idrico, che
non è però l’unica risorsa dalla quale trarre sostentamento. Con positivo
stupore infatti, è stato possibile riscontrare il realizzarsi del concetto di
sostenibilità ogni qual volta io guardi il tetto dell’edificio scolastico situato a
pochi metri dalla mia abitazione.
L’installazione, sulla sua superficie, di un discreto numero di pannelli
fotovoltaici, garantisce da qualche anno ad esso l’autosufficienza dal punto di
vista dell’energia elettrica. Un grande passo, senza ombra di dubbio, sebbene
sorga spontanea la domanda volta a capire se sia questa l’unica opportunità.
La risposta risulta essere altrettanto spontanea. Sono infatti presenti sul
territorio altri edifici di competenza comunale con le carte in regola perché si
avvii una politica di interventi mirati alla produzione di energia pulita. Si
74
dovrebbe in questo caso valutare quali di questi siano i più adatti a convogliare i
raggi solari, per fattori legati all’esposizione.
Anche nel caso di edifici ormai dismessi o non utilizzati per qualsivoglia attività,
basterebbe collegare l’impianto alla rete di illuminazione pubblica ottenendo
così un ritorno immediato, in primo luogo in termini di riduzione o azzeramento
della spesa attualmente sostenuta e secondariamente legato al crearsi di utili
spendibili in altri interventi.
In verità, progetti di questo tipo sono già stati presentati, come quello inerente
l’installazione di suddetti pannelli sulla copertura delle scuole medie della
frazione di Padola, che fruirebbe di una superficie di 160 m². Di pari passo
potrebbero operare le Regole e allo stesso modo, sarebbe opportuno
intraprendere la strada che conduce alla ricerca di fondi ed incentivi regionali,
piuttosto che statali ed europei, volti all’ottenimento dell’autosufficienza
energetica (elettrica e termica) anche per le abitazioni private, limitando così le
ingenti spese che la popolazione è già costretta a sostenere per il riscaldamento
nei mesi invernali, quando l’approvvigionamento di legna non basta.
Se poi sostenibilità in questo campo significa riuscire a sfruttare le risorse
naturali presenti sul territorio, allora perché non sfruttare la naturale
morfologia del suolo? Si da il caso che le frazioni di Candide e Casamazzagno
siano ricche di prati già naturalmente inclinati in quanto estesi su uno dei
versanti della valle un tempo generata dal fiume Padola. E sono altrettanto
notabili le perfette condizioni di esposizione a sud di codeste superfici, che
godono anche, grazie alla loro posizione, di un maggior tempo di illuminazione
solare rispetto alle altre frazioni.
Ora, senza purtroppo poter formulare un piano d’intervento preciso, per fattori
riconducibili principalmente alle dispute relative ai diritti d’uso e proprietà,
credo sia importante evidenziare come in linea puramente teorica, il montaggio
di pannelli fotovoltaici su queste estensioni sarebbe in grado di garantire una
tale produzione di energia che oltre a soddisfare il fabbisogno pubblico,
potrebbe essere venduta al mercato, generando introiti da reinvestire.
Tralasciando per un momento tale riflessione e tornando alla pratica, si può
osservare come gli ostacoli che ad oggi bloccano proposte di questo tipo, siano
75
principalmente di matrice economica. Va ricordato, però, che gli iniziali
investimenti, per quanto consistenti, si dimostrano (nella maggior parte dei
casi) ammortabili in poco tempo e garanti di una resa futura, che nel caso della
realtà di Comelico Superiore rappresenterebbe un notevole incremento di fondi
da inserire nel bilancio comunale annuo.
Se quanto detto non bastasse a convincere riguardo la preziosità di questa,
come di altre fonti rinnovabili, credo sia utile ricordare e di conseguenza
accennare anche al ruolo che l’utilizzo di tecnologie per la produzione di biogas
potrebbe assumere nell’economia del settore agricolo.
Sebbene sia stata documentata nel corso dell’analisi socio-economica
precedentemente esposta, la decennale tendenza alla diminuzione delle attività
agricole nella zona, si può constatare il permanere di alcune piccole aziende,
principalmente a conduzione familiare. E’ indubbio che i costi relativi al
fabbisogno energetico per il mero funzionamento di queste realtà, siano tra i
fattori che spingono al ribasso la redditività d’impresa ma è altrettanto vero che
tramite le moderne tecniche, tali spese possono essere di gran lunga
compensate.
Sono esaustivi e chiarificativi, a tal proposito, i risultati di una ricerca svolta dal
TIS Innovation Park, ente altoatesino per la promozione e l’innovazione
tecnologica, volta a delineare i benefici ambientali, economici ed energetici degli
impianti a biogas in provincia di Bolzano. E’ emerso che in Alto Adige esistono
31 impianti biogas che trasformano annualmente circa 130.000 tonnellate di
letame e liquami, in energia elettrica e calore. L’analisi, ha dimostrato per di più
che gli impianti agricoli installati in azienda, consumano (per funzionare) circa il
20-30 % dell’energia e del calore che producono. Un bilancio dunque molto
positivo.
Sorge spontanea la domanda: il rimanente 70%? Elettricità e calore utili per
compensare il fabbisogno aziendale. Come se non bastasse, dai risultati si evince
anche come questa sia una pratica altamente sostenibile e rispettosa
dell’ecosistema. Si è constatato, infatti, che gli impianti agricoli a biogas
risultano più ecologici rispetto alla gestione tradizionale del liquame e del
letame perché risparmiano il 60% delle emissioni equivalenti di CO2: se non
76
venissero trasportati all’impianto, questi preziosi scarti verrebbero prima
stoccati dai contadini e poi distribuiti sui campi come fertilizzanti (è questa
l’attuale situazione nella realtà di Comelico Superiore), emettendo così più Co² e
metano rispetto alla loro gestione attraverso l’impianto a biogas.
Il bilancio ambientale positivo degli impianti biogas è inoltre determinato dal
fatto che l’energia prodotta è rinnovabile e dunque consente di ridurre il ricorso
a fonti fossili come carbone o gasolio, che sono altamente inquinanti. Nello
specifico, 1 kWh di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, consente di
risparmiare 440 g di Co²68.
Alla luce di questi esiti e con la consapevolezza che i costi per l’iniziale
costruzione degli impianti sono consistenti, ma quasi dimezzabili grazie al
fruizione dei numerosi incentivi assegnati in virtù dei già discussi piani europei
di sviluppo, ritengo che come nel caso del fotovoltaico, anche l’utilizzo di questa
risorsa biologica rinnovabile sia una delle possibili applicazioni pratiche, nella
realtà di Comelico Superiore, del sentiero che conduce alla sostenibilità.
Concludo con una proposta puramente teorica: perché non immettere il calore
prodotto dal biogas, nel caso di un eccesso di produzione, in una rete di
teleriscaldamento per le abitazioni?
Forse però, l’attuazione di questo progetto, è destinata ad altre realtà, che non
hanno a che vedere con un piccolo comune di montagna.
3.5 Per un turismo sostenibile
E’ già stato messo in evidenza come il turismo sia parte integrante
dell’economia del Comelico, inserendolo di fatto, in virtù della compresenza con
attività di altra natura appartenenti all’artigianato e al settore agro-silvo-
pastorale, nella categoria delle aree montane in equilibrio69. Di fatto, quando la
popolazione e l’opinione pubblica locale parlano di economia trainante, tutti
pensano al turismo e in particolar modo al turismo dello sci. Ciò è
comprensibile, giacché molti cittadini gestiscono attività la cui redditività
68
Fonte: http://www.tis.bz.it 69
Rif. all’analisi dell’economia comelicense tramite il modello Bätzing Types
77
dipende direttamente o indirettamente da questa risorsa. E’ in parte vero che i
rinomati tracciati sciistici situati alle pendici della catena del Popera nella
frazione di Padola, già collegati con la Val Pusteria e inseriti nel circuito
internazionale Dolomiti Superski, garantiscono la presenza di una discreta
quantità di vacanzieri, per lo più amanti dello sport. E’ innegabile che da una
prima spartana analisi i turisti contribuiscano a riempire alberghi e ristoranti e
che rappresentino una fonte di maggiore guadagno, nell’ottica di commercianti
e negozianti locali.
Tuttavia, sono evidenti i limiti di questa visione, per più fattori così riassumibili:
in primo luogo l’affluenza turistica è da considerare consistente solamente
durante poche settimane (vacanze natalizie e settimane bianche) in inverno e
per due o tre settimane in estate, in occasione delle ferie. Nei rimanenti mesi, a
parte qualche rara eccezione, risulta praticamente nulla; in secondo luogo, è
sempre più manifesta la tendenza di buona parte degli ospiti a non usufruire
delle strutture ricettive, preferendo alloggiare in appartamenti affittati,
approfittando di approvvigionamenti portati da casa e senza di fatto contribuire
in maniera incisiva alla redditività delle attività locali; infine, vanno messi in
risalto i risultati negativi delle politiche territoriali fin’ora adottate in campo
edilizio, sfociate in quella che a mio avviso è una non controllata speculazione,
che purtroppo si concretizzano riprendendo dal secondo punto, in un ingente
ritorno economico riservato ai singoli progettisti e costruttori a discapito del
bene comune.
Sembra opportuno, se quanto detto non bastasse, ricordare allo stesso modo
come non sia di nuovo conio l’idea che inserisce l’industria dello sci alpino tra le
maggiori insidie per l’ambiente montano, in quanto inquadrabile nella più
ampia pratica di sfruttamento turistico del territorio. Senza contare gli enormi
costi da questa prevista per la gestione degli impianti e delle attrezzature
necessarie, nonché delle spese per l’innevamento artificiale che a causa del
previsto innalzamento delle temperature, contribuiranno in futuro a renderla
ancora meno sostenibile di quanto già non sia. Sono tuttora davvero poche le
attività di questo tipo in grado di presentare bilanci in attivo, favorisci ed
agevolazioni a parte.
78
A questo punto, appare innegabile la necessità di delineare altre vie percorribili,
affinché il turismo possa diventare una effettiva risorsa economica sostenibile,
polifunzionale, di tutti. Propongo a tal fine una delle definizioni di turismo
sostenibile, dalla quale sarà facile estrapolare soluzioni alternative:
“Il turismo sostenibile soddisfa i bisogni dei turisti e delle regioni ospitanti e allo stesso tempo protegge e migliora le opportunità per il futuro. Si tratta di una forma di sviluppo che dovrebbe portare alla gestione integrata delle risorse in modo che tutte le necessità, economiche, sociali ed estetiche possano essere soddisfatte mantenendo al tempo stesso l’integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica e le condizioni essenziali per la vita70”.
Alla luce di queste prospettive e tenuto conto delle reali potenzialità del
territorio montano di Comelico Superiore, si evincono due macro fonti
d’attrattività sostenibili: le risorse naturali e l’identità culturale.
In relazione alla prima fonte, va detto che le risorse naturali, intese nella loro
accezione più ampia, costituiscono il fattore di maggiore attrazione di un
ambiente montano. Come ricorda Keller:
“le risorse naturali costituiscono il fattore produttivo primario del turismo montano e la loro conservazione è condizione per lo sviluppo e, al limite, per la sopravvivenza stessa dell’attrattività turistica71”.
La bellezza ambientale, naturale e paesaggistica del Comelico non ha bisogno di
presentazioni. Gli spazi sconfinati, i panorami unici, la flora e la fauna facilmente
avvicinabili, le possibilità di relax e tranquillità, sono solo alcuni dei fiori
all’occhiello di questi luoghi. Le attuali politiche sembrano però dare poco peso
alle molteplici opportunità che tali fattori creano.
Escursioni, trekking in alta montagna e su sentieri naturalistici immersi nel
verde o nei boschi, arrampicata su roccia e pesca sportiva, ma ancora, nordic
walking, mountain biking, sci nordico e da alpinismo o gite a cavallo, sarebbero
alcune delle attività praticabili grazie esclusivamente alla presenza delle risorse
naturali. Allo stesso modo non intaccherebbero in maniera rilevante l’ambiente
70
http://www.turismo.provincia.tn.it 71
A. Macchiavelli, Il turismo montano tra continuità e cambiamento, cit., p. 14
79
o la sua conservazione e come se non bastasse garantirebbero la valorizzazione
di figure professionali e professioni attualmente marginali.
E’ bene ricordare che la conservazione è presupposto di sviluppo e continuità.
In tal senso, bisognerebbe prestare maggiore attenzione non solo alla cura degli
spazi naturali ma intervenire anche nei centri abitati, laddove infrastrutture,
armonia architettonica ed elementi di decoro, tendono fortemente a
scarseggiare o malauguratamente a rappresentare quella che Annibale Salsa
definisce
“la convivenza forzata del moderno con il tradizionale, di Heidi e le caprette con le discoteche e i pub, di casette in rigoroso stile chalet con condomini da banlieu parigina72”.
In merito alla seconda fonte d’attrattività individuata, è risaputo che le località
montane sono tra quelle che maggiormente comunicano un’identità culturale.
In quanto tale, il Comelico è portatore di numerose peculiarità culturali che si
esprimono nella diversità ambientale e sociale, negli stili di vita e negli usi e
costumi, come d’altro canto nel folklore, nelle tradizioni culinarie e popolari e
nelle professioni artigianali d’un tempo. Le recenti analisi sulle tendenze
preferenziali del turista, hanno evidenziato come l’interesse e la ricerca di
espressioni di vita che altrove sono andate perdute, siano tra le prime ragioni
della scelta montana.
Incentivare, valorizzare e promuovere tutte quelle attività che in qualche modo
contribuiscono a mantenere vive suddette peculiarità culturali, sembra, in via
definitiva, il miglior investimento per il raggiungimento di un risultato
riscontrabile, sostenibile e durevole nel tempo.
Per meglio racchiudere i concetti fin qui espressi in un unico pensiero e dando
loro un’interpretazione soggettiva, mi permetto di sostenere che il turismo, in
quanto risorsa, serve laddove non sia finalizzato a sé stesso. A maggior ragione,
esso dovrebbe essere organizzato in modo da portare un introito economico
generalizzato e non solo a quegli imprenditori che ci investono. In questo modo
72 A. Salsa, Il ritorno dei giovani alla montagna è possibile?, in Le Alpi che cambiano tra rischi e opportunità, cit., p. 112
80
si garantirebbe alla popolazione la possibilità di utilizzare razionalmente le
proprie risorse per vivere in montagna.
3.6 Verso un buon governo del territorio
In un territorio sempre più minato dai processi di spopolamento e di
invecchiamento sociale, come d’altro canto dalle difficoltà occupazionali e dalla
più generale crescente mancanza di fiducia nel progresso, è d’obbligo mirare ad
individuare i fattori promotori di una non facile inversione di tendenza, al fine
di arginare l’attuale inclinazione dei cittadini all’indifferenza e alla
rassegnazione.
Ecco allora che, dopo aver argomentato circa le possibili soluzioni sostenibili e
attuabili a Comelico Superiore al fine di valorizzare le numerose opportunità di
sviluppo economico, istituzionale e ambientale, vorrei ora porre l’attenzione
sugli aspetti riguardanti l’identità culturale, la partecipazione e la coesione
sociale, le politiche di buon governo.
a) Una nuova cultura montana
La popolazione di Comelico Superiore, analogamente alla maggior parte dei
popoli montani, è portatrice di una forte identità culturale che fonda le proprie
radici principalmente sui valori di attaccamento al territorio e a quello che si
potrebbe definire un legame simbiotico con esso. Tali principi sono perdurati
nel tempo fino ai giorni nostri garantendo, come nel già esaminato caso delle
Regole, l’adozione di politiche utili al mantenimento e alla cura dell’ambiente
naturale, insediativo e sociale. Se da un lato però, i cittadini hanno vissuto
storicamente in una culla valliva piuttosto chiusa e facilmente gestibile con
precisi interventi legati principalmente al settore agro-silvo-pastorale, è
altrettanto vero che la tarda apertura verso le altre realtà, il progresso
tecnologico e sociale e più in generale verso una diversificata gamma di
81
dinamiche economiche e territoriali prima sconosciute, ha messo in luce i limiti
culturali venutisi a creare, i quali si riflettono tutt’oggi.
La diffidenza verso lo sconosciuto e l’avversione al non tradizionale e quindi al
nuovo, sono solo alcuni degli esempi. Espressioni quali testardaggine, invidia,
cura dei propri interessi e scarsa apertura mentale, delineano adeguatamente il
profilo generale di una popolazione sempre più vecchia e rassegnata, non
incline al mutamento, abbandonata a se stessa.
L’abbandono degli stereotipi legati a questa montagna chiusa e perdente,
incarnati in una mentalità superata, deve essere il presupposto per
intraprendere il cammino che porta, attraverso un progressivo superamento,
alla condivisione di una nuova cultura montana. Emblematiche in questo caso le
parole di Enrico Camanni, giornalista e storico dell’alpinismo:
“chi si illude di salvare e rilanciare la montagna con una pur nobile difesa della sua memoria, della sua autonomia, delle sue tradizioni, ignora che il nostro mondo vive ormai di un’unica cultura, quella urbana, e che ogni alternativa può nascere solo all’interno di essa e non a chimerica difesa di un passato autarchico che non esiste più73”.
In altre parole,
“la nuova identità alpina non può porsi come un locale impermeabile al globale ma può rivendicare forza e dignità solo se impara a misurarsi con il mondo di fuori74”.
E’ auspicabile dunque, in Comelico come in molte altre terre alte, il superamento
della concezione di montagna perdente o vinta, per abbracciare l’idea di una
montagna aperta ai mutamenti, al passo con i tempi, consapevole dei propri
limiti ma a maggior ragione delle proprie potenzialità, dal momento che sempre
73 E. CAMANNI, Le Alpi tra nuove e vecchie identità, in Le Alpi che cambiano, a cura di M. Pascolini, cit., p. 199 74 Ivi
82
più, in ambito globale, si va definendo la prospettiva che inquadra il contesto
alpino in un ruolo di laboratorio innovativo d’Europa.
Sono allora facilmente individuabili, date le premesse, quelli che saranno i
principali autori del cambiamento, nonché i montanari di domani. In primo
luogo i giovani, modellati ed accresciuti dalle multiple esperienze formative
urbane e dai contatti con le realtà moderne ma consapevolmente intenzionati a
far maturare questa ricchezza nel paese d’origine.
Secondariamente, quelli che Zanzi definisce i neo-rurali75, ovvero coloro che
scelgono di trasferirsi in un’area montana ricercando una migliore qualità della
vita, sfuggendo alla vita stressante e usurante di città. In entrambi i casi, ci
troviamo di fronte a quelli che possono essere considerati i nuovi abitanti, in
quanto futuri artefici ed interpreti dell’altrettanto nuova identità culturale
montana.
A tal proposito, lo stile di vita e le attività del nuovo montanaro dovranno
governare i processi di modernizzazione, senza però trascurare i saperi
tradizionali. Infatti, come puntualmente ricorda Giuseppe Dematteis, professore
di geografia economica del Politecnico di Torino:
“siamo di fronte ad un processo di modernizzazione della cultura delle Alpi basato su una sapiente rielaborazione della cultura tradizionale e su una sua integrazione con le istanze più innovative della cultura moderna. (...) In quest’ottica, vanno letti infatti i progetti di rinascita alpina (...)76”.
Ecco allora il delinearsi degli stessi attori della rinascita: ad essi spetta il
compito di portare una ventata d’aria fresca in quella che è la stagnante
situazione di insofferenza e vittimismo persistente in queste valli, al fine di
costruire un futuro equo, che permetta di mirare alla conservazione della
cultura montana, attraverso la sua necessaria rinascita.
75 L. ZANZI, L’Europa e lo spopolamento delle Alpi: una scelta eco-politica, in Spopolamento montano: cause ed effetti, a cura di M. Varotto e R. Psenner, cit. 76 G. DEMATTEIS, Montanari per scelta, cit., p. 20
83
b) Coesione sociale e nuovi percorsi partecipativi
Una volta identificati i protagonisti del futuro, occorre stabilire quali siano le
migliori strategie per costruire un’adeguata rete sociale (dal momento che
quella attuale appare quanto mai disgregata), nella quale essi possano operare
al meglio in un contesto di reciprocità, fiducia e collaborazione. La loro capacità
d’azione sarà per natura strettamente legata ai principi che caratterizzano una
necessaria ed auspicabile ricerca di maggiore coesione sociale, la quale può
essere definita come la
“capacità di una società di assicurare il benessere di tutti i membri che la compongono77”,
e come primo passo verso
“un sistema sociale di welfare altamente sviluppato che coinvolga tutti gli attori locali, prerequisito contro conflitti sociali, esclusione e povertà rurale78”.
E’ necessario dunque il coinvolgimento di tutti i gruppi di interesse che
compongono la comunità locale, soprattutto di coloro i quali tendono ad essere
attualmente esclusi dai processi decisionali, con particolare attenzione alle
nuove generazioni ma anche a coloro che ho definito i nuovi abitanti. L’attuale
situazione a Comelico Superiore, da questo punto di vista, testimonia un
sostanziale disinteressamento da parte della popolazione nei confronti delle
scelte politiche ed amministrative, causato e amplificato, a mio avviso, dalla
forte inclinazione dei rappresentanti quali sindaco e assessori alla preventiva
scarsa apertura nei rapporti con la comunità.
Assume allora fondamentale rilevanza, a livello istituzionale e politico, il saper
ascoltare le esigenze e le opinioni dei cittadini, riconoscendo ad essi il ruolo di
stakeholders e la possibilità di prendere parte attivamente alla vita del Comune.
77 A.G. DAL BORGO, Il futuro delle Alpi sui sentieri della sostenibilità, cit., p. 42 78 Ivi
84
Il sentiero che conduce ad un futuro buon governo del territorio, potrebbe
passare dunque attraverso i nuovi processi di democrazia deliberativa o
democrazia inclusiva, al fine di promuovere il coinvolgimento diretto dei
cittadini nella cosa pubblica79.
Grazie alle tecniche ed alle metodologie quali forum, focus group, interviste e
sistemi di comunicazione, si può quindi incrementare la coesione sociale e
passare dalla prima fase di coinvolgimento alla successiva fase di dialogo ed
infine di deliberazione, portando in questo modo a compimento un parziale
trasferimento di potere decisionale dalle istituzioni alla comunità.
L’auspicio, condiviso fortemente dalla fascia più giovane del Paese, è che una
volta attuati, questi percorsi partecipativi conducano al raggiungimento di
risultati positivi ed efficaci, stimolando la discussione e la condivisione di idee,
facendo magari emergere alcune potenzialità progettuali mai considerate o
agevolando il superamento di conflitti ideologici generati principalmente da
tendenze al qualunquismo e alla critica preconcetta.
79 M. PASCOLINI, Governo del territorio e partecipazione nelle Alpi, in Le Alpi che cambiano tra rischi e opportunità, cit., p. 186
85
CONCLUSIONI
L’intento di questo elaborato è stato quello di approfondire i diversi sentieri
possibili che conducono alla medesima vetta, ossia il raggiungimento di una
politica territoriale sostenibile per il comune di mia appartenenza, ossia
Comelico Superiore.
Partendo da un’accurata analisi dei macrofattori che caratterizzano l’intero
complesso alpino, e delineando quelle che sono le macrotendenze in ambito
geografico e morfologico si è cercato di portare il lettore ad una maggiore
conoscenza e consapevolezza delle diverse dinamiche che caratterizzano e
descrivono questo territorio. Risulta infatti indispensabile avere un bagaglio
culturale ed informativo che permetta di intraprendere il sentiero della
sostenibilità, che calato in diverse forme ne costituisce il fil rouge.
Come il filo d’Arianna conduce all’uscita del labirinto, così la sostenibilità, intesa
come consapevolezza e partecipazione attiva, conduce l’essere umano a quella
che ritengo possa essere la strada per il futuro.
Proprio per l’importanza ed il rilievo assunti da tale tematica, si è ritenuto
opportuno approfondire nel dettaglio l’evoluzione storica di tale concetto. Solo
la comprensione dei micro fattori e delle micro realtà che hanno portato in auge,
agli albori del 1970 tale questione, si posso comprendere i risultati ottenuti in
86
questi ultimi anni, nonché quali siano ancora i punti su cui riflettere e
soffermarsi. Dopo aver compreso le motivazioni storico economiche che hanno
forzato la presa di consapevolezza circa il ruolo dell’ambiente nella vita
dell’essere umano, è stato possibile calare quanto emerso a livello teorico nelle
diverse dichiarazioni trattate, nella realtà concreta dei fatti. Sono stati infatti
analizzati alcuni progetti sostenibili promossi da diverse Regioni montane, nello
specifico dal Friuli Venezia Giulia, dal Trentino Alto Adige e dal Veneto.
Tale passaggio è risultato fondamentale per due motivazioni: da un lato ha
permesso di comprendere meglio quali sono gli aspetti più rilevanti quando si
progettano la sostenibilità territoriale, e dall’altro ha messo in evidenza il ruolo
che diversi organi istituzionali hanno nel corretto adempimento delle politiche
ambientali.
Districando la complessa matassa che permea il mondo delle politiche
sostenibili, e scalando la parete di disinformazione che racchiude le complessità
dela tematica, è stato possibile arrivare ad alta quota e scendere verso il
sentiero che conduce all’analisi di uno specifico territorio, ossia quello del mio
comune d’appartenenza.
Ed ecco che quindi gli interrogativi che hanno mi hanno portato ad iniziare
questo lavoro, e che ora tornano a farsi più pressanti, e trovano in questa sede
possibilità di risposta. Non sarà l’arroganza di voler conoscere la via, né
tantomeno la presunzione di sapere cosa sia il giusto e cosa non sia, a guidare la
ricerca di risposte, bensì la volontà e la ferrea convinzione che il luogo in cui
viviamo meriti ben più dell’indifferenza dello scorrere del tempo.
Tralasciando la filosofia e la passione che mi hanno finora guidato nella stesura,
posso affermare che il territorio del comune di Comelico Superiore ben si presta
all’applicazione del modello dello sviluppo sostenibile, in quanto ricco di risorse
naturali ed ambientali.
Va da sé che tale applicazione possa essere declinata in più variabili dalle
diverse sfumature, andando a toccare plurimi ambiti applicativi quali:
a) Le risorse forestali,
b) Le risorse idriche,
87
c) Le risorse inerenti al fotovoltaico e al biogas,
d) Il turismo sostenibile.
È fondamentale sottolineare come l’attuazione e la valorizzazione di tali fattori
permetterebbe anche di accrescere e migliorare il ruolo delle istituzioni locali,
non per quanto riguarda il Comune, ma anche per le Regole di comunione
familiare. Da quanto detto nel terzo capitolo di questo elaborato infatti, il ruolo
ed il potere delle Regole è fondamentale nella gestione del territorio e
nell’amministrazione dei fondi che ne consentono un corretto sviluppo.
Ma la stesura e la creazione di un piano d’intervento sostenibile non sono
l’ostacolo più grande per la realizzazione di uno sviluppo montano coerente con
quanto detto. Motivazioni storiche, economiche e socio-culturali portano gli
abitanti di Comelico Superiore ad essere poco propensi al cambiamento e
all’innovazione. La modernizzazione è infatti lenta, dal momento che impone di
lasciare il tradizionale, per esplorare diverse soluzioni possibili di cui non si può
sapere aprioristicamente il risultato. È quindi l’incertezza e la poca materialità
di quello che potrebbe essere, la causa del mancato approccio al mondo della
sostenibilità.
Ed è proprio qui che entrano in gioco le nuove forme di e-democracy e
partecipazione attiva pubblica, che consentirebbero di trasferire parte del
potere decisionale dalle istituzioni ai cittadini, consentendo anche il fluire delle
informazioni e delle conoscenze necessarie.
Saper ascoltare le esigenze e le opinioni dei cittadini, riconoscendo ad essi il
ruolo di stakeholder e la possibilità di prendere parte attivamente alla vita della
comunità, assume una posizione di rilievo.
Il sentiero che conduce ad un futuro buon governo del territorio, puù passare
dunque attraverso i nuovi processi di democrazia deliberativa o democrazia
inclusiva, al fine di promuovere il coinvolgimento diretto dei cittadini nella cosa
pubblica.
L’auspicio, condiviso fortemente dalla fascia più giovane del paese, è che una
volta attuati, questi percorsi partecipativi conducano al raggiungimento di
risultati positivi ed efficaci. Come dice Lewansky:
88
“La deliberazione è un processo che mira a generare un consenso informato, attraverso il metodo dialogico, che dovrebbe portare a decisioni finali caratterizzate da un consenso razionale e maturo80 ”.
Concludo proponendo a voi lettori quest’ultimo interrogativo: riuscirà mai
l’uomo a diventare anch’esso sostenibile, considerando il territorio in cui vive
come compagno di vita con il quale crescere ed invecchiare?
80
Lewansky in Le Alpi che cambiano tra rischio ed opportunità, 188, 2011
89
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Volumi Cerise A.(2010), Montagna e Sviluppo Sostenibile, Environnement Ambiente e Territorio in Valle d’Aosta A. G. Dal Borgo (2009) Il futuro delle Alpi sui sentieri della sostenibilità, Aracne editrice, Roma G. Dematteis (2011) Montanari per scelta, Franco Angeli, Milano G. Scaramellini e A. G. Dal Borgo (2011) Le Alpi che cambiano tra rischi ed opportunità, Innsbruck University Press, Innsbruck M. Iannatuoni e E. Mariotti (2011) Il nuovo diritto Ambientale, Maggioli, Repubblica di San Marino M. Pascolini (cur.) (2008) Le Alpi che cambiano, Forum, Udine M. Varotto e R. Psenner (2003) Spopolamento montano: cause ed effetti, Rete montagna, Universität Innsbruck, Fondazione G. Angelini, Belluno - Innsbruck P. Greco e A. P. Salimbeni(2003), in Lo Sviluppo insostenibile, dal vertice di Rio a quello di Johannesburg, Paravia Bruno Mondadori, Milano Saggi e Dichiarazioni Pare utile precisare che le seguenti dichiarazioni sono state da me lette esclusivamente nelle parti riguardanti l’ambiente e la sostenibilità. Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, Stoccolma 1972 Conferenza ONU sull'Ambiente Umano, Stoccolma 1972 Strategia Mondiale per la Conservazione, IUCN 1980 Commissione Mondiale su Sviluppo e Ambiente, 1983 Rapporto Brundtland, 1987 Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo, Rio de Janeiro 1992 Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, 1992
90
Piano Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, Italia 1993 1° Conferenza Europea sulle Città Sostenibili, Aalborg 1994 2° Conferenza Europea sulle Città Sostenibili, Lisbona 1996 3° Conferenza Europea sulle Città Sostenibili, Hannover 2000 VI Piano d'Azione Ambientale 2002/2010, Unione Europea 2001 Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, Johannesburg 2002
SITOGRAFIA
Blog di Claudio Bossi http://www.claudiobossi.it/ilmioportale/basso/1.htm (agosto 2012) Blog contenente nozioni riguardanti le dinamiche di spopolamento montano. CIPRA http://www.cipra.org/it (agosto 2012) Portale utile in quanto ricco di informazioni relative agli obiettivi e all’operato della Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi. Comelicocultura http://www.comelicocultura.it (agosto, settembre, ottobre 2012) In questo portale sono contenute le descrizioni in ambito ambientale, culturale e storico relativamente al territorio del Comelico. Comelicopedia http://www.comelicopedia.net (settembre, ottobre 2012) Strumento per raccogliere e restituire in un formato accessibile a tutti le conoscenze disponibili attorno al tema dello sviluppo sostenibile del Comelico e dei territori montani in generale
91
Corriere delle Alpi http://corrierealpi.gelocal.it/cronaca/2007/05/12/news/oro-dall-acqua-un-affare-da-cento-megawatt-1.864902 (ottobre 2012) Link relativo ad un articolo giornalistico apparso sul Corriere delle Alpi, quotidiano regionale del nord-est, nel quale si accenna al problema della gestione delle risorse idriche. Digilander http://digilander.libero.it/costalta/econom.html (settembre, ottobre 2012) Elementi d’economia, occupazione, cultura comelicense, dal punto di vista di un abitante locale. Dolomiti Unesco http://www.dolomitiunesco.it (ottobre 2012) Questo sito è stato utile per reperire informazioni sulle Dolomiti, nominate nel 2009 patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Dolomiti Tour http://www.dolomititour.com/dolomiti-bellunesi/regole-comunione-familiare-comelico.htm (settembre 2012) Consultando questo portale è possibile trovare qualche informazione inerente alle Regole di comunione familiare. Enciclopedia Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/comelico (agosto 2012) Alcune nozioni relative al contesto geografico della zone del Comelico. Rime e ritmi di Giosuè Carducci www.letteraturaitaliana.nt/pdf/volume_9/t215.pdf (settembre 2012)
92
E-book dell’opera di Giosuè Carducci. A pagina 26 ho potuto trovare la poesia “Cadore”, che ho cercato poiché in essa vi si può trovare una citazione del Comelico. Sapere.it http://www.sapere.it/enciclopedia/Alpi.html (agosto 2012) In questo portale è stato possibile reperire numerose informazioni riguardo al contesto alpino dal punto di vista morfologico, climatico e storico. Tekneco http://www.tekneco.it/energia/gli-impianti-biogas-sono-economici-e-sostenibili (ottobre 2012) E’ stato utile consultare questo sito per estrapolare i dati relativi ai risultati conseguiti nella ricerca condotta dal TIS Innovation Park, per valutare i benefici ambientali, economici ed energetici degli impianti a biogas in Provincia di Bolzano.
93
RINGRAZIAMENTI
Desidero innanzitutto ringraziare tutta la mia famiglia ed in particolare i miei
genitori che mi hanno dato la possibilità di raggiungere questo importante
traguardo sostenendomi alla grande in tutto ciò che ho fatto nel corso di questi
anni di studio, appoggiando ogni mia scelta senza mai dubitare delle mie
capacità.
Ringrazio mio fratello Federico per essere semplicemente il fratello che è.
Mariachiara per essere la mia musa, dolce compagna di viaggio e di sogni. Un
ringraziamento speciale a tutti i miei amici ed amiche, perché senza di loro non
so davvero che farei: in particolare a Fonte e Claudio in quanto membri del
Trio Sfiga, a Fox per avermi fatto capire che nella vita puoi sempre vederla
diversamente, a Bibu perché “cucumafuda” e a Max per il vinello in stanza. Al
Gian per i discorsi cultural - gay e per le compilation, a Dani perché se c’è anche
lui non sono mai in ritardo. Grazie a Dario, Sanjin, Gio e Miky aka quelli di
Baiamonti per avermi sopportato negli anni goriziani.
Grazie a tutti coloro che ho conosciuto e a quelli che ho qui dimenticato di citare,
che hanno contribuito a farmi crescere come persona e a farmi diventare ciò che
sono, talvolta aiutandomi a ritrovare la convinzione e la determinazione per
portare a termine il mio impegno universitario.
Infine, un ringraziamento particolare a Eleonora per il fondamentale aiuto nel
realizzare questo mio lavoro e a Paola per il pongo d’annata.
Bella lì, quest complete.