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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA Facoltà di Psicologia Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche MOVIMENTI OCULARI NELLA LETTURA Relatore: Prof. ssa Emanuela Bricolo Tesi di Laurea di: Francesca FERIOLI Matricola N° 710493 Anno accademico 2010-2011

Tesi Triennale - Ferioli Francesca

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Movimenti Oculari nella lettura

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA

Facoltà di Psicologia

Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche

MOVIMENTI OCULARI NELLA

LETTURA

Relatore: Prof. ssa Emanuela Bricolo

Tesi di Laurea di:

Francesca FERIOLI

Matricola N° 710493

Anno accademico 2010-2011

Page 2: Tesi Triennale - Ferioli Francesca

 

INDICE:

INTRODUZIONE p. 3

PRIMO CAPITOLO

MOVIMENTI OCULARI NELLA LETTURA p. 4

1.1 Fisiologia dei movimenti oculari p. 4

1.2 Metodologia della ricerca p. 7

SECONDO CAPITOLO

PARADIGMI DEI MOVIMENTI OCULARI p. 9

2.1 Finestra mobile p. 9

2.2 Paradigma di confine p. 14

2.3 Maschera mobile p. 16

TERZO CAPITOLO

SVILUPPI DEI PARADIGMI p. 18

CONCLUSIONI p. 24

BIBLIOGRAFIA p. 26

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INTRODUZIONE

La lettura è un’attività ormai diventata fondamentale nella società contemporanea e

nonostante sia considerata quasi automatica e priva di sforzi dalla maggior parte degli

adulti, in realtà è un’abilità che nasconde numerosi processi ed elaborazioni sia

fisiologiche che cognitive, che da anni vengono esaminate dagli studiosi.

Partendo dalle prime scoperte sull’anatomia dell’occhio umano e passando dagli studi

pionieristici del diciannovesimo secolo, le ricerche e l’interesse per i movimenti oculari

nella lettura hanno cominciato ad evolversi e a perfezionarsi. Lo sviluppo maggiore si è

avuto nella metà degli anni settanta, grazie al progresso tecnologico e all’uso incrociato dei

computer con i sistemi oculometrici, che, attraverso la crescita dei sistemi di elaborazione

elettronica di dati, permettevano l’analisi di enormi quantità di informazioni. Questo ha

reso possibile la creazione di svariati modelli, esperimenti e teorie che continuano ancora

oggi ad essere espansi e sviluppati.

Uno dei più importanti e illustri studiosi che si è occupato di questo argomento è Keith

Rayner, sui cui numerosi e importanti paradigmi ci soffermeremo durante questa

trattazione, che fin dall’inizio della sua carriera (primi anni settanta) si è interessato ai

processi percettivi e cognitivi della lettura.

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CAPITOLO 1

MOVIMENTI OCULARI NELLA LETTURA

1.1 Fisiologia dei movimenti oculari

Durante la lettura abbiamo l’impressione che i nostri occhi si muovano uniformemente

lungo la pagina, ma in realtà essi procedono con una serie di rapidissimi salti da una

posizione all’altra chiamati saccadi. Queste sono dei rapidi movimenti degli occhi utilizzati

per spostare la zona d’interesse e farla coincidere con la fovea, la regione centrale della

retina in cui l’acuità visiva è massima. I movimenti oculari hanno in genere una durata di

10-20 millisecondi e un’estensione di circa otto lettere o spazi. Circa il 10 % di questi

movimenti sono regressioni, per il fatto che comportano lo spostamento all’indietro degli

occhi lungo il testo. Tra una saccade e l’altra il nostro occhio è relativamente fermo per

intervalli di circa 200-250 millisecondi, chiamati fissazioni, durante i quali si ritiene venga

estrapolata e registrata l’informazione testuale (Eysenck & Keane, 2006).

La quantità d’informazione che un lettore è in grado di elaborare ad ogni fissazione,

chiamata span percettivo, viene influenzata dalla difficoltà del testo e dalla dimensione dei

caratteri stampati. In genere esso ha un’estensione di 3 o 4 lettere a sinistra della fissazione

e di 15 lettere a destra (Eysenck & Keane, 2006). Questa asimmetria si verifica

probabilmente perché la maggior parte del testo informativo si trova a destra rispetto al

punto di fissazione. La forma dell’asimmetria è chiaramente appresa, basti pensare al fatto

che chi legge l’ebraico, che viene letto da destra verso sinistra, presenta l’asimmetria

opposta (Pollatsek, Bolozky, Well e Rayner, 1981).

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I movimenti degli occhi sono necessari a causa dell’anatomia della retina e delle

limitazioni date dall’acuità all’esterno della fovea. Nella lettura, la linea del testo che il

lettore sta guardando può essere divisa in tre regioni: la regione foveale (2 gradi di angolo

visivi attorno al centro della fissazione), la regione parafoveale (5 gradi attorno alla fovea)

e la regione periferica (tutto ciò che sta al di là della zona parafoveale). Benché l’acuità

visiva sia molto buona nella fovea, non lo è altrettanto nella zona parafoveale ed è scarsa

nella periferia. Le persone muovono i loro occhi per far sì che la fovea si posizioni sulla

parte dello stimolo che vogliono vedere chiaramente, visto che tipicamente la maggior

parte delle informazioni vengono processate attorno al punto di fissazione.

E’ stato dimostrato che la durata della fissazione e la lunghezza delle saccadi nella lettura

non sono correlate con le stesse misure nella percezione e nella ricerca visiva, nonostante i

circuiti neurali che controllano il movimento oculare siano gli stessi (Rayner, Li, Williams,

Cave & Well, 2007). Presumibilmente esistono delle differenze all’interno dei meccanismi

cognitivi coinvolti nei diversi compiti e il modo in cui questi interagiscono con il sistema

oculomotore. Nella tabella 1 (Rayner, 2009) vengono presentate le medie dei range della

durata della fissazione e le medie della lunghezza della saccade tipicamente associati con

la lettura silenziosa, la lettura ad alta voce, la percezione e la ricerca visiva.

Tabella 1.

SL

FD (ms) Gradi Lettere

Lettura silenziosa 225-250 2 7-9

Lettura ad alta voce 275-325 1.5 6-7

Percezione 260-330 4-5

Ricerca visiva 180-275 3

Note: FD durata media della fissazione; SL lunghezza della saccade.

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I dati mostrano che la durata della fissazione nella lettura silenziosa ha un intervallo di

225–250 ms e la lunghezza della saccade va da 7 a 9 lettere per spazio per tutti i sistemi di

scrittura alfabetici. Nella lettura ad alta voce quest’ultima risulta maggiore perché il lettore

deve riprodurre oralmente ogni parola letta; è maggiore nella percezione rispetto alla

lettura perché gli occhi (che si muovono più velocemente di quanto il lettore possa fare

producendo le parole) rimangono spesso su uno spazio più a lungo di quanto servirebbe, in

modo da non trovarsi troppo lontano dalla voce. Infine, l’intervallo della durata della

fissazione della ricerca visiva è più esteso di tutti gli altri.

I movimenti oculari nella lettura possono anche venire influenzati da variabili di tipo

testuale. Quando il testo che si sta leggendo diventa concettualmente più complesso, causa

un aumento della durata della fissazione, una diminuzione della lunghezza della saccade e

un aumento della frequenza delle regressioni (Jacobson & Dod-well, 1979; Rayner &

Pollatsek, 1989). Nonostante ciò, sappiamo che lo sguardo non si posa su tutte le parole.

Questo dipende sia dalla loro funzione, sia dalla loro lunghezza. Per esempio, le parole

dotate di contenuto (nomi comuni, verbi, ecc.) sono fissate per l’85% del tempo, mentre

quelle funzionali (preposizioni e congiunzioni) lo sono solo per il 35%. Queste ultime,

sono anche influenzate dal fatto di essere le più corte, quindi quelle con molte più

possibilità di essere saltate: le parole di 2 o 3 lettere vengono fissate solo per circa il 25%

del tempo, mentre quelle da 8 o più caratteri sono sempre fissate, in certi casi anche più di

una volta (Rayner & McConkie, 1976).

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1.2 Metodologia della ricerca

Per lo studio della lettura sono disponibili svariati metodi, ma quello probabilmente più

utilizzato consiste nella registrazione dei movimenti oculari mediante il paradigma dello

sguardo-contingenza (gaze-contingency paradigm). Questo consiste nell’utilizzo di un

computer interfacciato con un sistema di tracciamento del movimento dell’occhio e con un

display dello stimolo visivo. In questo tipo di paradigmi, il display stimolo viene

continuamente aggiornato in base alla posizione dello sguardo degli osservatori. Questa

tecnica porta a risultati affidabili e ha dato ai ricercatori la possibilità di osservare molto

più nel dettaglio le caratteristiche temporali dell’input visivo, la durata della percezione e

le differenze tra processamento centrale e periferico nella lettura. Il fatto che questo

metodo non sia invasivo e che anche fornisca una dettagliata registrazione in tempo reale

dei processi collegati all’attenzione, risultano due importanti vantaggi. Resta difficile

stabilire con precisione quale tipo di elaborazione abbia luogo durante ogni singola

fissazione e l’unica difficoltà per i soggetti che si sottopongono alla registrazione è

l’obbligo di mantenere la testa ferma.

La tecnica dello sguardo-contingenza è la base di diversi paradigmi sperimentali, ciascuno

dei quali permette di indagare specifici processi cognitivi. Tra questi possiamo citare il

paradigma della finestra mobile (McConkie & Rayner, 1975), il paradigma della maschera

mobile (Rayner & Bertera, 1979) e il paradigma di confine (Rayner, 1975; Balota,

Pollatsek & Rayner, 1985; Miellet & Sparrow, 2004), che vedremo nel dettaglio

successivamente.

E’ possibile misurare i movimenti oculari in tempo reale, anche senza utilizzare il

paradigma sguardo-contingenza. Attuando una registrazione della lettura ad alta voce, si

possono analizzare il tipo di errori commessi nel corso della lettura e i modi in cui i

soggetti reagiscono a imprecisioni inserite volutamente nel testo. Da questo tipo di

misurazione però, derivano tre tipi di problemi. Innanzi tutto sembra poco naturale a quasi

tutti i soggetti adulti; in secondo luogo, come abbiamo visto precedentemente nella tabella

1, vi sono notevoli differenze tra la lettura ad alta voce e quella silenziosa; infine, gli errori

commessi non sempre rispecchiano autentici errori di lettura, ma possono essere di tipo

mnemonico, in quanto l’occhio durante la lettura supera la voce di circa due parole.

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Nel 1989, Rayner e Pollatsek presentano un ulteriore metodo, composto da una varietà

considerevole di tecniche, definite tecniche di identificazione, perché valutano il tempo

necessario a identificare le singole parole. Tra queste possiamo trovare il compito di

decisione lessicale (che consiste nel decidere se una serie di lettere formi o meno una

parola) e il compito di denominazione (dire una parola il più velocemente possibile). La

possibilità di garantire che un certo tipo di elaborazione sia stato eseguito su una

determinata parola in un determinato lasso di tempo, è uno dei vantaggi principali di queste

tecniche. Il fatto però che i normali processi di lettura vengano disturbati dal compito

aggiuntivo e che non sia perfettamente chiaro quali siano i processi alla base della

decisione lessicale o dei tempi di denominazione, risultano importanti limiti all’utilizzo di

questo metodo.

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CAPITOLO 2

PARADIGMI DEI MOVIMENTI OCULARI

Nel seguente capitolo verranno trattati tre dei più importanti paradigmi utilizzati per

analizzare la quantità d’informazioni che è possibile ricavare durante la lettura, attraverso

l’uso della tecnica sguardo-contingenza.

2.1 Finestra mobile (moving-window)

I lettori spesso hanno l’impressione di poter vedere chiaramente l’intera riga del testo o

addirittura l’intera pagina; questa però è solo un’illusione, dimostrata dal paradigma della

finestra mobile (McConkie & Rayner, 1975; Rayner & Bertera, 1979), uno dei primi

utilizzati per studiare lo span della visione effettiva durante la lettura. La maggior parte del

testo viene “mutilata”, eccetto che per un’area, o finestra, definita dallo sperimentatore, che

circonda il punto di fissazione del lettore. Ad ogni movimento degli occhi, parti differenti

del testo vengono eliminate, facendo sì che ci sia una lettura normale solo nell’ambito della

regione della finestra.

E’ possibile che una comprensione generale dell’essenza della scena possa essere estratta

da una singola fissazione, ma che l’identificazione dell’oggetto sia limitata dall’abilità di

estrarre dettagli nell’area parafoveale e nella periferia.

Negli esperimenti che usano il paradigma della finestra mobile diviene possibile

confrontare gli effetti di finestre di dimensioni diverse sulla prestazione della lettura. La

logica sottostante è quella di variare la quantità di informazioni a disposizione e poi

determinare quanto deve essere grande la finestra di testo, prima che i lettori leggano

normalmente. Viceversa, bisogna anche determinare quanto piccola debba essere la

finestra prima che ci sia un’interruzione della lettura. Negli esperimenti all’interno del

testo, l’area della finestra viene normalmente misurata, ma, al di fuori, le lettere vengono

sostituite (con altre lettere o con delle X o con un modello omogeneo di mascheramento).

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Le ricerche che hanno utilizzato questo paradigma hanno dimostrato che lettori

specializzati in lingua inglese e negli altri sistemi di scrittura alfabetica, ottengono

informazioni utili da una regione che si estende circa da 3-4 spazi di carattere alla sinistra

del punto di fissazione (McConkie & Rayner, 1976a; Rayner, Well, & Pollatsek, 1980b;

Underwood & McConkie, 1985) a circa 14–15 spazi di carattere alla destra del punto di

fissazione (DenBuurman, Boersma, & Gerrissen, 1981; McConkie & Rayner, 1975;

Rayner & Bertera, 1979; Rayner, Well, Pollatsek, & Bertera, 1982; Underwood &

McConkie, 1985; Underwood & Zola, 1986). Questa forma di asimmetria si verifica, come

abbiamo già detto, poiché la maggior parte del testo con contenuto informativo si trova alla

destra del punto di fissazione.

La finestra appare un po’ più piccola in altre lingue (ebraico, cinese e giapponese), in

termini del numero dei caratteri che possono essere processati; per le persone che leggono

il cinese (che è letto da sinistra verso destra), lo span percettivo si estende da un carattere a

sinistra del punto di fissazione a 2-3 caratteri alla sua destra (Chen & Tang, 1998; Inhoff &

Liu, 1998); per gli ebrei è asimmetrico e risulta più largo a sinistra della fissazione

(Pollatsek et al., 1981), visto che il testo viene letto da destra verso sinistra. Non è chiaro

se questa differenza sia dovuta alle caratteristiche visive di queste ortografie o a fattori più

centrali come il fatto che l’informazione dello stesso morfema è rappresentata in modo più

compatto in queste lingue.

Un'altra questione interessante è capire se i lettori siano in grado di acquisire informazioni

utili dalla linea al di sotto di quella che si sta leggendo. Inhoff e Briihl nel 1991 e

successivamente Inhoff e Topolski nel 1992, hanno affrontato questo tema in un

esperimento, che prevedeva di chiedere ai lettori di leggere una riga di testo presa come

target, ignorandone un’altra di distrazione, mentre venivano registrati i loro movimenti

oculari; quando i lettori completavano una linea, dovevano premere un pulsante. Così

facendo, veniva presentata la riga successiva, con al di sotto la relativa linea di distrazione.

Le risposte date dai lettori alle domande a scelta multipla, poste alla fine del test,

suggerivano una raccolta di informazioni da entrambe le linee. L’esame dettagliato dei

movimenti oculari ha dimostrato che, a volte, lo sguardo si fissa anche sulla parte di testo

di cui il lettore non avrebbe dovuto occuparsi; tuttavia, non è stata trovata alcuna prova che

i lettori avessero ottenuto informazioni semantiche utili da questo testo.

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Questo suggerisce che anche i fattori dell’attenzione giochino un ruolo importante nello

span della visione effettiva. Il limite orizzontale risulta determinante per le considerazioni

sull’abilità visiva, dato che le informazioni utili non sono estratte oltre i 5 gradi, anche se è

presente solo una singola parola nella zona parafoveale (Rayner, McConkie & Ehrlich,

1978), o se non sono presenti informazioni utili nella fovea (Rayner & Bertera, 1979).

Nella figura 1 (Rayner, 2009) possiamo osservare sette diversi esempi della tecnica della

finestra mobile, sempre utilizzando due fissazioni. La riga superiore mostra una normale

linea di testo. Le diverse tipologie di finestra mobile sono composti dai seguenti esempi:

una finestra di 15 caratteri (7 caratteri a sinistra e a destra della fissazione), una finestra di

29 caratteri (14 caratteri a sinistra e a destra della fissazione), una finestra asimmetrica che

si estende per 3 caratteri a sinistra della fissazione e 7 a destra (con la compilazione degli

spazi tra una parola e l’altra), una finestra di una sola parola, una finestra di due parole, una

di tre parole, e infine una finestra di due parole in cui le lettere al di fuori della finestra

sono sostituite con lettere visivamente simili (prima linea) o con lettere casuali (seconda

linea).

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Figura 1. Esempi di paradigma di finestra mobile

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I dati dimostrano che, generalmente, la lettura è più facile quando gli spazi tra le parole

non vengono compilati; se la parola fissata e la parola alla sua destra si presentano

disponibili su una singola fissazione (e le altre lettere sono sostituite con lettere

visivamente simili), i lettori non sono consapevoli del fatto che le parole al di fuori della

finestra non siano “normali” e la loro velocità di lettura diminuisce solo del 10% circa.

Tuttavia, quando la finestra è piccola, le prestazioni di lettura sono generalmente migliori

nel caso in cui al di fuori della finestra vi siano delle X rispetto a quando vi si trovano delle

lettere.

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2.2 Paradigma di confine (boundary paradigm)

La dimensione dello span percettivo indica che l’informazione parafoveale, cioè quella

proveniente dalla regione esterna a quella foveale o centrale, viene utilizzata nel corso

della lettura. Alcune delle evidenze sperimentali più convincenti derivano dall’uso del

paradigma di confine (Rayner, 1975).

Questo consiste nel presentare una frase con le seguenti caratteristiche: appena alla sinistra

della parola presa come target, si trova un limite, un confine invisibile, mentre alla sua

destra si pone inizialmente un’anteprima, che verrà sostituita dalla parola target appena il

lettore compirà un movimento saccadico verso questa parola. L’anteprima presentata ha

una durata di circa 20 -30 ms; può essere valida (la stessa parola) o meno, cioè può essere

un'altra parola, una non-parola o una stringa casuale di lettere. Quando gli occhi del lettore

attraversano il confine, l’anteprima è rimpiazzata dalla parola target.

Visto che il cambiamento avviene nel corso di una saccade, quindi durante la soppressione

saccadica della visione, i lettori non si rendono conto dell’identità delle anteprime e del

cambiamento nella visualizzazione. Tuttavia, dai risultati si evince che la lunghezza della

fissazione sulla parola bersaglio risulta inferiore quando questa è uguale alla parola

dell’anteprima e maggiore quando l’anteprima non è valida (Reichle et al., 1998).

La fonte del beneficio dell’anteprima non è rappresentata dalle informazioni semantiche,

ma da quelle relative alle lettere iniziali e finali delle parole e dall'informazione fonologica.

Tutte queste informazioni vengono integrate attraverso le saccadi.

La figura 2 (Rayner & Castelhano, 2010) mostra un esempio di paradigma di confine.

Nella riga in alto, l'anteprima non valida (ohbcnor) viene visualizzata inizialmente. Quando

gli occhi del lettore attraversano il confine invisibile (|), l'anteprima è sostituita dalla parola

target (addome). Gli asterischi rappresentano le posizioni delle fissazioni di una ipotetica

lettera per ogni parola.

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Figura 2. Esempio di paradigma di confine

Margaret's tender| ohbcnor impaired her ability

* * *

Margaret's tender| abdomen impaired her ability

* * * *

Il paradigma di confine ci mostra gli effetti benefici dell’anteprima.

Dodge, nel 1907, fu il primo a dimostrare che, se a un lettore viene presentata

un’anteprima dello stimolo, prima di spostare gli occhi su di esso, il soggetto riuscirà a

rispondervi molto più velocemente. Come abbiamo visto, nel 1975 Rayner, attraverso la

tecnica dello sguardo contingente, utilizzata nel paradigma di confine, è riuscito a misurare

l’importo del beneficio dell’anteprima, sottraendo il tempo di fissazione sulla parola target

con una anteprima valida da quello con un’anteprima non valida. Questi effetti benefici

sono importanti non solo per il risparmio di tempo, ma anche perché influiscono

sull’integrazione di informazioni tra la fissazione attuale e quelle successive.

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2.3 Maschera mobile (moving-mask)

Negli esperimenti della maschera mobile (Rayner & Bertera, 1979; Rayner, Inhoff,

Morrison, Slowiaczek, & Bertera, 1981; Fine & Rubin, 1999a, 1999b, 1999c), una

maschera visiva si muove in sintonia con ogni fissazione degli occhi, coprendo così le

lettere al centro della visione. L’abilità di identificare una parola o una lettera diminuisce

progressivamente se viene presentata fuori dalla fovea e man mano che ci si allontana dal

punto di fissazione. Leggere, quindi, è molto difficile, se non impossibile, visto che al

centro della zona foveale la visione è mascherata e solo le lettere nella zona parafoveale

sono disponibili alla lettura.

In sostanza, la tecnica della maschera mobile (o maschera foveale), che può essere

considerato il contrario del paradigma della finestra mobile, crea uno scotoma centrale

artificiale che imita i pazienti con danni al cervello, che effettivamente elimina il loro uso

della visione foveale.

Le dimensioni della maschera possono essere variate. Quando si presenta una maschera di

piccole dimensioni i soggetti sono in grado di leggere la frase, senza difficoltà; con

l’aumentare della dimensione della maschera però, la percentuale delle parole della frase

trasmesse correttamente, diminuisce drasticamente. Nel 18% dei casi (Rayner & Bertera,

1979), in cui la maschera foveale andava da 13 a 17 caratteri, i soggetti non riescono

neanche ad indovinare la parte di testo nascosta al loro sguardo; sono consapevoli delle

parole nella zona parafoveale e nella periferia, ma non sono in grado di identificarle. Con

una maschera di dimensioni maggiori, le uniche parole che si riescono a comprendere sono

quelle più corte di quattro lettere, in particolare quando queste si trovano all’inizio o alla

fine della frase

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Nella figura 3 (Rayner, 1998), possiamo vedere un esempio di due fissazioni successive

per ogni tecnica fin qui analizzata: finestra mobile, maschera mobile (o foveale) e

paradigma di confine. Il punto di fissazione è contrassegnato da un asterisco. La prima riga

mostra una normale linea di testo. Per la finestra mobile si è utilizzata una finestra di 17

lettere (con le altre lettere sostituite da X e la conservazione degli spazi tra le parole). Le

due righe seguenti mostrano la tecnica della maschera mobile con un oscuramento di 7

lettere. Le due righe finali mostrano un esempio del paradigma confine.

Figura 3.

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CAPITOLO 3

SVILUPPI DEI PARADIGMI

I tre importanti paradigmi analizzati nel precedente capitolo, sono risultati essere

fondamentali per lo sviluppo di altri studi e per le recenti scoperte riguardanti i movimenti

oculari nella lettura. Questi sono stati variati, integrati fra di loro o ad altri, o

semplicemente ripresi, per cercare di arrivare a risultati sempre migliori. Andremo ora ad

esaminarne alcuni delle più rilevanti.

Finestra mobile

Nel corso degli anni si è cercato di misurare in vari modi la dimensione del campo

percettivo nella lettura, non sapendo però se fosse meglio ragionare in termini di lettere o

di parole, visto che si riscontrano differenze a sinistra e a destra del punto di fissazione.

Rayner e Pollatsek nel 1980, hanno rilevato che il limite sinistro del campo percettivo si

colloca all’inizio della parola che si sta fissando; Rayner et al. nel 1982, invece, hanno

rilevato che il suo limite destro è definito in termini di lettere.

Gli autori, utilizzando il paradigma della finestra mobile, hanno fatto un confronto tra le

prestazioni di lettura nella situazione in cui la finestra è stata definita in termini di numero

di lettere a disposizione alla destra della fissazione, e quelle in cui la finestra viene definita

in base al numero di parole alla destra della fissazione. I risultati dimostrano come non vi

sia alcuna differenza tra i due tipi di finestra, quando queste erano più o meno simili nel

formato. Un’analisi dettagliata ha rivelato che le prestazioni in condizioni di finestra-

parola, potrebbero essere previste con estrema precisione conoscendo il numero di lettere

disponibili per ogni fissazione; le prestazioni in condizioni di finestra-lettera,

contrariamente, non possono essere previste, anche se si conosce il numero di parole

disponibili su ogni fissazione. Quindi, sarebbe meglio definire la dimensione dello span

percettivo come numero di lettere a disposizione alla destra di fissazione.

Il paradigma della finestra mobile viene ripreso da Rayner e Fisher (1987a, 1987b). Gli

autori danno agli osservatori il compito di ricercare una specifica lettera target in mezzo a

stringhe di lettere disposte in orizzontale. La dimensione dello span percettivo varia in

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funzione della difficoltà delle lettere usate come distrattori; quando queste erano simili alla

lettera target, lo span percettivo era più piccolo rispetto a quando differivano di molto dalla

lettera target.

Integrazioni tra paradigmi della finestra e della maschera mobile

Per comprendere appieno la questione del controllo dei movimenti oculari, bisogna

esaminare cosa comportino due sue componenti essenziali: il “dove” e il “quando”. E’

necessario, cioè, capire cosa determini la posizione e il momento in cui si spostano gli

occhi, analizzando anche se vi sia una correlazione tra queste due caratteristiche.

Per fare ciò, Rayner e Pollatsek, in un esperimento del 1981, hanno utilizzato il paradigma

della finestra mobile, integrato a quello della maschera mobile. Per prima cosa gli autori

hanno variato la dimensione della finestra da fissazione a fissazione, scoprendo che la

grandezza della saccade variava in funzione della dimensione della finestra

immediatamente precedente. Così, presentando una finestra piccola, la dimensione della

saccade era minore rispetto a quella di una finestra grande. In secondo luogo, il testo è

stato ritardato attraverso l’uso di una maschera, presentata al momento della comparsa di

una fissazione (con il tempo del ritardo variabile in modo casuale da fissazione a

fissazione). Rayner e Pollatsek constatano che una grande percentuale della durata della

fissazione varia a seconda del ritardo. Da questo deriva il fatto che la maggior parte delle

fissazioni nella lettura sono sotto il diretto controllo cognitivo, nonostante vi fosse anche

un sottoinsieme delle fissazioni che sembrava essere pre-programmato (Morrison, 1984).

E’ importante sottolineare che le manipolazioni interessano la grandezza della saccade e la

durata della fissazione in modo indipendente, rafforzando l'opinione che il “dove” e il

“quando” siano in qualche modo indipendenti.

In generale, la decisione di dove attuare lo spostamento successivo è dovuta in gran parte

alle proprietà di basso livello del testo, mentre la decisione di quando muovere gli occhi è

dovuto in gran parte a proprietà lessicali della parola fissata (Rayner 1998).

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Anche Bertera e Rayner (2000) hanno svolto ricerche che utilizzavano sia la tecnica della

finestra mobile, sia quella della maschera mobile. In questi esperimenti si presentano serie

casuali di lettere in cui il soggetto deve riconoscerne una presa come target. Le

dimensioni delle serie vengono variate (queste erano di 13 per 10 gradi, 6 per 6 gradi, o 5

per 3.5 gradi), ma il numero degli elementi rimane costante, quindi la serie più piccola

presenta un maggior addensamento delle informazioni. La dimensione della maschera era

di 0.3, 1, 1.7, 2.3, o 3 gradi; la dimensione della finestra era di 1, 2.3, 3.7, 5 e 5.7 gradi.

Viene effettuata anche una condizione di controllo, in cui non sono presenti né la

maschera, né la finestra. Non sorprende il fatto che la maschera mobile abbia un effetto

deleterio sul tempo e sull’accuratezza: più larga è la maschera, maggiore sarà il tempo, più

fissazioni vengono eseguite, maggiore sarà il tempo impiegato per le fissazioni. Le

dimensioni della serie influenzano quelle della saccade, mentre hanno solo un piccolo

effetto sulla grandezza della maschera. Nella condizione della finestra mobile, la migliore

prestazione della ricerca è stata ottenuta quando la finestra era di 5 gradi (tutte le lettere

che stavano entro i 2.5 gradi dal punto di fissazione erano visibili con questa dimensione

della finestra, mentre tutte le altre erano mascherate).

Prendendo spunto da questo esperimento di Bertera e Rayner e da altri studi in cui si

utilizzava la tecnica dello sguardo contingente (Greene, 2006; Greene & Rayner, 2001b;

Pomplun, Reingold, & Shen, 2001), Cornelissen, Bruin, e Kooijman (2005), chiedono ai

lettori di cercare una lettera target “O” tra i distrattori. La ricerca consisteva nella

presentazione di una matrice esagonale 7_5 (tre file di sette e due file di sei oggetti

ciascuno) contenente 32 “C” (distrattori) e una sola “O” (il target). La dimensione della

matrice globale è stata di 38_28 gradi; la maschera e la finestra possono essere di 5, 10 o

15 gradi. Gli autori hanno rilevato che i tempi di ricerca, la durata e il numero delle

fissazioni aumentano e che la dimensione della finestra diminuisce. Tuttavia in questi

studi, la lunghezza della saccade sembra essere maggiormente colpita dalle manipolazioni

effettuate sulle dimensioni della finestra e della maschera, rispetto allo studio iniziale di

Bertera e Rayner. E’ difficile generalizzare e far un confronto tra i risultati dei due studi,

visto che in quest’ultimo la matrice delle variabili aveva un’estensione maggiore e

risultava più strutturata. Quel che è certo è il fatto che le dimensioni della matrice e la

maschera foveale, che crea un finto scotoma centrale, forniscono una più grande

interruzione nella ricerca visiva, creando una visione a tunnel.

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Paradigma di confine

Anche il paradigma di confine viene riutilizzato, per esempio in un esperimento di

McConkie e Hogaboam (1985). In questa variante, i soggetti leggono silenziosamente un

testo mentre i loro movimenti oculari vengono monitorati; ad un certo punto alcuni spazi

dello schermo vengono mascherati, o semplicemente rimossi, dallo sperimentatore e al

soggetto viene chiesto di riportare l’ultima parola che è riuscito a leggere. E’ considerato

un problema il fatto che il soggetto possa essere in grado di riconoscere una parola anche

se non l’ha propriamente vista, indovinandola in base al contesto precedente. Nonostante

ciò, i risultati sono coerenti con gli studi di Rayner. Nella figura 4 (Rayner & Pollatsek,

1989), si può trovare un esempio della distribuzione di frequenza della posizione

dell'ultima parola letta. Viene rappresentata sia la condizione con mascheramento, sia

quella in cui il testo viene rimosso.

Figura 4.

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22 

 

La posizione 0 rappresenta l’ultima parola letta, l’1 quella alla sua destra e così via. La

distanza viene misurata prendendo come unità una parola, senza differenze in base alla

lunghezza. I due autori trovano che la parola che i lettori riportano più frequentemente è

l’ultima su cui si erano fissati, anche se la parola alla destra della fissazione era riportata

abbastanza spesso. Tuttavia le parole alla sinistra della parola fissata e anche due o più

parole alla sua destra vengono raramente riportate.

Benefici dell’anteprima 

Come abbiamo visto nel paradigma di confine, non è da mettere in dubbio il fatto che gli

osservatori, durante la ricerca, possano trarre benefici dall’anteprima. Questi dipendono dal

grado di difficoltà della parola fissata: se risulta troppo difficile da processare, il lettore

avrà solo uno scarso, o addirittura, nessun beneficio dalla parola alla destra della fissazione

(Henderson & Ferreira, 1990; Kennison & Clifton, 1995; White, Rayner & Liversedge,

2005a); quando invece si riesce a processare senza fatica la parola, il lettore ha un miglior

beneficio (Balota et al. 1985; Drieghe et al, 2005b).

Tipicamente negli studi che la utilizzano, si può presentare una visione con un'anteprima

della matrice di ricerca o parte della matrice, per un periodo di tempo limitato (ad esempio

500 ms), oppure nessuna anteprima in una condizione di controllo. In generale, si trova

(Watson & Inglis, 2007) che ci siano meno fissazioni sugli stimoli previsti e che, se sono

fissati, lo sono per durate più brevi, nella condizione di anteprima rispetto a quella di

controllo.

In una variante del paradigma di presentazione dell’anteprima, Van Zoest, Lleras,

Kingstone e Enns (2007), attraverso l’utilizzo di tre diversi esperimenti, hanno esaminato

le relazioni possibili tra il centro spaziale di attenzione e una ripresa della ricerca visiva,

dopo una breve interruzione effettuata dallo sperimentatore. Gli autori hanno dimostrato

che quando un display di ricerca è stato nascosto per 900 ms ed è stato ripresentato durante

la ricerca, gli osservatori sono stati rapidi a rispondere ai target che erano vicini al punto di

fissazione, appena prima dell'interruzione. Quando invece, in condizioni simili, è stato

utilizzato un paradigma dello sguardo contingente per presentare il bersaglio al punto di

fissazione attuale dopo una piccola interruzione, che provoca l'intervallo vuoto, gli

spettatori non sono stati rapidi a rispondere. In effetti, questi si dimostrano più bravi a

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23 

 

rispondere al bersaglio se autonomamente trovato, presumibilmente grazie a qualche

anteprima derivata dalla fissazione precedente.

Paradigma dell’ ingrandimento parafoveale

Miellet, O'Donnell e Sereno nel 2009 vogliono riuscire ad indagare i meccanismi

dell’attenzione eliminando l’effetto dell’acuità visiva. Per farlo hanno implementato un

nuovo paradigma di lettura, chiamato ingrandimento parafoveale (parafoveal

magnification). Questo implica l’ingrandimento del testo parafoveale in tempo reale,

fissazione per fissazione, in modo da far pareggiare il suo impatto visivo con quello del

testo foveale, in cui l’acuità visiva è massima.

La figura 5 (Miellet, O'Donnell & Sereno, 2009), mostra una rappresentazione di una parte

di testo, letta mediante il paradigma dell’ingrandimento parafoveale, in cui il punto di

fissazione del lettore è indicato da una freccia, che si sposta consecutivamente, linea per

linea, in modo cronologico.

Figura 5.

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24 

 

Gli esperimenti svolti dagli autori confermano la base attenzionale dei movimenti oculari

nella lettura, visto che riescono a dimostrare come l’utilizzo di questo paradigma non

faccia aumentare la quantità di testo che viene elaborata e che anche quando viene

aumentata la dimensione dell’informazione parafoveale, l’attenzione visiva è posizionata

in modo seriale da parola a parola.

CONCLUSIONI

Da oltre 70 anni (Buswell, 1922), anche se i movimenti oculari sono stati misurati

attraverso svariati metodi diversi tra loro, le tendenze dei dati riscontrati sono molto

coerenti. In una visione generale, quando l’abilità di lettura aumenta, diminuiscono la

frequenza delle regressioni, il numero e la durata delle fissazioni, mentre aumenta la

lunghezza della saccade.

 

Le misure effettuate sui movimenti oculari possono essere usate per comprendere i

processi cognitivi nella lettura (Just & Carpenter, 1980; McConkie, Hogaboam, Wolverton,

Zola & Lucas, 1979; Rayner, 1978b; Rayner, Sereno, Morris, Schmauder & Clifton, 1989).

Per esempio, vi sono abbondanti prove riguardo il fatto che la frequenza di una parola

fissata, influenzi il tempo speso dai lettori per guardarla (Inhoff & Rayner, 1986; Rayner &

Duffy, 1986). Le proprietà di questa determinata parola modulano il tempo di fissazione e

di conseguenza della loro variabilità. E’ anche presente una componente puramente

motoria (Kowler & Anton, 1987), visto che quando viene eliminata l'incertezza sia

spaziale, sia temporale riguardo il punto dove muovere gli occhi e il momento in cui

muoverli, la variabilità nella latenza dei movimenti oculari viene ancora riscontrata

(Rayner, Slowiaczek, et al, 1983; Salthouse & Ellis, 1980). A causa di ciò, il segnale

cognitivo del movimento degli occhi risulta difficile da registrare, ma, come abbiamo

visto, nel corso degli ultimi 20 anni sono stati fatti dei grandi passi avanti per riuscire a

comprendere il rapporto tra movimenti oculari e lettura.

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25 

 

I movimenti oculari nella lettura sono stati, infatti, ampiamente esaminati e trattati,

permettendo di raccogliere una grande quantità di informazioni soprattutto dagli anni

settanta in poi. Gli esperimenti e le ricerche sono riusciti a raggiungere un alto livello di

conoscenze grazie al paradigma sguardo-contingenza, che è risultato essere fondamentale

per studiare specifici processi cognitivi. Il suo utilizzo nelle tecniche della finestra mobile,

della maschera mobile e del paradigma di confine, ha permesso uno sviluppo sempre

crescente in questo campo, in particolare per le nuove scoperte riguardanti il campo

percettivo, i benefici dell’anteprima, l’estrapolazione delle informazioni dalla zona

parafoveale e i contributi ai concetti di fissazione e saccadi.

Negli sviluppi più recenti il paradigma dello sguardo-contingenza è stato utilizzato non

solo negli studi sui movimenti oculari nella lettura, ma anche nei settori di percezione della

scena e di ricerca visiva. Possiamo citare, per esempio, gli esperimenti di Caldara, Zhou e

Miellet (2010), che si sono occupati dei movimenti oculari nel riconoscimento dei volti,

avendo come soggetti persone di culture diverse.

Lo studio dei movimenti oculari nella lettura è un argomento in continua espansione, che,

grazie alla costante crescita tecnologica, può trovare sempre nuovi scopi e utilizzi. Basti

pensare alle recenti nuove applicazioni in campi ancora in via di sviluppo, come

l’ergonomia, la scienza che si occupa dell’interazione tra l’utente e il mezzo utilizzato, con

lo scopo di arrivare alla soddisfazione del primo e al miglioramento del secondo. Questa

nuova branca della psicologia è risultata essere utile, per esempio, nello studio dei

comportamenti del consumatore, nella navigazione in internet e nella creazione di siti web.

Un altro ambito in cui viene già usato, come ausilio a persone disabili, è quello clinico,

permettendo loro di comunicare solamente grazie al controllo dei propri movimenti

oculari.

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26 

 

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