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LUISS
L IBERA UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI
GUIDO CARLI
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA POLITICA ECONOMICA
PROF. DANIELA DI CAGNO
L’ ATTUALE CONTESTO DELLE LEGGI INTERNAZIONALI SULLA CONCORRENZA
E L ’OPPORTUNITÀ DI UN ’APPLICAZIONE DECENTRATA DELLA NORMATIVA DELL ’UE SULLA CONCORRENZA
Turrini Riccardo
Matr. n. 048273
Anno Accademico 2004/2005
2
Indice
1. INTRODUZIONE..................................................................................................... 3
2. L’ ATTUALE CONTESTO DELLE LEGGI INTERNAZIONALI SULLA CONCORRENZA..... 4
2.1. Le origini: ITO e il GATT ........................................................................... 4 2.2. La necessità di rafforzare la politica internazionale della concorrenza ....... 6 2.3. Iniziative unilaterali, bilaterali e regionali dopo l’ITO ................................ 7 2.4. Gli impegni multilaterali ............................................................................ 11
3. L’OPPORTUNITÀ DI UN’APPLICAZIONE DECENTRATA DELLA NORMATIVA DELL’UE
SULLA CONCORRENZA............................................................................................ 13
3.1. Il Trattato di Roma e il Regolamento n. 17/62 .......................................... 13 3.2. Il principio di sussidiarietà e gli appelli al decentramento......................... 15 3.3. Metodi di decentramento............................................................................ 17 3.4. La posizione della Corte di Giustizia......................................................... 19 3.5. Conclusioni ................................................................................................ 21
Bibliografia ........................................................................................................... 23
3
1. Introduzione
La concorrenza pura determina una situazione di ottimo per la collettività e da
ciò deriva che ogni deviazione da essa (monopoli o oligopoli) richiede interventi
correttivi da parte di poteri pubblici. Affinché vi sia concorrenza perfetta occorre
che sussistano una serie di condizioni che difficilmente si realizzano nella realtà.
La più rilevante è la presenza di numero molto elevato di imprese di piccole
dimensioni e di acquirenti in modo che nessuno sia in grado di influenzare il
prezzo. Vi è la possibilità di ingresso nel mercato per qualunque nuova impresa in
quanto le imprese presenti sono di piccole dimensioni e quindi non sono necessari
né grandi capitali, né particolari conoscenze tecniche. Affinché la situazione possa
conservarsi occorre che le imprese rimangano di piccole dimensioni. In regime di
concorrenza pura l’espansione della produzione non può avvenire a mezzo di
imprese di grandi dimensioni, ma attraverso la costituzione di nuove imprese.
L’osservazione della realtà però ha mostrato la tendenza al fenomeno delle
concentrazioni. Un’impresa quando espande la produzione è in grado di ridurre i
costi marginali e medi realizzando un’organizzazione più efficiente e una
maggiore divisione del lavoro rispetto ad un’impresa di piccole dimensioni.
Attraverso le operazioni di concentrazione però si riduce il numero di imprese
operanti sul mercato con la conseguenza che le imprese operanti possono
accordarsi per influenzare il prezzo dei beni prodotti e di adottare altri
comportamenti in virtù del notevole potere di mercato acquisito. La situazione che
si offre non è più di concorrenza, ma di monopolio o di oligopolio arrecando un
danno alla collettività.
4
Prendendo atto di questa realtà inizialmente si è promulgata una legislazione
antimonopolistica. Successivamente si sono riconosciuti i vantaggi delle
concentrazioni in quanto consentono di generare economie di scala, ma al tempo
stesso danno all’impresa un maggiore potere di mercato. Quest’ultimo deve essere
quindi vincolato e controllato dallo Stato per evitare che venga usato a fini
egoistici. L’adozione e la formulazione di una legislazione antimonopolistica non
possono partire dalla premessa secondo cui la concorrenza atomistica è il sistema
più efficiente dal punto di vista della collettività. Fenomeni come le
concentrazioni e le pratiche commerciali restrittive che producono effetti negativi
sulla concorrenza comportano anche degli effetti positivi per cui non è possibile
vietarle in via generale, ma si dovranno prevedere per legge dei criteri di
ammissibilità che saranno applicati da un’autorità amministrativa o giudiziaria nei
casi concreti.
2. L’attuale contesto delle leggi internazionali sulla concorrenza
2.1. Le origini: ITO e il GATT
L’idea di una normativa internazionale sulla concorrenza nasce dopo la II
Guerra Mondiale attraverso un processo di creazione di istituzioni multilaterali
per la cooperazione e l’instaurazione di un’economia di libero scambio.
In particolare gli USA avviarono con la Gran Bretagna trattative bilaterali per
la creazione dell’Organizzazione Internazionale del Commercio (International
Trade Organization – ITO) prima ancora della fine della grande guerra. Dopo
diverse conferenze, si stilò nel marzo 1948 all’Avana la versione definitiva che
5
prese il nome di “Carta dell’Avana”. Questa conteneva due categorie di norme:
norme regolanti il commercio interstatale e norme regolanti il controllo da parte
degli Stati. Il Capitolo V, concernente le pratiche commerciali restrittive,
prevedeva una limitazione per le imprese commerciali, sia private che pubbliche,
che, ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 46, <<frenavano la concorrenza,
limitavano l’accesso al mercato o favorivano un controllo monopolistico>>.
La decisione dell’Esecutivo statunitense a non ratificare la Carta dell’Avana,
nata, per altro, su impulso degli Stati Uniti, dissuase altri Stati dal ratificarla.
Quando fu chiaro che la Carta dell’Avana non sarebbe mai entrata in vigore si
cercò di inserire il capitolo sulla politica commerciale nell’Accordo Generale sulle
Tariffe e sul Commercio (General Agreement on Tariffs and Trade). Il GATT
però riguardava esclusivamente il commercio interstatale di merci, mentre non
disciplinava in alcun modo il controllo statale delle PCR attuate da imprese
private negli scambi internazionali. Sebbene l’operazione di inserimento avesse
carattere provvisorio, il GATT rimase per 45 anni l’unica istituzione multilaterale
di disciplina del commercio internazionale.
Il GATT si fondava sul principio che il libero scambio tra nazioni genera una
situazione economica efficiente in cui il vantaggio relativo delle singole nazioni si
traduce nella massima produttività per tutti. Sebbene il principio di non
discriminazione, distinto nei due sotto – principi del trattamento generalizzato
della nazione più favorite e del trattamento nazionale, avesse un’enorme
importanza, il GATT lasciava irrisolto un grave problema: quello delle PCR
adottate dalle imprese private.
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2.2. La necessità di rafforzare la politica internazionale della concorrenza
Dopo otto round di negoziati all’insegna del GATT le barriere commerciali
risultano notevolmente diminuite e il commercio mondiale è divenuto il motore
dell’espansione economica con la conseguente globalizzazione e interconnessione
dei mercati. Tuttavia le leggi sul commercio internazionale sono ancora
inefficienti e spesso controproducenti per una disciplina del comportamento
anticoncorrenziale nell’economia globale, mentre le leggi interne sulla
concorrenza sono strumenti inidonei a proteggere il nuovo mercato globale.
Occorre che le autorità antitrust nazionali rivedano la propria politica che
risulta essere stata messa a punto quando non esisteva l’integrazione a livello
internazionale che c’è attualmente. Ciò è quanto emerge dal Rapporto del luglio
1995 della Commissione Europea sulla cooperazione internazionale in materia di
concorrenza.
Nello specifico si osserva che gli ostacoli in materia di concorrenza sul piano
internazionale, quali i cartelli internazionali, le pratiche restrittive in mercati che
per loro natura sono internazionali (trasporti aerei e via mare), le concentrazioni
su scala mondiale (per esempio BT – MCI) e l’abuso di posizione dominante
(caso Microsoft), difficilmente sono superabili tramite la politica nazionale di
concorrenza. A ciò si aggiungano le difficoltà incontrate dalle autorità antitrust
nazionali nell’ottenimento di informazioni circa i comportamenti tenuti all’estero.
L’applicazione extraterritoriale delle leggi nazionali sulla concorrenza può
provocare controversie tra le varie autorità antitrust nazionali. In questo caso poi
se si guarda ai Paesi in via di sviluppo, questi corrono il rischio, per carenze
legislative, di essere assoggettati all’applicazione extraterritoriale delle leggi sulla
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concorrenza di altri Paesi più progrediti. La disomogeneità di norme nazionali
sulla concorrenza rappresenta un grande ostacolo al commercio. Si pensi alle
procedure di decisione esistenti nei diversi Paesi europei che spesso variano
sensibilmente in ordine agli adempimenti richiesti, o duplicano gli impegni
facendo lievitare i costi per l’osservanza delle leggi. La presenza di leggi nazionali
sulla concorrenza più o meno favorevoli influisce sulle scelte degli operatori
economici distorcendole, limitando o impedendo l’accesso a certi mercati, mentre
se fosse consentito si instaurerebbe una concorrenza positiva per i consumatori.
2.3. Iniziative unilaterali, bilaterali e regionali dopo l’ITO
Diverse iniziative si sono prese da diversi Paesi per ovviare al fallimento del
progetto ITO, sia a livello unilaterale, che bilaterale, che regionale.
Le iniziative unilaterali consistono nell’applicazione di norme e principi della
politica nazionale della concorrenza a Stati o imprese operanti al di fuori del
territorio nazionale. Tale effetto di extraterritorialità delle leggi antitrust è
rinvenibile nell’ordinamento statunitense (legge sui cartelli con sede all’estero,
ovvero l’articolo 301 della legge sugli scambi). Nella Comunità Europea è
utilizzato lo strumento dalla politica commerciale per fare pressione sui terzi
affinché rinuncino a comportamenti anticoncorrenziali, ma tale strumento può
provocare anche ritorsioni da parte dei partners commerciali.
Nelle linee guida statunitensi sull’applicazione del diritto antitrust nelle
operazioni internazionali si fa riferimento alla dottrina degli effetti. Ad esempio
nel caso Pilkington, gli USA sono intervenuti in quanto, sebbene il
comportamento fosse realizzato in altri Paesi, esso produceva un effetto diretto,
8
sostanziale e ragionevolmente prevedibile sull’esportazione dei beni e servizi
dagli Stati Uniti.
Il Trattato istitutivo della CE non affronta il problema dell’extraterritorialità
del diritto antitrust comunitario e per tanto la Commissione e la Corte di Giustizia
hanno dovuto elaborare in via interpretativa tale effetto. La Commissione ha
dimostrato l’intenzione di ampliare l’ambito di applicazione del diritto
comunitario come nel caso Materie Coloranti. Nello specifico la Commissione
faceva riferimento alla dottrina degli effetti per rivendicare la propria
giurisdizione. La Corte di Giustizia non ha avallato tale impostazione
argomentando che la controparte inglese e svizzera avevano operato all’interno
della Comunità mediante proprie sussidiarie e per il principio universale di
territorialità vi era competenza. Altro esempio è costituito dal caso Pasta di legno
dove la Corte di Giustizia non adotta in via esplicita la dottrina degli effetti
sebbene l’Avvocato generale Darmon sostenesse che la dottrina era applicabile
quando gli effetti del comportamento fossero diretti e prevedibili.
Nel diritto internazionale si opera una distinzione tra competenza per materia e
competenza nell’applicazione. Quest’ultima viene intesa come la capacità di uno
Stato di indurre o imporre l’osservanza o punire l’inosservanza delle proprie leggi.
Tale competenza ha generalmente portata territoriale ed in campo internazionale è
invalsa la prassi di assistersi reciprocamente nell’applicazione delle rispettive
leggi in giurisdizioni estere. L’eccessivo ricorso alla competenza applicativa
(come da parte degli Stati Uniti nel caso del cartello dell’uranio) può provocare
dure reazioni. Alcuni Paesi hanno adottato “regolamenti di blocco” sulla scorta
del modello britannico del 1980 che consente al Segretario di Stato di emanare
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ordinanze che vietano l’esibizione di documenti richiesti da un tribunale estero.
Altre volte il divieto di esibizione di documenti è previsto in via generale da leggi
sul segreto commerciale o sul segreto bancario (Svizzera, Paesi Bassi, ecc…).
Infine rileva il regolamento di blocco canadese per la sua ampia portata in quanto
la richiesta può essere bloccata ogni volta rilevi un interesse economico canadese
significativo, ovvero violi o possa violarsi la sovranità canadese.
Tra le iniziative bilaterali di maggior successo vi è l’Accordo CE / USA del
1995 con lo scopo di coordinare le rispettive attività antitrust. Cinque sono gli
elementi di grande rilevanza nell’accordo:
1.) la notifica: in base all’articolo II ciascun contraente è tenuto a
notificare all’altra parte i procedimenti che ha intenzione di attivare e
che potrebbero avere ripercussioni su importanti interessi della
controparte;
2.) lo scambio di informazioni: in base all’articolo III ciascun contraente si
impegna a fornire informazioni su comportamenti anticoncorrenziali
presenti sul proprio territorio alla controparte interessata o procedente
salvo che, per l’articolo VIII, la divulgazione non sia vietata da una
legge nazionale o sia incompatibile con interessi importanti. I
regolamenti 17/62 e 4064/89 in tema di concentrazioni prevedono che
le informazioni non possono comunicarsi alle autorità antitrust
statunitensi se non con il consenso di chi fornisce l’informazione. Di
particolare rilievo è stato il procedimento congiunto tra la Divisione
Antitrust USA e la Commissione CE nel caso Microsoft che accettò di
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rinunciare al proprio diritto alla riservatezza garantito da ambedue le
normative in vista di un accordo raggiunto, poi, nel 1994;
3.) il coordinamento: in base all’articolo IV si stabilisce in via generale
l’impegno a coordinare le proprie procedure al fine di evitare
duplicazione di iniziative;
4.) positive comity: in base all’articolo V si stabilisce il principio secondo
cui, se gli interessi importanti di una parte risentono delle PCR attuate
nel territorio della controparte in violazione delle leggi di questa, la
parte danneggiata può chiedere che venga avviato un procedimento.
Questo evita teoricamente una duplicazione di interventi. L’unico
inconveniente che si presenta a tale sistema è dato dal fatto che il
contraente che riceve la richiesta di avviare il procedimento non è
obbligato ad avviare un procedimento, mentre al richiedente non è
vietato avviare un proprio intervento;
5.) negative comity: in base all’articolo VI ciascuna parte è tenuta a
considerare gli interessi importanti della controparte durante tutte le
fasi del procedimento evitando conflitti di applicazione delle norme
antitrust.
Dal Rapporto presentato dal Gruppo per il miglioramento della cooperazione
internazionale e dell’applicazione delle norme sulla concorrenza emerge che la
CE ha stipulato un ridotto numero di accordi di cooperazione in materia a
differenza degli USA. Il Rapporto, oltre ad indicare carenze quantitative,
sottolinea che l’attuale contesto non dà garanzia per la circolazione di
informazioni e di cooperazione tra autorità antitrust a livello globale. I fattori di
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tale contesto sono i conflitti nell’applicazione extraterritoriale delle leggi antitrust
nazionali, l’assenza di disposizioni che assicurino lo scambio di informazioni
riservate e la mancanza di procedure di conciliazione o di arbitrato per le
controversie.
Iniziative regionali sono in ambito della politica di concorrenza comunitaria e
dei suoi partner commerciali europei. In tal senso è l’impegno comunitario ad
esportare il modello di concorrenza del Trattato CE nelle norme sulla concorrenza
dello Spazio Economico Europeo (SEE). È previsto il libero scambio di
informazioni tra l’Organo di Sorveglianza dell’EFTA e la Commissione europea
con la possibilità di esprimere opinioni in caso di procedimenti condotti dall’altro
organismo.
Altre iniziative regionali si registrano nell’ambito del NAFTA (North
American Free Trade Agreement). In esso sono contenute norme che esortano alla
cooperazione tra gli Stati membri per evitare l’esplicazione di comportamenti
anticoncorrenziali al di fuori del proprio paese. È inoltre istituito un comitato per
esaminare l’interconnessione tra politiche commerciali e della concorrenza.
2.4. Gli impegni multilaterali
La legislazione antitrust si è sviluppata nella gran parte degli Stati solo dopo la
II Guerra Mondiale. I firmatari del GATT hanno cercato di introdurre
nell’accordo misure contro le PCR mediante appositi emendamenti o per il tramite
del meccanismo di composizione delle controversie già esistente.
Nella metà degli anni 70, a seguito di importanti eventi come il Trattato di
Roma, si sono intensificati i tentativi di formulazione di principi internazionali per
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norme antitrust. Alla base vi erano presupposti di politica economica ben
differenti dall’antitrust statunitense. In primo luogo si è cercato di evitare i
conflitti tra normative nazionali tentando di creare un’armonizzazione mediante
principi internazionali. In secondo luogo, molti Stati, soprattutto in via di
sviluppo, hanno iniziato a vedere la legislazione antitrust come mezzo per
disciplinare le imprese multinazionali che venivano a disporre di poteri sociali,
economici e politici sempre più rilevanti.
Nel 1980, l’UNCTAD adottò un corpo di norme sul controllo da parte degli
Stati delle pratiche commerciali restrittive relative a beni e servizi basandosi sulla
Carta dell’Avana. Tali norme hanno come soggetti destinatari non solo gli Stati,
ma anche le imprese. Le norme in questione sono tuttora in vigore, ma non hanno
effetto vincolante, sebbene sia a disposizione degli Stati un Comitato
intergovernativo di esperti con funzioni consultive.
Nel 1993 un gruppo privato di esperti elaborò una bozza di proposta di
accordo internazionale, il Progetto di codice internazionale antitrust. La bozza si
incentrava su sei principi:
- applicazione esclusiva del Codice ai casi transnazionali
- incorporazione delle norme internazionali nell’ordinamento interno e loro
applicazione mediante organi interni
- attribuzione di una valenza internazionale a standard minimi delle norme
nazionali antitrust
- parità di trattamento tra norme internazionali e nazionali sulla concorrenza
- procedure di composizione delle controversie internazionali secondo le
norme della WTO (World Trade Organization)
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- integrazione del progetto nel sistema GATT – WTO
Nell’Uruguay Round (1994) il progetto di codice suddetto non trovò alcun
inserimento a differenza dei TRIPs, TRIMs e GATS. In quest’ultimo si sono
introdotte norme vincolanti per il controllo statale delle PCR. In particolare il
riferimento è all’articolo VIII (Monopoli e Fornitura esclusiva di servizi) e
all’articolo IX (Pratiche commerciali). Tutto ciò è assai peculiare se confrontato
con le norme sul commercio dei beni assolutamente prive di tali disposizioni. Si è
proceduto ad un recupero, almeno intenzionale, del duplice sistema di norme sul
commercio interstatale e sul controllo dello Stato di PCR nelle transazioni
internazionali.
3. L’opportunità di un’applicazione decentrata della normativa
dell’UE sulla concorrenza
3. 1. Il Trattato di Roma e il Regolamento n. 17/62
Sebbene nel Trattato istitutivo della Comunità Europea fossero contenuti
numerosi principi in tema di concorrenza, alle istituzioni comunitari è spettato il
compito di costruire un sistema della concorrenza. Dopo un quinquennio di
trattative tra Consiglio, Commissione e gli Stati membri venne adottato il
Regolamento n. 17/62. Lo scarso interesse del Consiglio dovuto alla
considerazione sulla marginalità della normativa antitrust sul piano comunitario
comportò che i poteri, concernenti la sua attuazione e l’elaborazione di politiche
idonee, fossero concentrati nelle mani della Commissione.
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Il Regolamento n. 17/62 secondo l’articolo 9 (1) stabilisce che solo la
Commissione può autorizzare le esenzioni ai sensi dell’articolo 81 (3) del Trattato
CE. L’articolo 9 (3) dispone che, quando la Commissione ha avviato un
procedimento, le autorità nazionali devono interrompere la propria attività
riguardo alla medesima fattispecie. È istituito un Comitato consultivo composto
da Stati membri, ma i suoi pareri non sono vincolanti per la Direzione
Concorrenza della Commissione. Il contenuto può essere sintetizzato come segue.
1.) Obblighi della Commissione nei confronti delle autorità antitrust nazionali
ai sensi del Regolamento n. 17/62:
a. obbligo di notificare alle autorità nazionali le fasi di una procedura
(articolo 10 (1)): nello specifico devono notificarsi le richieste di
informazioni, gli accertamenti e l’avvio del procedimento. Il
procedimento si intende avviato quando sussiste un atto vincolante
da parte della Commissione che dimostri l’intenzione di adottare
una delle decisioni previste agli articoli 2, 3 o 6 del Regolamento n.
17/62 (CGCE caso Brasserie de Haecht II).
b. obbligo di fornire informazioni (articolo 10 (1)): in particolare la
Commissione è tenuta a trasmettere alle autorità competenti le
segnalazioni, le notifiche e i documenti di cui dispone. In primo
luogo,tale potere consente di notificare alle autorità nazionali le
procedure antitrust comunitarie relative alle imprese site nel loro
territorio. In secondo luogo, le autorità antitrust nazionali hanno la
possibilità fornire osservazioni consentendo alla Commissione una
migliore valutazione.
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2.) Obblighi di cooperazione delle autorità nazionali con la Commissione ai sensi
del Regolamento n. 17/62:
a. obbligo di fornire tutte le informazioni previste dall’articolo 11 (1)
b. cooperare negli accertamenti (conformemente all’articolo 14 (5))
Gli Stati possono partecipare al Comitato consultivo mediante propri
rappresentanti. Ciò consente agli Stati di monitorare l’applicazione della
normativa comunitaria sulla concorrenza e di consentire agli stessi di contribuire
all’interpretazione e all’applicazione della predetta normativa.
L’articolo 10 sancisce il principio di cooperazione tra gli Stati membri e le
istituzioni comunitarie. Incomberà anche sulla Commissione, secondo quanto
stabilito dalla Corte di Giustizia, l’obbligo di una leale collaborazione nei
confronti delle autorità giudiziarie degli Stati membri, i quali sono tenuti ad
applicare e ad osservare la normativa comunitaria nel proprio ordinamento. Oltre
al rapporto Stati membri – Comunità, l’articolo 10 può essere considerato come
base per il rapporto di collaborazione tra rispettive autorità antitrust nazionali
degli Stati membri (cd. cooperazione orizzontale) secondo quanto è stato stabilito
dalla Corte di Giustizia nel caso Nikolaos Athanasopoulos – Bundesanstalt fiir
Arbeit.
3.2. Il principio di sussidiarietà e gli appelli al decentramento
A partire dagli anni ’80 si è iniziato un processo di mutamento radicale in
ambito della Comunità che ha raggiunto il culmine nel 1993 con l’unificazione del
mercato interno. Si ha che attualmente le autorità antitrust nazionali applicano con
maggiore efficacia la normativa comunitaria sulla concorrenza e sono meglio
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organizzate. Nella seconda metà degli anni ’80 la Corte di Giustizia ha allargato la
portata della normativa comunitaria antitrust tanto che oggi giorno sono poche le
transazione delle grandi imprese che rimangono fuori dall’ambito di applicazione
degli articoli 81 e 82. A fronte di un tale ampliamento della competenza della
Commissione in materia di concorrenza sono iniziate a nascere istanze per
un’applicazione decentrata della normativa antitrust. La Commissione,
disponendo di limitate risorse rispetto ad un territorio di tale vastità, si trova ad
affrontare un carico di lavoro eccessivo.
Il principio di sussidiarietà introdotto con il Trattato di Maastricht sull’UE
rappresenta la tendenza al decentramento (articolo 5). La Comunità può operare in
quei settori che esulano dalla propria competenza solo se l’obbiettivo, a causa
della sua larga rilevanza o degli effetti dell’azione prevista, può essere meglio
conseguito dalla Comunità che dagli Stati membri. Tuttavia nella Relazione del
1994 sulla politica della concorrenza la Commissione evidenzia come sia
incompatibile con tale settore il principio di sussidiarietà, non potendosi
richiedere che gli Stati controllino loro stessi o si controllino a vicenda.
Occorre però un approccio più flessibile. Il Regolamento sulle concentrazioni
stabilisce un criterio basato sul fatturato che consente di determinare se un caso
debba essere sottoposto alla Commissione per consentire uno one – stop shopping.
Nella Conferenza intergovernativa del 1996 si è proposto ad un abbassamento
delle soglie di fatturato comportando un aggravio di lavoro per la stessa
Commissione. A bilanciamento di ciò si è previsto un maggior ricorso all’articolo
9 per il rinvio dei casi alle autorità antitrust nazionali (cd. clausola tedesca).
17
Con riferimento agli articoli 81 e 82, la ripartizione dei poteri tra la
Commissione e le autorità antitrust nazionali è nel senso di consentire a queste
ultime l’esercizio dei loro poteri, ad eccezione dei poteri di esenzione dell’articolo
81 (3), fintantoché la Commissione non decida di avviare un procedimento
(articolo 9 (3)).
3.3. Metodi di decentramento
Un primo metodo di decentramento consisterebbe nell’ampliamento dei
sistemi di concorrenza nazionali riducendo la portata degli articoli 81 e 82
mediante una revisione dell’interpretazione della Corte di Giustizia sulla nozione
di effetti sul commercio interstatale e un ampliamento della portata delle leggi
nazionali. Due sono gli ordini di problemi che una soluzione del genere solleva. In
primo luogo, essa obbligherebbe ad una maggiore convergenza delle politiche e
delle legislazioni nazionali in materia di concorrenza. In secondo luogo, l’assenza
di un controllo comunitario sulle decisioni delle autorità nazionali ostacolerebbe
un’applicazione convergente delle legislazioni antitrust nazionali.
Un secondo metodo di decentramento consisterebbe nel maggiore
coinvolgimento delle autorità antitrust nazionali in un ampio ambito di
applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato. In altri termini, la soluzione
prevede la possibilità per le autorità di applicare gli articoli 81 e 82 pur rimanendo
soggette al controllo giurisdizionale nazionale e comunitario. Ciò presenta
l’indubbio vantaggio di assicurare un’applicazione più ampia, efficace ed
uniforme.
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L’assegnazione alle autorità nazionali dei casi rientranti negli articoli 81 e 81
dovrebbe avvenire sulla base di criteri di attribuzione esatti ed adeguati. Tali
criteri sono stati elaborati dalla Conferenza dei Direttori Generali delle autorità
antitrust nazionali del 1994:
- gli effetti di un determinato comportamento devono prodursi all’interno di
uno Stato membro e non avere ripercussioni su interessi comunitari
- il caso deve importare una violazione dell’articolo 81 o 82 senza che siano
previste esenzioni
- ogni sistema nazionale deve prevedere un adeguato sistema di indagini,
provvedimenti e sanzioni
L’assegnazione dei casi avverrebbe su base bilaterale tra Comunità e autorità
nazionali. Soddisfatti i criteri di assegnazione quest’ultime avrebbero facoltà di
applicare la normativa comunitaria, nazionale o ambedue.
Con riferimento all’iniziativa riguardo ai singoli casi, ogni autorità nazionale
dovrebbe informare la Commissione dei procedimenti avviati ai sensi degli
articoli 81 e 82 e chiedere a questa di informare le altre autorità nazionali. In caso
di esame di accordo restrittivo disciplinato dalla normativa UE si potrebbe
chiedere l’opinione provvisoria della Commissione sulla probabilità di
un’esenzione. In virtù dell’articolo 9 (3) del Regolamento n. 17/62 la
Commissione può richiamare nella propria competenza procedimenti avviati in
precedenza dalle autorità nazionali. Occorrerebbe che un coordinamento nella fase
preliminare sia presente per un’efficace applicazione delle norme. In particolare la
Commissione dovrebbe emettere una decisione vincolante che attesti la volontà a
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non proseguire il procedimento rimettendo l’iniziativa nelle mani dell’autorità
nazionale.
Con riferimento all’applicazione delle norme, il sistema delineato non richiede
alcun emendamento a livello legislativo e di contro consente un decentramento ed
una ripartizione di compiti tra Commissione e autorità nazionali. Infatti, ad
esempio, se un’autorità nazionale che abbia avviato un procedimento secondo gli
articoli 81 o 82 o in base alle norme antitrust nazionali necessita di informazioni
da un’impresa di un altro Stato membro si rivolgerà alla Commissione che ai sensi
dell’articolo 11 del Regolamento n. 17/62 può ottenere tutte le informazioni
necessarie dalle altre autorità nazionali, dalle imprese o dalle associazioni di
imprese. In base all’articolo 23, la Commissione può chiedere che siano le autorità
antitrust di uno Stato membro, dove deve eseguirsi una certa indagine, a procedere
alla stessa. Ottenute tutte le informazioni necessarie, l’autorità richiedente potrà
essere ammessa alla loro consultazione presso la Commissione. Se nel corso
dell’attività di indagine secondo le norme comunitarie o nazionali l’autorità
procedente viene a conoscenza di un comportamento anticoncorrenziale svolto in
via parallela in un altro Stato membro, tale autorità procedente potrà informare
l’altra tramite la Commissione, che se lo riterrà opportuno potrà anche assumere
la direzione del procedimento.
3.4. La posizione della Corte di Giustizia
Le informazioni ricevute dalla Commissione su propria richiesta o su
iniziativa di un’altra autorità dovrebbero poter essere utilizzate per dimostrare la
violazione degli articoli 81 o 82, fermo il vincolo a non divulgare informazioni
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coperte da segreto professionale. Tuttavia nel caso Banche spagnole, la Corte di
Giustizia ha negato che tali informazioni possano essere utilizzate a tale fine,
sebbene il loro utilizzo sia consentito ai fini di una decisione di iniziare o meno un
procedimento. Sebbene l’articolo 10 (1) preveda la trasmissione delle
informazioni raccolte dalla Commissione alle autorità nazionali, la ratio di questa
disposizione è quella di consentire agli Stati membri di conoscere ogni
procedimento concernente le imprese site nei propri territori. La trasmissione di
tali informazioni non autorizza le autorità che le ricevono ad utilizzarle in
contrasto con il Regolamento 17/62 e con i diritti fondamentali delle imprese in
questione.
L’attenzione posta dalla Corte di Giustizia alla tutela dei diritti delle imprese e
alla coerenza e integrità del sistema comunitario della concorrenza non basta a
fornire un supporto alla conclusione della Corte secondo cui le indagini della
Commissione devono intendersi separate da quelle delle autorità antitrust
nazionali. La Corte sosteneva che l’uso delle informazioni della Commissione in
procedimenti antitrust intrapresi dalle autorità nazionali equivalesse ad un uso per
altri fini (articolo 20 Regolamento n. 17/62). È chiaro che tale interpretazione è
alquanto formalistica poiché le informazioni vengono comunque utilizzate per
applicare lo stesso gruppo di norme. La Corte giunge poi a sostenere, in modo
irragionevole, che i sistemi antitrust nazionali fornirebbero alle imprese una
minore tutela di quanto non faccia il sistema comunitario.
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3.5. Conclusioni
L’applicazione decentrata della normativa comunitaria in tema di concorrenza
secondo la suddetta soluzione presenta il vantaggio di non richiedere alcuna
modifica del Trattato e del Regolamento n. 17/62.
Diversamente all’opinione che vuole un emendamento della disciplina vigente
in ordine all’estensione alle autorità nazionali dei poteri di esenzione considerati
all’articolo 81 (3), la soluzione prospettata è coerente con la posizione della
Commissione che non propone alcuna modifica alla ripartizione di competenze
per l’applicazione degli articoli 81 e 82. In particolare si osserva come sia
opportuno che il potere di concessione di esenzioni rimanga nella sfera di
competenza della Commissione in quanto è richiesta una valutazione di situazioni
economicamente complesse alla luce dei principi del Trattato. Un’indebita
estensione in questo senso minerebbe l’applicazione uniforme delle norme
comunitarie. Affinché fosse possibile intendere un pieno decentramento, tenendo
conto delle esigenze delineate, la Commissione ha determinato una serie di
esenzioni di categoria che si affiancherebbero a quelle individuali.
Non ostante i tentativi della Commissione di incoraggiare una maggiore
collaborazione da parte degli organi nazionali, il persistere delle difficoltà ha
mosso l’organo comunitario ad avviare l’iter di riforma del Regolamento n. 17/62.
La proposta allo studio prevede di sostituire il meccanismo delle esenzioni con un
sistema di eccezione legale (liceità ab initio), mediante il quale, venendo meno
l’onere di notificazione preventiva alle imprese, la Commissione avrà la
possibilità di indirizzare l’attenzione solo sui casi effettivamente più importanti.
22
Sarà consentito alle autorità antitrust e giurisdizionali nazionali di applicare
l’articolo 81 (3). A tutto ciò si aggiunge la previsione che, ove l’intesa sia
suscettibile di pregiudicare il commercio tra Stati membri, la normativa a trovare
esclusiva applicazione sarà quella comunitaria a differenza della situazione attuale
che ammette l’applicazione della normativa nazionale oltre a quella comunitaria e
non ostante la preminenza di quest’ultima.
23
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