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eLEX STUDIO LEGALE BELISARIO SCORZA RICCIO & PARTNERS © Alessio Jacona UN ANNO DI DIRITTO E POLITICA DELL’INNOVAZIONE IN ITALIA www.e-lex.it 2015

Un anno di diritto e politica dell'innovazione - 2015

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eLEX STUDIOLEGALE

BELISARIO SCORZARICCIO & PARTNERS

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UN ANNO DI DIRITTO E POLITICA DELL’INNOVAZIONE

IN ITALIA

www.e-lex.it

2015

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UN ANNO DIGITALMENTE VIBRANTE IL DIRITTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE E LA POLITICA DELL’INNOVAZIONE 4

DIRITTO D’AUTORE ON-LINE 8

IN ARRIVO IL REGOLAMENTO PRIVACY EUROPEO 11

CARTA DI INTERNET “L’ACCESSO ALLA RETE È UN DIRITTO FONDAMENTALE 13

UBER SÌ, UBER NO 15

IN VIGORE IL PROVVEDIMENTO SUI COOKIES 16

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO: VIETATO BLOCCARE YOUTUBE 19

LO SCRIPT PUBBLICITARIO È TUTELATO DAL DIRITTO D’AUTORE 21

QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DELLE MATITE SUL CORRIERE DELLA SERA 23

INDICE

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UNA NUOVA DIRETTIVA PER I MARCHI 27

LO STEMMA DEL BARCELLONA NON È REGISTRABILE COME MARCHIO D’IMPRESA 28

L’ANNO DELL’ADDIO ALLA CARTA IN ATTESA DELLA RIFORMA CAD 30

NASCE LA RESPONSABILITÀ INFORMATICA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 32

LA PA ITALIANA ATTESA ALLA PROVA DEI FOIA 33

SERVE CHIAREZZA SULLA LIBERTÀ DI PANORAMA 35

TRASFERIMENTO DI DATI PERSONALI: QUALI SCENARI DOPO LA FINE DEL SAFE HARBOR 41

CONTENUTI DIFFAMOTORI E OBBLIGHI DEGLI EDITORI ON-LINE 45

ADOTTARE LE REGOLE TECNICHE SPID, FINALMENTE ARRIVANO LE IDENTITÀ DIGITALI 47

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4 www.e-lex.it

ella memoria di chiunque si occupi di diritto e nuove tecnologie il 2015 è

probabilmente destinato a passare alla storia come l’anno della privacy.

Difficile, infatti, immaginarne, sin qui, un altro nel quale le stesse fondamenta del diritto alla privacy siano state messe così tanto e così profondamente in discussione in Europa come negli Stati Uniti.

La Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 6 ottobre con la quale è stata annullata la decisione sul c.d. Safe Harbour rappresenta, probabilmente, il momento simbolicamente più significativo: i Giudici europei che mettono nero su bianco di non ritenere l’Ordinamento statunitense, proprio quello che governa la più parte delle piattaforme e dei servizi online dei giganti della Rete in linea con i principi in materia di tutela della privacy nei quali l’Europa crede e si riconosce.

Ma non sarà per questo – viene da dire sfortunatamente – che il 2015 sembra destinato a passare alla storia come l’anno della privacy.

La ragione rischia, anzi, di essere di segno quasi opposto.

Il 2015 non è stato l’anno nel quale l’Unione europea ha rivendicato con più forza il proprio attaccamento ai principi fondamentali in materia di privacy ma, al contrario, quello nel quale – forse proprio con la sola eccezione della decisione della Corte di Giustizia appena richiamata – vi ha, in buona misura, abdicato o, almeno, si

è ritrovata costretta a prendere atto della circostanza che il diritto alla privacy, anche da questa parte del mondo, è debole, fragile, gracile davanti al diritto alla sicurezza interna ed internazionale ed alla pubblica incolumità.

Le due stragi di Parigi – Charlie Hebdo prima ed il Bataclan subito dopo – hanno inesorabilmente segnato l’approccio con il quale, ora, anche in Europa si guarda alla privacy.

E non è terreno per raffinatezze giuridiche di sorta.

All’unisono o quasi, all’indomani, in particolare, della strage del Bataclan, l’Europa – con sfumature tanto impercettibilmente diverse da apparire a tratti inesistenti – si è ritrovata a guardare al rapporto tra sicurezza e privacy attraverso una lente analoga, se non identica, a quella che – specie dopo l’11 settembre 2001 – usano gli Stati uniti d’America.

Il diritto alla privacy può – e talvolta deve – cedere il passo all’aspettativa di sicurezza.

Ed il destino ha voluto che questo drammatico ribaltamento di fronti si consumasse proprio mentre Europa e Stati Uniti, dopo la richiamata Sentenza della Corte di Giustizia, si ritrovavano seduti al tavolo per negoziare un nuovo Safe Harbour.

Difficile prevedere l’esito di un negoziato al quale le due parti si sono avvicinate muovendo da posizioni distanti che, tuttavia, strada facendo sono divenute più omogenee, a tratti quasi sovrapponibili.

UN ANNO DIGITALMENTE VIBRANTE PER IL DIRITTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE E LA POLITICA DELL’INNOVAZIONE

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Come potrà l’Europa che, in casa propria, dopo i fatti di Parigi, ha sostanzialmente abdicato a buona parte della disciplina in materia di privacy, pretendere che gli USA rinuncino, almeno in parte, all’idea di poter comprimere la privacy – anche dei cittadini europei – ogni qualvolta vengono in rilievo esigenze di sicurezza interna o internazionale?

Ma il fatto che il 2015 sia da dedicare alla privacy, non significa che nel corso dell’anno, chi si occupa di diritto e nuove tecnologie non si sia ritrovato ad occuparsi di tanto di più e di diverso.

Il diritto d’autore è rimasto – come già nel 2014 e come, inesorabilmente, da quasi un lustro – un protagonista indiscusso.

La Corte Costituzionale, in autunno, ha, infatti, dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa alle norme sulle quali riposa il famoso Regolamento AGCOM sulla promozione e tutela del diritto d’autore online e rimesso la palla ai Giudici amministrativi.

Sarà, probabilmente, il 2016 l’anno della prima decisione – non definitiva – sulla legittimità del Regolamento.

Ma, in Italia, il 2015 è stato anche l’anno della pubblicazione della Dichiarazione dei diritti in Internet elaborata dalla Commissione di Studi voluta dalla Presidente della Camera Laura Boldrini e poi approvata in una mozione parlamentare e presentata in novembre, da Stefano Rodotà, all’Internet Governance Forum di Joao Pessoa.

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Flickr - Mixy Lorenzo

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IL 2015 È PROBABILMENTE DESTINATO A PASSARE ALLA STORIA COME L’ANNO DELLA PRIVACY

© Alessio Jacona

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E, sempre guardando al diritto delle nuove tecnologie da casa nostra, non si può dimenticare che nel 2015 ha accesso definitivamente i motori anche SPID, il Sistema pubblico di identità digitale che rappresenta una scommessa importante sia per la c.d. PA digitale che per lo sviluppo e la promozione della fiducia dei consumatori nelle piattaforme e servizi di ecommerce.

Per il resto le suggestioni, i ricordi e le

considerazioni raccolti nelle pagine che seguono dovrebbero consentire a ciascuno di richiamare alla memoria il proprio 2015 all’insegna del diritto e delle nuove tecnologie.

A noi, da qui, rimane solo il piacere di augurare a tutti un 2016 ancora più ricco di stimoli intellettuali, occasioni di riflessione e, naturalmente, soddisfazioni di quanto non sia stato l’anno che si è appena concluso.

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DIRITTO D’AUTORE ON-LINE:

IL REGOLAMENTO AGCOM È FUORI LEGGE PAROLA DELLA CONSULTA. ABBIAMO PERSO TUTTI

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el settembre del 2014, il Tar Lazio davanti al quale in tanti hanno contestato la legittimità del

Regolamento 680/13/CONS in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, dubitando della sostenibilità costituzionale delle norme di legge sulle quali il provvedimento affonda le sue radici, aveva sollevato davanti alla Corte Costituzionale una questione di legittimità.

Il 3 dicembre 2015 è arrivata l’attesa decisione della Corte.

La questione sollevata dal TAR Lazio è stata mal posta, poco chiara, “ancipite”, come si dice in linguaggio tecnico ed è stata pertanto dichiarata inammissibile con una decisione di mero rito senza alcuna pronunzia nel merito.

È rimasto pertanto deluso chi si aspettava che la Consulta, in un modo o nell’altro, avrebbe risolto la querelle ormai in corso da anni tra chi ritiene che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni abbia abusato dei propri poteri varando il Regolamento in questione e quanti – con in testa, naturalmente, la stessa Agcom – si dicono convinti esattamente dell’opposto.

Ma la Corte costituzionale, pur respingendo al mittente la questione di legittimità in quanto mal formulata, ha messo nero su bianco alcune considerazioni che sembrano destinate a segnare il futuro del Regolamento e della “partita” tra “favorevoli” e “contrari” alle nuove norme: “Occorre preliminarmente osservare – scrivono i giudici - che le disposizioni censurate non attribuiscono espressamente ad Agcom un potere regolamentare in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”.

E poi, poco più avanti, sempre la Corte chiarisce il proprio pensiero: “A prescindere da ogni considerazione sulla accuratezza della ricostruzione del quadro normativo e della interpretazione datane dal rimettente, è evidente che nessuna delle disposizioni impugnate, in sé considerata, GLVSRQH�VSHFLˉFDPHQWH�OȠDWWULEX]LRQH�DOOȠDXWRULW¢�GL�YLJLODQ]D�di un potere regolamentare qual è quello esercitato con l’approvazione del regolamento impugnato nei due giudizi davanti al Tar. Esso è desunto dal giudice a quo [i giudici del Tar, ndr], in forza di una lettura congiunta delle previsioni sopra esaminate, che non risulta coerentemente o comunque adeguatamente argomentata”.

La Consulta, pertanto, dubita che l’Autorità per le Garanzie delle comunicazioni disponesse – e disponga – del potere necessario ad ergersi – attraverso il varo di un Regolamento – a “giudice” dei diritti d’autore online.

È il principale dubbio che gli oppositori del Regolamento

segnalano sin dall’inizio della vicenda e che l’Autorità ha, sin qui, respinto con fermezza, sostenendo di aver esercitato poteri attribuitili proprio da quelle norme che, oggi, la Corte Costituzionale non ritiene possano essere lette in tal senso. Ed è evidente che se i giudici della Corte Costituzionale hanno ragione, il Regolamento è illegittimo giacché è stato adottato da un’Autorità priva dei necessari poteri.

Che si sia “fatto il tifo” per il Regolamento o contro, dunque, con la decisione della Corte Costituzionale non vince nessuno e si perde tutti. E si perde per tante ragioni.

Si perde, innanzitutto, perché è evidente che l’epilogo di quella che è ormai divenuta un’autentica epopea istituzionale è ancora lontano giacché la Consulta non ha VFULWWR�QHVVXQD�SDUROD�GHˉQLWLYD�VXO�PHULWR�GHOOD�YLFHQGD��SXU�confermando i dubbi sulla legittimità del Regolamento.

6L�SHUGH�SHUFK«��ˉQR�D�XQD�GHFLVLRQH�GL�PHULWR��FL�VL�ULWURYD�tutti costretti a continuare ad accettare la violazione di un principio cardine del nostro Ordinamento, come quello secondo il quale le regole sono scritte dal Parlamento (o tuttalpiù dal Governo su delega del Parlamento) ed applicate dai Giudici.

Ma si perde tutti soprattutto perché le parole messe nere su bianco dai giudici della Consulta a proposito della mancanza di un adeguato fondamento normativo nell’iniziativa dell’Autorità non potranno restare a lungo inascoltate e, quindi, prima o poi, i giudici del Tar Lazio, davanti al quale pende ancora il giudizio di legittimità del Regolamento (o magari quelli del Consiglio di Stato che potrebbero essere investiti della questione in appello), dovranno riconoscere che un atto amministrativo adottato in assenza di una legge che autorizzi l’Autorità emanante a vararlo è semplicemente illegittimo.

A quel punto bisognerà ricominciare tutto da capo e il lavoro di anni – l’Autorità Garante ha iniziato a lavorare al Regolamento in questione oltre cinque anni fa – e tutte le risorse investite nel Regolamento, sia economiche che lavorative, andranno sprecate per effetto di un elementare principio che impedisce ad un’autorità amministrativa di esercitare, senza adeguata copertura normativa, un potere regolamentare in una materia così delicata, come quella che LQYHVWH�LO�GLIˉFLOH�HTXLOLEULR�WUD�OD�OLEHUW¢�GL�LQIRUPD]LRQH�H�LO�diritto d’autore.

E allora conterà davvero poco dire che nel suo primo anno di vita il Regolamento è stato applicato con equilibrio dall’Autorità perché la questione sarà un’altra: il Regolamento non avrebbe potuto e dovuto mai essere varato.

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el gennaio 2012, la Commissione europea presentò una proposta di Regolamento per la privacy che avrebbe

GRYXWR�XQLˉFDUH�OD�GLVFLSOLQD�VXO�WUDWWDPHQWR�GHL�GDWL�SHUVRQDOL�in tutti i Paesi europei. Il 15 dicembre scorso, dopo lunghe e travagliate negoziazioni, il Parlamento e il Consiglio hanno raggiunto un accordo sul testo da licenziare.

Il Regolamento conterrà importanti novità, che saranno applicabili però solo dal 2018.

Questi i temi principali:

1) one-stop-shop: le imprese potranno indirizzarsi verso un’unica autorità Garante nazionale, in modo da assicurare un risparmio (calcolato in 2,3 miliardi di euro) e una uniformità di applicazione della normativa privacy.

2) imprese extra-UE: il Regolamento troverà applicazione anche nei confronti delle imprese non stabilite in Europa che offrono servizi ai cittadini europei.

3) risk based approach: gli obblighi imposti alle imprese non saranno applicati indiscriminatamente, ma terranno in considerazione i rischi nel trattamento dei dati personali.

4) sanzioni: le sanzioni pecuniarie in caso di trattamento illecito di dati personali sono aumentate sino al 4% del fatturato globale annuo della società, in caso di violazioni particolarmente gravi.

5) diritto di accesso: il Regolamento prevede che le informazioni sulle modalità del trattamento dei dati dovranno essere chiare H�FRPSUHQVLELOL��LQ�PRGR�GD�DVVLFXUDUH�HIˉFDFHPHQWH�LO�GLULWWR�GL�accesso dei cittadini.

6) diritto alla portabilità dei dati: i cittadini europei potranno WUDVIHULUH��VHQ]D�SDUWLFRODUL�GLIˉFROW¢��L�SURSUL�GDWL�SHUVRQDOL�GD�XQ�GLVSRVLWLYR�DG�XQ�DOWUR��6L�WUDWWD�GL�XQ�SURˉOR�GL�SDUWLFRODUH�rilievo, non solo per il caso del passaggio da un operatore ad un altro (frequente nel mercato della telefonia), ma altresì per l’integrazione di dispositivi informatici (si pensi alle tecnologie comunemente che rientrano nel c.d. internet of things).

7) diritto all’oblio: dopo la sentenza Costeja Gonzales è stato il tema che ha maggiormente catalizzato l’interesse degli esperti di privacy. Il Regolamento rafforza il diritto alla cancellazione dei dati e introduce il diritto alla deindicizzazione, in presenza GL�VSHFLˉFL�SUHVXSSRVWL�H�SXUFK«�QRQ�VXVVLVWDQR�UDJLRQL�SHU�conservare i dati.

8) data breach: le autorità Garanti dovranno essere informate

tempestivamente dalle imprese in caso di violazione dei dati personali (es. accesso a banche dati o a sistemi LQIRUPDWLFL���DQFKH�DO�ˉQH�GL�FRQVHQWLUH�DJOL�XWHQWL�GL�adottare le migliori misure di tutela dei propri dati.

���QRWLˉFKH��JOL�REEOLJKL�GL�QRWLˉFD�DOOH�DXWRULW¢�DUDQWL��reputati troppo costosi per le imprese, sono aboliti del tutto.

10) responsabile: le PMI sono esentate dalla nomina di un responsabile per la protezione dei dati, salvo che l’attività di trattamento dei dati non sia la loro attività principale (es. società che vendono liste per il telemarketing).

,O�5HJRODPHQWR�VDU¢�XQD�VˉGD�SHU�OȠ(XURSD��OD�SULYDF\�GHL�cittadini è diventato un tema cruciale, anche dopo i recenti attacchi terroristici parigini.

Dall’altro lato, le imprese dovranno adeguarsi alle nuove regole per tempo, anche attraverso attività di formazione del proprio personale.

Come ha sostenuto Andrus Ansip, Vicepresidente e Commissario responsabile per il Mercato unico digitale: “L’accordo odierno rappresenta una tappa fondamentale verso un mercato unico digitale. Eliminerà le barriere e sbloccherà le opportunità. Il futuro digitale dell’Europa SX´�EDVDUVL�VROR�VXOOD�ˉGXFLD��*UD]LH�D�ULJRURVH�QRUPH�comuni sulla protezione dei dati, le persone possono essere sicure di avere il controllo delle proprie informazioni SHUVRQDOL�H�EHQHˉFLDUH�FRV®�GL�WXWWL�L�VHUYL]L�H�GL�WXWWH�OH�opportunità di un mercato unico digitale. Non dobbiamo considerare la tutela della vita privata e la protezione dei dati come un freno alle attività economiche. Si tratta, in realtà, di un vantaggio competitivo essenziale. L’accordo di oggi costituisce una base solida per aiutare l’Europa a sviluppare servizi digitali innovativi. Il passo successivo FRQVLVWH�QHOOȠHOLPLQDUH�OH�EDUULHUH�LQJLXVWLˉFDWH�FKH�EORFFDQR�LO�ˊXVVR�WUDQVIURQWDOLHUR�GL�GDWL��SUDWLFKH�ORFDOL�H��WDOYROWD��legislazioni nazionali che limitano l’archiviazione e il trattamento di determinati dati al di fuori del territorio nazionale. Dobbiamo quindi andare avanti e costruire un’economia dei dati aperta e prospera nell’UE — fondata sugli standard di protezione dei dati più elevati e priva di EDUULHUH�LQJLXVWLˉFDWHȣ��

L’augurio è che la nuova disciplina possa assicurare un’effettiva tutela per le imprese e garantire alle imprese un risparmio di spesa, per mezzo dell’adozione di regole comuni e di un sostanziale alleggerimento di alcuni obblighi ritenuti inutilmente formalistici.

IN ARRIVO IL REGOLAMENTO PRIVACY EUROPEO

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‘ accesso a Internet è diritto fondamentale della per-sona e condizione per il suo pieno sviluppo individu-

ale e sociale”. È questo l’articolo 2 della Dichiarazione dei diritti in Internet, un documento composto da un preambolo e quattordici articoli che ha visto la luce nella sala del mappamondo della Camera dei Deputati. La presentazione è avvenuta a un anno esatto dall’annuncio, da parte della Presidente della Camera, Laura Boldrini, dell’istituzione della Commissione di studio per l’elaborazione di principi in tema di diritti e doveri relativi ad Internet, presieduta da Stefano Rodotà, con il compito, appunto, di arrivare alla stesura di un Internet bill of rights italiano ma con un’ambizione europea e, anzi, globale.

Non è, infatti, un caso che nella relazione di accompagna-mento si citi espressamente il Marco Civil brasiliano – il primo Internet bill of rights ad essere approvato in un Parlamento – perché è proprio in Brasile, a Joao Pessoa, che il 9 novembre, nel corso dell’Internet Governance Forum 2015, è stata tenuta a battesimo la Dichiarazione dei diritti in Internet, nel suo debutto nella società internazionale.

8Q�JHVWR�FDULFR�GL�VLJQLˉFDWR�SHUFK«��SHU�XQD�YROWD��LO�QRVWUR�Paese si è presentato alla comunità globale che si occupa di Internet, anziché per raccontare degli enormi ritardi e divide digitali che ne rallentano l’ingresso nella società dell’informazione, di una sua eccellenza nello studio ed elaborazione di un insieme di diritti che potrebbero davvero rappresentare il cuore di una Carta costituzionale del cyber-spazio.

E, in effetti, la Dichiarazione dei diritti in Internet “rischia” davvero di andare ad allungare l’elenco dei tanti esempi di italiche virtù destinati ad essere più apprezzati e famosi all’estero che nel nostro Paese, perché, in Italia, per il mo-mento, sarà “solo” una mozione con la quale il Parlamento, a settembre, impegnerà il governo a tenere in debito conto i

SULQF®SL�FKH�YL�VRQR�ˉVVDWL�QHOOH�IXWXUH�LQL]LDWLYH�LQ�PDWHULD�digitale.

Non poco, naturalmente, ma meno di quanto meriterebbe un GRFXPHQWR�FKH�QRQ�ª�HVDJHUDWR�GHˉQLUH�VWRULFR��VLD�SHU�LO�metodo attraverso il quale si è arrivati alla sua stesura – una commissione nell’ambito della quale parlamentari, esperti, stakeholder e società civile si sono confrontati in modo franco ed aperto, acquisendo decine di opinioni e pareri – sia per il suo contenuto.

E basta leggere alcuni passaggi dei quattordici articoli lungo i quali la Dichiarazione dei diritti in Internet si snoda per capire che si tratta di una Carta che va al cuore delle questioni dalle quali dipende il futuro della Rete in Italia e nel mondo e, attraverso la Rete, probabilmente quello di un’umanità che, ormai, vive, dialoga, cresce e si trasforma in una dimensione di interconnessione telematica costante ed universale.

È l’articolo 1, come è giusto che sia, che riassume il senso dell’intera dichiarazione: “Sono garantiti in Internet i diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dalla Dichiarazi-one universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalle costituzioni nazionali e dalle dichiarazioni internazionali in materia”.

Internet non è un altrove rispetto ai nostri Stati, Internet non è un far west, Internet non è altro se non un ambito nuovo – e, anzi, ormai neppure così tanto nuovo – nel quale non c’è ragione per la quale non riconoscere, ad ogni essere umano, quei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino attorno ai quali, la comunità internazionale, con alcune tristi eccezioni, si riconosce ormai da decenni.

E basterebbe, probabilmente questo, se la Dichiarazione dei

CARTA DI INTERNET: “L’ACCESSO ALLA RETE È UN DIRITTO FONDAMENTALE”

“L

AD UN ANNO DALL’INSEDIAMENTO DELLA COMMISSIONE RODOTÀ PER L’ELABORAZIONE DI PRINCIPI IN TEMA DI DIRITTI E DOVERI RELATIVI AD INTERNET, VEDE LA LUCE LA CARTA DI INTERNET

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diritti in Internet fosse, per davvero, una carta costituzionale – e basterà quando lo sarà – per far ordine tra tante piccole e grandi ingiustizie che i cittadini hanno subito e subiscono nella loro dimensione telematica, probabilmente, più spesso per mano degli Stati che li governano che dei grandi protago-nisti privati del web che, pure, naturalmente, non sono senza “peccati”.

Deroghe ed eccezioni ai diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino sono, infatti, negli ultimi lustri – in Italia ed all’estero – diventate tanto frequenti da potersi considerare la regola.

La “velocità” delle comunicazioni online, l’immaterialità delle condotte nelle reti telematiche, la dimensione extraterritoriale H�JOREDOH�GL�LQWHUQHW�KDQQR�ˉQLWR�FRQ�LO�IDU�SDVVDUH�XQ�SULQ-cipio del quale sono intrise decine di leggi, secondo il quale ciò che è tecnicamente possibile fare per contrastare qualsiasi genere di fenomeno illecito – piccolo o grande che sia – può e deve essere considerato anche giuridicamente legittimo e democraticamente sostenibile.

Non si può, quindi, che salutare con entusiasmo – e forse un SL]]LFR�GL�SDWULRWWLFD�ˉHUH]]D�ȝ�OD�'LFKLDUD]LRQH�GHL�GLULWWL�LQ�Internet, quando, navigando tra i suoi articoli, ci si imbatte nel diritto di accesso a Internet, in quello alla conoscenza ed all’educazione anche attraverso il web ed il digitale, nel diritto alla privacy ed all’identità personali ed in quello ad una rete neutrale nella quale ciò che si cerca ed i contenuti o servizi verso i quali si naviga non incidono sulla “libertà di circolazi-one” dei dati e degli utenti.

��GLIˉFLOH��LQ�XQ�LQVLHPH�JL¢�WDQWR�VHOH]LRQDWR�GL�GLULWWL��sceglierne taluni da considerare più importanti degli altri e, quindi, non si può non citare il diritto all’identità personale, troppo spesso minacciato online e quello all’anonimato, come strumento necessario di esercizio di altri diritti e libertà che, SXUWURSSR��OD�VRFLHW¢�QRQ�ª�VXIˉFLHQWHPHQWH�PDWXUD�GD�ODVFLDU�esercitare a volto scoperto.

Eguale menzione meritano il diritto alla sicurezza dei sistemi che costituiscono ormai l’infrastruttura democratica indispen-sabile, tra l’altro, all’esercizio dei nostri diritti di cittadinanza, quello alla lealtà dei gestori delle grandi piattaforme online globali attraverso le quali – ma verrebbe da dire nelle quali – ormai viviamo.

(��JXDL��LQˉQH�D�GLPHQWLFDUH�TXHO�TXDWWRUGLFHVLPR�DUWLFROR�ȝ�forse non a caso lasciato per ultimo perché resti più impresso – dedicato al governo della rete, giacché è evidente che non c’è principio che possa garantire sul serio un futuro libero, democratico e prospero ai cittadini del mondo ai tempi di Internet in assenza di “regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale, volte alla piena attuazione dei principi e diritti prima indicati, per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica”.

Si è sbagliato tanto – forse troppo – nell’approccio ad Internet ed al digitale in questo Paese, troppe regole scritte dalla parte degli oligopolisti di ieri, troppe leggi basate su gravi frain-tendimenti socio-economici, troppi ritardi nel guardare alla Rete come un’opportunità di crescita democratica e culturale prima ed economica poi.

Oggi, la dichiarazione dei diritti in Internet, presentata in Parlamento, elaborata in una dimensione aperta e multi-stakeholder e voluta dalla terza più alta carica dello Stato, rappresenta, forse, almeno un simbolo di riscatto e porta – se non altro – un messaggio di speranza, nella direzione giusta, invitando a credere che il nostro possa ancora essere un Paese capace di dire la sua a livello globale quando si parla di web, digitale e futuro.

© Pucho

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seguito dell’ingresso nel nostro Paese di [Uber] anche il tradizionale servizio radio-taxi si sta evolvendo verso l’adozione di strumenti tecnologici

simili, a dimostrazione di come l’introduzione di queste nuove modalità di fruizione dei servizi di trasporto non di linea rappresenti un ampliamento delle modalità di offerta del servizio a vantaggio del consumatore”.

Uber – compreso il suo servizio Pop che mette in comunicazione autisti non professionisti e consumatori – fa bene al mercato. E’ questo, probabilmente, il principio più VLJQLˉFDWLYR�FKH�OȠ$XWRULW¢�*DUDQWH�SHU�OD�FRQFRUUHQ]D�H�SHU�il mercato ha messo nero su bianco in un proprio parere trasmesso al Ministero dell’Interno nel settembre del 2015.

“Per quel che qui rileva, l’Autorità intende sottolineare con IRU]D�JOL�HYLGHQWL�EHQHˉFL�FRQFRUUHQ]LDOL�H�SHU�L�FRQVXPDWRUL�ˉQDOL�GHULYDQWL�GD�XQD�JHQHUDOH�DIIHUPD]LRQH�GHOOH�QXRYH�piattaforme di comunicazione fra domanda e offerta di servizi di mobilità non di linea. L’utilizzo di questi strumenti, DWWUDYHUVR�XQ�SL»�HIˉFLHQWH�XVR�GHOOD�FDSDFLW¢�GL�RIIHUWD�di servizi di mobilità presente in un dato contesto urbano, consente una maggiore facilità di fruizione del servizio di mobilità, una migliore copertura di una domanda spesso insoddisfatta, una conseguente riduzione dei costi per l’utenza, e nella misura in cui disincentiva l’uso del mezzo SULYDWR��XQ�GHFRQJHVWLRQDPHQWR�GHO�WUDIˉFR�XUEDQR�FRQ�un miglioramento delle condizioni di offerta del servizio GL�WUDVSRUWR�SXEEOLFR�GL�OLQHD�H�GL�FLUFROD]LRQH�GHO�WUDIˉFR�privato”.

Ed è muovendo da queste premesse che “in una prospettiva de iure condendo, l’Autorità auspica l’adozione di una regolamentazione minima di questo tipo di servizi, alla luce dell’esigenza di contemperare interessi meritevoli di tutela: concorrenza, sicurezza stradale e incolumità dei passeggeri, DQFKH�GHˉQHQGR�XQ�ȟWHU]R�JHQHUHȠ�GL�IRUQLWRUL�GL�VHUYL]L�GL�mobilità non di linea (in aggiunta ai taxi ed agli Ncc), ovvero piattaforme on line che connettono i passeggeri con autisti non professionisti”.

Serve, dunque – e su questo sembra non nutrire dubbio alcuno l’Authority del mercato – che il legislatore intervenga ȢFRQ�OD�PDVVLPD�VROOHFLWXGLQH�DO�ˉQH�GL�UHJRODPHQWDUH�ȝ�QHO�modo meno invasivo possibile – queste nuove forme di trasporto non di linea, in modo da consentire un ampliamento

GHOOH�PRGDOLW¢�GL�RIIHUWD�GHO�VHUYL]LR�D�YDQWDJJLR�GHO�FRQVXPDWRUHȣ�H�ȢˉQR�a tale momento – aggiunge l’Autorità – non può che ribadirsi la necessità di un’interpretazione delle norme costituzionalmente orientata con riferimento a UberBlack e UberVan” ma anche a UberPop.

Ed a questo riguardo l’Autorità Garante della concorrenza esclude senza esitazioni che ai servizi tradizionali forniti da Uber – Black e Van – possano applicarsi le vecchie norme, tuttora in vigore, nate per governare il trasporto con conducente giacché: “Una piattaforma digitale che mette in collegamento tramite smartphone la domanda e l’offerta di servizi SUHVWDWL�GD�RSHUDWRUL�1FF�QRQ�SX´�LQIDWWL�SHU�GHˉQL]LRQH�ULVSHWWDUH�XQD�norma che impone agli autisti l’acquisizione del servizio dalla rimessa e LO�ULWRUQR�LQ�ULPHVVD�D�ˉQH�YLDJJLR��6RWWR�TXHVWR�SURˉOR��H�LQ�XQȠRWWLFD�GL�giusto bilanciamento tra i vantaggi concorrenziali derivanti dallo sviluppo di questo tipo di piattaforme digitali (e di tutela degli interessi pubblici ad esse connessi) e la tutela di singole categorie di operatori, seguendo un’interpretazione delle norme costituzionalmente orientata rispettosa del principio di libertà di iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della Costituzione, si ritiene che ai servizi che mettono in collegamento autisti professionisti dotati di autorizzazione Ncc da un lato e domanda di mobilità dall’altro non vadano applicati gli articoli 3 e 11 della legge 21/92”.

0D�OD�SRVL]LRQH�GHOOȠ$QWLWUXVW�HVSUHVVD�DOOD�ˉQH�GHOOȠDQQR�QRQ�ULDVVXPH�in modo esaustivo le alterne vicende che, nel corso del 2015, ha FDUDWWHUL]]DWR�LO�GLIˉFLOH�UDSSRUWR�WUD�8EHU��*LXGLFL�H�OHJJL�QHO�QRVWUR�3DHVH�

Se, infatti, da una parte l’Autorità Antitrust e, anche, l’Autorità per le garanzie nei trasporti hanno, senza esitazioni, suggerito a Governo e Parlamento di cambiare ed aggiornare le regole del gioco in modo da “legalizzare” l’attività delle berline nere di Uber black e quelle delle cugine multicolore di Uber Pop, dall’altra, a più riprese, nel corso del 2015 il Tribunale di Milano ha detto no all’attività di Uber Pop, arrivando ad ordinarne il blocco immediato in accoglimento di un’istanza cautelare, in tal senso, presentata da alcune cooperative di tassisti.

Uber si, quindi, secondo le Autorità indipendenti.

Ma Uber no, secondo i giudici.

E’ questo il bilancio altalenante di una delle partite più rappresentative GHO�GLIˉFLOH�UDSSRUWR�WUD�VKDULQJ�HFRQRP\�H�GLULWWR��JLRFDWHVL��LQ�,WDOLD��QHO�2015.

E il 2016? Sarà l’anno del si o, ancora, del no per Uber ed i suoi emuli?

UBER SÌ, UBER NO

“A

IL CASO DI UBER HA MESSO ALLA LUCE LE DIFFICOLTÀ DEL NOSTRO ORDINAMENTO DI CONFRONTARSI CON LA SHARING ECONOMY E CON LE REGOLE DI CONCORRENZA. UNA SITUAZIONE DESTINATA A MIGLIORARE NEL 2016

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IN VIGORE IL PROVVEDIMENTO SUI COOKIE

IL 3 GIUGNO É ENTRATO IN VIGORE IL PROVVEDIMENTO DEL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI DELL’8 MAGGIO 2014 SULL’UTILIZZO DEI COOKIE DA PARTE DEI SITI INTERNT

© theglassdesk

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ebbene vi sia stato dato un intero anno per l’adeguamento alle prescrizioni normative, l’entrata in vigore del provvedimento sui cookies ha destato molto

DOODUPH��VSHVVR�LQJLXVWLˉFDWR���ULVROWR�SURJUHVVLYDPHQWH�anche grazie all’intervento del Garante per la protezione dei dati personali.

Il provvedimento dell’8 maggio 2014, entrato in vigore il 3 giugno, ha distinto gli adempimenti da porre in essere in relazione alla tipologia di cookie adoperati, vale a dire se VL�WUDWWL�GL�FRRNLH�ȢWHFQLFLȣ�R�FRRNLH�GL�ȢSURˉOD]LRQHȣ��QRQFK«�in relazione al soggetto che installa i cookie sul terminale dell’utente, vale a dire se si tratti del gestore del sito che l’utente sta visitando (c.d. editore) o un soggetto terzo che li installi tramite il primo (cc.dd. terze parti).

6RQR�TXDOLˉFDWL�FRPH�WHFQLFL�L�FRRNLH�GL�QDYLJD]LRQH��R�GL�sessione), di funzionalità e analytics; questi ultimi sono considerati tecnici se adoperati dal gestore del sito per rac-cogliere dati, in forma aggregata, sul numero di utenti e su come questi visitano il sito.

Per l’installazione di tale tipologia di dispositivi il gestore GHO�VLWR�QRQ�RFFRUUH�DFTXLVLUH�XQR�VSHFLˉFR�FRQVHQVR�GD�SDUWH�GHJOL�XWHQWL��PD�FL�VL�SX´�OLPLWDUH�D�IRUQLUH�XQD�VSHFLˉ-ca informativa in proposito, con le modalità che ritenga più opportune.

Al contrario, è necessario acquisire un valido consenso, dopo aver fornito una adeguata informativa, per l’utilizzo di cookie GL�SURˉOD]LRQH��YDOH�D�GLUH�FRRNLH�FKH�FRQVHQWRQR�DO�WLWRODUH�GL�WUDFFLDUH�XQ�SURˉOR�GHOOȠXWHQWH��DO�ˉQH�GL�LQGLUL]]DUJOL�PHV-saggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate nel corso della navigazione.

/ȠXWLOL]]R�GL�WDOL�FRRNLH�GHYH�LQROWUH�HVVHUH�QRWLˉFDWR�DO�*D-rante per la protezione dei dati personali ai sensi dell’art. 37, comma 1,lett. d), D.Lgs. 196/2003.

3HU�OȠHYHQWXDOLW¢�LQ�FXL�LO�VLWR�DGRSHUL�FRRNLH�GL�SURˉOD]L-RQH��LO�*DUDQWH�KD�SUHYLVWR�GHOOH�PRGDOLW¢�VHPSOLˉFDWH�SHU�rendere l’informativa e acquisire il consenso dall’interessato, DO�ˉQH�GL�JDUDQWLUH�DJOL�XWHQWL�XQD�VFHOWD�FRQVDSHYROH�VXOOD�installazione di tali dispositivi sul proprio terminale ma, al tempo stesso, di ridurre al minimo l’impatto sulla navigazi-one e sulla fruizione dei servizi telematici da parte degli utenti stessi.

L’informativa sull’utilizzo dei cookie può rendersi attraverso due livelli di approfondimento successivi: una prima inform-

ativa “breve”, contenuta in un banner presentato all’utente al momento dell’accesso al sito internet, e una informativa “estesa”, richiamata attraverso un link, dove l’utente può acquisire informazioni più complete e intervenire sugli eventuali consensi prestati.

L’informativa breve deve indicare:

ȝ�FKH�LO�VLWR�XWLOL]]D�FRRNLH�GL�SURˉOD]LRQH�

– che il sito consente l’invio di cookie di terze parti, qualora accada;

– un rinvio alla pagina dell’informativa estesa, con la pre-cisazione che in tale pagina è possibile negare il consenso all’installazione di qualsiasi cookie;

– che, proseguendo nella navigazione, l’utente presta il consenso all’installazione dei cookie.

Tale modalità di acquisizione del consenso deve sostanzi-arsi in un’azione positiva, che può consistere in un click su un’immagine o un link, nell’accesso ad un’area del sito o in una qualsiasi azione che espliciti chiaramente tale mani-IHVWD]LRQH�GL�YRORQW¢��,Q�DOWUL�WHUPLQL��QRQ�ª�VXIˉFLHQWH�FKH�l’utente prosegua nella navigazione dopo che è comparso il banner relativo all’utilizzo dei cookie.

Di tale manifestazione del consenso il gestore del sito può conservare prova, avvalendosi eventualmente di un apposito cookie tecnico, evitando così di riproporre nuovamente il banner ad ogni ulteriore visita dell’utente.

Naturalmente, perché il consenso sia pianamente valido, deve essere prestato prima dell’inizio del trattamento dei dati, ossia prima che i cookie siano stati inviati. Ciò vuol dire che il sito deve garantire un momento nel quale nessun cookie non tecnico sia installato sul terminale dell’utente, prima che lo stesso abbia avuto modo di manifestare la propria preferenza.

Il Garante chiarisce che, qualora il sito installi cookie “di terze parti”, l’editore (vale a dire il gestore del sito) opera rispetto a questi ultimi quale mero intermediario tecnico, per cui in tale veste rende l’informativa ed acquisisce il consenso per conto del titolare.

$�WDO�ˉQH�OȠLQIRUPDWLYD�HVWHVD�FKH�LOOXVWUD�OȠXWLOL]]R�GHL�FRRNLH�sul proprio sito deve contenere i link alle informative e ai moduli di consenso delle terze parti.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO: VIETATO BLOCCARE YOUTUBE

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loccare YouTube, come avvenuto in Turchia, viola i diritti dell’uomo, secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo. Una sentenza la cui importanza si spinge ben oltre il caso

di specie.

La Turchia ha violato i diritti dell’uomo bloccando tra il 2008 ed il 2010 YouTube.

Sono queste le conclusioni cui sono giunti i Giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo.

YouTube è, secondo i Giudici “una piattaforma unica che SHUPHWWH�OD�GLIIXVLRQH�GL�LQIRUPD]LRQL�DYHQWL�XQ�VLJQLˉFDWLYR�interesse in particolare in materia politica e sociale” ed è, dunque, da considerare “una fonte di comunicazione impor-tante” con la conseguenza che il suo blocco “rende inac-FHVVLELOL�LQIRUPD]LRQL�VSHFLˉFKH�DOOH�TXDOL�QRQ�ª�SRVVLELOH�accedere attraverso messi diversi”.

E, aggiungono i magistrati dell’Alta Corte dei Diritti dell’uomo, YouTube “permette altresì l’emersione del c.d. citizen journalism che permette di divulgare informazioni politiche ignorate per i grandi media”.

Ed è muovendo da queste premesse che nella Sentenza si arriva alla conclusione che allorquando i Giudici turchi, tra il 2008 ed il 2010 disposero il blocco integrale di YouTube dalla Turchia come sanzione avverso la pubblicazione, sulle pagine della piattaforma di condivisione video di Google, di una decina di video diffamatori all’indirizzo di Ataturk, i diritti fondamentali dell’uomo e, in particolare, quello alla libera manifestazione del pensiero, vennero violati.

Ma, sfortunatamente – almeno per i difensori della libertà di espressione – i Giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo non si spingono a mettere nero su bianco che chiudere una piattaforma come YouTube, pure ritenuta fonda-

mentale per l’esercizio della libertà di informazione del pensiero, in ragione della pubblicazione solo di una manciata di video rite-nuti illegali, sia da considerarsi sempre e comunque un attentato ai diritti fondamentali dell’uomo.

La vera motivazione sulla base della quale i Giudici arrivano alla condanna della Turchia nel caso in questione è, infatti, semplice-mente rappresentata dalla circostanza che, all’epoca, la legge turca non riconosceva ai Giudici, espressamente, il potere di ordi-nare il blocco all’accesso di un’intera piattaforma di condivisione nell’ipotesi in cui fosse contestata solo la legittimità di alcuni contenuti su di essa pubblicati.

La Corte europea, quindi, ha avuto facile gioco nel dichiarare che mancando un presupposto legale per l’adozione del prov-YHGLPHQWR�GL�EORFFR�H�HVVHQGR�SDFLˉFR�FKH�WDOH�SURYYHGLPHQWR�aveva compresso un diritto fondamentale dell’uomo, esso doveva considerarsi illegittimo.

Gli stessi Giudici, tuttavia, nella Sentenza lasciano intendere – senza tanti giri di parole – che l’esito della partita avrebbe potuto essere diverso se si fossero trovati a pronunciarsi sulla base delle leggi in vigore oggi in Turchia, leggi che, sfortunatamente autorizzano espressamente il blocco di un’intera piattaforma anche nell’ipotesi in cui la violazione riguardi solo una manciata di contenuti su di essa pubblicati.

Guai, però, a negare che la Sentenza è comunque importante in quanto la Corte riconosce espressamente la qualità di “vittime” per lesione dei diritti dell’uomo, a dei semplici utenti – ancorché abituali – di YouTube, lesi nel diritto di accedere e consultare i contenuti audiovisivi pubblicati sulla piattaforma.

Una valutazione, quest’ultima, che apre la strada dell’accesso alla giustizia dei diritti dell’uomo all’intero miliardo e mezzo di utenti di servizi online di tutto il mondo.

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LO SCRIPT PUBBLICITARIO E’ TUTELATO DAL DIRITTO D’AUTORE BUONE NOTIZIE PER LA DIFFUSIONE DELLE OPERE: PER LA CORTE DI GIUSTIZIA, “EMBEDDARE” UN VIDEO NON VIOLA IL COPYRIGHT.

l Tribunale di Torino, con una decisione che non ha precedenti, ha riconosciuto il diritto morale d’autore sullo script pubblicitario.

E’ una decisione importante quella con cui il Tribunale di Torino ha riconosciuto Riccardo Pagani come coautore dello spot pubblicitario “Fiat 500 cult yacht”.

Questi i fatti che hanno dato origine alla controversia. Pagani è stato un art director della Leo Burnett dal 2007 al 2014. Nel 2014, nell’ambito di un procedimento di riduzione del personale, è stato posto in cassa integrazione a zero ore: in altre parole, da questa data, ha smesso di lavorare per la celebre agenzia.

Tra i clienti della Leo Burnett, c’è anche la Fiat. E proprio la Fiat, puntando molto sul rilancio di una sua storica DXWRYHWWXUD��GHFLGH�GL�DIˉGDUH�DOOȠDJHQ]LD�PLODQHVH�OD�FDPSDJQD�pubblicitaria per la 500. L’idea della campagna è creata dal Pagani, che raccoglie in uno script il percorso narrativo della réclame, descrivendo ambientazione, protagonisti, tono della voce di fondo e messaggio veicolato. Il tutto viene presentato alla Fiat, che, sul momento, decide di non dare seguito alla trattativa.

Solo successivamente l’idea viene sviluppata da altri dipendenti della Leo Burnett, partendo dallo script originario, e diviene una pubblicità, che fa incetta di premi. In particolare, la pubblicità ULSUHQGH�LO�FODLP�ˉQDOH�LGHDWR�GDO�3DJDQL��ȢQRQ�LPSRUWD�TXDQWR�ª�grande la tua auto, importa quanto è grande il tuo yacht”.

Perché quest’ordinanza è così importante? Perché sembra riconoscere il diritto d’autore – e, in particolare, il diritto morale di paternità – sullo script. La giurisprudenza, per quanto è dato sapere, non si era mai spinta così in avanti. La Cassazione, in una decisione del 2003, aveva infatti riconosciuto il bozzetto come opera tutelata dal diritto d’autore e, quindi, come creazione originale, scissa dal prodotto industriale (la pubblicità) alla quale è associata economicamente, ma non si era ancora occupata degli script.

Per la verità, l’ordinanza in questione sembra voler sviare dal problema, affermando che “ciò di cui qui si discute non è se lo script realizzato dal Pagani sia autonomamente tutelabile come opera”, salvo poi riconoscere, allo stesso Pagani, un diritto di paternità sull’opera.

In altri termini, l’ordinanza non si preoccupa di ricondurre, in astratto, lo script tra le opere protette dal diritto d’autore ed elencate dall’art. 2 della legge n. 633 del 1941 (sebbene sia noto che l’elenco non abbia carattere tassativo e che sia ammessa una protezione anche di altre opere non previste dalla

legge). Tuttavia, ammettendo che il creatore dello script sia autore, eleva lo script stesso a qualcosa di più di una semplice idea (di per sé non tutelata). L’ordinanza, quindi, accorda protezione all’estrinsecazione dell’idea, in linea con il disposto dell’art. 1 della legge sul diritto d’autore, che protegge le opere “qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”.

Seguendo le argomentazioni dei giudici, pare possibile concludere che lo script, di per sé, potrebbe non essere un’opera tutelata, ma che la prova dell’ideazione dello script stesso è un elemento decisivo per riconoscere al suo creatore la paternità sulla pubblicità sviluppata da altri partendo dall’idea originaria.

Il problema che si pone, allora, è quello del deposito dell’opera (o, per essere più precisi, dallo script). Nel caso di specie, il pubblicitario è stato bravo a dimostrare il nesso tra i suoi appunti e la réclame: cosa sarebbe avvenuto, tuttavia, se il giudice si fosse trovato a dover decidere tra l’anteriorità di un’idea, esteriorizzata con foglietti e appunti di un’agenda, e XQD�SXEEOLFLW¢��OD�FXL�GDWD�ª�LQYHFH�FHUWD"�4XDOL�GLIˉFROW¢�VL�sarebbero potute incontrare in un’ipotesi del genere?

Per quanto riguarda la tutela autoriale, l’art. 6 della legge sul diritto d’autore stabilisce che “Il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale SDUWLFRODUH�HVSUHVVLRQH�GHO�ODYRUR�LQWHOOHWWXDOHȣ��&L´�VLJQLˉFD�che è necessario che vi sia concretizzazione, estrinsecazione o esteriorizzazione dell’opera ossia che l’idea venga, per dir così, portata all’esterno e non rimanga nel foro interiore del suo creatore.

La legge, a differenza di quanto spesso si creda, non obbliga SHU´�DO�GHSRVLWR�GHOOȠRSHUD����VXIˉFLHQWH�DYHUH�XQ�PH]]R�GL�prova – ossia un modo di dimostrare l’anteriorità della propria creazione – per essere riconosciuto autore dell’opera stessa: esattamente quello che ha fatto Riccardo Pagani nel caso in questione. Né, tanto meno, è obbligatorio che il deposito sia effettuato presso la SIAE.

Un tempo c’era la prassi – soprattutto per gli autori di opere letterarie – di inviarsi il proprio manoscritto in una busta chiusa, in modo da dimostrare l’anteriorità dell’opera per mezzo del timbro postale. Oggi, per fortuna, esistono strumenti molto più VRˉVWLFDWL�FKH�FRQVHQWRQR�GL�DWWULEXLUH�XQD�GDWD�FHUWD�DOOH�RSHUH��DQFKH�VH�QRQ�DQFRUD�GHˉQLWLYH�

Strumenti ai quali i pubblicitari dovrebbero ricorrere con maggiore frequenza, anche per tutelarsi da plagi e da altre forme di appropriazione, già nelle varie fasi antecedenti l’ultimazione dell’opera. Insomma, per mettere nero su bianco le SURSULH�LGHH��ˉVVDQGROH�QHO�WHPSR�

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l Corriere della Sera scivola sul diritto d’autore: pub-blica un libro di vignette dedicato alle vittime degli attentati di Charlie Hebdo, ma dimentica di chiedere

l’autorizzazione agli autori delle vignette.

Matite in difesa deLlibertà di stampa è il titolo del volume edito da Rcs e distribuito nelle edicole di tutta Italia dopo i primi at-tentati di Parigi. È un volume che raccoglie oltre 300 pagine di vignette di disegnatori di tutto il mondo, incluse alcune vignette pubblicate da Charlie Hebdo.

“Quando la direzione del Corriere della Sera ha deciso di compiere un gesto concreto per aiutare la rivista Charlie Hebdo – scrive Paolo Rastelli nel presentare l’iniziativa – ricordare tutte le vittime dei terroristi – non solo i disegnatori, ma anche gli agenti di polizia e gli avventori del supermercato kosher – e, nello stesso tempo, testimoniare la vocazione del nostro gior-nale contrario a qualunque fanatismo, è venuto naturale pen-sare alla pubblicazione di queste vignette spontanee in un libro il cui ricavato sarebbe stato destinato al settimanale francese”.

Una bella iniziativa, promossa, certamente, nella convinzione di IDUH�OD�FRVD�JLXVWD�HG�DPSOLˉFDUH�OD�IRU]D�GHO�WUDWWR�GHOOH�PDWLWH�di tutto il mondo che, nelle ore immediatamente successive alla strage terroristica di Parigi, sono corse sulla carta a disegnare, FRQ�OD�VWUDRUGLQDULD��WDOYROWD�LUULYHUHQWH��HIˉFDFLD�GHOOD�VDWLUD��straordinari messaggi di libertà.

Peccato solo che, pur di realizzare il volume, si sia scelto di ignorare pressoché completamente i diritti d’autore morali e patrimoniali dei vignettisti ai quali, nella maggior parte dei casi, sembrerebbe non sia stato chiesto neppure il permesso di pubblicare le loro opere che, peraltro, in molti casi, sono state stampate e raccolte nel volume a bassa risoluzione – perché scaricate direttamente da Internet – e in sequenze incomplete per scelte editoriali dello stesso giornale.

Successivamente all’uscita del volume nelle edicole milanesi, però, in Rete è scoppiata la polemica alla quale il Corriere della Sera ha risposto così: “Post Scriptum (dopo le polemiche): Il ricavato di questa operazione, è bene ribadirlo, sarà devoluto interamente a favore delle vittime della strage e del giornale Charlie Hebdo. Aspettare di avere l’assenso formale di tutti gli autori, a nostro giudizio, avrebbe rallentato in maniera sensibile l’operazione. Comunque sul libro, in quarta pagina, c’è scritto con chiarezza che «l’editore dichiara la propria disponibilità verso gli aventi diritto che non fosse riuscito a reperire”.

Ma la circostanza che si sia trattato di un’iniziativa a difesa del-la libertà di espressione e che il ricavato dell’opera sia integral-mente devoluto alle vittime della strage, evidentemente, non

ª�DEEDVWDQ]D�SHU�JLXVWLˉFDUH�OD�JUDYH�FDGXWD�GL�VWLOH�ȝ�H�QRQ�solo – di un editore che mentre da una parte, frequentemente, punta l’indice contro i giganti del web, rei di cannibalizzare gli altrui diritti d’autore, sfruttandoli senza chiedere il permesso, dall’altra, si auto-attribuisce il potere di riformare la legge sul diritto d’autore, ribaltando il principio secondo il quale prima di utilizzare l’altrui opera creativa occorre chiedere ed ottenerne il permesso.

Una regola che sembra non valere per il Corriere che l’ha letteralmente ribaltata, scegliendo di pubblicare tutto salvo riconoscere quanto dovuto agli autori che, pur non essendo stati contattati prima, dovessero poi farsi vivi.

Si è trattato – credo vada scritto con pacatezza ma senza reticenze, né ambiguità – di un brutto episodio, non solo e non WDQWR�SHU�LO�SURˉOR�HFRQRPLFR�ȝ�SXUH�ULOHYDQWH�JLDFFK«�VL�VRQR�sfruttate commercialmente oltre trecento pagine di vignette altrui, nella più parte dei casi senza riconoscere un euro agli au-tori – ma anche e soprattutto perché, in un’iniziativa promossa in nome della libertà di espressione, si è travolta la libertà di pensiero di quanti – autori delle vignette in questione – magari QRQ�DYUHEEHUR�YROXWR�FKH�OD�ORUR�RSHUD�ˉQLVVH�FRQ�LO�GLYHQWDUH�parte del volume collettivo, commercializzato dal Corriere della Sera.

/LEHUW¢�GL�PDQLIHVWD]LRQH�GHO�SHQVLHUR�SHU�WXWWL��VLJQLˉFD�DQFKH�libertà di decidere quando, come e dove ogni manifestazione del proprio pensiero debba circolare, essere condivisa e com-mercializzata. Anche se lo si dimentica molto spesso, il diritto d’autore serve anche a questo. Non si difende la libertà di mani-festazione del pensiero con le matite degli altri senza chiedere permesso.

Guai però a volersi ergere a giudice e condannare le scelte imprenditoriali altrui, solo, magari, la prossima volta quando qualcuno dirà che la legge sul diritto deve essere rivista UDGLFDOPHQWH�SHUFK«�ª�WURSSR�GLIˉFLOH�GD�FRQWHPSHUDUH�FRQ�OD�società dell’informazione nella quale viviamo, c’è da augurarsi che, almeno dalle colonne del Corriere, possa trovarsi supporto anziché ostinata resistenza.

Il mondo è cambiato e se non si cambiano le regole – senza, RYYLDPHQWH��SURIHWL]]DUH�OD�ˉQH�GHO�GLULWWR�GȠDXWRUH�PD�VROR�XQD�profonda rivisitazione delle dinamiche di circolazione dei diritti sui contenuti e del novero delle cosiddette libere utilizzazioni – SX´�FDSLWDUH�FKH��SHUVLQR�XQ�JUDQGH�TXRWLGLDQR�LWDOLDQR��DOˉHUH�convinto della difesa della proprietà intellettuale online, si ritrovi, con le più nobili intenzioni, a violare la legge e pubbli-care un libro pirata

QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DELLE MATITE SUL CORRIERE DELLA SERA

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a Direttiva (UE) 2015/2436 del 16 dicembre 2015 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di PDUFKL�GȠLPSUHVD��H�LO�5HJRODPHQWR��8(������������GHO����GLFHPEUH������UHFDQWH�PRGLˉFD�GHO�UHJRODPHQWR��&(��Q�����������GHO�&RQVLJOLR�VXO�PDUFKLR�FRPXQLWDULR��FKH�PRGLˉFD�LO�UHJRODPHQWR��&(��Q����������GHOOD�&RPPLVVLRQH��UHFDQWH�PRGDOLW¢�GL�

esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario, e che abroga il regolamento (CE) n. 2869/95 della &RPPLVVLRQH�UHODWLYR�DOOH�WDVVH�GD�SDJDUH�DOOȠ8IˉFLR�SHU�OȠDUPRQL]]D]LRQH�GHO�PHUFDWR�LQWHUQR��PDUFKL��GLVHJQL�H�PRGHOOL���VRQR�VWDWL�SXEEOLFDWL�VXOOD�*D]]HWWD�8IˉFLDOH�GHOOȠ8QLRQH�HXURSHD�ULVSHWWLYDPHQWH�LO����H�LO����GLFHPEUH�

,QQDQ]L�WXWWR��GXH�PRGLˉFKH�WHUPLQRORJLFKH��FKH�VRVWLWXLVFRQR�TXHOOH�GL�FXL�DO�5HJRODPHQWR��&(��Q������������OȠ8$0,�SUHQGHU¢�LO�QRPH�GL�8IˉFLR�GHOOȠ8QLRQH�HXURSHD�SHU�OD�SURSULHW¢�LQWHOOHWWXDOH��(8,32��H�LO�PDUFKLR�FRPXQLWDULR��LQYHFH��VDU¢�GHQRPLQDWR�PDUFKLR�dell’Unione europea.

La nuova Direttiva trova applicazione a tutti i marchi d’impresa relativi a prodotti o servizi che formano oggetto di una registrazione R�GL�XQD�GRPDQGD�GL�UHJLVWUD]LRQH�FRPH�PDUFKL�GȠLPSUHVD�LQGLYLGXDOL��PDUFKL�GL�JDUDQ]LD�R�GL�FHUWLˉFD]LRQH��RYYHUR�PDUFKL�FROOHWWLYL�LQ�XQR�6WDWR�PHPEUR�R�SUHVVR�OȠXIˉFLR�%HQHOX[�SHU�OD�SURSULHW¢�LQWHOOHWWXDOH�R�FKH�VRQR�RJJHWWR�GL�XQD�UHJLVWUD]LRQH�LQWHUQD]LRQDOH�che produce effetti in uno Stato membro.

Le tasse da pagare all’EUIPO al momento di deposito saranno ridotte, poichè si pagherà una fee per singola classe merceologica, anziché una tassa che copra sino a tre distinte classi. Le tasse dovute in caso di rinnovazione del marchio, invece, saranno aggiornate automaticamente a far data dal 23 marzo 2016.

,O�WHUPLQH�GHO�UHFHSLPHQWR�ª�ˉVVDWR�DO����JHQQDLR�������DQFKH�VH�DOFXQH�GLVSRVL]LRQL�GRYUDQQR�HVVHUH�UHFHSLWH�VROR�HQWUR�LO����JHQ-naio 2023 (in particolare, l’art. 45, relativo alla procedura per la decadenza o la dichiarazione di nullità).

Fumata grigia, invece, per i segreti commerciali. Il 15 dicembre scorso, la presidenza lussemburghese ha siglato un accordo provviso-rio con i rappresentanti del Parlamento europeo su norme comuni in materia di protezione dei segreti commerciali e delle informazi-oni riservate delle imprese dell’UE. Le diverse regole nazionali, infatti, si frappongono alla realizzazione degli obiettivi del mercato interno, come ha affermato Etienne Schneider, vice primo ministro e ministro dell’economia del Lussemburgo: “Al giorno d’oggi esiste XQD�JUDQGH�YDULHW¢�GL�VLVWHPL�H�GL�GHˉQL]LRQL�QHJOL�6WDWL�PHPEUL�SHU�TXDQWR�ULJXDUGD�LO�WUDWWDPHQWR�H�OD�SURWH]LRQH�GHL�VHJUHWL�FRP-merciali. Questo nuovo strumento apporterà chiarezza giuridica e garantirà condizioni di parità a tutte le imprese europee. Con-tribuirà inoltre ad accrescere il loro interesse nei confronti dello sviluppo di attività di ricerca e d’innovazione”.

UNA NUOVA DIRETTIVA PER I MARCHIIL 2015 SI E’ CHIUSO CON IMPORTANTI NOVITA’ IN MATERIA DI MARCHI DI IMPRESA E CON L’APPROVAZIONE DELLA DIRETTIVA

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on una decisione destinata a far discutere, il Tribunale UE ha negato la registrazione come marchio di impresa allo stemma del Fútbol Club Barcelona, una delle squadre del panorama calcistico più note e più attive sul fronte del marketing e del merchandising.

Il famoso scudo del Fútbol Club Barcelona, stemma di una delle società calcistiche più note e antiche del mondo, non risponde ai requisiti per la registrabilità quale marchio di impresa. È quanto deciso, con sentenza del 10 dicembre 2015 (causa T-615/14), dal Tribunale UE, poiché il marchio non consentirebbe ai consumatori di individuare l’origine commerciale dei prodotti e dei servizi oggetto della domanda di registrazione.

Questi i fatti da cui è originata la decisione in questione. Nell’aprile del 2013, la società calcistica aveva chiesto la registrazione dello stemma, al cui interno è contenuto il logo del Barcellona, caratterizzato dai colori blaugrana, dall’acronimo FCB, la bandiera della Catalogna e la croce di San Giorgio. Le classi per le quali si chiedeva la registrazione HUDQR�OD�����FRPSUHQGHQWH�VWDPSH��IRWRJUDˉH��adesivi), la 25 (abbigliamento; scarpe; cappelleria) e la 41 (istruzione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali).

Per meglio comprendere i termini della controversia, conviene osservare lo stemma del Barcellona (a VLQLVWUD��H�LO�VHJQR�ˉJXUDWLYR�GL�FXL�VL�FKLHGHYD�OD�registrazione (a destra):

La società catalana, quindi, non ha richiesto la registrazione dell’intero stemma (peraltro già oggetto di autonoma registrazione), ma dei contorni dello stesso.

L’UAMI, nel maggio del 2014, aveva già respinto la GRPDQGD��RVVHUYDQGR�FKH�LO�VHJQR�ˉJXUDWLYR�QRQ�sarebbe, di per sé, idoneo a richiamare l’attenzione dei consumatori, non essendo immediatamente riconducibile all’origine commerciale dei prodotti e dei servizi. Avverso tale decisione, il Barcellona ha presentato ricorso al Tribunale dell’Unione europea, chiedendo nuovamente l’accoglimento del deposito del marchio.

Il Tribunale UE, con la decisione summenzionata, ha però confermato la decisione dell’UAMI, statuendo FKH�LO�VHJQR�ˉJXUDWLYR�VDUHEEH�SHUFHSLWR�GDL�consumatori come una forma semplice e non come un marchio di impresa e non consentirebbe loro di distinguere i prodotti o i servizi del suo titolare da quelli delle altre imprese.

La decisione si spinge oltre, negando, in termini generali, che agli stemmi possa essere riconosciuto un carattere distintivo, atteso che “gli stemmi vengono utilizzati abitualmente in ambito FRPPHUFLDOH�D�ˉQL�SXUDPHQWH�GHFRUDWLYL��VHQ]D�rivestire una funzione di marchio”.

Nel caso di specie, peraltro, l’elemento dello scudo non sarebbe predominante del marchio, al pari delle lettere F, C e B (iniziali del nome del club); della combinazione dei colori, che sono quelli della maglietta della squadra di calcio; delle bandiere catalana e della città di Barcellona.

,QˉQH��OD�VRFLHW¢�FDOFLVWLFD�QRQ�VDUHEEH�ULXVFLWD�D�provare, nel corso del giudizio, il carattere distintivo che il simbolo rivestirebbe nel pubblico dei consumatori, così come richiesto dal Regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario.

LO STEMMA DEL BARCELLONA NON E’ REGISTRABILE COME MARCHIO

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IL FAMOSO SCUSO DEL “FU’TBOL CLUB BARCELONA” NON RISPONDE AI REQUISITI PER LA REGISTRABILITA’ QUALE MARCHIO DI IMPRESA

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l’estate del 2015, il Parlamento ha approvato il disegno di legge il disegno di legge recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione

delle amministrazioni pubbliche”, meglio noto come “riforma della pubblica amministrazione” (Legge 7 agosto 2015, n. 124).

��DVVDL�VLJQLˉFDWLYR�FKH�TXHVWR�SURYYHGLPHQWR�ȝDVVDL�complesso e articolato - si apra proprio con le previsioni in materia di digitalizzazione: l’art.1, infatti, contiene la delega al Governo ad adottare nei dodici mesi successivi DOOȠHQWUDWD�LQ�YLJRUH�XQR�R�SL»�GHFUHWL�FKH�PRGLˉFKLQR�il D. Lgs. n. 82/2005 (CAD - Codice dell’Amministrazione Digitale). Si tratta di un elemento non casuale e dal valore evidentemente simbolico: nella riforma della PA è centrale il ruolo delle tecnologie e il punto di partenza deve essere il Codice dell’Amministrazione Digitale.

Il CAD – che proprio nel 2015 ha compiuto dieci anni - rappresentò il tentativo di dotare l’Italia di strumenti giuridici all’avanguardia rispetto a quelli vigenti negli altri Paesi: il legislatore decise, infatti, di imporre normativamente l’innovazione alla pubblica amministrazione. Tuttavia, questa norma è stata in larga SDUWH�GLVDSSOLFDWD�GDJOL�XIˉFL�SXEEOLFL�FKH��TXLQGL��QRQ�hanno saputo cogliere le incredibili opportunità in termini GL�DXPHQWR�GL�HIˉFLHQ]D�H�PLJOLRUH�DOORFD]LRQH�GHOOH�ULVRUVH��A ciò si aggiunga la rapidissima evoluzione delle tecnologie che ha fatto si che il Codice divenisse obsoleto senza essere stato davvero applicato.

Non v’è dubbio, quindi, che la scelta di mettere mano al

quadro normativo in materia di e-government appaia particolarmente azzeccata: senza nuove regole non è pensabile una nuova amministrazione (digitale by default).

In proposito, il legislatore sembra aver imparato dagli errori del passato e, nel dettare i principi che dovranno essere osservati nella stesura dei decreti delegati, attua un rovesciamento di prospettiva: per rendere effettiva la digitalizzazione non insiste ulteriormente sugli obblighi nei confronti delle, ma rafforza i diritti di cittadini e imprese a relazionarsi con la PA e a fruire dei servizi di quest’ultima in modalità telematica.

Alcuni di questi diritti sono timidamente previsti nella normativa attuale, ma – nel caso in cui vengano negati – gli utenti sono costretti ad affrontare contenziosi lunghi e costosi.

Ecco perché nella sua nuova formulazione l’art. 1 DDL è GHGLFDWR�DOOD�GHˉQL]LRQH�GL�XQD�ȢFDUWD�GHOOD�FLWWDGLQDQ]D�digitale”, attraverso la delega al Governo all’adozione di norme che:

D��GHˉQLVFDQR�XQ�OLYHOOR�PLQLPR�GHL�GLULWWL�GLJLWDOL�GHJOL�utenti nei confronti di tutti i livelli amministrativi (accesso D�LQWHUQHW�SUHVVR�JOL�XIˉFL�SXEEOLFL��SRVVLELOLW¢�GL�HIIHWWXDUH�qualsiasi pratica e comunicazione in modalità telematica, e-democracy);

b) consentano di adeguare l’organizzazione delle DPPLQLVWUD]LRQL�DOOH�VˉGH�GHOOD�GLJLWDOL]]D]LRQH��DG�HVHPSLR��ULGHˉQHQGR�OH�FRPSHWHQ]H�GL�XQ�GLULJHQWH�XQLFR�

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L’ANNO DELL’ADDIO ALLA CARTA IN ATTESA DELLA RIFORMA CAD

NEL 2015 LE AMMINISTRAZIONI SONO STATE CHIAMATEAD ATTUARE LE REGOLE TECNICHE IN MATERIA DI DEMATERIALIZZAZIONE DEGLI ATTI E DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI... MENTRE IL PARLAMENTO DELEGAVA IL GOVERNO ALLA RIFORMA DEL CODICE DELL’AMMINISTRAZIONE DIGITALE

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responsabile delle attività di digitalizzazione e agevolando la collaborazione tra le diverse amministrazioni).

1HO�������TXLQGL��OH�DPPLQLVWUD]LRQL�GRYUDQQR�IDUH�L�FRQWL�FRQ�XQ�QXRYR�&$'��VHQ]D�SHU´�YDQLˉFDUH�JOL�VIRU]L�VLQ�TXL�IDWWL��$O�contrario, la piena attuazione delle nuove norme presupporrà il pieno ed integrale adempimento delle regole tecniche in materia GL�GHPDWHULDOL]]D]LRQH�FKH��QHO�������KD�YLVWR�JOL�XIˉFL�SXEEOLFL�SDUWLFRODUPHQWH�LPSHJQDWL��EDVWL�SHQVDUH�DOOȠDGR]LRQH�GHO�SLDQR�di informatizzazione delle procedure previsto dal D. L. n. 90/2014 e dal manuale di gestione documentale previsto dal Dpcm 3 dicembre 2013).

Il quadro delle norme di attuazione, infatti, è ormai completo, a seguito dell’adozione delle regole tecniche sul documento LQIRUPDWLFR�DGRWWDWH�FRQ�'SFP����QRYHPEUH������SXEEOLFDWR�LQ�*D]]HWWD�8IˉFLDOH�LO����JHQQDLR������

Queste regole tecniche rappresentano un elemento fondamentale per la gestione e la conservazione sicura e corretta del documento informatico, l’ultimo tassello per la piena applicazione del Codice dell’Amministrazione digitale. Il Decreto stabilisce infatti tutte le PRGDOLW¢�FRQ�OH�TXDOL�SURGXUUH�XQ�ˉOH�GLJLWDOH�FKH�DEELD�SLHQR�YDORUH�OHJDOH��FKH�VL�WUDWWL�GL�XQ�FHUWLˉFDWR�R�GL�TXDOVLDVL�DOWUR�DWWR�amministrativo. Le pubblica amministrazione hanno quindi tutti gli elementi per lo switch off dal cartaceo al digitale, che dovrà terminare entro l’11 agosto 2016.

(QWUR�WDOH�GDWD��LQIDWWL��VL�GRYU¢�YHULˉFDUH�OD�GHˉQLWLYD�WUDQVL]LRQH�GD�DWWL��IDVFLFROL�H�UHSHUWRUL�FDUWDFHL�DG�DWWL��IDVFLFROL�H�UHSHUWRUL�informatici.

Infatti, l’art. 40 CAD prevede espressamente che le pubbliche amministrazioni “formano gli originali dei propri documenti con mezzi informatici”. Per chi non provvederà – a prescindere da altre sanzioni – vi sarà la conseguenza più grave: l’illegittimità degli atti compiuti dall’amministrazione per vizio di forma informatica.

8QD�YROWD�GHPDWHULDOL]]DWL��GHˉQLWLYDPHQWH��JOL�DWWL�DPPLQLVWUDWLYL��WXWWH�OH�FRPXQLFD]LRQL�GRYUDQQR�HVVHUH�LQYLDWH�WHOHPDWLFDPHQWH�D�tutti i soggetti dotati di un recapito elettronico (tutte le PA, tutte le imprese, tutti i professionisti, i cittadini provvisti di un domicilio digitale). Questa rivoluzione copernicana comporta un necessario adeguamento non solo tecnologico (gli enti hanno necessità di acquisire gli strumenti hardware e software adeguati), ma anche – e forse soprattutto – giuridico ed organizzativo (rivedendo i regolamenti di organizzazione e la modulistica, oltre che provvedendo alla necessaria formazione del personale).

In proposito, vale la pena di ricordare come, sempre nel 2015, la giurisprudenza abbia affermato che la PA non può rigettare l’istanza del privato che non sia riuscita ad aprire laddove il documento informatico sia stato formato nel rispetto delle regole tecniche, essendo tenuta a formare adeguatamente il personale e dotarsi degli strumenti informati necessari (TAR Puglia-Bari, sent. n. 1646/2015).

'RSR�WDQWL�DQQXQFL�H�IDOVH�VSHUDQ]H��VHPEUD�ˉQDOPHQWH�DUULYDWR�LO�PRPHQWR�LQ�FXL�OH�DPPLQLVWUD]LRQL�GLUDQQR�ȢDGGLR�DOOD�FDUWDȣ�

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NASCE LA RESPONSABILITÀ INFORMATICA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

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LA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA TEORIZZA UN NUOVO TIPO DI RESPONSABILITA’ DELA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN MATERIA DI PROGETTAZIONE DEI SISTEMI INFORMATIVI E DEI SERVIZI ON-LINE

I base ai dati del Digital Agenda Scoreboard della Commissione Europea, l’Italia vive un paradosso: è uno dei Paesi con il più elevato numero di servizi on line

disponibili, ma – al tempo stesso – è uno dei Paesi in cui questi servizi vengono utilizzati meno da imprese e cittadini.

Si tratta di un dato che ha due possibili motivazioni. Da un lato i servizi on line sono ancora poco conosciuti dai cittadini italiani (molti dei quali non ha mai avuto accesso alla rete e difetta delle necessarie competenze), dall’altro i servizi sono progettati dalle amministrazioni senza tenere in conto le effettive esigenze dell’utenza (con il risultato che il loro utilizzo è spesso assai complicato e farraginoso).

Eppure, già da anni la legislazione vigente prevede i principi a cui debba attenersi la pubblica amministrazione per la progettazione dei propri servizi.

L’art. 7, comma 1, CAD prevede che le Pubbliche Amministrazioni debbano provvedere alla riorganizzazione ed aggiornamento GHL�SURSUL�VHUYL]L��D�WDO�ˉQH�GHEERQR�XVDUH�OH�WHFQRORJLH�info-telematiche sulla base di una “preventiva analisi delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese anche utilizzando strumenti per la valutazione del grado di soddisfazione degli utenti”.

Si tratta di una disposizione che ha il pregio di evidenziare quali siano i passaggi che le amministrazioni devono seguire nell’erogazione di servizi, nell’ottica di garanzia della qualità e della soddisfazione dell’utenza.

In particolare possono individuarsi due fasi:

• analisi delle esigenze dell’utenza; • valutazione del grado di soddisfazione degli utenti.

Inoltre, nella progettazione e successiva erogazione dei servizi on line, le amministrazioni dovranno ispirarsi a principi di eguaglianza e non discriminazione e garantire sempre la FRPSOHWH]]D�GHO�SURFHGLPHQWR�H�OD�FHUWLˉFD]LRQH�GHOOȠHVLWR��Questo principio ha l’ovvio corollario per cui i servizi on line dovranno essere rispettosi anche delle norme che regolano l’attività amministrativa in generale nonché con quelle che disciplinano i singoli procedimenti.

È quanto affermato da una recente ed importantissima sentenza del giudice amministrativo con la quale il Tar Trento ha affermato la sussistenza della “responsabilità informatica della pubblica amministrazione” (TAR Trento, sent. n. 159/2015)

Il caso alla base della sentenza è quello relativo alla procedura per la trasmissione telematica delle domande per il concorso per l’assegnazione delle farmacie. A causa di un errore nella progettazione della piattaforma telematica un soggetto interessato, pur avendone i titoli, non aveva potuto trasmettere

la propria domanda e si era visto costretto ad impugnare il provvedimento tacito di esclusione dinanzi al TAR.

Le motivazioni della sentenza con cui il collegio trentino ha accolto il ricorso devono ritenersi molto interessanti in relazione alla progettazione di tutti i sistemi informatici della PA e dei servizi on line.

Infatti, la sentenza parte dalla constatazione per cui – alla luce delle norme in materia di amministrazione digitale - l’informatica rappresenta ormai uno strumento doveroso ed imprescindibile. Il T.A.R. Trento afferma, inoltre, che sarebbe gravemente scorretto intendere il procedimento amministrativo informatico come una sorta di amministrazione parallela, che opera in piena indipendenza dai mezzi e dagli uomini, e che i dipendenti si devono limitare a osservare con passiva rassegnazione (se non con il sollievo che può derivare dal discarico di responsabilità e decisioni). Al contrario, le risposte del sistema informatico sono oggettivamente imputabili all’amministrazione e dunque alle persone che ne hanno la responsabilità.

Ecco quindi che nasce il concetto di “responsabilità informatica” della pubblica amministrazione: se l’uso delle tecnologie comporta degli esiti anomali o, addirittura, l’adozione di atti LOOHJLWWLPL�GD�SDUWH�GHOOD�3$��VL�FRQˉJXUD�VHQ]D�GXEELR�XQD�responsabilità di chi ne ha predisposto il funzionamento senza FRQVLGHUDUH�WDOL�FRQVHJXHQ]H��4XHVWR�VLJQLˉFD��TXLQGL��FKH�WDQWR�in sede di progettazione quanto di collaudo i dirigenti dovranno YHULˉFDUH�FRQ�DWWHQ]LRQH�OD�ULVSRQGHQ]D�GHO�IXQ]LRQDPHQWR�GHL�sistemi informatici (e l’adeguatezza dei software utilizzati) alla normativa che disciplina i singoli procedimenti amministrativi.

Inoltre, la pronuncia del TAR Trento afferma anche la responsabilità omissiva del dipendente che, tempestivamente informato, non si sia adoperato per svolgere, secondo i principi di legalità e imparzialità, tutte quelle attività che, in concreto, possano soddisfare le legittime pretese del privato che abbia segnalato lo scorretto funzionamento delle procedure informatiche.

4XHVWR�VLJQLˉFD�FKH�ȝ�LQ�FDVR�GL�VHUYL]L�H�SURFHGXUH�RQ�OLQH�ȝ�OH�amministrazioni dovranno consentire sempre agli utenti di poter comunicare eventuali anomalie ed attivarsi immediatamente in modo da consentire la presentazione tempestiva delle dichiarazioni e delle istanze (ad esempio, consentendo in autotutela la trasmissione delle stesse via PEC).

Le implicazioni della “responsabilità informatica” della PA sono rilevanti: dirigenti e funzionari rispondono del corretto funzionamento dei sistemi informatici sia sotto il SURˉOR�GLVFLSOLQDUH�VLD�HUDULDOH��SHU�WXWWL�L�GDQQL�FDJLRQDWL�all’amministrazione e ai privati da sistemi non correttamente progettati).

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LA PA ITALIANA ATTESA ALLA PROVA DEL FOIA

l processo di apertura della pubblica amministrazione italiana ha registrato nel corso del 2015 una serie di tappe assai importanti.

L’Italia ha aderito all’International Open Data Charter, un progetto multilaterale che ha visto insieme Governi e organizzazioni della società civile di tutto il mondo per scrivere un documento che ha l’obiettivo di rendere globale e sempre più effettivo il processo di apertura dei dati della pubblica amministrazione.

Parallelamente, con il D. Lgs. n. 102/2015, si è provveduto al recepimento della Direttiva UE sul riutilizzo dell’informazione della pubblica amministrazione (Dir. n. 2013/37/UE). La normativa comunitaria si basa sulla considerazione che i dati detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni costituiscono una vera e propria risorsa da sfruttare per la crescita economica e per la creazione di posti di lavoro e, pertanto, ne promuove il riutilizzo.

3HU�ULXWLOL]]R�VȠLQWHQGH�ȢOȠXVR�GL�GRFXPHQWL�LQ�SRVVHVVR�GL�HQWL�SXEEOLFL�GD�SDUWH�GL�SHUVRQH�ˉVLFKH�R�JLXULGLFKH�D�ˉQL�commerciali o non commerciali diversi dallo scopo iniziale nell’ambito dei compiti di servizio pubblico per i quali i documenti sono stati prodotti. Lo scambio di documenti tra enti pubblici esclusivamente in adempimento dei loro compiti di servizio pubblico non costituisce riutilizzo” (art. 2, comma 1, lett. e) D. Lgs. n. 36/2006);.

Normativamente, però, il provvedimento più importante per il processo di apertura della pubblica amministrazione è Con il

I

LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DELEGA IL GOVERNO ALL’ADOZIONE DI UNA NORMA SULL’ACCESSO AI DATI E AI DOCUMENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: SARA’ VERO FOIA?

© Janeke88

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'��/JV��Q�����������VL�ª�PRGLˉFDWR�LO�'��/JV��Q����������FKH�regola criteri e principi del riutilizzo, prevedendo un favore verso la gratuità del riutilizzo da parte dei privati dei dati delle pubbliche amministrazioni.

rappresentata dalla delega contenuta all’art. 7 della Legge di riforma della pubblica amministrazione (Legge 7 agosto 2015, n.124) e relativa alla riforma della normativa in materia di accesso agli atti e ai documenti delle pubbliche amministrazioni.

d un anno dal lancio di Foia4Italy– la campagna per l’adozione anche in Italia di una legge che garantisca a tutti i cittadini l’accesso agli atti e ai documenti della pubblica amministrazione – il Parlamento ha approvato (all’unanimità) la delega al Governo ad adottare un Freedom of information act,

Nelle prossime settimane, quindi, il Governo dovrà approvare un decreto che superi la vecchia disciplina in materia di DFFHVVR�DJOL�DWWL��FKH�ULVDOH�DO�������H�GRWL�ˉQDOPHQWH�OȠ,WDOLD�GL�XQR�VWUXPHQWR�HIˉFDFH�SHU�OD�ORWWD�DOOD�FRUUX]LRQH�H�SHU�ULVWDELOLUH�OD�ˉGXFLD�WUD�FLWWDGLQL�H�DPPLQLVWUDWRUL��6L�WUDWWD�di un risultato importante, perché frutto di un processo aperto di collaborazione in cui ognuno ha fatto la sua parte. Da anni, infatti, ripetevamo che il nostro Paese viveva un’emergenza in termini di trasparenza (e i risultati sono sotto gli occhi di tutti con l’Italia al 97° posto su 102 del 57,�UDWLQJ��OD�SULQFLSDOH�FODVVLˉFD�LQWHUQD]LRQDOH�LQ�PDWHULD���Eppure il tema ha faticato ad uscire da una ristretta cerchia di addetti ai lavori e ad imporsi all’attenzione del dibattito pubblico.

Il progetto di Foia4Italy è stato importante perché ha provato ad andare oltre la semplice denuncia: oltre 30 associazioni– con un metodo inclusivo – hanno scritto insieme una proposta di legge (sottoponendola a Governo e Parlamento) e hanno avviato una campagna (raccogliendo ROWUH�FLQTXDQWDPLOD�ˉUPH��

E questo lavoro ha pagato: grazie all’impegno del Parlamento, con l’approvazione della riforma della PA è stato compiuto il primo passo formale verso un FOIA italiano. Si dice espressamente che l’accesso dovrà essere consentito a chiunque (indipendentemente dall’interesse fatto valere) e che dovranno essere previste sanzioni per le amministrazioni che non rispetteranno tale obbligo.

C’è di che essere contenti, ma non ancora soddisfatti: la strada, infatti, è ancora lunga.

Innanzitutto, è necessario che il testo del decreto sia il più evoluto possibile e rispetti dieci principi fondamentali:

1. Il diritto di accesso deve essere previsto per chiunque, senza obbligo di motivazione (eliminando le restrizioni previste dalla Legge n. 241/1990)

2. Devono essere oggetto dell’accesso tutti i documenti, gli atti, le informazioni e i dati formati, detenuti o comunque in possesso di un soggetto pubblico

3. Si deve applicare non solo alle amministrazioni ma anche alle società partecipate e ai gestori di servizi pubblici

4. le risposte delle amministrazioni devono essere rapide (max 30 gg)

5. le eccezioni all’accesso devono essere chiare e tassative

6. l’accesso a documenti informatici deve essere gratuito (non devono essere corrisposti dovuti nemmeno costi di riproduzione)

7. nel caso di atti e documenti analogici, deve essere richiesto solo il costo effettivo di riproduzione e di ventuale spedizione.

8. Quando un’informazione è stata oggetto di almeno tre distinte richieste di accesso, l’amministrazione deve pubblicare l’informazione nella sezione “Amministrazione Trasparente”.

9. In caso di accesso negato, i rimedi giudiziari e stragiudiziali devono essere veloci e non onerosi per il richiedente.

10. Vanno previste sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato.

Ma, a dire il vero, non potremo essere soddisfatti neanche quando una norma così costruita sarà approvata: infatti, la SXEEOLFD]LRQH�LQ�*D]]HWWD�8IˉFLDOH�GL�XQD�OHJJH��DQFKH�OD�migliore possibile, non serve se poi quella legge rimane sulla carta.

/D�VˉGD�FKH�FL�DWWHQGH��TXLQGL��QRQ�ª�VROR�ª�TXHOOD�GL�VFULYHUH�un FOIA evoluto ed utile, ma di metterlo nelle mani dei cittadini, facendo loro capire che si tratta dello strumento democratico più importante dopo il diritto di voto.

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ˉQH�JLXJQR��OD�&RPPLVVLRQH�JLXULGLFD�KD�YRWDWR�LO�UDSSRUWR�GHOOȠHXURGHSXWDWD�-XOLD�5HGD�VXOOD�PRGLˉFD�delle regole comunitarie sul copyright e, in

particolare, sulla revisione della direttiva InfoSoc.

Uno dei punti più controversi, sui quali infatti non è stato raggiunto alcun accordo, è quello della libertà di panorama, materia sulla quale l’art. 5(3)(h) della Direttiva InfoSoc ha rimesso alla discrezionalità degli Stati membri la possibilità di introdurre eccezioni alle regole nazionali sul copyright.

La libertà di panorama consiste nella possibilità GL�HIIHWWXDUH�ULSUHVH�R�VFDWWDUH�IRWRJUDˉH�GL�RSHUH�dell’architettura o di opere d’arte collocate in un luogo pubblico. I singoli Stati dell’Unione europea, in assenza di un’indicazione dalla legislazione comunitaria, hanno adottato approcci differenti, che spaziano da una libertà assoluta, tipica degli ordinamenti di common law, a fortissime chiusure, come quelle suggerite recentemente dai giudici francesi. In Italia, non ci sono norme che disciplinino la questione e, nel silenzio della legge, deve ritenersi che, in caso di opere protette e non cadute in pubblico dominio, sia necessario pagare i diritti o ottenere una licenza per le riprese o le foto di tali beni.

La frammentazione legislativa dei singoli ordinamenti QD]LRQDOL�DYHYD�VXJJHULWR�GL�LQWURGXUUH�XQD�PRGLˉFD��FKH�consentisse foto e riprese di opere protette, purché collocate a titolo stabile in un luogo pubblico. Si pensi, ad esempio, al museo dell’Ara Pacis: è un’opera dell’architettura, tutelata dal diritto d’autore, i cui diritti non sono ancora caduti in pubblico dominio, liberamente visibile e stabilmente collocata in un luogo pubblico. Istintivamente, si potrebbe pensare che si tratti di un bene comune, perché oggetto della fruizione indistinta e non soggetta a restrizioni da parte di tutta la collettività.

Tuttavia, per alcuni, così non è. Infatti, a “controbilanciare” l’emendamento della Reda, è stato depositato un contro-HPHQGDPHQWR��LO�Q�������D�ˉUPD�GHOOȠHXURGHSXWDWR�VRFLDOLVWD�Jean-Marie Cavada. Emendamento che proponeva che ogni ULSUHVD�R�IRWR�GL�EHQL�VLWXDWL�LQ�VSD]L�SXEEOLFL��H�ȢˉVLFLȣ��FRPH�pedantemente si precisava nel testo dell’emendamento) dovesse essere soggetta, per tutti i Paesi dell’Unione europea, all’autorizzazione preventiva del titolare dei diritti d’autore (e, quindi, salvo il caso di licenze a titolo gratuito, al

pagamento dei relativi diritti).

Entrambi gli emendamenti sono stati bocciati dal Parlamento europeo il 9 luglio scorso: un pareggio a reti inviolate, per ricorrere a una metafora calcistica. E, quindi, ritorno all’incertezza precedente, soprattutto per quei Paesi, come il nostro, in cui non esiste una legislazione ad hoc sull’argomento.

Si resta, quindi, in uno stato di incertezza. Tuttavia, provando a tratteggiare i contorni di un vademecum per artisti e altri operatori culturali, proviamo a scomporre le varie ipotesi, pur nella consapevolezza che, in taluni casi, non vi sia una risposta certa.

Sembra opportuno sgombrare il campo da talune idee errate che si stanno diffondendo. Ad esempio, l’idea VHFRQGR�FXL�OH�IRWRJUDˉH�DL�PRQXPHQWL��DL�EHQL�FXOWXUDOL�H�alle opere protette dal diritto d’autore sarebbe vietate in WXWWL�L�FDVL��&RV®�QRQ�ª��OH�IRWR�SHU�ˉQDOLW¢�SHUVRQDOL�VRQR�infatti ammesse e lecite. Se visito un museo, posso farmi fotografare accanto ad un dipinto o ad una scultura, se poi quella foto è destinata ad un album dei ricordi (per i più retrò) o alla memoria del mio computer o del mio smartphone. Diverso, ma lo si vedrà a breve, è il caso in FXL�YRJOLD�XWLOL]]DUH�TXHOOȠLPPDJLQH�SHU�ˉQDOLW¢�DOWUH��FKH�fuoriescono dall’ambito strettamente personale.

Si è anche detto che non sarebbe possibile pubblicare le foto personali sulla propria pagina di Facebook. Questa seconda affermazione è astrattamente corretta, atteso che Facebook (e, in genere, i social network) acquisiscono dagli utenti, al momento della registrazione alla piattaforma, il diritto di riutilizzare le loro immagini, in virtù di una co-licenza. Peraltro, sempre nelle condizioni di accesso ai social network, dichiariamo di essere titolari dei diritti dei contenuti che pubblichiamo. Insomma, se scattate la foto nel museo e la tenete per voi, nessun problema.

Posso pubblicare la foto delle dee Iside e Sekhmet del Museo egizio di Torino? Ovvero, beni pubblici non collocati all’esterno, in pubblico dominio

È il caso dei beni di proprietà dello Stato che sono custoditi in musei, biblioteche, archivi e così via discorrendo: si pensi, a titolo di esempio, ad un vaso etrusco custodito al Museo

SERVE CHIAREZZA SULLA LIBERTÀ DI PANORAMA

A

SI È FATTO UN GRAN PARLARE NEGLI ULTIMI MESI SULLA LIBERTÀ DI PANORAMA E SULLA POSSIBILITÀ DI FOTOGRAFARE BENI CULTURALI COLLOCATI IN SPAZI PUBBLICI. NON DOVREMMO DIMENTICARE CHE IL DIRITTO D’AUTORE DOVREBBE PROMUOVERE LA CREATIVITÀ E NON ESSERE LIMITE ALLA DIFFUSIONE DELLA CULTURA

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Guarnacci di Volterra. La fruizione di tali beni è riservata, nel senso che occorre accedere, pagando un biglietto o meno, al luogo in FXL�L�EHQL�VWHVVL�VRQR�ˉVLFDPHQWH�FRQVHUYDWL�

Si tratta di un’ipotesi la cui risoluzione è agevole, perché espressamente disciplinata dal Codice dei beni culturali, che, all’art. 107, stabilisce che «Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna». I canoni di concessione e i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni e, quindi, dalla singola istituzione museale, dalla singola biblioteca, ecc.

Canoni e corrispettivi, da pagare in genere in via anticipata, non sono dovuti in caso di utilizzazione per scopi strettamente personali RYYHUR�SHU�PRWLYL�GL�VWXGLR�R��DQFRUD��PD�VROR�QHO�FDVR�GL�VRJJHWWL�SXEEOLFL��SHU�ˉQDOLW¢�GL�YDORUL]]D]LRQH�GHL�EHQL�VWHVVL�

Posso pubblicare le foto dei quadri di Mario Schifano al MACRO? Ovvero, beni pubblici non collocati all’esterno, non in pubblico dominio

/ȠLSRWHVL�ª�VLPLOH�DOOD�SUHFHGHQWH��FRQ�XQD�VLJQLˉFDWLYD�YDULD]LRQH�VXO�WHPD��LQ�TXHVWR�FDVR��OH�RSHUH�QRQ�VRQR�FDGXWH�LQ�SXEEOLFR�dominio e, quindi, l’autore o altro titolare può ancora vantare i diritti sullo sfruttamento commerciale delle opere stesse. È il caso di un quadro il cui autore sia ancora vivente ovvero non sia morto da almeno settant’anni.

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Salvo talune eccezioni, infatti, le opere cadono in pubblico dominio decorsi settant’anni dalla morte del loro autore. Vi è però una discrasia tra opere tutelate dalla legge sul diritto d’autore e i beni tutelati dal Codice dei beni culturali. Le prime sono tutte «le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla PXVLFD��DOOH�DUWL�ˉJXUDWLYH��DOOȠDUFKLWHWWXUD��DO�WHDWUR�HG�DOOD�FLQHPDWRJUDˉD��TXDOXQTXH�QH�VLD�LO�PRGR�R�OD�IRUPD�GL�espressione». I beni culturali, invece, sono «le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto SXEEOLFR�H�D�SHUVRQH�JLXULGLFKH�SULYDWH�VHQ]D�ˉQH�GL�OXFUR��ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico». Su tali ultimi beni è esercitata, ai sensi GHOOȠDUW�����GHO�&RGLFH�GHL�EHQL�FXOWXUDOL��XQD�YHULˉFD�GL�interesse culturale che riguarda i beni, mobili o immobili, «che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni».

Nell’ipotesi ora considerata, per foto o video che riprendano le opere non cadute in pubblico dominio, occorrerà FRPXQTXH�ULYROJHUVL�DOOȠHQWH�FKH�OH�GHWLHQH��DO�ˉQH�GL�valutare la sussistenza di eventuali accordi di licenza: potrebbe essere possibile, in altri termini, che i diritti di sfruttamento economico delle opere siano stati ceduti dall’autore all’ente stesso e che, quindi, i diritti d’autore vadano pagati a tale soggetto e non all’autore. La Corte di Cassazione, sul punto, ha chiarito che la riproduzione di un’opera (anche nel caso in cui si realizzi un’opera GHULYDWD��FRPH�QHO�FDVR�GL�IRWRJUDˉD�R�GL�YLGHR�GHOOȠRSHUD�originaria) è coperta dal diritto d’autore, che «non vieta VROR�OD�PROWLSOLFD]LRQH�GL�FRSLH�ˉVLFDPHQWH�LGHQWLFKH�all’originale, ma protegge l’utilizzazione economica che può effettuare l’autore mediante qualunque altro tipo di moltiplicazione dell’opera in grado d’inserirsi nel mercato della riproduzione» (Cass., n. 11343/1996).

Sono ammesse, tuttavia, alcune eccezioni, elencate dagli artt. 65 e seguenti della legge sul diritto d’autore. Tra le varie ipotesi contemplate dalla legge, merita di essere ricordata quella di cui all’art. 70, comma 1-bis, che concerne la pubblicazione delle opere cc.dd. degradate o a bassa risoluzione. Si tratta di riproduzioni di immagini o di musiche, realizzate per mezzo di internet e in assenza di uno scopo di lucro. In altri termini, è possibile riprendere OLEHUDPHQWH�OD�IRWRJUDˉD�GL�XQ�EHQH�WXWHODWR�GDO�GLULWWR�d’autore e pubblicarla sul proprio sito internet, purché ricorrano i tre presupposti anzidetti.

Pare opportuno precisare, anche in relazione alla prima ipotesi elencata, che la giurisprudenza ha sempre interpretato in senso restrittivo le nozioni di uso personale e di assenza di scopo di lucro. Si pensi al caso GL�XQD�IRWRJUDˉD�GHVWLQDWD�D�XQ�FDOHQGDULR�GLVWULEXLWR�gratuitamente: sebbene non vi sia un ritorno economico diretto per l’autore della pubblicazione, tuttavia lo scopo di lucro non è escluso, giacché, per mezzo della pubblicazione stessa, l’autore potrebbe farsi pubblicità ovvero ospitare inserzioni pubblicitarie all’interno della propria opera. Lo VWHVVR��GHO�UHVWR��YDOH�DQFKH�SHU�L�ˉQL�GL�VWXGLR��SXEEOLFDUH�

la foto di un’opera tutelata dalla legge sul diritto d’autore o dal Codice dei beni culturali all’interno di un’antologia scolastica non esclude il pagamento dei diritti e dei canoni previsti dalla legge.

Posso pubblicare una foto del Colosseo? Ovvero, beni collocati all’esterno, in pubblico dominio

Entriamo adesso nelle ipotesi non disciplinate espressamente dalla legge italiana. La prima è quella dei beni pubblici collocati all’esterno e caduti in pubblico dominio: si pensi, ad esempio, al Colosseo, opera dell’architettura su cui non vi sono diritti d’autore.

Se scatto una foto del Colosseo e dopo creo una serie di cartoline, sono tenuto a pagare qualche ente? Il Comune di Roma? Lo Stato?

Nel silenzio della legge, la risposta – a parere di chi scrive – deve essere di segno negativo.

È vero che il Codice dei beni culturali, agli artt. 107 e 108, ricorre ad un’espressione ambigua, discorrendo di «beni in consegna al Ministero, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali», senza distinguere tra beni collocati all’esterno o all’interno ovvero tra beni visibili senza accedere ad un luogo e beni conservati in musei, biblioteche, pinacoteche, ecc.

Sebbene l’analisi del diritto straniero evidenzi esempi di segno opposto (celebre è la proposta di legge egiziana FKH�YROHYD�LPSRUUH�GHOOH�UR\DOWLHV�VXOOH�IRWRJUDˉH�GHOOH�piramidi), la risposta, a nostro avviso, porta a ritenere che tali beni siano soggetti alla disciplina dei commons ossia siano beni comuni, fruibili, in qualsiasi modo, da chiunque.

Sul punto, ancorandoci all’analisi del diritto interno, deve essere segnalata l’interrogazione parlamentare depositata il 28 settembre 2007 dagli onorevoli Franco Grillini e Cinzia Dato, nella quale si chiedeva all’allora Ministro della Cultura, Francesco Rutelli, di disciplinare nel nostro ordinamento la libertà di panorama. La risposta GHOOȠ8IˉFLR�OHJLVODWLYR��GDWDWD���IHEEUDLR������H�ˉUPDWD�GDO�sottosegretario Danielle Mazzonis, sembra confermare la nostra interpretazione: «Pur non essendo espressamente disciplinata nel nostro ordinamento, la libertà di panorama ossia il diritto spettante a chiunque di fotografare soggetti visibili, in particolare monumenti ed opere dell’architettura contemporanea, è riconosciuta in Italia per il noto principio secondo il quale il comportamento che non è vietato da una norma deve considerarsi lecito. In altre legislazioni, invece, tale diritto è disciplinato diversamente a seconda dell’interesse che si ritiene di tutelare prevalentemente (si pensi, ad esempio, alla legislazione belga ed a quella olandese che consentono di fotografare liberamente solo JOL�HGLˉFL�PHQWUH�ª�QHFHVVDULD�OD�ULFKLHVWD�GL�XQ�SHUPHVVR�per le sculture ove costituiscano il soggetto principale della IRWRJUDˉD��RSSXUH�D�TXHOOD�WHGHVFD�VHFRQGR�FXL�ª�SRVVLELOH�invece fotografare anche le sculture pubblicamente visibili SHU�XVL�FRPPHUFLDOL��LQˉQH�D�TXHOOD�VWDWXQLWHQVH�FKH��similmente a quella italiana consente di poter utilizzare le

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IRWRJUDˉH�VFDWWDWH�LQ�OXRJKL�SXEEOLFL�R�DSHUWL�DO�SXEEOLFR�per qualunque scopo, salvo che si tratti di opere d’arte non stabilmente installate in un luogo pubblico poiché in tal caso è necessaria l’autorizzazione del titolare). In Italia, non HVVHQGR�SUHYLVWD�XQD�GLVFLSOLQD�VSHFLˉFD��GHYH�ULWHQHUVL�OHFLWR�e quindi possibile fotografare liberamente tutte le opere YLVLELOL��GDO�QXRYR�HGLˉFLR�GHOOȠ$UD�3DFLV�DO�&RORVVHR��SHU�TXDOXQTXH�VFRSR�DQFKH�FRPPHUFLDOH�VDOYR�FKH��PRGLˉFDQGR�o alterando il soggetto, non si arrivi ad offenderne il decoro ed i valori che esso esprime».

La risposta del Ministero riconosce, quindi, una generale libertà di panorama nel nostro ordinamento, sulla base del principio (invero discutibile) secondo cui sarebbe lecito tutto ciò che non è espressamente vietato.

Non è infrequente, tuttavia, imbattersi in regolamenti di amministrazioni locali che, come nel caso del Comune di Lucca, richiedono autorizzazioni preventive, oltre al SDJDPHQWR�GL�GLULWWL��QHO�FDVR�GL�IRWRJUDˉH�R�ULSUHVH�FKH�avvengano sul suolo comunale e che non abbiano una ˉQDOLW¢�PHUDPHQWH�SULYDWD��,Q�HVWUHPD�VLQWHVL��VRQR�OLEHUR�GL�VFDWWDUH�XQD�IRWR�DOOD�PLD�ˉGDQ]DWD�FRQ�OR�VIRQGR�GHOOH�mura di Lucca, ma non posso realizzare un calendario con le bellezze lucchesi da distribuire ad amici e clienti, anche se si tratta di opere antiche e, quindi, senz’altro in pubblico dominio, se non pago il Comune.

Al di là della contestabile facoltà di un’amministrazione comunale di prevedere un simile balzello, non può non notarsi che, per questa via, si crea una rendita perpetua in capo al titolare del bene culturale, sia esso soggetto pubblico o privato. Se è comprensibile l’esigenza, non sempre felice, degli enti pubblici, a fronte di un’esposizione debitoria VHPSUH�SL»�VLJQLˉFDWLYD��GL�IDU�FDVVD�FRQ�L�EHQL�FXOWXUDOL��QRQ�possono non notarsi le distorsioni di una simile opzione legislativa.

Innanzi tutto, deve notarsi, da un punto di vista strettamente teorico, che il diritto d’autore crea delle privative temporalmente limitate, costituendo un monopolio sullo sfruttamento economico dell’opera a favore dell’autore o degli altri titolari dei diritti d’autore, mentre, nell’esempio fatto, ci troviamo dinanzi ad un diritto illimitato: il diritto sulle mura che incorniciamo il meraviglioso centro storico di Lucca è un diritto senza tempo, che non risponde alle tradizionali esigenze del diritto d’autore e che non è in alcun modo uno strumento per incentivare la produzione culturale.

In secondo luogo, anche una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie non può che condurre ad una prevalenza degli interessi della collettività rispetto a quelli del singolo proprietario, pubblico o privato che sia. Un bene storico, a prescindere dalle “gabbie” normative, è innanzi tutto un bene della collettività: non è un caso se l’art. 9 della Costituzione assegna idealmente il patrimonio storico e artistico non agli enti pubblici (e tanto meno ai privati), ma alla Nazione.

6RWWR�LO�SURˉOR�SUDWLFR��DPPHWWHUH�OLPLWD]LRQL�IRQGDWH�VXO�diritto dei beni culturali o sul diritto d’autore rischierebbe di condurre ad esiti paradossali, se non addirittura disastrosi. Si SHQVL��DG�HVHPSLR��D�XQȠRSHUD�FLQHPDWRJUDˉFD�FKH�VLD�JLUDWD�in una città ricca di monumenti. In teoria, la produzione dovrebbe preoccuparsi, oltre che dei tradizionali permessi per l’occupazione di suolo pubblico, anche di pagare tutte le royalties all’amministrazione comunale o ai singoli titolari GHL�GLULWWL��3HQVR�D�XQ�ˉOP�JLUDWR�D�5RPD��OH�FXL�ULSUHVH�potrebbero “cadere” incidentalmente su beni in pubblico dominio (il Colosseo, la Bocca della Verità) ovvero su beni su cui insistono ancora diritti d’autore (il museo dell’Ara Pacis o il Maxxi, la statua dedicata a Giovanni Paolo II a Termini, H�FRV®�YLD���1HVVXQ�ˉOP�JLUDWR�QHOOH�QXRYH�VWD]LRQL�GHOOD�metropolitana di Napoli, abbellita da decine di opere d’arte contemporanea: troppo complicato ed economicamente troppo costoso. Ma neanche nessun sito web sulle bellezze di Lucca, salvo pagare un Comune, cui evidentemente difetta OD�OXQJLPLUDQ]D�VXIˉFLHQWH�D�FRPSUHQGHUH�FKH�XQD�VLPLOH�soluzione non fa che danneggiare le potenzialità turistiche della città, le cui enormi bellezze sono costrette ad un forzoso esilio dai canali di promozione indiretta offerti dalla rete internet.

Posso pubblicare una foto di L.O.V.E. di Maurizio Cattelan? Ovvero, beni collocati all’esterno, non in pubblico dominio

Se seguissimo le indicazioni ministeriali, le medesime conclusioni dovrebbero valere anche per i beni situati all’esterno, ma non ancora caduti in pubblico dominio: del resto, la risposta del sottosegretario Mazzonis menzionava HVSUHVVDPHQWH�mLO�QXRYR�HGLˉFLR�GHOOȠ$UD�3DFLV}��7XWWDYLD��cadendo in contraddizione, la medesima risposta ministeriale cita musiche e risoluzioni degradate o a bassa risoluzione, concludendo che «ove il soggetto fotografato fosse un’opera di autore vivente, l’utilizzo non potrà avvenire che nei limiti anzidetti».

Pertanto, in astratto, nulla potrebbe impedire al già ricordato Richard Meier, architetto del museo dell’Ara Pacis, o anche agli artisti di street art, che stanno abbellendo i sobborghi delle maggiori città italiane, di intentare un’azione giudiziaria contro un fotografo o un produttore FLQHPDWRJUDˉFR�FKH�GRYHVVHUR�ULSUHQGHUH�XQD�ORUR�RSHUD�

6HUYH��LQ�GHˉQLWLYD��XQ�LQWHUYHQWR�OHJLVODWLYR��)DOOLWR�LO�tentativo comunitario, si potrebbe spingere sulla soluzione nazionale, come caldeggiato anche dagli attivisti di Wikimedia.

Serve, in altri termini, una legge chiara, che preveda un’ulteriore eccezione alla legge sul diritto d’autore. Verosimilmente, al pari delle leggi europee che si sono occupate della questione (tra le altre: Germania, § 59 dell’Urheberrechtsgesetz, la legge sul copyright, che ammette la riproduzione delle opere collocate stabilmente in luoghi pubblici, in qualsiasi forma; Spagna art. 35 del Decreto Reale n. 1 del 1996, che consente di riprodurre in forma bidimensionale (foto, video, dipinti o disegni)

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«opere collocate permanentemente in parchi, strade, piazze o altri spazi pubblici»; Portogallo, 75(2) del Codigo do direito de autor e dos direitos conexos, che consente la riproduzione delle opere collocate in luoghi pubblici, a condizione che non contrastino – conformemente a quanto previsto dalla Convenzione di Berna, con lo sfruttamento normale dell’opera stessa; Danimarca, il cui art. 24 della legge sul diritto d’autore DFFRUGD�OD�ULSURGX]LRQH�LQ�IRUPD�SLWWRULFD�GHJOL�HGLˉFL��nonché delle altre opere collocate stabilmente in luoghi pubblici, a condizione che non siano l’elemento centrale della riproduzione, ecc.) l’eccezione in questione dovrebbe riguardare le opere stabilmente collocate in spazi pubblici, senza distinguere tra opere tutelate dal diritto d’autore e opere cadute in pubblico dominio, con esclusione delle opere destinate solo temporaneamente alla fruizione collettiva. Allo stesso modo, sempre nel solco degli altri modelli europei, potrebbero essere incluse

nell’eccezione al diritto d’autore le sole riproduzioni bidimensionali (disegni, dipinti, foto e video), nonché le utilizzazioni che non abbiano quale elemento centrale l’opera protetta: per essere più FKLDUL��XQD�IRWRJUDˉD�FKH�DEELD�FRPH�VIRQGR�LO�PXVHR�GHOOȠ$UD�3DFLV�GRYUHEEH�HVVHUH�FRQVHQWLWD��QRQ�XQD�IRWRJUDˉD�FKH�ULSURGXFD�LO�VROR�museo.

/ȠLSHUWURˉFD�EXOLPLD�LQ�FXL�ª�FDGXWR�LO�GLULWWR�GȠDXWRUH�QHJOL�XOWLPL�decenni ha determinato uno scollamento evidente dagli obiettivi GL�SURWH]LRQH�RULJLQDULDPHQWH�SUHˉVVDWL��7XWHODUH�L�GLULWWL�HFRQRPLFL�dei titolari non può determinare una compressione dei diritti della collettività alla fruizione delle opere. Forse non dovremmo dimenticare che il diritto d’autore dovrebbe promuovere la creatività e non essere un limite alla diffusione della cultura.

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TRASFERIMENTO DI DATI PERSONALI: QUALI SCENARI DOPO LA FINE DEL SAFE HARBOR?

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Con la sentenza del 13 novembre 2015, la Corte di Giustizia ha annullato gli accordi di Safe Harbors, che legittimavano il tras-ferimento dei dati personali tra Europa e Stati Uniti. L’impatto della decisione sulle imprese.

*OL�6WDWL�8QLWL�QRQ�IRUQLVFRQR�XQD�SURWH]LRQH�VXIˉFLHQWH�GHL�GDWL�SHUVRQDOL�GHL�FLWWDGLQL�HXURSHL��$�VWDELOLUOR�ª�VWDWD�OD�&RUWH�Europea che ha così stracciato una decisione della Commissione che giudicava il paese a Stelle e Strisce come un porto sicuro per le informazioni degli europei, autorizzando così le grandi aziende di internet a poter operare in tranquillità dall’altra sponda dell’Atlantico (accordo Safe Harbour del 2000).

Ma la decisione, presa in seguito alla denuncia contro Facebook del giovane austriaco Max Schrems, che impatti avrà sul nostro modo di usare la rete?

Ricapitoliamo il quadro normativo. L’art. 25 della Direttiva 46/95/CE prevede un generale divieto di trasferire dati personali al di fuori dell’Unione europea. Questa regola ammette, però, una serie di eccezioni: il trasferimento è ammesso nel caso in cui vi sia il consenso della persona cui i dati personali si riferiscono, ovvero avvenga in esecuzione di misure contrattuali o precontrat-tuali o, ancora, per rispondere a un interesse pubblico; in presenza di strumenti negoziali – validati dalla Commissione europea ȝ�FKH�RIIUDQR�JDUDQ]LH�GL�VLFXUH]]D��LQˉQH��LQ�FDVR�GL�GHFLVLRQL�GL�DGHJXDWH]]D��RYYHUR�DWWHVWD]LRQL�GHOOD�&RPPLVVLRQH�HXURSHD�che un determinato Paese, non appartenente all’Unione o allo spazio economico europeo, assicuri un livello di protezione ade-guato, che sia quindi dotato di misure legislative che offrano un livello di protezione dei dati personali conforme agli standard comunitari

Tra le decisioni di adeguatezza – che hanno interessato, tra gli altri, Israele, Svizzera, Australia e Canada – la più nota è quella del 26 luglio 2000 tra Unione europea e Stati Uniti, detta Safe harbor, oggi invalidata dalla sentenza Schrems. L’operato della Corte di giustizia ha ricevuto apprezzamenti da più parti, non da ultimo dal nostro Garante per la protezione dei dati personali, FKH�KD�VRWWROLQHDWR�OȠLPSRUWDQ]D�FKH�L�GLULWWL�GHL�FLWWDGLQL�VLDQR�ULVSHWWDWL�DQFKH�DO�GL�IXRUL�GHL�FRQˉQL�FRPXQLWDUL��8QD�SUHVD�GL�posizione con la quale non si può che essere d’accordo, ma che forse evidenzia solo una faccia di un prisma molto più comp-lesso.

Innanzitutto, la Corte di giustizia fotografa una situazione grave, ma in parte non più attuale. Dopo lo scandalo Snowden, da cui ha tratto origine anche il caso deciso dai giudici europei, gli Stati Uniti stavano provando ad arginare l’emergenza privacy con alcuni provvedimenti legislativi, tra cui il Judicial Redress Act dello scorso anno.

In secondo luogo, non può essere sottaciuto l’impatto economico e politico della sentenza Schrems. Non è una sentenza che colpisce Facebook o Google, come semplicisticamente si è detto: sono circa 4mila le imprese europee e statunitensi che ben-HˉFLDQR�GHL�SULQFLSL�GL�6DIH�KDUERU�H�GL�TXHVWH�FLUFD�LO�����VRQR�3LFFROH�H�PHGLH�LPSUHVH��LQFOXVH�QXPHURVH�VWDUW�XS��4XHOOR�che in pochi hanno sottolineato è che tali principi regolano esclusivamente i rapporti tra Unione europea e Stati Uniti, ma non sono l’unico strumento giuridico per il trasferimento transfrontaliero di dati personali. Clausole contrattuali standard e binding FRUSRUDWH�UXOHV�JDUDQWLVFRQR�OD�PHGHVLPD�HIˉFDFLD��OHJLWWLPDQGR�L�WUDVIHULPHQWL�GL�GDWL�ROWUH�OR�VSD]LR�HXURSHR��PD�LPSRQJRQR�costi transattivi più alti.

Quanto appena detto vale specialmente per le clausole contrattuali standard (anche note come model contract clauses), da inserire all’interno di contratti tra imprese che non appartengono al medesimo gruppo (cui, invece, sono riservate le binding FRUSRUDWH�UXOHV���4XHVWL�FRQWUDWWL�VRQR�QHFHVVDUL�SHUFK«�LO�ˊXVVR�GHL�GDWL�QRQ�SX´�HVVHUH�LPSHGLWR��&L´�GHWHUPLQHUHEEH�OD�SDUDOLVL�per molte imprese, tacendo il potenziale isolamento commerciale per l’Europa: una ricerca del 2013 di Syntech Numérique GLPRVWUD�FRQ�FKLDUH]]D�FKH�OȠLQWHUUX]LRQH�GHO�ˊXVVR�GHL�GDL�WUDQVIURQWDOLHUL�SRUWHUHEEH�DOOD�ULGX]LRQH�GHO�3LO�GHOOȠ8QLRQH�HXURSHD�del 1,3% e un’emorragia nelle esportazioni dei servizi forniti dall’Europa verso gli Stati Uniti, che diminuirebbero del 6,7%.

Il punto, quindi, è che le imprese saranno costrette a ripiegare sulle clausole contrattuali standard – unico strumento sopravvis-suto al crollo del Safe harbor – il cui costo verrà sostenuto da tutti i soggetti interessati, con un impatto differente su piccole e grandi imprese. Un’altra possibile chiave di lettura attiene al rapporto tra Corte di giustizia e Commissione europea.

Flickr - Sam Wolff

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Non è la prima volta che i giudici comunitari intervengono in materia di dati personali: data retention e diritto all’oblio sono i casi più noti, ma non i soli. Nel settore che ci interessa, la decisione della Corte di giustizia pregiudica fortemente le nego-ziazioni in atto per la revisione dei Safe harbor che, a questo punto, dovranno essere ripensati ex novo, avendo come punto di partenza l’inadeguatezza di quelli esistenti: in altri termini, si ricomincia da zero e i negoziati, verosimilmente, saranno più lunghi di quello che era lecito attendersi, relegando gli Stati Uniti a un ruolo subordinato che dovrà adattarsi alle strettoie delle posizioni comunitarie. Né può dimenticarsi che l’eco della sentenza in questione potrebbe riverberarsi, a livello europeo, anche VXO�GLIˉFLOH�H�WUDYDJOLDWR�SHUFRUVR�FKH�VWD�FRQGXFHQGR�YHUVR�OȠDSSURYD]LRQH�ȝ�VSHVVR�DQQXQFLDWD�H�SL»�YROWH�SURFUDVWLQDWD�ȝ�GHO�nuovo regolamento in materia di dati personali.

1RQ�VL�SX´��WXWWDYLD��FLUFRVFULYHUH�OD�GLVFXVVLRQH�DO�VROR�OLYHOOR�FRPXQLWDULR��6H�VL�LQYHUWH�OD�SURVSHWWLYD�JHRJUDˉFD��QRQ�SX´�QRQ�rimarcarsi la leggerezza con cui gli Stati Uniti, a qualsiasi stadio, hanno affrontato il tema della sicurezza delle informazioni personali: prima con lo scandalo Prism e successivamente, a livello giudiziario, con la decisione – che rispecchia un frettoloso laissez-faire – della Corte Suprema nel caso Clapper.

&Ƞª�DQFRUD�XQ�XOWHULRUH�SUREOHPD��/D�GHFLVLRQH�GHOOD�&RUWH�8H�IRUQLVFH�DOOH�DXWRULW¢�JDUDQWL�QD]LRQDOL�LO�SRWHUH�GL�YHULˉFDUH�VH�LO�trasferimento di dati personali degli utenti tra nazioni è sicuro. Ma questo eccessivo spezzettamento tra 28 garanti potrebbe portare a non poche complicazioni. Per questo già nelle dichiarazioni nelle ore successive alla sentenza, il garante italiano Soru ha detto che “occorre una risposta coordinata a livello europeo anche da parte dei Garanti nazionali, e in queste ore si stanno YDOXWDQGR�OH�PRGDOLW¢�SL»�HIˉFDFL�SHU�LQGLYLGXDUH�OLQHH�JXLGD�FRPXQLȣ��6XOOD�VWHVVD�OLQHD�DQFKH�LO�FRPXQLFDWR�GL�)DFHERRN��FKH�chiede un chiarimento da parte di Ue e Stati Uniti: “È imperativo che i governi di Ue e Usa garantiscano che continueranno a IRUQLUH�PHWRGL�DIˉGDELOL�SHU�LO�WUDVIHULPHQWR�OHJDOH�GHL�GDWL�H�FKH�ULVROYHUDQQR�WXWWH�OH�TXHVWLRQL�OHJDWH�DOOD�VLFXUH]]D�QD]LRQDOHȣ�

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Ha fatto discutere la decisione dello scorso 16 giugno in cui la Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che uno Stato può – ma natural-

mente non necessariamente deve – obbligare gli editori dei giornali online a rispondere dei contenuti palesemente diffama-tori pubblicati dai propri lettori se omette di rimuoverli tempes-tivamente a prescindere da qualsivoglia segnalazione.

L’innegabile limitazione della libertà di informazione e di manifestazione del pensiero che un simile obbligo comporta è, secondo i giudici della Corte europea, coerente con il neces-sario bilanciamento tra i diritti fondamentali dell’uomo che, in una questione di questo genere, vengono in rilievo ovvero con la libertà di comunicazione da una parte ed il rispetto della dignità dell’uomo dall’altra.

La Corte europea, si rende però conto della portata dirompente della propria decisione e delle conseguenze che essa potrebbe produrre sulla circolazione dei contenuti online e, quindi, ricon-osce, innanzitutto, che la possibilità di esprimersi, anche in forma anonima, attraverso internet costituisce, per gli uomini, uno stru-mento senza precedenti di esercizio della libertà di espressione ed aggiunge poi che si tratta della prima volta che essa si trova a pronunciarsi su una questione che richiede di applicare i diritti dell’uomo in un dominio tecnologico in così rapida evoluzione.

Ci tengono, pertanto, i giudici della Corte a mettere nero su bianco che dalla loro decisione non devono essere tratte conclu-VLRQL�DIIUHWWDWH�H�SL»�DPSLH�GL�TXHOOH�JLXVWLˉFDWH�GDOOD�SHFXOLDULW¢�della vicenda nella quale, applicando il diritto estone – Paese nel quale l’editore in questione ha la propria sede – i giudici nazionali avevano ritenuto, con valutazione che non compete alla Corte europea ridiscutere, che l’editore di un giornale resta tale anche in relazione ai commenti dei propri lettori e non può sottrarsi alla propria responsabilità invocando l’applicazione della speciale disciplina europea in materia di assenza di un ob-bligo generale di sorveglianza sui contenuti pubblicati da terzi, applicabile ai c.d. intermediari della comunicazione.

Prima di far passare il principio che secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo l’editore di un giornale online deve rispon-dere anche della diffamatorietà dei commenti dei lettori, quindi,

val la pena leggere, riga per riga, le oltre sessanta pagine della Sentenza nella quale, tra l’altro, i giudici di Strasburgo precisano che la loro decisione si riferisce esclusivamente ad un grande quotidiano d’informazione online e “non concerne altri tipi di piattaforme su internet nell’ambito dei quali sono pubblicati commenti di internauti, come, per esempio, i forum di discus-sione o le bacheche online, dove gli internauti possono esporre liberamente le loro idee su qualsiasi argomento senza che la discussione sia diretta dai responsabili del forum, né concerne le piattaforme di social network o i forninori di servizi” di hosting, né i blogger.

La pronuncia riguarda – e la Corte di Strasburgo non si stanca di ripeterlo – uno dei più grandi quotidiani online del Paese [ndr l’Estonia], noto per il carattere polemico e violento dei propri commenti tanto da aver già formato oggetto di attenzione da parte delle istituzioni e, in particolare, commenti palesemente violenti ed offensivi che, per essere ritenuti illeciti, non neces-sitavano di alcun esame approfondito.

E, prima che il contenuto della decisione della Corte europea – che, pure, forse delude chi nei giudici di Strasburgo ha, sin qui, individuato il baluardo ultimo della libertà di informazione specie nel contesto telematico – sia travisato e strumentaliz-zato per sostenere la sostenibilità democratica di più stringenti forme di responsabilità a carico degli editori online, val la pena anche di ricordare che, nel caso di specie, ad uno dei più grandi editori del Paese, ritenuto responsabile di non aver rimosso dei contenuti diffamatori nei confronti di un altrettanto importante imprenditore era stata comminata una sanzione da 320 euro, niente risarcimenti milionari ed in grado di mettere in forse la sopravvivenza del giornale, né “manette” brandite contro l’editore o il direttore del quotidiano on line.

È però, quella della Corte europea dei diritti dell’uomo una decisione dalla quale se da un lato non va utilizzata per trarne principi ulteriori rispetto a quelli stabiliti dai giudici, dall’altra non può essere neppure sottovalutata specie mentre il nostro Parlamento si accinge a dettare nuove norme in materia di diffamazione con riferimento, tra l’altro, proprio all’informazione sul web.

CONTENUTI DIFFAMATORI E OBBLIGHI DEGLI EDITORI ON-LINE

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I giudici di Strasburgo, infatti, sottolineano più e più volte nella loro decisione che si sono ritrovati – quasi “costretti”, sebbene a larghissima maggioranza ovvero 15 contro 2 – a dover ricon-oscere la legittimità della responsabilità dell’editore per la man-cata tempestiva autonoma rimozione di commenti palesemente illeciti postati dai lettori, in quanto il diritto estone – come interpretato dai giudici nazionali – è, sul punto, assolutamente chiaro nel prevedere tale forma di responsabilità.

Per limitare la libertà di informazione – così come ogni altro diritto fondamentale dell’uomo – infatti, e la Corte europea lo ricorda in modo inequivocabile, serve una legge, chiara e che renda prevedibile le conseguenze di qualsivoglia scelta impren-ditoriale.

Quella legge – tanto per guardare alle cose di casa nostra – in

Italia, in questo momento, per fortuna non esiste e sarebbe, per-tanto, auspicabile che continuasse a non esistere o, meglio an-cora, che il Parlamento chiarisse una volta per tutte che forme di responsabilità oggettiva come quella che attualmente colpisce editori e direttori in relazione ai contenuti dei giornali, sono bandite dal mondo dell’informazione, dove l’equilibrio tra libertà di informazione e rispetto della dignità della persona, può essere HIˉFDFHPHQWH�JDUDQWLWR�GDO�SULQFLSLR�VHFRQGR�LO�TXDOH�FKL�VED-glia paga e chi pubblica un contenuto illecito – anche se diterzi – può essere richiesto di rimuoverlo.

Chiamare l’editore di un grande giornale a rispondere delle cen-tinaia – e talvolta migliaia – di commenti pubblicati sotto ogni DUWLFROR�GDL�SURSUL�OHWWRUL��VLJQLˉFD��LQHVRUDELOPHQWH��LQYLWDUOR�ad azionare forme di “censura” privata e preventiva a tutela del proprio portafogli e, per questa via, limitare il diritto di parola

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ADOTTATE LE REGOLE TECNICHE DI SPID, FINALMENTE ARRIVANO LE IDENTITÀ DIGITALI

&Ƞª�YROXWR�SL»�WHPSR�GHO�SUHYLVWR��PD�DOOD�ˉQH�LO�TXDGUR�QRUPDWLYR�LQ�PDWHULD�GL�LGHQWLW¢�GLJLWDOH�ª�RUPDL�FRPSOHWR��Il 28 luglio 2015, con la Determinazione n. 44/2015, l’Agenzia per l’Italia Digitale ha emanato i quattro regolamenti previsti dal DPCM 24 ottobre 2014 che disciplina il Sistema Pubblico dell’Identità Digitale (istituito dall’art. 17-ter

del Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69, c.d. “Decreto del fare”).

Il sistema SPID è costituito come insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell’Agenzia per l’Italia Digitale, gestiscono i servizi di registrazione e di messa a disposizione delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete nei riguardi di cittadini e imprese per conto delle pubbliche amministrazioni.

�,O�WHPD�GHOOȠ,GHQWLW¢�'LJLWDOH�ª�VWDWR�SL»�YROWH�LGHQWLˉFDWR��D�UDJLRQ�YHGXWD���FRPH�XQR�GHL�SLODVWUL�GHOOȠ$JHQGD�'LJLWDOH��/ȠXVR�GL�,GHQWLW¢�'LJLWDOL�VLFXUH�SHUPHWWHU¢�GL�DXPHQWDUH�OD�ˉGXFLD�GHL�FLWWDGLQL�QHL�VHUYL]L�,QWHUQHW��LYL�LQFOXVL�L�VLVWHPL�GL�pagamento online, facilitando l’accesso ai servizi e abilitando una serie di nuove funzionalità utili sia per i portali della Pubblica Amministrazione, sia per i servizi offerti dai privati, come l’e-commerce. L’uso di un sistema pubblico di Identità 'LJLWDOH�FRQVHQWLU¢�LQROWUH�GL�FRQWUDVWDUH�LQ�PDQLHUD�PROWR�HIˉFDFH�L�IHQRPHQL�FULPLQDOL�H�LQ�SDUWLFRODUH�LO�)XUWR�GȠ,GHQWLW¢�H�OȠȣLPSHUVRQLˉFD]LRQHȣ��WLSRORJLH�GL�IURGH�LQIRUPDWLFD�LQ�UDSLGD�FUHVFLWD��/Ƞ,GHQWLW¢�'LJLWDOH�FRPH�FRQFHSLWD�LQ�63,'�FRQVHQWLU¢�un aumento della tutela della Privacy, visto che verranno notevolmente ridotti gli archivi contenenti dati personali.

L’Identità Digitale è l’insieme delle informazioni che ci permette di accedere a servizi digitali di qualsiasi natura.

CON L’APPROVAZIONE DELLE REGOLE TECNICHE DA PARTE DELL’AGENZIA PER L’ITALIA DIGITALE, DIVENTA OPERATIVO IL SISTEMA CHE SEMPLIFICHERA’ L’ACCESSO AI SERVIZI

ON-LINE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIOJNI

C’

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Con l’istituzione di SPID le pubbliche amministrazioni potranno consentire l’accesso in rete ai propri servizi, oltre che con lo stesso SPID, solo mediante la carta d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi.

I regolamenti adottati nel 2015 disciplinano le caratteristiche di SPID, i tempi e le modalità di adozione, le regole per l’accreditamento dei gestori per le identità digitali nonché le regole necessarie a questi ultimi per il riutilizzo delle identità pregresse.

Grazie all’adozione di questi regolamenti è potuto iniziare (e terminare) il processo di accreditamento dei primi identity provider che, all’inizio del 2016, rilasceranno le prime identità digitali agli utenti che – entro 24 mesi dovranno essere utilizzate per l’accesso ai servizi di tutte le pubbliche amministrazioni.

Il Regolamento contiene anche una compiuta descrizione delle tre tipologie di identità SPID che potranno essere rilasciate.

Il primo livello rappresentato PIN/password singoli con cui si accede ad una determinata area riservata all’utente Esso è GHˉQLWR�DGDWWR�DG�HVVHUH�XWLOL]]DWR�VROR�GRYH�HVLVWD�ȢULVFKLR�moderato” e si prevede che sia associato ad attività in cui eventuali danni da uso indebito abbiano basso impatto per

cittadino/impresa/pubblica amministrazione.

�,O�VHFRQGR�OLYHOOR�ª�LQYHFH�GHˉQLWR�LGRQHR�D�XQ�ȢULVFKLR�ragguardevole” (l’abuso può provocare un danno consistente). Si tratta di una identità a doppia credenziale, simile a quelle che utilizzate in alcuni sistemi di home banking in cui a oltre ad una password è richiesto di inserire un determinato codice o token (c.d. “one time password”).

Il terzo livello è invece obbligatorio dove sussista un assai HOHYDWR��LQ�TXDQWR�ª�TXHOOR�SL»�DIˉGDELOH�WHFQLFDPHQWH��prevedendo l’autenticazione attraverso password e smartcard.

Fin qui quello che prevedono le norme. Ma non è detto che OH�UHJROH�DGRWWDWH�GDOOȠ$JLG�VLDQR�VXIˉFLHQWL�D�GDUH�FRUSR�HG�anima alla rivoluzione dell’identità digitale.

Strumenti come questo funzionano solo ed esclusivamente se chi deve iniziare ad utilizzarli ne percepisce immediatamente l’utilità ed un vantaggio egoistico.

�/D�YHUD�VˉGD�GHOOȠLGHQWLW¢�GLJLWDOH�FKH�DWWHQGH�OH�amministrazioni è quella di convincere cittadini e imprese che lo SPID non è soltanto un acronimo, ma uno strumento GL�LQQRYD]LRQH�H�VHPSOLˉFD]LRQH�UHDOH�

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