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AGOSTO-SETTEMBRE 2015 MC 51 VOLONTARIATO di MARCO BELLO UN LIBRO, UN’ESPERIENZA DI VITA, UNA PROPOSTA CONCRETA COOPERAZIONE SENZ’ANIMA © Alberto Zorloni A lberto Zorloni, classe 1961, è nato e cresciuto in montagna, e là di quello che un tempo si chiamava «Terzo Mondo» non si parlava proprio, non si conosceva nulla. A Milano, nel corso di un processo di ricerca su come con- cretizzare i suoi ideali, entra in contatto con alcune Ong e gli si apre un mondo. «Per me l’incon- tro con le Ong è stata una cosa fantastica. In esse si realizzava una sintesi ideale tra i valori cri- stiani nei quali credevo (e ancora credo) e gli ideali di giustizia pro- pugnati, ma, negli anni '70 del mio liceo, poco praticati dalla tra- dizione di sinistra». «Le Ong, come le ho conosciute negli anni ’80, non solo erano l’u- nione teorica tra questi due di- scorsi, ma lo erano anche in pra- tica. Davano la possibilità a tanti giovani, come me, di partire per paesi lontani e impegnarsi in rea- lizzazioni concrete». La prima partenza E così Alberto, diventato medico veterinario, decide di far seguire a questa «sintesi» un impegno pratico, e parte volontario per un progetto nel Sud Kivu, in Congo RD. È l’epoca dello Zaire di Mo- butu: «Lavoravo in una zona po- verissima - ricorda - una situa- zione quasi di emergenza. Se- condo me, non c’erano le condi- zioni minime per un progetto di sviluppo». «Ero partito con molto entusiasmo e molta carica e, pur nelle mille dif- ficoltà logistiche che ho trovato sul posto, è stato un periodo molto bello». Alberto è grato a quella Ong per la preparazione ricevuta prima della partenza: «Mi aveva offerto un corso di formazione ot- timo. Quello che ho imparato è stato poi fondamentale in tutte le esperienze africane. Tagliare i Un ex volontario. Uno che ci crede. Ritorna in Africa dopo 15 anni e trova un sistema cambiato: sono venute meno le motivazioni di un tempo. Propone una riflessione ad ampio spettro. Per un cambiamento: andare verso il futuro, ripartendo dai valori di una volta.

UN LIBRO, UN’ESPERIENZA DI VITA, UNA PROPOSTA … stampa 2015/Zorloni MC Ago_Set 2015.pdffine è stata una bella esperienza per me». Alla scadenza del contratto c’è ancora la

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VOLONTARIATOdi MARCO BELLO

UN LIBRO, UN’ESPERIENZA DI VITA, UNA PROPOSTA CONCRETA

COOPERAZIONESENZ’ANIMA

© Al

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Alberto Zorloni, classe1961, è nato e cresciutoin montagna, e là diquello che un tempo si

chiamava «Terzo Mondo» non siparlava proprio, non si conoscevanulla. A Milano, nel corso di unprocesso di ricerca su come con-cretizzare i suoi ideali, entra incontatto con alcune Ong e gli siapre un mondo. «Per me l’incon-tro con le Ong è stata una cosafantastica. In esse si realizzavauna sintesi ideale tra i valori cri-stiani nei quali credevo (e ancoracredo) e gli ideali di giustizia pro-pugnati, ma, negli anni '70 delmio liceo, poco praticati dalla tra-dizione di sinistra».«Le Ong, come le ho conosciutenegli anni ’80, non solo erano l’u-nione teorica tra questi due di-scorsi, ma lo erano anche in pra-tica. Davano la possibilità a tanti

giovani, come me, di partire perpaesi lontani e impegnarsi in rea-lizzazioni concrete».

La prima partenzaE così Alberto, diventato medicoveterinario, decide di far seguirea questa «sintesi» un impegnopratico, e parte volontario per unprogetto nel Sud Kivu, in CongoRD. È l’epoca dello Zaire di Mo-butu: «Lavoravo in una zona po-verissima - ricorda - una situa-zione quasi di emergenza. Se-condo me, non c’erano le condi-zioni minime per un progetto disviluppo». «Ero partito con molto entusiasmoe molta carica e, pur nelle mille dif-ficoltà logistiche che ho trovato sulposto, è stato un periodo moltobello». Alberto è grato a quellaOng per la preparazione ricevutaprima della partenza: «Mi avevaofferto un corso di formazione ot-timo. Quello che ho imparato èstato poi fondamentale in tutte leesperienze africane. Tagliare i

Un ex volontario.Uno che ci crede.Ritorna in Africa dopo15 anni e trova unsistema cambiato:sono venute menole motivazioni di untempo. Propone unariflessione ad ampiospettro. Per un cambiamento: andare verso il futuro, ripartendo dai valoridi una volta.

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migliorare le sue competenze chemette a disposizione in brevi espe-rienze nei paesi del Sud.«È stato un periodo di “successo”,anche se, come avviene spesso inAfrica, si fanno dei progetti cheperò non si traducono in vero em-powerment» (termine usato perdefinire un aumento della consa-pevolezza delle proprie capacità edella possibilità di farle valere,ndr). Alberto lamenta però chequeste belle esperienze restanospesso circoscritte.

RipartireAlberto rimane quindi nell’am-biente del volontariato interna-zionale, pur non effettuando piùmissioni lunghe. Però l’idea di ri-partire cova dentro. «A un certopunto mi sono deciso: volevo ri-partire per l’Africa. Dopo alcuneselezioni non andate a buon fine,finalmente una Ong mi proponeun posto in Etiopia, dove hannourgentemente bisogno di un ve-terinario». Così Alberto riparte, a15 anni dalla prima esperienza.«Sono partito con un contratto di

13 mesi, ma mi sono trovato deltutto spaesato. I valori, la caricaideale erano venuti meno, e alloro posto c’era tutta una serie dicomportamenti, quasi un tea-trino, un castello di carta vuoto,fatto di rapporti scritti, relazioni,budget, fund raising (raccoltafondi, ndr). Si giocava a fare i ma-nager». Alberto non accetta ilnuovo approccio della coopera-zione, e inoltre vive anche una se-rie di disavventure con l’Ong chelo ha assunto e il suo personaleitaliano in Etiopia. «I valori che provavo a propu-gnare, che erano state le Ongstesse a infondermi, provocavanoilarità. Come se mi fossi vestitoalla maniera dell’800 e, veden-domi andare in giro, la gente sidomandasse: “Ma da dove escequesto?”».

Il rapporto con gli africaniCon i colleghi etiopi, al contrario,Alberto instaura un ottimo rap-porto, e sperimenta un modo dilavorare molto arricchente. «Nonsono stato io a mettere in piedi unapproccio partecipativo con i lo-cali, ma sono stati loro. Io sonosemplicemente stato disponibile,e mi è piaciuto molto, perché èstato qualcosa che hanno preso inmano loro. Mi hanno dato corag-gio. Io mi sono sentito strumento,ma mai oggetto. Strumento in unruolo che valorizzava la mia sog-gettività: l’apertura, la disponibi-lità alla cultura, ai mezzi locali, an-

fondi per una formazione seria aivolontari in partenza (come suc-cede oggi, ndr) è un suicidio».

L’impegno in ItaliaPoi il rientro. Ma Alberto intendeil volontariato internazionalecome «un ponte a doppio senso».Il suo impegno diventa parlare inprima persona dell’esperienzavissuta, nell’ambito di quella cheviene chiamata «educazione allosviluppo»: «Quando si tornava,bisognava contribuire a dareun’informazione corretta. E suquesto io ho investito molto neglianni ‘90. Ho fatto almeno unacinquantina di ore in scuole diogni ordine e grado della miazona e mi ero trovato bene».Ma non basta. Sempre in linea coni suoi valori di base, Alberto si oc-cupa di commercio equo e poi difinanza etica. Fonda insieme ad al-cuni amici un’associazione di vo-lontariato. Oltre al volontario, fa ilveterinario, e completa la sua for-mazione professionale seguendoun corso di medicina veterinariatropicale al Anversa, allo scopo di

VOLONTARIATO

# Pagina precedente: Alberto Zorloni in cammino, Etiopia, 2004.

# Qui sopra: una volontaria stringe la mando di un anziano delvillaggio, in Burkina Faso.

# A fianco: riunione dell’équipe di progetto con i beneficiari,sotto l’albero (Burkina Faso).

# A destra: preparazione di un incontro con contadini (Senegal).

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che se non ortodossi secondo noioccidentali, anche se non facil-mente inquadrabili nei nostrischemi. Io ero aperto al loro mododi fare, e loro hanno “preso il po-tere”. Per me è stato molto bello,mi sono sentito responsabilizzatoe al tempo stesso valorizzato equesto mi ha restituito la motiva-zione, che ormai pensavo di averperso». Alberto, che è sul punto di abban-donare a causa dei comporta-menti dei colleghi italiani, decidedi restare proprio grazie al rap-porto instaurato con l’équipe lo-cale. Con alcuni di loro rimarrà incontatto anche dopo il rientro inItalia, e aiuterà un giovane colla-boratore molto promettente astudiare in Europa.«Una persona molto in gamba. Luiè riuscito a valorizzare me perquella che era la mia apertura aisistemi locali, e io ho valorizzatolui per quelle che erano le sue ca-pacità». I problemi invece ci sono con gliitaliani. «Era vero e proprio mob-bing - sostiene Alberto -. Perché ilrappresentante dell’Ong nelpaese faceva da padre e padrone.Questo anche perché dall’Italia leattività in Etiopia erano seguiteda una persona che non parlaval’inglese, che quindi non potevaneppure leggere progetti e rap-porti». Il rappresentante si era fattolargo a gomitate, aveva lavoratoin condizioni eroiche, si era fatto

una famiglia. In Italia l’Ong nonsapeva niente, per cui l’Etiopia,per quella Ong, era identificatacon quella persona che aveva lesue regole monolitiche. Tra essec’era quella per cui il volontarioche arrivava per primo doveva di-ventare il capo progetto. «Il mio collega diretto, arrivatosei mesi prima di me, era un gio-vane neolaureato. Il progetto darealizzare era in ambito veterina-rio. Per questi motivi il respona-bile ero io, ma a loro due questonon andava giù. Pur senza met-tersi d’accordo, tendevano sem-pre a fare rilevare la mia ineffi-cienza. Ovvio, ero arrivato lì enon mi avevano detto quasiniente. Non sapevo neanche inomi dei villaggi. È stata un po’dura all’inizio. Ma lo staff localeha fatto tutta un’altra scelta. Allafine è stata una bella esperienzaper me». Alla scadenza del contratto c’èancora la possibilità - e la neces-sità - di continuare, e l’Ong pro-pone un rinnovo ad Alberto, salvopoi fare dietrofront, sotto le pres-sioni dei due colleghi italiani. Unepilogo un po’ triste. Probabil-mente Alberto si è trovato in unasituazione particolarmente sfor-tunata, perché normalmente le

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relazioni tra volontari espatriati,nei paesi più diversi e complessi,sono molto buone e costruttive.

Un’idea, un libroAlberto rientra in Italia e riprendeil suo lavoro di veterinario alla Asldi Domodossola. E intanto matural’idea di scrivere un libro. Ma poiva oltre, con un’idea per il futurodel volontariato internazionale.«Quando ero in Africa scrivevodelle lunghe lettere a un indiriz-zario di diverse decine di per-sone, con le quali avevo condivisol’impegno negli ambiti di com-mercio equo e finanza etica. Illu-stravo la situazione. Loro mihanno sempre suggerito di pub-blicarle». Alberto inizia una collaborazionecon l’Università di Pretoria (Suda-frica) che sfocerà poi in un masterdi ricerca per approfondire i me-todi tradizionali di cura dei pa-stori nomadi dell’Etiopia, propriosulla scia del lavoro effettuato inquel paese. «È stato un periodomolto impegnativo. Nel 2009 horipreso in mano 18 lettere, e hocercato di trasformarle in un li-bro. Inizialmente il testo avevauna forte impronta storica, per-ché l’Etiopia ha una storia entu-siasmante e io ne sono un appas-

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La proposta«La mia proposta è rilanciare ilvolontariato internazionale “par-tendo da ieri”, da quelle motiva-zioni e da quella spinta valorialeche abbiamo lasciato cadere. Enon vale solo per questo ambito.Infatti, tornato in Italia, parlan-done con diverse persone, ho ca-pito che è lo stesso in politica, nelsindacato, nella scuola, nell’assi-stenza sociale. Non capiamo piùdove stiamo andando, non ci rico-nosciamo più in quello chestiamo facendo. è un libro in cuic’è una riflessione arricchita an-che dal confronto con altri. Que-sto è un primo punto: il bagagliodi valori non è una zavorra che ri-duce l’efficienza, ma è qualcosagrazie al quale si riesce a esserepiù efficienti. Le Ong devono cercare di espri-mere motivazioni e ridare valoreagli ideali, cercare di staccarsi ilpiù possibile da un arido elenco didati. Riaprire il discorso alle valu-tazioni del proprio lavoro, discu-tere su quello che si fa, sul sensoche ha. In Etiopia, quando cer-cavo di far ripartire queste discus-sioni, mi dicevano “ma cosa mene frega, è previsto nel budget, lofacciamo e chiuso”.

Secondo punto: va finalmentemesso in pratica il concetto per cuiil volontariato deve essere unoscambio. Io sono stato valorizzatodagli africani, mi hanno aiutato.Vivo le cose in modo molto in-tenso, per cui sono anche sog-getto ad ansia, ma loro hanno sa-puto costruirmi attorno un conte-sto, nel quale io mi sentissi sicuro,tranquillo e potessi operare al me-glio. Ho visto che anche questo èuno strumento che ti fa lavorarebene, più efficace di altre amenitàtecnologiche, come l’impiego delsatellite o altro. Una serie di stru-menti avanzati possono essereutili all’Africa, per noi invece, vistocome stanno andando le cosenella società, sarebbe importanteavvalersi di questi strumenti rela-zionali, comunitari, che erano an-che nostri in passato. In Africa re-sistono ancora, anche se, di que-sto passo, pure gli africani listanno perdendo. Il tutto in un’ot-tica di scambio.Io come veterinario sul campo,ho avuto la fortuna di conoscerequell’Africa che dicono non ci siapiù. Conoscendo lo swahili, hopotuto relazionarmi con personela cui voce non si sente o non si èmai sentita.

sionato. Lo sottoposi allo storicoAngelo del Boca, il quale mi disse:“La parte storica è molto valida,ma la tolga tutta”. Perché?chiesi. “Molte cose interessantisono state scritte sulla storia del-l’Etiopia, diversi studiosi seri ci sisono cimentati. Al contrario nonho mai letto una presentazionedel volontariato internazionaleche fosse così scevra da tentatividi commuovere o raccoglierefondi, o di mostrare interessi diparte, o di come siamo bravi. èpiuttosto una critica dall’internoche propone un cambiamentopositivo. E dal punto di vista in-tellettuale è indipendente edemotivamente sofferta, in primapersona. Non come altre critichefatte guardando solo i conti e ibilanci”.». Così, dopo quasi seianni di lavoro e un paio di decinedi versioni, è nato nel 2015 il li-bro «Ripartire da ieri, la nuovasfida del volontariato internazio-nale» (ed. Emi, 2015), che oltre acontenere parte della storia per-sonale e professionale di AlbertoZorloni, in particolare riguar-dante l’esperienza etiope, pro-pone un nuovo concetto di vo-lontariato internazionale, che haradici nel passato.

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In generale i dirigenti di Ong afri-cane o piccoli imprenditori dellaclasse media europeizzata, sonoimpostati sul nostro modello disocietà e vedono di buon occhiol’arrivo di qualunque investi-mento. Ma con l’aumento dellegià enormi differenze tra ricchi epoveri, ho notato anche una mag-giore presa di coscienza da partedelle Ong locali. La società civileafricana è cresciuta, questo è po-sitivo. Si sono resi conto che è ingioco la cultura, l’essere africani».

«Professione volontario»?Ci chiediamo se ha ancora sensola cooperazione internazionale.«Io sono per il sì. Sono sicuro».Ma ormai è diventato un lavorocome un altro, senza le motiva-zioni di ieri. Esistono pure deicorsi universitari per prepararsi. Ècome se il volontariato si fosseprofessionalizzato.«Ribalterei il discorso. Secondome si è deprofessionalizzato, per-ché le Ong hanno avuto unagrande occasione per far valere lapropria maggiore professionalità,ad esempio il fatto di relazionarsiin un certo modo con le persone,avere una visione che parte da de-terminati valori. Quella dei valorinon è una questione morale, èproprio uno strumento che ti per-mette di lavorare meglio. Quindiuna parte della professionalità,anche quella di accontentarsi distipendi bassi, che non incidano

troppo sul budget del progetto, èuna caratteristica professionaleperché avrai più fondi da investirenelle attività aumentandone l'effi-cienza». Alberto non ha molti riscontri sulsuo libro da parte del mondoOng, nonostante la tematica.«Ho avuto tante risposte positiveda parte di persone comuni, anchegente che non si occupa dell’argo-mento o di Africa. Da parte delleOng ho avuto solo due feedback:uno diretto e l’altro tramite la pre-sentazione del libro sul sito istitu-zionale dell’organizzazione. Al di fuori di questo non ho rice-vuto né critiche, né apprezza-menti, pur avendo scritto a molti,comprese le federazioni di Ong».

Qualcosa di piùLe riflessioni contenute nel librodi Alberto sono estese a livelloampio all’intera società. «Sento la necessità di un nuovoumanismo. Ma non intendo fareuna nuova associazione.È un cammino da fare a livello in-dividuale, fin dalle più piccolecose: mettere determinati valoriin cima alla scala delle propriescelte quotidiane, ad esempio nelconsumo, le scelte di sobrietà,ecc. Sono convinto che, se si dàimportanza a queste cose, se nonle si considera delle bazzecole,ma cose importanti per la nostravita, ci si ritroverà concordi suobiettivi comuni. Occorre un

cambiamento di priorità di va-lori». Un cambiamento sullalunga scadenza ma con risultati intempi ragionevoli: «Altrimenti siperde fiducia. Penso a un nuovoche però riparta dal vecchio, daivalori che già c’erano».

Esperienze«Mi piacerebbe che tutte le per-sone, anche in altri campi, chesentono questa esigenza, riuscis-sero a fare una cosa comune.Come un sito web in cui presen-tare le esperienze che già funzio-nano in questo “ripartire da ieri”.Per dare un messaggio che lecose si possono realizzare. L’im-portanza del fare, del concreto.Vorrei che uscissero allo scopertoquanti condividono questo pen-siero e insieme si riuscisse a con-cretizzarlo, realizzando progettiin Africa in un certo modo. Perme non è un sogno, deve essereuna realtà».

Marco BelloNota:per volere dell’intervistato e coerenzacon il libro, in questo testo non sifanno nomi di persone o enti. Tuttaviai «non nomi», come li chiama Zorloni,corrispondono a persone e fatti real-mente accaduti.

# In alto a sinistra: alunni in unascuola del Burkina Faso.

# A fianco: l’équipe di Alberto a pranzoa casa sua, Etiopia 2003.

# Sopra: Alberto preleva il sangue a undromedario, Etiopia 2003.

© Alberto Zorloni

© Alberto Zorloni

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