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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA FACOLTÀ DI AGRARIA Corso di laurea specialistica in SCIENZE DEI SISTEMI AGROINDUSTRIALI STUDIO DELLE VARIAZIONI DELLA COPERTURA NEVOSA APPLICAZIONE DEL MODELLO PREVISIONALE SWE ALLA REALTÀ DELL'EMILIA-ROMAGNA Relatore: Presentata da: Dott. Enrico Muzzi Alessandro Panzacchi Correlatore: Dott. Andrea Spisni II sessione Anno Accademico 2008/2009

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA FACOLTÀ DI AGRARIA · universitÀ degli studi di bologna facoltÀ di agraria corso di laurea specialistica in scienze dei sistemi agroindustriali

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

FACOLTÀ DI AGRARIA

Corso di laurea specialistica in

SCIENZE DEI SISTEMI AGROINDUSTRIALI

STUDIO DELLE VARIAZIONI DELLA COPERTURA NEVOSA

APPLICAZIONE DEL MODELLO PREVISIONALE SWE ALLA REALTÀ

DELL'EMILIA-ROMAGNA

Relatore: Presentata da:

Dott. Enrico Muzzi Alessandro Panzacchi

Correlatore:

Dott. Andrea Spisni

II sessione

Anno Accademico 2008/2009

INDICE

1. – Premessa.....................Pag. 1

2. – Il fenomeno neve.............Pag. 4

2.1 – La neve.................................Pag. 4

2.2 – Trend...................................Pag. 5

2.3 – Neve come fattore ecologico............ Pag. 7

2.4 - L’impatto del previsto cambiamento

della snow-cover sull’ecosistema........Pag. 10

2.5 - L’impatto del previsto cambiamento

della snow-cover sulle economie umane

e sul benesser..........................Pag. 11

2.5.1 – Risorse idriche..........................Pag. 11

2.5.2 - Impatto sull’agricoltura.................Pag. 12

2.5.3 - Impatti sul settore ricreativo...........Pag. 13

2.6 - Industria ed infrastrutture.............Pag. 13

2.7 - Impatti sui pericoli ambientali.........Pag. 14

2.8 - Bilancio energetico dello snowpack......Pag. 15

2.9 - Il bilancio di massa dello snowpack.....Pag. 21

2.10 - Rappresentazione numerica del

bilancio termico e di massa dello

snowpack...............................Pag. 23

2.11 - Il telerilevamento.....................Pag. 26

2.12 - Il MODIS (Moderate Resolution Imaging

Spectroradiometer).....................Pag. 29

2.13 - Andamento della distribuzione nevosa

nell'Emilia-Romagna....................Pag. 30

2.14 - L'andamento della copertura nevosa

nel periodo di studio..................Pag. 36

2.14.1 - L'andamento dell'inverno 2005-2006.....Pag. 36

2.14.2 - L'andamento dell'inverno 2006-2007.....Pag. 38

2.15 - Scopo della Tesi.......................Pag. 40

3. - Materiali e metodi...........Pag. 41

3.1 - Il modello di Snow Water Equivalent

(SWE)...................................Pag. 41

3.2 - Dalle immagini satellitari alle

immagini di studio......................Pag. 42

3.3 - L'esecuzione del modello................Pag. 48

3.4 - Elaborazione e confronto in ArcGIS......Pag. 50

3.5 - La regola di Bayes......................Pag. 54

4. – Risultati....................Pag. 57

4.1 - Andamento percentuale dell'innevamento

registrato da satellite e previsto

dal modello.............................Pag. 57

4.2 - Relazione tra la percentuale di

innevamento da satellite e percentuale

di innevamento da modello...............Pag. 58

4.3 - Differenze tra le percentuali di

innevamento nei due metodi..............Pag. 59

4.4 - Differenze tra mesi nei due metodi......Pag. 60

4.5 - Distribuzione delle differenze nei

due metodi..............................Pag. 61

4.6 - Errore totale (falsi positivi più

falsi negativi) del modello.............Pag. 62

4.6.1 – Istogramma di frequenza dell'errore

totale...................................Pag. 63

4.7 - Errore totale (falsi positivi più

falsi negativi) suddiviso per mese......Pag. 64

4.8 - Andamento dei falsi positivi e dei

falsi negativi individuati dal

modello.................................Pag. 65

4.9 - Falsi positivi suddivisi per mese.......Pag. 66

4.10 - Falsi negativi suddivisi per mese......Pag. 67

4.11 - Relazione tra falsi positivi e falsi

negativi individuati dal

modello................................Pag. 68

4.12 - Distribuzione dei falsi positivi e dei falsi

negativi per classe percentuale

d'errore...............................Pag. 69

4.13 - Distribuzione della probabilità

d'innevamento calcolata con la

"regola di Bayes".....................Pag. 70

4.13.1 - Cumulata della probabilità

d'innevamento calcolata secondo

la "regola di Bayes"..................Pag. 71

5. – Conclusioni.................Pag. 72

6. – Bibliografia................Pag. 75

1

1. Premessa

L’acqua sotto forma di neve rappresenta un’importante componente

del bilancio idrico, specialmente nelle regioni montuose. In

queste ultime, infatti, le piene primaverili che si registrano

sono largamente influenzate da fenomeni di accumulo e disfacimento

dei manti nevosi (G.Jost, M.Weiler et al., 2007). I suddetti

fenomeni mostrano una elevata variabilità temporale e spaziale che

necessita una adeguata conoscenza per poter prevedere con un buon

margine di sicurezza eventi quali flussi di scarico delle acque

che si liberano dal pool nevoso o risorse idriche che si rendono

disponibili. A livello di bacini montani, i processi legati

all’accumulo ed al disfacimento della copertura nevosa sono

influenzati dalle caratteristiche topografiche, tra le quali

troviamo altitudine e conformazione come le più significative

(G.Jost, M.Weiler et al., 2007). Nell’ambito del territorio

agricolo anche i venti prevalenti, la micro topografia e la

vegetazione influenzano il comportamento dello strato nevoso.

Un interessante fattore ricollegabile a quelli che controllano

il manto nevoso è rappresentato dalla gestione forestale: porzioni

di territorio con alberature rade a seguito di interventi di

utilizzazione forestale alternate ad altre che mostrano invece una

fitta copertura arborea introducono un’ulteriore variabilità di

tipo antropico. Le chiome degli alberi alterano l’accumulazione

nevosa agendo sul bilancio energetico dello “snowpack” , con il

risultato di diminuire l’accumulo nevoso medio e

contemporaneamente abbassare il tasso di disfacimento medio dello

strato nevoso in zone a copertura boschiva rispetto ad aree non

interessate da foreste (o con copertura diradata). Anche la

conformazione verticale di una foresta può influenzare la

copertura nevosa: all’aumentare dell’area fogliare e della densità

2

della chioma si hanno minori tassi medi di formazione e

disfacimento della stessa (G.Jost, M.Weiler et al., 2007).

Il monitoraggio e la “modellazione” dell’andamento delle

coperture nevose sono però particolarmente difficoltosi a causa

della variabilità spaziale delle caratteristiche proprie della

neve e della poca disponibilità di dati idrologici (J.Parajka,

G.Bloschl, 2008).

La precipitazione nevosa è un utile indicatore del tempo

meteorologico che si aggiunge a temperatura e pioggia: “La neve

rappresenta la più importante forma di precipitazione solida, la

cui formazione è legata ad una condensazione lenta e progressiva

del vapore acqueo in un ambiente in cui si abbiano temperature

sufficientemente basse” (T.Gazzolo, M.Pinna, 1973). Per quanto

riguarda la realtà Italiana, essa cade principalmente durante la

stagione invernale, ma salendo di quota lungo le Alpi e

l’Appennino la possiamo trovare anche in autunno e in primavera,

fino ad arrivare alle vette più alte dove diventa la forma di

precipitazione prevalente. Occorre precisare che la primavera

risulta quasi sempre più nevosa dell’autunno, proprio perché le

temperature medie che si registrano nei mesi da marzo a maggio

sono di solito più basse di quelle dei mesi autunnali.

Un ruolo assai importante nella distribuzione geografica della

neve sul nostro paese è esercitato dall’orografia: i rilievi sono

il fattore essenziale delle precipitazioni nevose, in quanto

determinano le basse temperature e contribuiscono ad aumentare la

quantità complessiva della precipitazione, oltre ad aumentare il

volume della neve (T.Gazzolo, M.Pinna, 1973). Le principali

grandezze misurate dalle reti nivometriche sono: altezza delle

precipitazioni nevose, giorni con precipitazione nevosa, altezza

della neve al suolo e durata del manto nevoso. Da esse si possono

ricavare, tramite analisi statistiche condotte per un numero

opportuno di anni, interessanti quadri climatici a livello

regionale.

3

Per quanto riguarda le situazioni sinottiche favorevoli alla

caduta di neve in Italia, in linea generale, per la pianura e i

litorali esse sono legate a consistenti afflussi di aria fredda

dai quadranti settentrionali; nell’arco alpino le nevicate più

abbondanti si verificano con venti meridionali connessi a profonde

depressioni atmosferiche e, in particolare, a fronti caldi.

4

2. Il fenomeno neve

2.1 - La neve

La neve esercita una grande influenza sul clima grazie alle sue

caratteristiche quali un’elevata riflettanza, la capacità di

fungere da isolante ed abbassare la temperatura dell’atmosfera;

influenza che si riscontra anche a livello idrologico, grazie

all’effetto sulle risorse idriche mondiali. I modelli climatici

prevedono, per la fine di questo secolo, una significativa

riduzione della copertura nevosa mondiale, con una diminuzione

dello “snow water equivalent” (ovvero la quantità di acqua

liberata al momento dello scioglimento del manto nevoso) che

potrebbe toccare anche l’ottanta per cento nelle regioni a media

latitudine. Incrementi sarebbero invece previsti per le zone della

Siberia e dell’Artico canadese (R.G.Barry, R.Armstrong et al.,

2007). Questo cambiamento nella copertura nevosa ha ancor più

sottolineato l’importanza ecologica delle precipitazioni a

carattere nevoso, che caratterizzano la società e le attività

economiche influenzando le risorse idriche, l’agricoltura, la

zootecnia senza dimenticare i trasporti e le attività turistiche

legate all’innevamento.

Nei continenti dell’Emisfero Nord, la massima copertura nevosa

si estende mediamente per una superficie di 45,2 milioni di Km2,

prevalentemente nel mese di gennaio; per contro la minima

estensione si raggiunge generalmente nel mese di agosto, con una

superficie innevata di 1,9 milioni di Km2, per lo più concentrata

in Groenlandia e nei ghiacciai (R.G.Barry, R.Armstrong et al.,

2007). Questo divario temporale nella copertura nevosa è il

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maggior responsabile della variazione annuale ed interannuale

della riflettanza superficiale (albedo) nell’Emisfero Nord.

Per quello che riguarda l’Emisfero Sud, escludendo i 14,5

milioni di Km2 dell’Antartico, la neve ricopre un’area molto più

ridotta, limitata a Patagonia ed alle Ande, rivestendo un

significato climatologico inferiore (R.G.Barry, R.Armstrong et

al., 2007).

Grazie al suo elevato albedo, la neve è in grado di aumentare

la quantità di luce solare riflessa dalla Terra: essa presenta

anche una conduttanza termica ridotta, il che le consente di

isolare il suolo e, la sua superficie fredda ed umida, influenza

il trasferimento di calore ed umidità da e verso l’atmosfera.

Proprio in questo modo la neve esercita la sua influenza sul clima

e sull’idrologia del Pianeta.

Come anticipato in precedenza, la copertura nevosa influenza in

modo diretto ed indiretto le attività umane: la copertura di neve

stagionale è la principale fonte di runoff in molte regioni

montane, con oltre un milione di persone che dipendono proprio da

questo fenomeno per le loro forniture idriche. Inoltre la neve

rappresenta un fattore estremamente importante nell’agricoltura,

nella zootecnia, nei trasporti (basti pensare alla frequente

cancellazione dei voli in caso di nevicate), senza dimenticare gli

sport associati alla presenza di un manto nevoso.

2.2 - Trend

I dati collezionati dal monitoraggio satellitare della copertura

nevosa (1966 – 2005) indicano che la copertura nevosa media

6

nell’Emisfero Nord è in diminuzione, con un tasso pari all’1,3 per

cento ogni dieci anni: nell’anno 2006 si è registrata una

copertura media di 24,9 milioni di Km2, che corrisponde a 0,6

milioni di Km2 in meno rispetto alla media degli ultimi 37 anni

(R.G.Barry, R.Armstrong et al., 2007).

Le osservazioni satellitari della snow-cover sottolineano un

trend calante in tutti i mesi dell’anno, ad eccezione di novembre

e dicembre, più marcato però da maggio ad agosto. La snow-cover

media per quello che riguarda marzo ed aprile, sempre

nell’Emisfero Nord, è diminuita di un 7,5 ± 3,5 per cento

nell’arco temporale 1922 – 2005 (R.G.Barry, R.Armstrong et al.,

2007).

Le misurazioni della snow-cover vengono effettuate tramite

rilievi da satellite: dal 1966 la National Oceanic and Atmosferic

Administration (NOAA) ha prodotto carte di copertura nevosa con

cadenza perlomeno settimanale. Fino al 1999 queste carte erano

fondamentalmente derivate dall’interpretazione “manuale” di

immagini satellitari acquisite nella banda visibile dello spettro

elettromagnetico: successivamente sono stati incorporati anche

dati di microonde ed altri dati in modo da raffinare i risultati.

I sensori a microonde possono infatti evidenziare il manto nevoso

anche attraverso le nuvole ed in condizioni di oscurità, ma

possono travisare sottili strati di neve evidenti in immagini

nella banda del visibile. Mentre i dati del NOAA, derivati

principalmente da sensori della banda visibile, mostrano appunto

una diminuzione significante della snow-cover in tutti i mesi

eccetto novembre e dicembre, i dati dei sensori a microonde

risultano meno chiari: entrambi i sensori, però, evidenziano una

significativa diminuzione della snow-cover da maggio ad agosto.

7

2.3 - Neve come fattore ecologico

L’importanza della neve come fattore ecologico è stata

sottolineata già all’inizio del ventesimo secolo. Recentemente

sono anche stati applicati modelli di snow-cover a problemi

ecologici.

La copertura nevosa gioca un doppio ruolo nei confronti della

regolazione termica: l’elevato albedo dello strato nevoso riduce

la radiazione netta, inoltre la neve funge anche da “sink” per il

calore, rimuovendo energia dall’atmosfera proprio sotto questa

forma. Ne consegue che questa copertura non consente al terreno di

riscaldarsi, ritardando il manifestarsi si quegli eventi biologici

che richiedono una temperatura superiore a 0 °C. Lo strato nevoso

funge anche da “ammortizzatore” per quel che riguarda le

temperature, mantenendo il suolo a temperature prossime allo zero

e limitando gli sbalzi termici della vegetazione posta sotto la

neve (cavità sottonivale). In primavera, sotto agli strati nevosi

più sottili, la luce inizia a filtrare e la fotosintesi può

ricominciare seppur limitatamente: le piante che si trovano in

questa “serra nevosa” (determinata dalle cavità sottonivali),

possono riprendere il loro sviluppo ben prima di quelle

all’esterno che si trovano sotto una fitta coltre di neve.

Un fenomeno da non tralasciare è quello della pressione che

esercita il manto nevoso sulla superficie sottostante: per quanto

riguarda ad esempio gli alberi, esso può deformare giovani rami od

addirittura piante intere, che a volte possono cedere sotto il

peso della neve spezzandosi. Al contrario, la neve può anche

supportare certi pesi, come piccoli uccelli, lepri e volpi

deformandosi leggermente: animali di taglia più grossa sono invece

ostacolati dalla presenza di un manto nevoso di un certo spessore;

si evince dunque che la copertura nevosa può influenzare anche la

trafficabilità del territorio da parte di certi animali, costretti

8

magari a prendere percorsi alternativi, ma può anche addolcire il

profilo del terreno determinando passaggi temporanei in zone

altrimenti impercorribili.

La coltre nevosa funge anche da habitat per alcune forme di

vita primitive: queste possono essere ritrovate in quantità ed in

buona variabilità sia nelle nevi stagionali sia nelle nevi

perenni. Tra queste forme di vita ritroviamo alghe (in grado di

“colorare” la neve di rosso, blu o verde), batteri, funghi, virus,

e diatomee. Nell’Isola di Signy, di localizzazione subantartica,

sono state contate da 1 – 2 fino a 5.000 cellule per mm3,

rispettivamente per neve “pulita” e per neve “colorata”.

In primavera, durante il disfacimento dello strato nevoso, si

assiste spesso alla frammentazione dello stesso: zone di

territorio si presentano scoperte mentre altre ospitano ancora

neve. Questo “frazionamento” influenza la distribuzione delle

diverse specie di piante (condizionamento spesso associato anche a

lievi differenze nella topografia del territorio): in zone

topograficamente depresse, dove si accumula neve, si trovano

comunità di piante che presentano una stagione di crescita corta e

vengono a trovarsi in una situazione di ristagno idrico al momento

dello scioglimento della neve; comunità che invece si trovano su

crinali, o comunque che sono esposte all’azione dei venti si

presentano invece più tolleranti al deficit idrico (R.G.Barry,

R.Armstrong et al., 2007).

La neve può accumulare anche piccoli detriti e sostanze

chimiche quali inquinanti ma anche nutrienti vegetali direttamente

dall’atmosfera: semi ed azoto sono ad esempio accumulati durante

l’inverno e successivamente rilasciati o ridistribuiti sul

territorio; lo scioglimento dello strato nevoso rappresenta quindi

anche una fonte di azoto, specialmente nell’ecosistema della

tundra, dove si può assistere ad una rigogliosa crescita del

muschio in primavera. Concentrazioni troppo elevate di azoto

possono però risultare non benefiche per le piante al momento

9

dello scioglimento della neve, fenomeno che si registra nelle aree

a sud dell’Antartide.

Così come la neve esercita influenza sulla vegetazione, a sua

volta la vegetazione stessa influenza la dinamica della copertura

nevosa; alberi e arbusti possono fungere da frangivento, mitigando

l’azione di quest’ultimo sul manto nevoso ed influenzandone quindi

la distribuzione: in zone alpine, così come nelle praterie e nelle

regioni polari, il vento può rimuovere addirittura il settanta per

cento della snow-cover. Le foreste, specialmente quelle di

conifere ed in zone montuose, possono “imprigionare” la neve al di

sotto della vegetazione determinando una coltre nevosa più spessa;

parallelamente le chiome più fitte possono catturare fino al

sessanta per cento della neve, che si concentra nelle branche:

sotto la vegetazione si avrà quindi uno spessore inferiore dello

strato nevoso (la neve stessa sublima o viene spazzata dal vento

ancor prima di toccare terra) con neve di densità minore rispetto

ad aree aperte dovuta all’azione “filtrante” delle chiome stesse.

La vegetazione può influenzare anche la quantità di neve che

precipita ed il suo tasso di disfacimento. Alberi ed arbusti

possono innalzare le temperature (l’abete nero è in grado di

intercettare il novantacinque per cento della radiazione che

giunge al suolo) modificando indirettamente l’entità delle

precipitazioni nevose; la presenza di chiome generalmente rallenta

il tasso di scioglimento dello strato nevoso grazie alla riduzione

della radiazione netta e della velocità del vento.

10

2.4 - L’impatto del previsto cambiamento

della snow-cover sull’ecosistema

Il cambiamento nella precipitazione nevosa andrà ad innescare

complesse interazioni tra cambiamenti nella durata della copertura

nevosa e spessore della stessa. Per le aree interessate solo

periodicamente dalla copertura nevosa, il momento della sua

assenza determina la possibilità per le specie vegetali di

accrescersi: la lunghezza di questo periodo d’assenza determina

quindi in un certo modo la potenziale stagione di crescita

influenzando quindi la produttività dell’ecosistema. Nelle zone

alpine, la produttività è diminuita del tre per cento per ogni

giorno di ritardo dello snow-melt; contrariamente l’inizio delle

nevicate invernali assume un’importanza minore in termini di

perdita di produzione, essendo questa stagione caratterizzata da

ridotti angoli di radiazione solare e dunque da una produzione

potenziale delle piante altrettanto scarsa.

L’incremento di copertura nevosa prevista per qualche area

settentrionale del pianeta giocherebbe un ruolo importante nella

struttura e nella funzione dell’ecosistema: un test condotto in

una regione subartica ha evidenziato come uno strato nevoso doppio

rispetto al normale, che incrementa sia la temperatura dell’aria

che quella del suolo, promuova massicciamente lo sviluppo del

muschio: questo consistente incremento di muschio potrebbe quindi

incrementare anche l’efficienza nel catturare la CO2 (carbon sink)

delle torbiere del nord, in aree dove lo spessore del manto nevoso

sia incrementato.

D’altro canto, anche disfacimenti invernali del manto nevoso

più frequenti possono influenzare l’ecosistema: lo scioglimento

cambia in maniera drastica le proprietà meccaniche della neve; ne

consegue una riduzione della proprietà isolante della neve con

conseguente aumento delle possibilità di penetrazione del suolo da

11

parte del ghiaccio, che potrebbe compromettere l’attività radicale

di certe specie di piante. Durante questi brevi disfacimenti i

microorganismi del suolo potrebbero rilasciare gas ad attività

serra. Il ricongelamento che succede al disfacimento forma strati

di ghiaccio che possono fungere da barriera per gli animali in

cerca di riparo nel sottosuolo o per quella fauna erbivora che è

solita scavare la neve per raggiungere il suolo e cibarsi (ad es.

il bue muschiato o la renna): questo impedimento potrebbe quindi

influenzare lo stato di salute e la sopravvivenza di questi

esemplari.

Lo snow cover nelle regioni montagnose funge anche da riserva

di acqua, necessaria per il contenimento degli incendi (che

sarebbero avvantaggiati in intensità e dimensione dalla riduzione

di questa disponibilità idrica) e per quei pesci che hanno bisogno

di forti correnti fluviali per migrare verso l’oceano.

2.5 - L’impatto del previsto cambiamento

della snow-cover sulle economie

umane e sul benessere

2.5.1 - Risorse idriche

Uno degli impatti più significativi riguarda senza dubbio le

riserve idriche. La neve situata nelle regioni montuose

rappresenta un’importante fonte di acqua, servendo circa un sesto

della popolazione mondiale. La maggior parte delle zone aride

dell’America Occidentale e dell’Asia Centrale dipendono

principalmente dallo scioglimento della neve per quanto riguarda

l’approvvigionamento idrico di municipalità ed agricoltura. Altro

12

risvolto della liberazione dell’acqua dalla neve è quello

energetico: questo fenomeno permette alle centrali idroelettriche

di produrre energia rinnovabile, fenomeno sentito particolarmente

in America Occidentale, Canada ed Europa.

La neve che si accumula nelle zone montuose è anche importante

per quello che riguarda l’acqua nel sottosuolo, in effetti una

porzione significativa dell’acqua che si libera dalla neve si

infiltra nel terreno e drena verso valle: la tempistica, la

distribuzione spaziale ed il volume di neve interessato allo

scioglimento determinano quanta acqua scorrerà in superficie

(alimentando corsi d’acqua e laghi) e quanta prenderà la via del

sottosuolo.

2.5.2 - Impatto sull’agricoltura

I graduali cambiamenti di snow cover, così come l’incidenza

degli eventi nevosi stessi, possono avere un forte impatto sulle

colture sia all’inizio che alla fine del ciclo colturale.

Tipicamente la neve scompare in primavera, prima dell’inizio del

ciclo di crescita. Nevicate durante il ciclo colturale possono

determinare gelate o determinare il danneggiamento strutturale di

alberi (rottura di branche, germogli). Una nevicata ad autunno

appena cominciato può determinare incapacità da parte

dell’agricoltore di raccogliere determinate colture a causa di

danneggiamenti, ritardo nella maturazione ed interferenza alle

operazioni meccaniche di raccolta. Cambiamenti nella distribuzione

della neve possono anche comportare un cambiamento delle

disponibilità idriche stagionali, spostando il rapporto costi-

ricavi (verso i primi) nell’ allevamento di certe colture. Il

cambiamento della distribuzione nevosa può avere influenza anche

sul governo degli animali: il bestiame è infatti disturbato da

nevicate particolarmente intense (specialmente quello allo stato

brado), infatti si possono riscontrare casi di smarrimenti, stress

elevato ed aborti. Terreni che rimangono fangosi a lungo a causa

13

dello scioglimento di abbondanti nevicate possono comportare

riduzioni di peso del bestiame anche considerevoli.

2.5.3 - Impatti sul settore ricreativo

Il turismo invernale rappresenta una notevole parte

dell’economia dei Paesi alpini e la più importante fonte di

liquidità per molte regioni: in Austria, per esempio, il turismo

invernale rappresenta la metà degli introiti del settore

turistico. La maggior parte di questo turismo invernale ruota

attorno agli impianti sciistici: essi infatti rappresentano una

realtà importante nelle economie di diversi territori (Nord

America, Europa ed Asia). L’utilizzo di mezzi di trasporto quali

motoslitte e gatti delle nevi, sia a scopo ricreativo che

professionale, e in costante aumento e si basa sull’esistenza di

un manto nevoso consistente. Anche altri sport meno diffusi,

tipici di qualche realtà isolata, ma comunque con un risvolto

economico non trascurabile, si avvalgono di uno strato nevoso “in

salute”: ritardi nelle nevicate, nevicate scarse od addirittura

assenza del fenomeno nevoso stesso compromettono le attività

stesse ed indirettamente le economie dei Paesi interessati.

2.6 - Industria ed infrastrutture

Alcune industrie dipendono fortemente da una copertura nevosa

consistente: è il caso delle industrie petrolifere e del gas che,

per esempio, utilizzano strade di ghiaccio nell’Artico per poter

accedere ai siti di estrazione. Per proteggere l’ecosistema della

tundra, devono essere soddisfatti alcuni criteri di temperatura e

consistenza dello strato nevoso prima che una compagnia possa

14

“costruire” una strada di ghiaccio. Scioglimenti improvvisi a metà

dell’inverno od addirittura il verificarsi di eventi piovosi

possono inficiare la funzionalità di queste strade di ghiaccio.

La quantità di neve caduta per singolo evento, il numero degli

eventi e la tempistica giornaliera influenzano l’impatto economico

della neve, che dipende anche dalla densità di popolazione di una

data zona (per quello che riguarda le infrastrutture). Modelli

previsionali meteorologici che contemplano vaste aree sono

diventati strumenti gestionali estremamente importanti per quei

settori economici influenzati dalla neve.

2.7 - Impatti sui pericoli ambientali

Parlando di insidie ambientali legate alla neve, non può che

venire subito alla mente il fenomeno delle valanghe, che causano

perdite economiche, ferimenti ed addirittura perdite di vite.

Nelle Alpi Europee c’e stata una media di centoquattordici vittime

per anno tra il 1975 ed il 1988, tre quarti delle quali

rappresentate da sciatori di “fuori pista”. Tra i principali

fattori che causano il fenomeno delle valanghe ritroviamo una

pendenza del terreno pari al trentacinque – quarantacinque gradi,

nuovi accumuli nevosi di cinquanta – cento centimetri e la

presenza di forti venti. Di estrema rilevanza è anche il fenomeno

della “pioggia sulla neve”, evento che sembra favorire enormemente

le valanghe specialmente nelle vette meno elevate e dunque

soggette a temperature invernali meno rigide.

15

2.8 - Bilancio energetico dello snowpack

Il bilancio energetico dello snowpack è regolato da molteplici

scambi di calore. Lo snowpack assorbe la radiazione solare corta

che viene parzialmente bloccata dalla copertura nuvolosa e

riflessa dalla superficie del manto nevoso. Uno scambio di calore

sulla radiazione ad onda lunga avviene tra lo snowpack e

l’ambiente circostante (massa d’aria adiacente, copertura vegetale

e nuvolosa). Lo scambio di umidità tra lo snowpack e la massa

d’aria sovrastante è accompagnato dal trasferimento di calore

latente, influenzato a sua volta dal gradiente della pressione di

vapore e dal vento. La pioggia sulla neve può indurre un input di

calore significante allo snowpack. Uno scambio di calore,

generalmente insignificante, avviene tra lo snowpack ed il suolo

sottostante.

Teoricamente, lo snowpack dovrebbe raggiungere una condizione

isotermica, pari a 0 °C, prima che possa iniziare il processo di

scioglimento. A temperature al di sotto dello zero, lo snowpack ha

un contenuto di calore (od energia interna, Ui) negativo, definito

come la quantità di energia necessaria per innalzare la

temperatura dello snowpack a 0 °C: qualsiasi ulteriore input di

temperatura comporterebbe il procedere dello scioglimento dello

stesso.

Prendendo in considerazione i processi di scambio termico più

importanti, il tasso di cambiamento dell’energia interna Ui può

essere espresso come segue:

dove:

Qs è il flusso netto (energia per unità di superficie e per unità

di tempo) di insolazione ad onda corta in arrivo;

16

Ql è il flusso netto di scambio di calore ad onda lunga tra lo snow

pack e l’ambiente circostante;

Qh è il flusso di scambio di calore convettivo tra lo snow pack e

la massa d’aria sovrastante;

Qe è il flusso di scambio di calore latente attraverso il vapore

grazie ai fenomeni di condensazione e sublimazione;

Qa è il flusso avvettivo di energia indotto da “pioggia su neve”;

Qg è il flusso conduttivo di scambio di energia tra lo snowpack ed

il suolo sottostante;

Qm è l’energia disponibile per lo snowmelt.

Sebbene le componenti ad onda corta e lunga tendano a prevalere

nella maggior parte dei casi, l’importanza relativa di meccanismo

di trasferimento del calore può variare considerevolmente da

un’area ad un’altra e tra differenti periodi della giornata e

dell’anno. Il bilancio di calore è dettato da molteplici fattori

inclusi lo snowpack e le caratteristiche del sito quali clima,

topografia, orientamento, latitudine, altitudine, copertura

vegetale.

Approfondiamo ora i differenti meccanismi di scambio di calore:

Radiazione ad onda corta: sebbene l’intensità della radiazione

solare normale al perimetro atmosferico della Terra sia costante,

circa 1,35 kJ/m2 per secondo, la quantità che raggiunge la

superficie terrestre in qualsiasi punto è drasticamente ridotta.

Più del cinquanta per cento della radiazione è riflessa dalla

copertura nuvolosa, dispersa dalle molecole d’aria e dalle

particelle sospese nella stessa, assorbita dall’ozono, dal vapore

acqueo, dall’anidride carbonica. La radiazione solare incidente

sullo snowpack è ulteriormente attenuata, rispetto ad una

superficie orizzontale, da fattori locali quali pendenza del

17

terreno, aspetto, esposizione, latitudine, momento dell’anno e dal

rapporto tra radiazione diffusa e diretta. Una copertura forestale

riduce ulteriormente la radiazione diretta. Una porzione

significativa della radiazione ad onda corta può essere riflessa

dalla superficie del manto nevoso: la riflettività dello snowpack

è generalmente valutata secondo il suo albedo (A), definito come

la percentuale di radiazione ad onda corta riflessa. L’albedo

della neve fresca può raggiungere anche valori attorno al novanta

per cento, ma si può ridurre fino al trenta per cento durante il

periodo di scioglimento della neve stessa. Questo albedo può

essere significativamente ridotto da materiale sabbioso o detriti

che si vengano a mescolare nello strato nevoso.

Radiazione ad onda lunga: una porzione di energia ad onda

corta assorbita dallo snowpack è riemessa come radiazione ad onda

lunga. Questa energia fuoriuscente è bilanciata da una radiazione

ad onda lunga proveniente dalle nubi e dalle chiome vegetali, che

è stata assorbita in precedenza sotto forma di energia ad onda

corta. Il flusso netto di energia ad onda lunga è significativo in

zone a copertura forestale e durante periodi di copertura nuvolosa

consistente, visto che le nubi e le chiome riemettono parte

dell’energia assorbita ad onda corta come energia ad onda lunga.

Contrariamente, in aree aperte, una consistente parte dell’energia

ad onda lunga se ne va durante la notte determinando il

raffreddamento dello snowpack, ritardando in questo modo lo

scioglimento dello stesso. Lo snowpack funziona praticamente come

un radiatore quasi ideale, la sua emissione di energia ad onda

lunga può essere descritta dall’equazione di Stefan-Boltzmann:

dove:

Qls è il flusso di energia ad onda lunga emesso dallo snowpack in

;

è l’emissività dello snowpack, che varia da 0,97 (neve

18

sporca) a 0,99 (neve fresca) ( per un corpo nero);

è la costante di Stefan-Boltzmann;

è la temperatura della superficie del manto nevoso in gradi

Celsius.

In condizioni di cielo limpido ed in aree aperte, particelle

sospese nell’atmosfera e costituenti dell’aria (nel primo strato

di cento metri) emettono energia d onda lunga verso lo snowpack.

La massa aerea può essere trattata empiricamente come un corpo

grigio, con una porzione dell’emissione nell’onda lunga attribuita

al vapor d’acqua. Ad esempio, (E.R.Anderson, 1954), riporta la

seguente equazione per la radiazione ad onda lunga in aree aperte,

come funzione della pressione di vapore e temperatura:

dove:

è l’energia ad onda lunga emessa dall’aria in condizioni di

cielo sgombro verso lo snowpak in ;

è la costante di Stefan-Boltzmann;

è la pressione di vapore in millibar;

è la temperatura dell’atmosfera in gradi Celsius.

A causa della dipendenza marginale dall’umidità, M.C. Quick

(M.C.Quick, 1995) ha suggerito una semplificazione all’equazione

precedente:

19

Le nuvole agiscono come corpi neri e la loro emissione di

energia ad onda lunga possono dunque essere rappresentate

dall’equazione di Stefan-Boltzmann:

dove:

è il flusso di energia ad onda lunga emesso dalla copertura

nuvolosa in ;

è la temperatura delle nubi in gradi Celsius.

Scambio di calore latente e convettivo: un gradiente di

temperatura al di sopra dello snowpack risulta in uno scambio di

calore convettivo che può essere accelerato dalla presenza di

forti venti. Il trasferimento di umidità allo snowpack attraverso

la condensazione o dallo snowpack per sublimazione produce una

variazione di calore latente, aumentandolo o diminuendolo

rispettivamente. Anche il trasferimento di calore latente è

influenzato dal vento. La contribuzione allo scioglimento dello

snowpack di questi fenomeni è abbastanza marginale in condizioni

di meteo sereno e tiepido, a causa della staticità della massa

d’aria sovrastante lo snowpack; viceversa il loro contributo può

essere molto significativo in condizioni di vento forte o durante

fenomeni invernali di “pioggia su neve”. Sempre M.C. Quick

(M.C.Quick, 1995) ha suggerito le seguenti equazioni per stimare i

flussi di calore latente e convettivo:

20

dove :

è il flusso di calore convettivo in ;

è il flusso di calore latente in ;

è un fattore riduzionale adimensionale;

è il numero di Richardson che è una misura della stabilità della

massa d’aria;

è la pressione atmosferica in kilopascal;

è la temperatura media dell’aria in gradi Celsius;

è la velocità del vento in m/s.

Rain melt: quando si verifica un evento piovoso su una

copertura nevosa in via di disfacimento, il calore avvettivo

rilasciato dalla pioggia può essere stimato come segue:

dove:

è il flusso di calore avvettivo rilasciato dalla pioggia in ;

è il calore specifico della pioggia ;

e la pioggia caduta in mm/s;

è la temperatura della pioggia in gradi Celsius;

è la temperatura della neve.

Se la pioggia cade su uno snowpack sotto zero, una parte di essa

dovrebbe teoricamente congelare e rilasciare il suo calore di

21

fusione, che è generalmente difficile da determinare a causa della

mancanza di misurazioni e conseguentemente non è preso in

considerazione nel computo totale dello scambio di calore dello

snowpack.

Scambio conduttivo con il suolo: a causa della sua scarsa

conduzione termica, la neve riduce significativamente lo scambio

di calore tra il suolo e l’atmosfera. Nella maggior parte dei

casi, il flusso di calore verso il suolo è abbastanza ridotto e

può perciò essere estromesso dall’equazione per il calcolo dello

scambio di calore dello snowpack.

2.9 - Il bilancio di massa dello snowpack

Il bilancio di massa dello snowpack è governato dalla seguente

equazione:

dove:

è lo snow water equivalent (SWE) dello snow pack;

è l’evento nevoso, che aggiunge volume allo snowpack;

è l’evento piovoso sullo snowpack;

è l'evaporazione e la sublimazione;

è lo scioglimento dello snowpack.

In condizioni ideali, una massa di ghiaccio puro soggetta ad un

influsso positivo di calore inizia a sciogliersi ad una

22

temperatura costante di zero gradi Celsius, secondo la formula del

calore di fusione:

dove:

è la massa del ghiaccio fuso;

è il calore (energia) assorbito dal ghiaccio;

è il calore di fusione del ghiaccio (energia per unità di

massa) definito come la quantità di energia richiesta per

convertire una unità di massa di ghiaccio in acqua a zero gradi

Celsius;

è la densità dell’acqua (massa per unità di volume).

Basandosi sulle equazioni (1) e (12), lo snowmelt potenziale ,

definito come il volume di neve per unità di area e per unità di

tempo che può essere sciolta da data la disponibilità di massa

di neve, può essere calcolato come segue:

dove:

è il volume del potenziale snowmelt in mm/s (1 mm è equivalente

ad un volume di 1 mm su un area di un m2);

23

è l’energia disponibile per lo snowmelt come definita

nell’equazione 1 in ;

è il calore di fusione del ghiaccio, pari a ;

è la densità dell’acqua, pari a ;

è la qualità termica della neve, definita come il rapporto tra

il calore richiesto per fondere una unità di massa di neve e

quello richiesto per una di ghiaccio a zero gradi Celsius, che

varia da 0,95 a 0,97 per uno snowpack in disfacimento.

2.10 - Rappresentazione numerica del

bilancio termico e di massa dello

snowpack

Basandosi sulle equazioni (1), (11) e (13), il bilancio termico e

di massa dello snowpack può essere espresso in forma numerica come

segue:

dall’equazione (1)

Dove rappresenta un indice di tempo e rappresenta un

incremento di tempo tra e . Riarrangiando i termini si

ottiene:

dove:

24

Un negativo indica che lo snowpack è in uno stato termico

sotto lo zero, mentre un valore positivo indica che lo snowpack è

in fase di disfacimento. Quindi:

Per uno snowpack sotto lo zero

Per uno snowpack in fusione

Le equazioni soprastanti e l’equazione del bilancio di massa

dello snowpack possono essere formulate in un algoritmo numerico

per stimare lo snowmelt, l’energia interna e la massa dello

snowpack stesso come segue:

è calcolato dai flussi di energia ed ancor prima

dall’energia interna usando l’equazione (16);

Se allora lo snowpack è in uno stato termico sotto

lo zero e:

25

Se allora lo snowpack è in disfacimento e

basandosi sull’equazione (19). può essere prontamente

calcolato da basandosi sull’equazione (13). Lo snowpack in

fusione può essere in uno di questi due stati:

1. La massa dello snowpack è maggiore dello snowmelt potenziale,

:

2. La massa dello snowpack è minore dello snowmelt potenziale,

:

26

2.11 - Il telerilevamento

Il telerilevamento, è definibile come quell’insieme di tecniche,

strumenti e mezzi interpretativi che permettono di estendere e

migliorare le capacità percettive dell’occhio, consentendo

all’osservatore di poter disporre di informazioni qualitative e

quantitative su oggetti posti ad una certa distanza e dunque

sull’ambiente circostante.

Tramite il telerilevamento si possono raccogliere informazioni

provenienti da superfici che sono poste generalmente lontano

dall’osservatore: si può andare da qualche metro (in questo caso

si parla di Proximal Sensing) fino a migliaia di chilometri

(Remote Sensing vero e proprio) come nel caso di osservazioni

effettuate da satelliti.

L’energia elettromagnetica che trasporta le informazioni utili

nel campo del telerilevamento è limitata, nell’uso pratico, alle

bande del visibile, dell’infrarosso, delle microonde; alcune

esperienze sono state condotte nella banda dell’ultravioletto

nonostante i limiti imposti dagli effetti dell'atmosfera.

Qualsiasi superficie esterna di un corpo, che si trovi ad una

temperatura superiore allo zero assoluto (0 Kelvin pari a -273,14

°C ), emette radiazioni elettromagnetiche in funzione della sua

temperatura e della superficie: la stessa superficie riflette,

assorbe o si lascia trapassare dalle radiazioni elettromagnetiche

provenienti dall’esterno. Una superficie che rifletta molto nel

verde e poco nel rosso e nel blu apparirà, se illuminata con luce

bianca, essenzialmente verde (come ad esempio la vegetazione): nel

caso della neve, essa appare bianca grazie alla capacità di

riflettere in buona misura tutto lo spettro del visibile. Per ogni

superficie è allora possibile costruire un grafico delle capacità

riflettive in funzione della lunghezza d’onda della radiazione

incidente: questo grafico, caratteristico di ogni superficie, è

27

chiamato firma o risposta spettrale. Proprio grazie a questa

caratteristica è lecito pensare di identificare una superficie

attraverso il telerilevamento: infatti se è possibile esplorare in

varie lunghezze d’onda la luce riflessa da una superficie

(ottenendo un grafico di risposta spettrale) ed avendo a

disposizione una statistica di comportamento spettrale

sufficientemente ampia, si può pensare di riconoscere la natura

dell’oggetto investigato.

Il progresso tecnologico ha portato alla costruzione di

strumenti atti a compiere misure in porzioni strette e contigue

dello spettro elettromagnetico, suddividendo sia la luce visibile

che quella invisibile in bande, caratterizzate dall’intervallo di

lunghezza che coprono: appare lampante che più strette sono le

bande considerate (l’intervallo di lunghezza d’onda che

comprendono è minore) più risulterà precisa l’indagine, essendo

esse più numerose; diminuendo l’ampiezza delle bande lo strumento

di misura raccoglie meno energia aumentando contemporaneamente

l’"effetto nugget", il rumore di fondo associato all’informazione.

I satelliti impiegati per osservare la Terra effettuano una

scansione della superficie terrestre, misurando la quantità di

energia riflessa dai vari corpi presenti sulla superficie stessa:

bisogna quindi riuscire a stabilire una congruenza tra la quantità

e la qualità dell'energia riflessa e la natura (o lo stato) dei

corpi o delle superfici dai quali proviene l'energia stessa.

Quando l'energia elettromagnetica emessa dal sole colpisce un

corpo sulla superficie del nostro pianeta essa viene in parte

riflessa ed in parte assorbita: la riflessione può essere

speculare quando la radiazione colpisce uno specchio d'acqua

tranquilla, in questo caso la riflessione non dà informazioni

utili sulla natura della superficie riflettente; la riflessione

diffusa da superfici scabre od irregolari, al contrario, avviene

uniformemente in tutte le direzioni e contiene informazioni

spettrali sul colore e sulla natura della superficie riflettente:

sono proprio le caratteristiche della riflessione diffusa di suoli

28

e di superfici in genere ad essere determinanti ai fini del

telerilevamento.

La percentuale dell'energia radiante incidente che viene

riflessa è determinata dalla struttura geometrica delle superfici,

dalla natura e dalla composizione dei corpi (ad esempio il

contenuto di acqua di un terreno influenza la riflettanza)e dalla

presenza o meno di pigmenti: ad esempio la clorofilla assorbe

fortemente l'energia radiante sulle bande intorno a 0,45 µm (blu)

e 0,65 µm (rosso) riflettendo bene la radiazione verde, attorno ai

0,55 µm. Grazie allo spettroradiometro, è possibile analizzare il

valore della riflettanza di un corpo in relazione alle varie

lunghezze d'onda dello spettro.

Di grande importanza è sottolineare che ai sensori che misurano

le riflettanze spettrali giunge l'energia riflessa dall'insieme

dei punti che costituiscono l'area elementare di osservazione, o

"pixel", nella direzione e nell'istante dell'osservazione: se, ad

esempio, la vegetazione, la composizione, il colore e l'umidità di

un suolo non sono uniformi entro il pixel osservato, la curva di

riflettanza spettrale relativa a quel pixel è composita. Tra i

fattori che producono variazioni nelle curve di riflettanza

spettrale ritroviamo sia quelli statici che quelli dinamici: ad

esempio, tra gli statici osserviamo l'esposizione del terreno o la

sua pendenza, tra i dinamici lo stadio fenologico delle colture

erbacee, le condizioni nutritive e fitosanitarie, il grado di

copertura del terreno, la sua umidità e la posizione del sole.

29

2.12 - Il MODIS (Moderate Resolution Imaging

Spectroradiometer)

Il monitoraggio della superficie innevata può essere compiuto

attraverso il sensore MODIS, montato sui satelliti polari NASA

Terra ed Aqua lanciati il primo nell'anno 2000 ed il secondo nel

2002. I due satelliti passano tutti i giorni alla mattina (Terra)

e nel pomeriggio (Aqua): il satellite Terra compie un'orbita

discendente (Nord – Sud) mentre il satellite Aqua un'orbita

ascendente (Sud – Nord). Questi passaggi frequenti sono ottimali

per lo studio del manto nevoso e della sua distribuzione sul

territorio, anche se sono influenzati da copertura nuvolosa: dopo

un evento nevoso è infatti necessario attendere una giornata

serena per poter effettuare uno studio ed analizzare lo stato

d'innevamento.

Il sensore MODIS (Moderate Resolution Imaging

Spectroradiometer) acquisisce in sette bande spettrali a

differente risoluzione spaziale (Tab. 2.1): i canali più utili al

fine dell'individuazione della neve hanno risoluzione a terra pari

a cinquecento metri (ogni pixel copre un'area di circa venticinque

ettari).

Bande Lunghezza d'onda centrale

(μm)

Larghezza della

banda

Risoluzione

spaziale (m)

1 0.645 0.620-0.670 250

2 0.8585 0.841-0.876 250

3 0.469 0.459-0.479 500

4 0.555 0.545-0.565 500

5 1.240 1.230-1.250 500

6 1.640 1.628-1.652 500

7 2.130 2.105-2.154 500

Tab. 2.1: Parte dei 36 canali acquisiti dal sensore MODIS

30

Anche se esistono altre tipologie di sensori per studi

nivometrici, il MODIS rappresenta attualmente il miglior

compromesso tra risoluzione geometrica, frequenza, ampiezza della

scena ripresa (in particolare per utilizzi a scala regionale) e

disponibilità dei dati. Le immagini da elaborare sono distribuite

dalla NASA stessa tramite servizi di ricerca web e download

attraverso il protocollo F.T.P..

2.13 - Andamento della distribuzione nevosa

nell'Emilia-Romagna

La copertura nevosa che ha interessato l'Emilia-Romagna dal 2001

al 2008 è stata analizzata per fasce altimetriche, identificate da

tre profili altimetrici differenti e tre quadranti geografici: si

sono ottenute così nove differenti fasce caratterizzate come

segue:

Fascia montana: caratterizzata dalle zone ad altimetria

maggiore di 600 metri s.l.m., suddivisa in:

Orientale: comprendente le provincie di Ravenna e Forlì-

Cesena.

Centrale: comprendente la sola provincia di Bologna.

Occidentale: comprendente le provincie di Piacenza,

Parma, Reggio-Emilia, Modena.

Fascia collinare: caratterizzata dalle zone ad altimetria

compresa tra i 150 ed i 600 metri s.l.m., suddivisa in:

31

Orientale: comprendente le provincie di Ravenna, Forlì-

Cesena e Rimini.

Centrale: comprendente la sola provincia di Bologna.

Occidentale: comprendente le provincie di Piacenza,

Parma, Reggio-Emilia, Modena.

Fascia di pianura: caratterizzata dalle zone ad altimetria

inferiore a 150 metri s.l.m., suddivisa in:

Orientale: comprendente le provincie di Ferrara,

Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini.

Centrale: comprendente la sola provincia di Bologna.

Occidentale: comprendente le provincie di Piacenza,

Parma, Reggio-Emilia, Modena.

Grafico 2.1: distribuzione percentuale della copertura nevosa sulla fascia montana

orientale (quote > di 600 m s.l.m.)

32

Grafico 2.3: Distribuzione percentuale della copertura nevosa sulla fascia montana

occidentale (quote > 600 m s.l.m.)

Grafico 2.2: Distribuzione percentuale della superficie nevosa sulla fascia montana

centrale (quote > 600 m s.l.m.)

33

Grafico 2.5: Distribuzione percentuale della copertura nevosa sulla fascia collinare

centrale ( quote comprese tra 150 e 600 m s.l.m.)

Grafico 2.4: Distribuzione dell'innevamento percentuale sulla fascia collinare orientale

(quote comprese tra 150 e 600 m s.l.m.)

34

Grafico 2.6: distribuzione percentuale dell'innevamento sulla fascia collinare

occidentale (quote comprese tra 150 e 600 m s.l.m.)

Grafico 2.7: distribuzione percentuale della copertura nevosa sulla fascia di pianura

orientale (quote < 150 m s.l.m.)

35

Grafico 2.8: distribuzione percentuale dell'innevamento nella fascia di pianura centrale

(quote < 150 m s.l.m.)

Grafico 2.9: distribuzione percentuale del manto nevoso sulla fascia di pianura

occidentale (quote < 150 m s.l.m.)

36

2.14 - L'andamento della copertura nevosa

nel periodo di studio

2.14.1 - L'andamento dell'inverno 2005-2006

Le nevicate della stagione sono state classificate in

quattordici fenomeni nevosi, intesi come una o più giornate in cui

si ha avuto caduta di neve. L'individuazione di questi gruppi è

stata fatta incrociando le nevicate registrate dalla sala

operativa delle previsioni meteo del Servizio Idrometeorologico e

le immagini MODIS classificate.

Il primo episodio si è avuto durante la terza decade di

novembre, quando un intenso afflusso d’aria fredda provoca

nevicate estese tra il 22 ed il 23 sull’Appennino, in particolare

sul settore romagnolo, e localmente sulla pianura sottostante tra

Forlì e Faenza. Un seguente afflusso di aria umida e temperata,

scorrendo sul cuscino freddo, provoca precipitazioni nevose anche

sulla pianura emiliana, mentre l’aria calda in quota determina la

trasformazione in pioggia delle precipitazioni sull’Appennino

romagnolo, dove si avrà un repentino scioglimento della neve al

suolo. Sull’Appennino emiliano si ha una caduta consistente di

pioggia che gela o “gelicidio”. Successivamente la neve si

ripresenterà in maniera diffusa fino alla quota della bassa

colline nella notte tra i giorni 8 e 9, e tra il 27 ed il 28

dicembre quando, in quest’ultimo caso, arriva anche in pianura,

sebbene con accumuli modesti. Degno di nota l’evento esteso di

gelicidio sulla pianura durante la notte del 31 dicembre.

Il mese di gennaio 2006 è stato dominato dalla persistenza di

correnti settentrionali che hanno provocato temperature

costantemente molto inferiori alla media. In questo modo si

crearono le condizioni adatte per un’intensa nevicata, solo che si

fossero aggiunti altri ingredienti indispensabili. Tali condizioni

37

furono verificate il 25 e 26 gennaio, allorché una profonda

saccatura di bassa pressione determinò un’intensa risposta di aria

calda e umida sciroccale che, scorrendo sull’aria più fredda al

suolo, provocò una delle nevicate più intense degli ultimi decenni

sul regioni nord occidentali dell’Italia. In questo modo le

provincie di Piacenza e Parma sono state le più interessate dalle

precipitazioni nevose, dove si sono raggiunti finanche i 50 cm di

neve fresca al suolo sulle zone di pianura. La quantità di neve

caduta sulla parte restante del territorio regionale diminuiva

velocemente precedendo verso levante tanto che, ad esempio, la

città di Bologna non ha visto nessun accumulo significativo se non

nel suo quartiere più occidentale di Borgo Panigale. Nel mese di

febbraio hanno prevalso nuovamente correnti fredde e secche, salvo

poi proprio alla fine, quando il 28 nevica in Romagna anche in

pianura, dove gli accumuli sono intorno ai 3 cm. Altre deboli

nevicate si hanno sull’Appennino nei giorni seguenti fino a quota

collinare; si giunge, così, arrivare alla nevicata del 12 marzo

quando si registrano accumuli consistenti sui rilievi, in

particolare sul settore centrale, e scarsi o nulli in pianura.

Successivamente le nevicate del 27-28/12 hanno fatto registrare un

forte aumento della copertura relativa, arrivata al 44%, con

copertura nuvolosa consistente sul settore sud orientale,

presumibilmente interessato da neve solo sull’area delle foreste

casentinesi. Nel periodo successivo la neve tende a rimanere

stabile grazie alle basse temperature fino al 10/01. Da questo

momento inizia una serie di giornate serene, caratterizzate da

temperature più calde, che portano ad un nuovo scioglimento (10%

di copertura relativa). La nevicata del 26/01 porta neve sul

settore occidentale. Il bollettino del 31/01 individua come

innevata tutta la provincia di Piacenza e 2/3 di quella di Parma,

mentre nella giornata successiva, la neve si presenta

drasticamente ridotta del 40% su Piacenza e di 1/3 su Parma, con

una riduzione netta di circa 2.000 km2. Questi due bollettini sono

molto interessanti poiché mostrano come in meno 24 h, in periodo

invernale, si possa assistere a forte scioglimento su vaste

38

superfici. I bollettini successivi mostrano come la neve tenda a

sciogliersi sulla fascia collinare regionale, mentre rimanga più

stabile sulla pianura piacentina e crinale tosco-emiliano.

Guardando le portate del Po a Pontelagoscuro, si nota come nello

stesso periodo temporale si assiste ad un picco di portata intorno

al 05/02, presumibilmente dovuto allo scioglimento della neve.

Nelle date a seguire non viene più registrata neve in pianura e

sulla parte montana lo scioglimento inizia da oriente. In data

12/03 una forte nevicata interessa la zona del modenese e

reggiano, registrata nel bollettino del 13/03. Quest’ultima

nevicata si mantiene fino al 15/03, quando ormai a occidente la

neve non è più presente e a oriente rimane sulle fasce

altimetriche più elevate. Dal 26/03 al 23/04 la neve rimane solo

sulla zona di crinale nelle province Parma, Reggio Emilia e Modena

(A.Spisni, P.Mezzasalma,.F.Tomei, 2007).

2.14.2 - L'andamento dell'inverno 2006-2007

Dall'incrocio tra segnalazioni della sala operativa

meteorologica del Servizio Idrometeorologico e dalle immagini

MODIS sono stati individuati 9 fenomeni nevosi, intesi come una o

più giornate in cui si è avuto caduta di neve e cielo nuvoloso,

distribuiti tra novembre e marzo, con maggior frequenza tra metà

gennaio e fine marzo. Dal punto di vista meteorologico la stagione

fredda 2006-07 è stata fortemente anomala. In particolare

sull’Italia settentrionale la situazione è stata dominata dalla

stabilità atmosferica che ha portato precipitazioni nel complesso

scarse. Durante i periodi umidi le correnti prevalenti provenivano

dai quadranti occidentali erano, dunque, temperate tanto da

mantenere i valori delle temperature su livelli molto superiori a

quelli attesi nel periodo. Per questo motivo la quota del livello

dello zero termico si è presentata in media ad altezze superiori

alle cime dell’Appennino settentrionale. Ad inizio novembre si ha

un’intensa irruzione di aria fredda, senza precipitazioni, subito

39

sostituita da tempo stabile e caldo che si protrarrà fino al 21

dicembre, quando una goccia fredda porta la neve sui rilievi; gli

accumuli maggiori si avranno sul settore romagnolo. Gli ultimi

giorni dell’anno saranno più freddi del normale. Gennaio 2007,

nella sua costante stabilità anticiclonica, rappresenta una delle

anomalie più significative della storia recente: secco e caldo

fino ad oltre il 20. Tra il 23 ed il 26 l’aria umida torna sulla

penisola, questa volta con temperature più basse, provocando

nevicate abbondanti sull’Appennino emiliano e, molto più scarse,

su di una limitata zona di pianura pedemontana tra le provincie di

Parma e Reggio. A febbraio la regione è interessata da un regime

atlantico che favorisce le precipitazioni lungo il crinale

appenninico ma, date le alte temperature, anche l’assenza di neve

alle alte quote. Un intenso afflusso di aria fredda tra il 19 e 20

marzo porta un po’ di neve sulla pianura emiliana, con leggeri

accumuli ancora una volta tra Parma e Reggio. Le precipitazioni

frequenti nei giorni successivi si traducono in nevicate

abbondanti sui rilievi emiliani La neve di fine marzo è rimasta

presente sul crinale fino alla terza decade di aprile. Il 26/01 e

20/03 sono stati gli unici giorni in cui ha nevicato in pianura.

In generale, la fascia montana occidentale (quote > 600 mslm)

delle province di Piacenza, Parma, Reggio-Emilia e Modena è quella

più interessata degli eventi nevosi, sia come frequenza che

intensità e persistenza. L'ultima annata è stata la meno innevata

soprattutto fino a fine 2006. La copertura nevosa più consistente

si è registrata a fine gennaio, raggiungendo il 25% della

superficie totale, mentre durante natale si sono registrate

coperture del 10% e a fine marzo del 18%. Sulla fascia montana

orientale ha nevicato poco, come l'anno precedente. Sempre sulla

stessa zona, le nevicate nel periodo natalizio sono state più

persistenti che ad occidente (A.Spisni, P.Mezzasalma,.F.Tomei,

2007).

40

2.15 – Scopo della Tesi

Scopo del presente lavoro è implementare il modello di Snow

Water Equivalent (SWE) al territorio della Regione Emilia-Romagna,

per permettere la previsione di eventi meteorici nevosi e la

quantità di acqua che si libera allo scioglimento dal manto

nevoso.

Il nostro obiettivo è quello di valutare la capacità predittiva

del modello mettendo a confronto i risultati ottenuti con gli

eventi meteorici reali (innevamento) estrapolati da immagini

satellitari ottenute dal satellite Terra attraverso il sensore

MODIS (Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer).

41

3. Materiali e metodi

3.1 - Il modello di Snow Water Equivalent

(SWE)

La stima dello Snow Water Equivalent (mm) è compiuta da un

modello distribuito di accumulo e scioglimento della neve (Snow

Accumulation and Melt, SAM) (E.Brooks, J.Boll,.P.A.McDaniel,

2007), inserito all’interno del software PRAGA (G.Antolini,

F.Tomei, 2006).

Il modello utilizza dati orari interpolati di temperatura,

precipitazione, umidità relativa, vento e radiazione ad onda

corta.

Concettualmente il modello si basa sulla conservazione di massa

ed energia in un singolo strato di manto nevoso. Il contenuto

energetico U (kJ m-2) è relativo ad uno stato di riferimento

dell’acqua a 0 °C. Se U < 0 il manto nevoso è composto unicamente

da ghiaccio; se U = 0 allora ghiaccio e fase liquida possono

essere entrambi presenti e se infine U > 0 nessun manto nevoso è

presente e il contenuto energetico è riferito allo strato di suolo

sottostante. La massa totale del manto nevoso W (m) include fase

solida Wice (m) e fase liquida Wliq (m). Il bilancio di massa ed

energia è quindi rappresentato dalle seguenti equazioni:

42

dove t è il tempo, QT il flusso di energia in entrata che

attraversa il limite superiore ed inferiore del manto nevoso, Qr lo

scambio di calore latente dovuto al ricongelamento o al disgelo, Pr

la precipitazione, Ps l’innevamento, E la sublimazione dal manto

nevoso e Mr l’acqua in forma liquida che abbandona lo stesso.

Il flusso di energia QT (kJ m-2 hr

-1) è definito come:

dove Qs è la radiazione netta ad onda corta, Qlw è la radiazione

netta ad onda lunga, Qh è il flusso di calore sensibile, Ql è

flusso di calore latente dovuto alla sublimazione/condensazione, Qp

è il calore avvettivo trasferito dalla precipitazione e Qg è il

flusso di calore dal terreno.

3.2 - Dalle immagini satellitari alle

immagini di studio

La prima fase del lavoro è stata quella del reperimento delle

immagini satellitari riguardanti il periodo di interesse ai fini

dello studio. Queste immagini (Fig. 3.1) sono rese disponibili

dalla NASA (ladsweb.nascom.nasa.gov). Nel nome del file compariva,

tra le altre informazioni quali data ed ora dello scatto, anche

risoluzione spaziale e qualità della post-elaborazione

sull'immagine stessa: nel nostro caso il file portava la dicitura

MOD02HKM ovvero l'immagine è stata acquisita dal sensore MODIS

(MOD), con una post elaborazione di tipo Level 1B (02) (valori di

riflettanza

43

Figura 3.1: Un esempio di immagine satellitare di partenza

44

al sensore) con una risoluzione spaziale di 500 metri (HKM, half

kilometer).

Abbiamo preso in considerazione un intervallo temporale di sette

anni, dal 2001 al 2007, con riferimento ai soli mesi più rilevanti

ai fini dello studio del fenomeno nevoso (dal mese di novembre a

quello di aprile). Per ogni mese abbiamo scelto le immagini più

significative e meglio interpretabili, con presenza di manto

nevoso e con la minore copertura nuvolosa possibile. Attraverso

questa selezione abbiamo ottenuto, in media, due immagini per

mese.

Queste immagini coprono aree sempre differenti in relazione

all'orbita: per poter lavorare su immagini "standard" e quindi

confrontabili tra loro si è proceduto ad una serie di elaborazioni

sulle immagini stesse.

Per prima cosa è stato necessario georeferenziare ogni immagine

e per fare ciò si è utilizzato il programma ENVI (ITT-VIS),

potente strumento per l'elaborazione di immagini di tipo

geografico. Al momento di importare l'immagine in ENVI, il

programma chiede se utilizzare dati di riflettanza o radianza e

quali bande spettrali utilizzare (informazioni racchiuse nel file

hdf reso disponibile dalla NASA): sono state scelte le

informazioni di riflettanza.

Una volta importata correttamente l'immagine si è potuto

procedere alla georeferenziazione (Fig. 3.2): è stata utilizzata

la proiezione UTM (Universale Trasversa di Mercatore), datum WGS-

84 (World Geodetic System 1984), zona 32 N; il programma ci ha

permesso di poter scegliere se effettuare la correzione per il

grandangolo, chiamata "Bow Tie" (effetto cravattino), che si rende

necessaria nel caso si identifichino nella zona di interesse dei

disallineamenti nell'immagine che danno luogo a visibili

"quadrettature". Una volta georeferenziata l'immagine si è

proceduto al "ritaglio" della stessa, in modo da ottenere immagini

che

45

Figura 3.2: Immagine dopo la georeferenziazione, eseguita solo sulla porzione d'interesse

Figura 3.3: Il ritaglio è effettuato in modo da produrre immagini che raffigurino tutte

esattamente la stessa porzione di territorio

46

comprendessero la stessa porzione di territorio, tramite

l'utilizzo di un file contenente le informazioni spaziali per il

ritaglio: l'immagine che ne risulta (Fig 3.3) copre l'area della

regione Emilia-Romagna.

Una volta ottenute le immagini ritagliate per tutte le date di

studio è stato necessario individuare le zone con copertura

nevosa, operazione effettuata sempre grazie all'ausilio del

programma informatico "ENVI": per classificare queste zone è stato

utilizzato un procedimento dicotomico, ovvero un "decision tree".

L'operazione decisionale consiste per prima cosa nel calcolo

dell'indice "Normalized Difference Snow Index" (NDSI) tramite la

formula [NDSI = (b4-b6)/(b4+b6)], dove per b4 e b6 si intendono le

bande quattro e sei rispettivamente con lunghezza d'onda centrale

di 0,555 e 1,640 µm, poi nella decisione vera e propria basata su

NDSI e sulle bande 2 e 4. Più in dettaglio il programma verifica,

per ogni pixel il valore dell' NDSI:

Se il valore è minore di 0,2 il pixel è classificato come

libero da neve

Se il valore è maggiore od uguale a 0,2 la decisione ultima

su pixel innevato o libero da neve è affidata alle bande 2 e

4: se le bande 2 e 4 mostrano entrambe valori di riflettanza

superiori al 5% allora il pixel è classificato come innevato,

altrimenti come non innevato.

Da sottolineare che l'indice NDSI è particolarmente sensibile

alla presenza di neve grazie all'utilizzo dei valori di bassa

riflettanza della banda 6 rispetto alla banda 4.

I livelli soglia da utilizzare nell'albero decisionale, così

come riportati in bibliografia (definiti a scala globale), tendono

a sottostimare la copertura nevosa che si riscontra alle

latitudini e quote tipiche dell'Emilia-Romagna: per questo motivo

i valori utilizzati per questo studio derivano da una serie di

adattamenti che sono stati fatti per rispecchiare meglio la realtà

47

locale e dunque le condizioni del manto nevoso che si può trovare

in Emilia-Romagna (A.Spisni, P.Mezzasalma,.F.Tomei, 2007).

Dall'elaborazione delle immagini tramite albero decisionale sono

state ottenute una serie di immagini maschera (Fig. 3.4), dove i

pixel classificati come neve avevano valore 1 ed i restanti pixel

valore 0. Su queste immagini è stato necessario intervenire

manualmente per rimuovere quelle aree classificate in maniera

evidentemente erronea come innevate, quali i profili costieri o le

nubi particolarmente fredde.

Figura 3.4: Un esempio di immagine maschera; la neve individuata da satellite appare

bianca

Ricapitolando, da tutte queste operazioni abbiamo ottenuto, per

ogni data oggetto di studio, un'immagine in scala di grigi

ristretta alla sola regione Emilia-Romagna sia per quanto riguarda

la copertura nevosa sia per quanto riguarda quella nuvolosa.

48

3.3 - L'esecuzione del modello

Dopo aver ottenuto le immagini da satellite è stato necessario

ottenere la "controparte" derivante dall'esecuzione del modello

matematico che calcola il verificarsi dell'evento nevoso e

l'accumulo della neve stessa, per poter verificare la bontà di

quest'ultimo in fatto di correttezza nell'individuazione della

copertura nevosa in seguito a comparazione statistica.

Per far girare il modello è stato utilizzato il software PRAGA

(acronimo di Programma di Analisi e Gestione di dati

Agrometeorologici), sviluppato dai dottori G. Antolini e F. Tomei

(ARPA-SIM), che permette la gestione dei dati agrometeorologici

nel tempo e nello spazio. Questo potente strumento permette di

interpolare sul territorio dati puntuali attraverso una serie di

algoritmi sviluppati e calibrati per ogni specifica grandezza

(G.Antolini, F.Tomei, 2006); la base orografica utilizzata per i

calcoli consiste in un ricampionamento a 500 m di risoluzione

geometrica del modello digitale Srtm esteso sulla chiusura dei

bacini idrografici di competenza regionale. Le interpolazioni

operano al passo di 1 kmq.

Il programma attinge i dati meteorologici da un database che

contiene i dati orari per quel che riguarda temperatura dell'aria,

precipitazione, umidità relativa, vento e radiazione ad onda

corta. La radiazione ad onda corta, di fondamentale importanza,

viene calcolata in PRAGA tramite l'utilizzo degli algoritmi del

modulo r.sun sviluppato nel software GIS GRASS, partendo da valori

orari misurati di radiazione globale. Gli input per il calcolo

della posizione solare, in termini di angolo ed altezza solari,

sono ora solare, latitudine, quota, pendenza ed esposizione,

questi ultimi derivati dal modello digitale del terreno.

Attraverso il DTM (Digital Terrain Model) viene calcolato anche

l’ombreggiamento dovuto ai rilievi, che può essere molto rilevante

49

in aree orografiche complesse, in particolare per bassi valori di

altezza solare. L’irradianza solare potenziale oraria con cielo

sereno è ottenuta come somma delle componenti diretta, diffusa e

riflessa. L’attenuazione dovuta alla torbidità atmosferica, da cui

si calcolano le componenti diretta e diffusa, è simulata in base

al coefficiente di Linke. L'irradianza riflessa è calcolata in

base ad un coefficiente di riflettività (albedo). L’irradianza

reale (comprensiva dell’eventuale nuvolosità) per una superficie

ricevente orizzontale è stimata tramite la trasmissività globale

(che è la grandezza che esprime la nuvolosità). Questa è

calcolata, per ogni punto di misura della radiazione, come il

rapporto tra irradianza potenziale (cielo sereno) e irradianza

reale e successivamente interpolata. Per le superfici inclinate,

tuttavia, occorre separare la trasmissività diretta da quella

diffusa nel caso in cui non siano disponibili misure separate

delle due componenti. A tal fine l’equazione di Bristow e

Campbell, sviluppata originariamente per valori giornalieri, è

stata adattata a valori orari d’irradianza (A.Spisni, F.Tomei et

al., 2009)

Lo scopo di far "girare" il modello è stato quello di ottenere

per ogni data oggetto di studio (della quale quindi si disponeva

già dell'immagine satellitare) i risultati di SWE (innevamento)

previsti dal modello e verificarne così la bontà confrontando la

distribuzione reale (dall'elaborazione delle immagini satellitari)

e quella prevista dal modello. L'interfaccia di lavoro utilizzata

è stata quella tridimensionale, dove è possibile vedere riprodotta

la regione Emilia-Romagna nelle tre dimensioni ed interagire per

quel che riguarda la prospettiva. Una volta caricato il database

contenente i dati meteorologici a cadenza oraria all'interno del

software PRAGA, è stato necessario impostare la data di partenza

della simulazione: si è scelto di iniziare la simulazione una

ventina di giorni prima della prima data utile per fare in modo

che anche la neve formatasi precedentemente potesse comparire

nell'istantanea della data oggetto di studio. Una volta impostata

50

la data di partenza (che generalmente cadeva verso la metà di

ottobre) il programma è stato lasciato simulare fino alla fine del

periodo di interesse (dunque fino al mese di aprile): per ottenere

l'istantanea di una determinata data è stato sufficiente mettere

in pausa la simulazione ed utilizzare la funzione "Export map" del

programma, che consente di esportare lo stato della simulazione

che è attualmente visibile nell'interfaccia di lavoro in un file

in formato binario ESRI (.flt).

Fatto questo per tutti gli anni di interesse, si sono ottenuti

una serie di file .flt rappresentanti la situazione calcolata dal

modello per ogni data ed alla stessa ora delle immagini

satellitari precedentemente collezionate.

3.4 - Elaborazione e confronto in ArcGIS

I file ottenuti dall'esecuzione del modello, in formato .flt,

non potevano essere visualizzati all'interno di ArcGIS (ESRI) per

la comparazione con le elaborazioni da satellite: si è allora

proceduto alla loro conversione in formato grid, sempre grazie al

software ArcGIS.

Una volta completata l'operazione di conversione, si è proceduto

alla comparazione tra elaborazione da immagine satellitare e

risultato del modello per ogni data oggetto d'esame. Il confronto

è stato eseguito in ambiente ArcGIS, che ha permesso di verificare

statisticamente le relazioni tra "realtà" e "calcolo"

rappresentate rispettivamente da elaborazioni di immagini

satellitari e da applicazione del modello.

51

Una volta lanciato il programma, per ogni data è stato

necessario importare l'elaborazione dell'immagine da satellite,

nella quale i pixel che risultavano innevati dalla precedente

analisi riportavano il valore 1, mentre quelli classificati come

sgomberi da neve erano rappresentati dal valore 0; successivamente

si è importato il file omologo contenente il calcolo effettuato

dal modello, che però mostrava un gradiente di valori (riportava

infatti i valori di Snow Water Equivalent) e non un'indicazione

binaria di presenza od assenza di neve. Per "correggere" questa

rappresentazione è stato necessario, tramite lo strumento di

analisi spaziale di ArcGIS, assegnare ai pixel che presentavano

valori maggiori di zero (e quindi sui quali il modello aveva

previsto neve anche se sotto forma di SWE) il valore 1, lasciando

inalterati gli altri (che presentavano già di per sé valore 0). In

questo modo è stato possibile confrontare le due immagini nel modo

seguente:

Riclassificare l'immagine raster da modello con valori 3

(pixel innevato) e 1 (pixel sgombro).

Sottrarre dall'immagine raster così riclassificata

l'immagine raster dell'elaborazione satellitare per

ottenere una nuova immagine raster a quattro valori che

descriva i rapporti tra i due raster precedenti.

Da precisare che le immagini raster sono perfettamente

sovrapponibili e dunque l'operazione di sottrazione è effettuata

esclusivamente su ogni coppia di pixel sovrapposti definendone i

rapporti. L'operazione di riclassificazione (da valori 1 – 0 a

valori 3 – 1) si rende necessaria per poter condurre la

sottrazione, evitando così risultati uguali per operazioni

differenti (ad esempio 0 si potrebbe ottenere sia da 1-1 che da 0-

0) che avrebbero impedito il definirsi delle relazioni tra la

"realtà" ed il "calcolo". Nel raster (Fig. 3.5) che si ottiene

dalla sottrazione tra "calcolo" e "realtà" si evidenziano infatti

quattro "zone", identificate da altrettanti valori numerici e

52

colori differenti, che descrivono l'interazione tra questi ultimi

due:

Valore 3: deriva dall'operazione 3-0 (neve da modello,

sgombero da satellite) ed identifica quei pixel che

risultano innevati da modello ma non da satellite, ovvero

pixel falsi positivi

Valore 2: deriva dall'operazione 3-1 (neve da modello, neve

da satellite) e descrive quei pixel che risultano innevati

sia da satellite che da modello.

Valore 1: deriva dall'operazione 1-0 (non innevato da

modello, non innevato da satellite) ed identifica quei

pixel che risultano sgomberi dalla neve sia da modello che

da satellite.

Valore 0: deriva dall'operazione 1-1 (non innevato da

modello, innevato da satellite) e determina quei pixel che

risultano sgomberi da modello ma innevati da satellite,

ovvero falsi negativi.

53

Figura 3.5: Immagine raster che descrive i rapporti tra la realtà ed il modello. Si

distinguono bene le quattro differenti colorazioni che rappresentano

altrettanti valori

Sull'immagine raster così ottenuta si è compiuto, tramite il

comando "zonal statistics", il conteggio dei pixel appartenenti ad

ogni "zona" individuata dall'operazione di sottrazione.

I dati così raccolti sono stati poi analizzati confrontando i

risultati derivati dall'analisi diretta dei dati satellitari

rispetto ai dati ottenuti dall'esecuzione del modello. In

particolare sono stati evidenziati:

Andamento percentuale dell'innevamento registrato da

satellite e previsto da modello;

Relazione tra la percentuale di innevamento da satellite e

percentuale di innevamento da modello;

Differenze tra le percentuali di innevamento nei due

metodi;

Differenze tra mesi nei due metodi;

54

Distribuzione delle differenze nei due metodi;

Errore totale (falsi positivi più falsi negativi) del

modello;

Istogramma di frequenza dell'errore totale;

Errore totale (falsi positivi più falsi negativi) suddiviso

per mese;

Andamento dei falsi positivi e dei falsi negativi

individuati dal modello;

Falsi positivi suddivisi per mese;

Falsi negativi suddivisi per mese;

Relazione tra falsi positivi e falsi negativi individuati

dal modello;

Distribuzione dei falsi positivi e dei falsi negativi per

classe percentuale d'errore;

Distribuzione della probabilità d'innevamento calcolata

utilizzando la "regola di Bayes";

Cumulata della probabilità d'innevamento calcolata

secondo la "regola di Bayes";

Queste ultime due elaborazioni derivano dall'utilizzo della

"regola di Bayes" qui sotto riportata.

55

3.5 - La regola di Bayes

La regola di Bayes deve il suo nome a Thomas Bayes (1702-1761),

un pastore protestante inglese che si interessava di probabilità

ed induzione.

Bayes scrisse un saggio nel quale forniva la soluzione di un

problema molto sottile: immaginiamo che una palla venga gettata su

un tavolo da biliardo "costruito e livellato" in modo tale che una

palla abbia sempre la stessa probabilità di atterrare in un punto

qualsiasi del tavolo. Si tracci una linea parallela ai lati minori

del tavolo che divide quest'ultimo in due parti A e B; A dista a

centimetri da uno degli estremi.

Supponiamo di non conoscere il valore di a ed immaginiamo che la

palla sia stata lanciata mentre eravamo di spalle e poi tolta dal

tavolo da un altro giocatore.

La palla viene lanciata n volte e ci dicono che cade nella

regione A del tavolo in k di questi lanci e nella regione B in n–

k. Possiamo cercare di indovinare il valore di a sulla base di

questa notizia? È chiaro che se nella maggioranza dei casi la

palla atterra su A, a deve essere estesa più della metà del

tavolo, mentre se finisce su A e B in misura pressappoco uguale a

deve essere di estensione pari a circa la metà del tavolo.

Bayes mostrò come dare una soluzione esatta a questo problema

trovando, per ogni distanza x ed ogni intervallo ε, la probabilità

che questa a sconosciuta stia fra e

Quella che oggi è chiamata "regola di Bayes" ovvero, in modo

fuorviante, "teorema di Bayes", è una semplificazione dell'opera

bayesiana.

56

Nel caso in cui le ipotesi siano solo due, H e ~H (esaustive e

reciprocamente elusive per definizione) e sia E una proposizione

tale che allora:

Questa è la cosiddetta "regola di Bayes" per il caso in cui si

prendano in considerazione due ipotesi.

Generalizzando, la formula vale anche per un numero qualsiasi di

ipotesi reciprocamente elusive e cumulativamente esaustive:

tali che, per ogni i,

dove "reciprocamente esaustive" significa che solo una di queste

ipotesi può essere vera, mentre "cumulativamente esaustive"

significa che almeno una deve esserlo.

Se , e per ogni i , allora per ogni ipotesi :

Qui la Σ sta per la somma dei termini con indice sottoscritto i,

di tutti i per i=1, i=2 e fino a i=k.

57

4. Risultati

4.1 - Andamento percentuale dell'innevamento registrato da

satellite e previsto dal modello

m

Nel grafico 4.1 sono stati riportati i dati di innevamento

(espressi in percentuale), così come risultano dalle elaborazioni

delle immagini satellitari, comparati con quelli ricavati dal

modello, ovvero quanta parte della regione Emilia-Romagna

risultava coperta da neve in relazione al metodo adottato.

Osservando il grafico si evidenziano risposte differenziate: in

molti casi i due metodi sono prossimi ed in alcune situazioni le

differenze sono molto marcate; pur presentando una relazione i

risultati prevedono andamenti differenziati.

Grafico 4.1: Andamento percentuale dell'innevamento da satellite e da modello nel

periodo osservato

58

4.2 - Relazione tra la percentuale di innevamento da satellite e

percentuale di innevamento da modello

Grafico 4.2: Relazione tra percentuale di innevamento da satellite e da modello

Dal grafico 4.2, che mostra la relazione tra la percentuale di

superficie innevata da satellite e percentuale di superficie

innevata calcolata dal modello, si evince come quest'ultimo tenda,

in linea generale, a sovrastimare gli eventi nevosi. Il grafico

evidenzia inoltre la presenza di forti differenze nel confronto di

singole date d'osservazione.

Applicando il metodo della Regressione Lineare tra le

osservazioni ed il modello si evidenziano le massime differenze

59

tra i due metodi. In particolare si notano almeno quattro casi di

sovrastima del modello, che escono dall'intervallo di predizione,

e due casi di sottostima.

4.3 - Differenze tra le percentuali di innevamento nei due metodi

Grafico 4.3: Differenze tra le percentuali di innevamento ottenute dalle immagini

satellitari e quelle calcolate dal modello

Il grafico 4.3 mette in evidenza la differenza in percentuale

tra la copertura nevosa riscontrata da satellite e quella

individuata da modello. Risultano evidenti macroscopiche

differenze tra previsione e realtà: in particolare i casi estremi

di sottostima del modello (valori positivi) si concentrano

nell'anno 2001, mentre i casi di sottostima si concentrano

nell'inverno dell'anno 2005 – 2006.

60

4.4 - Differenze tra mesi nei due metodi

Grafico 4.4: BoxPlot per mese delle differenze registrate tra immagini satellitari e

modello

Nel grafico 4.4 è ben visibile come il modello tenda a

differenziarsi dal dato satellitare maggiormente nel mese di

gennaio, registrando le differenze maggiori e la massima

variabilità sempre sovrastimando l'innevamento. Da sottolineare

però che i casi estremi sono localizzati in periodi diversi ed in

particolare nei mesi di marzo (due casi), aprile (un caso),

novembre (due casi) e dicembre (un caso).

61

4.5 - Distribuzione delle differenze nei due metodi

Grafico 4.5: Distribuzione delle differenze tra innevamento da satellite e innevamento da

modello

Nel grafico 4.5 è ben visibile la distribuzione delle differenze

tra satellite e modello: la frequenza maggiore si colloca in un

intervallo di valori che va da 0 a -10% (-10000 nel grafico)

dimostrando ancora una volta come il modello sembri sovrastimare

la precipitazione nevosa (a valori negativi corrisponde infatti un

calcolo in sovrastima del modello, derivando questi valori da

sottrazione tra realtà e calcolo).

62

4.6 - Errore totale (falsi positivi più falsi negativi)

del modello

Grafico 4.6: Errore totale del modello in percentuale data dalla somma dei pixel falsi

positivi e falsi negativi (errore totale)

Per evidenziare la capacità previsionale del modello si è

calcolata l'entità totale degli errori, indipendentemente dal

segno (falsi positivi e falsi negativi). Il grafico 4.6 mostra

appunto l'entità dell'errore totale dato dalla somma tra falsi

positivi e falsi negativi. Anche in questo grafico si evidenziano

le differenze estreme già in precedenza rilevate.

63

4.6.1 – Istogramma di frequenza dell'errore totale

Grafico 4.6.1: Istogramma di frequenza dell'errore totale in valori percentuali

Rappresentando questi valori in un istogramma di frequenza

(grafico 4.6.1), si evidenzia come le giornate con un errore

totale superiore al 10% siano il 40% dei casi.

64

4.7 – Errore totale (falsi positivi più falsi negativi) suddiviso

per mese

Grafico 4.7: BoxPlot per mese dell'errore totale di stima del modello (somma di falsi

positivi e falsi negativi) suddiviso per mese

Nel grafico 4.7 è stata operata una suddivisione per mese

dell'errore totale, dato dalla somma tra i falsi positivi ed i

falsi negativi: l'errore è stato espresso come percentuale del

rapporto tra pixel classificati erroneamente e pixel totali. Si

noti come il massimo dell'errore e della variabilità, a parte

singoli casi eccezionali, si registrino di nuovo nel mese di

gennaio, mentre i mesi di febbraio, marzo ed aprile mostrano

variabilità molto contenute.

65

4.8 - Andamento dei falsi positivi e dei falsi negativi

individuati dal modello

Grafico 4.8: Andamento tra pixel falsi positivi e falsi negativi calcolati dal modello

per ogni data oggetto do studio

Il grafico 4.8 mostra la quantità di pixel falsi positivi e

falsi negativi individuati dal modello: risultano ancora evidenti

i casi in cui il modello prevede neve su quei pixel che risultano

sgombri da satellite (dunque sovrastima).

66

4.9 - Falsi positivi suddivisi per mese

Grafico 4.9: BoxPlot per mese dell'andamento dei falsi positivi nei diversi mesi

dell'anno

Nel grafico 4.9 è stato riportato l'andamento dei falsi positivi

nei diversi mesi dell'anno: ancora una volta l'errore è stato

espresso come percentuale del rapporto tra pixel classificati come

falsi positivi e pixel totali. Appare lampante come i falsi

positivi siano estremamente frequenti nel mese di gennaio, mentre

si mantengono su valori accettabili nel resto dei mesi.

67

4.10 - Falsi negativi suddivisi per mese

Grafico 4.10: BoxPlot per mese dell'andamento dei falsi negativi nei diversi mesi

dell'anno

Il grafico 4.10 mostra invece l'andamento dei falsi negativi

durante i diversi mesi dell'anno. Anche in questo caso l'errore è

stato espresso come percentuale del rapporto tra pixel

classificati erroneamente e pixel totali. Dall'osservazione del

grafico risulta che i pixel classificati falsi negativi dal

modello risultino essere contenuti in numero, rivestendo quindi un

ruolo marginale per quel che riguarda la determinazione

dell'errore totale.

I casi estremi si ritrovano nei mesi di gennaio (due casi),

marzo (un caso), aprile (due casi), novembre (un caso) e dicembre

(due casi), che presenta la variabilità maggiore.

68

4.11 - Relazione tra falsi positivi e falsi negativi individuati

dal modello

Grafico 4.11: Relazione tra falsi positivi e falsi negativi

Nel grafico 4.11, che mostra la relazione tra errori falsi

positivi e falsi negativi, si evince ancora una volta che la

precisione del modello è negativamente influenzata da un eccesso

di falsi positivi. In ogni caso nelle differenti date non esiste

una relazione tra i due errori.

69

4.12 – Distribuzione dei falsi positivi e dei falsi negativi per

classe percentuale d'errore

Grafico 4.12: Confronto tra falsi positivi e falsi negativi a seconda dell'entità

percentuale della loro comparsa.

Nel grafico 4.12 sono riportate in ascissa le classi percentuali

di errore (falsi positivi e falsi negativi), mentre in ordinata la

loro percentuale. È netto il predominio di errori che si

mantengono entro il 10%, con una maggioranza di casi falsi

negativi. Le altre classi percentuali sono invece caratterizzate

dalla maggioranza di casi falsi positivi.

70

4.13 – Distribuzione della probabilità d'innevamento calcolata con

la "regola di Bayes"

Grafico 4.13: Distribuzione della probabilità di innevamento secondo la "regola di Bayes"

Il grafico 4.13 mostra la probabilità di innevamento nelle

diverse date esaminate. Dalla distribuzione di queste probabilità

emerge come il modello presenti risultati puntuali non

soddisfacenti.

Anche se il modello così utilizzato prevede neve, la possibilità

che sia realmente innevato si mantiene molto bassa: il 46% dei

casi presenta probabilità di innevamento minore del 40%.

71

4.13.1 – Cumulata della probabilità d'innevamento calcolata

secondo la "regola di Bayes"

Grafico 4.13.1: Cumulata della probabilità di innevamento secondo la "regola di Bayes"

Nel grafico 4.13.1 è riportata una cumulata della probabilità di

innevamento reale calcolato attraverso la "regola di Bayes": se si

adatta una soglia di probabilità d'innevamento maggiore del 70%,

si deduce come solo il 21% delle osservazioni soddisfa il

requisito imposto (ad una probabilità inferiore del 70%

corrispondono infatti il 79% delle osservazioni).

72

5. Conclusioni

Il modellamento di un fenomeno complesso come la precipitazione

nevosa appare impresa difficile, come per tutti i fenomeni

dinamici.

L'utilizzazione del modello di Snow Water Equivalent per la

previsione, applicato al panorama regionale, appare da un punto di

vista generale accettabile, anche se soggetto ad una certa

imprecisione.

L'analisi delle diverse tipologie d'errore ha evidenziato

un'imprecisione elevata se dal dato globale (percentuale di

innevamento) si passa ai dati puntuali.

In questo caso l'efficacia della predizione puntuale appare

dubbia. Applicando la "regola di Bayes" si è infatti dimostrato

come il risultato positivo del modello (innevamento) presenti,

nella maggioranza dei casi, bassa probabilità di materializzarsi

in una copertura nevosa.

L'analisi delle previsioni ed il confronto con dati reali hanno

messo in luce i limiti dell'applicazione:

È necessario avere a disposizione dati di precipitazione

nevosa coerenti con il fenomeno; alcune delle grosse

anomalie riportate, infatti, sono legate all'uso di

pluviometri non riscaldati che possono falsare il dato

della precipitazione nevosa, causando una sottostima del

modello.

È evidente la sovrastima che il modello compie nel

calcolare le precipitazioni nevose. Questo è legato a

diversi motivi:

73

Sovrastima vera e propria del modello, specie per i

dati della pianura si è notata una tendenza a

sovrastimare il dato neve.

Errore di rilevamento della neve da parte del

satellite: una nevicata contenuta che non ricopre

uniformemente le superfici non viene rilevata dal

sensore e quindi dall'analisi dell'immagine. In

questi casi si è sotto il limite di sensibilità del

sistema satellitare (censored data), il quale non è

in grado di individuare una nevicata parziale.

Variabile calcolata dal modello: il modello non

definisce l'entità della coltre nevosa bensì la

quantità di acqua contenuta nel manto nevoso stesso,

che si libererà allo scioglimento. Questo comporta

un'approssimazione nel confronto tra i due tipi di

dati (neve da satellite e da modello) che può portare

ad una sovrastima dell'evento.

Partendo da questi risultati, per contrastare parte di questa

imprecisione, si è adottata una soglia minima efficace di

innevamento: per ogni punto, solo se il risultato

dell'elaborazione del modello è maggiore di 5 mm di acqua

disciolta allora il punto è classificato come innevato. Si limita

in questo modo la sovrastima dei falsi positivi.

Questo adattamento è stato adottato dall'ARPA dell'Emilia-

Romagna nell'implementazione del modello sul sito web regionale

del Servizio Idrometeorologico (www.arpa.emr.it/SIM/).

74

Dai risultati ottenuti da questo aggiustamento si osserva una

netta contrazione dei falsi positivi, ma al contempo un aumento

dei falsi negativi: quest'ultimo effetto può essere facilmente

compensato attraverso l'integrazione del risultato del modello con

dati di classificazione satellitari.

Grafico 5.1: Confronto dei due tipi di errore con e senza l'adozione della soglia > 5mm

75

6. - Bibliografia

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