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UNIVERSITÀ DI PISA CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA KEYNES E HAYEK: LE RAGIONI DEL LORO DISSENSO Candidato: Relatore: rosalia nunziante Prof. riccardo faucci Anno accademico 2013 / 2014

UNIVERSITÀ DI PISA - COREla nazione di far fronte alle enormi riparazioni richieste. Nel 1920 pubblicò a Treatise on Probability, contributo di note-bloomsburiani influenzarono

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U N I V E R S I TÀ D I P I S AC O R S O D I L A U R E A I N G I U R I S P R U D E N Z A

K E Y N E S E H AY E K : L E R A G I O N I D E L L O R OD I S S E N S O

Candidato: Relatore:

rosalia nunziante Prof. riccardo faucci

Anno accademico 2 0 1 3 / 2 0 1 4

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A Vincenza, Gennaro, Graziella e Francesco.Con immenso amore ed infinita gratitudine...

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“Preferisco avere all’incirca ragione che precisamente torto.”1

John Maynard Keynes

“La libertà è essenziale per far posto all’imprevedibile e all’impre-scindibile; ne abbiamo bisogno perché, come abbiamo imparato, da essanascono le occasioni per raggiungere molti dei nostri obiettivi.”[1]

Friedrich August von Hayek

1 Comunemente attribuito a J. M. Keynes, ma probabilmente non suohttp://en.wikiquote.org/wiki/John_Maynard_Keynes

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I N D I C E

1 keynes ed hayek : la loro attualità 3

1.1 Il percorso intellettuale di Keynes 7

1.2 L’incontro–scontro tra Keynes e Hayek 12

1.3 Hayek e l’influenza della Scuola Austriaca 15

2 la conoscenza e il mercato 27

2.1 Keynes: la funzione delle aspettative nell’econo-mia 28

2.2 Keynes: il ruolo della moneta e delle variazionidei prezzi 30

2.3 Keynes: critica al vecchio liberalismo e al vecchiolaissez-faire 32

2.4 Hayek: ordine spontaneo e autoregolazione delmercato 37

2.5 Hayek tra informazione e conoscenza 41

2.6 Hayek: il ruolo del mercato nella diffusione dellaconoscenza 43

2.7 Hayek: l’abuso della ragione 45

2.8 Hayek e Keynes: il ruolo delle decisioni indivi-duali 49

3 la spiegazione della grande crisi 55

3.1 Keynes: l’intervento statale contro la crisi 57

3.2 Keynes: l’inizio della sua rivoluzione 59

3.3 La spesa pubblica e la teoria del moltiplicato-re 64

3.4 Hayek: la teoria delle fluttuazioni cicliche 70

3.5 Hayek: l’influenza dei prezzi sulla produzione 73

3.6 Hayek: la teoria del capitale 79

3.7 Hayek e Keynes: dissensi e punti di contatto 83

4 conclusioni : due diversi destini . 89

1

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1K E Y N E S E D H AY E K : L A L O R O AT T U A L I TÀ

L’accesa querelle riguardante le opposte virtù del libero merca-to e dell’intervento governativo risulta essere tutt’oggi incan-descente. Tale presa di coscienza ci riporta indietro di circa ot-tant’anni, fornendoci uno spunto di riflessione di tutto rispettoin merito ad una questione quanto mai attuale. John MaynardKeynes e Friedrich August Von Hayek si ritrovarono a scrutar-si su fronti opposti dando il via ad uno dei duelli scientificimaggiormente avvincenti dell’economia moderna [2, pag. 11].Molto si è scritto sullo scontro intellettuale tra il maggior rap-presentante del liberismo ed il grande teorico dell’interventostatale nell’economia. Il confronto tra le idee dei due economistirimane interessante ed attuale anche se non si deve enfatizzar-ne eccessivamente le conseguenze teoriche e storiche. Su alcuniaspetti di metodo vi è addirittura una convergenza fra Hayek eKeynes. Questo è quanto vedremo nelle pagine seguenti.

Le nette differenze tra questi due grandi pensatori continua-no ad improntare ancora oggi lo spartiacque ideale che divideprogressisti da conservatori. Keynes è uno dei personaggi dispicco del XX secolo a cui si attribuisce addirittura una “Rivolu-zione”, attualmente oggetto di vivaci controversie; grande spe-culatore nel campo della finanza, polemista arguto, esponenteinquieto ma influente all’interno dell’amministrazione inglese.

Figura 1: John Maynard Keynes

3

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4 keynes ed hayek : la loro attualità

John Maynard Keynes nacque a Cambridge il 5 giugno 1883.Il padre, John Neville Keynes, era docente all’Università di Cam-bridge dove insegnava logica ed economia politica. La madre,Florence Ada Brown, donna dal carattere forte, si rivelò grandepioniera nelle riforme sociali e fu la prima donna consigliere delCambridge Borough Council, nonché sindaco della città. Key-nes iniziò la sua istruzione all’età di sette anni alla Perse SchoolKindergarten. Nel 1894, ad appena undici anni ricevette un pre-mio in campo matematico e l’anno seguente sostenne l’esameper l’ingresso ad Eton: decimo tra venti alunni accettati, risultòil primo in matematica. Negli anni di Eton vinse lo Junior Ma-thematical Prize nel 1899, e nel 1900 il Senior Prize (secondo D.Moggridge, Maynard Keynes, Routledge London 1992, p. 35).Fu eccellente studente anche in Storia e letteratura inglese. Pro-prio in questo periodo sviluppò una passione per la collezionedi antichi libri. Successivamente fu ammesso al King’s College,a Cambridge, dove trasportato dal suo interesse per la politicapassò dalla matematica al campo dell’economia. Nel 1905, do-po una vacanza in Svizzera, Keynes ritornò a Cambridge dovefrequentò le lezioni di economia del professore titolare dellacattedra che era Marshall.1. I suoi allievi furono numerosi e de-voti: fra essi spiccano illustri nomi tra cui appunto Keynes [4,pag. 11].

Keynes in cerca di una fonte di reddito, rimandò così la scrit-tura della tesi per poter partecipare al concorso di ammissio-ne al Civil Service qualificandosi secondo. Incredibilmente nellaprova dedicata all’economia, la sua votazione risultò la peggio-re. Dovette accontentarsi di accettare un posto di lettore all’uni-versità finanziato dal suo docente Marshall. Per quanto concer-ne lo sviluppo della personalità complessa e fuori dagli schemi,una fase rilevante è da individuare nel rapporto di Keynes conil Circolo degli Apostoli di Cambridge, gruppo di intellettualiche si riuniva periodicamente alla ricerca della libertà interiore,e con quello dei membri di Bloomsbury.2

1 Alfred Marshall nato a Londra nel 1842 e morto a Cambridge nel 1924, com-pì studi scientifici ed umanistici a Cambridge. Dopo un decennio di insegna-mento a Bristol, riuscì ad occupare nel 1885 la cattedra di Economia politicadi Cambridge per la morte del suo titolare H. Fawcett. Svolse un ruolo di ri-lievo nella fondazione della British Economic Society nel 1891. Nel triennio1891-1894 fu membro della Royal Commission per il lavoro. Marshall fondòdal nulla la tradizione economica di Cambridge, riuscendo nel 1906 a varareun corso di studi tripos in economia [3, pag. 339]

2 Gruppo di artisti e studenti sviluppatosi in Inghilterra a Londra, nell’omo-nimo quartiere, dal 1905 circa alla Seconda Guerra Mondiale. Le opere dei

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keynes ed hayek : la loro attualità 5

Nel 1912 Keynes divenne condirettore dell’ “Economic Jour-nal”, la principale rivista accademico–economica inglese del pe-riodo. Venne poi assegnato alla “Royal Commission on IndianCurrency and Finance”, posizione che gli permise di mostra-re il suo talento nell’applicare le teorie economiche a problemidi ordine pratico. Nello stesso periodo veniva data alle stampela sua prima opera di rilievo: Indian Currency and Finance (Lasituazione monetaria e finanziaria dell’India) in cui difendevail gold-exchange standard contro l’allora imperante gold stan-dard.3 Pubblicato nel 1913, questo primo libro di Keynes segnal’inizio delle teorie macroeconomiche e di intervento del gover-no in materia economica che avrebbero caratterizzato il suo la-voro più tardi. Qui Keynes oltre ad una breve illustrazione delgold standard illustra i punti di forza e di debolezza del sistemabancario indiano, alcune differenze sorprendenti tra monete ebanconote e le politiche economiche in materia di riserva. Gra-zie alla sua propensione alla concretezza fu fortemente attentoalla risoluzione pragmatica delle problematiche presenti all’e-poca. Fin da giovane, infatti iniziò la sua carriera folgorante ingrado di portarlo nel giro di pochi anni a ricoprire il ruolo diconsigliere del Ministero del Tesoro per le questioni economi-che e finanziarie nel 1915. Tra le sue responsabilità figurarono ladefinizione dei rapporti di credito tra la Gran Bretagna ed i suoialleati continentali durante la guerra. Gli incarichi di rappresen-tante del Tesoro e di funzionario in India, lo indussero a guar-dare ai problemi economici del tempo con “occhio fresco” [5,pag. 5-7]. Il suo scritto del 1919 The Economic Consequences OfPeace [6, pag. 5-34] fece in modo che Keynes impiegasse le giu-ste energie e la sua intelligenza nei confronti di una esigenza dicivilizzazione, scaturita dalla guerra. Un incremento di popo-larità sempre maggiore che culminò infine nel 1919 con la suanomina a funzionario del Tesoro alla Conferenza per la Pace diVersailles, al termine della quale giudicò però inammissibili lesanzioni imposte alla Germania, prevedendo l’impossibilità perla nazione di far fronte alle enormi riparazioni richieste.

Nel 1920 pubblicò a Treatise on Probability, contributo di note-

bloomsburiani influenzarono la letteratura, l’estetica, la critica e l’economia,come anche il femminismo, il pacifismo e la sessualità umana...[2, pag. 17]

3 Il gold-exchange standard è un sistema monetario a cambio aureo che rap-presenta una variante del gold standard: nei paesi che lo adottavano, infatti,la valuta cartacea nazionale non era convertibile in oro ma in una valutastraniera (a sua volta convertibile in oro). A differenza del gold standard,inoltre, il gold exchange standard consentiva riserve anche in divise esteree non solo in oro, al fine di ridurre le pressioni su quest’ultimo.

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6 keynes ed hayek : la loro attualità

vole spessore per il sostegno filosofico e matematico alla teoriadella probabilità.

Keynes rifiuta ogni concezione frequentista della probabilità,ossia volta all’applicazione alle scienze sperimentali. Nella suavisione di quest’ultima entra di scena l’intuizione e si va quindiverso un soggettivismo probabilistico il quale accentua i trattiepistemici o di ignoranza del campo della probabilità. La proba-bilità logica di Keynes va letta sulla falsariga della convenienza,più che della conoscenza, e misurata sulla scala dell’utilità, nonsu quella della verità. La teoria della probabilità di stampo key-nesiano è quindi logica degli argomenti che sono razionali, manon conclusivi. Per Keynes ci sono due tipi di conoscenza: unadiretta ed una indiretta, la prima è frutto di esperienza perso-nale; la seconda viene ricavata dalla prima mediante metodiinferenziali di varia natura. Il calcolo delle probabilità è unatipica conoscenza indiretta ed inoltre per esso interessano an-che i vari gradi di conoscenza. Ma le inferenze avvengono suproposizioni, quindi l’oggetto del calcolo delle probabilità nonsono i fatti ma le proposizioni. Tutte le proposizioni, di per sé,sono vere o false, però quello che riusciamo a conoscere di es-se dipende dalle conoscenze che possediamo. Così quando siparla di probabilità si sottintende sempre che la valutazione èeffettuata sulla base delle conoscenze. Così ogni affermazioneha sempre un carattere relativo e la probabilità risulta da unrapporto tra una proposizione ed un intero corpus di conoscen-ze, che possono essere attuali, cioè già possedute, ma ancheipotetiche.

Il significato della probabilità quale proprietà statistica di unevento è estraneo al disegno di Keynes che non sembra voler-si accorgere di tutto un nuovo sapere cresciuto sui fondamentistatistico-probabilistici a cominciare dalla meccanica statisticaclassica. Nelle ultime pagine del Trattato, tuttavia Keynes sem-bra volersi interessare al tema della scienza riconoscendo il fon-damento statistico-probabilistico delle scoperte della fisica dellaparticella e della genetica.

A revision of the Treaty (1922), fu invece l’opera in cui Keynessostenne che le pesanti sanzioni imposte alla Germania avreb-bero rovinato l’economia tedesca a causa di squilibri traumatici.Sul piano dell’economia reale, il pagamento delle riparazioniimpose alla Germania una politica basata sulle esportazioni inmodo da aumentare le riserve di oro con cui pagare i debitidi guerra. La crescita della quantità di moneta, accompagnataal deflusso d’oro, scatenò una forte inflazione interna accompa-

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1.1 il percorso intellettuale di keynes 7

gnata ad una rapida svalutazione nei confronti delle principalivalute internazionali. Nel gennaio 1923, quando la Germaniachiese una moratoria perché impossibilitata a pagare le ripara-zioni, le truppe francesi e belghe occuparono la valle industrialedel fiume Ruhr, proprio per assicurarsi i pagamenti in carboneed acciaio. Il governo tedesco dichiarò così la resistenza passivaed i lavoratori proclamarono lo sciopero generale a cui seguiro-no scontri con le truppe francesi. Sul piano economico, il bloccodella produzione aggravò la difficoltà economica tedesca. L’ipe-rinflazione raggiunse il suo apice nell’ottobre del 1923 pesandoduramente sull’economia tedesca a causa di un forte malcon-tento che preparò la strada all’avvento del nazismo, il quale fualimentato ulteriormente dalla depressione.

La previsione di Keynes venne quindi confermata durantela Repubblica di Weimar: solo piccola parte delle riparazio-ni furono pagate ai vincitori. Con A Tract on Monetary Reform(1923), attaccò le politiche deflazionistiche britanniche degli an-ni Venti, sostenendo l’obiettivo della stabilità dei prezzi inter-ni e proponendo flessibilità nei tassi di cambio, mentre la teo-ria consolidata voleva tassi di cambio stabili e prezzi internifluttuanti.

1.1 il percorso intellettuale di keynes

Nei due volumi di a Treatise on Money del 1930 sviluppò la suateoria del ciclo del credito. In essa fanno capolino alcuni concet-ti inerenti all’economia monetaria, ripresi poi nella sua maggio-re opera The General Theory of Employment, Interest and Moneydel 1936. Keynes, nel Trattato sovvertì l’assioma classico in baseal quale il risparmio rappresentava una virtù sia per il singoloche per la collettività, in quanto base per un futuro investimen-to. Secondo Keynes infatti, un eccessivo risparmio, consideratoinsito in un’economia avanzata, ostacolava lo sviluppo.

Lo Stato doveva fare in modo che vi fossero maggiori possi-bilità di investimento. L’errore che Keynes ravvisava nella teo-ria classica, dove “classico” è un termine sottilmente negativo,nel senso di scolastico, tradizionale ed incapace di riconosce-re il fatto che una diminuzione dei consumi dovuti a maggioririsparmi, potesse condurre ad una riduzione della domandacomplessiva ed alla conseguente disoccupazione.

La teoria classica, infatti, non ammetteva la possibilità di unadisoccupazione ciclica, cioè involontaria e dovuta a difetto didomanda globale, come quella a cui si andò incontro a partire

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8 keynes ed hayek : la loro attualità

dal 1929, ma al massimo ad una disoccupazione frizionale do-vuta a squilibri momentanei di domanda ed offerta di lavoro.Per Keynes si palesava la necessità di accrescere la domandaglobale, attraverso l’impiego da parte degli organi governativi,di risorse finanziarie ma non utilizzate. Laddove lo stato fosseintervenuto mediante la spesa pubblica, i percettori di nuovio maggiori redditi, avrebbero aumentato la loro propensioneal consumo. Keynes non desistette dalla sua precisa volontàdi fornire una spiegazione teorica dei fenomeni concreti chel’esperienza di economista empirico portò alla sua attenzione.

Il primo conflitto mondiale aveva fatto sprofondare la nazio-ne in una depressione economica. Da questo punto in avan-ti ebbe inizio la svolta personale e professionale di Keynes: ilmondo astratto dei Bloomsburiani venne abbandonato, susci-tando in questi ultimi non poco risentimento. Keynes, che finoa quel momento si era dichiarato omosessuale, intraprese unarelazione sentimentale con la ballerina russa Lydia Lopokova,che sposò nel 1925.4

L’aspetto di maggior interesse per gli economisti va ravvi-sato nella ricostruzione della genesi del suo grande libro, Thegeneral Theory of Employment, Interest and Money (Londra 1936),determinante ai fini di una rivoluzione nel pensiero economicoe meritevole di aver tracciato la strada verso la prosperità delsecondo dopoguerra. Volume che ebbe un grandissimo impat-to culturale sulla scienza economica, e fino ad oggi consideratouna parte fondamentale della moderna macroeconomia. In que-sto lavoro Keynes sostenne che le politiche destinate a stimola-re la domanda in periodi di disoccupazione fossero realizzabili,ad esempio, tramite un incremento della spesa pubblica.[8, pag.161] Poiché Keynes non aveva fiducia nella capacità del mercatolasciato a se stesso, ritenne necessario che in determinate circo-stanze fosse lo Stato a dover stimolare la domanda. Queste ar-gomentazioni trovarono successivamente conferma nei risultati

4 Questo non fu un matrimonio di facciata, come pensarono in molti, bensìun legame di intensa passione come dimostrano le frequenti lettere che iconiugi si scambiavano nei periodi di lontananza e che hanno costituito unricco archivio di corrispondenza privata ben all’altezza della vita passionalee disinibita della coppia [7, pag. 3-40].I bloomsburiani, in special modo Leonard e Virginia Woolf, ritenevano maleassortita la coppia formata dalla ballerina e dal loro cerebrale amico. Vir-ginia Woolf è considerata come una delle principali figure della letteraturainglese del XX secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità di di-ritti tra i due sessi, nel periodo fra le due guerre fu membro del BloomsburyGroup e figura di rilievo nell’ambiente letterario londinese [2, pag. 57].

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1.1 il percorso intellettuale di keynes 9

Figura 2: John Maynard Keynes e Lidija Lopokova

della politica del New Deal varata negli USA in quegli anni dalpresidente Roosevelt che Keynes incontrò personalmente [9].

La personalità di Keynes si presta a imporre nel contempoun esame a dir poco complesso. Egli infatti non fu solo un eco-nomista accademico, Fellow del King’s College di Cambridgedal 1909 e rimasto tale fino alla sua prematura scomparsa, fu in-sieme collaboratore di giornali come il “Times” e il “Daily Tele-graph”, editore e proprietario, per molti anni, di un settimanaleliberale, “The Nation and Athenaeum”, membro di numeroseinfluenti commissioni governative in materia economica ma an-che amico di Virginia Woolf, di Vanessa Bell, Duncan Grante di Lytton Strachey, del gruppo di Bloomsbury in generale egrande esperto di balletto classico e di pittura impressionista,in qualità di acquirente in proprio e per conto della NationalGallery di Londra [5, pag. 15].

Degna di attenzione è sicuramente l’individuazione dell’e-splicito fondamento politico della visione economica di Key-nes, la sua premura ai confini dell’ossessione per i fenomenidi disoccupazione,ed il tentativo di evitare che il capitalismo siautodistruggesse minacciato dai pericoli del comunismo e del-la dittatura. Nessuno dei critici del capitalismo del XIX secolofu in grado di lanciare una sfida al punto economico nevral-gico della teoria del laissez faire e cioè, che lasciato a se stesso,un sistema concorrenziale di libero scambio tende a produrrepiù beni e a distribuirli più efficacemente di qualsiasi altro si-

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10 keynes ed hayek : la loro attualità

stema. La forza della rivoluzione keynesiana risiede nel fatto diriuscire a perseguire tale scopo.

Keynes fu dunque figlio di un’epoca straordinaria, durantela quale lo scontro tra capitalismo e socialismo raggiunse li-velli di massima tensione. Le sue idee vennero modellate inbase alle dispute tra i due sistemi. Keynes riteneva che “la so-cializzazione dell’investimento”, in grado di garantire la pienaoccupazione, potesse avvenire senza necessariamente intaccarela proprietà ed il controllo privato dei mezzi di produzione. Inquesta, come in altre circostanze, Keynes era schierato a favoredi un’economia basata sulla libertà degli operatori sul merca-to. La “socializzazione dell’investimento” che proponeva Key-nes andava non solo distinta dalla nazionalizzazione, ma erain forte contrasto anche con il socialismo di stato. Certo, alcu-ni ‘controlli’ andavano stabiliti: ma ‘bastava’ che lo Stato, gra-dualmente e senza alcuna ‘rottura’ nelle tradizioni della società,muovesse le sue leve tanto quanto era necessario a indurre unapiena utilizzazione di capitale e lavoro. A quel punto la teoriatradizionale, neoclassica, tornava ad essere del tutto accettabi-le, e non si poteva obiettare alle sue tesi sul come gli interessiprivati guidassero l’allocazione ottimale delle risorse. Il siste-ma risulta fallace nel determinare il volume dell’occupazioneeffettiva e non la direzione di quest’ultima. Egli accennò ancheall’esigenza di pianificazione in merito al campo dei trasporti,dell’urbanistica, della conservazione dell’ambiente naturale, intutti i settori in cui il singolo individuo non sarebbe in gradodi raccogliere i benefici della propria attività, e addirittura inmateria di localizzazione territoriale dell’industria.

La lettura di Keynes risulta interessante proprio per via dellenumerose contraddizioni innescate nella sua posizione. Tutta-via si tratta di contraddizioni feconde grazie alle quali, dopoun attento esame è possibile estrarre l’idea che lo Stato dovreb-be diventare artefice di prima istanza di nuova e stabile occu-pazione. Keynes colse in anticipo le congiunture ed i punti dirottura cercando di direzionare il corso degli eventi verso unasoluzione positiva, anziché verso il buio.

Keynes ha esercitato una straordinaria influenza sugli studidi teoria economica ma soprattutto sulla politica economica delperiodo che va dal 1945 al 1970. In questo senso, egli può essereconsiderato il “saviour”- sottotitolo del primo volume della bio-grafia che gli ha dedicato Robert Skidelsky-, cioè il salvatore delsistema capitalistico nel momento della sua massima crisi, ovve-ro a cavallo degli anni Venti e Trenta. Secondo Keynes il proble-

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1.1 il percorso intellettuale di keynes 11

ma consisteva nel “riuscire ad ottenere un’organizzazione socia-le più efficiente possibile, senza offendere le idee sul modo piùsoddisfacente per vivere” [10, pag. 100]. Una visione abbastan-za minimalistica, lontana dal pensiero del socialismo utopisticosviluppatosi fra il XVIII ed il XIX secolo. Il termine socialismoutopistico fu introdotto da Marx in un secondo tempo per di-stinguere tale corrente dal socialismo scientifico, basato invecesu un’analisi, sempre nella visione marxiana, presumibilmentepiù accurata della realtà sociale. Il socialismo utopistico fu pre-cursore del movimento operaio organizzato, influenzato parti-colarmente in seguito dal marxismo e dall’anarchia. Le ideeutopistiche troppo idealiste ed astratte non poterono trarre con-creta applicazione nella società, finendo pertanto accantonatein favore della teoria di Marx.

Degni di nota furono anche i rapporti personali di Keynescon ampie cerchie di uomini politici, banchieri ed economisti.Durante due viaggi negli Stati Uniti incontrò nel ’31 e nel ’34

i presidenti Hoover e Roosevelt. Sapiente utilizzatore dei nuo-vi mezzi di comunicazione, Keynes tenne diversi discorsi ra-diofonici e partecipò ad uno dei primi dibattiti via etere traInghilterra e Stati Uniti, sostenendo una discussione con Wal-ter Lippman a proposito della conferenza del 1933 sulla crisieconomica [11, Introduzione. Keynes e la grande crisi di PierluigiSabbatini]. Molti furono i suoi suggerimenti, altrettanti gli inter-venti accorati in favore o contro determinate strategie da adotta-re, numerosi gli appelli tendenti ad influenzare gli orientamentidella comunità; tuttavia non fu sempre ascoltato, nonostante lasua indiscussa fama e consapevolezza dei temi affrontati. Key-nes risultava ancora parzialmente ancorato alla tradizione edevitò di attaccare a monte le basi della teoria quantitativa del-la moneta. Egli tuttavia riteneva assurda l’idea di una perfet-ta proporzionalità tra i movimenti della massa monetaria ed imovimenti del livello dei prezzi. Per Keynes, il rapporto tra l’u-na e l’altra variabile era resa instabile da numerosi fattori, daimutamenti nella preferenza per la liquidità degli agenti econo-mici alle oscillazioni dell’occupazione e della distribuzione delreddito. La teoria quantitativa, pertanto, poteva essere ritenutaaccettabile solo in un lontano lungo periodo; quando cioè la tem-pesta della crisi e della redistribuzione delle ricchezze avessegià prodotto i suoi danni tremendi.

Nel 1936, in seguito alla pubblicazione della General TheoryKeynes divenne famosissimo in tutto il mondo e tale prestigiodurò fin ben oltre la sua morte. Durante la Seconda Guerra

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12 keynes ed hayek : la loro attualità

Mondiale con la pubblicazione del saggio How to pay for thewar [12, pag. 5-50], sostenne vivamente che lo sforzo bellicoavrebbe dovuto essere finanziato con maggiori livelli di impo-ste, invece che con un deficit come sosteneva la scuola di pen-siero in contrasto con le sue idee, per evitare spinte inflazio-niste. In più lo stesso Keynes aveva una idea per il controllodell’emissione dei titoli.

Nel 1942 Keynes ricevette il titolo di baronetto, diventandoil Primo Barone Keynes di Tilton; sedette nella camera dei Lords,tra i liberali. Nello stesso periodo divenne presidente della nuo-va“ Council for the Encouragement of Music and the Arts”(Commissione per l’incoraggiamento della musica e delle ar-ti) che, prima della fine della guerra, venne ribattezzata“ArtsCouncil of England” (Consiglio inglese delle arti). Nel 1944 Key-nes guidò la delegazione inglese a Bretton Woods per negoziarel’accordo finanziario tra Gran Bretagna e Stati Uniti; inoltre fua capo della commissione per l’istituzione della Banca Mondia-le. La strenua opposizione americana fece in modo che Keynesnon riuscisse a perseguire il proprio obbiettivo: ottenere fondimolto ingenti da parte degli Stati Uniti nei confronti della GranBretagna. Questi ultimi vennero sì predisposti, ma di modestaentità, tanto da risultare insufficienti.

John Maynard Keynes venne a mancare a causa di un in-farto il 21 aprile 1946, all’indomani della conferenza di Bret-ton Woods da cui ebbero origine, su sua ispirazione, il FondoMonetario Internazionale e la Banca Mondiale.

Il sistema di Bretton Woods resistette fino alla prima metàdegli anni ’70, quando le pressioni sulle diverse monete causa-rono la fine dei cambi fissi passando ad un regime di cambiflessibili, opera da ricondurre al presidente americano RichardNixon. Tra le altre opere di Keynes degne di nota vanno ricor-date le raccolte Essays in Biography ed Essays in Persuasion incui lo stesso autore presentò ritratti di economisti e personaggidella cultura e della politica(soprattutto nel primo volume), rac-cogliendo alcune delle sue argomentazioni volte ad influenzarel’establishment politico ed economico negli anni della GrandeDepressione.

1.2 l’incontro–scontro tra keynes e hayek

La personalità ed il forte carattere di Keynes non possono pre-scindere dalle sue vicende personali. È altresì vero che l’in-discusso talento di quest’uomo negli affari economici, risulta

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1.2 l’incontro–scontro tra keynes e hayek 13

talmente eccellente, da riuscire a sopravvivere persino a sceltedi vita fuori dagli schemi. Pertanto la necessità di abbracciarein toto la verità con occhio scevro da condizionamenti e pre-giudizi, rende Keynes “Un uomo dal fascino infinito, ma nonproprio amabile”, proprio come lo descrive Skidelsky nella suabiografia.

Caratteristica abituale dell’atteggiamento di Keynes dinanzialle questioni di politica economica fu l’estremo pragmatismo,che lo portò sovente a non soffermarsi esclusivamente su unaproposta, ma a ricercare in maniera critica tutta una gamma distrumenti adatti alla risoluzione di un particolare caso. Il prag-matismo keynesiano non va tradotto in mancanza di approfon-dita indagine sul problema; bensì inteso come volontà di for-mulare proposte atte a migliorare la situazione concretamente,sebbene queste ultime non rappresentino l’optimum.

Keynes era deciso e fermo nel “proporre quelle manovre dipolitica economica che avessero una qualche probabilità di esse-re accolte da una buona parte di opinione pubblica e soprattut-to da qualche partito. Quando, per esempio, alla vigilia dell’u-scita dell’Inghilterra dal Gold Standard(1931), egli si domandòse occorresse svalutare la sterlina, fu sufficiente il diniego degliesponenti del mondo politico, a fare in modo che si tentasseronuove strade” [13, pag. 5-57].

È bene tener presenti questi lati del carattere, poiché Keynesviene spesso fuori solo per l’aspetto radicale e l’anticonformi-smo delle sue prese di posizione. In Keynes era ben marcata lacontinua attenzione alle possibilità concrete di modificare situa-zioni ben precise e la forte preoccupazione di evitare di esseresolo un buon oratore ed incantatore di folle. Egli non solo par-tecipò in maniera intelligente al dibattito politico ed economicodella sua epoca, ma cercò, con tutto se stesso, di diffonderele sue posizioni tramite disparati canali di comunicazione. [14,pag. 212-215].

Per gli aspetti prettamente analitici del suo pensiero, Keynessi affidò essenzialmente ai libri e all’ “Economic Journal” di cuiera direttore. Per le polemiche di politica economica, utilizzò“The Nation”, in seguito diventato “The New Statesman andNation”, il “Times” e, negli Stati Uniti, “The New Republic” e“The New York Times”. Vanno tenuti presente numerosi pam-phlet scritti su aspetti specifici come: The means to Prosperity eHow to Pay For the War

Keynes fu presente attivamente durante i lavori del Macmil-lan Committee, ufficialmente conosciuto come Committee on

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Finance and Industry ,un comitato composto prevalentemen-te da economisti, formato dal governo britannico dopo il crol-lo del 1929 del mercato azionario, e partecipò all’EconomicAdvisory Council, entrambi luoghi ideali per discutere e dif-fondere le proprie opinioni. Non meno importanti furono lediverse conferenze tenute nelle università (anche straniere) enelle assemblee annuali delle società in cui ricopriva carichedirettive.

Nella biografia di R.F. Harrod [9, pag. 6-80] viene più voltesottolineato il ruolo di Cassandra, ricoperto da Keynes nell’am-bito del complesso scenario economico e politico. Egli imparòtuttavia col tempo a diluire le sue istanze ideali in un materiali-smo intuitivo e più smaliziato, cioè un materialismo che non in-tende la sensibilità come attività pratica, prendendo coscienzadel fatto che le battaglie si vincono in primo luogo grazie all’in-contenibile pressione degli eventi e solo in un secondo momen-to, per il lento sgretolarsi dei vecchi pregiudizi (Introduzionealla ristampa di John Maynard Keynes,Esortazioni e profezie, IlSaggiatore, Milano 2011). I suoi scritti rivelano, in questo senso,il tentativo di situarsi sul crinale del processo storico, di antici-pare le congiunture, i punti di rottura, di intervenire nel modo enel momento giusto per cercare di piegare il corso degli eventinella direzione dei lumi piuttosto che del buio. Che per Keynesessenzialmente significava riformare il capitalismo, liberandolodalla opprimente e desueta ideologia del laissez-faire

Interessante a questo punto è introdurre la figura di Hayekche ci offre una chiara teoria economica che affida al liberomercato un’importanza fondamentale per l’attuazione, il fun-zionamento ed il mantenimento di una società libera. PersinoSkidelsky, biografo di Keynes cioè dell’economista più lonta-no da Friedrich Hayek, ormai spende parole di riconoscimentoper quest’ultimo: “Hayek è diventato la personalità intellettua-le più influente nell’ultimo quarto del XX secolo”. Ammissio-ne del fatto, a tutti evidente, che le idee liberiste di questoaustriaco all’antica, economista ed uomo di grande e svaria-ta cultura, hanno cercato di soppiantare con un certo vigorequelle di Keynes. Per Hayek è fondamentale la compatibilitàtra ciò che l’individuo si è proposto e i dati oggettivi neces-sari alla realizzazione dei suoi progetti, nonostante rimanganoignoti i progetti dei singoli. Hayek non ha risolto, bensì ripro-posto il problema della conoscenza necessaria all’equilibrio edall’armonizzazione di piani individuali all’interno del sistemaeconomico, valorizzando il mercato come meccanismo. Egli ri-

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1.3 hayek e l’influenza della scuola austriaca 15

conobbe inoltre al suo storico avversario un solo pregio, quellodel seduttore e ammaliatore: “Coloro che ebbero la fortuna diincontrarlo personalmente, sperimentarono il magnetismo delconversatore brillante... E il tono suadente della sua voce”, co-me scrive Caldwell [15, pag. 58-60]. Il fascino della personalitànon bilanciava secondo Hayek i difetti dell’economista, ed inspecial modo il suo carattere volubile. Dal canto suo il caratteresfaccettato di Hayek, ricco di luci ed ombre lo fa apparire ungran “Puzzle” [16, pag. 5-6]. Per individuare in maniera sod-disfacente il suo pensiero, è necessario ricollegarlo alla ScuolaAustriaca.

Figura 3: Friedrich August von Hayek

1.3 hayek e l’influenza della scuola austriaca

Friedrich August von Hayek (Vienna, 8 maggio 1899-Friburgo,23 marzo 1992), fu esponente storico del liberalismo, rappre-sentante della Scuola Austriaca e critico dell’economia piani-ficata centralista. La sua famiglia era composta da importantiintellettuali, i von Hayek erano infatti patrioti austriaci, perfettiesemplari della Vienna fin de siècle. Come la famiglia dei Key-nes, quella di Hayek aveva la vita accademica nel sangue. Ilnonno Gustav von Hayek fu ornitologo e naturalista. Il padreAugust fu un importante botanico noto per gli studi in fitogeo-

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grafia corologica, ossia la disciplina che studia la distribuzionegeografica delle piante. La madre era cugina del famoso filo-sofo Ludwig Wittgenstein. “Sono cresciuto con l’idea che nonci fosse nulla di più elevato nella vita del diventare professoreuniversitario, senza un’idea precisa della materia che intende-vo insegnare... Mi sono persino chiesto se diventare psichiatra”,avrebbe ricordato [16, pag. 10]. Tuttavia, a differenza di Keynes,che eccelleva negli studi, Hayek fu uno studente modesto, riti-rato ben due volte da scuola per il suo atteggiamento passivonei confronti dello studio.

Con lo scoppio della Grande Guerra (1914) Hayek si arruo-lò nell’esercito austro-ungarico, nonostante non avesse ancoral’età anagrafica. Però poté partecipare alle operazioni solo nel1917. La Guerra significava anche dover sopportare lunghe at-tese, Hayek trovò sollievo nella lettura, e quando gli venne pre-stato un libro di economia, capì che quella sarebbe stata la pas-sione della sua vita. In quei giorni era interessato soprattuttoa come l’economia di pace cambiasse durante la guerra. Dopol’armistizio dell’11 novembre 1918 tornò in una Vienna moltodiversa da quella città variopinta e baldanzosa che un tempoera stata la sua patria. Hayek sopravvisse alla guerra e gli ven-nero attribuiti numerosi riconoscimenti, ma il conflitto aveva se-gnato anche lui che aveva contratto la malaria durante le ultimesettimane.

I movimenti separatisti approfittarono del disordine per fon-dare vari stati indipendenti. I sussulti rivoluzionari colpironoanche il patronimico dei von Hayek, che per decreto emanatodal nuovo governo repubblicano, persero il prefisso von. I dannisubiti dalla popolazione austriaca durante la guerra ridusserosul lastrico diverse famiglie, i generi di prima necessità diven-nero costosi in maniera proibitiva. Fu proprio in questo mara-sma che arrivò The Economic Consequences of the Peace di Keynes,che Hayek divorò letteralmente. Dapprima iscritto alla facoltàdi Economia dell’università di Vienna, temendo che la guerrasi protraesse all’infinito, Hayek formulò un progetto alternati-vo facendo allora domanda di trasferimento all’Aeronautica, ilcui lungo addestramento gli avrebbe dato del tempo per po-ter studiare in vista dell’esame di ammissione all’Accademiadiplomatica.

La fine della guerra fece crollare tutti i suoi piani: l’Unghe-ria era in ginocchio e l’Accademia diplomatica sparita... Hayekcambiò rotta e si iscrisse al Dipartimento di giurisprudenza del-l’università di Vienna, nel quale erano presenti anche corsi di

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Economia e fu proprio lì che iniziò a conoscere la tradizioneeconomica austriaca. All’inizio degli studi la Scuola austriacanon era ben definita come lo sarebbe diventata dopo lo scon-tro con i marxisti. Tale scuola di pensiero era particolarmenteinteressata ai prezzi, specie al costo opportunità di un prodotto,ovvero alle alternative tra cui i consumatori scelgono quandoacquistano merci concorrenti.

Hayek iniziò leggendo Principi di Economia politica e Indaginisul metodo delle scienze sociali di Carl Menger, il primo economi-sta a postulare il concetto di utilità marginale, ovvero l’idea chemaggiore è la quantità di un bene, meno è apprezzato il suovalore. La Vienna del primo dopoguerra era il posto ideale perHayek per approfondire il funzionamento dell’economia. Do-po aver trascorso più tempo a studiare Economia e Psicologiache Diritto, ritenendo quest’ultima materia un’attività collate-rale, Hayek arrivò alla fine degli studi nell’arco di due annilaureandosi nel novembre del 1921.

Fu Friedrich von Wieser5 a raccomandarlo a Ludwig von Mi-ses6 per un posto come assistente legale in un ente statale co-stituito per gestire il debito di guerra tra l’Austria e le altrenazioni.

Negli anni che vanno dal 1904 al 1914, Mises si concentrò sul-le opere dei maggiori economisti austriaci, soprattutto Eugenvon Böhm-Bawerk. Dal 1913 al 1934 insegnò all’Università diVienna, anni nei quali ebbe anche rapporti con i governi, ov-viamente in veste di consigliere. Pertanto Hayek iniziò grazie aquesti due pilastri della Scuola austriaca a lavorare in un campoattinente a quello di Keynes.

5 Friedrich von Wieser (Vienna, 10 luglio 1851 – Salisburgo, 22 luglio 1926)economista e sociologo austriaco, fu insieme a Carl Menger e Eugen vonBöhm-Bawerk uno dei fondatori della Scuola austriaca. Nel 1917 divenneministro delle finanze austriaco. Insieme agli economisti austriaci, in par-ticolar modo all’economista inglese Wicksteed, ridusse il concetto di costodi produzione a quello di costo opportunità, cioè all’idea che il costodi unbene non sia altro che il valore che il soggetto che sceglie tra le alternativepossibili, attribuisce alla migliore opportunità [3, pag. 463].

6 Ludwig von Mises (Lemberg, 29 settembre 1881 – New York, 10 ottobre 1973)fu un economista austriaco naturalizzato statunitense, tra i più influenti del-la scuola austriaca, nonché uno dei padri spirituali del moderno libertari-smo; definito l’incontrastato decano della scuola austriaca. Mises non ebbemai uno stipendio dall’università come docente, ma nel sistema di insegna-mento allora in vigore uno studioso stimato poteva svolgere appunto uncorso libero, senza retribuzione. Mises stesso era ebreo e si è discusso sela sua posizione marginale all’università, sia stata dovuta al pregiudizio [3,pag. 674-675].

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Nel 1921 e nel 1923 ottenne il dottorato rispettivamente inGiurisprudenza e Scienze Politiche all’università di Vienna e,contemporaneamente, studiò Psicologia ed Economia. In que-sto periodo Hayek sperimentò l’inflazione fuori controllo in Au-stria ad ogni busta paga ricevuta! Dopo poco tempo, spinto dauna forte irrequietezza, decise di partire alla volta dell’Americaper vivere in diretta il funzionamento del capitalismo del lais-sez faire. Dal 1923 al 1924 lavorò alla New York University comeassistente del professor Jeremiah Whipple Jenks. 7

Al rientro a Vienna, nel 1924, Hayek ritornò ad occuparsi del-l’amministrazione dei debiti di guerra austriaci. Mises lo presesotto la sua ala protettiva iniziando a fungere da suo mento-re. Egli infatti lo aiutò ad organizzare l’Istituto Austriaco per lostudio del ciclo economico di cui Hayek assunse la direzione.

Hayek appare molto contraddittorio riguardo al primo incon-tro con Keynes, mentre il primo contatto tra i due si ebbe conla richiesta di un libro tempo addietro. Agli inizi del 1927 Frie-drich Hayek, scrisse a John Maynard Keynes presso il King’sCollege di Cambridge, in Inghilterra, per chiedergli una copiadi Mathematical Psychics, un testo di economia scritto mezzosecolo prima, da Francis Ysidro Edgeworth. Keynes fu lapida-rio nella risposta consistente in una semplice cartolina postale(figura 4): “Mi spiace informarla che la mia riserva di Mathema-tical Psychics è andata esaurita”. Hayek, nonostante il diniego diKeynes, conservò come una reliquia quel biglietto per ben ses-santacinque anni, come ricordo personale [2, pag. 15]. Hayek in

Figura 4: Foto della cartolina inviata da Keynes ad Hayek, conservatanegli Hoover Institution Archives [17]

una conferenza tenuta presso l’Università di Chicago, affermòdi aver conosciuto Keynes personalmente ad un congresso in-ternazionale nel 1929 [2, pag. 52-53]. In un saggio per “OrientalEconomist” scrisse di averlo incontrato per la prima volta a Lon-dra nel 1928. Di contro non esiste cenno di questo primo con-tatto tra i due nei Collected Writings di Keynes. Pare quindi chel’occasione tanto desiderata da Hayek si sia profilata quando fu

7 Jeremiah Whipple Jenks(1856-1929) fu un americano economista ed educato-re, nato a Saint Clair, Michigan. Laureatosi presso la University of Michigannel 1878, studiò per diversi anni in Germania, prendendo il suo dottoratodalla Università di Halle nel 1885. Il professor Jenks era particolarmente in-teressato agli aspetti politici dei problemi economici e fu spesso in spesso invarie commissioni governative facendo molte relazioni su valute, lavoro edimmigrazione. (reference.com)

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1.3 hayek e l’influenza della scuola austriaca 19

invitato ad un incontro del London and Cambridge EconomicService, fondato qualche anno prima da Keynes come joint ven-ture tra London School of Economics e la Cambridge University.La scena dell’incontro tra i due “giganti”, entrambi alti oltre unmetro ed ottanta, baffuti e dall’aria intellettuale, deve esser statadi sicuro degna di nota. Keynes pacato nel parlare, nascondevadietro l’apparente flemma, una dialettica tale da ipnotizzare glieventuali interlocutori, Hayek non aveva molta dimestichezzacon l’inglese, che, contaminato da un marcatissimo accento au-striaco, risultava piuttosto difficile da decifrare [2, pag. 54-55].Nonostante i problemi di lingua, Lionel Robbins8, allora giova-ne docente economia alla London School of Economics, ricordala prima impressione che ebbe di Hayek, descrivendolo comeun uomo vigoroso e riservato, sicuro e tranquillo.

Keynes ed Hayek iniziarono già da subito a discutere su ar-gomenti riguardanti i cambiamenti del tasso di interesse. Perquanto fosse più giovane, Hayek teneva testa a Keynes, il qua-le nonostante fosse in forte disaccordo con quanto esprimeval’interlocutore, dimostrò un certo rispetto nei confronti dell’av-versario ed un particolare interesse nell’ascoltare quest’ultimo.Fu proprio a Londra che Hayek trovò un amico: Robbins chesapeva leggere il tedesco, lo sostenne in diverse circostanze.

Nel febbraio del 1931, Lionel Robbins lo invitò a tenere deiseminari alla London School of Economics and Political Science. Iseminari vennero giudicati in maniera molto positiva ed Hayeknell’ottobre dello stesso anno si trasferì a Londra per insegnarealla London School. Da tali seminari venne tratta l’opera Pricesand Production del 1931 [18, pag. 434] in cui Hayek tentò didimostrare che il denaro prestato senza un congruo tasso di in-teresse, rispetto alla somma dei risparmi, viene investito in unaserie di produzioni non in grado di autosostenersi. Quando iltasso di mercato è superiore al tasso “naturale” (di equilibrio),intacca i vari passaggi del circolo produttivo di merci, fino aquando, dopo un fisiologico periodo di crisi, viene ristabilitoun nuovo equilibrio economico. Hayek parla di un “Tasso di in-teresse naturale” in grado di sostenere la produzione a tutti glistadi, in sostanza il tasso di equilibrio che eguaglia risparmi ed

8 Lionel Robbins (1898-1984) fu un economista inglese, conosciuto per la suadefinizione di economia e per i suoi apporti alle teorie economiche. Fu consi-derato uno dei più grandi esponenti della teoria marginalista, ovvero quellacorrente di pensiero economico sviluppatasi tra il 1870 ed il 1890. Celeber-rima è la definizione da lui data dell’economia come scienza che studia ilcomportamento umano come relazione tra mezzi scarsi suscettibili di usialternativi e fini molteplici [19, pag. 181].

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investimenti. Siamo già fuori dell’orizzonte teorico keynesiano:un tasso di interesse troppo basso favorisce gli investimenti sba-gliati, che sono i principali fattori dell’inflazione e quindi dellacrisi.

Nel 1938, impossibilitato a rientrare nella natia Austria pervia dell’annessione di quest’ultima al Terzo Reich, Hayek diven-ne cittadino britannico, cittadinanza che mantenne per sem-pre. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la Lon-don School si trasferì a Cambridge ed Hayek con essa. “La vitaa Cambridge durante quegli anni di guerra mi riuscì partico-larmente congeniale. In qualche modo l’umore e l’atmosferaintellettuale del paese mi parvero di colpo straordinariamenteattraenti, e le condizioni di un conflitto in cui tutte le mie simpa-tie andavano agli inglesi accelerarono grandemente il processoche mi portava a sentirmi del tutto a casa mia” [16, pag. 10-70].Hayek era sul punto di traslocare al Peterhouse College quan-do Keynes insistette affinché fossero concesse al suo rivale lestanze accanto alle sue nel King’s College. In quei due mesi siincontrarono di tanto in tanto e parteciparono ai doveri dellafacoltà di economia. Fu così che si giunse alla scena surrealedi Keynes ed Hayek armati di badili e ramazze a presidiare iltetto gotico della King’s Chapel, scrutando i cieli notturni incerca di bombardieri tedeschi. Entrambi, di fronte al pericolodi qualche attacco, stipularono in un certo senso una tregua diconvenienza [2, pag. 172-173].

Dal 1940 al 1943, Hayek scrisse un saggio che aveva comeimmediato obiettivo la critica alla pianificazione centralizzata,ma in realtà riguardava le inarrestabili tendenze al totalitari-smo delle società contemporanee: The Road to Serfdom, operapubblicata in Gran Bretagna il 10 marzo 1944, in una tiraturadi duemila copie. Bersagli principali di The Road to Serfdom fu-rono quelli considerati da Hayek i mali gemelli del socialismoe del fascismo. Hayek reiterava la sua convinzione che i pianifi-catori economici non potevano conoscere la volontà degli altrie quindi finivano per comportarsi da despoti.

Già dai primi anni ’40, Hayek smise di occuparsi di econo-mia, isolato ed impotente ad opporre resistenza al dilagare deiseguaci di Keynes. Addirittura nel ’49 abbandonò la LondonSchool per esiliarsi a Chicago dove insegnò filosofia politica. Lascelta degli Stati Uniti, fu legata probabilmente alle complessevicende personali che stava vivendo in quel periodo.9

9 In gioventù, Hayek visse una storia d’amore con la cugina Helene, ma iltrasferimento a New York dovuto agli impegni di lavoro, fu deleterio per

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1.3 hayek e l’influenza della scuola austriaca 21

Hayek era stimato, in quegli anni, come scienziato politico eper i suoi studi di psicologia teoretica. In prima persona egliaffrontò numerose sfide e non è sufficiente sostenere che i suoipunti di vista risultarono impopolari per gran parte della suavita.

Figura 5: Hayek alla consegna del Premio Nobel per l’Economia(1974)

Le posizioni economiche e politiche di Hayek apparvero in-fatti completamente fuori sincronia rispetto a quelle del resto

la loro relazione: Helene, stanca di aspettarlo, scelse un altro uomo. Pocodopo, lo stesso Hayek sposò Hella, la quale pare somigliasse molto alla pre-cedente. Dopo la guerra nel 1946, Hayek andò in visita dai parenti a Vienna,per accertarsi delle condizioni di questi ultimi e fu proprio lì che ritrovò He-lene, la quale gli comunicò di essere libera di sposarlo. Bastò un cenno delladonna per mettere in discussione il suo matrimonio apparentemente felice,coronato persino dall’arrivo di due figli. Hella, che fino a quel momento erastata una moglie devota, si inasprì rifiutandosi di concedergli la separazio-ne. Le trattative per il divorzio, furono infatti colme di rancore. Hayek definì“necessità interiore” la scelta di allontanarsi dalla sua famiglia. I suoi colle-ghi, in particolare Robbins, rimasero sconvolti per la notizia del divorzio eper la conseguente rassegnazione delle dimissioni dalla scuola nel 1950. Iltrasferimento in America, alla luce di ciò, apparve come una decisione dicarattere prettamente pecuniario dettato dalla necessità di uno stipendio ingrado di mantenere la ex moglie ed i figli, nonché se stesso e l’attuale com-pagna. Alla fine ottenne un posto alla University of Chicago, ma fu tutt’altroche semplice [2, pag. 191-192].

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dell’intellighenzia. Egli attaccò il socialismo quando era conside-rato “la via di mezzo”, quando apparentemente tutti gli uominidi buona coscienza nutrivano simpatie, se non socialiste, demo-cratiche e lontane dal liberalismo individualista della Scuola acui Hayek apparteneva. A causa delle proprie idee politiche,Hayek si impegnò nel tentativo di trovare tra i pensatori delsuo tempo, un pubblico disposto a comprenderlo.

Hayek rappresenta un’autentica sfida per coloro che cerca-no di interpretarne il pensiero. Egli non si limitò all’economia,dando contributi significativi in campi diversi come la psico-logia, la filosofia politica, le scienze sociali. Egli sembra avercambiato idea su diversi argomenti, nel corso degli anni, e ciògli attribuisce diverse contraddizioni. Hayek completò la stesu-ra di The Constitution of Liberty nel maggio del 1959, e il librofu distribuito nel febbraio dell’anno seguente. Ne inviò alcunecopie firmate a personaggi di spicco quali Richard Nixon, Her-bert Hoover, Walter Lippman, John Davenport... Con due mo-gli e due figli da mantenere, alle soglie della pensione Hayeksperava che il suo saggio potesse divenire un bestseller. Nonandò come desiderato ardentemente, il libro non riscosse con-sensi presso l’opinione pubblica. Addirittura, se raffrontato aThe Road to Serfdom risultava prolisso e alquanto pesante [16,Pag. 3-60].

Nel 1960 Hayek soffrì per la prima volta di depressione e l’an-no successivo di una lieve crisi cardiaca non diagnosticata concertezza, la quale aggravò ulteriormente il suo stato depressivo.Nel 1962, angosciato dal timore di non riuscire ad assicurarsiuna vecchiaia economicamente dignitosa, accompagnato dallapaura di lasciare Helene in miseria, accettò un posto in gradodi garantirgli la pensione all’università di Friburgo, in Germa-nia. Ciò che rappresentò l’ennesimo duro colpo in un periodogià difficile, fu il cambio di rotta dell’amico di un tempo, e suopiù acceso sostenitore Lionel Robbins, il quale dopo aver mo-derato la sua fede nelle idee liberiste, accettò alcuni aspetti delkeynesismo.

Robbins intrattenne rapporti contraddittori con Keynes: inun primo tempo fedele all’insegnamento dei grandi autori libe-risti della Scuola austriaca, si oppose alle politiche keynesiane.Successivamente, considerando la gravità della caduta del red-dito e dell’occupazione rivalutò le proposte di Keynes ricono-scendo di aver commesso un errore di giudizio e assumendoquindi un atteggiamento di apertura nei confronti della rivolu-zione scientifica ed intellettuale che la Scuola keynesiana stava

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1.3 hayek e l’influenza della scuola austriaca 23

attuando.Nel 1969 Hayek tornò in Austria per motivi ancora una volta

pecuniari. L’università di Salisburgo acquistò per una discretasomma la sua biblioteca; quindi, trasferendosi nei pressi di essa,Hayek poteva ancora utilizzare i suoi libri e continuare a scrive-re. Lo stesso anno ebbe una seconda crisi cardiaca nuovamentemal diagnosticata.

Il Premio Nobel del 1974 fu il riconoscimento di un’eviden-za. In quell’occasione Hayek, scelse per il discorso che dovettetenere, il titolo di “The Pretence of Knowledge”. Questa sceltarifletteva il tema fondamentale del suo programma di ricerca,ovvero il quesito di come gli uomini possano ottenere un auspi-cabile ordine di convivenza malgrado la loro conoscenza inevi-tabilmente limitata dei fatti e dei nessi causali da cui dipendela complessa struttura dei rapporti sociali ed economici.

Nel discorso in occasione del Nobel, fu con un notevole gra-do di soddisfazione che dichiarò “Noi economisti abbiamo fat-to una certa confusione” [16, pag. 50-75]. La teoria che avevaguidato la politica monetaria negli ultimi trent’anni, correlavapositivamente la piena occupazione e la crescita mantenendo laspesa monetaria complessiva ad un livello appropriato.

Hayek sosteneva che gli uomini facessero progetti nella pre-sunzione di una conoscenza impossibile da raggiungere, pro-getti di una formazione razionale della società in grado di di-struggere l’ordine di norme formatosi in una società libera-le. Egli indirizzava i suoi argomenti assumendo una posizioneintellettualmente opposta soprattutto alla teoria formale neo-classica dell’equilibrio che suppone la perfetta informazionedei protagonisti sul mercato, nonché alle concezioni interven-tiste critiche verso il mercato ad ai concetti di pianificazioneeconomica.

Come egli dichiarò in una conferenza del 1933, “il problemafondamentale di tutta la teoria economica è quello di chiarireil significato del concetto d’equilibrio e la sua rilevanza ai fi-ni della spiegazione d’un processo che ha luogo nel tempo”.L’analisi del concetto d’equilibrio economico fu uno dei punticardine su cui si concentrarono gli studi di Hayek fin dai primitempi. Hayek si concentrò su vari rami della teoria economi-ca: da un lato, egli si occupò di teoria del ciclo, del capitalee della moneta; dall’altro — trovandosi coinvolto nel dibattitosulla possibilità della pianificazione — di teoria del mercato edella concorrenza. Proprio le difficoltà incontrate in questi stu-di lo portarono a mettere in dubbio prima e a formulare poi

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un’elaborazione personale di quest’importante costrutto. Neiprimi lavori sistematici sul ciclo e sulla moneta, Hayek sembròaccogliere, in modo non ancora del tutto meditato, l’interpre-tazione allora dominante della teoria dell’equilibrio economico.Ma a partire da questi lavori iniziò a manifestarsi in Hayek unosguardo via via più critico nei confronti di tale concetto.

Quella di Hayek fu soprattutto una battaglia morale nonchéuna difesa della tradizione civile dell’Occidente contro le ideeche portavano avanti i socialisti di destra e di sinistra che pun-tavano ad una pianificazione attenta del futuro. I socialisti era-no ritenuti da Hayek vittime di un fatal conceit consistente nellapresunzione del sapere: ritenendo di sapere più di quanto fossepossibile conoscere e credendo di poter conseguire fini impossi-bili da raggiungere, non erano in grado di cogliere il valore dellibero mercato [16, pag. 55-80]. che appunto non fornisce cono-scenze a priori, ma consente un continuo arricchimento delleinformazioni(in Hayek indubbiamente non distinguibili dalleconoscenze in senso proprio).

Negli anni successivi, Hayek iniziò ad incassare lodi su piùfronti. Col Keynesismo in crescente difficoltà, adesso il mondosembrava pronto ad accettare la sua visione delle cose. I due de-cenni successivi videro crescere la popolarità di Hayek riguar-do alla possibilità di sviluppi dittatoriali a causa dell’interventodel governo. Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 pose fine aiduri settantacinque anni di un esperimento comunista che pre-vedeva l’eliminazione del libero mercato dalla vita dei russi. Icapi dei governi democratici, i primi presidenti della Repubbli-ca Ceca, il vicepremier polacco, riconobbero in Hayek una fontedi ispirazione nei loro giorni più bui. Hayek ebbe la fortuna divivere abbastanza a lungo da poter assistere al proprio ritornoin auge. Mentre seguiva lo svolgersi degli eventi ricordò a tutti:“Ve l’avevo detto” [16, pag. 250-300]. Morì a novantatré anni il23 marzo 1992, a Friburgo in Brisgovia, in Germania.

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2L A C O N O S C E N Z A E I L M E R C AT O

La questione della conoscenza umana nel sistema economico èun concetto quasi filosofico ma estremamente centrale. Sia Key-nes che Hayek se ne occupano ampiamente e sono da ravvisarsidiverse affinità di pensiero tra i due. Keynes parte proprio dauna riflessione filosofica in merito al comportamento dell’indi-viduo nell’economia. Fenomeni lontani nel tempo non possonopertanto essere previsti, non vi sono basi scientifiche per poterfondare calcoli probabilistici.

Il mercato è soggetto ad ondate di ottimismo o pessimismo,irragionevoli ma comprensibili, esso non è in grado di autore-golarsi perché si regge su convenzioni e per Keynes si dimo-stra indispensabile l’intervento dello Stato che operi per il benedella collettività. Con il discorso del 10 novembre del 1936, investe di presidente del London Economic Club, Hayek rielabo-ra il concetto di equilibrio economico che era stato l’oggettodel contendere durante il suo dibattito con Keynes. Ancor piùimportante, Hayek scelse per la prima volta una nuova impo-stazione mentre discuteva l’importanza dei prezzi, che non sololo distanziava maggiormente da Keynes, ma lo consacrava an-che come pensatore originale e non come mero seguace dellaScuola austriaca.

L’addentellato più noto nel dibattito tra Hayek e Keynes eral’assunto, sostenuto dagli economisti classici, che nel tempo,quando risparmi e investimenti si allineano alla perfezione, ilsistema si assesta in una condizione di pieno impiego. Keynescontestava l’esistenza di un equilibrio del genere perché le real-tà economiche in patria ed in America negli anni Venti e Trentastridevano con questo dogma. Se l’economia si era assestata inInghilterra e in America era successo in uno stato di disoccupa-zione di massa, non di pieno impiego. Quando gli economisticlassici obiettavano che l’equilibrio non era stato ancora rag-giunto suonavano poco convincenti perché il sistema risultavaimpantanato in una crisi interminabile.

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2.1 keynes : la funzione delle aspettative nell’eco-nomia

Gli studi giovanili sulla probabilità a cominciare dalla sua teo-ria del comportamento razionale in condizioni di incertezza,condizionano lo sviluppo delle idee economiche di Keynes cheassegnano un ruolo decisivo alle aspettative nel determinarel’andamento corrente dell’economia. In particolare le aspettati-ve di rendimento degli investimenti futuri determinano le speseed il reddito dell’economia attuale. Quando l’incertezza diven-ta tale da non offrire nemmeno una fragile base per orientarele decisioni del singolo, diventa razionale persino affidarsi al-l’istinto. Keynes afferma che la differenza fondamentale tra lasua teoria e quella classica va individuata in una diversa conce-zione delle scelte in condizioni di incertezza. In particolare, lescelte in condizioni di incertezza riguardano proprio uno degliaspetti fondamentali dell’attività economica: l’accumulazionedella ricchezza e quindi l’attività di investimento e tutte quelleaventi luogo sui mercati finanziari.

Per Keynes, lo scopo dell’accumulazione della ricchezza èprodurre risultati, o risultati potenziali, in un tempo relativa-mente, e a volte anche molto lontano. Il fatto che la conoscenzache ciascun individuo ha del futuro sia fluttuante, vaga ed incer-ta rende la ricchezza un argomento di studio particolarmenteinadatto per i metodi della teoria classica. La teoria classica sup-poneva che anche le decisioni relative all’accumulazione dellaricchezza, fossero riducibili ad un esatto calcolo. Keynes accusala teoria classica di supporre in maniera illegittima che il cal-colo delle probabilità fosse in grado di ridurre l’incertezza allamedesima condizione di calcolabilità della stessa certezza.

Keynes aveva sviluppato le sue tesi sull’incertezza nel 1921

nella sua opera A Treatise on Probability dove entrava in polemi-ca con gli autori che vedevano il fondamento logico dei giudi-zi di probabilità nelle frequenze relative degli eventi. Keynesspecifica che riferendosi a conoscenze incerte non intende solodistinguere tra ciò che è noto con certezza e ciò che è sempli-cemente probabile. I fatti economici sono da ritenersi fenomeniincerti in quanto è impossibile sottoporre l’attività economica aun piano di esperimenti da cui trarre una distribuzione di fre-quenza. Il problema delle aspettative è stato trattato anche nellamaggiore opera di Keynes ovvero nella General Theory, in par-ticolar modo nel capitolo dodicesimo intitolato “Lo stato delleaspettative a lungo termine”. La speculazione di Borsa, e quin-

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2.1 keynes : la funzione delle aspettative nell’economia 27

di l’acquisto o la vendita di titoli con lo scopo di lucrare sulledifferenze tra prezzo corrente e prezzo atteso o normale di untitolo, è un gioco di scommessa sull’opinione che prevarrà sulmercato a una qualche data futura giacché il prezzo di un tito-lo sul mercato è determinato non solo da valutazioni razionalie oggettive dei rendimenti prospettici dell’investimento che es-so rappresenta, ma anche dall’opinione prevalente circa queirendimenti prospettici.

Appare ragionevole riferirsi all’opinione media prevalentesul mercato o al comportamento più diffuso. Le aspettativeformate secondo queste procedure convenzionali sono tuttaviasoggette a mutamenti improvvisi in virtù della fragilità delleloro basi conoscitive. Tali mutamenti imprimono instabilità alladomanda di investimenti e alla preferenza per la liquidità. Ledecisioni di investimento sono fondate, infatti, sulle aspettativedi rendimenti futuri, incerti, dei beni capitali; analogamente, lapreferenza per la liquidità nella sua componente speculativa èbasata sulle aspettative riguardanti l’andamento futuro, incerto,del tasso di interesse a lungo termine. La teoria classica risultafallace e Keynes espone di conseguenza la propria concezione,prima della moneta e dell’interesse e poi della domanda e del-l’offerta nella sua totalità, ovvero la sua teoria della domandaeffettiva.

Egli rimane quindi intimamente pessimista sulla capacità del-l’individuo di penetrare i segreti del mondo con precisionescientifica sviluppando di conseguenza un atteggiamento ostilenei confronti del progetto di fondare l’economia su basi mate-matiche. Keynes nutre un forte interesse per la statistica eco-nomica, ma è altrettanto diffidente nei confronti dell’eserciziodi formulare previsioni e trovare regolarità di comportamento erelazioni di causalità sulla base di una collezione di dati relativialla frequenza di comportamenti passati. La condizione di fon-damentale incertezza di chiunque prenda decisioni economicheispira tutta l’analisi di Keynes ma specialmente il modo in cuiegli interpreta il ruolo del denaro. Da Marshall aveva appresoche gli individui hanno bisogno proprio di denaro per poterdisporre di un mezzo di pagamento. Keynes ravvisa anche unulteriore motivo: quando la percezione di incertezza spinge l’in-dividuo a voler rinviare le decisioni di produzione e consumo,il denaro insieme ad altri strumenti finanziari, diventa un espe-diente per rimandare tali comportamenti e per conservare ilpotere di acquisto. Così il denaro diventa un mezzo che consen-te al singolo di domare l’incertezza e al tempo stesso penalizza

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le possibilità di crescita per il sistema.Il rifiuto di Keynes di accostare l’Economia ad una scienza

esatta, lo distingue dai classici, ma anche dagli economisti delsuo tempo che ritenevano razionale il comportamento degli at-tori del mercato. Egli immaginava l’economia dominata daglianimal spirits degli imprenditori che, per la natura stessa delmercato, sono portati ad agire in maniera istintiva e non sonoin grado di prevedere le conseguenze delle loro azioni. Keynesfu il primo a capire che sulla scena delle decisioni economiche,nel mondo dell’industria come in quello della finanza, ci fos-sero sempre, invisibili, anche gli aspetti umorali della menteumana. Per Keynes, gli investimenti, quindi, sono funzione del-le aspettative, degli animal spirits e del reddito, non del tasso diinteresse perché esso equilibra il mercato monetario. Secondol’economista inglese gli animal spirits sono un insieme di forzee motivazioni, tra cui l’intuizione personale e l’ottimismo, chespingono l’imprenditore a ricercare il successo, investendo an-che in settori dove le analisi di mercato non lasciano grandisperanze di successo.

L’imprenditore segue un comportamento istintivo e sponta-neo, Keynes utilizza questo modello di comportamento, in par-te irrazionale, degli imprenditori per interpretare anche le on-date di ottimismo e di pessimismo che si alternano in occasionedella crisi del 1929, giustificando un intervento dello Stato percorreggere o assecondare le scelte d’impresa. Le aspettative im-prenditoriali possono indurre gli imprenditori a posticipare gliinvestimenti anche in presenza di tassi di interesse molto bassi,ossia di un basso costo dell’indebitamento e della liquidità. Inquesta particolare situazione, definita da Keynes “trappola del-la liquidità”, le imprese cercano di finanziare l’attività produtti-va mediante l’emissione di titoli ma la domanda di mercato diquesti ultimi è minima, causando l’instabilità e la recessione delsistema economico che viene così a trovarsi in una situazionedi stallo.

2.2 keynes : il ruolo della moneta e delle variazio-ni dei prezzi

Nel pensiero economico pre-keynesiano, un sistema di mercatoè sì in grado di autogovernarsi ma a condizione che il denaroche permette gli scambi sia ancorato ad un valore reale, in mo-do da garantire la stabilità del valore della moneta stessa. Ciòche però era stato a lungo considerato il modello delle relazio-

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ni monetarie internazionali si rivelava agli occhi di Keynes, unsistema ormai inefficiente, datato e potenzialmente dannoso. Ilvincolo della base aurea della moneta costringeva i Paesi a con-tinui aggiustamenti dei prezzi che per Keynes avevano pericolo-si effetti collaterali. Le fluttuazioni cicliche fanno male all’econo-mia e per questo motivo, la questione della stabilità dei prezzisarebbe dovuta essere prioritaria rispetto a quelle della stabilitàdel cambio. Questa può definirsi una critica ragionata al GoldStandard, un sistema legato alla necessità di sostenere la fiducianel denaro in tempi in cui i governi nazionali non godevano diun gran credito, ma destinato secondo Keynes ad essere supera-to. La rottura con la dottrina del Gold Standard, infatti, fornisceun’altra chiave per comprendere un’impostazione più generaledel pensiero keynesiano: il capitalismo prospera non sulla ba-se di leggi immutabili e naturali, ma di condizioni storiche eistituzionali favorevoli.

Keynes era convinto che il sistema monetario internaziona-le avrebbe gradualmente eliminato l’oro per fondarsi su unao due monete di riserva. Oggi sappiamo che le cose andaronoproprio in questo verso. Una condizione che secondo Keynesnon discende automaticamente dal libero dispiegarsi delle for-ze di mercato, né dal sistema aureo, è la stabilità dei prezzi.Egli considera dannose anche le fluttuazioni di breve periodo,sia che i prezzi aumentino, sia che diminuiscano. La crescitadei prezzi è ingiusta in quanto mette in moto una redistribu-zione incontrollata del reddito, che arricchisce i debitori con-fiscando i creditori. La teoria dei prezzi segna un’altra tappadella battaglia intellettuale di Keynes contro le leggi naturali.Egli auspica una banca centrale, diretta da un gruppo di esper-ti dell’economia indipendenti dal potere politico, che privilegila stabilità dei prezzi e prevenga il formarsi di aspettative diinflazione o deflazione. Keynes sconfessa la validità di un altropilastro fondamentale della teoria economica del tempo: la teo-ria quantitativa della moneta, che spiegava il livello dei prezzisulla base dell’abbondanza o scarsità di moneta in circolazio-ne, e al tempo stesso considerava le fluttuazioni del livello deiprezzi ininfluenti sulla produzione e sull’occupazione.

Nell’economia keynesiana la moneta non è mai neutrale egioca sempre un ruolo decisivo: ogni variazione di prezzi, delcambio, del tasso di interesse incide sul peso reale dei debiticon conseguenze inevitabili su aspettative, prodotto ed occupa-zione. L’inflazione non è l’esito meccanico della crescita dellaquantità di denaro in circolazione bensì un fenomeno più com-

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plesso che ha diverse cause e un suo modo di riprodursi: puòavere origine in un aumento dei costi della manodopera, delladomanda, degli utili, o dei prezzi delle materie prime. Keynes èconvinto che per salvare il sistema liberale si debba rinunciarealla tradizione di pensiero che ne magnifica le capacità di aggiu-stamento ad ogni avversità. Egli nutriva immensa fiducia nellaforza del progresso intellettuale ed era fermamente convintoche la sfida, culturale e non ideologica, di un sapiente controllodel sistema sarebbe stata presto vinta. Accreditò l’idea di uncapitalismo sapientemente diretto, che costituisse il mezzo peril conseguimento degli obiettivi socialmente apprezzabili. Nel-la personale utopia di Keynes gli economisti non governano ilmondo. Al contrario, sono figure marginali impegnate nella ma-nutenzione di un sistema in cui l’uomo possa gestire liberamen-te il proprio tempo coltivando i valori spirituali della propriaesistenza [20, pag. 592-593].

Nel pensiero keynesiano tanto la domanda di beni di consu-mo, quanto la detenzione di moneta non dipendono dal tassodi interesse, come asserito dai neoclassici, ma dal livello delreddito. La domanda di moneta per transazioni cresce all’au-mentare del reddito, ma anche in modo meno che proporzio-nale, mentre il volume complessivo dei risparmi monetari cre-sce, a fronte dello stesso ammontare del reddito, in modo piùche proporzionale. All’aumentare del reddito nazionale reale,l’incremento della domanda globale dei beni di consumo sa-rà sempre meno in grado di assorbire il maggior volume dellemerci prodotte; e tale comportamento delle famiglie pone lecondizioni perché nel sistema si generi una condizione di crisieconomica da sottoconsumo o sovrapproduzione.

2.3 keynes : critica al vecchio liberalismo e al vec-chio laissez-faire

Keynes si batte in maniera convincente per dimostrare la razio-nale irrazionalità dei mercati, e quindi tende a rimarcare quellache è la propria convinzione della mancata esistenza di una ca-pacità autoregolativa dei mercati. Secondo l’economista inglese,i mercati non obbediscono alla logica dei rendimenti decrescen-ti, ma a quella delle bolle speculative. Se un iniziale afflusso dicapitali spinge verso l’alto i prezzi delle attività finanziarie eimmobiliari, gli afflussi successivi sono invogliati dalla prospet-tiva di lucrare ulteriori immediati aumenti di prezzo, più chedal rendimento a lungo termine (dividendi, interessi). Si apre

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2.3 keynes : critica al vecchio liberalismo e al vecchio laissez-faire 31

così un gioco di aspettative che si autorealizzano. Tale mecca-nismo dura finché nuovi entranti sono disposti a “gonfiare” labolla col loro denaro fresco. Quando si percepisce che il giocosi è spinto troppo oltre, gli afflussi cessano, la bolla esplode, iprezzi delle attività crollano, e le banche che le hanno in bilan-cio o a garanzia di prestiti falliscono, o vengono salvate dagliStati con soldi pubblici. In quest’ultimo caso è agevole far pas-sare per fallimento dello Stato quello che in effetti è il sintomodi un fallimento del mercato, cioè l’esito socialmente irrazio-nale di un comportamento individuale razionale [21, pag. 793-805]. Assistiamo ancora a due contrapposte concezioni della vi-ta individuale e collettiva. Inevitabile è chiedersi a questo puntose il processo di globalizzazione al quale oggi assistiamo e sela situazione propenda nella direzione di Hayek o di Keynes.In realtà sarebbe necessario attenersi alla consapevolezza dellacondizione di ignoranza e fallibilità in cui versa l’umanità. Que-st’ultima condizione ci suggerisce che non possiamo sottrarciall’esigenza di mobilitare conoscenze largamente disperse, allanecessità di dar vita ad un grandioso procedimento di esplora-zione dell’ignoto e di correzione degli errori. Abbiamo bisogno,secondo Hayek, di un ordine inintenzionale, basato sulla liber-tà individuale di scelta, la quale si materializza nella libertà dioffrire e domandare [24, pag. 19-21].

Per Keynes invece la società non può essere vista come som-ma di comportamenti individuali, così come sostenevano i neo-classici, bensì come il prodotto di azioni collettive differenti. Im-portanti sono gli operatori economici aggregati, i consumatoriaggregati, i produttori aggregati, la sfera dell’offerta aggrega-ta o globale. Ogni componente di una categoria di operatorieconomici si comporta in maniera differente spingendoci a stu-diare il sistema economico nel suo complesso. Nella teoria key-nesiana, la sfera maggiormente importante è quella della do-manda, in quella neoclassica, no: i consumatori delle famiglie egli investimenti delle imprese non sono mai incerti, ma il risul-tato automatico delle scelte fatte nella sfera della produzionee della distribuzione. L’unica quasi certezza per le famiglie è lamoneta, quest’ultima rappresenta un mezzo legale di pagamen-to ma anche riserva di valore garantita dallo Stato e spendibilein qualsiasi momento.

Keynes si ritenne un eretico in quanto convinto che l’equili-brio economico fosse legato non ad un supposto ordine natura-le, ma che esso fosse dato solo “by accident or design” (Per uncaso o per un piano, come diceva appunto Marx). Per Keynes

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non si trattava di uscire dal capitalismo definitivamente, ma diorganizzarlo meglio.

Se il sistema economico fosse stato davvero retto da un ordi-ne naturale, l’unica dottrina economico-politica sensata sareb-be stata senza ombra di dubbio quella del laissez-faire, ma perKeynes non era così. I cardini di tale concezione erano errati.Ciò non sta a significare che per lui il governo avrebbe dovu-to sostituirsi all’impresa privata. Il concetto importante è cheKeynes pensava non vi fossero leggi economiche in grado dideterminarne l’equilibrio capitalistico, le forze che avrebberodovuto farlo erano difettose e ci sarebbe stata necessità perciòdi intervenire cercando di inventare dei possibili miglioramentinella tecnica del capitalismo moderno per mezzo dell’adozionecollettiva.

La fine del laissez-faire, pubblicato nel 1926, è un saggio basatosulla Sidney Ball Lecture tenuta ad Oxford nel novembre del1924 e su un’altra conferenza tenuta all’Università di Berlinonel giugno del 1926. In questo scritto basilare per comprenderele linee fondamentali del suo pensiero, Keynes ripercorre bre-vemente la storia della dottrina del laissez-faire, cominciando ilsuo quadro storico dal XVII secolo, periodo in cui videro laluce dottrine quali quelle della libertà naturale e del contrattosociale. Nelle mani di John Locke e David Hume, queste dottri-ne avrebbero originato l’individualismo. Il contratto presuppo-neva i diritti dell’individuo e fondava una nuova etica, basatasu una sorta di egoismo razionale, il quale poneva al centro ilsingolo [22, pag. 20-70].

Il rifiuto del laissez-faire significava per Keynes abbraccia-re una delle due alternative politico-economiche disponibili: ilprotezionismo da un lato, il socialismo marxista dall’altro. Dot-trine entrambe caratterizzate da pura debolezza logica. Keynessi mostrava favorevole ad un nuovo liberalismo, ovvero ad unintelligente socialismo liberale in cui, respingendo l’individua-lismo estremo del laissez-faire e il massimalismo marxista, si siain grado di mantenere il meglio dei due termini.

Keynes fece il possibile per chiarire che, a differenza dei mar-xisti e di alcuni socialisti, non chiedeva affatto che lo Stato pren-desse il posto dell’impresa privata. “La cosa importante per ilgoverno non è fare cose che gli individui fanno già, e farle unpo’ meglio o un po’ peggio, ma fare quelle cose che al momentonon sono fatte da nessuno [22, pag. 44].” Queste idee si accorda-rono con le nozioni pratiche dei conservatori ed offrirono loroun saldo fondamento intellettuale riguardo i diritti di proprietà

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2.3 keynes : critica al vecchio liberalismo e al vecchio laissez-faire 33

e la libertà dell’individuo abbiente di fare ciò che gli piacessedi sé e dei suoi beni. Il concetto di utilità sociale comparve sullascena in maniera prepotente con l’utilitarismo di Paley e Ben-tham, mentre Rousseau si ergeva a nuovo paladino dell’ugua-glianza. Alla dottrina filosofica secondo cui il governo non haalcun bisogno di interferire, venne aggiunta una dimostrazionescientifica per provare come la sua interferenza fosse priva dieffetti e persino dannosa [22, pag. 35-36].

Il principio del laissez-faire scaturisce da queste giustificazio-ni ed è soprattutto l’atteggiamento dei pubblici amministratoria spingere l’uomo pratico a seguirlo. La dottrina secondo cuil’azione dello Stato dovesse essere confinata entro certi limitie la vita economica lasciata al buon senso ed all’iniziativa deisingoli cittadini, animati dall’ammirevole motivo di farsi stradanel mondo da sè, trovò il terreno adatto per radicarsi e diffon-dersi. Keynes propose di liberarsi dei principi metafisici su cuisi basava il laissez-faire, in quanto la presunta “libertà naturale”delle attività economiche degli individui era per lui inesistente.La verità è che il più delle volte non c’è accordo né coinciden-za degli interessi privati con quelli sociali. L’interesse egoisticoilluminato non opera sempre nella direzione dell’interesse pub-blico: né è detto che esso sia generalmente illuminato in quanto,spesso, individui che agiscono nel loro interesse sono troppoignoranti o troppo deboli persino per salvaguardare il propriotornaconto. Keynes si chiedeva se valesse la pena di escogitareun nuovo sistema che, compatibilmente con un regime demo-cratico, fosse in grado di estendere le funzioni del governo incampo economico.

La dimensione ideale di controllo e di organizzazione vaquindi ravvisata in un punto intermedio collocato tra l’indivi-duo e lo stato moderno. Keynes propone un ritorno ad unasorta di autonomie separate entro un quadro sociale in cui or-ganismi ed istituzioni tendono a collaborare e socializzare. Que-sto sistema potrebbe però nascondere anche elementi negativi,tuttavia insiti in qualsiasi regime di socialismo di Stato. Eglipone poi l’accento sulla necessità di separare quei servizi tec-nicamente sociali da quelli che sono tecnicamente individuali.L’azione statale dovrebbe cioè riferirsi non a quelle attività chegli individui esplicano già da sé, ma a quelle funzioni che ca-dono al di fuori del loro raggio d’azione, a quelle decisioni cioèche solo lo Stato può essere in grado di prendere.

La cura contro disuguaglianze di ricchezze e contro la disoc-cupazione ricade fuori dall’operato dei singoli individui; anzi,

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potrebbe essere nel loro interesse persino agire in modo da ag-gravare il male. Tale rimedio deve essere cercato nel controllodeliberato della moneta e del credito da parte di un’istituzionecentrale. Lo Stato potrebbe e dovrebbe esercitare una funzio-ne direttiva attraverso alcuni appositi organi d’azione su mol-te delle intime complicazioni delle aziende private, lasciandotuttavia l’iniziativa privata intatta e libera di esprimersi. Altrequestioni che non dovrebbero essere lasciate all’arbitrio del giu-dizio privato sono indicate da Keynes nella misura in cui siadesiderabile che la società nel suo complesso risparmi, nellamisura in cui questi risparmi debbano essere investiti all’esteroe nell’organizzazione e nella distribuzione degli stessi investi-menti e risparmi lungo canali più produttivi dal punto di vistanazionale [24, pag. 27-28].

Keynes specifica che tali misure sono volte al miglioramen-to del disordinato capitalismo moderno, per mezzo dell’azionecollettiva. La sua opinione insomma, è che il capitalismo sag-giamente governato possa trasformarsi nel sistema economicopiù efficiente, in grado, rispetto a tutti gli altri, di garantire peril maggior numero di persone la più ampia espansione del be-nessere materiale tramite la realizzazione di un’organizzazionesociale che sia la più efficiente possibile.

Keynes riteneva che l’uomo fosse padrone del proprio desti-no, mentre Hayek, con una certa riluttanza, credeva che eglifosse destinato a vivere secondo le leggi naturali dell’economiae tutte le altre leggi di natura. Pertanto entrambi erano giuntia rappresentare due opposte idee di governo. Mentre il primoadottava la visione ottimistica secondo cui la vita non sarebbedifficile come invece è se solo chi ottiene il potere prendesse legiuste decisioni, il secondo sottoscriveva l’idea pessimistica se-condo cui c’erano rigidi limiti allo sforzo umano e i tentativi dialterare le leggi di natura erano destinati a portare nel miglio-re dei casi a conseguenze imprevedibili. Keynes rappresentavaun barlume di speranza nel buio trovando le sue idee ben ac-colte. Secondo il suo pensiero, quindi, il sistema necessitava diun tutore che potesse correggerne le storture, presentando unaforma di liberalismo che utilizzasse lo Stato come garante deicittadini.

In conclusione, si ritorna ad un concetto già espresso in pre-cedenza, ma che anche in questo contesto ha rilevanza: Keynesritiene che le economie capitalistiche non sarebbero mai riu-scite a perseguire dei risultati convincenti senza un serio coin-volgimento dello Stato, il cui compito sarebbe stato quello di

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2.4 hayek : ordine spontaneo e autoregolazione del mercato 35

integrare il calo della domanda di investimenti privati. I pri-vati, infatti, non sono reputati in grado di garantire la pienaoccupazione; è lo Stato a doverlo garantire. Una rilettura degliscritti di Hayek circa la natura di un’economia di mercato puòsicuramente fornire un’idea più completa in merito alla svoltaneoliberista di oggi ed alle radici dell’opposizione tradizionaledegli intellettuali del liberismo.

2.4 hayek : ordine spontaneo e autoregolazione del

mercato

Una delle idee-cardine di Hayek è il concetto di ordine spon-taneo o autogenerantesi o, più in particolare, di ordine di mer-cato. Egli sostiene la presenza di due tipi di ordine, uno creatoda forze estranee al sistema (o esogenamente) ed un altro chesi produce spontaneamente all’interno di un sistema (endoge-namente) [25, pag. 6-8]. Il primo dei due ordini, che può esse-re definito anche un’organizzazione, è artificiale, ovvero creatodall’uomo in maniera cosciente e pertanto finalizzato al perse-guimento di uno o più scopi; esso è basato su rapporti concretiche possono esser visti o percepiti ed è relativamente semplicein quanto controllabile per sua stessa natura.

Il secondo tipo di ordine, invece, si potrebbe definire naturalein quanto derivante da una interazione di un gran numero dielementi in maniera spontanea. Esso può non avere alcuno sco-po ed al contempo risultare oltremodo complesso, in quanto lasua complessità non è limitata dalla capacità della mente, marisulta basato su relazioni puramente astratte che non cadonosotto i sensi dell’osservatore. Sulla base di questa distinzione,gran parte della ricerca scientifica di Hayek è dedicata ad ar-gomentare e sviluppare nelle sue implicazioni l’idea che per laprima volta fece capo ad Hume, e che l’economia di mercatoaltro non è che un ordine spontaneo in grado di autoregolarsied autogenerarsi, fornendo l’oggetto di indagine della scienzaeconomica [26, pag. 10-25].

Organizzazione ed ordine spontaneo sono due modi alterna-tivi di coordinare l’attività umana, ma a priori non è possibilescegliere il più valido. Nel caso in cui l’obbiettivo sia di faciledeterminazione, il coordinamento diretto delle attività econo-miche attraverso un’organizzazione è preferibile; quando, in-vece, l’ordine coinvolge un gran numero di persone, ognunadelle quali avente propri scopi da raggiungere e le circostan-ze appaiono meno lineari e decisamente più complesse, l’unico

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coordinamento adottabile è quello indiretto, attuabile tramiteil rispetto di regole astratte di comportamento e meccanismiimpersonali [27, introduzione].

L’economia di mercato, da secoli, coordina l’attività di mi-lioni di individui anche di diverse nazioni non attribuendo anessuno un fine esplicito da conseguire. Essa è retta da unastruttura estremamente complessa ed in continua evoluzione,tanto da richiedere da parte di tutti il rispetto di regole astrattedi comportamento; e di conseguenza, una volta raggiunto undeterminato livello di sviluppo non può che essere un ordinespontaneo. Per Hayek il mercato è soprattutto uno strumentoper il raggiungimento dell’equilibrio economico generale, che èanche un ottimo paretiano, ma in primis un luogo dove racco-gliere informazioni, lo strumento di concorrenza ed il veicoloper la diffusione delle innovazioni. Il disinteresse di Hayek pergli ottimi paretiani, situazioni che si realizzano quando l’allo-cazione delle risorse è tale che non è possibile migliorare lacondizione di un soggetto senza peggiorare la condizione diun altro, lo induce a sostenere che le teorie costruttivistichedell’utilitarismo sono quindi completamente erronee [28, pag.5-35].

Hayek ritiene che, osservando il mercato bisogna attenersisolo al processo tramite cui si ottengono risultati, tale processorisulta giusto se rispettoso delle regole su cui concorderebberoindividui razionali e disinteressati. Pertanto il processo giustifi-ca il risultato, quanto a dire che il mezzo giustifica il fine e nonviceversa. Per altri Hayek è in tutto e per tutto un utilitarista.egli scrive, infatti, che il diritto “si è sviluppato perché aumen-tava la possibilità dei suoi soggetti di raggiungere i loro propriscopi” [28, pag. 45-60].

Nel sistema teorico di Hayek il rispetto delle regole che con-sentono la formazione di un’economia di mercato è dovuto allostesso processo di evoluzione delle regole di cui trattasi. pro-prio per questo motivo, lo studio di un ordine spontaneo ci aiu-ta a capire il motivo per cui abbiamo determinate convinzionimorali e non altre, ma non può certo fornire una giustificazionerazionale di quelle regole [24, pag. 34-36].

Il fatto che la morale e la tradizione non abbiano fondamentorazionale alcuno e, soprattutto, la considerazione che l’ordinedi mercato è un ordine spontaneo, che non viene perseguitocoscientemente, comportano che l’ordine di mercato non è ra-zionale e non ha fondamento razionale. Karl Popper, un autoreche ha dato carattere filosofico alle idee economiche di Hayek,

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2.4 hayek : ordine spontaneo e autoregolazione del mercato 37

ha scritto: “Ogni azione razionale deve avere uno scopo. essaè razionale nella misura in cui persegue il suo scopo coscien-temente e coerentemente e se usa i suoi mezzi secondo questoscopo” [29]. Questa citazione ci porta a confrontare la contrap-posizione di Hayek tra ordine spontaneo ed ordine razionalecon la contrapposizione di Popper tra “l’ingegneria utopistica”e “l’ingegneria graduale”. Per Popper l’ingegneria utopistica èquella tendente a realizzare uno Stato Ideale, tracciando regoledi funzionamento della società nel suo complesso e che richie-de, pertanto, che prima di agire, si individuino gli scopi politiciultimi proprio perché solo quando si ha un modello ben chiarodella società a cui si tende è possibile scegliere razionalmentei mezzi idonei per il perseguimento di quel fine; l’ingegneriagraduale, invece, non esclude che si abbia in mente un pro-getto di società ideale, ma si accontenta di progettare piccolicambiamenti, uno alla volta, senza richiedere che si siano preseprima decisioni sull’organizzazione finale della società nel suocomplesso.

Secondo Popper, è difficile ragionare su una società ideale,perché la società è così complicata che difficilmente una qualun-que decisione politica produce proprio i risultati attesi e ognidisegno su vasta scala non può essere approfonditamente va-lutato da nessuna mente umana. Egli infatti condanna l’inge-gneria utopistica, che rischia di portare alla dittatura, mentregiudica metodologicamente sano l’approccio gradualistico, cheè il solo metodo per migliorare le sorti dell’umanità [23, pag.28].

La contrapposizione di Hayek tra un ordine spontaneo eduno artificiale è, dunque, una contrapposizione tra un ordineche non sorge in base ad un disegno razionale, laddove la con-trapposizione di Popper è quella tra un ordine che viene dise-gnato nelle sue grandi linee in base ad un disegno razionale,laddove la contrapposizione di Popper è quella tra un ordineche viene disegnato nelle sue grandi linee in base ad un disegnorazionale.

Secondo Hayek e Popper, l’economia di mercato è un ordinespontaneo. Ma un ordine spontaneo, sostiene Popper, a diffe-renza di Hayek, può esser modificato a poco a poco in basea disegni razionali che interessino singole parti di esso; e nonsi può non esser d’accordo con Popper, perché Hayek, appun-to, non fornisce argomenti solidi a sostegno della tesi opposta.Hayek definisce gemelli il concetto di ordine spontaneo di un’e-conomia di mercato e quello della sua evoluzione. L’ordine e la

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38 la conoscenza e il mercato

sua evoluzione sono determinati in particolar modo da regoledi condotta che si modificano gradualmente e che si appren-dono tramite insegnamento ed imitazione e si tramandano digenerazione in generazione. Le regole di condotta si contrap-pongono agli istinti dell’uomo formatisi nel corso di milioni dianni. Gli istinti dell’uomo, scrive Hayek, non vennero in essereper il genere di ambiente in cui oggi viviamo. Il concetto di mo-rale, dice Hayek, ha senso solo se lo si intende quale principioopposto a quello di condotta impulsiva ed irriflessiva; la mo-rale tende a proibire i comportamenti istintivi e gli istinti nonpossono avere qualità morale [25, pag. 20-21].

L’ordine spontaneo e l’evoluzione sociale, sono quindi dovu-ti, secondo il pensiero di Hayek, al rispetto di regole di con-dotta che non dipendono né dall’istinto, né dalla ragione. L’or-dine spontaneo e l’evoluzione sociale, malgrado scaturiscanodal rispetto di regole morali, non danno luogo a risultati chepossano ritenersi giusti o moralmente approvabili proprio per-ché se il coordinamento di mercato delle attività individuali èun processo spontaneo, non è possibile pretendere che sia unprocesso giusto. “La natura non può essere né giusta, né ingiu-sta” [28, pag. 90-98]. Tuttavia le regole apprese spontaneamentesono per Hayek giuste perché inducono l’uomo a fare ciò che èappropriato nelle diverse circostanze. Hayek ritiene che il mag-gior nemico dei valori e delle regole di un’economia di mercatosia stato rappresentato dal razionalismo, o meglio da una par-ticolare forma di quest’ultimo che egli chiama “costruttivismo”o “scientismo”. Lo scientismo per Hayek, è l’orientamento dellescienze sociali, che dura da ben oltre un secolo, che tende adimitare le scienze naturali.

Hayek sostiene che il modo migliore per descrivere le diffe-renze sussistenti tra l’approccio delle scienze naturali e quellodelle scienze sociali è di ritenere il primo “oggettivo” ed il se-condo “soggettivo”. L’idea cardine del soggettivismo è che iveri elementi della struttura sociale non sono dati da oggettio cose, e nemmeno dall’insieme di menti individuali, ma dalleconcezioni che gli individui si formano sugli altri e sulle cose.Centrale, inoltre, alle scienze sociali è l’idea molto complessadei fenomeni da indagare, e che fa in modo che lo scienzia-to sociale debba limitarsi ad indagare i principi che governanoil manifestarsi di questi fenomeni, e che egli non possa mai,o quasi, predire con precisione lo sbocco ultimo di ciascunasituazione concreta.

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2.5 hayek tra informazione e conoscenza 39

2.5 hayek tra informazione e conoscenza

La nozione di conoscenza è come abbiamo visto, senza dubbiouno dei problemi che maggiormente ha appassionato negli ul-timi anni gli studiosi di Hayek [30, pag. 440-443]. La tesi di fon-do che si intende sostenere è che in Hayek sembrano convivere,con statuto non sempre ben definito, due nozioni di conoscen-za. La prima è la conoscenza informazionale (o più semplicementeinformazione), consistente in un insieme mutevole di dati. La se-conda è la conoscenza intesa come generale capacità di scoprireopportunità la cui peculiarità consiste nel saper rielaborare idati ed utilizzarli in maniera proficua. La prima è una nozionesostanzialmente computazionale, nonostante sia descrivibile intermini di flusso. Essa è perciò confrontabile, seppur con le do-vute cautele, tanto con l’analogo concetto neoclassico, quantocon le nozioni derivanti dalla letteratura sull’economia dell’in-formazione. La seconda, al contrario, non può essere compre-sa in tali ambiti poiché, dinamicamente, rappresenta un poteredella mente, una capacità astratta, uno strumento operativo im-possibile da calcolare e misurare, proprio perché la sua princi-pale caratteristica consiste tendenzialmente nel trasformare adogni istante del tempo i dati preesistenti.

L’informazione, per quanto frammentata e suscettibile di in-definiti incrementi, si qualifica nell’ordine dei problemi quantitativo-computazionali, mentre la conoscenza (in quanto trasformazio-ne dell’informazione stessa) si pone nell’ordine dei problemiqualitativi, vale a dire del come si realizzano i processi cogniti-vi. Tale visione contrasta con quella che identifica meramente laconoscenza con l’informazione, sebbene non si neghi affatto laloro reciproca complementarità. Entrambe le concezioni coesi-stono nell’opera di Hayek e in molti casi si sovrappongono, co-me se mancasse un elemento teorico capace di conferire loro uncarattere enunciativo maggiormente definitorio. I due aspetti sicompenetrano, come è noto, ma è interessante rilevare comeuna compiuta teoria evoluzionistica del mercato, sia comparsarelativamente tardi in Hayek, se rapportiamo con l’emergeredella sua critica all’informazione neoclassica.

La riformulazione del concetto di informazione, infatti, com-pare almeno nel 1937 e continua nei saggi successivi degli anniQuaranta. Il concetto delle aspettative introdotto nel 1937 inEconomics and Knowledge, è pervenuto, nel corso della riflessio-ne hayekiana, ad una maturazione più convincente. In questosaggio la proposta di Hayek di riformulazione del concetto di

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40 la conoscenza e il mercato

equilibrio, nasce dall’osservazione che occorre che gli agentiformulino le aspettative su “un medesimo insieme di eventiesterni” [31, pag. 7-60].

Le aspettative, come Hayek chiarirà meglio in scritti succes-sivi, sono un fatto soggettivo vincolato alla propria visione delmondo, il quale non può essere rappresentato oggettivamente.Hayek si propone di indagare “attraverso quale processo gli in-dividui acquisiranno la necessaria conoscenza” [31, pag. 10-71].Poiché tutta la conoscenza non può essere assommata in unsolo agente, la “divisione della conoscenza”, nel senso in cuiSmith parla della divisione del lavoro, diviene “il problema ve-ramente centrale dell’economia quale scienza sociale” [30, pag.437-439].

L’attenzione di Hayek si concentrò sull’elemento tempo, ilquale è connesso allo stesso concetto di aspettativa e sulla scar-sa importanza attribuitagli dagli economisti neoclassici. Appa-re necessaria una teoria che spieghi il processo attraverso cuigli agenti acquisiscono la “conoscenza rilevante” per la forma-zione dei loro piani decisionali. La teoria dell’evoluzione dellenorme astratte di condotta spiega il processo di convergenzadelle aspettative.

“Lo scopo delle regole deve essere di facilitare l’accordo ela coincidenza delle aspettative da cui dipende il successo deipiani di azione dei diversi individui” [28, pag. 124]. Le regolee le istituzioni che le incorporano riducono l’incertezza delleaspettative e fanno sì che queste si formino nel modo più cor-retto possibile [28, pag. 135]. Il contrappunto negativo della co-noscenza è rappresentato dalla non-conoscenza. Se da un lato,nelle procedure di mercato gli agenti scoprono di volta in vol-ta ciò che ad essi è utile per i propri piani, dall’altro una quotaconsiderevole di conoscenza rimane esclusa da tali processi. Ciòche non si sa costituisce la parte che determina consistentemen-te il coordinamento del mercato. Quest’ultimo si realizza nonconoscendo né i piani, né i bisogni altrui, né i dati comples-sivi sull’ambiente. Paradossalmente un eccesso di conoscenzapotrebbe inibire le stesse transazioni mercantili.

Hayek, pertanto, spiega che la non-conoscenza è un fattorerilevante nel funzionamento del mercato, dal momento che im-pedisce che il meccanismo delle transazioni si possa incepparea causa della disapprovazione dei fini altrui. Il mercato nonpuò essere pensato semplicemente come il contenitore e dif-fusore di informazioni che gli agenti economici impiegano inmaniera necessariamente limitata, come lo stesso Hayek ha più

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2.6 hayek : il ruolo del mercato nella diffusione della conoscenza 41

volte affermato, ma deve essere rappresentato, per converso, an-che come il luogo nel quale è bene che certa informazione nonvenga diffusa. Questo perché in particolari casi si interferirebbecon i processi autoregolativi del mercato, introducendo fattori,in ultima analisi, dannosi [3, pag. 692-693].

2.6 hayek : il ruolo del mercato nella diffusione

della conoscenza

In particolare, nella concezione hayekiana della teoria dell’equi-librio, era fondamentale il presupposto dell’equilibrio continuoin un’economia non monetaria. Economics and Knowledge fu pub-blicato nel 1937. Il problema teorico al centro di questo saggioè il seguente: perché possano essere assunte come valide, leipotesi che la teoria economica avanza circa la previsione e laconoscenza e dalle quali scaturisce poi una spiegazione causaledella realtà, devono essere supportate da una spiegazione circail modo in cui la conoscenza è acquisita e comunicata. Il pro-blema centrale dell’economia è quello di capire come si attui ilcoordinamento tra piani individuali di una moltitudine di sin-goli: piani fondati sull’informazione individuale e poi interpre-tati in maniera soggettiva al fine di trasformarli in informazionieconomicamente utilizzabili e in aspettative. Si raggiunge equi-librio quando i piani degli individui condividono la stessa per-cezione della realtà oggettiva [31, pag. 80-90]. Ciò che la teoriaeconomica deve farsi carico di spiegare è proprio il meccani-smo empirico di acquisizione e trasmissione della conoscenza.Da qui una critica ai modelli con agente rappresentativo: se cifocalizziamo solo su un agente rappresentativo ed applichiamola pura logica, i problemi di coordinamento saranno soppres-si. Hayek aveva maturato un nuovo concetto, la divisione delsapere che secondo lui era importante quanto il concetto di di-visione del lavoro, lo stadio dello sviluppo industriale in cui,invece di avere tanti individui che creano un prodotto nella suainterezza, i lavoratori si specializzano in mansioni semplici chenell’insieme creano un prodotto intero.

Il problema centrale dell’economia diventa, quindi quello dicapire come sia possibile raggiungere l’equilibrio grazie all’in-terazione spontanea di un elevato numero di persone, ognunadelle quali in possesso solo di frammenti di conoscenza. Unodegli scopi principali dell’economia, per Hayek è proprio quel-lo di spiegare le conseguenze non volontarie di azioni umanevolontarie. Il problema economico non è pertanto quello di al-

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42 la conoscenza e il mercato

locare risorse date, ma di utilizzare al massimo grado possibilela conoscenza che non appartiene a nessuno nella sua totalità.Quella a cui si riferisce Hayek non è rappresentata da un sa-pere scientifico che può essere accentrato, egli si occupa di unaltro tipo della stessa, un tipo di conoscenza che non può esse-re sintetizzata in leggi generali, come invece avviene per la co-noscenza scientifica: la conoscenza delle circostanze particolaridi tempo e luogo. Proprio rispetto a questo tipo di conoscen-za, ogni individuo si trova in vantaggio nei confronti di tuttigli altri, dal momento che egli possiede informazioni uniche ingrado di essere utilizzate con profitto solo se le decisioni chedipendono da esse vengono lasciate a lui: si tratta di conoscen-za delle persone, delle condizioni locali, di capacità specifichedi singole persone. La capacità di un sistema di utilizzare que-sta mole immensa di conoscenza intesa nel senso suddetto, fatutta la differenza tra sistemi che sono in grado di fronteggiareil cambiamento e sistemi che non sono in grado di farlo.

I problemi economici, a parere di Hayek, nascono sempre esolo in conseguenza di cambiamenti. Dal momento che il pro-blema economico della società consiste principalmente nel rapi-do adattamento ai cambiamenti che intervengono nelle partico-lari circostanze di tempo e luogo, le decisioni finali devono es-sere lasciate alle persone che queste circostanze conoscono: checioè hanno conoscenza diretta dei cambiamenti rilevanti e dellerisorse immediatamente disponibili per farvi fronte. Il sistemadei prezzi, per Hayek, rende possibile la più ampia divisionedel lavoro e della conoscenza, consentendone un utilizzo moltoampio.

Secondo la più matura visione di Hayek, il mercato consentedi coordinare le attività indipendenti di individui che intendo-no perseguire attività differenti con conoscenze parziali e locali.Il mercato è un sistema di comunicazione in grado di elaboraree trasmettere quei segnali simbolici che chiamiamo prezzi deibeni. I prezzi per Hayek sono informazioni oggettive e neutra-li di ciò che avviene per quanto riguarda le risorse disponibiliin grado di connettere tra di loro le conoscenze dei singoli in-dividui. Se gli eventi mutano le condizioni di un mercato dallato della domanda o dell’offerta, il mutamento si farà sentirenel segnale di prezzo che gli operatori riceveranno, senza cheessi debbano conoscere in dettaglio la natura e le motivazionidei mutamenti intervenuti. Se il mercato funziona liberamente,il segnale di prezzo trasmetterà con immediatezza ed efficaciail messaggio che qualcosa è mutato e imporrà un adattamento

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2.7 hayek : l’abuso della ragione 43

che tenga conto del mutamento [3, pag. 694-695].L’articolo “The Use Of Knowledge In Society” elabora tale

visione del mercato. La conoscenza è una risorsa scarsa ed ilmercato valorizza le conoscenze specifiche di cui ciascun ope-ratore dispone. La funzione di rapida trasmissione di informa-zioni sulle condizioni di ciascun mercato assolta dal sistema deiprezzi è essenziale perché l’attività economica si svolge in con-dizioni di continuo mutamento. Hayek crede che lo Stato debbainterferire in maniera minima nell’economia. I dati da cui par-te il calcolo matematico non valgono mai per l’intera società,la conoscenza delle circostanze in cui opera il mercato non esi-ste in maniera integrata nella mente del pianificatore ma essaè presente in brandelli ed in maniera limitata nella mente diciascuno. In qualsiasi società la pianificazione dovrebbe esserebasata sulla conoscenza che gli altri trasmettono al pianificatore.Bisognerebbe guardare al sistema dei prezzi come ad una spe-cie di macchina che registra i cambiamenti a cui assistiamo. Ilmercato è in grado di autoregolarsi perché contiene tutte le in-formazioni necessarie. Di sicuro il ragionamento di Hayek puòessere considerato ragionevole sotto diversi aspetti, ma il siste-ma pianificato funzionerebbe alla perfezione se i prezzi fosseroformati in un mercato perfettamente concorrenziale.

2.7 hayek : l’abuso della ragione

La mente umana, benché supportata dall’aiuto dei moderni cal-colatori può conoscere i valori numerici di tutti i dati del si-stema economico, ciò rende impossibile all’economista di poterprevedere con precisione gli effetti di una qualunque variazio-ne in una data situazione. L’oggettivistico approccio scientisticoha, invece, la tendenza a trattare gli oggetti dell’attività umanain funzione dei loro attributi “reali” e a considerare lo studiosocome una super-mente dotata di una capacità di conoscenza im-possibile da raggiungere da qualsiasi mente umana. Ciò che ilcostruttivismo dominante dei nostri giorni si rifiuta di accetta-re, obbietta Hayek, è proprio quel che consentirebbe alla societàdi funzionare e ciò che più serve ad un’economia di mercato èl’insieme delle regole che la tradizione ci trasmette indipenden-temente da ciò che viene riconosciuto razionalmente come utileo istintivamente come giusto. Il costruttivismo rifiuta di ammet-tere, in altre parole, che l’uomo non solo non ha inventato, maneppure comprende appieno, ancora oggi, le sue migliori isti-tuzioni, la lingua, la morale e la legge. Lo scientismo, che fa

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44 la conoscenza e il mercato

tutt’uno col razionalismo costruttivista, porta, per Hayek, al so-cialismo; ma è anche figlio di un utilitarismo male inteso [3,pag. 698-700].

Hayek elaborò un modello del tutto innovativo ed originaledi economia di mercato, sottolineando come i fallimenti dellagestione centralizzata della produzione e della distribuzione,che per Mises erano da addebitare essenzialmente all’impos-sibilità del calcolo economico in assenza di prezzi di mercato,fossero invece da attribuire alle difficoltà a cui qualunque pia-nificatore deve far fronte nel momento in cui fosse chiamatoa gestire quella enorme quantità di informazioni locali,che in-vece un sistema di mercato è solito far gestire ai singoli attori.Tale riflessione risulta accompagnata ad una sfida molto corag-giosa al determinismo economico in quanto tale che pone allabase della vita sociale l’elemento economico, che allora comeoggi occupa una posizione predominante all’interno degli stu-di economici, ed anche una forte critica all’interventismo che,in special modo sulla scorta degli studi di Keynes, stava favo-rendo l’espansione del potere pubblico e giustificando in variomodo la costituzione del Welfare State in tutto l’occidente.

In quel momento, Hayek parve essere in una posizione per-dente, e per un certo periodo fu così. Ma egli, prima a Londra,poi a Chicago ed infine a Friburgo, proseguì la sua ricerca al-largando inoltre il campo d’azione: investigando le radici del-l’ideologia costruttivista e poi proponendo una filosofia politicae del diritto di taglio spiccatamente liberale. Il costruttivismo, inpassato chiamato anche razionalismo, sostiene che le istituzionisiano esiti di piani intenzionali, realizzazioni di progetti elabo-rati da singoli e da gruppi. Una versione del costruttivismo è lopsicologismo: se tutte le istituzioni e tutti gli eventi sono fruttodi piani intenzionali, tutte le scienze sociali dovrebbero ridursia psicologia, cioè allo studio delle intenzioni, dei progetti, deidesideri e delle aspirazioni degli individui. Hayek individuanel razionalismo cartesiano la fonte da cui discendono tutte leforme moderne di costruttivismo.

Uno dei grandi nemici di Hayek fu quindi proprio il costrut-tivismo che egli definì come la pretesa dell’uomo di altera-re le istituzioni a proprio piacimento in modo da soddisfarele proprie aspirazioni. Quest’ultima parte della sua riflessioneculminò nella stesura di un’opera in tre volumi Legge, legisla-zione e libertà, del 1979, in cui accolse alcune tesi dell’italianoBruno Leoni, suggerendo anche un ritorno ad un diritto evo-lutivo sulla scorta dell’antico common law inglese. Bruno Leoni

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2.7 hayek : l’abuso della ragione 45

fu lo studioso che all’interno della filosofia del diritto interpre-tò la tradizione del liberalismo classico con maggiore rigore ecoerenza. 1

Quella di Hayek fu soprattutto una battaglia morale nonchéuna difesa della tradizione civile dell’Occidente contro le ideeche portavano avanti i socialisti di destra e di sinistra che pun-tavano ad una pianificazione attenta del futuro. I socialisti era-no ritenuti da Hayek vittime di un fatal conceit consistente nellapresunzione del sapere: ritenendo di sapere più di quanto fossepossibile conoscere e credendo di poter conseguire fini impossi-bili da raggiungere, non erano in grado di cogliere il valore dellibero mercato [16, pag. 56-89], che appunto non fornisce cono-scenze a priori, ma consente un continuo arricchimento delleinformazioni (in Hayek indubbiamente non distinguibili dalleconoscenze in senso proprio).

Lo scientismo secondo Hayek è quindi frutto del costrutti-vismo o del razionalismo costruttivista che vuole sottoporre acontrollo la vita sociale per realizzare ideali di giustizia. Il razio-nalismo costruttivista è la convinzione che tutta la conoscenzaumana sia controllata in maniera totalmente consapevole dal-la ragione, essendo pienamente espressa in un linguaggio lo-gico coerente e pienamente traducibile in attività di controlloe comando sugli eventi. La critica al razionalismo costruttivistarappresenta una nuova articolazione della polemica con il razio-

1 Nato ad Ancona nel 1913, trascorse la sua vita tra Torino(dove esercitò laprofessione di avvocato), Pavia(nella cui università insegnò dal 1945 finoalla sua scomparsa per morte violenta nel 1967) e la Sardegna(regione acui era legato a livello affettivo). Fondatore della rivista “Il Politico”, Leonisvolse anche un’intensa attività pubblicistica, soprattutto scrivendo corsiviper il quotidiano economico “Il Sole 24 ORE”. Membro della“ Mont PelerinSociety”(di cui fu segretario e successivamente presidente). Studioso polie-drico in quanto giurista e filosofo, ma nel contempo appassionato cultoredella scienza politica e della teoria economica, nel corso degli anni Cinquan-ta e Sessanta, Leoni svolse una fondamentale azione di promozione delleidee liberali all’interno della cultura italiana. Per alcuni decenni dopo la suamorte, Leoni risultò dimenticato o quasi in Italia, pur continuando a vive-re fuori dei nostri confini grazie alle iniziative, ai libri ed agli articoli deisuoi amici americani e, anche all’interesse che i suoi lavori hanno saputosuscitare nelle nuove generazioni di studiosi liberali. A partire dalla metàdegli anni Novanta, però la situazione è cambiata sotto più punti di vista.Il merito è stato soprattutto della pubblicazione in lingua italiana de La li-bertà e la legge; da qui studiosi di vario accertamento sono tornati a rifletteresulle pagine del giurista torinese, dando vita ad una vera e propria “LeoniRenaissance” con la quale si va finalmente riconoscendo a tale pensatore lasua giusta posizione tra i massimi scienziati del Ventesimo secolo. (Istitu-to Bruno Leoni,“L’incredibile storia di Bruno Leoni raccontata da sua figliaDidi”)

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46 la conoscenza e il mercato

nalismo cartesiano e nel discorso di Hayek assume amplissimaportata.

Secondo Hayek, il vizio razionalista ha prodotto un’immagi-ne distorta del procedere della vita in società. La visione inge-gneristica concepisce la società umana come un apparato, unamacchina o una tecnica in grado di essere disegnata secondoi principi della ragione per funzionare in previsione di un fi-ne definito e determinato. La società non ha un fine in quantorappresenta l’incontro di molteplici individui che seguono lapropria coscienza o le proprie ambizioni, la felicità o la dedizio-ne, l’egoismo o l’altruismo, i piccoli obiettivi e le grandi finalitàche ciascuno sceglie a guida della propria vita. La pretesa dellaragione di progettare e ricostruire secondo un disegno ben pre-ciso l’insieme delle relazioni umane è foriera di disastri. Questariflessione portò Hayek a respingere la fascinazione della mec-canica, spesso assunta dagli economisti come modello di teoriascientifica a cui ispirarsi.

I fenomeni biologici e sociali sono talmente complessi per viadella vastissima varietà di elementi presenti in ognuno di essi.Per l’indagine di tali fenomeni Hayek propose di adottare lanozione di ordine complesso. I fenomeni presi in considerazionepresentano appunto relazioni aventi forma di un ordine e checostituiscono la relazione tra gli eventi. L’imperfetta informa-zione, la conoscenza parziale, le aspettative disattese, i cambia-menti imprevisti, divennero componenti vitali della sua nuovavisione del mercato.

Nelle opere di Hayek è possibile trovare numerosi argomentia sostegno della tesi che la distribuzione del reddito in un’eco-nomia di mercato non possa essere modificata dall’interventocosciente dell’uomo. Procedendo per assurdo, secondo Hayek,se una forza magica si impossessasse dell’economia di mercatoed imponesse con successo una regola egualitaria o meritocrati-ca, non solo cesserebbe ogni ulteriore progresso, ma si avrebbeun ritorno verso lo stadio più primitivo dell’evoluzione cultura-le. La cosiddetta giustizia retributiva, per Hayek è incompatibi-le con l’ordine di un’economia competitiva, tanto che i criteri digiustizia battezzati come “sociali” andrebbero meglio chiamati“anti-sociali”. Il merito, egli dice, è determinato dai risultati,non dalle motivazioni.

L’egualitarismo è distruttivo poiché priva gli individui deisegnali circa la direzione in cui occorre rivolgere i propri sfor-zi affinché si favorisca il progresso, ed anche perché elimina laspinta che induce l’uomo al rispetto delle regole morali ed al-

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2.8 hayek e keynes : il ruolo delle decisioni individuali 47

l’accettazione del fatto che il maggiore o minore apprezzamen-to degli altri è dovuto alla misura in cui si rispetta la moralecorrente. Una diversa critica di Hayek all’egualitarismo nascedalla sua convinzione che l’egualitarismo, attenuando la spintaal darsi da fare per eccellere, frenerebbe il processo evolutivo.Ogni società, per Hayek è basata su dati valori, ed è suo do-vere difenderli. L’egualitarismo frena il processo evolutivo an-che perché riduce le diversità di situazioni degli individui cheinducono a diversità di comportamenti.

L’uomo deve il suo progresso proprio agli svariati comporta-menti umani, e sarebbe un dramma se l’egualitarismo impones-se a tutti schemi di comportamenti simili. In queste argomenta-zioni di Hayek, è dunque presente l’idea che una distribuzionedel reddito più egualitaria impoverirebbe la collettività. Anchein tema di distribuzione, Hayek suggerisce che lo Stato nondebba far nulla per modificare il corso spontaneo delle cose.

2.8 hayek e keynes : il ruolo delle decisioni indivi-duali

La preoccupazione principale di Hayek alla fine della guerraera volta agli effetti distruttivi di quello da lui definito abusodella ragione. Il saggio Individualism: True and False raccoglie iltesto di una conferenza che Hayek tenne a Dublino nel 1945.Questo discorso si mostra autentico agli occhi del lettore inquanto scevro da pregiudizi ideologici propri dell’individua-lismo. Il falso individualismo è rappresentato da quello dei luo-ghi comuni troppo facili, quello che identifica l’individualismocon la predicazione di una società di individui egoisti e razio-nali. Il vero individualismo riconosce il limite della conoscenzaumana ritenendo che l’essere umano più altruista non avrebbe imezzi per potersi prendere cura in maniera consapevole di tuttii suoi simili in quanto non potrebbe riconoscerne tutte le esigen-ze, pur volendo. Il vero individualismo riconosce questi limitie proprio dall’accettazione di questi ultimi nasce il rispetto perla varietà delle esperienze altrui, perché ciascuno racchiude insé potenzialità di conoscenza e realizzazione che nessun altropuò permettersi di conoscere ed esaurire in sua vece [32, pag.2-5].

Nel volume The Constitution of Liberty del 1960 Hayek prose-guì la sua riflessione sulla libertà e la polemica con quello chechiamò il dispotismo amministrativo ovvero il potere di vincolarein maniera arbitraria ed autoritaria le azioni dei singoli da parte

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dei governi anche formalmente democratici. Hayek non pretesedi dare una definizione di libertà, ma assunse che quest’ultimapotesse essere tutelata limitando la coercizione della volontà edelle scelte. Nella vita collettiva, la libertà è quella condizionedella società in cui il potere di alcuni di esercitare coercizio-ne su altri sia ridotto al minimo compatibile con le condizionidi vita associata. Hayek non ritiene, quindi, possibile eliminaredel tutto dalla vita in società il potere e l’effettiva coercizioneche taluni individui esercitano su altri, perché la vita associa-ta può imporre alcune forme di coercizione per l’esistenza e latutela della comunità. La coercizione sarà quindi utilizzata perprevenire altre forme di coercizione e quando ciò sia richiestoda regole astratte e generali. L’insistenza sulla generalità del-le regole è uno dei temi portanti del liberalismo di Hayek. Lalibertà è tutelata dalla legge ed esiste perchè i confini posti pro-prio dalla legge proteggono la sfera inviolabile dell’iniziativadi ciascuno. La legge non è comando e non va confusa con ilpotere di dettare il contenuto preciso del comportamento che ilsingolo cittadino deve seguire.

Il contrasto tra individualismo e collettivismo è il grande con-trasto delle scienze sociali. All’interno di quest’ambito, tale con-trapposizione assume la massima importanza. Dare sostanza aiconcetti collettivi come ad esempio la nozione stessa di societàche per Hayek “non esiste”, reificarli, è un grave errore poichéesistono solo individui: sono questi ultimi a ragionare e ad agi-re. Questo è il fondamento dell’individualismo metodologico,che mette in contatto gli studi sociali con la realtà concreta: congli individui o, meglio, con le loro idee e le loro azioni. Hayekprecisa che mentre nelle scienze naturali si hanno teorie su fat-

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2.8 hayek e keynes : il ruolo delle decisioni individuali 49

ti, nelle scienze sociali si hanno idee. A proposito di questopunto Hayek vede necessaria una distinzione tra due distinteclassi di idee: i mutamenti di opinione circa una determinatamerce, nei quali è riconoscibile la causa del mutamento dei re-lativi prezzi, costituiscono senza dubbio una categoria diversada quella delle idee che le stesse persone professano sulle causedel mutamento di quei prezzi o sulla natura del volere in gene-re. Parimenti, le credenze o opinioni che inducono gli esseriumani a ripetere con regolarità certi atti, come ad esempio pro-durre, vendere, o comprare determinate qualità di merci, sonoassolutamente diverse dalle idee che quegli esseri professanosulla “società” nel suo complesso, o sul “sistema economico”cui appartengono e a cui l’insieme delle loro azioni conferiscel’esistenza. Hayek ritiene fondamentale distinguere nettamentele opinioni motivanti o costitutive da una parte e le concezionispeculative o esplicative dall’altra. Il rischio di confonderle èinfatti grave e sempre in agguato. Sono le credenze e gli atteg-giamenti individuali a costituire i dati delle scienze sociali, percui il compito di queste ultime non consiste nella spiegazionedell’azione cosciente [32, pag. 20-22].

Il collettivismo metodologico è un errore. Le scienze socialitrovano il loro fondamento nell’individualismo metodologico.Il compito delle scienze sociali è quello di spiegare gli effettiinintenzionali delle azioni umane intenzionali. L’esistenza del-le conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali èuna consapevolezza che attraversa il senso comune, il pensierodi teologi, filosofi, economisti e storici. Per Hayek l’analisi delleconseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali co-stituisce lo specifico, unico ed esclusivo compito delle scienzesociali. Egli scrive appunto che negare l’esistenza e lo studiodell’emergere dell’ordine spontaneo, significa, negare l’esisten-za di un oggetto proprio delle scienze teoriche della società.Ed è sempre la consapevolezza della inevitabile esistenza del-le conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionalia rendere possibile la più micidiale critica nei confronti del co-struttivismo. Il costruttivismo, in passato anche chiamato razio-nalismo, ha spesso infettato e continua ad infettare sociologi,economisti, giuristi e politici. Hayek crede che la teoria costrut-tivista ritenga tutte le istituzioni frutto di piani intenzionali,realizzazioni di progetti elaborati da singoli o da gruppi.

Hayek individua nel razionalismo cartesiano la fonte da cuidiscendono tutte le forme moderne di costruttivismo. Cartesia-ni, illuministi, positivisti, sono per Hayek tutti costruttivisti e

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come tali non utilizzano la ragione, bensì ne abusano. Conside-rato quanto detto, il costruttivismo va in frantumi. Il costruttivi-sta non è un uomo razionale, ma ignaro dei presupposti e ciecodinanzi alle conseguenze dell’azione umana, è un distruttoredella ragione. Le considerazioni fino a qui svolte costituisconoun adeguato orizzonte per la comprensione dei nuclei teoricifondamentali dello scritto che Hayek ha dedicato alla distinzio-ne tra vero individualismo e falso individualismo. “L’individuali-smo vero-scrive Hayek-che cercherò di difendere, trova gli inizidel suo sviluppo moderno in John Locke ed in modo particola-re in Bernard Mandeville e David Hume... Nel diciannovesimosecolo l’individualismo vero è rappresentato nella maniera piùesemplare nell’opera dei due più grando storici e filosofi dellapolitica vissuti in quell’epoca: Alexis de Tocqueville e Lord Ac-ton”. Ad avviso di Hayek costoro portarono a maturazione quelche vi era di meglio nel pensiero dei filosofi scozzesi. L’indivi-dualismo che Hayek definisce falso, è quello rappresentato dapensatori francesi ed europei, dominati dal razionalismo car-tesiano. Siffatto individualismo razionalistico si configura, adavviso di Hayek, quale autentico pericolo in quanto tende atrasformarsi continuamente nel socialismo o collettivismo.

Il vero individualismo è una teoria della società, un tentativodi capire le forze che determinano la vita sociale dell’uomo, eche solo in seconda istanza si configura come una serie di mas-sime politiche derivate da questa concezione della società. I veriindividualisti sanno che l’uomo è giunto dove si trova a dispet-to del fatto che egli solo in parte è guidato dalla ragione, cheil ruolo giocato da quest’ultima nelle faccende umane è piut-tosto ridotto; che la ragione umana è limitata ed imperfetta. Ilfalso individualista, il razionalista cartesiano, pensa invece chetutto ciò che l’uomo ha conseguito è il risultato della ragioneindividuale.

Per Keynes, viceversa, gli individui seguono una sorta di ra-zionalità procedurale nelle proprie scelte perseguendo obiettivisoddisfacenti e non ottimi. Ciò discende dalla constatazione cheuna molteplicità di fattori soggettivi ed ambientali rendono in-solubile il problema di massimizzazione. Gli individui non so-no dotati di una libertà naturale nelle loro attività economiche.Non vi è alcun patto in grado di conferire diritti perpetui a co-loro che posseggono o a coloro che acquistano. Il mondo nonè governato dall’alto in modo che gli interessi privati e socia-li coincidano sempre. Non è vero che l’interesse egoistico siageneralmente illuminato; spesso individui che agiscono separa-

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tamente per promuovere i propri fini sono troppo ignoranti otroppo deboli persino per raggiungere questi. L’esperienza nonmostra che gli individui qualora costituiscano un’unità sociale,siano soggetti a più sviste rispetto a quando agiscono separata-mente. Nelle condizioni di incertezza e di conoscenza limitata,tipiche dei fenomeni economici, è possibile secondo il pensieropiù maturo di Keynes, orientare la propria condotta individualeverso regole e norme di condotta generali. Tale tipo di compor-tamento si dimostra razionale anche se si tratta di una raziona-lità diversa da quella concepita ed attribuita al comportamentoumano dalla maggior parte della teoria moderna economica econtemporanea, una razionalità meno solida ma sicuramentepiù adeguata alla volatilità e volubilità degli interessi e dellepassioni dell’individuo moderno.

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3L A S P I E G A Z I O N E D E L L A G R A N D E C R I S I

Soffermandoci sull’analisi dei motivi scatenanti la crisi econo-mica del 1929-1933, ci si accorge che per diverso tempo l’inter-pretazione liberista della stessa fu dominata dalla concezioneaustriaca che ravvisava negli errori di politica monetaria com-messi durante gli anni Venti la principale causa di squilibrioprodotto nell’economia reale, di cui il crollo dei mercati nel1929 non sarebbe stato che un sintomo, prima del necessarioepilogo della Grande Depressione. Sebbene non fossero in lineacol pensiero keynesiano, gli Austriaci non esitarono ad indivi-duare avvicinandosi ad esso, la causa della crisi negli squilibriprodotti dall’economia reale. Il problema della politica moneta-ria adottata negli anni Venti fu infatti quello di aver ostacolato illibero funzionamento dei mercati, producendo uno scollamen-to tra lo sviluppo della struttura produttiva e la dinamica delladomanda espressa dai consumatori.

La scuola monetarista attribuì gravi colpe alla Federal Reservenon tanto per ciò che riguarda la politica monetaria, quantoper la gestione della crisi una volta manifestatasi. Il problemaper la teoria monetarista non era da individuarsi nella sferareale, come sostenevano Keynes ed Hayek sebbene con oppostemotivazioni, bensì in quella finanziaria.

Prima degli anni Trenta la visione economica dominante eraquella classica. Essa era imperniata su punti salienti come ilmercato lasciato a se stesso in grado di raggiungere da solol’equilibrio grazie all’operare delle forze economiche della do-manda e dell’ offerta, ed è quest’equilibrio a coincidere semprecon la situazione di pieno impiego. Si parlava addirittura di unamano invisibile, come sosteneva Adam Smith, in grado di indi-rizzare il mercato verso la piena occupazione. Le forze di mer-cato, libere di agire senza ostacoli, realizzano sempre l’efficien-te allocazione delle risorse. Lo Stato non deve mai intervenirenel sistema con manovre di politica economica, perché questecostituiscono un ostacolo alla libera azione delle forze di mer-cato e, quindi, non permettono il raggiungimento della pienaoccupazione e dell’efficienza produttiva. Questa visione dell’e-conomia fu messa fortemente in discussione proprio in seguitoalla grave crisi del 1929. In quegli anni gli economisti si resero

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conto dell’impossibilità da parte del mercato di raggiungere dasolo la piena occupazione. Infatti la profonda crisi nei consumi,che caratterizzò quel periodo, portò alla fame gran parte dellapopolazione e questo avveniva perché la produzione era benlontana dal pieno impiego.

Proprio in questa situazione economica nasce, nel 1936, lateoria macroeconomica di Keynes, destinata a durare fino aglianni Settanta. Egli trovava inconcepibile e riteneva fosse un fal-limento per l’intera società il fatto che la popolazione fosse ob-bligata a chiedere il sussidio allo Stato, il quale non riusciva adimpiegare al meglio la forza-lavoro.

I punti nevralgici delle osservazioni keynesiane vertevano sulfatto che la crisi economica del 1929 fosse dovuta ad un’insuf-ficienza di domanda da parte dei consumatori per i beni diconsumo e da parte delle imprese per i beni di investimento.Secondo Keynes era il basso livello della spesa per consumi edinvestimenti ad aver causato la crisi e l’allontanamento del siste-ma dalla piena occupazione. L’intervento statale si dimostravadi sicuro utile in maniera evidente per poter uscire dalla crisi eper evitarla in futuro: era necessaria una manovra pubblica dipolitica economica che rialimentasse la domanda di consumo,sia quella dei consumatori, che quella delle imprese per i benidi investimento. Questa politica economica poteva realizzarsisia nei termini di politica monetaria, che in termini di politicafiscale.

L’economia di mercato si configura come un sistema tenden-zialmente instabile e poco equo poiché esposto a fluttuazioni,quindi agli Animal Spirits degli imprenditori per i quali la sod-disfazione dei bisogni è secondaria rispetto allo scopo del pro-fitto. Risulta pertanto più probabile che il sistema imprendito-riale persegua la logica delle bolle speculative che non quelladei rendimenti decrescenti. Lo Stato, dal canto suo, può limi-tare l’intrinseca tendenza al disequilibrio del capitalismo siaattraverso politiche anticicliche, sia attraverso l’utilizzo sapien-te del debito pubblico. Secondo Keynes questa situazione nonera da accettare in modo passivo, non bisognava sostenere chenel lungo periodo tutto sarebbe tornato alla normalità. Il com-pito degli economisti era appunto quello di trovare un rimedioconcreto.

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3.1 keynes : l’intervento statale contro la crisi 55

3.1 keynes : l’intervento statale contro la crisi

Il capitalismo agli occhi di Keynes appariva come un cavallo im-bizzarrito da domare, il fatto stesso di optare per un accumulodi denaro in sé e non di propendere all’acquisto di beni e serviziutili, comportava il suo essere lontano dai bisogni reali espressidalla società. “Il capitalismo non è intelligente, non è bello, nonè giusto, non è virtuoso, non produce i beni necessari” (J. M.Keynes Collected Writings vol.11, 1933).

I punti nevralgici delle osservazioni keynesiane vertevano sulfatto che la crisi economica del 1929 fosse dovuta ad un’insuf-ficienza di domanda da parte dei consumatori per i beni diconsumo e da parte delle imprese per i beni di investimento.Secondo Keynes era il basso livello della spesa per consumied investimenti ad aver causato la crisi e l’allontanamento delsistema dalla piena occupazione.

Per Keynes la manovra migliore era rappresentata da quelladella politica fiscale e in particolare la sua attenzione si con-centrava sulla politica della spesa pubblica, ovvero l’aumentodelle spese dello Stato nel sistema economico, per la costruzio-ne di opere pubbliche, per offrire ai cittadini maggiori servizi.L’aumento della spesa pubblica in economia rappresentava perKeynes la manovra di politica economica più efficiente, ai finidel ritorno alla piena occupazione, perché la spesa pubblica co-stituisce essa stessa una domanda di consumo e una domandadi beni di investimento per la realizzazione di opere pubbliche.Attraverso il meccanismo del moltiplicatore durante i momentibassi del ciclo economico, lo Stato può aumentare la domandaaggregata di beni e la conseguente ripresa di consumi porta ilsistema verso il pieno impiego e lontano dalla crisi da insuf-ficienza di domanda. La domanda o spesa aggregata di Key-nes è la spesa totale effettuata in un sistema economico. Taledomanda aggregata determina la produzione o reddito di unpaese.

Per uscire da una crisi, sarà dunque necessario che qualcunospenda di più in modo da assorbire la produzione in eccesso edeventualmente indurre le imprese ad incrementare la loro pro-duzione. Sembra scontato l’intervento del governo, ma non lo èaffatto, in quanto determinate iniziative possono rivelarsi con-troproducenti facendo precipitare l’economia in uno stato didepressione prolungata. Keynes suggerì quindi che fosse pro-prio lo Stato ad attivarsi facendo ciò che l’economia privata, dasola, non era in grado di fare. In particolare egli propose i lavori

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pubblici come antidoto alla crisi: strade, ferrovie, case... Keynesproponeva che lo Stato si occupasse di ciò che il privato nonaveva interesse a produrre e che monitorasse costantemente lasituazione economica, avendo pronto un piano di investimentipubblici al fine di riequilibrare il sistema economico tramite l’i-niezione di domanda aggiuntiva. Keynes era conscio dei limitidel capitalismo nell’indirizzare correttamente gli investimenti:“Lo scopo sociale dell’investimento consapevole dovrebbe esse-re di sconfiggere le forze oscure del tempo e dell’ignoranza cheavviluppano il nostro futuro...” [8, pag. 314].

In questo caso si tratterebbe di svolgere la funzione di inter-mediario finanziario offrendo, alle famiglie risparmiatrici, for-me di investimento prive di eccessivi rischi in modo da sottrar-le alla vorace e cinica speculazione del sistema della finanzaprivata. Keynes si mostra intento ad analizzare il rapporto tradenaro e prezzi, ritenendo che nel lungo termine, sia possibileun rapporto costante tra la quantità di moneta presente nel si-stema ed i prezzi stabili. Questo lungo termine è però fuorviantenei confronti degli affari correnti, in quanto ciò che cambia iprezzi in relazione alla quantità di moneta nel tempo è la velo-cità a cui viene speso il denaro, la quale è in grado di alterarei prezzi in maniera sproporzionata alla quantità di moneta. An-che se l’equilibrio dipende dal lungo termine, Keynes concludecon quella che sarebbe diventata una delle sue più famose frasi“Nel lungo termine siamo tutti morti”. Egli scoprì che il lun-go periodo era una scala temporale sfuggente collocata semprein un futuro indeterminato. Sempre più motivato dagli eventivissuti sulla propria pelle, Keynes voleva dimostrare che il libe-rismo era falso, illogico e superato, pur essendo in prima per-sona iscritto da anni al Partito liberale, che stava combattendouna battaglia per la sopravvivenza contro i socialdemocraticilaburisti. Egli credeva nella via di mezzo tra capitalismo e socia-lismo, tra conservatorismo e socialdemocrazia, e tra quelli chegiudicava i dogmatismi primitivi da ambedue le parti. Apparequasi inevitabile che sia stato criticato in quanto apologeta delcapitalismo.

Come programma di politica economica, soltanto una politi-ca fiscale di intervento è in grado di liberare una capacità pro-duttiva avente la facoltà di produrre beni di consumo. Questonon appare sufficiente in quanto proprio al posto di beni diconsumo, bisognerebbe produrre più beni di investimento, al-trimenti la capacità produttiva corre il rischio di non rinnovar-si. Gli investimenti, come è ben noto, dipendono dagli umori

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3.2 keynes : l’inizio della sua rivoluzione 57

degli imprenditori, dal loro ottimismo o pessimismo: la cadu-ta della domanda di beni di consumo può spingere la psicolo-gia imprenditoriale verso il pessimismo ed indurre ad investiredi meno, non di più. Il pessimismo può addirittura tramutarsiin panico, quando la capacità produttiva inutilizzata significhilavoratori disoccupati e privi di reddito, ulteriori contrazionidei consumi, maggiore allarme generale per le prospettive diguadagno futuro.

Il ragionamento di Keynes, molto critico verso il mercato, ri-marcava il pericolo che le variazioni del tasso di interesse edegli altri prezzi, cui spetterebbe di riportare in equilibrio ledomande e le offerte, non fossero efficaci, o peggio assicuras-sero l’equilibrio solo dopo una vasta caduta di tutti i redditi.Ecco, nelle parole di Keynes, che cosa accade quando difetta ladomanda effettiva e il mercato non provvede: “Quanto più ric-ca è la collettività, tanto maggiore tenderà ad essere il divariotra la sua produzione effettiva e quella potenziale... Se in unacollettività potenzialmente ricca l’incentivo ad investire è debo-le, essa sarà costretta, per effetto del principio della domandaeffettiva, e nonostante la sua ricchezza potenziale, a ridurre laproduzione effettiva, fino a quando essa sarà diventata tantopovera che l’eccedenza della produzione sul consumo sia disce-sa abbastanza per corrispondere alla debolezza dell’incentivoad investire...” [8, libro 1 cap.3] Soffermandoci sull’analisi dellecause della crisi economica, il dibattito accademico si concentrasul ruolo dei governi, delle autorità monetarie e soprattutto suiloro eventuali errori.

3.2 keynes : l’inizio della sua rivoluzione

Con la General Theory, Keynes espone per la prima volta unacompiuta teoria della domanda e dell’offerta per la produzio-ne nel suo complesso, con particolare attenzione al principiodella domanda effettiva, definita dallo stesso Keynes come il“reddito o ricavo complessivo che gli imprenditori si aspetta-no di conseguire dal volume di occupazione corrente che es-si decidono di offrire, compresi i redditi che essi erogherannoagli altri fattori di produzione” [8, pag. 208]. La sua teoria per-mette, in sostanza, di spiegare le fasi di depressione indicandocome organizzare consapevolmente una via d’uscita. L’intentodichiarato da Keynes nella sua opera è quello di dimostrare lapossibilità di un equilibrio di sottoccupazione, in cui il livellodel reddito è inferiore al reddito potenziale ottenibile con la

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tecnologia, lo stock di capitale e le forze di lavoro disponibili.La tesi fondamentale della General Theory è che, in un sistemaeconomico lasciato all’operare delle libere forze di mercato, il li-vello di attività possa oscillare per prolungati periodi di tempoattorno ad un equilibrio del reddito, che è inferiore alla pienaoccupazione. Il fenomeno sul quale Keynes voleva far luce conl’apparato teorico dell’offerta e della domanda aggregata è unostato cronico di attività inferiore al normale, che può durareper un considerevole periodo di tempo senza che si manifesti-no marcate tendenze o alla ripresa o al collasso completo [8,pag. 436].

In breve tempo, la General Theory sarebbe divenuta la Bibbiadegli economisti e dei politici che ne sarebbero stati guidati.Egli espone nuovi ed importanti concetti, termini e strumentisignificativamente utili per gli organismi di politica economica.Il pensiero di Keynes è influenzato dalla Depressione mondialein due modi ed in maniera diretta. In primo luogo essa minòla sua fiducia nella politica monetaria, concludendo che l’inter-vento diretto dello Stato atto a promuovere e finanziare nuoviinvestimenti avrebbe potuto costituire l’unica vera e solida viad’uscita da una Depressione prolungata e potenzialmente ir-reversibile; in secondo luogo, la Depressione fece spostare lasua attenzione dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti. I proble-mi statunitensi portarono Keynes a riflettere in maniera parti-colarmente attenta sulle problematiche delle economie ricche.Inoltre data la portata mondiale della crisi, egli fu subito in-dotto a scartare la ricetta di rimedi quali la svalutazione ed ilprotezionismo.

La General Theory avrebbe tentato di spiegare come la chiusu-ra della frontiera degli investimenti, unita ad una elevata pro-pensione al risparmio, potesse rendere endemica, nelle societàoccidentali in generale, la disoccupazione “involontaria” ossiaquella disoccupazione derivante dalla parte malsana del siste-ma capitalistico basato sulla dottrina privatistica del laissez-faire.La sua analisi unisce una visione del comportamento dei siste-mi economici con una dimostrazione rigorosa delle possibilitàdi un equilibrio di sottoccupazione. La teoria classica del va-lore e della produzione, secondo Keynes, si è interessata delproblema della determinazione dei rapporti di scambio tra be-ni prodotti e dalla ripartizione fra i fattori produttivi di un datovolume di risorse impiegate. Non ha mai affrontato, invece, inmodo approfondito e rigoroso il problema della determinazio-ne delle forze da cui dipende il livello effettivo di occupazione.

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3.2 keynes : l’inizio della sua rivoluzione 59

Appare chiarissimo l’intento di Keynes di presentare immedia-tamente al lettore il motivo di fondo del suo rifiuto della teoriatradizionale [24, pag. 40].

In particolare, dal primo postulato, basato sull’ipotesi di uncomportamento imprenditoriale tendente alla massimizzazionedel profitto, la teoria classica desume una funzione di doman-da di lavoro, che si identifica con la relativa curva del prodot-to marginale, decrescente al decrescere dell’occupazione per lalegge dei rendimenti decrescenti in presenza di quantità costan-ti degli altri fattori. Tale postulato afferma che il salario reale èuguale alla produttività marginale del lavoro.

Figura 6: Rappresentazione del prodotto marginale.

Il prodotto marginale assume sempre valori positivi. Si annul-la soltanto nel tratto finale (tratto orizzontale) della funzione diproduzione, quando l’impiego di una qualsiasi unità aggiunti-va del fattore produttivo (∆X1) non genera alcun incrementonella produzione (∆Y = 0) per effetto della legge sui rendimen-ti decrescenti. Nel punto B del grafico il prodotto marginaleraggiunge il suo valore massimo. La produttività marginale neipunti della funzione di produzione prima di B sono associati auna produttività marginale positiva e crescente. Oltre il puntoB, invece, la produttività marginale è positiva ma decrescente.

Il secondo postulato individua una funzione di offerta dilavoro crescente al crescere del salario reale, la cui utilità de-ve controbilanciare, per ogni successivo livello di occupazione,una crescente disutilità legata alla penosità del lavoro. I lavo-ratori si trovano sempre sulla loro curva di offerta del lavoro,il che, vale a dire che, al livello di occupazione prevalente sulmercato, la disutilità marginale del lavoro è esattamente com-pensata dall’utilità marginale della retribuzione reale percepita.Appare chiaro che secondo questa tesi, i lavoratori sono porta-

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ti a scegliere la combinazione di lavoro, reddito reale e tempolibero, che massimizza le loro utilità.

Se vale il secondo postulato della teoria classica, non è pos-sibile il verificarsi di disoccupazione involontaria. I lavoratoripossono scegliere di offrire meno lavoro in corrispondenza disalari reali più bassi; ma in questo caso la disoccupazione nonsarebbe più da considerarsi involontaria. Queste due funzio-ni sono in grado di determinare un salario reale di equilibrio,al quale domanda ed offerta di lavoro coincidono. Il livello dioccupazione corrispondente è considerato come un livello dipiena occupazione, che la teoria classica ritiene perfettamentecompatibile sia con la disoccupazione frizionale, dovuta a ritar-di nel processo di aggiustamento ed a imperfezioni varie delmercato del lavoro, sia con la disoccupazione “volontaria”, cau-sata dalla pretesa di un salario reale superiore alla produttività.Se questa è l’impostazione analitica, allora, aumenti di occupa-zione possono aversi solo se si verificano eventi capaci di spo-stare in modo adeguato la funzione di domanda di lavoro, o lafunzione di offerta, o entrambe.

La critica di Keynes al processo di aggiustamento verso il pie-no impiego si basa su due argomentazioni. Una è attinente al-l’effettivo comportamento dei lavoratori nella contrattazione sa-lariale e l’altra alla questione teoricamente fondamentale delleforze da cui dipende, nel funzionamento dell’intero sistema, ladeterminazione del salario reale. Keynes definisce la domandaaggregata come l’aspettativa che gli imprenditori si attendonoda un certo livello di occupazione. In altri termini, la decisionedi occupare un certo numero di lavoratori genera un redditodalla cui spesa scaturirà una domanda di beni, che risulteràdalla scelta di consumo delle famiglie e dalle scelte di investi-mento delle imprese. Non esiste nulla che assicuri che suddettescelte siano tali da generare una domanda pari al reddito, equindi al valore della produzione corrispondente ad un certolivello di occupazione. C’è anzi una tendenza del consumo acrescere proporzionalmente meno del reddito, per cui, mano amano che aumenta il livello di occupazione, la domanda puòmuoversi in sintonia con il reddito solo a condizione che gliinvestimenti colmino il crescente divario.

Gli economisti ortodossi sostenevano che la frugalità e la par-simonia incrementavano l’offerta di capitale. Un aumento dellapropensione al risparmio sarebbe però stata, osserva Keynes,passibile di effetti negativi sugli investimenti, riducendo le pre-visioni di consumo futuro fatte dagli imprenditori. Per man-

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tenere la piena occupazione, quindi, una società ricca avrebbedovuto investire, in realtà, una porzione sempre maggiore delsuo reddito; alla luce di ciò, l’ammontare di occupazione di-pende dal tasso di investimento o dall’aumento dello stock delcapitale. La discussione porta in modo naturale alla conclusio-ne per cui lo Stato dovrebbe assumere una sempre maggioreresponsabilità nell’organizzare direttamente l’investimento.

Grande attenzione è dedicata anche alla moneta, considera-ta non solo come un mezzo di scambio, ma come riserva divalore. La condizione necessaria per questa funzione della mo-neta è l’incertezza: conservare il denaro riduce l’esposizione apossibili rischi futuri e dunque allevia la negatività. La libertàdelle persone di non spendere in un sistema economico mone-tario è quindi il nesso cruciale per la negazione, ancora unavolta, del fatto che l’offerta crei la propria domanda, come so-steneva la legge di Say. La parte centrale e più complessa dellaGeneral Theory riguarda la propensione al consumo, l’incentivoad investire ed il saggio di interesse. Sono queste le variabi-li che determinano il volume della produzione ed il livello dioccupazione.

Keynes, infine, difende la teoria dell’intervento pubblico dal-l’accusa di inflazionismo, dicendo chiaramente che mentre unadeflazione della domanda effettiva al di sotto del livello richie-sto per la piena occupazione avrebbe diminuito l’occupazioneal pari dei prezzi, un’inflazione della domanda al di sopra diquesto livello avrebbe influito solo sui prezzi e non sull’occu-pazione. Keynes non è solo l’economista che ha introdotto ladomanda effettiva o la preferenza per la liquidità nel quadrodella teoria economica preesistente. Probabilmente il filone dipensiero che ha cercato di ricondurre l’ortodossia keynesiana al-l’interno dell’ortodossia tradizionale, non ha reso a Keynes ungiusto riconoscimento. Interessanti sono le osservazioni conte-nute nell’ultimo capitolo, incentrato sulla filosofia sociale a cuila sua teoria avrebbe potuto condurre. Keynes si rende contoperfettamente di come i difetti più evidenti e marcati della so-cietà del suo tempo fossero l’incapacità di provvedere ad unaoccupazione piena e la distribuzione arbitraria e poco equa del-le ricchezze e dei redditi. Egli ritiene giustificabili per ragionisociali e psicologiche le disuguaglianze dei redditi e delle ric-chezze, ma non nei termini così grandi nei quali allora si pre-sentavano. Riguardo alla piena occupazione, l’unico mezzo dalui ravvisato per potersi avvicinare ad essa è la socializzazio-ne dell’investimento [8, pag. 549-554]. Non va dimenticato, poi,

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che Keynes assistette al pieno dispiegarsi del movimento sin-dacale nel suo paese osservando come il livello dei salari mo-netari, derivante dalla contrattazione tra capitalisti e lavoratori,tendesse ad essere troppo alto in rapporto ai prezzi perché iprofitti potessero mantenersi in prossimità del livello di pienaoccupazione. Secondo Keynes, invece dello sfruttamento dei la-voratori da parte dei capitalisti, si era giunti ad una situazionein cui entrambi erano vittima di una società opulenta. Bisognatener presente che Keynes rimane pur sempre un fervente so-stenitore dell’iniziativa privata e della libera impresa perchéritenuta la miglior salvaguardia non solo dell’efficienza produt-tiva, ma anche della libertà di scelta e della varietà che da essaderiva. Keynes rientra così, saldamente nella tradizione liberalebritannica.

La crisi arriva sempre dopo un periodo di boom, ovvero dicrescita enorme dei redditi, che aumenta la quota di risparmiosu di essi invece che gli investimenti. Visto che per Keynes lecrisi capitalistiche sono da ritenersi sempre e solo crisi di spro-porzione, ci si chiede quale fosse la modalità in cui egli pro-poneva di superare lo squilibrio tra eccesso di offerta ed insuf-ficienza di domanda. Di sicuro facendo leva su due principa-li fattori rappresentati dall’aumento della domanda dei beni ecolpendo la tesaurizzazione a cui si tendeva in quel periodo.Dal momento che il mercato non è capace di trovare da soloun equilibrio, occorre l’intervento di una forza esterna . In pri-ma istanza lo Stato, per incoraggiare gli investimenti privati ecreare nuova occupazione, dovrebbe seguire una politica mone-taria flessibile, abbassando i tassi di interesse, disincentivandola tesaurizzazione o l’eccessivo accumulo di risparmi.

In seconda battuta, ove questa decisione non fosse sufficien-te, lo Stato dovrebbe adottare adeguate politiche fiscali con unaimposizione progressiva, in modo da poter attuare una redi-stribuzione della ricchezza verso i redditi medio-bassi, che perKeynes hanno una maggiore propensione al consumo.

3.3 la spesa pubblica e la teoria del moltiplicato-re

Keynes condivide la tesi neoclassica secondo cui un equilibriodi salario reale si ottiene quando il salario è determinato dal-la produttività marginale del lavoro. Egli accetta anche la tesisecondo cui, dati gli altri fattori di produzione, la produttivitàmarginale del lavoro decresce al crescere del numero dei lavora-

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3.3 la spesa pubblica e la teoria del moltiplicatore 63

tori occupati. Tuttavia, Keynes aggiunge anche che i neoclassicitrascurano un punto fondamentale, e cioè che la domanda dilavoro dipende dalla domanda di merci. Le imprese cioè assu-meranno solo i lavoratori necessari a produrre la quantità dimerci effettivamente domandata dal mercato, ossia la quantitàche possa essere effettivamente venduta. Questo è il principiodella “domanda effettiva” ed è alla base della teoria di Key-nes. Se dunque la domanda effettiva di merci è bassa, le impre-se assumeranno pochi lavoratori e vi sarà quindi una elevatadisoccupazione.

La domanda effettiva dipende a sua volta dalle aspettativesul futuro. Se tra gli operatori economici si diffonde il pessimi-smo, gli acquisti di beni di investimento (macchinari, impian-ti, attrezzature) verranno ridotti, il che provocherà una seriedi licenziamenti, quindi un calo dei consumi dei lavoratori, diconseguenza ulteriori licenziamenti, e così via in una spiralenegativa capace di condurre ad una crisi generale. Nella teoriakeynesiana tale meccanismo prende il nome di “Moltiplicato-re”, il quale misura infatti la percentuale di incremento del red-dito nazionale in rapporto all’incremento di una o più variabilimacroeconomiche componenti la domanda aggregata: consumi,investimenti e spesa pubblica. In altri termini la domanda ag-

Figura 7: Funzione di consumo C

gregata può essere considerata come la spesa totale effettuata inun sistema economico. Essa determina la produzione o reddito(PIL) di un paese. La domanda aggregata si compone pertantodi tre fattori.

1. I consumatori che spendono in beni di consumo (chiame-remo C questa componente)

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64 la spiegazione della grande crisi

2. Le imprese che domandano beni di investimento (I)

3. Lo Stato, che tramite la spesa pubblica crea domanda dibeni nel sistema economico (G)

Quindi la domanda aggregata è uguale a C+I+G.La spesa totale in beni non è altro che il reddito (PIL) di una

nazione, quindi PIL = C+I+G Secondo quanto detto sopra, lafunzione di consumo che corrisponde alla componente C puòessere rappresentata come in figura 7.

Dopo aver visto come è formata la domanda aggregata, pas-siamo all’equilibrio keynesiano del reddito. Reddito = Doman-da aggregata come in figura 8. Il punto E indica l’uguaglianza

Reddito0

Domanda aggregata,reddito

45◦

Q∗

E

Qp

Qp C+I

C+I+G

Figura 8: Domanda aggregata

tra domanda aggregata e reddito. Infatti per evidenziare taleuguaglianza è stata tirata una bisettrice dell’angolo d’originedegli assi. I punti su di essa sono equidistanti dai due assi. Inquesto modo si comprende perché il punto E, di intersezionedella domanda aggregata con la bisettrice, rappresenta il puntoche esprime l’uguaglianza tra reddito e domanda aggregata equindi l’equilibrio stabile del mercato dei beni. La quantità Q∗

configura il valore del reddito nazionale d’equilibrio, mentreQp indica la produzione di pieno impiego di fattori produttivi.Evidenziando le conclusioni che si evincono da questa impo-stazione di Keynes, possiamo affermare che il mercato dei benitende ad E, e di conseguenza al valore della produzioneQ∗. L’e-quilibrio economico (sul mercato dei beni) di Keynes non è ne-cessariamente un equilibrio di piena occupazione, come invece

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3.3 la spesa pubblica e la teoria del moltiplicatore 65

sostenevano gli economisti classici. Ciò è dimostrato dal fattoche Q∗ è inferiore a Qp, che rappresenta il reddito del pienoimpiego. La spesa pubblica G è essa stessa parte della doman-da aggregata, per cui aumentando G, la domanda aggregata sialza nel grafico determinando un maggiore livello della produ-zione di equilibrio più vicino a quello di piena occupazione, omeglio ancora coincidente con esso.

Figura 9: Moltiplicatore del reddito

Come vediamo in figura 9, l’introduzione delle spese operatedalla pubblica amministrazione comporta una elevazione del-la domanda aggregata e quindi della produzione d’equilibrio.Interessante si rivela che l’aumento di produzione conseguentead un incremento di spesa pubblica, è maggiore dell’aumentoiniziale di G. Questo perché l’aumento del reddito, conseguen-za dell’incremento di G, conduce all’aumento anche dei consu-mi C, i quali hanno una relazione direttamente proporzionalecon il reddito (la funzione C è crescente al crescere del reddi-to). Ne consegue che l’effetto dell’aumento di G è maggioredella quantità aumentata, perché c’è anche l’effetto reddito suiconsumi e dunque la domanda aggregata cresce sia per l’au-mento iniziale di G, che per l’aumento di C. Questo processodi espansione del reddito, molto al di là dell’incremento dellaspesa pubblica G, è noto come moltiplicatore keynesiano.

Keynes riteneva che i neoclassici trascurassero tutti questiproblemi, e per questo non fossero in grado di fornire una ade-guata rappresentazione del sistema economico. Dal principiodella domanda effettiva e del moltiplicatore Keynes faceva an-che scaturire una critica al liberismo presente tra i neoclassici.In questo modo Keynes criticò Pigou, secondo il quale la gran-

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de crisi dipendeva dal fatto che i sindacati dei lavoratori si op-ponevano alla riduzione dei salari e quindi impedivano il liberofunzionamento del mercato.1

Keynes continuava quindi a sostenere, al contrario, che la ri-duzione dei salari non avrebbe risolto la crisi, anzi avrebbe po-tuto aggravarla. Tale riduzione avrebbe infatti dato avvio ad unlungo periodo di calo dei prezzi delle merci, che avrebbe in-dotto molti operatori a rinviare gli acquisti in attesa di ulterioricadute di prezzi; il che avrebbe solo accentuato la crisi. Pertantonon si poteva imputare la depressione economica ai sindacati.Per Keynes il vero problema è rappresentato dal capitalismoafflitto da una domanda effettiva molto instabile. Egli parlavadi “socializzazione” di una certa ampiezza dell’investimento,ossia di un ampio intervento dello Stato per il finanziamentodegli investimenti in opere pubbliche, servizi sociali e beni diinteresse collettivo.

Nella teoria keynesiana, il livello di produzione e di occupa-zione dipende essenzialmente dagli investimenti. Aumentare laspesa pubblica, portando la domanda complessiva ad un livel-lo compatibile con la piena occupazione, sarebbe l’unico modoper rilanciare l’economia. Con questo schema in mente, Key-nes interpretò la gravità della Depressione degli anni Trentacome conseguenza delle scelte di politica fiscale. In presenzadi bassi livelli di consumo e del ristagno degli investimenti,solo la spesa pubblica avrebbe potuto sostenere la domandaaggregata e rilanciare l’economia verso la piena occupazione.La scelta del governo americano di seguire una politica di bi-lancio in pareggio, dovuta in parte ai vincoli imposti dal GoldStandard ed in parte alla concezione dominante di tradizioneliberista, portò invece l’economia ad assestarsi su un equilibriodi sotto-occupazione.

Lo scoppio della crisi finanziaria sovvertì rapidamente le aspet-tative degli investitori consolidatesi positivamente durante gli

1 Arthur Cecil Pigou (Ryde, 18 novembre 1877 – Cambridge, 7 marzo 1959)è stato un economista inglese conosciuto per il suo impegno nell’economiadel benessere, di cui è considerato uno dei maggiori esponenti. Pigou fu ungrande amico di Keynes, che supportò finanziariamente quando quest’ulti-mo lavorava alla teoria della probabilità. Sebbene le loro idee in campo eco-nomico fossero differenti, in quanto Pigou era autorevole esponente dellascuola neoclassica, la loro amicizia non fu mai a rischio data la stima reci-proca di cui godevano. Keynes nella sua teoria generale attacca l’economiatradizionale fin dal primo paragrafo, nel’ corpo dell’opera non mancano du-re parole nei confronti dello stesso Pigou e addirittura verso il suo mentoreMarshall [2, pag. 99-135].

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3.3 la spesa pubblica e la teoria del moltiplicatore 67

anni ruggenti. L’irrigidimento delle misure protezionistiche de-gli Stati Uniti spinse inoltre i partner commerciali ad intrapren-dere azioni di ritorsione contro i prodotti statunitensi, compri-mendo le esportazioni e riducendo ancora di più la doman-da aggregata. Con il lancio del New Deal il governo america-no intervenne attivamente in sostegno della domanda, con po-litiche di ispirazione marcatamente keynesiana. Per Keynes ilsuccesso di questa manovra non fu totale per via della mode-razione con cui il governo americano introdusse misure fiscaliespansive. Solo con lo scoppio della Seconda Guerra Mondialegli Stati Uniti rinunciarono agli obiettivi di rigore di bilancio,lasciandosi alle spalle la Grande Depressione degli anni Trenta.

L’analisi svolta da Keynes nel primo volume di A Treatise onMoney indica chiaramente che il problema che si intende affron-tare è quello sistematicamente delle crisi cicliche che il sistemacapitalistico incontra e di cui le fasi di spinte inflazionistiche eriflussi deflazionistici degli anni Venti sono una testimonianzaconcreta. Il tema della crisi è per Keynes strettamente legatoa quello dell’instabilità del processo di accumulazione del ca-pitale, cioè al motivo di fondo dei suoi scritti precedenti. L’ac-cumulazione della ricchezza nel mondo, egli sostiene, è stataresa possibile dal sacrificio volontario di generazioni che han-no rinunciato ad un consumo presente in vista di uno speratomaggiore consumo futuro.

Tuttavia per Keynes è sbagliato pensare che l’astinenza sia diper sè la condizione sufficiente a far crescere la ricchezza mate-riale di un Paese. Il risparmio, infatti, se non si accompagna adun flusso adeguato di investimenti, determina semplicemente,come risulta dalla già definita prima equazione fondamentale,una diminuzione dei prezzi, e quindi un trasferimento del po-tere di acquisto da alcuni consumatori ad altri. A fronte di unadata offerta di beni e formazione di reddito determinatamen-te uguale, secondo la legge del Say, all’ammontare del reddito,se una parte dello stesso reddito non viene spesa in consumie viene invece risparmiata, deve trovare corrispondenza in unuguale aumento della spesa per investimenti. Se ciò non avvie-ne, la minore domanda provocherà in tempi più o meno imme-diati una diminuzione dell’offerta e quindi del reddito. Questaè la genesi di molti cicli economici. L’investimento è il puntofocale del meccanismo di accumulazione, ma esso stesso è ilfrutto ed il motore dello spirito di impresa nonché l’aspettativadi profitto [33, pag. 245-246].

In definitiva l’analisi della crisi è svolta nel Trattato in termini

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68 la spiegazione della grande crisi

di avvicendamento di situazioni di profitti e di perdite, con iconseguenti effetti positivi e negativi sugli investimenti. Se te-niamo conto che Keynes ha definito tali profitti e tali perditecome differenza tra ricavi e costi e che nei costi sono compresil’interesse sul capitale e la normale remunerazione dell’impren-ditore, è possibile associare univocamente profitti e perdite asituazioni di squilibrio tra risparmio ed investimenti solo ba-sandosi su una teoria del tasso di profitto normale. La crisi de-gli anni Trenta porta Keynes a riflettere a fondo e ad elaborarequella che poi verrà chiamata la “Rivoluzione Keynesiana”.

Quando nel 1936 uscì The General Theory of Employment, In-terest and Money, la scienza economica andò incontro ad unavera e propria rivoluzione. Lo stesso Keynes non aveva alcunaintenzione di sconvolgere la scienza economica, bensì di pro-muovere quei provvedimenti di intervento pubblico reputatiindispensabili per far uscire le nazioni occidentali dalla spiraledella Grande Depressione.

Per Keynes il ruolo dello Stato in questa situazione disperataera di guida fondamentale lungo una strada stretta ed acciden-tata ai cui lati si scorgevano il precipizio della disoccupazionedi massa e l’inflazione dei prezzi. Se gli investimenti privati su-biscono un crollo e l’economia pende verso la disoccupazione,lo Stato deve adoperarsi a spendere in deficit per colmare lavoragine di spesa venuta a crearsi, mentre l’autorità monetariadeve aprire i rubinetti del credito in modo da evitare la defla-zione dei prezzi. Nel caso in cui si raggiunga il livello di pienaoccupazione, lo Stato deve intervenire in modo da ridurre il de-bito pubblico evitando il sopravvenire dell’inflazione dei prez-zi. Keynes aveva quindi l’esigenza di persuadere gli economistidella necessità di una nuova teoria, formulandone proprio unasuperiore ed alternativa a quella classica dimostratasi fallace.

3.4 hayek : la teoria delle fluttuazioni cicliche

Hayek sviluppò la teoria delle fluttuazioni cicliche dell’econo-mia in tre libri: Monetary Theory And Trade Cycle (1929), Pricesand Production (1931), The Pure Theory of Capital (1941). Secon-do l’austriaco, il tasso di interesse prevalente sui mercati, inassenza di politiche economiche attive, esprimeva la preferen-za intertemporale della famiglie per il consumo presente e fu-turo. Un tasso di interesse alto denota una forte tendenza alconsumo presente rispetto a quello futuro. Al contrario, un tas-so di interesse basso, o al limite un tasso di interesse pari a

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3.4 hayek : la teoria delle fluttuazioni cicliche 69

zero, segnala l’indifferenza parziale o totale tra consumo pre-sente e futuro. Il sistema bancario in assenza di interventi daparte della autorità monetaria, non fa che trasferire questo se-gnale circa la preferenza dei consumatori al sistema industriale:quanto più alto è il tasso di interesse, tanto più le imprese tro-vano conveniente adottare processi produttivi di breve durata,immobilizzando i capitali per il minor tempo possibile. Proces-si produttivi più brevi sono tuttavia meno produttivi di quellipiù lunghi generando quindi una massa inferiore di beni finali.Simmetricamente, in presenza di un tasso di interesse basso,leimprese adottano processi produttivi più lunghi o, per dirla inaltri termini, privilegiano la produzione di beni di investimentorispetto a quella di beni di consumo.

Immaginiamo di trovarci in una situazione in cui le famigliespendono il 50% del loro reddito in consumo, risparmiando ilrestante 50%. Supponiamo che esse decidessero spontaneamen-te di aumentare il risparmio, dedicando ad esempio solo il 40%del loro reddito al consumo. Si avrà diminuzione del tasso diinteresse ed un conseguente allungamento dei processi produt-tivi. Nell’immediato, l’accresciuta produzione di beni d’investi-mento sottrae risorse alla produzione di beni di consumo. Ilprezzo di questi ultimi, tuttavia non aumenta necessariamen-te, visto che, per ipotesi, anche la loro domanda è diminuita.Quando i nuovi beni di investimento cominciano a dare i lorofrutti, la produzione di beni di consumo aumenta. Il loro prezzonecessariamente, a questo punto si abbassa. Nel nuovo equili-brio, dunque, i prezzi dei beni di consumo scendono e quellidei beni di investimento sono portati a salire riflettendo il rea-le cambiamento nella propensione al consumo delle famiglie.Partendo dalla stessa situazione, supponiamo ora che la dimi-nuzione del tasso di interesse sia prodotta in maniera artificialeda una politica monetaria espansiva o da una eccessiva facilitàdi credito da parte delle banche, senza alcuna variazione nellapropensione al consumo delle famiglie. Anche in questo caso siavrà un allungamento del processo produttivo, che nell’imme-diato si accompagnerà ad una contrazione della produzione dibeni di consumo.

A differenza del precedente caso, le famiglie continuano aspendere la stessa quota del loro reddito in beni di consumo,dunque i prezzi di questi ultimi aumentano necessariamente.In termini reali, si ha allora una riduzione dei consumi per ef-fetto di un’offerta diminuita. Quando tuttavia il sistema entraa regime e i nuovi beni di investimento cominciano a dare i

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loro frutti, la massa di beni di consumo aumenta e i prezzitenderanno a scendere.

D’altra parte, in termini monetari, le famiglie vorranno sem-pre spendere la metà del loro reddito in beni di consumo, quin-di rispetto al precedente caso, la maggiore quantità di beni diconsumo si scontra con una domanda invariata. Il prezzo deibeni di consumo sarà comunque più alto. Ciò significa che an-che nella nuova situazione di equilibrio si ha un risparmio for-zoso delle famiglie. Allora ci sarà spazio per una maggiore pro-duzione di beni di investimento o per la spesa pubblica o, perdirla diversamente, con una produzione di beni di investimentoeccessiva rispetto alla propensione al risparmio delle famiglie.La facilità di credito si traduce dunque in una crescita eccessi-va rispetto alla capacità di risparmio delle famiglie, accompa-gnata da una spinta inflattiva. Sul piano finanziario, inoltre, ilsostegno artificiale alla crescita causato dalla politica del cre-dito, sostiene artificialmente i corsi azionari. Inevitabilmente,sostiene Hayek, prima o poi, la banca centrale, preoccupata perl’inflazione e per la bolla speculativa prevalente sui mercati, in-verte la politica monetaria producendo un rallentamento dellaproduzione accompagnato da spinte deflattive.

In sostanza, secondo gli austriaci, in assenza di una politicamonetaria attiva, la struttura produttiva si adegua spontanea-mente alle preferenze dei consumatori ed il tasso di interesseriflette effettivamente la preferenza intertemporale tra consumopresente e consumo futuro, ossia il risparmio. Le fluttuazionicicliche dell’economia sono invece la conseguenza della politi-ca monetaria, la quale allontana il tasso di interesse dal tassodi preferenza intertemporale dei consumatori, producendo unalternarsi di fasi boom e di crisi. In Monetary Theory and Tra-de Cycle, Hayek si disse favorevole al mantenimento del Goldstandard come strumento di rigore monetario, e contrario all’u-so della politica monetaria in senso anticiclico, frenando cioèl’economia nelle fasi espansive e favorendo la crescita in quel-le depressive. La tesi hayekiana fu successivamente sviluppatadall’economista americano Murray Rothbard, in America’s GreatDepression (1963).

La causa principale della Grande Depressione secondo il nuo-vo campione del liberismo austriaco, è da ricondursi alla poli-tica monetaria tenuta dalla Federal Reserve a partire dalla suacreazione, e all’eccessivo ruolo dello Stato nell’economia. L’e-spansione del credito attraverso tassi di interesse artificialmen-te bassi, la politica inflazionistica avviata all’inizio della Grande

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3.5 hayek : l’influenza dei prezzi sulla produzione 71

guerra e l’interventismo statale durante gli anni Venti sono, se-condo Rotbhard, i fattori che avevano indotto la Federal Reser-ve ad intraprendere tardivamente misure restrittive. La ricettadi Hayek contro la crisi, consiste in effetti, nella sua spiegazionedella stessa.

Se la crisi scaturisce da una politica di credito facile e se pro-prio l’espansione creditizia ha spinto le imprese all’utilizzo difattori di produzione in maniera sconsiderata, di conseguen-za sarà possibile uscire dalla crisi evitando queste spregiudica-te iniziative economiche. La politica monetaria è sotto accusa:gli incentivi da essa forniti hanno prodotto forti distorsioni delsistema produttivo.

La crisi svolge un ruolo necessario per il ripristino degli equi-libri, reintegrando strutture di prezzo non ancora distorte dal-l’erogazione di crediti illusori. Diventa necessario il fallimentodelle imprese non produttive in modo da liberare risorse, con-sentendo un ri-orientamento verso utilizzi profittevoli e produt-tivi.

3.5 hayek : l’influenza dei prezzi sulla produzione

Per Hayek i cambiamenti monetari non sono mai neutrali ecoinvolgono sempre in maniera negativa la struttura dei prez-zi relativi. Nel momento in cui si crea una nuova quantità didenaro sotto forma di credito, questa entra a far parte dell’eco-nomia da un punto di vista molto concreto. Inizialmente essaviene utilizzata acquistando determinati beni di capitale e servi-zi produttivi e solo successivamente, e lentamente, i suoi effettisi estendono al resto della struttura produttiva. In Prices andProduction la falsificazione dei prezzi relativi e la conseguente di-storsione dell’attività produttiva erano esaminate guardando alsistema produttivo con attenzione “austriaca” per la durata deiprocessi di produzione nel tempo. Lo spostamento delle risorseverso la produzione di beni capitali porta all’utilizzo di processiproduttivi sempre più lunghi ed al mutamento nei prezzi rela-tivi delle risorse impiegate ai diversi stadi della produzione [18,pag. 3-66].

Il passaggio di risorse sottratte alla produzione di beni di con-sumo per essere destinate alla produzione di capitali non pro-duce effetti immediati, in quanto la produzione corrente di benidi consumo non è altro che il risultato di investimenti di risorseche sono già avvenuti in passato in stadi precedenti del proces-so produttivo. Trascorso un determinato periodo di tempo, gli

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72 la spiegazione della grande crisi

effetti si faranno sentire e l’aumentata attività di investimentocontribuirà a deprimere la produzione di beni di consumo nelmomento in cui la crescita della domanda fa lievitare i salarie quindi anche la domanda di beni di consumo. Le aspettati-ve di maggiori consumi sono disattese e questo è il fenomenoche Hayek chiama “risparmio forzato”. I consumi non possonoaumentare malgrado l’accresciuta domanda, poiché le risorsesono state assorbite dall’attività di investimento e distolte daglistadi finali della produzione.

I prezzi dei beni di consumo saliranno rispetto a quelli dei be-ni di investimento. Dal momento che l’attività di investimentoera stata avviata ed aveva assorbito risorse, il ritorno al sistemadi equilibrio dei prezzi relativi corrispondente alla domandadei consumatori, comporterà una crisi in quanto le risorse sonotemporaneamente congelate negli investimenti gestiti in manie-ra errata della fase di espansione. Per Hayek, quindi, le modi-ficazioni di rapporti che si verificano in seguito al risparmioforzato, non sono stabili. Grazie all’aumento nel reddito mone-tario, le decisioni dei consumatori riconquistano la loro pienaefficacia, ed impongono un rovesciamento del processo prece-dente di aumento dell’intensità capitalistica. Sraffa obietta cheHayek debba fornire la prova dell’aumento dei redditi monetaridi coloro che risultano danneggiati dall’inflazione. Il processodi redistribuzione messo in moto dalla politica monetaria hacreato rapporti nuovi ed un ritorno al vecchio equilibrio di cuiHayek parla risulta quindi impossibile [34, pag. 197-198]. A que-sto argomento se ne aggiunge un altro che mette in questione larigorosa distinzione effettuata da Hayek tra il caso del risparmiovolontario e quello del risparmio forzato: come Sraffa osserva, nonsi può escludere che coloro che traggono vantaggio dal proces-so di redistribuzione realizzino maggiori risparmi volontari ecioè producano capitale in forma tale che, secondo la dottrinadi Hayek, è esente dalla distruzione successiva [18, pag. 11-76].

La teoria di Hayek fu attaccata proprio da Sraffa nel suo ar-ticolo “Hayek on Money and Capital”, principalmente su trepunti: l’ipotesi di piena occupazione delle risorse; la determi-nazione del tasso naturale dell’interesse; il cosiddetto effettoRicardo. Hayek era partito dall’ipotesi di pieno impiego dellerisorse, poiché la riteneva coerente con il progetto di esaminarecongiuntamente la teoria dell’equilibrio generale e teoria mone-taria. Egli argomentava che la bassa mobilità delle risorse, unavolta investite, avrebbe reso lunghi e complessi gli effetti realidi variazioni della domanda monetaria anche in una non pie-

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3.5 hayek : l’influenza dei prezzi sulla produzione 73

na occupazione dei fattori produttivi. Hayek chiamava “effettoRicardo” la tesi secondo cui “in condizioni di pieno impiego,un aumento della domanda di beni di consumo, determineràuna diminuzione degli investimenti, e viceversa”. Il concetto ditasso naturale di interesse fu il punto più critico del modellohayekiano. Hayek descriveva il ciclo come un processo di muta-mento, nel corso del tempo, della struttura produttiva dell’eco-nomia, dunque dei dati fondamentali del sistema economico intermini reali: era questa la novità e la ricchezza del suo lavorosul ciclo.

Piero Sraffa si occupò in un certo senso di vendicare il suomentore Keynes precedentemente attaccato da Hayek, tramiteil compito assegnatogli di valutare proprio il lavoro di quest’ul-timo. Sraffa, autore di una minuziosa analisi dell’inflazione inItalia durante la Grande guerra, era la persona più indicata peruna critica dettagliata. Tre sono i punti su cui si fondò la criticadi Sraffa: il ruolo della moneta nel sistema economico, il signifi-cato del concetto di risparmio forzato e la definizione di saggiodi interesse reale, o di equilibrio per Hayek. Attraverso questitre punti, Sraffa intendeva dimostrare che, il modo di Hayek te-so a distinguere l’economia reale da quella monetaria, risultavaterribilmente privo di senso.

Hayek riconobbe di aver commesso degli errori riguardantila sua descrizione di economia reale su cui era basata, di conse-guenza, la sua distinzione con l’economia monetaria. Dopo unabreve concessione del fatto che, come sottolineato da Hayek, ènecessario che il ruolo delle variazioni dei prezzi relativi duran-te il ciclo economico entri a far parte esplicitamente della teoriaeconomica, Sraffa osservò che la moneta non svolgeva nessunruolo nella teoria hayekiana, se non quello di mezzo di scam-bio. Quanto affermato sembra cozzare con la pretesa di Hayekdi basare la teoria del ciclo sulle differenze tra gli andamentidi una economia reale e quelli di una economia monetaria, spe-cie se l’obiettivo perseguito è quello di individuare una normadi politica monetaria. Per ciò che riguarda il risparmio forzato,l’obiezione di Sraffa è spesso citata in letteratura.

Per Hayek, secondo Sraffa, non si può produrre accumulazio-ne di capitale in una economia monetaria se questa è generatada un’espansione di credito ai produttori decisa dalle banchesenza che si sia verificato alcun incremento dei depositi da par-te dei risparmiatori. Hayek giunse ad affermare che, per quantola moneta rimanga un elemento distorsivo che genera il ciclo,le motivazioni della discrepanza fra le scelte dei soggetti sono

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74 la spiegazione della grande crisi

generalmente di tipo reale. Egli riconobbe quindi che la monetanon era una condizione necessaria, sebbene continuasse a consi-derarla comunque sufficiente, per la mancata realizzazione deipiani intertemporali [35, pag. 4-6].

Il concetto di tasso naturale dell’interesse fu oggetto di fortecritica che Sraffa rivolse ad Hayek, affermando che nella situa-zione economica di disequilibrio che Hayek esaminava, ciascunbene capitale poteva avere un diverso tasso di interesse. Sraffapensava all’unicità del tasso di profitto come condizione essen-ziale dell’equilibrio di lungo periodo, mentre Hayek anticipavail modello dell’equilibrio temporaneo compatibile con una plu-ralità di tassi di interesse, definiti appunto dai rapporti tra iprezzi dei beni sui mercati alla data presente e a tutte le datefuture. Nella sua recensione, Sraffa rileva che il ragionamentodi Hayek non tiene conto delle caratteristiche tipiche di un’eco-nomia monetaria, in cui la moneta non è solo mezzo di scam-bio, ma anche unità di misura nei contratti e riserva di valore.Di conseguenza, non è affatto detto che il capitale accumulatoin seguito al risparmio forzato venga economicamente distrut-to in seguito al gioco di azioni e reazioni degli automatismi dimercato; in generale il nuovo capitale concorre a definire unanuova posizione di equilibrio del sistema economico [35, pag.8-9-10].

Le fasi di crescita sono caratterizzate dall’impossibilità di de-finire un tasso d’interesse di equilibrio, tanto nelle economiedi baratto quanto in quelle monetarie. La risposta di Hayek aquesto riguardo – che «vi potranno essere tanti saggi naturalid’interesse quante sono le merci, e tutti saranno tassi di equili-brio» (Money and Capital A reply, cit., p. 245) – può essere consi-derata uno dei primi indizi di una nuova concezione analitica,quella dell’equilibrio intertemporale. Sraffa ritiene che la disu-guaglianza tra i tassi di interesse in merci, sia essenziale perrealizzare la transizione ad un nuovo equilibrio, tanto quantolo è la divergenza tra prezzi e costi di produzione; di fatto nonsi tratta che di un altro aspetto dello stesso fenomeno. Sraffasi occupa prettamente della coerenza interna del ragionamento,pertanto la teoria di Hayek viene messa alla prova maggiormen-te sotto questo aspetto. Sraffa stabilisce con soddisfazione cheHayek riconosce il dato di fatto della molteplicità dei tassi diinteresse naturali. Hayek avrebbe dovuto però anche trarre con-seguenze per la politica monetaria da lui stesso raccomandata.Alla sua affermazione che tutti i tassi di interesse sarebberotassi di equilibrio, Sraffa attribuisce un solo significato e cioè

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3.5 hayek : l’influenza dei prezzi sulla produzione 75

che la sua norma di politica economica ora richiede che il sag-gio monetario sia uguale a tutti questi diversi saggi naturali.Di fronte a tale giudizio finale non vi è da stupirsi che ancheautori strettamente legati all’economista austriaco non abbianopotuto sottrarsi all’impressione che dal dibattito con Sraffa lastatura di Hayek come economista teorico sia uscita intaccata.

Hayek criticò Keynes per la sua impostazione macroecono-mica e per la mancanza di un’adeguata teoria del capitale, inol-tre gli rimproverava di non concepire che fosse possibile gua-dagnare denaro producendo un determinato bene sebbene nedecresca la domanda; ad esempio, quando si compiono investi-menti volti alla riduzione dei costi di produzione, si acquisisceuna maggiore quantità di beni di capitale generando struttureproduttive maggiormente capital-intensive nelle cui tappe si dàlavoro ai fattori di produzione che vengono a liberarsi verso letappe finali. Secondo Hayek, la cura keynesiana per uscire dal-la Grande Depressione altro non era se non “Pane per oggi efame per domani” perché Keynes trascura gli effetti dell’accu-mulazione nel medio-lungo periodo e si basa sul sostegno del-la domanda corrente, evidentemente nel breve periodo. Effetti-vamente ogni incremento artificiale della domanda aggregataavrebbe distorto gravemente la struttura produttiva e generan-do esclusivamente un impiego precario, che alla lunga, avrebbefatto emergere maggiore disoccupazione.

Hayek riteneva che le manipolazioni fiscali e monetarie pre-scritte dai keynesiani e dai monetaristi, generavano gravi distor-sioni nel coordinamento intertemporale del mercato. Proprioper questi motivi Hayek si schierò a favore di rigidi modellimonetari e contro il nazionalismo monetario ed i tipi di cambioflessibili che Keynes si ostinava a difendere insieme ai teoricidella scuola di Chicago. Secondo Hayek tutte le Depressionievidenziano una modalità di allocazione delle risorse, in primoluogo il lavoro, che non rispecchia la modalità della domanda.Il divario tra offerta di lavoro e domanda di lavoro caratterizzail periodo di crescita prima dell’inflazione ed è la conseguen-za di errori imprenditoriali indotti da una distorsione del tassodi interesse a sua volta conseguente all’espansione della basemonetaria e del credito bancario. Ogni tentativo di curare la de-pressione con interventi di spesa in disavanzo e politiche tesea tenere basso il costo del denaro, pur offrendo un sollievo mo-mentaneo, intensifica l’errata allocazione delle risorse riguardoalle rispettive domande, con l’unico effetto di posporre o diprolungare l’inevitabile assestamento. I keynesiani, ovviamen-

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te, non condivisero questo punto di vista mossi da una ipotesierronea identificata da Hayek nelle opere di Keynes, ossia che ladisoccupazione comporta tipicamente l’inattività di tutti i tipidi risorse in ogni fase produttiva.

Nel mondo reale, in cui esiste la scarsità, come dimostraHayek, le risorse non utilizzate sono di tipo specifico in settorispecifici, ad esempio il lavoro sindacalizzato nell’industria mi-neraria e nella produzione di acciaio. In queste circostanze, unaumento della spesa porterebbe alla crescita dell’occupazione,ma soltanto causando un aumento generalizzato dei prezzi erendendo momentaneamente redditizio lo sfruttamento di que-ste risorse inutilizzate combinandole con risorse sottratte adaltri settori, dove erano già peraltro utilizzate. Una volta che iprezzi di vendita saranno aumentati per compensare l’aumentodei costi di produzione, la disoccupazione farà nuovamente ca-polino, questa volta più violenta ed in forma di prima a causadella distorta allocazione delle risorse aggiuntive. Il governo ela banca centrale si troveranno quindi di nuovo a fronteggiarelo stesso dilemma, se ammettere la disoccupazione o aumen-tare il flusso della spesa monetaria. Questo pone le condizioniper innescare un’ondata inflazionistica in continua accelerazio-ne capace di coinvolgere moneta e prezzi in contemporanea,scandita da periodi di inasprimento della disoccupazione, co-me il fenomeno che ha caratterizzato il periodo della GrandeStagflazione durante gli anni Settanta e nei primi anni Ottanta.

Per Hayek la disoccupazione non dipende insufficiente do-manda globale ma solo da distorsioni nel processo produttivo.L’alternativa proposta da Hayek prevede di evitare l’inflazionemonetaria e permettere ai prezzi delle risorse non utilizzate diabbassarsi naturalmente a livelli sostenibili per l’attuale livel-lo di reddito nominale. In questo scenario, il sistema di prezziconvoglierebbe le risorse di manodopera non occupate ad al-tre risorse verso processi di produzione che siano sostenibili allivello di corrente di spesa monetaria. Se il mercato fosse la-sciato libero di adeguare i prezzi relativi ed i livelli salariali,lastruttura dell’utilizzo delle risorse sarebbe certamente allinea-ta alla struttura della domanda e delle relative risorse. Invecegonfiare la spesa monetaria aggregata porta ad un aumento del-l’occupazione nel breve termine, che provoca una distribuzioneinappropriata delle risorse la cui inevitabile correzione porteràad un’altra Depressione.

L’aumento dei prezzi relativi che si produce nuovamente nelsettore dei beni di consumo provoca così degli effetti totalmente

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3.6 hayek : la teoria del capitale 77

opposti a quelli posseduti inizialmente dall’espansione crediti-zia. I benefici delle industrie più vicine al consumo iniziano adelevarsi, mentre decadono in termini relativi quelli corrispon-denti ai settori di investimento. Comincia così il trasferimentodei fattori produttivi dall’investimento al consumo, con ingentiperdite nei settori più tipicamente capitalisti, che finiranno peraccorgersi di essersi sviluppati in maniera eccessiva. Diventainevitabile l’inizio di una recessione economica per mancanzadi risorse sufficienti a colmare cambiamenti troppo ambiziosinella struttura produttiva. Tale recessione si manifesta attraver-so un eccesso di produzione nei settori di investimento ed unarelativa scarsezza della stessa nei settori più vicini al consu-mo. Per Hayek le recessioni sono quindi rappresentate da crisiprodotte dalla struttura del capitale investito in settori sbaglia-ti, o se si preferisce, dalla carenza di risparmio non sufficientea completare gli investimenti più capital-intensivi intrapresi acausa degli “errori di uomini”.

3.6 hayek : la teoria del capitale

Hayek condusse fino alle sue estreme conseguenze la teoria delcapitale di Böhm-Bawerk e l’analisi dei cicli di Mises, nel mo-mento in cui spiegò in che modo l’interventismo monetario pro-duce un generale scoordinamento temporale tra le decisioni de-gli agenti economici investitori e i consumatori. In questo modoegli spiegò anche che la recessione altro non è che una tappa diun sano equilibrio economico e pertanto non deve essere evita-ta, bensì agevolata, ponendo fine ai fenomeni del consumo e la-sciando che le forze del mercato ristabiliscano nuovamente unastruttura produttiva maggiormente in accordo con i desideri de-gli agenti economici che vi partecipano. Non deve sorprendereche Hayek, fin dall’inizio, si sia opposto non solo ai keynesiani,ma anche ai teorici di tradizione neoclassica i quali, di fronte al-la propria incapacità di applicare la teoria dell’utilità marginalealla moneta ed alla loro mancanza di un’adeguata teoria del ca-pitale, si confrontavano con le problematiche economiche delmomento, attraverso un’ottica prettamente macroeconomica.

In questo modo Hayek espresse il suo dissenso nei confrontidella teoria quantitativa della moneta, sostenuta fortemente da-gli economisti di stampo neoclassico in generale e dalla scuoladi Chicago come è noto, la quale, data la sua indole macroe-conomica, si concentrava solo sul livello generale dei prezzi,soffrendo di una incapacità sostanziale nello scoprire gli effetti

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che un’espansione dei mezzi di pagamento disponibili producesulla struttura relativa dei prezzi. La teoria quantitativa non con-templava, pertanto, le conseguenze più gravi del processo infla-zionistico: “L’erroneo investimento di risorse e la generazionedi una corrispondente disoccupazione”.

The Pure Theory of Capital, un volume impegnativo ed ambi-zioso, pubblicato nel 1941, fu il punto di approdo dell’indaginesulla teoria del capitale secondo l’approccio austriaco. Hayekrespingeva l’idea che il capitale potesse essere rappresentato emisurato come una grandezza omogenea, polemizzando con loschema dello stato stazionario. Il problema cruciale della teoriadel capitale è l’attività di investimento volta alla creazione dinuove possibilità produttive: un’attività che progetta il cambia-mento della struttura produttiva nell’aspettativa di novità neimercati. La concezione di Hayek era coerente con quella au-striaca poiché l’articolazione degli investimenti nel tempo eraessenziale alla definizione stessa di capitale. The Pure Theory ofCapital fu lo spunto per una ulteriore riflessione sull’equilibriointertemporale.

Hayek rifiuta l’idea dell’equilibrio stazionario cara a Böhm-Bawerk e si mostra favorevole ad altre nozioni di equilibrio ingrado di assicurare maggiore flessibilità. Egli introduce l’equi-librio generale ed intertemporale di tutti i mercati: uno sche-ma astratto di riferimento, per definire sotto il profilo logicole condizioni ideali perché i piani degli agenti economici sianoperfettamente coordinati nel tempo anche qualora non preval-gano condizioni di stazionarietà. La teoria austriaca del capitaledeve essere liberata dalle sue connotazioni stazionariste e rifor-mulata in un contesto esplicitamente dinamico. Nel tentativodi soddisfare tale esigenza, Hayek perviene quindi a riscoprirele nozioni di equilibrio intertemporale e di equilibrio tempo-raneo, due importanti alternative alla nozione tradizionale diequilibrio stazionario; analogamente è la necessità di garantireun più solido fondamento teorico alla propria teoria del cicloche spinge Hayek a compiere l’immane sforzo di ricostruzionedella teoria austriaca del capitale in un’ottica non stazionaria,ricostruzione che culminerà senza trovare una definitiva siste-mazione proprio nel volume di The Pure Theory Of Capital [16,pag. 200-250].

Molte erano le cautele da tener presente dato che l’equilibriogenerale intertemporale era da intendersi come uno stato imma-ginario in cui esiste una perfetta compatibilità dei piani di im-prese e consumatori, uno strumento dell’intelletto ben distinto

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3.6 hayek : la teoria del capitale 79

dai processi reali attraverso cui produttori e consumatori avreb-bero raggiunto nel corso del tempo un assetto di equilibrio deimercati. All’inizio degli anni Quaranta Hayek aveva raggiun-to, attraverso un lavoro approfondito, un giudizio disincantatosui modelli della teoria economica. Il modello dell’equilibriogenerale intertemporale era relegato alla descrizione di un’eco-nomia fittizia con perfetta previsione. La teoria del capitale eraconfinata in un vicolo cieco: riusciva a trattare profili sempli-ci dell’attività di investimento sotto ipotesi troppo restrittive eprive di realismo descrittivo.

Hayek si rende conto che il proprio sistema di teoria econo-mica, ed in particolar modo quella del ciclo e del capitale cheegli ha sviluppato e difeso strenuamente sono afflitte da aporieirrimediabili. Egli, inoltre, persuaso dall’idea che non sia pos-sibile attaccare in alcun modo il keynesismo dilagante e che labattaglia sul terreno della teoria e della politica economica siaormai perduta e richiamato da altre preoccupazioni riguardan-ti le politiche sociali e i contesti giuridico-istituzionali caratte-ristici delle economie di mercato, abbandona la riflessione piùstrettamente economica per dedicarsi allo sviluppo di una piùampia scienza sociale, che gli appare più utile e promettente.

L’impostazione di Hayek presenta altre implicazioni. Se si ac-cetta che i livelli di produzione e di impiego dipendano dall’in-flazione, un rallentamento del ritmo dell’inflazione produrràsintomi di recessione. Inoltre, dal momento che l’economia siadegua a un particolare tasso di inflazione, occorre aumentarecontinuamente il tasso stesso se si vogliono evitare i sintomidella Depressione. Limitare gli aumenti dei prezzi o dei tassisalariali con una politica dei redditi equivale a congelare unaserie particolare di correlazioni reciproche tra prezzi e tassi sa-lariali, mentre lo scenario della domanda e dell’offerta sono inmutamento continuo. Una scelta politica di questo tipo rafforzagli altri fattori istituzionali prevedendo le variazioni specifichedei prezzi relativi e dei tassi salariali necessari al mantenimentodella piena occupazione. Oppure, cambiando prospettiva, se lapiena occupazione deve essere mantenuta a tassi salariali deter-minati dai sindacati, tutti gli altri prezzi e tassi salariali devonoadeguarsi ad essi. Anche se l’aumento dei tassi salariali deter-minati dai sindacati fosse contenuto entro una soglia massimadi crescita, non è lecito dedurne che la stessa percentuale diaumento o un aumento inferiore di tutti gli altri prezzi e tas-si salariali sarebbe sufficiente a raggiungere l’obbiettivo dellapiena occupazione.

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Questo è il motivo per cui potrebbe essere necessario che iredditi crescano più rapidamente della produzione, anche perassicurare quel medesimo aumento nella produzione. L’obiezio-ne principale ad un approccio basato sulla politica dei redditiè che si limita a congelare una detta serie di prezzi e tassi sa-lariali non facendo nulla per ingenerare un allineamento o perintrodurre istituti con funzione di coordinamento nel mercatodel lavoro. Potrebbe non esistere alternativa ad un rimodella-mento molto doloroso delle istituzioni e forse non ci sono altristrumenti per riportare nell’ambito del sistema dei prezzi i tassisalariali, ormai resi impermeabili alle forze di mercato. L’alter-nativa è una politica specifica, di tassi salariali e prezzi, cioèun’economia efficacemente controllata a livello centrale.

Come osserva Wapshott, menti più serene di Hayek e Keynesavrebbero individuato successivamente le affinità tra le due tesi,concentrandosi di conseguenza sulle differenze degne di nota.Keynes sosteneva che Hayek fosse incapace di guardare oltrei concetti che aveva imparato a Vienna. Egli teneva ad elenca-re i punti in cui riteneva essere differente dall’austriaco. Hayekasseriva che quando risparmi ed investimenti non erano equi-valenti, questo era il frutto dell’offerta da parte delle banchedi livelli inadeguati di credito, che nel tempo sfociavano in uncambiamento nel prezzo delle merci. Keynes di contro era in-teressato al lasso temporale in cui il tasso di interesse naturaleed i tassi di mercato non coincidevano. Pertanto la conclusioneera che entrambi si stavano occupando di campi diversi [2, pag.94].

Le opere di Hayek invitano a riflettere sul fatto che il lavorodi un economista non dovrebbe essere giudicato in base allafama di cui gode presso i politici o anche presso gli accademicidel proprio tempo. In effetti Keynes fu molto più influente diHayek nella sua epoca; mentre le riserve nei confronti del suoavversario furono numerose. Dalla pubblicazione della GeneralTheory si è avuta un’ampia elaborazione del sistema teorico as-sociato all’opera stessa, accompagnata dall’ulteriore sviluppodi un sistema concettuale alternativo noto come sistema classi-co. Mentre il sistema keynesiano si esprimeva completamentein termini aggregati, il cosiddetto Sistema classico conteneva unelemento che si potrebbe definire dimensione del prezzo: le va-riazioni del livello dei prezzi associate alle variazioni della ba-se monetaria totale nel sistema classico implicavano variazio-ni equiproporzionali di tutti i prezzi e le variazioni del livel-lo dei prezzi erano associate a loro volta a cambiamenti nel

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livello di attività economica. in un certo senso, l’impostazionekeynesiana può essere considerata un prolungamento logico edun’elaborazione del sistema classico.

3.7 hayek e keynes : dissensi e punti di contatto

La spiegazione delle fluttuazioni economiche avanzata da Hayekappartiene al gruppo delle teorie monetarie del ciclo. Le fluttua-zioni sono causate, all’origine, da fenomeni monetari, perchésolo in una economia monetaria può presentarsi il problemadi una divergenza tra domanda e offerta che non sia immedia-tamente riassorbita dal movimento dei prezzi relativi. Hayekevidenzia che quanto avviene nel corso delle fluttuazioni sonofenomeni di natura reale: viene modificata la struttura produt-tiva e specialmente la composizione dello stock di capitale dicui l’economia dispone.

Contrariamente a quanto sosteneva Keynes, l’economista au-striaco sosteneva che fosse una illusione combattere la disoccu-pazione con l’espansione dell’offerta di moneta. L’espansionedella domanda di moneta, seppure avesse portato momenta-neo sollievo al problema della disoccupazione, avrebbe innesca-to una fluttuazione ciclica e reso più instabile l’intero sistemaeconomico. Questo rappresentò uno dei radicali dissensi conle posizioni di Keynes. La polemica più importante fu comun-que quella che Hayek ebbe con Keynes durante gli anni Trenta.Hayek iniziò la sua critica in due ampie recensioni del libro diKeynes Treatise on Money [33, pag. 20-110], apparso in Inghilter-ra quando Hayek vi giunse agli inizi degli anni Trenta. Keynes,da parte sua, contestò con un furioso attacco l’opera di HayekPrices and Production [18, pag. 5-78], dando vita ad una polemicatra i due nella quale si delinearono alcuni dei principali aspettidella teoria monetaria e dei cicli e che oggi, placato l’impetuosovento keynesiano, sarebbe interessante e necessario riprendere

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proprio nel punto in cui Keynes ed Hayek la lasciarono in quelperiodo.

Affrontare le critiche personalmente era tipico di Keynes, no-nostante giudicasse assurda l’analisi del suo rivale Hayek [5,introduzione]. Si assistette quindi ad una replica di Keynes, se-guita da una controreplica, prima che fosse pubblicata la se-conda parte della recensione. Hayek criticò Keynes per avertrascurato la vera struttura della produzione, sostenendo chela tendenza di Keynes a concentrarsi sui fenomeni immediatie puramente monetari che accompagnano i cambiamenti dellaspesa monetaria, uniti alla sua propensione per i macro concet-ti aggregativi, lo avevano portato a conclusioni contraddittorieo indifendibili. Keynes sembrava sostenere che, se nell’aggre-gato non ci fossero stati profitti o perdite per le imprese, laproduzione totale sarebbe stata costante. Hayek replicava chese i profitti nei ranghi più bassi della produzione erano esatta-mente controbilanciati da perdite nei ranghi più alti. Si sarebbeverificata una contrazione nella struttura del capitale ed un de-clino della produzione o dell’occupazione, anche in assenza diprofitti o perdite a livello aggregato.

L’etica dominante di Cambridge era senza ombra di dubbioquella di trarre profitto dalle polemiche.

Quando poi c’era di mezzo Keynes, il dibattito assumeva del-le pieghe alquanto colorite. Essendo un polemista naturale, nonriusciva a non fomentare le discussioni in cui era protagonista,tendendo spesso a rimarcare quali fossero le differenze sostan-ziali con gli avversari. Con la sua critica al trattato di Keynes,Hayek dimostrò di essere sicuro di sé, nonché sfrontato. La du-ra recensione scatenò le ire di Keynes, offeso dall’incapacità delrivale di tener presente che lui stava pubblicando idee accu-mulate da sette anni a quella parte e che quindi rappresentavaancora un work in progress. Nella stessa prefazione del Treati-se Keynes ammetteva di essere poco soddisfatto del risultato.Si trattava di una straordinaria ammissione per una figura cosìpubblica. Keynes era abbastanza umile da ammettere le propriemancanze, nonostante molto sicuro del fatto che la sua operavaleva la pena di essere pubblicata [2, pag. 86-88].

Alla fine constatò che Hayek non si era solo limitato alla cri-tica, ma aveva fatto espliciti riferimenti al dibattito accademicoin generale. In realtà le idee proposte da Keynes nel Treatise nonerano troppo distanti da quelle espresse da Hayek in Prices andProduction. La somiglianza significativa malgrado non potessedurare a lungo, era che entrambi davano per acquisito che in

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un’economia chiusa, l’output totale fosse stabile e che nel tem-po si sarebbe arrivati all’equilibrio in cui l’intera manodoperaè impiegata. La differenza principale consisteva invece nel fat-to che, nello stabilire le ragioni e gli effetti della disparità trarisparmi ed investimenti, Hayek faceva ricorso alla teoria delcapitale della Scuola austriaca concludendo che in quel lasso ditempo il livello di credito in un’economia era sfasato rispettoalla vera domanda.

Il secondo round delle critiche di Hayek al Treatise non tardòad arrivare e lo scontro assunse dei toni più accesi che mai. Laseconda edizione inglese di Prices and Production venne data al-la stampa nel 1931. L’opera non fu esente da numerose critichee la più famosa fu sicuramente quella portata avanti da Sraf-fa [35, pag. 1]. Hayek tentò di dimostrare che il denaro prestatosenza un congruo tasso di interesse, rispetto alla somma dei ri-sparmi, viene investito in una serie di produzioni non in gradodi autosostenersi. Quando il prezzo del denaro in prestito risul-ta squilibrato, intacca i vari passaggi del circolo produttivo dimerci, fino a quando, dopo un fisiologico periodo di crisi, vieneristabilito un nuovo equilibrio economico. Hayek parla di diffe-renza tra tasso di interesse di mercato e tasso di interesse naturale ingrado di sostenere la produzione a tutti gli stadi.

I detrattori dell’analisi hayekiana, ossia tutti i macroeconomi-sti che caldeggiano l’aumento costante della spesa come pana-cea per l’attuale crisi, vivono nel mondo di Keynes, in cui nonesiste la scarsità di risorse reali, di liquidità e di credito. Hayekritiene che queste persone non sono degne di essere conside-rate degli economisti. Per Hayek i macroeconomisti moderninon hanno saputo mettere in guardia dai pericoli dell’inflazio-ne ed ora sono letteralmente incapaci di dare una spiegazioneesauriente e coerente delle conseguenze, in questa crisi finan-ziaria e recessiva che si acuisce ed affligge l’economia mondiale.Per contro si limitano a promuovere istintivamente la politicakeynesiana per stimolare la ripresa che si basa sulla spesa indisavanzo e sul basso costo del denaro, una ricetta sicura perprolungare ed inasprire la Depressione secondo gli hayekiani.

Hayek non nega l’esistenza e la funzione delle istituzioni; es-se infatti non svolgono solo un’azione coercitiva. Egli nutre unafiducia smisurata nel libero mercato e quest’ultima si coniugacon un’incessante polemica contro l’economia pianificata e con-tro l’eccesso di interventismo statale. Tale polemica si sostanzianon solo di motivazioni di ordine economico o della persuasio-ne dell’inesistenza di una mente collettiva in grado di posse-

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dere tutte le conoscenze necessarie per la regolamentazione diuna società complessa, ma anche di ragioni etiche, politiche edesistenziali.

Per Hayek gli errori dei singoli sono riparati dal mercatostesso, essi servono a raddrizzare il tiro, a mettere l’individuonella condizione di scegliere per il meglio. Gli hayekiani sonoda ritenersi fondamentalmente degli ottimisti. Essi guardano alfenomeno della crisi in maniera positiva in quanto è la cono-scenza ad essere decisiva per il riassestamento dell’economia.Invece Einaudi, oltre ad essere stato il secondo presidente dellaRepubblica Italiana, fu un intellettuale ed economista di famamondiale. Ebbe contatti con Keynes, lo ammirò come autorediEconomic Consequences Of The Peace (1919) nonchè in qualitàdi biografo di economisti. Einaudi criticò aspramente gli Essaysin Persuasion(1931) e il saggio The Means to Prosperity (1933). Lasua recensione alla General Theory si dimostrò fredda. Einaudiè da ritenersi un fervente hayekiano, e precisamente in alcunimomenti anticipa il pensiero dell’economista austriaco. La cri-si doveva essere lasciata libera di esprimersi con la sua azionedevastatrice. Le imprese sopravvissute a tutto ciò, saranno ingrado di debellarla.

Sulla questione del metodo vi è un punto addirittura di fon-damentale accordo tra Hayek e Keynes, relativo al tipo di ana-lisi che la scienza economica è in grado di offrire, il quale diffe-renzia i due autori da molta teoria economica moderna. Hayekdistingue le scienze in termini del loro oggetto e pone l’eco-nomia tra quelle che studiano fenomeni altamente complessi.Sia Hayek che Keynes scrivono in periodi in cui non vi è an-cora una piena diffusione dei metodi matematici in economia,ma entrambi hanno lasciato chiare indicazioni sul fatto che nonritenevano l’oggetto della scienza economica passibile di for-malizzazione spinta. La crisi è stata caratterizzata da un usodi modelli di formazione dei prezzi delle attività finanziarierivelatisi fortemente inadeguati. Tale inadeguatezza, oggi og-getto di critica negli sviluppi di finanza comportamentale, nonavrebbe sorpreso Hayek né Keynes ma rimane un punto criticosottolineato dai macroeconomisti liberisti in generale.

La modellizzazione di un agente economico che massimizzal’utilità attesa di un flusso intertemporale di rendimenti delle at-tività finanziarie costituisce la base teorica dei modelli dei mer-cati finanziari sotto accusa. Ma per Hayek, come per Keynes,l’incertezza presente nei sistemi economici non è rappresenta-bile con modelli, anche se sofisticati, utilizzati per situazioni di

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rischio calcolabile, ed i soggetti economici fanno scelte che si di-scostano dalla massimizzazione dell’utilità attesa proprio per laloro percezione dell’incertezza. Sulla questione Keynes è criticosin dalla prima stesura della sua tesi di dottorato sulla teoriadella probabilità. Hayek vi costruisce la sua critica alla teoriadell’equilibrio generale. Su questo punto è chiara la convergen-za tra il gruppo di moderni post-keynesiani ed alcuni studiosidi matrice austriaca. Per entrambi il mercato non può esserecaratterizzato in tal modo, ed una azione di politica economicache non tenga conto di ciò è destinata al fallimento.

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4C O N C L U S I O N I : D U E D I V E R S I D E S T I N I .

Lo scontro avvincente tra Keynes ed Hayek sembra favorireKeynes, sebbene la sua non sia da considerarsi una vittoria de-cisiva. Robert Skidelsky, biografo di Keynes, sostiene che Hayekfu sconfitto da quest’ultimo nei dibattiti economici degli anniTrenta, perché, dopo il crollo dell’economia mondiale, nessunoera molto interessato a conoscere le cause che lo avevano scate-nato. Il keynesismo è stato considerato morto e sepolto un’in-finità di volte dalla metà degli anni Settanta in poi. Keynes èperò ancora ritenuto il padre della macroeconomia e tutt’oggiil suo pensiero è ancora preso in considerazione. Keynes cer-cava un rimedio alla disoccupazione di massa, e la sua terapiaconsisteva nella domanda aggregata totale. I suoi suggerimen-ti erano volti all’adozione di politiche monetarie, abbassando itassi di interesse ed immettendo una nuova liquidità dell’eco-nomia, con tagli alle tasse; attraverso opere pubbliche. MiltonFriedman fu scelto come guida a partire dagli anni Settanta daquasi tutti gli economisti e politici, dopo che l’applicazione deirimedi keynesiani aveva portato alla stagflazione nell’arco diqualche decennio. 1

Per Friedman, l’inflazione non è che un fenomeno monetarioe non si rivela utile nel lungo periodo per ridurre la disoccupa-zione. La sua regola di politica monetaria, incentrata nel con-seguimento del controllo della crescita di massa monetaria, èstata utilizzata dalla Federal Reserve negli Stati Uniti ed anchenella Banca Centrale Europea.

Friedman sosteneva che per rimettere in sesto l’economia sa-rebbe stato preferibile un aumento dell’erogazione di moneta

1 Milton Friedman (Brooklyn, 31 luglio 1912–San Francisco, 16 novembre2006) è stato un economista statunitense, esponente principale della Scuo-la di Chicago. Il suo pensiero ed i suoi studi hanno influenzato molte teorieeconomiche, soprattutto in campo monetario. Fondatore del pensiero mone-tarista, è stato insignito del Premio Nobel per l’economia nel 1976. I suoimaggiori contributi alla teoria economica riguardano gli studi sulla teoriaquantitativa della moneta, sulla teoria del consumo e sull’elaborazione delconcetto di tasso naturale di disoccupazione e sul ruolo dell’inefficacia dellacurva di Phillips nel lungo periodo. In macroeconomia, la curva di Phillipsè una relazione inversa tra tasso di inflazione ed il tasso di disoccupazione.Essa afferma che un aumento della disoccupazione risulta correlato ad unrelativo decremento del saggio dei prezzi. (Istituto Bruno Leoni)

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88 conclusioni : due diversi destini .

graduale, moderato e prevedibile. In campo economico Fried-man è stato più vicino a Keynes elogiandone la produzioneteorica, mentre se si parla di politica, il suo pensiero è più vici-no ad Hayek: quando lo Stato interviene in campo economicocompromette la capacità di creare ricchezza. Friedman si dimo-strava favorevole ai tagli delle tasse non per immettere liquiditànell’economia, bensì perché convinto che il governo in questomodo si sarebbe ridimensionato.

Verso la fine del Novecento si è avuto un revival di interes-se nei confronti delle ricette keynesiane in seguito all’aumentodella disoccupazione dovuto alle politiche deflazionistiche in-trodotte dopo gli anni Settanta. Tuttavia, la maggioranza deigoverni ritiene tuttora i rimedi keynesiani inefficaci o dannosiessendo essi atti a creare o mantenere occupazione in settoriimproduttivi o in perdita. Le politiche economiche keynesianevengono inevitabilmente associate ad un’inflazione crescente,ad una finanza pubblica poco solida e squilibrata, ad un raf-forzamento dello statalismo e ad un crollo del corporativismo,nonchè ad una generale ingovernabilità.

Negli anni Ottanta, Keynes, che in precedenza era stato con-siderato colui che aveva salvato il mondo dal marxismo, avevaormai raggiunto lo stesso Marx nel girone dei decaduti. Graziead un’analisi più acuta, però, ci si può accorgere come gli obiet-tivi di Keynes fossero, da un punto di vista sociale “moderata-mente conservatori”. Egli si batteva per una crescita non fine ase stessa, ma finalizzata ad ottenere maggiore tempo libero aduna vita caratterizzata da un alto grado di civiltà. SicuramenteKeynes ebbe il coraggio dell’eresia, ma fu trainato proprio daquesto coraggio solo fino ad un certo punto. Fu lui a rimarca-re il ruolo delle aspettative, ossia dell’incertezza fondamentaleche è il motivo che trasforma la moneta da unità di conto ariserva di valore, ritornando però poi suoi passi, perdendo divista alcuni pezzi fondamentali quali il consumo come sceltaintertemporale, l’investimento che dipende dal prezzo dei benidi investimento piuttosto che dal tasso di interesse.

Uno dei problemi fondamentali di Keynes fu quello di evi-denziare la necessità di un approccio macroeconomico e dina-mico, ma finendo poi con l’utilizzo di strumenti appartenenti alcorredo dell’equilibrio parziale e della statica comparata. Que-sto coraggio “a metà” ha lasciato i suoi successori ad un bivio:demolire quanto costruito o decidere di completare il quadro.La macroeconomia che conosciamo oggi è il risultato di questitentativi che hanno incontrato consensi alterni. Di sicuro l’appli-

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cazione di schemi keynesiani alle economie reali ha contribuitoad evitare che si ripresentasse una nuova generale Depressione,dall’altro lato hanno creato degli effetti collaterali imprevistiche hanno spinto gli economisti verso nuove cure.

La rivoluzione keynesiana ha prosperato per diversi anni do-po la morte del suo fautore e la maggioranza dei governi siimpegnò a mantenere la piena occupazione, non senza diversedeviazioni dall’originale teoria keynesiana. In ogni caso, soprat-tutto tre elementi della sua dottrina sembravano essere saldi. Inprimo luogo, tutti gli economisti accettavano il contesto macroe-conomico della teoria di Keynes. Nel 1976, la rivoluzione keyne-siana ricevette la sua condanna a morte proprio nel suo luogodi nascita, la Gran Bretagna, dove il primo ministro laburistaJames Callaghan, annunciò che l’opzione di “uscire dalla reces-sione espandendo la spesa non esisteva più”. In tutto il mon-do l’obbiettivo principale della politica macroeconomica era di-ventato raggiungere la stabilità dei prezzi, non più la pienaoccupazione; era iniziata la controrivoluzione monetarista.

Dopo decenni in cui i ragionamenti di Keynes sembravanoaver perso lo smalto che li caratterizzava, risultano oggi ancoraricchi del loro vigore anche se la politica economica keynesiananon può più essere difesa apertamente in seguito alla globa-lizzazione dei mercati. Anche l’era della gestione discrezionaledella domanda è tramontata e la tesi keynesiana dei governicome massimizzatori benevoli del benessere sociale è tramon-tata definitivamente. Per non parlare della peculiare situazioneeuropea, dove gli Stati hanno rinunciato totalmente alla lorosovranità monetaria e di spesa.

L’opinione pubblica si è spostata lentamente dalla parte diHayek. In Cile negli anni Settanta Hayek fu invocato a com-battere il comunismo anche se gran parte dell’Europa occiden-tale restava ancorata all’economia mista ed allo stato sociale;in Gran Bretagna il tatcherismo offriva una direzione nuova,sebbene si trattasse di una riproposizione di Hayek scremata emolto più simile a quella sposata dal New Labour di Tony Blair.Hayek ha riportato l’attenzione sul paradosso annidato nellaCostituzione americana, che sembra sostenere sia i diritti degliindividui, sia i poteri di un forte governo federale. Il partitorepubblicano, un tempo patria di conservatori disprezzati daHayek, è diventato il principale promotore del pensiero haye-kiano. I repubblicani, incalzati dal movimento Tea Party, hannoadottato l’invito di Hayek a favore di un governo più piccolo esfidato i democratici. In tal senso la politica americana è diven-

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tata sempre più hayekiana. Nonostante nell’ultimo trentenniol’influenza di Hayek sia cresciuta, Keynes non è mai scomparsodalle menti degli economisti.

Hayek assunse una posizione priva di compromessi. Neglianni la sua incapacità a trovare alleati in piena egemonia keyne-siana è quasi parsa ad indurlo a sostenere la sua causa ad absur-dum. Alla fine Hayek è giunto ad augurarsi che il potere stataleripiegasse in una piazzaforte minimale e ogni minimo elemen-to dell’economia finisse in mani private, persino l’erogazionedi liquidità, dato che contestava il monopolio statale del poteredi creazione di moneta. Questo lo mise in netta contrapposizio-ne con Friedman, il quale, pur desiderando vedere ridotto aiminimi termini il governo, pensava che un’economia dovesseessere gestita se si voleva garantire una crescita stabile. Hayekpensava che l’emissione di moneta fosse la chiave per evitaregli alti e bassi del ciclo economico, la preoccupazione sua e diKeynes. “Credo che se non fosse per l’interferenza statale nelsistema monetario non avremmo fluttuazioni industriali e pe-riodi di depressione”, dichiarò. “Se poni l’emissione di monetanelle mani di imprese il cui compito si basa sul successo nelmantenere stabile la moneta che emettono, la situazione cam-bia radicalmente” (Intervista ad Hayek di Thomas W. Hazlitt,1977).

Il disinteresse di Hayek per il parere di tanti intellettuali, con-vinti che i paesi socialdemocratici fossero più civili delle econo-mie liberiste, gli valse molte critiche ed il sommo disdegno dialcune figure sia di destra che di sinistra. Bruce Caldwell scri-ve: “Ha attaccato il socialismo quando era considerato la terzavia, quando sembrava che tutte le persone di buona volontàavessero simpatie socialiste... Per buona parte del secolo Hayekè stato oggetto di scherno, disprezzo o, ancor peggio per unintellettuale, indifferenza” [16, introduzione].

Malgrado l’appoggio del commentatore politico Glen Beck,che ha dedicato un bel po’ di energie alla divulgazione del mes-saggio di The Road to Serfdom [36, pag. 56-100], Hayek resta unafigura poco nota, paradossalmente un eroe, tanto per chi si ritie-ne emarginato, quanto per gli economisti preferiti dalle grandiimprese [2, pag.255]. La stesura di The Road to Serfdom segnòuna tappa nel lavoro di Hayek in quanto maturò definitivamen-te la svolta di pensiero che, seppur radicata in tutta la storiaintellettuale di questo studioso, lo portò a dedicarsi in modopreminente alla filosofia politica.

Hayek si applicò con passione e costanza al progetto ambi-

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zioso di ricostruire il pensiero liberale, minacciato da false con-vinzioni diffuse. Da questo impegno scaturirono le sue operepiù nuove, il suo pensiero originale. L’economista teorico si tra-sformò in filosofo del diritto e della politica, divenendo piùconsapevole della difficoltà che ciascuno studioso incontra nel-l’essere impegnato in campi diversi come la scienza politica, ildiritto, la sociologia l’economia, l’etica. La svolta fu contrasse-gnata un’intensa riflessione sui problemi della conoscenza e dauna rinnovata attenzione alla filosofia liberale, in stretta rela-zione, perché Hayek aveva riconosciuto che lo scientismo ed ilrazionalismo costruttivista offrono o rischiano di offrire, ancheal di là dell’intenzione dei singoli autori , giustificazione teoricadelle deviazioni totalitarie.

Allo stato attuale è difficile prospettare le future tendenzedell’economia; viviamo infatti in un’epoca di estrema turbolen-za internazionale. Questa è l’epoca dell’ortodossia monetarista,la quale ritiene possibile una diminuzione del tasso di disoccu-pazione attraverso politiche economiche volte a migliorare gliincentivi economici, deregolamentare il mercato dei beni e dellavoro e privatizzare le industrie di proprietà statale. Tuttavia,la questione di cosa e quanto i governi dovrebbero fare per sta-bilizzare l’attività economica non scompare perché la storia hadimostrato quanto l’attività del settore privato possa essere vo-latile. Inoltre, il monetarismo non è ancora riuscito a vincerela battaglia contro la disoccupazione, né è riuscito a produrredelle regole finanziarie completamente affidabili.

Alla luce di queste considerazioni dunque, i ragionamentiche Keynes avanzava tra le due guerre sembrano non aver per-so nulla del loro valore. Anzi, per quel che riguarda il proble-ma centrale della piena occupazione, la rivoluzione tecnologicacui abbiamo assistito conferma la diagnosi keynesiana e conessa il convincimento che il sistema capitalistico, se concepi-to come finalizzato unicamente al profitto, non è in grado diautoregolarsi.

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B I B L I O G R A F I A

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