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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE, NATURALI CORSO DI LAUREA IN FISICA LA PROMPT GAMMA NEUTRON ACTIVATION ANALYSIS (PGNAA) PER LA MISURA DEL BORO NELLA TERAPIA PER CATTURA NEUTRONICA (BNCT) Relatore Prof. Saverio Altieri Relazione per la laurea di Alessia Bazani Anno accademico 2006/2007

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE, NATURALI

CORSO DI LAUREA IN FISICA

LA PROMPT GAMMA NEUTRON ACTIVATION ANALYSIS (PGNAA) PER LA MISURA DEL BORO NELLA TERAPIA PER CATTURA NEUTRONICA

(BNCT) Relatore Prof. Saverio Altieri

Relazione per la laurea di Alessia Bazani

Anno accademico 2006/2007

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Alla mia famiglia

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Indice

1. Introduzione ..........................................................................................5

1.1. La Prompt Gamma-Ray Neutron Activation Analysis: cos’è e come nasce ............................................................................................................5

1.2. Impiego della PGNAA in ambito medico ............................................7

2. L’Analisi del Boro .................................................................................9

2.1. Tecniche Macroscopiche .......................................................................9 2.1.1. La Spettrometria Atomica ad Emissione (AES)........................................9

2.2. Tecniche Microscopiche......................................................................10 2.2.1. La Microscopia Ionica................................................................................10 2.2.2. L’Autoradiografia Quantitativa ad Alta Risoluzione (HRQAR) ...........10

3. La PGNAA...........................................................................................12

3.1. Fondamenti ..........................................................................................12

3.2. Determinazione della composizione di un campione........................14

3.3. Dati........................................................................................................16

3.4. Facilities e strumentazione..................................................................17

3.5. Configurazione sperimentale..............................................................19

3.6. Fasci neutronici diffratti: l’apparato SNU-KAERI... .......................21

3.7. Rivelatore .............................................................................................23

3.8. Soppressore d’effetto Compton/produzione di coppie .....................27

3.9. Calibrazioni e non linearità del sistema ............................................28

3.10. Limiti d’indagine e sensibilità ...........................................................30

3.11. Principali strutture di PGNAA a livello mondiale............................32

3.12. La rivelazione del boro........................................................................32

3.13. La PGNAA a Pavia..............................................................................41

Appendice A – Cenni di Ottica Neutronica................................................49

A.1. Ottica dei neutroni ed onde elettromagnetiche.................................49

A.2. La rifrazione.........................................................................................50

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A.3. La diffrazione.......................................................................................52

Appendice B – Sull’effetto Doppler [15] ....................................................56

B.1. Cinematica relativistica.......................................................................56 B.1.1. Radiazione da una sorgente in rapido movimento..............................56 B.1.2. Approfondimenti sull’effetto Doppler .................................................59 B.1.3. Effetto Doppler e dilatazione dei tempi...............................................60

Bibliografia..................................................................................................62

Ringraziamenti ............................................................................................64

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1. Introduzione

1.1. La Prompt Gamma-Ray Neutron Activation Analysis: cos’è e come nasce

La Prompt Gamma-Ray Neutron Activation Analysis (PGNAA) è un metodo radio-analitico potenzialmente in grado di identificare in un qualunque campione, che si presenti allo stato solido, liquido o gassoso, tutti gli elementi della tavola periodica (dall’idrogeno all’uranio, ad eccezione dell’elio1). Questa tecnica consiste nell’analizzare lo spettro dei raggi gamma emessi in seguito ad una reazione di cattura neutronica, quando il campione viene bombardato con un fascio di neutroni termici; l’energia dei gamma è infatti caratteristica di ciascun elemento presente nel campione. L’importanza della PGNAA risiede in alcune caratteristiche peculiari che andiamo ad elencare di seguito:

• essa permette di identificare la presenza simultanea di più elementi; consente inoltre di valutarne la massa;

• si tratta di una tecnica non distruttiva, quindi uno stesso campione può essere riutilizzato per analisi successive, in quanto non viene danneggiato.

La PGNAA trova applicazione in svariati ambiti, dalla medicina, alla scienza dei materiali, alla chimica e alla geologia, dall’industria mineraria, all’archeologia, all’analisi di prodotti alimentari e dell’ambiente.

1 La sezione d’urto di assorbimento σa= σc + σf dell’He4 è nulla; per l’He3 la reazione è 0n

1 + 2He3

→ 1H1 + 1H

3 + 0.74 MeV e porta quindi nello stato fondamentale del trizio.

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Nonostante lo sviluppo di questo metodo analitico non sia recente, il suo utilizzo è stato limitato per anni, finchè l’avvento di nuove tecnologie in fatto di fasci neutronici, sviluppo di database e rivelatori ne ha migliorato di gran lunga la sensibilità e ha così reso possibile un’analisi simultanea e precisa della composizione relativa dei materiali presi in esame. I primi dati raccolti per mezzo della PGNAA furono pubblicati nel 1966. In una delle prime applicazioni furono utilizzati dei fasci pulsati per separare i raggi gamma pronti dai prodotti di attivazione ritardati. Nello stesso anno vennero per la prima volta utilizzate delle guide neutroniche per i fasci ed i rivelatori al germanio (Ge) per la spettrometria gamma; questi presentano una risoluzione in energia circa venti volte migliore rispetto agli scintillatori che utilizzano ioduro di sodio (NaI). Questo apportò un miglioramento considerevole nell’ambito dell’interpretazione degli spettri complessi derivanti da processi di cattura neutronica. Inoltre l’utilizzo di rivelatori al germanio consentiva un’analisi rapida e, grazie alla risoluzione superiore, apportava un miglioramento dei limiti di analisi; questo portò alla completa sostituzione dello ioduro di sodio col germanio. Alla fine degli anni ’60 con l’introduzione di rivelatori al germanio, un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) misurò sistematicamente lo spettro dei raggi gamma di cattura di tutti gli elementi e pubblicò questi dati, tabulando le sensibilità analitiche. In questo stesso periodo diversi centri di ricerca sia negli Stati Uniti che in Giappone ed in Canada, tabularono delle serie di dati riguardanti l’analisi dei raggi gamma e delle loro interferenze. Un ulteriore miglioramento si ebbe con la raccolta di dati provenienti dall’analisi dei raggi gamma prodotti per attivazione neutronica da più di 10,000 elementi, dati che vennero integrati con le energie, le abbondanze isotopiche e le sezioni d’urto provenienti per lo più dalle misure effettuate al MIT. La completezza di questi dati li rese indispensabili nell’ambito della PGNAA per circa un ventennio. Recentemente è stata pubblicata una raccolta di dati riguardanti gli elementi dall’idrogeno allo zinco, provenienti per lo più dal Budapest Research Reactor. L’ultimo decennio ha visto un forte incremento nell’utilizzo della PGNAA grazie anche alla disponibilità di fasci di neutroni termici e freddi ad alto flusso. Questi fasci possono essere completamente “filtrati”, in modo tale da eliminare i neutroni veloci ed i raggi gamma del fondo, e quindi incrementare il rapporto tra segnale e fondo [1].

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1.2. Impiego della PGNAA in ambito medico

Come già detto in precedenza la PGNAA trova impiego nei campi più svariati ed è particolarmente indicata in campo medico, soprattutto nell’ambito della Boron Neutron Capture Therapy (BNCT) [2-4]. Quest’ultima è una terapia medica utilizzata nella cura dei tumori che si basa essenzialmente sulla reazione di cattura che si verifica quando un nucleo di 10B, un isotopo stabile del boro naturale2, viene irraggiato con un fascio di neutroni termici3. Tale reazione produce elementi secondari ad alto LET4 quali particelle α (4He) e ioni di litio (7Li) [10].

10B + n (~ 0.025 eV) → [ 11B (2.79 MeV) ]

4He (1.47 MeV) + 7Li * (1.32 MeV) (93.9%) 7Li (0.84 MeV) + γ (0.478 MeV)

Questa reazione viene sfruttata nell’ambito della BNCT in quanto presenta due aspetti fondamentali:

• la sezione d’urto elevata (~3840 barn per neutroni da 0.025 MeV);

• il Q-valore positivo (2.792 MeV). La BNCT fornisce un modo per distruggere selettivamente le cellule maligne,

salvaguardando quelle sane. A tale scopo, è necessario trasportare, in 2 La composizione isotopica per il boro è la seguente: 11B con abbondanza relativa 80.1%, 10B con abbondanza relativa 19.9%. 3 I fasci di neutroni emessi da un reattore vengono classificati secondo l’energia di emissione E: a) neutroni termici (E< 0.5 eV), b) neutroni epitermici (0.5 eV < E < 10 KeV), c) neutroni veloci (E > 10 Kev). 4 Il LET (Linear Energy Transfer) è un parametro dosimetrico che indica la perdita di energia rapportata alla lunghezza di cammino percorso linearizzato.

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maniera selettiva appunto, una quantità sufficiente di boro all’interno delle cellule tumorali (~20µg/g o ~109 atomi/cellula)5 [5]; gli atomi di boro devono inoltre assorbire abbastanza neutroni termici, in modo tale da poter rendere effettivamente letale la reazione 10B(n,α)7Li. A livello clinico, il boro viene trasportato all’interno delle cellule per mezzo di molecole-vettori (BPA, BHS, porfirine, liposomi, …). La scelta di un composto piuttosto che un altro dipende fortemente dalle necessità del caso (tessuti ed organi da trattare, assorbimento necessario, …). A questo punto la parte malata viene irraggiata con neutroni provenienti da un reattore nucleare. Volendo irraggiare un tessuto, è di importanza fondamentale conoscere la concentrazione di boro presente in quest’ultimo. La PGNAA si presta bene a questo scopo. Essa infatti, a differenza di altri metodi di analisi non è una tecnica distruttiva ed uno degli aspetti più rilevanti sta nella possibilità di effettuare delle analisi su campioni di tessuto non precedentemente messi sotto vuoto, cosa non possibile con le altre tecniche di analisi, cui accenneremo in seguito. Questa tesi si propone di presentare in dettaglio la PGNAA come una delle metodologie attualmente più adatte per l’analisi della concentrazione del boro in tutti quei tessuti la cui struttura non permetta di porli sotto vuoto. Per completezza e per mettere in rilievo i vantaggi di questa tecnica, si è ritenuto opportuno inserire una breve discussione riguardante le altre tecniche utilizzate in questo ambito . Si entrerà poi nel merito della PGNAA con una sezione dedicata alla descrizione dei meccanismi fisici alla base di questa tecnica e della strumentazione, riportando i risultati ottenuti presso alcune strutture, quali il reattore di ricerca di Dalat in Vietnam, la SNU-KAERI di Seoul, il reattore di Budapest, il Bhabha Atomic Research Centre (BARC), in India [1, 7] . Infine ci dedicheremo ad una breve discussione sulle sensibilità.

5 La concentrazione efficace può in realtà variare dai 10 ai 35µg/g, in quanto le strutture subcellulari non presentano tutte la medesima sensibilità alle radiazioni. Se ad esempio per il DNA una concentrazione minima è in grado di arrecare danni irreparabili, per il citoplasma occorrono concentrazioni più elevate.

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2. L’Analisi del Boro

Le tecniche di analisi del boro possono essere divise in due categorie: • tecniche macroscopiche; • tecniche microscopiche.

Le prime forniscono dati riguardanti concentrazioni complessive di 10B in campioni liquidi, frammenti di tessuto o campioni di sangue e vengono generalmente utilizzate per studi nell’ambito della distribuzione biologica o della farmacocinetica del boro. Le tecniche microscopiche vengono invece utilizzate laddove occorra un’analisi mirata ad evidenziare la distribuzione del 10B a livello cellulare e subcellulare6[4, 10].

2.1. Tecniche Macroscopiche

2.1.1. La Spettrometria Atomica ad Emissione (AES)

La tecnica AES è una delle tecniche spettroscopiche più precise e sensibili: l’accuratezza nella stima delle concentrazioni di 10B è infatti compresa nell’intervallo 10 ng/g – 0.1 µg/g. Rispetto alla PGNAA, che, come abbiamo più volte detto è una tecnica non distruttiva, la AES presenta l’inconveniente della dissoluzione del campione, che non può quindi essere riutilizzato per analisi successive. Il campione viene quindi nebulizzato in un plasma di argon, in modo tale da indurre un’eccitazione. In seguito alla diseccitazione, vengono emessi dei fotoni che vengono raccolti ed

6 Vedi nota 5.

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analizzati: l’intensità dello spettro di emissione è proporzionale alla quantità di 10B presente nel campione.

2.2. Tecniche Microscopiche

2.2.1. La Microscopia Ionica

La Secondary Ion Mass Spectroscopy (SIMS) è una tecnica analitica che consente di rilevare la presenza di tutti gli isotopi dall’idrogeno all’uranio con concentrazioni dell’ordine del ppb7. Il principio base di questa tecnica è il seguente: un campione, precedentemente posto in una camera a vuoto e congelato, viene irraggiato con un fascio primario di ioni positivi di ossigeno (per esempio), provocando l’espulsione di ioni dalla superficie (sputtering), ioni che vengono poi inviati ad uno spettrometro di massa attraverso un potenziale elettrico. Attraverso l’utilizzo di un microscopio ionico è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra l’elemento rilevato all’interno del campione ed il segnale che giunge al rivelatore, risolto in massa/energia. Le immagini prodotte consentono di mettere in relazione la distribuzione degli isotopi rilevati con la struttura morfologica del tessuto con una risoluzione spaziale inferiore al µm.

2.2.2. L’Autoradiografia Quantitativa ad Alta Risoluzione (HRQAR)

La HRQAR consente di analizzare campioni di tessuto estremamente sottili (1-2 µm) disposti su vetri al quarzo rivestiti con 2 polimeri; l’irraggiamento avviene per mezzo di neutroni termici, con una fluenza8 di ~1013 n/cm2. Il primo polimero è un policarbonato (Lexan) che forma una pellicola dello spessore di ~0.8 µm, sensibile all’attraversamento delle particelle pesanti cariche. Il passaggio di particelle cariche come le α o altri ioni pesanti

7 Parts Per Billion: se una sostanza ha una concentrazione di x ppb in un certo campione, significa che ogni tonnellata di quel campione ne contiene x mg. 8 La fluenza di particelle (Φ) è una grandezza radiometrica caratteristica di un campo di radiazioni e rappresenta il numero di neutroni che attraversano una data superficie. Analogamente è possibile definire la fluenza di energia (Ψ).

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spezza le catene polimeriche, lasciando una traccia delle traiettorie delle particelle stesse, traiettorie che possono essere evidenziate, dopo l’esposizione alle radiazioni, trattando il policarbonato con una soluzione alcalina. Il secondo polimero (Ixan) forma una membrana impermeabile di ~0.3 µm, che protegge il tessuto durante il trattamento con la soluzione alcalina per la rivelazione delle tracce delle α. I campioni vengono immersi in ghiaccio secco sia prima che durante l’irraggiamento per impedire la diffusione del 10B. Dopo l’irraggiamento il tessuto viene sottoposto ad un’analisi istologica. Dopo di che si rigira il campione in modo tale da esporre la pellicola di Lexan (dopo aver accuratamente staccato il vetro di quarzo9), e si procede quindi al trattamento con soluzione alcalina. Ottenuta l’immagine delle traiettorie la si sovrappone all’immagine ottenuta per analisi istologica. L’HRQAR ha una risoluzione elevata (1-2 µm) ed i limiti di indagine sono di ~0.2 µg/g di 10B. Con questa metodologia, è possibile effettuare un’analisi quantitativa della concentrazione assoluta di 10B, qualora sia nota la curva della densità delle tracce in funzione della concentrazione di 10B.

9 Per scoprire la membrana di Lexan occorre appoggiare sul tessuto un secondo vetro, precedentemente bagnato in glicerina, e portare il tutto ad una temperatura di ~4°C per due giorni. Dopo di che è possibile capovolgere il campione e staccare il primo vetro.

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3. La PGNAA

3.1. Fondamenti

La reazione nucleare usata nella PGNAA consiste nella cattura di un neutrone da parte di un nucleo stabile:

n + (Z,A) → (Z,A+1) + γ Tale processo avviene quando il nucleo viene bombardato con neutroni termici, la cui energia è dell’ordine di frazioni dell’elettronvolt (eV) o inferiore. Questo processo può essere descritto con il modello di Nucleo Composto (N.C.) [17]. Dopo la cattura di un neutrone, il nucleo si ritrova in uno stato eccitato: l’energia cinetica del neutrone viene rapidamente ridistribuita tra tutti i nucleoni prima che venga riemessa una particella. Si forma così uno stato metastabile la cui energia di eccitazione è data da:

BEE cecc +=

dove Ec è l’energia cinetica nel sistema del centro di massa e B l’energia di legame di un neutrone nel nucleo. In seguito il nucleo si diseccita, e può emettere raggi γ10. Questo avviene in un tempo dell’ordine di 10-16 secondi. Come abbiamo già detto nell’introduzione, le energie dei gamma emessi sono caratteristiche per ciascun elemento. Dall’analisi dello spettro delle

10 Il N.C. può decadere emettendo un neutrone che lascia il nucleo nello stato fondamentale (scattering elastico di risonanza) o in uno stato eccitato (scattering inelastico di risonanza), oppure con emissione di raggi γ o particelle cariche.

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energie è quindi possibile risalire alla composizione del materiale irraggiato; in particolare:

• dall’energia dei gamma emessi è possibile risalire agli elementi che costituiscono il campione;

• dall’intensità dei picchi di una data energia è possibile risalire alla concentrazione di un particolare elemento nel campione.

Facciamo un esempio. La reazione più semplice in assoluto è quella di cattura di un neutrone da parte di un protone:

n + 1H → γ + 2H o equivalentemente

1H(n,γ) 2H In questo caso, dopo la cattura, il nucleo si trova in uno stato a 2.2 MeV; questo in seguito decade emettendo un raggio gamma con energia caratteristica di 2223.23 keV. In particolare il rate di emissione di questi raggi gamma consente di misurare la quantità di idrogeno presente nel campione irraggiato. I nuclei più complessi, in seguito ad un processo di cattura, possono addirittura raggiungere stati eccitati caratterizzati da un’energia di 10 MeV al di sopra del livello fondamentale, e generalmente decadono emettendo una cascata di raggi gamma. Se il campione è costituito da un miscuglio di elementi, esso emetterà un “miscuglio” di raggi gamma, fatto questo, che rende gli spettri di cattura molto complessi da analizzare [11].

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Fig. 3.1. Esempio di rivelazione di alcuni elementi per due campioni di materiale

biologico ed una roccia.

3.2. Determinazione della composizione di un campione

Il rate di conteggio dei raggi gamma originati da processi di cattura di neutroni termici (per elementi che, come il boro, hanno un andamento 1/υ della sezione d’urto) è dato da:

m

tNA m/γ= (3.1)

ed è generalmente espresso in conteggi · g-1 · s-1. Nγ rappresenta il numero di conteggi durante l’intervallo di tempo tm, originati da un elemento di massa m.

Possiamo definire il fattore k0 relativo ai raggi gamma prodotti da un elemento x, a partire da un elemento campione c, come:

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cc

xx

c

x

cc

xx

cc

xx

M

M

EP

EP

A

Ak

/

/

)(

)(

/

/

,0

,0

,

,

,

,0 θ

θσσ

εε

γ

γ

γ

γ == (3.2)

dove M è la massa atomica, θ è l’abbondanza isotopica, σ0 è la sezione d’urto di cattura per neutroni di 2200 m/s (υ0), P(Eγ) è la probabilità assoluta di emissione gamma (ovvero il numero di raggi gamma emessi per processo di cattura) e εγ è l’efficienza del rivelatore. La costante k0 può essere definita anche in modi differenti, utilizzando ad esempio la sezione d’urto effettiva di cattura definita come:

=

=

=

00

00

0

0

0

)()(1

)()(1

)(

)()(1ˆ

υυυσυρυ

υυυσυυ

υυ

υυυσυ

υσ

γ

γ

γ

d

dnn

dn

dn

t

(3.3)

dove υ è la velocità del neutrone, n(υ)dυ è il numero di neutroni con velocità compresa tra υ e υ + dυ, σγ(υ) è la sezione d’urto del nuclide in considerazione dipendente dalla velocità del neutrone, nt è la densità totale di neutroni e ρ(υ) è la funzione di distribuzione (normalizzata) delle velocità dei neutroni11. La massa relativa di un elemento x può essere determinata nel modo seguente:

x

R

R

x

R

x

xk

Rk

A

A

m

m

εε

)(

)(

0

0= (3.4)

dove R è un elemento di riferimento arbitrario contenuto all’interno del campione. Questo rapporto risulta indipendente dal flusso neutronico; esso dipende solo dalle costanti nucleari e dall’efficienza del rivelatore, dati

11 Per i neutroni termici la funzione di distribuzione delle velocità è una maxwelliana.

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generalmente noti con una buona accuratezza. In particolare i fattori k0 per tutti gli elementi sono stati determinati al Budapest Research Reactor [1, 9]. 3.3. Dati

Analizzando lo spettro dei raggi gamma emessi da una sorgente radioattiva, è possibile identificare, in teoria, praticamente ogni elemento. Un database completo ed aggiornato è disponibile sul sito http://www-nds.iaea.org/pgaa/; i dati, estratti dall’Evaluated Nuclear Structure Data File (ENSDF), sono stati ottenuti dalle misure effettuate presso il reattore di ricerca di Budapest [22].

Il database di cui sopra comprende tutti gli elementi dall’idrogeno all’uranio, riportandone la composizione isotopica, l’energia dei raggi gamma emessi, le sezioni d’urto relative a meccanismi di cattura neutronica, le modalità di decadimento e vari altri dati utili all’applicazione della PGNAA in svariati campi.

Index to PGAA Data n Click on an element to see ENSDF and Budapest PGAA data

H He

Li Be B C N O F Ne

Na Mg Al Si P S Cl Ar

K Ca Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr

Rb Sr Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd In Sn Sb Te I Xe

Cs Ba La Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Tl Pb Bi Po At Rn

Fr Ra Ac Rf Db Sg Bh Hs Mt 110 111 112 114 116 118

Ce Pr Nd Pm Sm Eu Gd Tb Dy Ho Er Tm Yb Lu

Th Pa U Np Pu Am Cm Bk Cf Es Fm Md No Lr

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3.4. Facilities e strumentazione

La strumentazione di base utilizzata nella PGNAA comprende: una sorgente di neutroni, un mezzo per l’introduzione dei campioni e un rivelatore per raggi gamma al germanio (HPGe). In Fig. 3.2. è riportato uno schema generale della facility.

Fig. 3.2. Schema generale della facility.

Il fascio di neutroni impiegato può provenire da due diverse tipologie di sorgenti: un gruppo utilizza neutroni termici o freddi estratti da un reattore nucleare, mentre l’altro sfrutta il decadimento di isotopi radioattivi o i generatori di neutroni. L’obiettivo principale resta comunque quello di ottenere dei fasci che siano il più possibile puri, riducendo al massimo la percentuale di neutroni epitermici e di raggi gamma di fondo. Questo in quanto lo spettro energetico dei neutroni e la frazione di neutroni epitermici influenzano ampiamente la misura del rate di cattura. Ciò si può ottenere filtrando il fascio attraverso blocchi successivi di cristalli di zaffiro o di bismuto di lunghezze diverse, oppure mediante il meccanismo della diffrazione [1, 6].

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Fig.3.3. La facitlity di PGNAA installata al MITR-II di Boston: il fascio viene filtrato attraverso una successione di cristalli di zaffiro e quindi focalizzato sul

campione con dei cristalli di grafite.

Misurazioni riguardanti i coefficienti di attenuazione dei neutroni veloci e dei fotoni, eseguite presso il reattore di ricerca MITR-II di Boston (v. Fig.3.3.), mostrano come la percentuale trasmessa sia dello 0.04% nel caso dei neutroni veloci e del 2.7% nel caso dei fotoni, mentre i neutroni termici vengono trasmessi al 50.4% (v. Tab.III.I) [6].

Tab. III.I. Percentuali di trasmissione di neutroni termici, veloci e dei fotoni per un

cristallo di zaffiro di 30 cm.

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3.5. Configurazione sperimentale

Dati gli elementi essenziali di un apparato di PGNAA, questi possono avere caratteristiche diverse da un laboratorio di ricerca all’altro, a seconda delle finalità per cui questa tecnica viene usata. Per descrivere questi elementi essenziali passeremo in rassegna le facities installate in alcuni laboratori. Presso il reattore di ricerca Dalat (Vietnam) è installato l’apparato per la PGNAA riportato in Fig.3.4.[1, 6] Dal nocciolo del reattore viene estratto un fascio di neutroni termici contaminato da neutroni veloci e raggi gamma di energia elevata. Per ottenere un fascio di soli neutroni termici vengono utilizzati:

• un blocco di grafite come moderatore; • un blocco di bismuto utilizzato come filtro per

minimizzare la radiazione gamma di elevata energia sul campione.

Fig. 3.4. Configurazione della facility di PGNAA presso il reattore di ricerca Dalat.

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Questi accorgimenti portano ad una riduzione del flusso neutronico da un livello di 1012 n · cm-2

· s-1 (all’inizio del canale, quindi alla riduzione contribuisce anche la distanza) ad un valore di 2.1 × 107 n · cm-2 · s-1. A questo punto il fascio attraversa un dispositivo (composto principalmente da paraffina borata, cadmio e carburo di boro) posizionato sopra un carrello, che, scorrendo, consente di schermare il fascio durante il posizionamento del campione12. Il rivelatore (con una risoluzione di 2.5 keV a 1332 keV) al germanio ad altissima purezza è posizionato ad un angolo di 90° rispetto alla direzione del fascio e raccoglie i fotoni derivanti dalla reazione 10B(n,α)7Li, fornendo una stima della quantità di 10B presente. Il rivelatore è a sua volta contenuto in una nicchia di carburo di boro, paraffina borata e piombo in grado di proteggerlo dai raggi gamma indesiderati provenienti dai neutroni diffusi dal campione o dalle reazioni di cattura dei materiali di schermatura. Il lato rivolto verso il campione è protetto da uno spessore di fluoruro di litio (LiF) o carbonato di litio Li2CO3 il cui scopo è ancora una volta quello di assorbire i neutroni lenti senza produrre altri raggi gamma.

Fig. 3.5. Profilo del flusso neutronico nella posizione del campione.

12 I livelli di radiazione nella posizione del campione sono comunque bassi: si rilevano intensità di dosi di 10 e 30 µSv/h rispettivamente per i raggi gamma e per i neutroni.

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I dati vengono poi inviati ad un analizzatore multicanale (MCA) che rileva il segnale proveniente dal rivelatore e lo converte in un segnale digitale. L’output viene a questo punto inviato ad un computer che raccoglie ed analizza i dati.

3.6. Fasci neutronici diffratti: l’apparato SNU-KAE RI

La facility per PGNAA SNU-KAERI, installata presso il reattore Hanaro di Seoul è stata sviluppata grazie alla collaborazione della Seoul National University (SNU) e del Korean Atomic Energy Research Institute (KAERI) ed è operativa dal maggio 2001. In questa struttura, il fascio di neutroni termici viene estratto utilizzando cristalli di grafite pirolitica (PG), in base al metodo della diffrazione di Bragg13, con un angolo di Bragg di 45°; gran parte del flusso è così originato dai primi due, tre e quattro ordini di diffrazione (v. Fig. 3.6.).

Fig.3.6. Spettro di diffrazione del fascio policromatico di neutroni, misurato per mezzo di uno spettrometro a tempi di volo (TOF). Gli ordini di diffrazione superiori al sesto vengono calcolati indirettamente confrontando i risultati teorici con le misure delle sezioni d’urto effettive per la reazione 10B(n,α).

13 In analogia con le onde elettromagnetiche, vale l’equazione di Bragg, che dà la lunghezza d’onda diffratta quando un neutrone incide con un angolo θ su una serie di piani reticolari (h,k,l):

θλ sin2dn = dove n è l’ordine di riflessione e d è la separazione tra i piani caratterizzati dagli indici di Miller (h,k,l).

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Il valore teorico del flusso diffratto viene ottenuto considerando le ampiezze vibrazionali del cristallo di PG; questo viene poi confrontato con i valori ottenuti sperimentalmente (v. Tab. III.II.). Lo spettro finale del fascio viene ottenuto aggiungendo una componente continua di background dovuta allo scattering con le strutture di supporto dei cristalli di PG.

Fig.3.7. Spettro del fascio nella posizione del

campione.

Tab.III.II. Andamento del flusso relativo in funzione dell’ordine di diffrazione. Si noti come il contributo maggiore sia fornito dai picchi di ordine n = 2, 3, 4.

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Il primo importante utilizzo della SNU-KAERI è stato quello di determinare la sensibilità per il boro. Allo scopo sono stati utilizzati campioni solidi preparati con una soluzione di acido borico diluito. Analizzando lo spettro dei raggi gamma da 478 keV è stata ottenuta una sensibilità di 2131 conteggi / (s · mg-B), con un limite di rivelazione di 0.067 µg.

3.7. Rivelatore

Il rivelatore è composto da un singolo cristallo di germanio ad altissima purezza (HPGe), che può essere di tipo p o di tipo n, a seconda della natura dei portatori di carica maggioritari: rispettivamente buche o elettroni. Per ottenere un singolo cristallo di germanio si procede facendolo “crescere” con la tecnica Czochralski: si immerge un cristallo madre, appositamente tagliato, in un bagno di germanio che si trova ad una temperatura appena superiore quella di solidificazione. A mano a mano che il cristallo cresce, la madre viene estratta lentamente dal bagno.

b)

Fig. 3.8. a) Schema della tecnica Czochralski. b) Formazione di un singolo cristallo di germanio.

a)

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Dopo il raffreddamento viene tagliato in wafers circolari. Utilizzando poi una sonda di Hall, è possibile stabilire la natura del germanio. Un rivelatore HPGe è sostanzialmente un diodo polarizzato inversamente. Il collegamento al circuito elettrico avviene per mezzo di due elettrodi fortemente drogati n+ e p+ (v. Fig. 3.9.). Rivelatori di tipo n hanno generalmente una risoluzione peggiore alle alte energie, rispetto a quelli di tipo p [14, 16, 18, 23].

Fig. 3.9. Configurazione di un rivelatore di tipo p e di uno di tipo n.

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L’attività minima rivelabile (MDA) dipende dall’efficienza e dalla risoluzione di un detector secondo la relazione (3.5)

)(

)()()(

E

EBEREMDA

ε≅ (3.5)

dove R(E) è la risoluzione in energia, B(E) il background e ε(E) è l’efficienza assoluta del rivelatore, definita come il rapporto tra il numero di conteggi sotto il fotopicco ed il numero di raggi gamma emessi dalla sorgente. La (3.5) dipende oltre che dall’energia, anche dalle dimensioni del rivelatore; infatti:

• l’efficienza è proporzionale al volume; • la risoluzione è inversamente proporzionale al volume; • il background è direttamente proporzionale all’efficienza (v. Fig.

3.10).

Fig. 3.10. Background in funzione del volume del rivelatore.

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Un’altra differenza tra rivelatori di tipo n e di tipo p sta nelle conseguenze legate al danneggiamento da neutroni. i neutroni veloci danneggiano infatti il reticolo cristallino del germanio, creando dei centri in cui le buche restano intrappolate, con una probabilità maggiore rispetto agli elettroni [12, 16]. Questo causa un allargamento dei picchi e la formazione di code alle basse energie. La perdita di segnale in seguito a questo meccanismo è strettamente legata alla distanza che devono percorrere le buche ed alla geometria degli elettrodi. In un rivelatore di tipo n, le buche si accumulano nel contatto più esterno e devono percorrere una distanza breve prima di raggiungere l’elettrodo; nei detector di tipo p invece, le buche si accumulano nei pressi del contatto centrale e dovranno percorre distanze maggiori. Per questa ragione un rivelatore appartenente alla prima categoria risulta più resistente alla radiazione rispetto ad uno dell’altra. Il danneggiamento dipende naturalmente dalla fluenza dei neutroni incidenti. In particolare, per una data fluenza, possiamo stimare il calo di corrente come

2

φdKqnJ i= (3.6)

dove q è la carica elettrica, φ è il flusso, ni la concentrazione dei portatori di carica, d la profondità del “buco” creato dai neutroni e K la costante di danneggiamento (dipende dal tipo di radiazione e dalla sua energia).

Fig. 3.11. Paragone tra un rivelatore di tipo n ed

uno di tipo p: risoluzione in energia del contatto centrale in

funzione del flusso neutronico. La

risoluzione è data in termini di FWHM del

picco e della deviazione standard (S.D.) della

distribuzione di energia,

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3.8. Soppressore d’effetto Compton/produzione di coppie

Tra i fotoni prodotti nelle reazioni di cattura neutronica che avvengono nel campione in esame, solo una certa percentuale contribuisce a produrre il fotopicco del segnale effettivo; la maggior parte di essi rilascia solo una frazione della loro energia nel rivelatore perché i fotoni secondari, generati in processi di scattering Compton o di produzione di coppie, sfuggono dal rivelatore; l’energia rilasciata in questi eventi non finisce nel fotopicco e contribuisce ad innalzare il fondo. Al fine di eliminare il più possibile la contaminazione dovuta a tali eventi, è possibile completare la struttura di base aggiungendo attorno al rivelatore un detector che funga da soppressore. Nella facility di Budapest, per esempio, questo è essenzialmente un anello costituito da 8 rivelatori in germanato di bismuto (Bi4Ge3O12: BGO, v. Fig.3.12.), e da due scintillatori NaI. Nella misura vengono accettati solo i segnali che sono in anticoincidenza col soppressore (o in modalità Compton) [1, 7] .

Fig.3.12. Sezione dello spettrometro HPGe BGO installato al reattore di ricerca di Budapest.

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Fig.3.13. Spettri di un campione di CCl4: la traccia in rosso è relativa allo spettro normale, quella in nero allo spettro ottenuto con il soppressore d’effetto Compton.

Nella Fig. 3.13. sono riportati due spettri: uno senza tener conto del soppressore ed uno lavorando in anticoincidenza con esso. Da una rapida analisi della figura osserviamo la drastica riduzione del fondo. Questa può essere quantificata calcolando, il rapporto ∆R (Rsingola / RCompton) tra gli eventi nell’unità di tempo in un fissato intervallo di energia raccolti dal rivelatore in funzionamento standard e di quelli ottenuti in modalità di soppressione Compton. Questo rapporto dipende dall’energia dei gamma e si va da un valore di ~5 a 1332 keV (60C) ad un valore di ~40 per raggi gamma di energia di 7000 keV.

3.9. Calibrazioni e non linearità del sistema

L’analizzatore multicanale viene generalmente calibrato tra 0.1 e 8 MeV, utilizzando i raggi gamma di 152Eu e 60Co prodotti per attivazione neutronica, ed i gamma pronti di 36Cl e 49Ti. La non linearità nella risposta dello spettrometro viene determinata eseguendo un fit di una funzione polinomiale con i dati osservati.

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La calibrazione dell’efficienza dello spettrometro in funzione dell’energia è molto importante sia per esperimenti spettroscopici che analitici. Questa procedura può risultare piuttosto problematica quando l’energia di interesse è elevata. Risultati accurati sono stati ottenuti per un range compreso tra 100 keV e 10 MeV, suddiviso in tre regioni energetiche. La calibrazione viene effettuata utilizzando sorgenti radioattive di raggi gamma quali 24Na, 54Mn, 57Co, 60Co, 65Zn, 88Y, 137Cs, 152Eu, 241Am (limitatamente alla regione che va da 100 a 2754 keV). I rimanenti valori fino a 10 MeV sono ottenuti dall’analisi dei raggi gamma pronti provenienti dalle reazioni 35Cl(n,γ), 14N(n,γ) e Ti(n,γ). Valori dell’efficienza tipici per l’analisi del boro in materiale biologico sono dell’ordine di 10-4 ÷ 10-5; l’incertezza standard per basse energie risulta inferiore al 3%, mentre risulta inferiore al 5% per lo spettro nel suo complesso. In Fig. 3.14. è riportato l’andamento dell’efficienza in funzione dell’energia per una distanza tra campione e rivelatore pari a 40 cm [1].

Fig.3.14. Efficienza dello spettrometro in funzione dell’energia per la facility installata presso il Bhabha Atomic Research Centre (BARC).

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3.10. Limiti d’indagine e sensibilità

Utilizzando un fascio di neutroni con un rate di fluenza elevato si ottiene generalmente una precisione maggiore, accanto a limiti di rivelazione più bassi; in particolare si può dimostrare empiricamente come i limiti di rivelazione siano inversamente proporzionali alla sensibilità. Quest’ultima viene determinata empiricamente irraggiando una quantità nota dell’elemento di interesse. La sensibilità è inoltre influenzata da altri fattori, quali:

• la sezione d’urto di cattura dei neutroni termici; • il numero di picchi; • le loro energie e le loro intensità; • le interferenze dovute al fondo.

I principali errori nella determinazione della concentrazione degli elementi sono dati da:

• incertezze statistiche nel calcolo delle aree dei picchi di energia;

• fattori k0; • efficienza del rivelatore.

Gli ultimi due, tipicamente, hanno delle deviazioni standard dell’ordine di qualche percento, così che l’incertezza totale è determinata principalmente dai conteggi statistici. I valori dei fattori k0 tabulati sono stati misurati rispetto alla sezione d’urto dell’idrogeno e questo introduce un errore sistematico dello 0.2%. Le interferenze derivanti dai raggi gamma di contaminazione vengono esaminate ad una ad una, ed i picchi che ne risultano affetti possono essere corretti oppure eliminati dai calcoli. Altrettanto importanti sono le correzioni dovute all’assorbimento dei raggi gamma da parte del campione, con particolare riguardo ai gamma alle basse energie; i dati possono essere corretti utilizzando i dati di assorbimento teorici. Le sorgenti di fondo più importanti sono quelle dovute all’ossigeno ed all’azoto nell’aria, al ferro e all’alluminio delle postazioni di conteggio, al fluoro presente nei contenitori di Teflon che racchiudono i campioni.

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Anche il fondo naturale, dovuto alle catene dell’uranio e del torio14 ed al 40K, contribuisce allo spettro. Per questo motivo gli spettri di fondo vengono raccolti ed utilizzati per correggere le analisi laddove si ritenga necessario. In assenza di fondo vengono rilevati più facilmente quegli elementi che danno prodotti caratterizzati da un’elevata abbondanza isotopica, da sezioni d’urto elevate e da un’alta produzione di raggi gamma [1, 11].

Tab. III.III. Sensibilità e limiti d’indagine misurati per alcuni elementi, utilizzando un fascio di neutroni termici con flusso pari a 7.9 × 107 n · cm-2 · s-1, per un periodo

di conteggio di 10000 s.

14 In natura sono presenti tre catene radioattive, caratterizzate dal loro numero di massa: a) catena del torio: A = 4n; b) catena dell’uranio: A = 4n + 2; c) catena dell’attinio: A = 4n + 3. Ciascuna di queste termina con un isotopo stabile del piombo. Esiste anche una quarta catena, la catena del nettunio (A = 4n + 1) che in realtà non è presente in natura, ma è stata prodotta artificialmente.

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3.11. Principali strutture di PGNAA a livello mondiale

In Tab. III.IV. sono riportate le caratteristiche essenziali di alcune delle principali facilities di PGNAA presenti in tutto il mondo; queste comprendono:

• flusso di neutroni termici; • sensibilità al rilevamento dei raggi gamma; • abbassamento del segnale di fondo; • metodo e qualità delle calibrazioni e delle

analisi spettrali.

Questi dati mostrano come lo sviluppo eccellente di una certa performance per una particolare facility venga ottenuto a scapito di altre qualità.

3.12. La rivelazione del boro

Nel caso del boro i limiti d’indagine vanno da 0.04 a 10 µg/g; la bontà delle stime dipende comunque fortemente dalla massa totale del campione analizzato (che può andare da ~0.02 g a ~0.5 g), nonché dai tempi di analisi, come si può vedere in Fig. 3.15. (i dati si riferiscono a campioni di densità pari 1 g/cm3 ) [6].

Fig. 3.15. Andamento dei tempi di irraggiamento in funzione della concentrazione di 10B al variare della massa del campione analizzato (i dati si riferiscono a campioni di densità pari 1 g/cm3 ). (Il flusso registrato nella posizione del campione è di 1.7 × 107 n/cm2s).

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Facility Characteristics SNU-KAERI Thermal beam extraction: diffraction (PG) Beam flux: 8.2 × 107 n · cm–2 · s–1(thermal equivalent) Beam size: 2 × 2 cm2 Cadmium ratio: 266 (for gold)

Effective temperature: 269 K Titanium (1382 keV) sensitivity: 2020 counts · s–1 · g–1

Detection system: single HPGe with pulse processing system Total background counting rate: 3000 counts/s

Dalat research reactor Thermal beam extraction: moderation (graphite) and filtering (Bi) Beam flux: 2.1 ×⋅ 107 n · cm–2 · s–1 Beam size: 2.5 cm Cadmium ratio: 21 (for gold) Detection system: single HPGe with pulse processing

system NIST (thermal) Thermal beam extraction: filtering (sapphire)

Beam flux: 3.0 × 108 n · cm–2 · s–1 Cadmium ratio: 160 Effective temperature: 300 K Titanium (1382 keV) sensitivity: 890 counts · s–1 · g–1

Detection system: HPGe and Compton suppression electronics

NIST (cold) Cold beam extraction: filtering (Be, Bi) and mirror guide Beam flux: 9.5 × 108 n · cm–2 · s–1 (thermal equivalent) Beam size: 2 cm or smaller

Effective temperature: 14 K Titanium (1382 keV) sensitivity: 7700 counts · s–1 · g–1

Detection system: HPGe and Compton suppression electronics

Budapest Cold beam extraction: mirror guide research reactor Beam flux: 5 × 107 n · cm–2 · s–1 (thermal equivalent) Beam size: 1 × 1 or 2 × 2 cm2

Effective temperature: ≈60 K Titanium (1382 keV) sensitivity: 750 counts · s–1 · g–1

Detection system: HPGe and Compton suppression electronics

BARC (thermal 1) Thermal beam extraction: mirror guide Beam flux: 1.4 × 107 n · cm–2 · s–1 (total) Beam size: 2.5 × 10 cm2 Cadmium ratio: 3.4 × 104 (for indium) Detection system: single HPGe with pulse processing

system BARC (thermal 2) Thermal beam extraction: diffraction (graphite)

Beam flux: 1.6 × 106 n · cm–2 · s–1 (thermal equivalent) Beam size: 2.5 × 3.5 cm2 Detection system: single HPGe with pulse processing

system

Tab. III.IV. Principali strutture di PGNAA nel mondo [1].

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Andando ad analizzare lo spettro dei gamma pronti emessi dal boro, ci aspettiamo di trovare una distribuzione gaussiana, centrata sul valore di 478 keV. In realtà il picco del boro è soggetto ad un allargamento (v. Fig. 3.16.) dovuto all’effetto Doppler [2].

Fig. 3.16. Allargamento del picco di boro per effetto Doppler e sovrapposizione

con il picco a 472 keV del sodio.

Infatti il raggio gamma risultante dalla diseccitazione del 7Li* viene emesso mentre il nucleo di 7Li è ancora in volo. Fig.3.17. Rappresentazione della reazione 10B(n,α)7Li.

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Per quantificare questo allargamento si applicano le leggi dell’effetto Doppler:

( )θβ

βννcos1

12/12

0 −−= (3.7)

con:

• β=V/c, dove V è la velocità della sorgente; • ν0 è la frequenza del gamma emesso dal 7Li; • ν è la frequenza ricevuta dal rivelatore.

Per θ = 0° o 180°, si ottengono le (B-9) e (B-10). Data l’energia cinetica del nucleo di litio che stiamo considerando (840 KeV) , esso avrà velocità molto inferiore a c (β ≈ 0.016), quindi, nello sviluppo al second’ordine rispetto a β dato dalle (B-11) e (B-12) possiamo trascurare il termine in β2, ottenendo )1(0 βνν ±= (3.8)

L’allargamento del picco è quindi dato da:

02 νβν hhE =∆=∆ (3.9)

Calcoliamo ora ∆E nel caso del gamma da 840 keV emesso dal 7Li. Per la legge di conservazione dell’energia avremo:

2

2

1)( υγ mE = (3.10)

Si ricavato υ dalla (3.10) e ν0 da 0)( νγ hE = (3.11)

ottenendo KeVEE 88.262 ==∆ β (3.12)

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Un’altra causa alla base della deformazione del picco a 478 keV è la presenza dello scintillatore NaI all’interno del soppressore di effetto Compton: il 24Na emette fotoni da 472 keV in seguito a cattura neutronica. L’allargamento Doppler sposta il picco del boro da 478 keV vicino ai 472 keV. Fortunatamente la sezione d’urto di cattura sul sodio è piccola per i neutroni termici (38mb); l’influenza di questo picco risulta significativa solamente per basse concentrazioni di 10B nel campione (< 5ppm, v. Fig. 3.16.). Un contributo meno importante proviene dal litio contenuto nei materiali di schermatura (LiF); anche in questo caso l’effetto del picco a 478 keV dovuto alla reazione 6Li(n,γ)7Li (σ ≈ 52 mb), è riscontrabile per concentrazioni < 5ppm (con un rapporto tra i conteggi del 3-5%), mentre è più debole (1.5%) in caso opposto. Consideriamo ora l’influenza degli eventi Compton sullo spettro del boro. Sostanzialmente, la cinematica di un evento Compton è quella di uno scattering anelastico (v. Fig. 3.18.):

Fig. 3.18. Rappresentazione schematica di un evento Compton. Applicando le leggi di conservazione di energia ed impulso ricaviamo le seguenti equazioni:

( )θγνν

cos11'

−+= h

h (3.13)

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)cos1(1

)cos1('

θγθγννν

−+−==−= hhvhhT (3.14)

1tan)1(

21cos

22 ++−=

φγθ (3.15)

2

tan)1(cotθγφ += (3.16)

dove γ=hν/mec

2. L’energia cinetica dell’elettrone è massima quando il fotone viene deflesso con un angolo φ =180°, ovvero quando la sua energia finale è minima (v. Fig. 3.20.). Questo valore di T è noto come Compton edge:

+=

γγν21

2max hT (3.17)

In Fig. 3.19. vediamo come si presenta lo spettro in seguito ad eventi Compton.

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Fig. 3.19. Esempio di spettro.

Fig. 3.20. Rappresentazione grafica delle relazioni cinematiche tra hν, hν’ e T.

Fig.3.21. Distribuzione di energia degli elettroni di rinculo. Il taglio netto in corrispondenza dell’energia massima è noto come Compton edge.

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Il rapporto di soppressione ∆R, definito nel paragrafo 3.6, in questo range di energie ha un valore compreso tra 4 e 5 (v. Tab. III.V.) [2].

Tab. III.V. Comparazione tra modalità Compton e modalità singola per un

campione di sodio e boro (acido borico).

Il Compton edge per il picco a 2223 keV dell’idrogeno ha un valore che si aggira attorno ai 2 MeV. Il picco del boro

sarà quindi influenzato dalla coda del Compton edge ed il rate di soppressione vale 5-6. In Fig. 3.22. vediamo la forma dello spettro del boro in modalità normale e con il soppressore d’effetto Compton. Il background alle basse energie dovuto agli eventi Compton può essere ridotto aumentando il rapporto segnale-background, senza ridurre la precisione dei picchi più intensi [1, 2]. In conclusione le incertezze combinate risultano dell’ordine di 3-4.00%. Le principali fonti di incertezza sono [2]:

• errori statistici (0.20-0.34%); • efficienza del rivelatore (2.8%); • sottrazione del background del picco del sodio da 472 keV (2.4-

2.65%); • altre sorgenti non note.

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Fig.3.22. Confronto tra gli spettri ottenuti in modalità normale e con il soppressore d’effetto Compton.

Tab. III.VI. Incertezze di rivelazione per l’analisi del boro.

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3.13. La PGNAA a Pavia

Abbiamo presentato i fondamenti che stanno alla base della PGNAA. Abbiamo visto come questi fondamenti la rendano una tecnica radioanalitica valida in svariati campi ed abbiamo imparato ad analizzare gli spettri e ad interpretarli, con un occhio di riguardo all’analisi del boro. È in corso la progettazione di una facility di PGNAA presso il Triga Mark II del LENA di Pavia per la misura della concentrazione di boro in campioni biologici utilizzati in ambito BNCT [19]. Il progetto prevede l’estrazione di un fascio neutronico collimato e con basso fondo gamma, attraverso uno dei canali orizzontali del reattore (v. Fig. 3.23.); il canale designato è quello che in figura è indicato con una freccia. Nel canale verrebbe inserito uno schermo di bismuto ed un limitatore di fascio, mentre il rivelatore al germanio verrebbe posizionato esternamente, all’interno di un beam catcher (v. Fig. 3.24.a) ): il fascio di neutroni estratto dal core del reattore viene opportunamente filtrato e collimato sul campione (v. Fig. 3.24.b) ). Dopo averlo superato, questo prosegue il suo cammino, rimanendo collimato. Una volta raggiunto il beam catcher, i neutroni si sparpagliano e vengono assorbiti da calcestruzzo e paraffina borata (area in grigio).

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Fig.3.23. a) Sezione orizzontale del reattore di Pavia. La freccia indica il canale designato.

b) Ingrandimenti del canale scelto per

l’installazione della facility.

a)

b)

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a)

b)

Fig. 3.24. a)Ingrandimento del beam catcher. b)Particolare sulla postazione del campione (in rosa); a sinistra si trova la cavità in cui verrebbe posizionato il

rivelatore HPGe. L’area in blu corrisponde alla schermatura di piombo.

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Riportiamo di seguito i risultati ottenuti effettuando una simulazione utilizzando il programma MNCPX [20], con il quale abbiamo valutato prima l’efficienza puramente geometrica (effettuando il conteggio dei raggi gamma diretti verso il rivelatore senza che questo sia presente), poi abbiamo valutato l’efficienza di un rivelatore al germanio, per concentrazioni differenti di boro nel campione. La simulazione è stata effettuata assumendo un fascio di flusso di ~2 × 107 n · cm-2 · s-1 nella posizione del campione; quest’ultimo è racchiuso in un contenitore di raggio R = 0.56 cm e di altezza h = 0.2 cm ed la sua massa è pari a m = 0.2 g.

Conteggio dei gamma senza rivelatore

In Fig. 3.25. riportiamo un esempio dello spettro che si otterrebbe irraggiando un campione contenente 50 ppm di 10B. I picchi più rilevanti, oltre, naturalmente a quello del 10B a 478 keV (senza allargamento Doppler), sono:

• gamma di annichilazione a 511 keV; • idrogeno a 2223 keV; • azoto (14N, θ = 99.632%) a 7300 keV

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Fig. 3.25.a) e b) Spettro ottenuto nella posizione del rivelatore, per un campione di 0.2 g contenente 50 ppm di 10B irraggiato con un fascio di flusso pari a 2 × 107 n

a)

b)

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· cm-2 · s-1. Conteggio dei gamma con il rivelatore al germanio

Riportiamo ora gli spettri ottenuti analizzando due campioni contenenti 10B in concentrazioni diverse (50 ppm e 1 ppm rispettivamente). Dal confronto risulta evidente la drastica riduzione del picco del 10B , rispetto al picco a 511 keV dei gamma di annichilazione. Da Fig. 3.26. risulta inoltre particolarmente evidente il Compton edge del boro.

Fig. 3.26. Spettro ottenuto analizzando un campione contenente 50 ppm di 10B.

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Fig. 3.27.a) e b) Spettro rilevato con un campione contenente 1 ppm di 10B.

b)

a)

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Prospettive future

Nel prossimo futuro si prevede di completare le simulazioni per l’ottimizzazione del canale, dell’apparato di misura e del beam catcher. L’installazione di tutto il sistema deve essere effettuata nei prossimi mesi per eseguire le prime misure entro la fine del 2008. Una volta realizzata, questa facility sarà uno strumento essenziale per la misura della concentrazione del boro in tessuti biologici per la BNCT dei tumori diffusi (fegato, polmone …) [21] e di altri tipi di tumori quali il sarcoma dell’arto; con questo sistema potranno essere misurati, finalmente, anche campioni liquidi, e in generale quei campioni che non possono andare sotto vuoto. Inoltre essa rappresenterà un nuovo potente mezzo di analisi che il LENA potrà mettere a disposizione dei suoi utenti.

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Appendice A – Cenni di Ottica Neutronica

A.1. Ottica dei neutroni ed onde elettromagnetiche

Nella loro interazione con la materia, i neutroni possono essere trattati come onde o come corpuscoli, a seconda della loro energia. Un neutrone di 10 MeV, per esempio, possiede una lunghezza d’onda di de Broglie di 0.9 × 10-12 cm, dello stesso ordine di grandezza delle dimensioni nucleari, ma inferiore di un fattore di 104 rispetto agli spazi interatomici; in questa regione energetica prevale il comportamento corpuscolare, e quindi i neutroni vengono rallentati in seguito alle collisioni con i nuclei che compongono il bersaglio; al diminuire dell’energia la loro lunghezza d’onda aumenta, finché ad un certo punto si raggiunge l’equilibrio termico tra il fascio incidente ed il materiale moderatore. La lunghezza d’onda di questi neutroni detti termici è dell’ordine di qualche angstrom e le loro proprietà ondulatorie predominano sui caratteri corpuscolari. Gli esperimenti di ottica neutronica trovano analogia con quelli eseguiti con i raggi X, sia perché le lunghezze d’onda sono molto simili (inferiori a 10-9 cm), sia perché la maggior parte dei materiali presenta lo stesso indice di rifrazione per entrambi i tipi di radiazione. Questa corrispondenza ha suggerito la possibilità di estendere i principi dell’ottica delle onde elettromagnetiche anche ai fasci neutronici; benché in molti casi questa procedura risulti utile, in qualche situazione non può essere applicata con profitto, a causa di alcune differenze di fondamenti.

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A.2. La rifrazione

Consideriamo un’onda piana che attraversa la superficie di separazione tra due mezzi trasparenti aventi indici di rifrazione n0 e ni; il meccanismo fisico in esame è descritto dalla legge di Snell:

nn

n

r

i i

ondai

==

=

0

0

ˆsin

ˆsin

υυ

(A-1)

dove υ0 e υi sono le velocità di fase in ciascuno dei due mezzi. υ0 è maggiore di υi se n è maggiore dell’unità; in questo caso il vettore d’onda si avvicinerà alla normale alla superficie di separazione dei due mezzi.

Fig. A.3. Rifrazione di un’onda luminosa che entra in un mezzo di indice maggiore di 1.

Nel caso della rifrazione di un fascio di particelle materiali, si ottiene un’equazione simile alla (A-1), ma i rapporti saranno invertiti:

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nn

n

r

i i

particella

i ==

=

00ˆsin

sin

υυ

) (A-2)

Per la particella, a differenza di quanto detto per l’onda elettromagnetica, se n>1 la velocità υ0 risulta minore di υi e la sua traiettoria si allontana dalla normale. Tuttavia questa discrepanza non è una contraddizione, in quanto le velocità coinvolte non sono le stesse: parliamo di velocità di fase nel caso dell’onda luminosa, di velocità di gruppo nell’altro caso. Associando alla particella la lunghezza d’onda di de Broglie, i due approcci diventano equivalenti.

Fig. A.4. Rifrazione di una particella materiale entrante in un mezzo

Nel caso dell’onda, il passaggio dal primo al secondo mezzo comporta una riduzione della lunghezza d’onda λ e quindi della velocità di fase ( λνυ =f ), corrispondente ad un incremento della velocità di gruppo

λυ mhg /= .

La rifrazione dei neutroni può essere considerata in maniera del tutto equivalente alla rifrazione di un’onda avente lunghezza d’onda data dall’equazione di de Broglie:

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gm

h

υλ = (A-3)

e la frequenza è data da νhE = (A-4) Da qui si ottiene l’equivalenza tra la (A-1) e la (A-2) [13].

A.3. La diffrazione

Nella diffrazione di un fascio di neutroni da un cristallo l’analogia con le onde elettromagnetiche risulta ancora più spiccata, soprattutto con i raggi X, in virtù proprio della loro lunghezza d’onda. Per questo motivo lo studio della diffrazione in sé è di scarso interesse, mentre fondamentale è la sua applicazione soprattutto nell’analisi dei cristalli. Se l’energia E di un neutrone incidente è molto maggiore dell’energia di legame Bm degli atomi in una molecola, quest’ultima viene generalmente distrutta quando il neutrone viene scatterato da uno degli atomi componenti. In questo caso, quindi, è possibile trascurare il fatto che gli atomi siano legati tra loro e di conseguenza la sezione d’urto per una molecola è data dalla somma delle sezioni d’urto dei suoi costituenti. Se invece E è dello stesso ordine di grandezza, o inferiore, rispetto a Bm, i nuclei non possono più essere considerati liberi, e non esiste una via semplice per calcolare la sezione d’urto. Lo scattering di un neutrone contro un solido (cristallo) rientra in quest’ultimo caso; non ha senso quindi descrivere l’interazione in termini di sezione d’urto microscopica. Uno dei principali effetti di quanto esposto, è sicuramente il fenomeno noto come scattering di Bragg e descritto con la legge omonima. Supponiamo che un fascio di neutroni monoenergetici incida su di un cristallo con un angolo θ rispetto ad uno dei piani reticolari (v. Fig. A.1.).

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Fig.A.1. Riflessione di Bragg: a) riflessione da due piani reticolari; b) riflessione da tre serie di piani reticolari.

a)

b)

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I neutroni incidenti vengono riflessi dai piani reticolari, ossia vengono scatterati di un angolo 2θ e, detta λ la lunghezza d’onda, vale la relazione θλ sin2dn = (A-5) dove n = 1, 2, 3, . . . e d è la distanza tra piani adiacenti. In base alla (A-5) esiste un lunghezza d’onda massima al di sopra della quale lo scattering di Bragg non può avvenire. Posti θ = π/2 e n = 1 otteniamo dc 2=λ (A-6)

Poiché λ è inversamente proporzionale all’energia dei neutroni, segue che esiste un’energia minima (cutoff di Bragg) al di sotto della quale il fenomeno non può avvenire. Il meccanismo appena descritto sta alla base di uno dei primi metodi utilizzati per selezionare le energie dei neutroni di un fascio: i filtri neutronici. Essi sfruttano il fatto che in un materiale policristallino per lunghezze d’onda dei neutroni incidenti superiori alla lunghezza d’onda di cutoff non si verifica alcuna riflessione.

Fig. A.2. Utilizzo di un materiale policristallino come filtro neutronico. I neutroni

con λ < λc (lunghezza d’onda di cutoff) vengono riflessi e catturati dal cadmio, mentre le altre attraversano il filtro.

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I materiali più utilizzati sono grafite, berillio ed ossido di berillio, aventi lunghezze d’onda di cutoff pari rispettivamente a 6.7, 4.0 e 4.5 Å [13, 17].

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Appendice B – Sull’effetto Doppler [15]

B.1. Cinematica relativistica

Consideriamo due sistemi di riferimento S ed S’; S’ si muova rispetto ad S con velocità υ diretta lungo l’asse x. Dalle trasformazioni di Lorentz per le lunghezze e per i tempi, si trovano facilmente le derivate temporali degli spostamenti, misurate nei due sistemi di riferimento. Avremo quindi le equazioni:

2/'1

'

cu

uu

x

xx υ

υ+

+= e

2/1'

cu

vuu

x

xx υ−

−= (B-1)

2/'1

/'

cu

uu

x

yy υ

γ+

= e2/1

/'

cu

uu

x

yy υ

γ−

= (B-2)

B.1.1. Radiazione da una sorgente in rapido movimento

Se ad esempio nelle (B-1) si avesse u’x = c, avremmo ux = c per ogni valore di υ, ovvero la velocità della luce rimane sempre c, qualunque sia la velocità della sorgente rispetto al sistema del laboratorio. Questo risultato fu dimostrato in maniera convincente solamente nel 1963, anno in cui D. Sadeh condusse un esperimento sulla velocità di due fotoni energetici, basandosi sul meccanismo di annichilazione di un elettrone e di un positrone:

21 γγ +→+ −+ ee

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Nell’esperimento di Sadeh i positroni vengono sparati da una sorgente S attraverso una lamina sottile, con una perdita di energia poco rilevante (v. Fig. B.1.). Durante il passaggio, alcuni positroni si legano agli elettroni della lamina, formando il positronio, di vita media piuttosto breve (10-10 ÷10-13 secondi).

Fig. B.1. Schema della disposizione dei rivelatori nell’esperimento di Sadeh.

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Fig. B.2. Confronto tra annichilazione del positronio in volo e a riposo. Non c’è

uno spostamento dei picchi come sarebbe previsto dalla composizione delle velocità.

I raggi gamma emessi in seguito all’annichilazione di elettrone e positrone vengono raccolti da due rivelatori C1 e C2. Uno dei due rivelatori è posizionato il più vicino possibile alla traiettoria percorsa dal positronio. Nel S.C.M.15 del positronio, i due fotoni verrebbero emessi esattamente in direzioni opposte, ma nel S.L.16 l’angolo è inferiore a 180°. Una volta posizionato il secondo rivelatore, Sadeh ha studiato la relazione tra gli

15 Abbreviazione per Sistema del Centro di Massa. 16 Sistema del Laboratorio.

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intervalli di tempo necessari ai due gamma per raggiungere rispettivamente C1 e C2. Se la legge di composizione galileiana delle velocità fosse valida, il fotone diretto verso C1 sarebbe più veloce, mentre quello diretto verso C2 più lento, rispetto a quanto accadrebbe se il positronio fosse a riposo nel S.L.. Un calcolo qualitativo permette di trovare la differenza tra i tempi di volo di γ1 e γ2, ottenendo un valore pari a circa 1.5 nanosecondi, che paragonato ai dati sperimentali, conferma il fallimento della legge galileiana.

B.1.2. Approfondimenti sull’effetto Doppler

Consideriamo Fig. B.2..

Fig. B.2. Sorgente di onde elettromagnetiche in movimento rispetto al rivelatore. Il

trasmettitore emette due segnali successivi in x1 ed in x2. Supponiamo che la sorgente trasmetta due segnali successivi alla frequenza propria ν. Le emissioni avvengano quando il trasmettitore si trova rispettivamente in x1 e x2, ai tempi t1 e t2. L’intervallo di tempo τ tra le due emissioni è pari a 1/ν nel sistema di riferimento della sorgente, mentre nel sistema di riferimento dell’osservatore è dilatato di un fattore γ. Avremo quindi

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νγγτ /12 ==− tt (B-3) e crrcrtcrt /)(//' 211122 −−=−−+= λττ (B-4) Ora, se la distanza (x2 - x1) è molto più piccola di r1, possiamo scrivere con buona approssimazione θγθ coscos)( 1221 vxxrr =−≈− (B-5) dove θ è l’elevazione angolare della sorgente all’istante t1, misurata nel sistema di riferimento solidale al suolo. Quindi

−= θυγττ cos1'c

(B-6)

da cui

( )

θββννcos1

1'

2/12

−−= (B-7)

B.1.3. Effetto Doppler e dilatazione dei tempi

Data l’equazione (B-7), possiamo definire una lunghezza d’onda apparente, data da

( ) ( ) ( )θβγλβ

θβλθλ cos11

cos1'

2/12−=

−= (B-8)

L’angolo θ rappresenta la direzione misurata dall’osservatore. Ponendo θ = π/2 la lunghezza d’onda λ’ è superiore rispetto a λ di un fattore γ. Ora, se un protone accelerato da una differenza di potenziale di 5 KV cattura un elettrone, si forma un atomo di idrogeno che viaggia ad una velocità di 106 m/s; quindi β ≈ 1/300 e (γ – 1) ≈ 5 × 10-6. Quest’ultimo valore equivale ad uno spostamento assoluto della lunghezza d’onda

( ) ( )1/'/ −=−=∆ γλλλλλ . Nel caso di una riga spettrale a 5000 Å, questo valore è di circa 0.025 Å, estremamente piccolo, ma misurabile.

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Nel 1938, H. E. Ives e G. R. Stilwell pubblicarono i risultati di un esperimento rivolto allo studio di questo fenomeno. Il calcolo di (γ -1) è fortemente influenzato dalla precisione con cui viene misurato l’angolo θ = π/2. Per evitare questo problema è sufficiente effettuare le misure sulla radiazione emessa in avanti e all’indietro rispetto alla direzione trasversale designata:

( )2/1

1

1'

−+=

ββλπλ (B-9)

( )2/1

1

10'

+−=

ββλλ (B-10)

Sviluppando al second’ordine in β:

( )

+++= ...2

11' 2ββλπλ (B11)

( )

++−= ...2

110' 2ββλλ (B-12)

Se β2 << 1, allora avremo λυβλλc

==∆ .

Se invece il termine al second’ordine non sono trascurabili otteniamo

( ) ( )2

2

2

2

1

2

11' λ

λλυλγλ ∆=≈−=∆

c. Questo risultato è una conseguenza

diretta della dilatazione dei tempi; infatti, se quest’ultima fosse assente, ∆λ’ avrebbe un valore esattamente nullo.

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[22] http://www-nds.iaea.org/pgaa/ [23] http://www.ortec-online.com/detectors/photon/

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Ringraziamenti

Il primo grande ringraziamento va al mio relatore, Dottor Saverio Altieri, per la sua disponibilità, per il tempo che ha saputo dedicarmi nonostante le mille incombenze, e per i suoi preziosi consigli. Mi auguro di poter collaborare ancora con lei! Ringrazio anche il Professor Adalberto Piazzoli, per i suggerimenti che mi ha dato. Un ringraziamento speciale va ai miei genitori, per la pazienza, l’affetto ed il supporto che mi hanno sempre dato. Ragazzi, vi faccio i miei più cari auguri per il vostro 24 anniversario e vi auguro tutta la serenità di questo mondo! Grazie ai miei dolcissimi nonni e i miei zii. Un bacione al mio cuginetto Davide, 8 mesi e mezzo di sorrisi, BUONA VITA! Ringrazio tutti i miei amici per avermi supportata e sopportata in ogni momento. Un abbraccio mega a Marta E., sei una grande amica! Grazie anche al mio fratello adottivo Pièr, per la sua presenza costante. Mentre scrivo si sta laureando!!! Vorrei poi ringraziare La-Mary per essermi stata vicina in un periodo non proprio idillico, e Fabio per aver sopportato i miei sfoghi e i miei lamenti. Infine ringrazio tutti coloro che verranno ad ascoltare la discussione di questa tesi.