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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN BENI CULTURALI PER OPERATORI DEL TURISMO (ex D.M. 509/99) TESI DI LAUREA IN Letteratura di viaggio TITOLO Dino Azzalin: viaggiatore, poeta, editore Relatore:

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA

TOR VERGATA

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN BENI CULTURALI PER OPERATORI DEL

TURISMO (ex D.M. 509/99)

TESI DI LAUREA IN

Letteratura di viaggio

TITOLO

Dino Azzalin: viaggiatore, poeta, editore

Relatore:

Chiar.mo Prof. Fabio

Pierangeli

Laureando:

Ilaria Marchetti

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA

TOR VERGATA

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

Anno Accademico 2011/2012

Alla mia famiglia che mi ha portata fin qui,

a te, che mi sei sempre accanto e mi dai la forza.

Alla disponibilità e ai consigli del professor Fabio Pierangeli

e del Dottor Dino Azzalin, che mi hanno seguito passo dopo passo

nella realizzazione del mio lavoro.

Soprattutto a te, Papà, che da lassù mi proteggi

e oggi sarai orgoglioso di me.

3

INDICE

Introduzione……………………………………………………………6

CAPITOLO PRIMO

Evoluzione del tema del viaggio in letteratura…………………………6

L’idea moderna di viaggio: il pellegrinaggio……………… …………….14

Il secolo d’oro dei viaggi: il Grand Tour…………………………………..22

La nascita del turismo moderno e la letteratura di viaggio……………25

Il Novecento dei viaggi……………………………………………......30

CAPITOLO SECONDO

Dino Azzalin editore…………………………………………………..45

La NEM e Guido Morselli: il genio segreto…………………………..47

Il problema religioso: Unde malum?.................................................77

L’opera “profetica” di Guido Morselli: Dissipatio HG……………….87

Guido Morselli e la sua Varese: la figura ambientalista

del nostro autore……………………………………………………….93

CAPITOLO TERZO: Dino Azzalin viaggiatore

Viaggi…………………………………………………………………..97

Diari d’Africa tra progetti e aiuti umanitari………………………….107

A.P.A Associazione Amici per l’Africa……………………………….112

4

Luci d’Africa………………………………………………………….114

Conclusioni…………………………………………………………...119

Appendice…………………………………………………………….122

Bibliografia…………………………………………………………..130

5

INTRODUZIONE

La mia tesi nasce dalla passione per i viaggi, per i libri di viaggio e per

tutto ciò che descrive e racconta l’Africa. Partendo da qui ho preso in

esame la figura del medico, scrittore, editore, Dino Azzalin, soprattutto

per quanto riguarda il suo impegno nel sociale, con l’Associazione

Amici Per l’Africa1. Azzalin è un medico-chirurgo odontoiatra, ma

anche scrittore e poeta, e quello che mi interessa particolarmente sono i

suoi diari di viaggio in Africa. L' Associazione da lui fondata, con altri

colleghi sparsi per l'Italia, si occupa di cure sanitarie del cavo orale, nelle

zone più bisognose di questo grande continente, mettendo a disposizione

la propria esperienza di professionista in quei territori dimenticati e

lontani.

Questo lavoro nasce anche dalla personale esperienza di viaggio in

Kenya a Nairobi. Un viaggio, il mio, non solo di piacere, ma anche

di conoscenza di una terra che conserva varie sfumature. Qui si può

trovare la città moderna, che non si differenzia dalle nostre metropoli,

con il traffico, i grandi centri commerciali, le marche di prodotti italiane.

Forse partendo per un continente, considerato da tutti parte del terzo

mondo, non ci si aspetti di trovare una città molto simile a quella lasciata

da qualche ora. Basta però allontanarsi di poco dal centro di Nairobi

per trovare l’essenza dell’Africa, quella che viene mostrata nei film,

nei documentari. Una cultura, per fortuna, totalmente diversa dalla

nostra. Per strada ogni persona che incontri ti saluta, e non solo perché

sei bianco, perché sei ad un'altra latitudine del cuore, e sorridere è più

semplice.

6

Visitando la natura immensa d’Africa ho scoperto delle sensazioni

nuove, il contatto diretto con la natura, la viva emozione di essere

circondata da qualcosa di veramente grande, molto più grande di me,

quel panorama infinito, fatto di alberi probabilmente tutti uguali, ma così

distanti, in un orizzonte a perdita d'occhio, che da noi ahimè si è perso.

Un’immagine indelebile nella mente.

Trovarsi d’un tratto a contatto con i più grandi animali della terra, con

la base della catena alimentare, la sopravvivenza, il cambio repentino di

clima al calar del sole, è stato per me una vera e propria illuminazione.

Tutte percezioni che a distanza di tempo sono rimaste impresse nella

memoria e ancora sentite sulla pelle. Quel famoso “mal d’Africa” che

ritrovo narrato in molti dei libri che ho letto per preparare questa tesi e

che ho preferito proprio per questo motivo, è forse la grande nostalgia

della Madre Terra, perché anche chi è stato in Africa una sola volta, non

può dimenticare l'origine dell'Uomo. Ma soprattutto mi ha permesso

di conoscere quella parte di mondo da noi dimenticata, quei villaggi

abitati da chi non ha niente per vivere e che spesso ha bisogno del nostro

aiuto per sopravvivere. Forse quando si vede tutto questo ci si rende

conto di quello che ci si aspettava da questo continente, perché si sa

che purtroppo quello che più si conosce dell’Africa è la povertà. Poi

all’improvviso ti ritrovi circondato da bambini che non hanno nulla,

eppure il loro sorriso non smette di splendere nella loro vita buia. Ed

è proprio questo che ti rimane dell’Africa, il sorriso di chi non avendo

molto, non pretende niente di più ed è felice giorno dopo giorno.

Nel primo capitolo affronterò l’evoluzione del tema del viaggio in

letteratura, dal passato fino ai nostri giorni; il viaggio come metafora

della vita, il viaggio di purificazione di Dante, il Medioevo con i romanzi

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cavallereschi, soprattutto con il viaggio in Italia: il Settecento del Grand

Tour con i giovani dell’aristocrazia inglese che raggiungono la nostra

penisola per motivi culturali, descrivendone gli avvenimenti nei loro

diari.

Fino al Novecento, con i grandi scrittori che raccontano le loro

esperienze nei reportages di viaggio, e ci permettono di conoscere

attraverso le loro parole nuove località, sapori e odori di lidi a noi

sconosciuti.

Nel secondo capitolo la mia attenzione si concentra sull’attività di

editore di Dino Azzalin, con la sua casa editrice Nuova Editrice

Magenta, (NEM) e le iniziative per il centenario della nascita di un

autore a volte sottovalutato come Guido Morselli. La casa editrice

esordì con un suo libro inedito Una missione fortunata nel 1999 e per

festeggiare i dieci anni di attività nel 2009 ha proposto la ristampa di

una sua opera Realismo e fantasia, unica edita dall'autore nel 1947.

Nel capitolo verrà approfondita la personalità di Morselli, con la sua

opera realizzata poco prima del suicidio Dissipatio HG e con altri

approfondimenti a lui dedicati.

Infine nel terzo capitolo mi concentrerò sulla personalità e le attività di

Dino Azzalin scrittore e soprattutto della sua associazione che si occupa

di molti progetti soprattutto in Africa. Prenderò spunto dalle sue poesie e

dai suoi racconti di viaggio.

EVOLUZIONE DEL TEMA DEL VIAGGIO IN LETTERATURA.

8

Il viaggio come avventura, desiderio di fuga da una realtà spesso

indesiderata o come reportage di un inviato. Vi sono molte motivazioni

che ci inducono a ricostruire un viaggio attraverso parole, pensieri,

emozioni vissute. Aumentano i libri che presentano come centrale questo

tema. Alcuni sono capaci di trasmettere odori, sensazioni ed emozioni

del viaggio ad ogni nuova pagina.

I sentieri si costruiscono viaggiando

Franza Kafka

Forme diverse di viaggio si susseguono nella storia, ed ogni tipo

di viaggio rispecchia i problemi, i desideri, le paure degli uomini e

dell’epoca in cui essi vivono.

Il motivo del viaggio e del viaggiatore è al centro di molta letteratura

moderna e contemporanea. Viaggi personalmente compiuti e raccontati;

viaggi inventati; viaggi e viaggiatori mitici.

Il tema del viaggio è universalmente conosciuto, ed è significativo che

venga considerato in modo metaforico, in particolar modo per quel

che riguarda la vita umana: la vita come cammino, pellegrinaggio o

passaggio, il concetto della morte come “trapasso”, “ultimo viaggio”.

Attraverso la metafora del viaggio si intende rappresentare le

trasformazioni della vita.

Il viaggio è un tema che accompagna l’uomo da sempre, con l’evolversi

delle società sono cambiate anche le tipologie di spostamento. Si è

passati infatti dal nomadismo delle prime comunità, per necessità di

sopravvivenza, al viaggio di cultura delle popolazioni sedentarie, il

9

viaggio di piacere, fino al viaggio virtuale dei nostri giorni con la nascita

di Internet.

Si può viaggiare per sfuggire da qualcosa, per sottrarsi a pressioni

esterne, o a insoddisfazioni interiori. Poi ci rendiamo conto che la

differenza non la fa il punto di arrivo, ma il fatto stesso di viaggiare,

di cambiare vita, di fare qualcosa per gli altri. Allontanarsi dal proprio

habitat e sfuggire a regole che forse ormai ci vanno strette.

“La penna corre spinta

dallo stesso piacere

che ti fa correre le strade” (Italo Calvino, Il cavaliere inesistente)

In questo modo si apre il libro di Pino Fasano Letteratura e viaggio2 dove

troviamo spiegato il rapporto tra il viaggio e la letteratura, e alcuni testi

dove troviamo il viaggio come elemento principale. Fasano afferma che

il viaggiatore e lo scrittore nascono insieme. “Il viaggiatore è colui che

costituisce, spostandosi, una distanza.” Egli si allontana dalla dimora

abituale. E la scrittura rappresenta il modo migliore per raccontare il

proprio viaggio, per far viaggiare i lettori durante il racconto. Viaggiare

può voler dire allontanarsi dalla realtà quotidiana, straniarsi. Allo

stesso modo il procedimento di scrittura è un atto di spaesamento, di

allontanamento dall’abituale.

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Il viaggio, in quanto esperienza del diverso, può essere conosciuto

solo attraverso la sua presentazione letteraria; e solo il viaggiatore può

raccontare l’esperienza del viaggio, che può essere attestata solo da chi

l’ha vissuta in prima persona.

Il tema del viaggio ha ispirato molti autori nella descrizione di luoghi, a

volte immaginari, a volte realmente visitati. Da un lato il mondo visitato,

dall’altro il protagonista, le suggestioni, i ricordi suscitati dal viaggio.

In letteratura abbiamo un’opera che riassume i simboli legati al viaggio:

l’Odissea di Omero. Il viaggio di Ulisse è il ritorno dalla guerra di

Troia a la sua nativa Itaca. Il viaggio in mare è ricorrente in letteratura,

come metafora della vita, il viaggio come la vita piena di ostacoli. Nella

figura di Ulisse resiste il nesso viaggiatore poeta nonostante il viaggio

abbia assunto nel corso della storia significati diversi. In passato il

viaggio veniva considerato una punizione degli dei a cui l’uomo doveva

sottostare al dolore e sofferenza, mentre nell’epoca moderna il viaggio

viene considerato come la massima espressione della libertà umana,

come processo di autoaffermazione, desiderio di conoscenza.

Odisseo è contemporaneamente il primo viaggiatore e il primo narratore

di viaggi. Gli scrittori-viaggiatori, raccontano la loro esperienza con arte,

utilizzando molti espedienti retorici; ed è proprio per questo che ciò che

narra Ulisse non viene considerato falso.

Ulisse attraversa le epoche, poiché viene considerato spesso come punto

di osservazione tra il passato e la modernità del presente. Nella figura

di Ulisse resiste il nesso viaggiatore poeta nonostante il viaggio abbia

assunto nel corso della storia significati diversi.

Il viaggio di Dante nella Divina Commedia è un'altra tipologia molto

importante dell’argomento che ha gettato le basi della nostra letteratura,

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un tragitto di purificazione dei peccati legato in maniera forte alla vita,

per raggiungere il Paradiso.

Nelle opere letterarie3 il viaggio si presenta in una nuova forma, non

solo spostamento attraverso luoghi reali o immaginari, ma metafora del

cammino dell’anima, viaggio interno all’uomo.

Nel mondo medievale troviamo altri tipi di viaggio, i temi cavallereschi,

la figura dell’eroe in continuo viaggio, che supera ostacoli, per ottenere

un ruolo importante a corte. Al tema delle avventure del cavaliere si

lega quello amoroso: citiamo re Artù e i Cavalieri della tavola Rotonda,

con la storia d’amore di Lancillotto fedele al re che si innamora di

Ginevra, la regina. Nell’ambiente laico invece nasce una nuova figura di

viaggiatore; quella del mercante, come nel “Milione” di Marco Polo.

Con l’evoluzione del viaggio nei secoli, ma soprattutto con l’evoluzione

delle motivazioni che spingevano a viaggiare, cambiano anche i

resoconti di viaggio, i diari che diventano vere e proprie opere di

letteratura. Si passa da racconti inventati, da viaggi dell’anima, come

nella Divina Commedia, a racconti di viaggio in cui lo scrittore viaggia

solo con la sua mente. Viaggi realmente vissuti o immaginati, ma

che sicuramente sono racconto, letteratura. Se il viaggio ha bisogno

di essere narrato, la letteratura si serve del viaggio, la più elementare

rappresentazione del tempo e dello spazio, dalle grandi scoperte

geografiche, alla rapidità del progresso tecnologico dei mezzi di

trasporto. La letteratura si occupa anche degli eroi di viaggio, con le

storie di Ulisse ed Enea.

Italo Calvino descriveva l’archetipo di tutte le storie con il viaggio di

formazione, l’immagine dell’attraversamento di un bosco intricato e

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pieno di pericoli: i protagonisti devono superare le avversità, sotto forma

di nemici armati, belve e incantesimi, per ritrovare la giusta via smarrita

(un po’ come Dante) e arrivare alla meta del loro viaggio. Il viaggio

di formazione così concepito resta lo schema di tutte le storie umane,

dal quale trarranno ispirazione i grandi romanzi in cui una personalità

morale si realizza, muovendosi in una natura o in una società spietate.

“Il narratore di storie è sempre appena tornato da un lungo viaggio,

durante il quale ha conosciuto le meraviglie e il terrore. […] 4ma il

viaggio non ha consentito sempre al viaggiatore di essere protagonista

dell’avventura; spesso si è dovuto accontentare di ascoltarne le peripezie

per bocca altrui”(Fernando Savater).

Infatti lo scrittore può viaggiare realmente, oppure ascoltare da fermo

racconti di luoghi lontani. Il viaggio, i diari di viaggio, offrono la tela per

la tessitura di grandi capolavori.

Può accadere inoltre che la letteratura stessa permetta di viaggiare

mentalmente, quando si è costretti in una situazione di prigionia.

Negli anni cambiano quindi anche i resoconti di viaggio, di cui abbiamo

diverse tipologie.

Un esempio è rappresentato dal reportage. Dall’inglese, to report,

si tratta di un genere letterario in cui l’autore illustra luoghi visitati,

persone, emozioni e sensazioni. Tutto questo ha radici lontane.

È genere antichissimo, utilizzato in forma meno elaborata anche negli

annali greci e latini, narrazione di eventi anno dopo anno. Le cronache

più note e numerose appartengono al Medioevo, incluse all’interno del

giornale, dove assumono grande importanza per il pubblico.

Proprio dalla scoperta dell’America non avremo più la cronaca degli

avvenimenti di una città o di una battaglia, ma il resoconto delle

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spedizioni militari, dei viaggi dei marinai e dei missionari del «nuovo

mondo». Saranno queste le cronache dei conquistadores, che creeranno

un’enorme produzione di testi, diari, lettere, che racconteranno le epoche

dal 1492 fino agli inizi del secolo XIX.

Si tratta di una «letteratura di verità» tra cui emergono testi come il

Diario di Cristoforo Colombo e anche le Leggi delle Indie.

• L’idea moderna di viaggio: il pellegrinaggio.

Non c’è strada che porti alla

felicità:

la felicità è la strada

(Buddha)

Abbiamo a disposizione il materiale più variegato per descrivere

l’evoluzione del viaggio. Delle sue motivazioni, soprattutto del viaggio

in Italia si può far conto sui testi di viaggiatori famosi provenienti da

paesi diversi appartenenti a varie epoche. Si possono compiere studi sul

Grand Tour, il “grande giro”, che aveva come meta prediletta l’Italia;

acquerelli e disegni di pittori topografici che hanno soggiornato in Italia;

mappe, incisioni e souvenir.

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Il viaggiatore straniero che percorre l’Italia dalla fine del XVI a tutto il

XIX secolo è un pellegrino laico che apre nuove vie del sapere e che si

propone tramite di nuove conoscenze, può essere uno studente, un

filosofo, mercante o diplomatico. Così come non esistono stato o

nazione europea in cui i giovani delle più influenti famiglie non siano

inviati in Italia ad acquisire il tocco finale del processo educativo. In

effetti il viaggio evolve soprattutto dal punto di vista delle motivazioni

che spingono a compierlo, oltre ovviamente per i mezzi di trasporto e

tutto ciò che riguarda l’organizzazione propria del viaggio. Si passa da

viaggi essenzialmente religiosi, pellegrinaggi verso le mete importanti

per la religiosità, per espiare i propri peccati; passando poi per il secolo

d’oro del turismo con il Grand tour ed i suoi giovani aristocratici che

raggiungono la nostra penisola, acquistando pian piano motivazioni più

vaste, legate sempre alla cultura, come la visita delle più importanti città

d’arte; fino ad arrivare alla nascita del vero e proprio turismo di massa

con motivazioni disparate, prima fra tutte l’evasione dal quotidiano,

svago e relax. Da qui, raggiunta la massima conoscenza dei luoghi che ci

circondano, le motivazioni degli uomini di cultura del Novecento

saranno disparate, il ritrovare se stessi in luoghi lontani, esotici, la

conoscenza degli stessi da un punto di vista diverso, non come semplice

descrizione, ma come vissuto degli stessi autori, una visione “da dentro”

di luoghi per noi culturalmente così distanti, un mondo lontano, ma

questo verrà approfondito in seguito.

A qualsiasi titolo si sia messo in cammino, il viaggiatore ha sempre

suscitato fascino e ammirazione. È stato inizialmente riconosciuto come

individuo impegnato nel viaggio iniziatico e nella sfida all’ignoto. In

seguito ha assunto le forme del cristiano raggiungendo stazioni rituali

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in cerca del sacro Graal. Ancora in seguito la narrativa si è plasmata sui

suoi viaggi perigliosi, con le sequenze del romanzo greco d’avventure,

nell’epos medievale. Un’intera tradizione letteraria risulta permeata

dall’idea del viaggio come metafora dell’esistenza: dai pellegrini

cristiani, ai viaggi di Gulliver di J.Swift, o l’Ulisse ironico creato da

J.Joyce.

Concentriamoci innanzitutto sulla tipologia di viaggio che ha aperto

all’idea moderna del viaggiare: il pellegrinaggio5.

Possiamo innanzitutto affermare che i luoghi famosi nei giorni nostri

per essere mete spirituali erano raggiunti inizialmente da popolazioni

nomadi che effettuavano un lungo cammino per raggiungere queste

località teatro in seguito di banchetti. Tutto questo si può ricondurre

all’antica Grecia, dove abbiamo testimonianze antichissime di

spostamenti verso luoghi a loro sacri, raggiunti per interrogare oracoli,

vedi come esempio l’oracolo di Apollo a Delfi, oppure altari importanti

per richiedere grazia agli dei e guarigioni, come l’altare di Zeus a

Dodona.

Non prenderemo in considerazione il pellegrinaggio come viaggio senza

ritorno verso luoghi sacri, meta di chi voleva concludere la vita terrena,

ma il tipo che vede la sua fortuna durante il Medioevo, caratterizzato da

destinazioni come la Terra Santa, come evento episodico, che si svolge

in un lasso temporale circoscritto, per quanto lungo e pericoloso possa

rivelarsi. Si tratta di un periodo in cui si sentiva forte il rapporto con

il soprannaturale, e la vita terrena era considerata un riflesso di quella

spirituale. La natura era molto diversa, e il viaggio si presentava come

un’impresa perigliosa in luoghi non addomesticati dall’uomo. L’Europa

presentava molte foreste considerate il luogo di forze oscure, le tenebre,

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tutto era considerato simbolico.

Il pellegrinaggio cristiano vede tre mete molto importanti: Gerusalemme,

luogo fondamentale anche per ebrei e musulmani, Roma come luogo

del martirio dei santi Pietro e Paolo e Santiago de Compostela che

ospita la tomba di San Giacomo Maggiore. Le strade per Gerusalemme

cominciarono quindi ad affollarsi di pellegrini, viandanti e aristocratici,

tutti mossi da motivazioni di penitenza. Ma con l’inizio delle crociate,

questi pellegrinaggi diminuirono e soprattutto ebbero motivazioni molto

diverse, di saccheggio e di guerra.

Roma, un altro luogo importante per la cristianità, era meta di

pellegrinaggio soprattutto per i martiri che vennero qui sepolti e per

le numerose chiese e catacombe che presentava. Poi diventando il

centro della cristianità mondiale furono istituite feste e ricorrenze che

accoglievano pellegrini da ogni parte della Terra. Inizialmente era meta

infatti di pellegrini dalle regioni limitrofe, poi cominciarono ad arrivare

da ogni parte del mondo, soprattutto dopo l’istituzione dell’Anno Santo

dal 1300.

Infine Santiago, meta di pellegrinaggio per la presenza della tomba

del primo apostolo Giacomo, importante anche per le lotte contro i

musulmani.

Dopo il Medioevo, l’uomo decide di ridimensionare il pellegrinaggio,

comincia a non credere più ai poteri taumaturgici. Il dominio sulla

natura, le rivoluzioni tecnologiche, cominciano a cambiare il senso di

questi viaggi, che si frammentano in itinerari minore, di pochi giorni. La

chiesa si adegua ai cambiamenti, ma il pellegrinaggio deve mantenere il

suo motivo religioso. Ai lunghi viaggi di purificazione, si sostituiscono

itinerari brevi, verso i più famosi santuari d’Europa.

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Segni distintivi del pellegrino sono gli emblemi dei luoghi visitati: la

conchiglia del mare di Galizia per i reduci del cammino di Santiago, le

palme per chi torna dalla Terra Santa, croci, placche metalliche.

Esiste inoltre un’iconografia dei santi protettori dei pellegrini e dei

viaggiatori in genere. I santi che di frequente ricorrono negli affreschi

o nelle pale d’altare di molte regioni italiane sono San Rocco, il santo

pellegrino del XIII secolo, riuscito a scampare alla peste, san Giacomo

di Compostela, san Martino e san Cristoforo. San Cristoforo avendo

traghettato Cristo bambino oltre il fiume, assume il ruolo di protettore

dei viandanti soprattutto impegnati nei guadi fluviali o passi montani

rischiosi.

Grazie al pellegrinaggio abbiamo la nascita dei primi libri di via6,

rudimentali guide che tracciano i percorsi attraverso i paesi europei e che

hanno come poli di riferimento: Venezia come porto d’imbarco verso

l’Oriente, e Roma. Queste guide contengono elenchi approssimativi

di agglomerati urbani, locande, città, passi montani e gaudi fluviali

e imbarchi con tutte le relative distanze. Saranno importanti perché

per la prima volta tracciano buona parte di quello che sarà l’itinerario

maggiormente percorso nel corso del viaggio in Italia dal XVI secolo

alla nascita del turismo.

Questi itineraria saranno i precursori dei libri di via dei mercanti,

caratterizzati da meticolosi rendiconti di distanze percorse e spese

sostenute, di cambi di denaro e permute, che costituiscono un prezioso

settore di ricerca storiografica.

Il viaggiatore moderno sicuramente si differenzia dal pellegrino,

soprattutto per le motivazioni al viaggio. È rappresentato da chi

scende in Italia non più per il beneficio dell’anima, bensì per curare la

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malinconia, autentico mal du siècle.

Quando le finalità del viaggiatore moderno non siano terapeutiche,

queste sono volte all’assorbimento di quanto possa essere utile alla

propria formazione culturale, alla propria persona. E tutto ciò si ottiene

osservando meticolosamente ciò che s’incontra, sgranando gli occhi

della curiosità, “colui che viaggia con gli occhi di Ulisse sceglie una

delle strade eccellenti della sapienza terrena”.

Queste nuove motivazione permettono il nascere di diari di viaggio più

articolati, che vengono considerati i propugnatori dei libri di viaggio.

Questi sono il frutto di uno spirito nuovo, i viaggiatori e mercanti

mostrano interesse nei confronti della topografia e dell’assetto urbano

dei centri che visita, degli usi e costumi, dell’arte e della scienza.

Lettere e diari di viaggiatori stranieri servono da riscontro e da

completamento per i ritratti che di se stessa ha tracciato questa società.

La schiera di viaggiatori stranieri che percorrono la penisola e ne

scoprono gli angoli più riposti, ne cantano le bellezze, ne osservano con

dedizione e interesse gli usi e i costumi, le antichità, le opere d’arte,

tessono un quadro ricco e composito della realtà storica italiana, grazie

anche agli artisti al loro seguito, pittori topografi che tracciano il disegno

delle mete incontrate. Affinché i viaggiatori per diletto e gli artisti al

loro seguito riescano a tracciarci descrizioni e immagini nuove, bisogna

che il viaggio acquisisca nuovi scopi e si proponga come fine il sapere,

la curiosità individuale, l’osservazione e lo studio delle differenze delle

genti e dei luoghi.

“Il viaggiare7 per i giovani fa parte dell’educazione, per gli adulti

dell’esperienza. Chi va in un paese straniero senza una qualche

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conoscenza della lingua, vada prima a scuola e non in viaggio. Approvo

in pieno che i giovani viaggino sotto la guida di un tutore o di un

domestico serio, purché questi sappia la lingua del paese e vi sia già

stato, così che possa indicare loro quali cose siano da vedere nei paesi

in cui viaggiano, quali persone debbano conoscere, quali studi o quale

cultura il nuovo possa offrire, altrimenti questi andranno con gli occhi

bendati e avranno ben poco da osservare.”

Con queste parole di Francis Bacon possiamo introdurre la nuova

tipologia di viaggio dei secoli XVI e XVII, un tipo di viaggio ispirato da

motivazioni pedagogiche.

La firma della pace di Cateau-Cambresis tra Francia, Spagna e

Inghilterra nel 1559 inaugura un equilibrio europeo che sarebbe durato

fino alla guerra dei Trent’anni, favorendo una continua migrazione

intellettuale verso l’Italia. Il nuovo viaggiatore valica le Alpi non più per

inseguire la gloria delle armi, né per sfidare l’ignoto. Il nuovo viandante

è soprattutto un giovane accompagnato da un tutore, che spesso è

l’effettivo creatore delle memorie di viaggio, e, a seconda del censo

familiare, da una serie di servitori. Questo tipo di giovani viaggiatori

sono da distinguere dai giovani stranieri che vengono a studiare nelle

università italiane, loro si spostano, seguendo un itinerario preciso

tra le città più importanti dal punto di vista culturale, seguendo un

preciso itinerario che inizia e termina nella stessa città. Loro perseguono

specifiche conoscenze topografiche del paese ospitante, dei suoi costumi,

della sua lingua. La finalità di questi spostamenti è l’arricchimento della

propria cultura e la conclusione della propria formazione.

L’idea del viaggio che si diffonde presso l’aristocrazia europea

nell’ultimo scorcio del XVI secolo, è un’idea nata dalla curiosità

20

intellettuale della nuova scienza che osserva i fenomeni naturali e

quelli creati dall’uomo, facendo oggetto di estasiata contemplazione le

antichità classiche. L’Italia che si dischiude al viaggiatore moderno è la

terra della grande tradizione antiquaria, il più variegato museo di forme

politiche. Nasce un nuovo termine che sostituisce travel o journey, ed è

quello di tour, cioè di giro dei paesi continentali, soprattutto dell’Italia,

come detto in precedenza, con la stessa città come punto di partenza e di

ritorno.

Dopo il XVI secolo, né la guerra civile inglese, né gli sconvolgimenti in

atto in Italia, non riusciranno ad arrestare questa pratica al viaggio.

Grazie a viaggi dei giovani aristocratici e borghesi, ma soprattutto

scrittori e artisti di ogni età, che avranno il ruolo di tutori, attratti

dall’Italia, si devono le prime relazioni di viaggio nella penisola italiana

e le prime guide.

Nel 1591 esce a Londra lo Itinerary Written by Fynes Moryson..

Containing His ten Yeers Trauell8, che costituisce un vero e proprio

prototipo di guida di viaggio e che conferisce una fisionomia funzionale,

basata sull’esperienza diretta. Nasce così un nuovo genere di letteratura

che gli inglesi definiscono travel literature e corrisponde alla concezione

laica del viaggio.

Alla base vi deve essere una nuova concezione del viaggiare, il viaggio

di formazione, d’istruzione e di diletto, che percorre le vie del continente

per raggiungere la propria realizzazione effettiva oltre i valichi alpini, in

Italia.

21

Alcuni nomi di spessore letterario sono Philip Sidney, Thomas Hoby,

Michel de Montaigne, Francois Rabelais, a costoro dobbiamo al

diffusione dell’idea del viaggio in Italia presso i ceti dominanti dei loro

paesi.

La letteratura di viaggio si colloca nel corso del XVI e del XVII secolo

e si fa riferimento innanzitutto a quelle testimonianze che si collocano a

metà strada tra tradizionale scrittura memorialistica e il genere nascente

della letteratura di viaggio vera e propria. Un esempio può essere il The

travels and Life of Sir Thomas Hoby, written by Himself 1547-1564, nel

quale troviamo descrizioni topografiche dell’Italia alternate a notizie

storiche e informazioni politiche.

Bisogna considerare inoltre le relazioni in forma di guida, antenate dei

Baedeker e manuale e vademecum dei viaggiatori che danno consigli a

coloro che si accingono a partire per l’Italia.

Per ultime abbiamo le relazioni di viaggio vere e proprie, a metà via fra

la guida, il saggio di costume e la narrazione descrittiva.

Il Seicento vede quindi la nascita e lo sviluppo di quella che definiamo

“letteratura di viaggio”, che ci permette di ottenere informazioni e

descrizioni per la lettura del passato di vari paesi.

• Il secolo d’oro dei viaggi: il Grand Tour9

Ricapitoliamo innanzitutto le nuove motivazioni che nel Seicento

spingono il viaggiatore borghese e aristocratico a spostarsi: la curiosità,

un termine che nulla esclude dal proprio campo di indagine, raccolta

di rarità artistiche o naturali, osservazione di fenomeni inconsueti della

natura, usi e costumi di popoli.

22

Il viaggiatore seicentesco è sempre un filosofo sperimentale. Questa sarà

l’eredità lasciata al secolo successivo: il Settecento. In questo nuovo

secolo il viaggio si trasforma da travaglio a piacere, amore per la cultura

e l’arte. Modifica radicalmente la concezione che l’uomo ha di se, quindi

cambiano le mete e le motivazione del viaggio.

Si cominciano ad effettuare viaggi prima considerati tabù per la Chiesa,

i luoghi prima fondamentali per lo spirito perderanno importanza, ma il

loro significato sarà sempre lo stesso.

Viaggio che in questo secolo viene compreso nel fenomeno denominato

Grand Tour. È questa un’espressione che sembra aver fatto la sua

comparsa nel 1670 con la guida al viaggio italiano di Richard Lassels,

The Voyage of Italy10. Designa in breve il giro e la visita di vari paesi

europei con partenza e arrivo nella medesima città. Si tratta di un

fenomeno inizialmente legato all’aristocrazia, soprattutto inglese, poi

estesosi alla borghesi, agli scrittori e agli artisti.

La meta principale di questi tour era l’Italia, che vedeva l’arrivo di

numerosi rampolli inglesi, accompagnati da tutori, che facevano loro da

guida, indirizzandoli verso lo studio e l’osservazione attenta della realtà.

Le motivazioni di questi viaggi erano soprattutto di completamento

della propria formazione culturale. I maestri consigliavano sempre la

redazione di uno o più diari di viaggio da parte dei giovani viaggiatori,

molto spesso erano gli stessi maestri a scriverli.

Lo studio di questi diari ha permesso, tramite l’analisi dei dati raccolti

una volta in patria, l’ampliamento della conoscenza di questi paesi.

Con il passare del tempo non sono più solo i giovani a compiere questi

lunghi viaggi di conoscenza, il fenomeno coinvolge un numero sempre

maggiore di aristocratici, facoltosi borghesi, i quali viaggiano in proprio

23

o inviano i figli in Italia. Al loro seguito troviamo schiere di personaggi

ed inservienti, dal medico, al cuoco, al pittore di paesaggi. Questo

fenomeno non coinvolge solo gli aristocratici, infatti non è raro trovare

anche chi viaggia solo con un cambio; un esempio è offerto da un

personaggio molto importante, Goethe, come importanti sono stati i suoi

diari di viaggio.

Il Settecento assiste al sorgere anche di un altro importante fenomeno,

cioè la numerosa presenza delle donne in viaggio; loro che solitamente

sono chiuse tra le mura domestiche, possono finalmente evadere e

scoprire il mondo; e saranno proprio loro le maggiori redattrici di libri di

viaggio: si può citare come esempio Madame Du Bocage, Lady Mary

Wortley Montagu, Hester Lynch Piozzi11

Il viaggio in Italia è sempre importante, ma acquista maggior interesse

quello continentale, in Europa: Parigi, Londra, Vienna. Le mete

diventano le più disparate, si cominciano ad effettuare anche viaggi

oltreoceano. I travel books che compaiono a ritmo serrato nelle

librerie di tutta Europa recano titolo che descrivono di per sé itinerari

continentali. Si genera il fenomeno dello spostamento sempre più a

sud d’Italia, oltre la piana di Paestum, si conoscono altro luoghi, mossi

da nuovi interessi: indagare la Sicilia, i cammini di Puglia. Talchè

la comparsa della Italienische Reise di Goethe, nel 1816, sancisce il

tramonto del giro continentale in favore di una diretta scoperta artistica,

antiquaria, topografica e antropologica dell’Italia, di nuove terre e nuovi

itinerari.

I disagi che caratterizzavano i pionieri del Grand Tour lasciano il posto

alla ricerca di sempre maggiori comodità soprattutto dal punto di vista

dei mezzi di trasporto. Gli aristocratici vorranno sempre di più unire

24

alla volontà di beneficiare degli aspetti terapeutici del viaggio, senza

modificare le proprie abitudini. Il viaggio acquista nuove finalità, non

solo culturali o di conoscenze artistiche, ma anche di benessere, questo

porterà poi alla nascita del cosiddetto turismo di massa.

• La nascita del turismo moderno e la letteratura di viaggio.

Con la rivoluzione industriale, ci troviamo di fronte a cambiamenti

importanti nella vita dell’uomo, riguardanti anche il settore del turismo.

La conquista di migliori condizioni di lavoro per gli operai, con la lotta

delle classi sociali, quindi di maggior tempo libero e migliori condizioni

economiche, permette anche alle classi meno agiate di concedersi dei

momenti di svago e di vacanza. Soprattutto cambiano le motivazioni

al viaggio, in quanto il lavoro operaio causando stress e stanchezza,

determina la voglia soprattutto di evadere dal quotidiano, di allontanarsi

dal luogo abituale di lavoro, per concedersi momenti di svago e relax

lontano dalla propria abitazione.

A questo contribuiscono inoltre migliorie nel settore dei trasporti, che

permettono spostamenti molto più comodi. In questo clima rinnovato

si inserisce l’attività di Thomas Cook, il creatore dei moderni viaggi

organizzati e soprattutto della prima agenzia viaggi. Cook per caso

organizzò il primo viaggio, facendo parte di una lega antialcool,

organizza un viaggio per questa corporazione, in treno fino al luogo

di destinazione, e ritorno. L’esperimento ha luogo nel 1841; da questo

momento nasceranno i primi viaggi organizzati, all’Esposizione

Universale di Parigi e soprattutto anche in Italia, dopo l’Unione.

25

Dopo aver analizzato l’evoluzione dei motivi e delle varie tipologie di

viaggio nel corso dei secoli, che danno vita alle prime rudimentali guide

turistiche e grazie ai diari e racconti, a quella che può essere definita una

prima tipologia di letteratura di viaggio, bisogna concentrarsi in modo

particolare sull’evoluzione di questa nuova tipologia letteraria, con le sue

varie sfumature.

La relazione di viaggio si trova in sintonia con il romanzo moderno,

il nuovo volto della narrativa che si realizza nell’Inghilterra di Defoe,

Swift, Fielding, Richardson. Alle relazioni strettamente personali,

episodiche, i diari intimi degli accompagnatori dei grandi viaggiatori, dei

filosofi, il Settecento riconosce anche dignità letteraria a questa nuova

tipologia con finalità formative, definita dagli inglesi novel.

La letteratura di viaggio si presenta come genere letterario che suscita

grande interesse, saranno proprio i libri di viaggio i più adatti per trarre

diletto.

Un esempio dell’interesse per il viaggio in Italia sarà dato dalle

fortunatissime Remarks on Several Parts of Italy12, del 1705, che

inaugura la nuova fisionomia del travel account, come viaggio nella

culla della tradizione classica, quale si presenta il nostro paese, e ne

impongono il modello per quasi mezzo secolo. Addison si addentrerà

in modo particolare nei luoghi della tradizione classica, e a ogni

cambiamento di località, sia che si parli del Rubicone, dei Campi

Flegrei, mutano le sue citazioni erudite e le guide per l’occasione, quali

Orazio,Virgilio.

26

L’importanza della prospettiva di Addison è proprio nell’essere guida

di un’Italia antiquaria, di un museo di forme classiche, luogo di sublimi

vedute e scenari incantati.

A questa prospettiva, che sarà anche quella di altri viaggiatori, tra cui

Goethe, si ispirano anche pittori affascinati dall’Italia delle rovine,

acquerellisti topografici e illustratori di guide che riscostruiscono i

percorsi del viaggio italiano privilegiando le vie consolari, le ville di

imperatori e poeti. Le Remarks di Addison fissano un nuovo canone per

i libri di viaggio, in quanto si distinguono dalle relazioni seicentesche

ispirate dall’elencazione enciclopedica dei dati e delle osservazioni.

Un esempio della nuova struttura data alla letteratura di viaggio nel

Settecento, si può ritrovare in Samuel Johnson e James Boswell.

Nel 1756 Boswell dà vita a un volume intitolato An account of Corsica.

The journal of a tour to that Island, and a memoir of Pacal Paoli13.

Questo volume è diviso, nella prima parte troviamo la storia della

Corsica, nella seconda un vero e proprio viaggio attraverso l’isola. La

novità introdotta da questo libro sta proprio nella contrapposizione tra

la storia derivata dallo studio dei libri, e il diario di viaggio, tratto dalla

vera e proprio esperienza sul luogo.

Nel Settecento la letteratura di viaggio si separa nettamente dalla

narrazione romanzesca. Solo separando la realtà oggettiva dalle

impressioni soggettive, il relatore può essere sicuro di aver dato elementi

derivati dalla realtà, da un viaggio realmente compiuto.

Un libro di viaggi costituisce uno dei prodotti letterari più attraenti

e istruttivi. Vi troviamo un’unione di utile e dilettevole, diverte e

cattura l’attenzione senza ricorrere alla finzione romanzesca, e riesce

27

a dare varie informazioni pratiche e suggerimenti morali molto utili

al viaggiatore. Si tratta di un genere letterario che permette inoltre la

conoscenza tra paesi lontani, apre il viaggiatore a nuove conoscenze

sociali, abbattendo qualsiasi tipo di pregiudizio nei confronti di usi e

costumi diversi dai propri.

Molto importante per permettere al narratore di evitare la ricaduta nel

romanzo, è riuscire ad eliminare ogni autobiografismo possibile. Certo

si tratta di un elemento molto importante quella di presentarsi come

viaggiatore, proprio per far capire la realtà del viaggio compiuto, ma

l’autore dovrà dimenticare se stesso e far parlare le città e i luoghi

visitati.

Anche se il Settecento, questo secolo d’oro dei viaggi, darà vita a

cambiamenti nella redazione dei libri di viaggio, rinnovamenti che

avvengono in scrittori come Sterne e Goethe14.

Un cambiamento importante sarà quello che vede il reinserimento nei

racconti di viaggio, del sentimento dell’uomo, delle avversità da lui

incontrate nel viaggio.

Questo si può osservare soprattutto con la numerosa presenza di diari di

viaggio femminili; le donne sono le grandi protagoniste della letteratura

settecentesca di viaggio, e hanno una grande freschezza narrativa e più

libertà nell’esprimere i propri giudizi e le proprie sensazioni di fronte a

nuovi luoghi conosciuti per la prima volta.

Il ruolo di innovatore di questo genere letterario spetta al Sentimental

Journey through France and Italy di Laurence Sterne del 176815. La

sua maggiore caratteristica è quella di allontanarsi dal genere di guida

che descrive semplicemente i luoghi di viaggio, ma riesce ad esprimere

28

anche i vari stati umorali del viaggiatore protagonista. Questo fa

emergere un nuovo genere di travel book nel quale l’accento cade sulla

sensibilità di chi viaggia, sulla sua capacità di reagire di fronte al vasto

panorama di paesi e persone che il viaggio offre.

Il protagonista non si limita ad osservare gli usi e costumi del mondo

circostante, ma ad investirli del proprio umore e dei propri stati d’animo.

Il viaggiatore sentimentale prende in considerazione i momenti più

particolari del viaggio, le scenette occasionali, gli aneddoti che vengono

riportati nei suoi racconti. Nella struttura del libro, l’inconsueto, il fugace

prendono il posto delle rubriche classiche e aprono la strada un rapporto

nuovo con i luoghi e le genti che spetterà al viaggiatore sviluppare.

Il viaggiatore romantico assume il duplice ruolo di narratore e

protagonista del viaggio.

Per questo egli inserirà nel proprio racconto degli ostacoli nel corso

dell’itinerario, come briganti e riempie il viaggio di divieti da rimuovere,

enigmi da risolvere, soglie pericolose da varcare.

La dimensione avventurosa assume un ruolo importante in questi

racconti; gli incidenti, gli accadimenti del viaggio quotidiano balzano in

primo piano.

Questa tipologia di racconto si differenzia totalmente dal manuale

d’uso inteso per il viaggio effettivo, strutturato in rubriche fisse,

con descrizioni di località, itinerari, poste. L’Ottocento assiste alla

rarefazione e poi alla scomparsa dei gloriosi vademecum, come raccolte

di pratici rudimenti sullo svolgimento del viaggio, sui pericoli della

strada.

29

Infine, a partire dalla metà dell’Ottocento, avremo lo sviluppo del saggio

topografico che prenderà il posto della narrazione romanzesca del

viaggio.

Una saggistica che si struttura secondo la scansione topografica del

viaggio in Italia, che raccoglie pagine diaristiche e insieme impressioni e

di analisi antropologiche su città e paesi diversi.

La letteratura si arricchisce inoltre di illustrazioni di luoghi

relativamente marginali nella tradizione letteraria di viaggio.

Uno dei meriti della letteratura di viaggio è quello di permetterci di

riscoprire il nostro paese attraverso una prospettiva suggeritaci da altre

civiltà letterarie, da altri occhi, da altre culture visive. Se questo genere

letterario dimostra che il viaggio si trasforma in esperienza effettiva e

condivisibile nel momento della scrittura, per il viaggiatore il viaggio

acquista senso solo se il suo svolgimento si intreccia con la scrittura,

propria o altrui.

• Il Novecento dei viaggi.

Il vero viaggio di scoperta non

consiste nel cercare nuove terre

ma nell’avere nuovi occhi (Proust)

30

Forse Proust con questa frase voleva dire che viaggiare consente di

acquisire conoscenze ed adottare nuove prospettive sul mondo. Ma solo

se si è davvero aperti all’altro ed al diverso, si può giungere ad una vera

conoscenza del luogo visitato e di se stessi.

Probabilmente è proprio questo ciò che differenzia, a mio parere, i secoli

passati, dal Novecento, questo nuovo spirito che spinge i viaggiatori

novecenteschi a recarsi nei paesi più lontani e sconosciuti, guardandoli

con nuovi occhi, non più attraverso luoghi comuni, ma col desiderio di

conoscenza, e in molti casi di voglia di aiutare chi ha più bisogno di noi.

Il rapporto tra viaggio e letteratura unisce due attività diverse: una è

quella fisica propria del viaggio, che comporta uno spostamento nello

spazio, il viaggiatore si muove e un’altra attività che compie è quella del

ricordare quello che vede, del confronto con il quotidiano, per analogie

e differenze. Infatti proprio la letteratura che si presenta come attività

mentale, si basa su un’esperienza fisica, quella del ricordare.

Da Omero a Virgilio, Dante e Manzoni, la letteratura possiede molti libri

che narrano viaggi. Le avventure di Ulisse, il viaggio della vita di Dante,

o gli spostamenti di Renzo dopo essersi separato da Lucia, tutto questo è

viaggio.

Certo è vero che non si tratta di veri e propri racconti di viaggio, cioè

la letteratura di viaggio propriamente detta si differenzia per il suo

concentrarsi sul racconto di viaggio, però possiamo notare che tutto

ciò che è letteratura, anche molto importante, ha alla sua base o nelle

sue parti, un racconto di viaggio o degli spostamenti. Il viaggio diviene

letteratura o comincia ad essere considerato letteratura, nel momento in

cui viene scritto, non durante il viaggio per i vari disagi che si possono

31

incontrare, ma una volta tornati a casa sulla base dei propri appunti e

ricordi.

Si basa quindi prima sull’esperienza vissuta sul campo e quindi

conoscenza e poi la scrittura.

Quindi si tratta di una letteratura di realtà. Proprio per questo al termine

letteratura se ne può affiancare un altro; quello di prosa di viaggio, che

sposta l’interesse da una pagina d’autore, a una pagina in cui troviamo

il racconto di fatti, oggetti e situazioni. Questi vengono riferiti nel

racconto: proprio da questo termine, che in inglese è to report, nasce il

genere letterario del reportage, tipico soprattutto di testate giornalistiche

che inviano i propri collaboratori proprio per creare questi racconti con

tutti i dettagli della loro esperienza.

Il libro di viaggio ha delle sue caratteristiche particolari; innanzitutto

ciò che colpisce l’attenzione e viene descritto è il paesaggio. Il

paesaggio incontrato viene descritto sia dal punto di vista estetico che

per quanto riguarda il clima. Dopo l’interesse geografico viene quello

antropologico, rivolto agli usi e costumi degli individui, ai loro caratteri,

soprattutto per analogie e differenze con i propri modi di vivere. Anche il

mezzo di trasporto acquista importanza in un libro di viaggio, può essere

marginale, in quanto utilizzato solamente come spostamento, oppure

può divenire il centro del racconto. Non sono infatti mancati casi in cui

autori si siano concentrati proprio su questi mezzi, soprattutto in quelli

attratti dal comico, utilizzando proprio degli episodi particolari accaduti

su questi mezzi per concentrare il racconto.

L’evoluzione del viaggio in turismo cambia ovviamente anche lo

scrivere di viaggio. Viaggi organizzati, in cui si hanno tutte le comodità

possibili, dove l’elemento avventura non è più presente come prima,

32

creano relazioni ben diverse da quelle precedenti molto spontanee e

basate sull’esperienza.

Ciò che cambia nel viaggio non è solo l’organizzazione, ma anche la

curiosità che spingeva a compierlo, e il modo in cui svolgerlo: una cosa

è viaggiare in delegazione, un’altra è fare l’inviato di guerra e trarre da

queste esperienza delle considerazioni sullo stato delle cose che saranno

poi riferite in scrittura. Si inverte anche il rapporto con le guide, che

adesso traggono informazioni che vengono considerate originale, ma

che un tempo le prendevano proprio dalle relazioni di viaggio, per il loro

costituirsi.

Anche i mezzi di comunicazione di massa cambiano il rapporto con

i libri di viaggio, gli fanno perdere il loro significato originale. La

descrizione di luoghi attraverso pagine e pagine di libri, perde quel

senso di immaginazione, proprio a causa ad esempio della televisione

che immediatamente attraverso le immagini ti fa vedere tutto ciò che

si immagina attraverso le pagine di un libro. Proprio come nei film

preceduti dai romanzi, ci si perde in pagine e pagine di descrizioni, per

riassumerle in un'unica scena di un film.

Il Novecento italiano vede molti scrittori di libri di viaggio. Una

personalità eccellente è quella di Alberto Moravia16.

L’importanza delle sue esperienze di viaggio si può trovare in sette

libri e alla raccolta di moltissimi suoi articolati, riuniti tutti in alcuni

volumi, tra cui possiamo nominare A quale tribù appartieni, Lettere dal

Sahara, Passeggiate africane. Molti sono stati i suoi viaggi, in India

con Pasolini, ma quelli che più interessano l’argomento della mia tesi

sono proprio quelli in Africa. Quando Moravia comincia a scrivere libri

di viaggio ha davanti gli anni 20, ma saranno gli anni Trenta a vedere

33

l’affermazione del genere della letteratura di viaggio, il viaggio infatti

diverrà parte integrante dell’esperienza. Saranno anni in cui si avrà

la concentrazione dei libri sull’America, che vede la ripresa dopo il

crollo di Wall Street del 1929. Anni in cui la Cina viene considerato un

continente misterioso, il paese lontano per eccellenza. Gli scrittori di

viaggio possono essere di vario tipo: quelli che già sanno tutto del posto

in cui vanno, prima di vederlo, quindi vanno a verificare se era esatto ciò

che già sapevano; quelli che non sanno niente da prima, con uno sguardo

per loro nuovo ma pieno in realtà di luoghi comuni; ed infine coloro

che sanno, ma vogliono rimuovere tutto, per vedere con uno sguardo

nuovo. Ed è proprio questo che faranno i viaggiatori del Novecento, ed

è soprattutto questo quello che ho provato io nel mio viaggio in Africa,

una realtà conosciuta attraverso gli occhi dei media, una realtà che

pensavi di conoscere, ma una volta lì ti accorgi che i tuoi occhi vedono

qualcosa di nuovo, mai visto prima.

Il viaggio è terreno di metafore, è molto simbolico, ma sia esso reale o

figurato, comporta sempre un’esperienza di vita in chi lo compie.

Può essere viaggio spirituale, mentale, per estraniarsi dalla realtà da

parte di chi è costretto a letto da malattie, o può essere viaggio fisico di

chi vuole fuggire dalla realtà quotidiana, di chi vuole inoltre fuggire dal

turismo di massa.

Certo è vero che non tutti quando si muovono viaggiano, c’è chi resta

comunque legato con la mente alla sua terra d’origine, ma chi farà il

contrario, e riuscirà a penetrare veramente nella località raggiunta, potrà

vedersi aprire molti orizzonti.

Molti scrittori ci dimostrano che non sono indispensabili lunghe

distanze per compiere un viaggio, ma basta guardare con occhi nuovi

34

anche località molto vicine a noi, per vivere un’esperienza nuova e

interessante. Tre grandi autori del Novecento, Alberto Moravia, Elsa

Morante e Pier Paolo Pasolini17, compiono insieme un viaggio in India.

Al loro ritorno Moravia e Pasolini metteranno la loro esperienza per

iscritto, invece Elsa Morante non lo farà, ma indubbiamente l’esperienza

ha lasciato in lei qualcosa di importante, lo si potrà vedere nel suo

interesse per le filosofie orientali.

In questa sede prenderò in considerazione soprattutto Alberto Moravia,

per i suoi numerosi viaggi in Africa e soprattutto per le sue raccolte di

articoli che raccontano questi viaggi.

Pasolini18 è colpito soprattutto dal suo freddo calcolo e impassibilità.

Infatti del loro viaggio in India colpisce proprio il suo racconto sulla

minaccia di alcuni banditi, Moravia19 si era già documentato, perché

afferma di non voler viaggiare con gli occhi del turista ignorante,

altrimenti si potrebbe rivelare una delusione, ma nonostante la sua

preoccupazione non lo dimostrerà mai, anzi mostrerà indifferenza.

Proprio perché il distacco gli permette un’analisi lucida di tutto ciò che

colpisce la sua curiosità.

La sua voglia di viaggiare emerge già dall’infanzia, un’infanzia piena di

difficoltà20. Deve infatti affrontare la malattia, si ammala da piccolo di

tubercolosi che lo costringe a letto per molto tempo. Poi verso i sedici

anni viene trasferito in un sanatorio e lui ci racconta questo suo primo

viaggio, ci rende partecipi della vergogna provata per le sue condizioni.

La costrizione fisica porterà a questa sensibilità d’artista, proprio perché

“la durezza della vita crea delle vie per fuggirla”21.

35

Quando guarisce infatti comincia a viaggiare, molto probabilmente per

recuperare il tempo perso a causa della malattia. Descriverà ciò che vede,

le sue impressioni, quello che pensa nel momento in cui vede.

Si tratta di un Moravia che coglie occasioni, accetta inviti, per evadere

dalla società da cui proviene, verso cui prova fastidio e noia. È proprio la

noia che lo spinge nei suoi viaggi.

Riusciva a guardare il mondo con occhi diversi, amava la terra, puntava

gli occhi su un nuovo paesaggio e lo contemplava, riusciva a coglierne la

ragione interna, la sua anima. Ed è proprio con questi occhi che si riesce

a vivere un viaggio indimenticabile che ti rimane dentro, proprio quello

che ho provato io in Africa e che mi ha lasciato questa passione.

Moravia però riusciva a viaggiare anche da fermo22, senza spostamenti,

ogni giorno scriveva, ogni giorno nella sua mente viaggiava, per lui

scrivere e viaggiare è vivere e tutti i suoi personaggi agiscono e si

muovono.

Comincia poi a vent’anni a collaborare con giornali, scrive articoli su

Londra, New York. Il viaggio caratterizza la sua vita, dà l’impressione di

aver viaggiato ovunque.

Certamente gli anni 30 per lui sono molto difficili, al potere vi è il

fascismo e lui è contrario. Ancora una volta sceglie il viaggio per fuggire

alla dittatura, il viaggio come rifiuto a questa costrizione, come ricerca

della libertà, cosa che faranno molti scrittori del Novecento che si

rifugeranno in Oriente alla ricerca di una nuova libertà e di paesi ancora

poco conosciuti.

Moravia sceglie la Cina, per andar via, lontano dall’Italia. Pechino è una

città meravigliosa e soprattutto misteriosa, infatti il fascino per il viaggio

consiste proprio nell’incontro con l’ignoto.

36

Nel frattempo conosce Elsa Morante che sposerà nel 1941. Torna in

Italia, ma si recherà subito in Grecia, proprio per la sua insofferenza, la

noia e soprattutto l’orrenda situazione in Italia.

Tornato in Italia, al momento della discesa dei tedeschi, decide di

spostarsi al Sud, verso Napoli già liberata dagli alleati. Parte insieme ad

Elsa Morante, proprio perché è tra i ricercati dovrà nascondersi con la

moglie in una capanna in un paesino prima di Napoli, dove non è riuscito

ad arrivare, e lì rimarrà nove mesi. Da quest’esperienza di vita molto

importante nascerà un altro bel racconto: La Ciociara. Superato questo

difficile periodo saranno molti i suoi viaggi del dopoguerra, scoprirà

l’Africa con la moglie, racconterà le stragi in URSS e la povertà del

popolo russo.

Ma i suoi viaggi avranno un sapore diverso quando, nel 1962 alla

fine del suo matrimonio con Elsa Morante, inizia una nuova vita con

Dacia Maraini. Quell’Africa da lui tanto amata, ha un nuovo sapore

con la nuova compagna, riscopre la sensazione di sogno, abbandono e

libertà insita nel viaggio. L’Africa ispira una sensazione di preistorico,

selvaggio, è il luogo della purezza, dei sentimenti primari, soprattutto

della natura meravigliosa che ti lascia quella sensazione di sogno,

di tranquillità. Un mondo dove puoi completamente allontanarti dai

problemi quotidiani, dove tutto ciò che ti circonda è la natura, una natura

che si può vivere completamente in cui ci si può immergere. Dai suoi

viaggi in Africa nasceranno numerosi suoi articoli per il Corriere della

Sera, che verranno poi raccolti nei volumi A quale tribù appartieni 1972,

Lettere dal Sahara 1981 e Passeggiate Africane 1987.

L’attenzione all’ambiente sarà un punto fermo nella sua scrittura,

soprattutto per portarne a conoscenza la società, per farla riflettere. Per

37

questo dopo la strage atomica, sarà per lui fondamentale un viaggio ad

Hiroshima, un viaggio nella memoria. Questo lo porterà a candidarsi

membro del Parlamento Europeo per cercare di combattere questi

crimini. Non riuscirà però ad ottenere i risultati sperati. Tornerà quindi

all’amata e misteriosa Africa, nel fiume Zaire in Congo, a bordo di un

postale. I motivi sono molti, ma soprattutto per non fare del turismo

organizzato, sua fondamentale caratteristica che lo accompagna da

sempre, per non incontrarsi con i turisti che introducono in questi luoghi

un elemento di banalità consumistica. Il suo risalire questo fiume vuol

dire per lui penetrare profondamente nell’intimità del luogo23.

Un altro autore che ci lascia scritte le sue esperienze di viaggio è Dino

Campana con i suoi Canti Orfici24, il viaggio considerato nel suo insieme

sia come spostamento fisico, sia come metafora del passaggio dal buoi

delle tenebre alla luce.

I Canti Orfici uscirono nel 1914 presso una tipografia di paese.

Trovarono pochi lettori alcuni distratti. I distratti furono Papini e Soffici.

Furono loro a divulgare esempi preziosi di quel libro. Campana è stato

una meteora, è passato come una cometa, disse Cecchi. Non è entrato

nella storia, ma direttamente nella leggenda. Sono entrati nella storia

invece i canti. La terza edizione dei Canti Orfici del 1941, rivista e

corretta da Falqui, segnò l’apice di quella strana fortuna toccata tutta

a un libro e poco o niente all’autore. Essi sono, fra l’altro, un libro di

viaggio, dove il viaggio è assunto come metafora, ma anche come dato

di fatto della biografia e come metodo di rappresentazione. Esso diviene

allegoria di vita. Non solo il viaggio dalla notte al giorno, ma anche una

38

sorta di itinerario dantesco scritto in giro per il mondo. Dall’inferno

al paradiso, dalle tenebre alla luce. A vent’anni non poteva stare più

da nessuna parte; oltre alle città italiane visitò la Francia, il Belgio,

l’Argentina. Pellegrinaggi e viaggi per il mondo in cerca di qualcosa.

Campana è lo scrittore di un solo libro, non tanto perché di fatto in

vita sua uscirono solo i Canti Orfici, ma perché tutte le carte ritrovate

e pubblicate nel tempo, gravitano attorno a quel libro. Al libro unico si

accompagnava un disegno ben preciso e studiato. Unire alla parola la

musica, il movimento, la pittura, con aggiunta del colore. La poesia che

si piega a diversi ritmi, a diverse velocità. Pittura, musica, drammaturgia,

letteratura sono queste le arti sorelle da far convergere nel progetto.

Nell’opera c’è un movimento quasi teatrale, un’ambientazione

scenografica e pittorica. Dino Campana non usava il colore come gli

altri poeti d’allora: costruisce un impasto verbale da cui si evince che

non si tratta di poesia o prosetta colorata, ma di letteratura ossessionata

da colore. Il colore qui cessa il suo compito storico, smette i panni di

chi si presta a raggiungere un fine decorativo, non è più un mezzo per

ottenere un effetto: è un fine. È il FINE. E lo stesso si deve intendere

per la musica e il dramma. Campana non fa letteratura con presenza di

un colore, di un tono, di un movimento, bensì usa la poesia come fosse

musica, come fosse colore. Campana collocava ricordi nel paesaggio.

Nei paesaggi e nei luoghi: da Marradi angusta e tedescofoba a Faenza

luogo di avventure, di facili amori e di dolore, dalla grigia Bologna

degli anni universitari alla Firenze immagine della musica, città in cui si

specchiano i fasti d’altri tempi, il Rinascimento e il Barocco, ma anche

città falsa, vecchia, cicisbea con l’Arno visto come un fiume infernale.

Infine sta Genova. La città più amata, luogo di partenze e miseri ritorni.

39

Genova è la poesia che chiude il libro, anche perché lo riassume nel suo

tessuto accogliendone diverse immagini e atmosfere25.

La poesia di Campana oltre ad essere una poesia che ha al centro

l’esperienza del viaggio, della vita, e che tenta un progetto europeo

musicale e colorito, è una poesia nutrita anche di evidenti e molteplici

rapporti intertestuali. Va inscritto nel novero dei decadenti, ma quello

che preme ricordare è la presenza di influenze di Baudelaire, per il

torbido clima e non proprio innocente dei notturni campaniani. Ma

in quei versi Campana sente anche la voce dei poeti nostrani. Quasi

unanimemente alla lettura dei Canti Orfici molti pensarono al Carducci

, forse per il gusto architettonico del paesaggio e delle città italiane,

per certe movenze ritmico- musicali. D’Annunzio e Pascoli sembrano

due presenze più forti nell’opera campaniana. D’Annunzio anche per il

suo guato estetico, per certo sensualismo, ma vi sono anche sue dirette

citazioni nei Canti Orfici. Pascoli è forse la figura più presente. Nel

Taccuinetto faentino il poeta aveva progettato una storia quasi dantesca

che procedesse dal buio infernale alla luce mediterraneo-paradisiaca.

Lo stesso iniziale titolo Il più lungo giorno dava l’idea di un cammino.

Era un titolo ossimorico, come i Malavoglia. Si nota che il giorno è

davvero poco presente e che invece il clima crepuscolare e notturno

è onnipresente in Campana. Ma ciò che più conta è che il primitivo

disegno di scrivere una storia che partisse dalle tenebre per sbucare nella

luce di Genova franò o cambiò di segno man mano che il poeta viveva e

scriveva. Con l’andare della vita s’accorse che la luce non l’avrebbe mai

trovata. Porta avanti e indietro per il mondo e sulla carta il suo progetto

poetico e deve accorgersi che luce non ne avrebbe trovata nemmeno a

Genova. Ecco che i suoi ritorni sono sempre miseri. Ruggero Jacobbi26:

40

“Nulla di ciò che Campana pronuncia nel suo vagabondare per le città

notturne corrisponde ad una nozione banale di vita e di morte, tutto è

rimesso all’ipotesi di una scoperta maggiore, di un punto nel quale si

possa ravvisare la presenza della verità. “ unire i contrari per creare

l’arte: visività visionaria ovvero la capacità tutta sua di inserire una

visione nell’attimo in cui guarda. Con questa sua attitudine il poeta

insegue la luce rintracciandola visivamente in una finestra illuminata

che poi si spegne, nella luna e nelle stelle che poi si perdono nel buio

notturno. Tutta questa intensità luminescente si rivela di breve durata,

si rivela PER UN MERAVIGLIOSO ATTIMO. Di qui il nuovo titolo,

con la parola canto che gli giunge dalla prossima tradizione leopardiana

e pascoliana e l’aggettivo orfico sentito come estremamente moderno.

La continua lotta tra il rosso e il bianco indica questo svolgimento di

cose. Il rosso è il colore della disarmonia, del caos, del sangue, della

dannazione notturna. Il bianco è il suo contrario, la ricerca dell’armonia,

della bellezza, dell’uomo nuovo.

Riprendendo l’argomento su cui maggiormente mi concentro nella

mia tesi, si il viaggio, ma soprattutto in Africa, ci sono due autori

moderni fondamentali per capire il cambiamento nelle motivazioni che

spingono a raggiungere questo mondo per noi così lontano, e soprattutto

si può notare in loro il cambiamento di visione di queste popolazioni,

allontanandosi dai luoghi comuni e creando una visione dall’interno che

ci permette di immedesimarci con loro in questo mondo.

Il primo su cui vorrei concentrarmi è Gianni Celati. La sua visione

dell’Africa è molto simile a quella di Moravia a mio parere, perché

riesce a vivere completamente questa esperienza e ci descrive quel

mondo dall’interno, un mondo da lui vissuto con occhi diversi e non

41

del turista consumista. Con il suo documentario Passar la vita a Dioll

Kadd27, Celati vive un villaggio del Senegal, e ci restituisce la visione

della quotidianità, aspetti della vita di un popolo, con i suoi riti, le sue

abitudini. Un villaggio completamente vissuto da Celati che ci permette

di vedere l’Africa da un altro punto di vista e non solo come ci viene

presentata quotidianamente.

È vera la povertà che noi conosciamo di quei luoghi, ma la loro forza di

sopravvivenza e la loro voglia di vivere non ci viene mai presentata, e

questa viene alla luce proprio in questo documentario.

Ci colpisce il suo rapporto complice e dolce con gli abitanti, l’unione di

culture così diverse.

Ci mostra i cortili cosi simili alle nostre campagne, poi ci racconta della

poligamia, elemento invece totalmente assente nella nostra comunità.

Ciò che ci colpisce di più è che Celati ci permette di osservare l’anima

del villaggio, di entrare completamente nella loro vita, conoscendone la

cultura, il sorriso, la voglia di vivere, nonostante la povertà e le difficoltà

forse insuperabili. Ci emozioniamo partecipando ai loro riti, culture,

riusciamo a cogliere attraverso il libro, ma soprattutto attraverso il

documentario, ogni aspetto della vita di un villaggio per noi così lontano.

Affettuoso e complice, lo sguardo di Celati ci restituisce l’allegria e la

pace, la felicità delle feste femminili, la forza del mondo femminile,

un mondo che sulle proprie spalle porta avanti un intero villaggio,

lo sciamare dei bambini, che amano e apprezzano quello che hanno.

Tutto ciò col sorriso, un sorriso che ho trovato anche io durante la mia

esperienza in Kenya. Un sorriso che ti porti nel cuore. Soprattutto Celati

ci mostra la sopravvivenza di questo villaggio di duecento anime. C’è

42

la percezione di un tempo diverso, quasi fermo, vivendo giorno per

giorno, facendo “passare” la vita. “Qui nessuno guarda l’orologio,

a parte il fatto che pochi ne possiedono uno. Non so come chiamare

quest’altra specie di tempo, tempo più elastico, legato ai modi del

sentire: è il tempo delle abitudini mentali e dei movimenti collettivi nella

vita quotidiana28

Il suo sguardo umile ci racconta ogni immagine di quelle terre, ogni

piccolo particolare di una vita così lontana dalla nostra.

Paolo Rumiz29 non ci descrive un’esperienza di viaggio, ma un altro

aspetto riguardante l’Africa: l’organizzazione degli aiuti di questi paesi

poveri, in modo particolare l’attività dell’associazione Medici per

l’Africa Cuamm30.

Ogni giorno i media ci mostrano spot riguardanti le attività di queste

associazioni, ci suggeriscono modalità di aiuto per quei paesi, proprio

come l’Africa, ne hanno veramente bisogno. Tutti noi penso ci

chiediamo sempre cosa si celi dietro quelle associazioni, quale tipo

di attività svolgono per aiutare queste popolazioni. Paolo Rumiz ci

restituisce infatti una descrizione vissuta interamente all’interno di

questo tipo di associazione.

Medici con l’Africa del Cuamm. è la prima organizzazione non

governativa (ong) in campo sanitario riconosciuta in Italia. Si spende

per il rispetto del diritto umano fondamentale alla salute e per rendere

l’accesso ai servizi sanitari disponibile a tutti, anche ai gruppi di

popolazione che vivono nelle aree più isolate e marginali. E' nata nel

1950 con lo scopo di formare medici per i paesi in via di sviluppo con

il nome Cuamm (Collegio universitario aspiranti e medici missionari),

negli anni ha scelto di operare particolarmente nel continente africano,

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da cui il nome Medici con l’Africa. Oggi è presente in 7 paesi dell'Africa

a sud del Sahara, in Angola, Etiopia, Mozambico, Sud Sudan, Tanzania,

Uganda e Sierra Leone, dove 80 operatori nel corso del 2011 sono stati

impegnati in 37 progetti di cooperazione principali e un centinaio di

micro-realizzazioni di supporto. L’incontro con Paolo Rumiz fa nascere

questo libro. Lui si innamora del progetto e osserva donne e uomini in

azione, ci racconta di coppie, e intere famiglie che si trasferiscono in

Africa per aiutare paesi distrutti dalla guerra, da pandemie, e da malattie

che per noi sono comuni come un banale raffreddore o una colite che

invece in Africa porta alla morte di milioni di bambini innocenti. Uomini

e donne che lasciano la loro casa, la loro famiglia, che in un certo modo

si sentono molto più africani, lì nascono i loro figli, lì corrono appena

arriva una chiamata di Don Luigi. Questo libro colpisce chi come me

è stato in Africa e non ha vissuto solo il lato turistico, paesaggistico,

naturale, ma ha visto da vicino le condizioni estreme di vita, di bambini

che hanno sempre il sorriso, un sorriso dolce così pieno di voglia di

vivere. Troviamo nel libro di Paolo Rumiz le sensazioni provate dai

volontari, il loro vissuto, il “Mal d’Africa”, la loro generosità, ciò che

ha lasciato loro dentro l’Africa, l’Africa dei colori, degli odori, delle

sensazioni profonde. Questo racconta una coppia di medici: “in Kenya

abbiamo incontrato un mondo di contrasti inauditi. La polvere della

siccità e il fango delle grandi piogge. L’odore rancido della povertà e la

magnificenza dei colori. La miseria senza fondo e il sorriso della gente .

La fame dei bambini denutriti e gli alberi carichi di frutta31.

44

1. Dino Azzalin narratore-editore

Dino Azzalin1 è lo scrittore sul quale ho deciso di concentrarmi per

approfondire l’argomento Africa, attraverso la lettura e l’analisi dei suoi

libri, soprattutto i suoi diari di viaggio in questo vasto e affascinante

continente. Parlare dell’Africa, studiarla sui libri, e viverla, sono cose

completamente diverse. Per mia immensa fortuna l’ho vissuta, in Kenya,

proprio come Dino Azzalin, e come lui non ho conosciuto solo l’aspetto

turistico di questo paese, ma ho toccato con mano anche momenti di

dolore a cui non ci si può sottrarre. Grazie alla lettura dei diari di Dino

Azzalin, al suo impegno in quei luoghi per quei popoli, mi sono immersa

di nuovo nelle emozioni di questo continente, nei suoi odori, nelle

abitudini, nel vissuto della gente.

La Nuova Editrice Magenta viene fondata nel 1999 per iniziativa di

Dino Azzalin e Angelo Maugeri, essa raccoglie, nel nome e negli intenti

editoriali, l’eredità della gloriosa casa editrice varesina Editrice Magenta.

L’esordio è: Una missione fortunata e altri racconti, inedito di Guido

Morselli.

È proprio lo stesso Dino Azzalin a raccontarci in un articolo2 la sua

esperienza con la vecchia e la nuova editrice magenta. Qui ci narra

come è venuto a conoscenza dell’esistenza di questa casa editrice,

quando negli anni 70 lavorava in radio con Mauro Maconi, e insieme si

occupavano di un programma dedicato ai libri, dal titolo: “Il fantasma, il

monaco, la scimmia” da una poesia di Mao Tze Dong.

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In quel periodo sentirono parlare di molti scrittori che si rivolgono a

questa casa editrice, e decisero di andare a cercarla, così scoprirono che

si trattava di una cartolibreria, di cui era titolare Bruno Conti. L’Editrice

Magenta era nata negli anni Cinquanta: magenta non era il colore di

copertina dei libri, ma semplicemente il nome della via dove, con l’aiuto

di una sorella, Bruno Conti gestiva la cartolibreria Magenta. Lo

conobbero proprio per cercare un libricino piccolo, bianco, con una

fascetta rossa in basso, dal titolo Linea Lombarda. Fu difficile per loro

trovarlo sepolto nella più totale confusione di libri e prodotti di

cancelleria. Si trovarono di fronte un tipo stravagante, un professore in

pensione, che li trattenne per ore ad ascoltare la sua vita. Si

dimenticarono addirittura il motivo della loro visita alla casa editrice.

Naturalmente uscirono senza la loro raccolta di poeti, ma da quel

momento cominciò l’interesse di Azzalin per quello strano professore,

tanto da portarlo a frequentare spesso quel posto. L’Editrice Magenta

pubblicò libri importanti ma anche tanta critica letteraria. Purtroppo

gradualmente i rapporti tra Conti e Anceschi si deteriorano fino ad

arrivare ad una rottura. Furono tanti i momenti da superare, la sua morte,

quella della sorella di Conti, seguita poi da Anceschi e anche dal suo

amico Mauro qualche anno più tardi. Un giorno Azzalin passò di lì e

vide la nuova gestione della vecchia editrice: i nuovi proprietari stavano

buttando tutto. Non avevano sicuramente idea del tesoro che si celava in

quella vecchia cartolibreria, per questo Azzalin chiese e riuscì a

comperare tutti quei libri preziosi, e riunendo tutto, di lì a qualche anno

creò con amici la Nuova Editrice Magenta.

L’importanza della Magenta per Azzalin, consisteva proprio nella rottura

col passato, tramite l’innovazione del linguaggio poetico. Così decise

46

di partecipare alla ripresa delle pubblicazioni della Magenta, di cui

erediterà il testimone.

2. La NEM e Guido Morselli: il genio segreto

La storia della Vecchia e Nuova Magenta, e quindi quella di Azzalin,

si intreccia spesso con le vicende editoriali di Guido Morselli. Il primo

libro pubblicato è proprio di Morselli “Una missione fortunata e altri

racconti”(1999). In occasione del decennale della NEM si decide, come

festeggiamento, di pubblicare la ristampa di un saggio introvabile di

Morselli: “Realismo e fantasia”. E’ proprio Dino Azzalin a raccontare in

un articolo3 come è venuto a conoscenza di Morselli, quando lavorando

a Radio Varese, gli era stato dato da recensire per una trsmissione

“Dissipatio HG” e lui rimase subito colpito da qualcosa di innovativo e,

dopo aver scoperto tutta la produzione di Morselli, si appassionò.

Oltre ad essere un validissimo autore, Azzalin scoprirà una nuova

possibilità, quella dell’editore. Un’iniziativa importante quella della

Nuova Magenta: far rivivere dopo 65 anni, il libro introvabile, Realismo

e fantasia, pubblicato nel 1947 dai Fratelli Bocca di Milano e mai più

ristampato. La casa editrice con questa operazione editoriale volle

rilanciare lo scrittore. Evento testimoniato da testate giornalistiche4

importanti a cui hanno partecipato vari critici e la studiosa di Morselli,

Valentina Fortichiari. È un libro di pensiero, di filosofia, in forma di

Dialoghi, conversazioni fra due amici nel corso di una estate, in una

dimora sullo sfondo di un lago, quello di Varese. Sereno e il personaggio

che dice Io, sono due facce dello stesso Morselli, illuminate di una luce

che diverrà dopo la sua morte emblema e icona dello scrittore inedito.

47

Guido Morselli nasce a Bologna il 15 agosto 1912, secondogenito di una

famiglia agiata della buona borghesia bolognese. Il padre Giovanni è

dirigente d'impresa nel ramo farmaceutico, la madre Olga Vincenzi è

figlia di uno dei più noti avvocati della città. Nel 1914 la famiglia si

trasferisce a Milano. Fino all'età di dieci anni la vita di Guido scorre

abbastanza tranquilla ma nel 1922 la madre si ammala seriamente di

febbre spagnola e viene ricoverata per un lungo periodo. Guido soffre

per questa forzata lontananza ed anche per le frequenti assenze del

padre, dovute a motivi di lavoro, e quando la mamma muore nel 1924 la

perdita lo segna profondamente. Il padre è sempre assente, e senza il

collante familiare della mamma i rapporti tra i due continuano a

deteriorarsi sia caratterialmente sia affettivamente. Guido è poco

socievole, irrequieto, non molto amante della scuola, ma sorretto da

un'intelligenza precoce; allo studio preferisce letture personali. Superato

svogliatamente l'esame di maturità nel 1931 da privatista dopo essere

stato bocciato nel 1930, per compiacere il padre autoritario si iscrive alla

facoltà di giurisprudenza dell'Università Statale di Milano e comincia a

scrivere, senza pubblicarli, i primi brevi saggi a carattere giornalistico.

Subito dopo la laurea nel 1935, parte per il servizio militare e frequenta

la scuola ufficiali degli alpini. Successivamente soggiornerà lungamente

all'estero, scrivendo reportage giornalistici e racconti che rimarranno

inediti. Il padre cerca, in maniera autoritaria, di indicargli una strada e lo

fa assumere alla Caffaro come promotore pubblicitario: l'esperienza

lavorativa si concluderà dopo un solo anno portando ad un

peggioramento dei rapporti con il padre. Dopo la morte dell'amata

sorella Luisa nel 1938, a soli ventisette anni, Guido ottiene dal padre un

vitalizio che gli permette di dedicarsi alle attività che da sempre

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predilige: la lettura, lo studio e la scrittura. Continua a cimentarsi in

brevi saggi e inizia la stesura di un diario, abitudine che lo

accompagnerà per tutta la vita. È autore di romanzi e saggi che sono stati

pubblicati solo a partire dal 1974 (ossia dopo la morte), a causa dello

sfavore delle case editrici, che non seppero correttamente valutarne

l'importanza. Proprio i costanti rifiuti degli editori furono alla base del

gesto suicida con cui Morselli, il 31 luglio 1973 nella sua residenza a

Varese, pose fine alla propria esistenza. Nella casina di Santa Trinita5

che fu sua, oggi si trova un museo dedicato alla sua opera.

Morselli è l’emblema dello scrittore incompreso, rifiutato dagli editori,

che viene considerato solo dopo la morte. Giornalista, saggista e

romanziere, non ha trovato in vita case editrici che credessero in lui,

proprio il successo conseguito successivamente al suo suicidio, non

si spiega il motivo che lo ha portato al gesto estremo6 e che non ha

permesso di trovare pubblico e sostegno.

Sono diverse le iniziative dedicate a questo scrittore a Varese, città a

cui era legato e si è adoperato, ad alcune delle quali partecipa anche

la Nuova Magenta. Ad esempio è stato istituito un premio letterario7,

sostenuto dalla Provincia di Varese, grazie all’iniziativa degli eredi

Morselli e di Silvio Raffo8. A pubblicare i volumi vincitori è stata

proprio la Nuova Editrice Magenta di Dino Azzalin. Un premio

organizzato per ricordare questo scrittore, ma anche per sostenere la

cultura. Molte sue opere furono pubblicate solo dopo la sua morte,

fu l’erede testamentaria Maria Bruna Bassi, una sua cara amica, a far

pubblicare numerosi romanzi che Morselli aveva scritto nella sua vita

dedita in massima parte allo studio e alla scrittura.

49

Un articolo9 ci presenta un’altra iniziativa, una mostra dedicata

a Guido Morselli, organizzata nel Liceo Classico Ernesto Cairoli

dall’Associazione Varese Europa in collaborazione con il Comune di

Varese. Un’esposizione di pannelli, manoscritti, video, per cercare di

riscoprire, o meglio scoprire, uno scrittore che si è adoperato molto

per quella terra alla quale era molto legato. Questo era uno degli

aspetti sconosciuti di questo artista incompreso, un ambientalista e

attento difensore del paesaggio. Anche in questo evento troviamo al

partecipazione della NEM che si occupa della cura del catalogo della

mostra.

Il premio a Morselli si pone accanto a quello dedicato a Piero Chiara,

(un altro importante scrittore di Varese) ; due personalità distinte, nati a

un anno di distanza eppure così diversi, soprattutto con due destini

diversi, visto il successo di uno e la triste rinuncia alla vita dell’altro.

Piero Chiara definiva Morselli scontroso, visto che si chiudeva nel suo

podere di Santa Trinita piuttosto che frequentare i suoi colleghi di penna.

Il tempo ha restituito a entrambi la giusta dimensione professionale e

umana, rivelando lo spessore di due scrittori e intellettuali, dotati di una

cultura non certo di superficie. Nascondevano, dietro l’apparente

alterigia, una comune timidezza, e l’imbarazzo e la solitudine di chi non

può fare a meno di dare in pasto la propria anima al lettore, misurandosi

a vicenda con la paura di scoprire che l’altro fosse in grado di far meglio

e prima. Entrambi divennero e sono rimasti grandi, Piero Chiara lo

divenne già in vita e Morselli purtroppo dopo la morte. Uniti anche

dall’amore dichiarato per la loro terra varesina. L’ammirazione di Guido

Morselli per il collega si può trovare anche nella raccolta delle sue

lettere curata da Linda Terziroli grazie alla Nuova Editrice Magenta,

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Lettere ritrovate10, la quale contiene tra l’altro cartoline di complimenti

inviate al collega Piero Chiara11. Piero Chiara è ricordato da un premio

letterario, voluto dal comune di Varese ventuno anni fa, retto

dall’associazione Amici di Piero Chiara e sostenuto dal comune di

Varese.

Guido Morselli è un personaggio difficile da capire, a cento anni dalla

sua nascita, ricorrenza nel 2012, e quest’anno, a quarant’anni dalla

sua morte, molto si deve ancora scoprire sulle sue opere, gli appunti

conservati, e le opere inedite, tutto rimasto in eredità alla sua grande

amica di sempre Maria Bruna Bassi. Molto facile anche considerare un

solo motivo del suo suicidio, quello del rifiuto editoriale. Infatti sono

molti quelli che commentano così la sua fine, l’ennesimo rifiuto con il

suo ultimo lavoro Dissipatio HG, considerato il suo “capolavoro”, e

la fine della sua vita. Forse non è così, forse bisognerebbe andare oltre,

capire tutto quello che l’ha potuto portare a togliersi la vita. Forse i

vari fallimenti ottenuti, oppure tutto quello che ha passato nella vita, la

morte della madre quando era piccolo, (che lui rivedrà nella figura della

Madonna), il suo isolamento nella casina rosa di Santa Trinita, che si può

forse riscontrare in quella di Dissipatio, per allontanarsi da una società

che lo soffoca, che non lo prende in considerazione come dovrebbe. La

sua ricerca continua di un senso, tutto interiore, soprattutto per quanto

riguarda la sua spiritualità, messa in crisi dagli eventi, ma che aveva

una gran voglia di ritrovare. Nessuna realizzazione per lui, senza quella

famiglia che può dare appoggio; forse tutte queste ragioni l’hanno spinto

a lasciare questo mondo in maniera diversa.

Ebbe un’infanzia travagliata Morselli12; la madre fu colpita dalla

spagnola e non guarì mai del tutto, morì che lui aveva 12 anni. Aveva

51

un immenso bisogno dell’affetto materno e questo traspare ovunque,

soprattutto in quel suo anelito alla fede, sentito fino all’ultimo. Anche

il periodo della scuola rappresentava una limitazione alla libertà. Ebbe

molti amori, intensi o meno, ma segnati dal bisogno profondo di dare

e ricevere amore. Amava la compagnia, le persone comuni, prendeva

tutto quello che c’era di buono dalle persone che incontrava, assimilava

ogni informazione, per lui era importate comunicare, ma non amava il

turismo di massa, per ragioni etiche e morali. Ciò fu una conseguenza

del suo esilio in Calabria. Fu proprio la guerra a cui dovette partecipare

a provocare questo esilio. L’incontro con Maria Bruna Bassi avvenne

in circostanze un po’ strane, infatti le sue bambine la chiamarono alla

finestra per vedere quell’uomo che si trovava in atteggiamenti affettuosi

con una ragazza. Era proprio lui: Guido Morselli.

Fra il 1930 e il 1935 frequenta e si laurea in Giurisprudenza

all’Università Statale di Milano. L’ambiente universitario fa scaturire la

sua passione per la scrittura e soprattutto le sue capacità. In questi anni le

sue pubblicazioni sono soprattutto articoli giornalistici e un racconto di

guerra.

Dopo gli studi intraprende un particolare Grand Tour, viaggiando

tra Inghilterra, Francia, Germania e Scandinavia, lo scopo era quello

di perfezionare la sua conoscenza delle lingue. Durante questi suoi

soggiorni all’estero, si era cimentato in reportages come Vecchia

Francoforte, Aria di Copenhagen13. Questo ci permette di capire quanto

sia variegato il mondo di Guido Morselli, spaziando dai racconti, alle

lettere, ai reportages, trattando argomenti di storia, di cultura, mostrando

un autore attratto da tutto quello che lo circonda.

52

Nel 1940 inizia la sua sofferta esperienza di guerra, viene inviato prima

in Sardegna, comincia così a delinearsi un suo Diario14, contenente

citazioni e le prime tracce delle sue opere.

Fu poi chiamato alle armi in Calabria dove rimase tre anni, lontano

da tutti, dalla sua famiglia. Poi decise di lasciare l’esercito e si trasferì

a Catanzaro dove cercò di vivere in vari modi. Intanto continuava

a scrivere: lì cominciò Realismo e fantasia15. Riesce soprattutto a

pubblicare il suo saggio di “Proust o del sentimento16”, presso Garzanti.

Fu proprio durante il soggiorno in Calabria che capì cos’era la nostalgia,

dalla sua famiglia, la lontananza dalla persona amata, il profumo che gli

ricordava la sua casa. Ricordava tutto anche il medico suo grande amico

che compare nel romanzo Dissipatio HG17.

L'esordio col suo saggio su Proust sembra aprire per Morselli, nelle

sue stesse speranze, l'avvio di una carriera di scrittore promettente e

destinata a consolidarsi. Purtroppo il suo destino di insuccessi editoriali

continuerà a perseguitarlo fino alla fine, e farà solo in tempo a vedere le

stampe del saggio successivo, "Realismo e fantasia", nel 1947. Da qui

in poi rimarrà inascoltato, fatta eccezione per pochissimi conoscenti e i

lettori delle case editrici, inesorabilmente ostili alla pubblicazione.

Terminate le attività belliche riesce a risalire lo stivale fino a Varese con

mezzi di fortuna. Gli ultimi mesi della guerra vive ospite di un'anziana

signora, segnato da ristrettezze economiche rigidissime, tanto che è

costretto a vendere quasi ogni cosa di sua proprietà e riesce a ricavare

delle minime entrate economiche dando lezioni private. Non si arrende

mai a cedere i suoi libri, riesce a spedirli comunque a casa. A Varese

riordina e lavora a "Uomini e amori", scrive anche racconti brevi.

Comincia a ideare e si prepara a scrivere il romanzo breve "Incontro

53

col comunista". Nel frattempo, alla decisione della famiglia di ritornare

a Milano, dove avevano vissuto prima dello scoppio del conflitto, egli

decide di non spostarsi e rimanere a vivere da solo.

Inizia poi una felice collaborazione con alcuni giornali tra cui “La

Prealpina” di Varese, dove pubblica recensioni letterarie, proposte

culturali. Il padre gli dona un podere a Gavirate dove fa costruire una

casina immersa nel verde, la sua amata casina rosa. Si fa prepotente in

lui un conflitto interiore in materia religiosa e comincerà a stendere una

trilogia su questo argomento che verrà approfondito in seguito e ne darà

testimonianza anche la sua amica Maria Bruna Bassi, ma completerà

solo uno dei testi previsti, Fede e critica.

Intanto aveva lasciato Gavirate e la famosa casina rosa di Santa Trinita

che tanto aveva amato, ma che non lo ricambiava spesso. Infatti quel

periodo fu pieno di difficoltà, furono tanti i motivi che lo spinsero ad

allontanarsi dalla sua amata casa, primo fra tutti: la casa invasa dai

molesti rumori di alcuni ghiri. La lasciò definitivamente per il chiasso di

alcuni motocrossisti18.

Quel signore straniero, che si faceva chiamare Sereno, viveva

completamente alienato dalla civiltà, come di chi delle cose del mondo

non volesse più occuparsi. Continuò a scrivere e questo gli procurava

gioia, una gioia contrapposta al dramma ogni volta che terminava un

testo e cominciava il calvario degli editori, il dramma dei numerosi

rifiuti. Morselli amava tanto la vita, e seppe goderla, annotava tutto, si

interessava a tutto e il mondo circostante era per lui fonte d’ispirazione

per le sue numerose opere. Un giorno trovò nella cassetta della posta due

54

copie della sua ultima fatica, restituite dagli editori. L’ennesimo rifiuto; e

la sera stessa smise di soffrire.

Guido Morselli, uno scrittore definito “genio segreto”, incompreso ai

più. Un autore postumo, visti i vari racconti pubblicati dopo la sua morte

“voluta”, questo suo gesto eclatante è stato sminuito, dandogli come

semplice motivazione quella della sua insofferenza al rifiuto editoriale,

ma sicuramente nessuno ha capito che probabilmente non era solamente

quello il motivo. Il suicidio non c’entra niente con il valore dell’opera, i

motivi di un tale gesto vanno ricercati anche e soprattutto altrove.

Probabilmente non venne pubblicato in vita perché si tratta di un autore

molto difficile, dalla scrittura complicata, o probabilmente si presentava

come un autore “scomodo” che affrontava argomenti importanti, che

non venivano presentati come voleva in quel momento il gusto popolare.

Nel 2012 abbiamo avuto una ricorrenza, quella dei cento anni dalla

nascita di Morselli, il 15 agosto del 1912, e siamo a quaranta anni dalla

morte, e molto ancora si deve scoprire delle sue opere, dei suoi appunti,

di tutto quello che lui studiava, molto ancora nelle mani degli eredi, e

molto conservato nei luoghi in cui c’è tutta la sua eredità. Studiava ed

osservava tutto, leggeva articoli di giornale, molti libri, sottolineava

quello che più gli interessava, appuntava i suoi pensieri, perché lui

studiava a fondo quello che leggeva, non trascurava nulla e questo si può

capire da un aneddoto: fu proprio lui a suggerire a suo fratello Mario, al

quale concesse una volta la possibilità di aprire il suo armadio delle

meraviglie con tutti i suoi libri, di non leggere superficialmente, ma di

capire a fondo ciò che si legge, se necessario leggerlo altre migliaia di

volte, di fare ricerche continue su tutto quello che non si conosceva, e

probabilmente è quello a cui si è dedicato durante la sua vita; la

55

conoscenza oltre ovviamente alla scrittura.

Tutti i suoi appunti, libri, articoli sono conservati nella Biblioteca Civica

di Varese dove li ha lasciati in eredità. I libri sono stati da Morselli

amati, sottolineati, postillati. Alcuni presentano una dedica speciale e

una data, come la dedicata di Marinetti, il fondatore del futurismo, a

suo padre. Vi è inoltre una cospicua presenza di annotazioni, soprattutto

negli indici, come se non bastasse e dovesse essere arricchito dalla sua

opinione. Tutti questi libri comprensivi delle sue annotazioni sono riuniti

nel Fondo Morselli.

Le fonti di Morselli sono numerose, come ad esempio riviste e giornali,

il National Geographic, citato nel Diario, le cui copie, annotate e ricche

di inserti, sono conservate nel Fondo Morselli di Varese.

Le tematiche ricorrenti nei vari articoli raccolti riguardano la religiosità,

tema delicato per Morselli che verrà approfondito in uno specifico

capitolo, l’avanzata del comunismo, l’interesse medico, anche per quanto

riguarda gli stupefacenti, infatti vi costruirà una bellissima sceneggiatura

E’ successo a Linzago Brianza19, in questa sceneggiatura per un film

Morselli affronta l’argomento della nevrosi da sostante stupefacenti,

della scelta dell’amore di due donne, Vanda e Raffaella (la presenza

di due donne che chiedono amore e una scelta è presente anche ne Il

Redentore) l’impossibilità di realizzare i propri desideri anche con

l’impegno.

Il trenino di latta sarà l’immagine che fa da sfondo a tutto il racconto,

e tutto diciamo gira intorno a questo concetto. Walter impiegato nelle

ferrovie come addetto agli scambi, in una piccola stazione, a Linzago.

Il suo sogno è quello di partecipare al concorso per aiuto macchinista,

56

intanto , fin da bambino, colleziona trenini. Morselli ci parla della

periferia milanese, della durezza della vita, la violenza, l’ombra delle

droghe che arriveranno a rendere tragico il destino di questo giovane che

aveva un sogno, animato da sentimenti positivi, e all’inizio da una fede

sincera.

L’altra protagonista di questa sceneggiatura è Vanda, la prescelta di

Walter, probabilmente perché è più debole e questo si capisce da subito,

vista la sua dipendenza dai farmaci, all’inizio favorita proprio dal

padrone della fabbrica che riforniva le sue operaie. Walter sceglierà lei,

ricevendo dalla donna non amore, ma almeno gratitudine, inizialmente.

Quel passaggio a livello divide e sarà sempre il simbolo della divisione

tra il mondo di Vanda e quello di Walter e la sua passione per i treni.

Quel treno sarà anche il destino dello stesso Walter. Vanda detta le

regole di questo matrimonio, fatto di libertà per lei, del rifiuto di avere

figli e che sarà sempre segnato dalla sua dipendenza dai farmaci, quello

che porterà alla tragica fine del marito sognatore. Quel trenino di latta

mostrato a Vanda, sarà anche lui simbolo del loro futuro, e contribuirà ai

vizi di Vanda. Il decadimento fisico e mentale della ragazza è inevitabile

e la porterà a cadere nelle maglie della malavita per procurarsi quelle

pillole. Intanto Walter resta vittima di un incidete sui binari, diventa

zoppo e deve così rinunciare al suo sogno e rivedere i suoi desideri

ed adeguarsi così alla sua nuova situazione. I suoi segni legati al

famoso trenino di latta si infrangono. Dovrà così diventare sagrestano

dell’ospedale dove si trovava in cura dopo l’incidente. Sposa Vanda e

ne accetta le conseguenze e soprattutto la sua instabilità, fino a quando

il dolore lo sovrasta e fa crollare anche la sua fede. Morselli ci dà una

descrizione in questa sceneggiatura della periferia popolare, personaggi

57

della campagna che vengono tentati dalla città, regno del vizio.

Quel trenino non rappresenta più il sogno, ormai infranto di Walter, ma

servirà adesso a Vanda per dare atto ai suoi vizi, uno dei quali è quello

delle scommesse calcistiche. Lo userà per scommettere, il trenino verrà

fatto camminare e a seconda del segno dove si fermerà, 1X2, Vanda

deciderà la sua puntata. Ha ceduto al vizio, la ragazza, è disonesta,

è sempre più tentata dalla città, diventerà sempre più superficiale.

Soprattutto si considera una vittima di questo sistema. È figlia della

società del consumo, (un argomento che ha sempre interessato Morselli,

visto che decide di ritirarsi nella casina rosa a Gavirate, proprio per

sfuggire alla società dei consumi, quella società che lo ha escluso, che lo

ha portato alla sua fine, possiamo quindi vedere in questa sceneggiatura,

il pensiero dello stesso Guido Morselli verso questo tipo di società?) ;

si rivolge verso la città Milano, dove verrà accompagnata da Vincenzo

per cercare le sue pillole. Walter non ne può più, si sacrifica e affronta

una dura crisi religiosa (altro tema legato all’autore, visto i suoi continui

dubbi sulla religione), e più Walter si sacrifica e più la moglie lo deride

e si rivolge a una vita superficiale, priva di valori. Il divario tra i due sia

accentua quando Vanda rimane incinta, e Walter spera che finalmente

questo la potrà far uscire dalla dipendenza dei farmaci. Purtroppo non

sarà così. Walter cercherà ancora di aiutarla. Si vede in questo momento

una bella trovata scenica di Morselli: Walter è come fuori campo e vede

così che tutto coloro che lo circondato non lo aiuteranno in nessun modo,

dovrà nuovamente cavarsela da solo. Così decide di provare un ultimo

tentativo, porterà la moglie a vedere il figlio del suo capo; la moglie

aveva lo stesso suo tipo di dipendenza e avendo partorito due gemelli,

uno purtroppo muore e l’altro è una specie di mostro. Probabilmente di

58

fronte a quello scenario Vanda avrebbe potuto rendersi conto delle gravi

conseguenze derivanti dalla sua dipendenza e così smettere finalmente,

ma non fu così. Tutto questo porterà al tragico finale; il riorno a quei

binari che dividevano i due coniugi, il ritorno di Walter all’inizio, a quel

suo sogno mai realizzato; Walter si dirige verso il suo treno, lo aspetto,

ma non sulla banchina, verso i binari, quel treno si avvicina sempre

più: l’impatto sarà inevitabile. Così finisce tutto. I sogni negati e mai

raggiunti nonostante l’impegno e la buona volontà. Lo stesso destino

dell’autore, personaggi pieni di buona volontà, bersagliati dal destino,

ingiustamente.

Come possiamo notare uno dei protagonisti di questa sceneggiatura

è un personaggio femminile, come molti ce ne saranno nei numerosi

raccontini di Guido Morselli, mai presi in considerazione. Poi ci penserà

Dino Azzalin che, una volta rilevata la vecchia Editrice Magenta dando

vita alla nuova casa editrice, decide di partire con questi 15 racconti

inediti di Guido Morselli. La sorpresa maggiore fu proprio il fatto

di trovarsi davanti molti personaggi femminili; decisero così di dare

un titolo che potesse essere beneaugurante per l’inizio di una attività

editoriale: Una missione fortunata20.

Ritratti di donne trattati con capacità di identificazione; figure femminili

perlopiù vincenti, in grado di catturare l’attenzione per la loro carica

passionale, per le loro scelte esistenziali, le astuzie o le loro segrete

gelosie. “Una missione fortunata” è certamente il racconto ben riuscito;

una sorta di spaccato storico che rivelava una delle vene narrative

all’autore più congeniali: l’attualizzazione della storia, cui corrisponde

l’attenzione alla scottante attualità politica. Valentina Fortichiari, la più

importante studiosa dello scrittore, ne scrisse la prefazione. Nella forma

59

breve del racconto Morselli non ottenne quell’armonia, quella perfezione

dei suoi romanzi migliori del periodo tardo, forse perché in poche pagine

non riusciva ad esprimere tutto quello che avrebbe voluto. Alla storia e

alla politica fanno riferimento dei racconti che ricordano Contro-passato

prossimo o Il comunista, racconti dedicati a storie di coppie, a temi

sociali. Fa parte di Una Missione Fortunata, un racconto che presenta

una quadro sociale Fantasia con moralità21: in una città di provincia

una catena di misteriosi delitti si trasforma in una catena di violenza

incontrollabile, una lotta di tutti contro tutti.

Morselli parla qui di una violenta conflittualità insita nei rapporti

umani, anche qui si delinea una sorta di pessimismo sociale. Abbiamo

poi il racconto La Voce22, dove troviamo Giuseppe Pinelli e Luigi

Calabresi, protagonisti di una pagina della storia repubblicana italiana,

che si incontrano nell’aldilà e ripercorrono la loro drammatica vicenda.

L’argomento si rivela sempre più ampio, di tipo esistenziale. Troviamo

nuovamente un tema importante per Morselli, l’Unde Malum, da dove

viene il male al quale l’uomo non si rassegna, per il quale l’uomo non è

accusato di essere il colpevole. Proprio la realtà esterna e la sofferenza

che incombe e ti comprime, fino a portarti alla distruzione

poi, d’un tratto, quel giorno, ho sentito

una voce. Più forte delle vostre, più forte dei miei pensieri. E la voce

diceva: “Basta, Pinelli, hai sofferto a basta. Hai il permesso di

andartene. Sono io che ti chiamo”. Ho guardato la finestra, ho pensato:

siamo al terzo piano, è così facile» .«Dunque suicidio, quello che ho

sempre sostenuto». «Suicidio, non so. È suicidio quando uno non ha più

fiato? non ha più nervi? È la vita che si ritira. E quella voce non era la

mia, quella voce che mi chiamava». «Beh, te l’ho già detto, a me è

60

successo lo stesso. Ero stanco anch’io, dopo due anni23»

Una compatta serie di racconti raccolti in questo libro ha come

protagonisti personaggi femminili, storie di donne alla ricerca di

una autenticità smarrita. Soprattutto donne che ricercano la loro

indipendenza, argomento che ha creato molto interesse nel Nostro

scrittore, visti gli sviluppi del periodo della ricerca di questa condizione

da parte delle donne del tempo. Troviamo temi di morale quotidiana,

i rapporti tra gli individui, soprattutto i rapporti con l’uomo, in cui la

prospettiva è quella dell’impossibilità del raggiungimento della vera

felicità. Donne che cercano le attenzioni in qualsiasi modo, in Ho

dirottato sul guard-rail, oppure la difesa di quello che è considerato

proprio, anche se in qualche modo si cercava di allontanare le

responsabilità, come Estate in Germania, dove una donna minacciata

dalla possibilità di perdere il suo uomo a cui aveva sempre lasciato

libertà, non lascia trasparire la sua preoccupazione, ma in qualche

modo difende il suo “territorio” come farebbe qualsiasi donna come

noi. Alla fine la protagonista è ben consapevole che nella vita occorre

compromettere, patteggiare24.

Morselli dedica alcune fra le sue pagine più acute proprio al rapporto fra

uomo e donna come un aspetto rivelatore della fenomenologia sociale e

antropologica tipica di una data epoca. Primo esempio può essere Ilaria

Delange, la protagonista di L’Incontro con il Comunista25; donna colta

e scrittrice benestante, appartenente al mondo borghese, quarantenne

che decide di lasciarsi andare all’amore che la porta ad abbandonare la

sua buona condizione e a raggiungere la libertà, diventando l’amante di

Gildo Montobbio, un comunista. Lui, commilitone del figlio, emblema

della durezza e della richiesta di pietà, è rimasto ferito dalla guerra,

61

quindi malato; la malattia sarà uno degli elementi presi sempre in

considerazione da Morselli nella sua ricerca di risolvere il suo enigma di

sempre: quell’Unde Malum che lo appassiona, da dove viene il Male? Lo

introduce il nostro Dio imperscrutabile? E se è così, perché lo introduce?

La malattia rappresenta un correlativo-oggettivo di questo male, così

come lo è la guerra26.

Ilaria capirà poi che sarà proprio lei a poter risolvere le pene di Gildo,

inizialmente solo come assistente, ma pian piano crescerà in lei il

sentimento dell’amore. Rinuncerà così alla sua buona condizione

per esplorare la libertà. Inizialmente il suo Diario sarà proprio la

descrizione di questo periodo di convalescenza. Il loro rapporto presenta

completamente la subordinazione di lei alla sua autorevolezza. Questa

vedova di quarant’anni si trova di nuovo davanti l’amore. Un altro

elemento importante per il Nostro scrittore che possiamo ritrovare in

questo racconto, è il suo bisogno di amore materno, di cui sente la

mancanza fin da bambino con la prematura scomparsa della madre.

Infatti anche la figura di Gildo è di un orfano che ha raggiunto questa

condizione molto presto, come Morselli, a soli tredici. Il protagonista

troverà in Ilaria, quella figura materna che gli è mancata27. Morselli

si confronta in questa storia, con il problema della società corrotta, a

lui molto caro, della contrapposizione tra borghesia e comunismo, due

mondi così distanti, ma che alla fine si riveleranno molto simili, entrambi

molto vili. Lo possiamo notare nel testo teatrale L’amante di Ilaria28; qui

il figlio di lei, Roberto, affascinato dalla figura di Gildo (non sapeva però

che se la intendeva con la madre), si avvicina al comunismo, e vedrà

allontanarsi l’amore della sua vita, proprio per questa contrapposizione

62

della borghesia-comunismo; infatti la famiglia di lei, borghese, decide

di farla allontanare per forza. Roberto vedrà anche il tradimento da parte

di Gildo, comunista convinto, che si farà affascinare dal benessere,

che sembra così lontano dal loro mondo, invece cede egli stesso alla

bella vita. In fondo questi due mondi sembrano non essere così lontani,

l’egoismo e la voglia di affermazione, accomuna tutti.

Nel finale di L’Incontro con il comunista possiamo notare come il

male, l’egoismo vince su tutto, anche sull’amore: è sopraffatto sempre

dal tradimento. Ilaria verrà infatti tradita da Gildo, lo raggiungerà

in stazione, chiamato per tornare al fronte ad aiutare i compagni

clandestini, per un ultimo saluto, ma lui non voleva; proprio perché

la sorpresa per Ilaria sarà quella di trovare l’uomo, per il quale lei ha

rinunciato a tutto, in compagnia di un’altra donna, in un dolce abbraccio

che lei purtroppo non aveva ricevuto. Per il romanzo è stata scelta la

conclusione più amara; c’è sempre il tradimento, la fragilità, il male e

l’egoismo sono sempre più forti di un grande amore iniziale che porta la

nostra protagonista a rinunciare a tutto.

Un’altra delle protagoniste femminili del mondo morselliano è

Mimmina, che possiamo trovare nel romanzo Un dramma borghese29. Si

tratta di un romanzo dove è possibile rintracciare molto di quello che

riguarda da vicino il Nostro scrittore Guido Morselli, che non possiamo

definire autobiografico, ma vi troviamo un intreccio tra realtà e fantasia,

dove molte vicende sono prese da esperienze vissute. Infatti il romanzo

si concentra intorno a due temi fondamentali per Morselli, il suicidio e

l’incesto. Mimmina si presenta come una ragazza fragile, sicuramente

bisognosa d’affetto, colpita dalla morte della madre, probabilmente

suicida, e da un padre che non ha mai saputo prendersi le sue

63

responsabilità lasciandola in un istituto. Come possiamo notare il tema

della morte di una madre è molto spesso presente nei suoi romanzi, vista

l’esperienza purtroppo vissuta in prima persona. I due decidono di

rincontrarsi e provare a vivere insieme, Mimmina cercare di risvegliare

il bisogno d’affetto e il sentimento nel padre, che probabilmente aveva

accantonato dopo la morte della moglie, forse proprio perché la ragazza

ne aveva bisogno. Lo farà però nel modo sbagliato, o almeno in maniera

esagerata, visto che tutto questo sfocerà in una passione oltre i limiti da

parte della figli nei confronti del padre. Un Dramma Borghese

soprattutto nel momento in cui il padre guarda dalla serratura la figlia

masturbarsi. Un gesto che fa capire la sessualità della figlia accentuata,

forse poco controllata. Un immagine che ad ognuno di noi crea un certo

ribrezzo. Il rischio dell’incesto, uno dei perni del romanzo, ma sarà

solamente sfiorato. O almeno solamente con la figlia, infatti vedremo

questo padre, che comunque commetterà qualcosa di poco corretto,

qualcosa che per la società e che moralmente si presenta come

scandaloso, infatti rivolgerà le sue attenzioni proprio alla piccola amica

della figlia, Teresa, forse perché meno fisicamente sviluppata rispetto

alla figlia, ma comunque una bambina30.

Un intreccio un po’ strano, l’adolescente sognatrice che si innamora del

padre della sua migliore amica, forse è la cosa minore, ma la che tutto

questo si trasformi in realtà è molto diverso, e soprattutto la stessa figlia

che ha gli stessi sentimenti del padre. Nel romanzo verrà affrontato un

altro tema caro a Morselli, presente in numerose sue opere, soprattutto

nell’ultima, quella si può dire premonitrice, Dissipatio HG, un tema

che lo riguarderà da molto vicino e che segnerà la fine della sua vita, il

suicidio31.

64

Questo bisogno di inserire sempre questa tematica, ci può far capire

che lo scrittore era da sempre intenzionato ad usarlo come soluzione,

oppure cercava semplicemente di approfondire questo tema, di capire

se è proprio la vita, con il male che porta (altro tema centrale quello del

male), a spingerci a trovare questo tipo di soluzione, che quindi viene

accettata come possibile modalità per risolvere i propri problemi? Anche

se dalla religione non verrà mai accettata. In Un dramma borghese,

il suicidio è presente ovunque, nel bambino che muore nel lago,

probabilmente sucida, nella madre di Mimmina, che non si sa come sia

morta, probabilmente suicida anche lei, nei continui tonfi nei navigli.

Soprattutto in Mimmina stessa che sarà proprio ricoverata per questo,

per un colpo di pistola, si tratta probabilmente anche questo di suicidio.

Il padre si perderà nella nebbia, per le strade, in cerca della clinica che

lo porterà da sua figlia, si erano riavvicinati per stare insieme, ma in

fondo la solitudine è sempre presente. La fine del romanzo presenta un

altro tema molto presente nei romanzi di Morselli, quello dell’attesa32.

L’attesa molto spesso di un medico, in questo caso si attende un chirurgo

per capire quale sarà la fine di Mimmina, un collegamento può essere

fatto con Dissipatio HG, dove il protagonista attende un altro medico

importante nella sua vita Karpinski. La fine, quella dell’esistenza in

Dissipatio, quella della vita, forse in Un dramma borghese. Qui non si

sa se ci sarà la fine, ben presente è l’attesa angosciosa di questo chirurgo

in grado di operare Mimmina, la ragazza suicida. Morselli ci lascia così,

con questo finale aperto, con questo senso di angoscia per la fine.

Sono molti gli scritti che oggi parlano di Morselli, ma quando si decise

di pubblicare molti suoi scritti lui già era morto, il 31 luglio di anni

prima, di suicidio e silenzio. Si dedicò molto ad argomenti, racconti e

65

riflessioni riguardanti la Storia, in molti casi rivista, con dei finali molto

diversi che avrebbero sicuramente potuto cambiare le nostre sorti. Dopo

il rifiuto di Rizzoli per il suo progetto editoriale del Il comunista, che fu

per lui una grande delusione, infatti sentirsi da solo uno scrittore senza

essere considerato dagli altri allo stesso modo, è difficile da superare,

cominciano una serie di romanzi storici, come la trilogia di Roma senza

papa (66-67) Contro-passato prossimo (69-70) e Divertimento 1889

(70-71) ai quali si può aggiungere Dissipatio HG. Quattro libri dove

vengono affrontati tre temi fondamentali, guerra, cattolicesimo e morte,

quest’ultima come evaporazione e come profezia della sua stessa fine.

Non può mancare di essere preso in considerazione Cose d’Italia33,

soggetto per un’opera teatrale, che tratta allo stesso modo temi di storia,

ipotizzando un andamento diverso dei fatti dal nostro scrittore.

Il soggetto di quest’opera riguarda la vita privata di Mussolini e le

vicende del fascismo alla fine degli anni Trenta, ma prendendo in

considerazione non solo la storia in generale, ma i vizi di grandi uomini

pubblici, la loro vita privata, i loro punti deboli. Ci troviamo di fronte a

un Mussolini convertito e amato da tutto il popolo, capace di trasformare

la dittatura in repubblica democratica, anche se poi verrà deposto a causa

di alcune scelte impopolari.

Troviamo inoltre la voce fuori dal coro, dell’intellettuale –libraio

Righetti, che rappresenta il portavoce di Morselli, ci fa capire che non

cambia nulla nel modo di pensare degli italiani quando si toccano i loro

interessi. Con questa fantasiosa contro-storia Morselli anticipa il metodo

che verrà usato in uno dei suoi capolavori: Contro-passato prossimo,

che riscrive il finale della Prima Guerra Mondiale, raccontando fatti che

potevano cambiare il corso degli eventi, ma che non sono accaduti. In

66

questo soggetto il mondo femminile ha il potere di cambiare la storia,

infatti saranno proprio donne coloro che si inseriranno nella scena

politica, cercando di cambiarla in meglio, come farà una di loro, la prima

amante di Mussolino, oppure favorire altre nazioni, come invece farà

la seconda. La prima di queste donne si chiama Camilla, e dato il suo

ideale profondamente pacifista, userà la sua sensualità a suo favore. Si

concede al Duce solo dopo aver ottenuto delle promesse: non entrare

in guerra accanto ad Hitler; e così sarà, Mussolini manterrà la parola

data. Si affaccerà dalla famosa balconata e darà l’annuncio agli italiani.

Quindi la sua politica sarà da questo momento molto positiva: riforma

agraria, redenzione del Mezzogiorno, giustizia fiscale. Ovviamente

dopo tutti questi avvenimenti i partiti a lui contrari, il partito socialista,

gli antifascisti, che non condividevano la politica di Mussolini, ma

volevano la pace, non avranno ragion d’esistere, visto che tutto quello

che chiedevano, come la pace, verrà attuato da questo nuovo regime

condotto dal Duce.

L’Italia diventerà così molto autorevole nel bacino del Mediterraneo,

una minaccia soprattutto per gli inglesi. Ed è qui che entra in gioco la

seconda donna (come possiamo notare il mondo femminile e la sua

importanza rappresenta molto spesso il perno dei romanzi di Morselli),

Patricia, invitata dalla sua patria a compiere questo grande sacrificio, e

per amore della patria, dopo qualche dubbio si sacrificherà. L’unico

modo per diminuire questo consenso dato a Mussolini sarà quello di

mettergli contro le due fondamentali istituzioni del paese, la Chiesa e la

Monarchia. Mussolini decide di abolire i Patti Lateranensi, ma nessuna

reazione, calma generale, gli interessati non danno alcun cenno di

opposizione, né tantomeno il Re e la Regina si oppongono, se lo

67

aspettavano. Molto probabilmente aveva ragione Righetti, il nostro

intellettuale inascoltato, che esprime il pensiero di Morselli; gli italiani

non si ribellano mai a quello che gli viene imposto dalla dittatura, non

sono in grado di reagire, fino a che non si decide di toccare i loro più

grandi interessi. Proprio qui avrà inizio l’altra parte del piano per

allontanare Mussolini, convincerlo, ovviamente sarà sempre Patricia a

farlo, a toccare gli interessi principali degli italiani, la finalità sarà quella

di “moralizzare” il paese. La nostra Patricia riuscirà nuovamente a

convincerlo, verrà dato ordine di chiudere le case del piacere e di vietare

le scommesse calcistiche. Ovviamente la moralizzazione del paese non

verrà approvata dal popolo che insorge in ogni parte d’Italia. Il Duce

patteggia promettendo di andarsene, il Comitato di liberazione riesce a

farlo fuori e infine verranno riaperte le case chiuse e riammesse le

scommesse. Come si può vedere da questo finale: i vizi degli italiani non

cambiano.

In Roma senza papa34, ovviamente ci troviamo sempre nella città eterna,

questa volta siamo vicini al Duemila. In questo racconto si perde anche

il Papa. Come in Cose d’Italia, anche qui ci si trova in piena decadenza

morale.

Morselli riesce in questo racconto a prevedere una forte

scristianizzazione, che probabilmente stava già cominciando durante gli

anni Sessanta. Viene affrontato uno dei problemi di fondo che hanno

sempre angosciato Morselli, le questioni religiose e spirituali. Il papa ha

deciso di lasciare il Vaticano, che perde quindi la sua importanza di

centro della cristianità, e si trasferisce a Zagarolo. Don Walter è in

attesa di incontrarlo; l’attesa è molto spesso presente nei romanzi del

nostro scrittore: l’attesa dei medici, Karpinski, il chirurgo in Un dramma

68

borghese, l’attesa della fine. I vizi di questa città sono gli stessi di

trent’anni prima, presenti in Cose d’Italia: le donne e le scommesse

calcistiche, probabilmente molto più accentuati. Un personaggio

importante del racconto è Enea; ha fatto parte delle guardie svizzere, che

adesso non sono più utilizzate, infatti sarà più facile incontrare il Papa,

considerata da lui stesso una cosa molto positiva, a scapito ovviamente

del suo stipendio, e si dedica adesso all’attività di massaggiatore. Don

Walter andrà proprio da Enea per curare il suo piccolo male alla gamba,

ottenendo moli sacrifici. Si scoprirà così qualcosa di intimo di Enea: era

massaggiatore di una squadra di calcio, e sarà proprio lui ad affermare

quanto il calcio sia il motore della vita nazionale, collegandosi

perfettamente agli stessi vizi presenti nel precedente racconto Cose

d’Italia. Ci fa capire egli stesso come le scommesse calcistiche siano

componenti fondamentali del pianeta calcio e il calcio stesso sia il luogo

degli intrighi presenti in Italia. Sarà proprio Don Walter, da solo, a dover

combattere contro questi vizi, e gli egoismi altrui. Come nel precedente

romanzo, il governo decide la riduzione allo stato dilettantistico delle

squadre di calcio, e la riduzione quindi dei compensi per le loro

prestazione; ovviamente tutto ciò crea scalpore, rivolta, rivoluzione e

occupazione del Campidoglio. Come nel caso precedente questa legge

verrà annullata. In questo caso però la decisione del Papa di lasciare il

Vaticano verrà presa in maniera positiva, a differenza

dell’allontanamento di Mussolini che verrà sollecitato. Questo colloquio

vorrebbe portare la charitas a diventare azione e non solo teoria, la scena

si presenta come una luce di speranza. Ma Giovanni XXIV non ha il

gusto di comunicare purtroppo, risvolto negativo della sua umiltà.

69

Il Papa sembra vivere felicemente in quel paesino, per non

compromettersi con le mafie del mondo al di fuori di quel paesino

periferico. Tutto ciò sembra essere una specie di premonizione-casualità,

rispetto a tutto ciò che abbiamo passato nell’ultimo periodo proprio noi,

Benedetto XVI che decidere di lasciare, probabilmente come si dice in

questo racconto, per non farsi influenzare, per motivi a noi sconosciuti e

sicuramente molto più grandi di noi; la città eterna che rimane senza il

suo Pontefice. Nel romanzo si ventila la proposta di un papato a tempo

(quindici anni). Ci sarà una schiera di papi emeriti. la Chiesa è governata

collegialmente. Come se non bastassero le serpi in seno il papa, un

monaco benedettino di origine irlandese, ama allevare vipere. Quando

esce Roma senza papa scoppia il caso Morselli. Sul Corriere della sera

Giulio Nascimbeni parla di “Gattopardo del Nord” tracciando il parallelo

con un altro grande incompreso e inedito. In vita Morselli ha pubblicato

solo due saggi a pagamento negli anni ’40 e alcuni articoli raccolti in un

volume appena uscito: Una rivolta e altri scritti (Bietti) a cura di

Alessandro Gaudio e Linda Terziroli. Uno dei motivi centrali degli

interventi sui giornali, per stare in tema di attualità, è l’ecologia, la lotta

al cemento selvaggio, la tutela dell’ambiente come diritto sociale. Allora

gli davano del passatista o del borghese. Per la Terziroli “Si può vedere

nella scelta del papa anche un aspetto apocalittico: Zagarolo come

Zurigo, la città dove Morselli ambienta la fine del mondo in Dissipatio

H. G.”. La studiosa rimarca altri elementi interessanti di Roma senza

papa. Come il fatto che il papa forse ha una storia con una famosa

teologa indiana. Nella Spagna progressista c’è la crisi delle vocazioni. Il

celibato dei preti è abolito: “Sei nella città che ha dato al mondo la

parola sesso. Guardati da questa città corrotta e corruttrice” dicono al

70

protagonista, Walter, un prete svizzero in missione a Roma. Per

sopperire al calo turistico la capitale investe sul turismo sessuale. Questa

era pura fantasia dell’autore, ma come possiamo notare non siamo molto

lontani da quello che sta succedendo realmente nel nostro paese.

Per quanto riguarda la narrativa, il privilegio della pubblicazione fu dato

ad Adelphi dal 1974, grazie alla stessa Valentina Fortichiari. Adelphi

fa stampare anche il Diario, che manca di alcuni brani giudicati troppo

privati, e anche la gran parte degli epistolari, di carattere privato e mai

venuti alla luce.

Sempre a Valentina Fortichiari con la NEM si deve la ristampa nel 2009

di Realismo e fantasia, pubblicato nel 1947 dai fratelli Bocca e mai più

ristampato. Questo fu l’inizio della fortuna per la casa editrice.

Per la NEM, grazie a Linda Terziroli sono state pubblicate lettere

a personaggi conservate nei libri o in altri materiali appartenenti al

Fondo Morselli di Varese. Tutte queste lettere vengono riunite dalla

Terziroli nel libro dal titolo Lettere ritrovate, che costituisce un’opera

che Morselli stesso scrisse senza rendersene conto, l’epistolario che

ne svelava aspetti sconosciuti. In questo ritrovamento vi sono stati dei

riscontri inediti, come una lettera di Benedetto Croce, alcune di Antonio

Banfi o di Francesco Albergamo. Leggere tra le sue lettere significa

leggere dentro l’anima dello scrittore. È una specie di percorso che ci

fa capire tutti gli interrogativi posti dallo stesso scrittore durante la sua

esistenza così difficile, piena di dubbi.

Questo libro presenta una serie variegata di lettere a vari personaggi; dal

maestro Antonio Banfi, una figura essenziale nella formazione dello

scrittore; al premio Nobel per la medicina Konrad Lorenz, alla famosa

lettera legata al disturbo subito per colpa dei ghiri, due cartoline a Piero

71

Chiara, scrittore più fortunato di lui. Tutto questo ci fa capire la varietà

di conoscenze e di interessi dello scrittore di Gavirate. Tutte queste

lettere e i variegati interlocutori soprattutto, ci fanno capire quale

desiderio insaziabile di conoscenza era alla base di queste

corrispondenze, desiderio di dare una risposta ai suoi numerosi dubbi.

Morselli leggeva e rileggeva con attenzione la corrispondenza,

sottolineava i concetti sui quali desiderava riflettere, appuntava anche i

discorsi con il mittente. Ogni lettera ricevuta poi veniva inserita

all’interno di un libro scelto con precisione, per proteggere lo scritto. Se

i destinatari della corrispondenza erano scrittori, le lettere venivano

inserite all’interno del libro dell’autore, spesso all’interno della pagina

che aveva dato vita al dibattito. Vale la pensa quindi concentrarsi non

sono sulle lettere, ma è interessante scoprire anche i libri che le

contenevano, gli appunti dell’autore, i passi sottolineati, per capire tutti i

variegati interessi di Morselli. Questa serie di lettere fa capire il

desiderio dello scrittore di comunicare, di superare la barriera di

incomunicabilità tra il proprio io ed il mondo, cioè interagire tra uomo e

uomo ed aprirsi al confronto con l’altro. Certo è che tutti gli interlocutori

del nostro scrittore sono ovviamente di un certo spessore, proprio per la

profondità del pensiero di Morselli. In questo libro troviamo anche la

testimonianza fondamentale di Maria Bruna Bassi, amica fidata e

sostenitrice dello scrittore, nella estenuante ricerca di una casa editrice

che potesse far conoscere a tutti la voce di Guido Morselli, che si sta

cercando di dare adesso con i vari studi sulle sue opere, una voce troppo

spesso costretta al silenzio.

Particolarmente interessante è la sua lettera a Piero Chiara scritta il

28 ottobre 1977, che sottolinea degli aspetti importanti di Morselli: la

72

nobiltà, la dignità e la sofferenza esistenziale. Questo riassume il suo

carattere e affronta le accuse di una presunta sua arroganza.

Signor Piero Chiara

Guido Morselli non ha mai sollecitato da nessuno né aiuti, né

raccomandazioni, non per superbia […] ma perché aveva la dignità, la

fierezza del gran signore, non certo la presuntuosa albagia del villan

rifatto.

Guido Morselli è stato perseguitato dalla sfortuna e ha seguito la strada

meno adatta per arrivare al successo, ha sofferto il soffribile per non

essere riuscito a affermarsi malgrado i continui tentativi fatti presso le

varie case editrici; del resti tutti i migliori critici, scrittori e giornalisti

l’hanno riconosciuto e ne ho le prove dall’enorme quantità di recensioni

e articoli che mi invia l’Eco della Stampa. […] La saluto […]35

Maria Bruna Bassi

La conferma di questo suo carattere, della sua bravura e gentilezza sono

rintracciabili soprattutto in queste lettere, nei commenti scritti dal suo

Maestro Antonio Banfi e anche dai congedi di alcune sue lettere a grandi

personalità, sempre molto umili e rispettosi. Nelle lettere troviamo i temi

più vari, la religione, la filosofia, ma tutte sono unite dal desiderio di

approfondimento, dalla sete di conoscenza. Abbiamo anche di questo

una testimonianza, di suo fratello Mario, che Linda terziroli ci riporta sul

libro e vale la pena anche qui riportare:

“[…] Guido mi insegnò ad essere curioso, a cercare sempre di

approfondire gli argomenti delle opere che mi aveva messo a

disposizione; e soprattutto, a non fermarmi alle prime righe. In una certa

73

occasione, ricordo mi disse ‘Se Croce cita Vico, non lasciare cadere; va a

fondo su questo Vico, altrimenti la citazione di Croce non serve a molto.

In ogni caso, ritorna sui tuoi passi, cerca di afferrare i concetti di cui

leggi, cerca di capire quali argomenti veramente ti interessano e quali no.

[…] I libri servono a questo, non solo a soddisfare le nostre curiosità, ma

anche a crearne di nuove'"36.

Si può vedere nelle opere di Morselli, la ricerca continua di un dialogo

con interlocutori importanti, con il contrasto tra una vita volutamente

isolata, e la richiesta continua di un destinatario. Il vivere da solo era

stata una sua scelta, Guido Morselli non temeva la solitudine, temeva

piuttosto l’uomo, infatti verrà definito fobantropo, per il danno portato

dall’uomo, la stessa Maria Bruna Bassi lo conferma: “Lui era solo, non

aveva paura di niente ma un’atroce paura degli uomini”37.

Nelle sue opere troviamo una sete continua di conoscenza; ricerca

continua di una risposta credibile è la chiave di lettura delle opere

letterarie e saggistiche di Guido Morselli, e anche delle varie domande

che possiamo notare da queste lettere. Lo scrittore era tormentato da

dubbi, assillato dalla ricerca di una spiegazione, dello svelamento di

un dolore. Nelle sue opere è molto spesso presente il tema della morte,

troppo spesso si riteneva fosse una previsione al suicidio, una tentazione

a questo gesto, invece potrebbe essere una sorta di esorcizzazione della

giustificata paura della morte. Morselli non è stato l’unico scrittore

a ricorrere alla “ragazza dall’occhio nero” al colpo d’arma da fuoco

per togliersi la vita, ma per altri scrittori il gesto poteva sembrare la

conquista di una vita degna di essere vissuta, in Morselli sembra invece

la vittoria della sconfitta. Sicuramente è sbagliato ricordare o essere

colpiti solo dalla modalità della sua scomparsa, indubbiamente modalità

74

scioccanti, ma bisogna assolutamente considerare tutto l’impegno che

il nostro scrittore ha avuto durante tutta la sua vita, le sue opere, il suo

carattere generoso, la sua generosità, la sua dedizione al prossimo, il

costante aiuto agli ammalati, l’impegno per l’ambiente. Morselli è uno

scrittore d’eccezione, è stato l’eletto o l’eccettuato, dedicando la vita alla

scrittura, donando ai lettori del suo domani una profetica luce.

3. Il problema religioso: Unde Malum?

Il “Giudizio Divino rappresenta un nodo cruciale e irresolubile nel

pensiero morselliano, è ampiamente dibattuto nell’opera Fede e

critica38, del 55-56, ma pubblicata da Adelphi nel 1977.

Altri scritti di Morselli che hanno in comune un’assidua ricerca del

divino sono Fede e critica, Teologia in crisi, Morale e sensibilità, Due

vie alla mistica. Fede e critica era parte di un progetto più ampio, che

formava una trilogia con Morale e sensibilità e Due vie alla mistica, ma

rimase incompiuto. Può essere sempre utile per capire gli interessi e gli

studi affrontanti dal Nostro scrittore, attingere al Fondo Morselli alla

Biblioteca Civica di Varese, dove possiamo trovare i libri tanto studiati e

importanti per lo scrittore. Si possono infatti trovare molti libri che

affrontano il tema religioso, così cruciale per Morselli, in gran parte

annotati e postillati: La Sacra Bibbia secondo la volgata; La sacra

bibbia, ossia l’Antico e il Nuovo Testamento; La Bibbia di Borso d’Este

75

e altri ancora. In particolare Morselli indaga alcuni aspetti significativi,

tra cui il problema del peccato originale. Questo interesse dello scrittore

è incentrato soprattutto nella ricerca di una risposta alla domanda che

l’ha molto condizionato: l’Unde Malum39? Da dove viene il male che

sconforta l’uomo, che lo distrugge, sia sotto forma fisica, spirituale e

morale. Il primo capitolo di Fede e critica è proprio intitolato: Perché si

soffre?, e si indaga il male, che esiste, e la sua origine e giustizia viene

messa in discussione, un quesito che mette anche i fedeli con le spalle al

muro. Certo è, che il male visto da un punto di vista ateo, non ha

bisogno di essere spiegato, perché non esiste infatti niente di misterioso.

Invece se si guarda al male con la fede, se si crede in un Dio

onnipotente, ci si chiede perché esiste e da dove arrivi questo male,

tollerato, se non addirittura introdotto da Dio. Ci si chiede soprattutto

perché ad essere colpite dal male, siano molte persone buone e giuste,

questo castigo che uccide bambini innocenti, da dove può arrivare?

Morselli si interroga ininterrottamente su questo argomento, e riporta

tutto alle origini, al giardino dell’Eden, dove troviamo la primigenia

colpa, il peccato originale, è proprio da qui che nasce il male e discende

fino all’uomo, insito nell’uomo.

Per Morselli la giustizia di Dio non è così divina, ma è molto simile a

quella terrena: “decidi di staccarti da Dio, perciò verrai punito”. Può

essere fatto un collegamento tra queste riflessioni di Morselli e il suo

ultimo romanzo: Dissipatio HG. Il primo uomo dell’umanità era solo

in quell’Eden da dove è partito il peccato originale, e l’ultimo uomo

dell’umanità, sospeso in questo mondo metafisico, solo anche lui, alla

ricerca di una morte-immortalità40.

76

Documenti importanti riguardo la ricerca di risposte di Morselli sul suo

problema religioso, si trovano nelle varie lettere riportate nella raccolta

Lettere ritrovate. La corrispondenza con i religiosi era per lo scrittore

soprattutto una fatica inutile, diciamo una riflessione personale, a senso

unico, visto che non riceveva mai risposta41. In queste lettere Morselli

medita sulla perscrutabilità e imperscrutabilità di Dio e della sua azione

divina, per trovare una risposta a quella domanda Unde Malum, al centro

di Fede e critica. Morselli si interroga su come conciliare l’azione

giusta e divina di Dio, l’azione limpida di un Dio che si incarna in

Cristo e scende in terra, e l’oscurità e l’assurdità di alcuni atti divini.

Possiamo prendere in considerazione soprattutto la corrispondenza con

Padre Battista Mondin, dove in alcuni passi si può capire il pensiero

e soprattutto i dubbi di Morselli: “assurdità crudele e derisoria di un

Dio che si diletta nel tentare le sue creature[..]42” è proprio questo che

non riesce a spiegarsi Morselli, come conciliare la bontà divina, la

trasparenza di un Dio che è che ama i suoi figli, con l’oscurità di alcuni

atti che puniscono l’uomo che lui tanto ama. “Dio non tenta”; queste

parole di Giacomo riassumono il nuovo spirito della fede religiosa come

si manifesta in Gesù e dovrebbe manifestarsi dopo di lui. Su questo

fondamento è concepibile un rapporto di fiducia e d’amore delle creature

verso il Creatore.

Per rendere concreto il suo quesito, Morselli rappresenta con un esempio

il suo pensiero, e lo descrive a Padre Mondin: “Prendo ad esempio un

avvenimento della sfera più ordinaria, più modesta, che non involge gli

alti disegni divini sul destino dei mondi, o simili. Il fulmine. Case su una

casa, diremo che la Provvidenza ha voluto colpire dei peccatori. Qui, è

chiaro, agisce secondo giustizia, anche se per ipotesi gli abitanti della

77

casa a noi sembrano brave persone. Un’altra volta, cade su un’innocente

chiesa di campagna, la danneggia. Qui la spiegazione è che la

Provvidenza ha i suoi misteri, di fronte ai quali bisogna inchinarsi”43.

Morselli si domanda come può essere possibile applicare uno stesso

metro di giudizio nei confronti di peccatori che vengono puniti

“giustamente” e una chiesa, che rappresenta proprio la Casa di Dio, che

viene ugualmente colpita dal giudizio divino. Padre Mondin ha un

atteggiamento di affetto nei confronti dello scrittore, e anche lui afferma

che la condotta di Dio a noi è molto oscura, ma con una frase ci fa capire

che è proprio questo che deve rafforzare la nostra fede: “[…] è

un’oscurità che, per chi ama fortemente il Signore non costituisce un

ostacolo ma un incentivo per amarlo ancora di più”. Mondin si trova

vicino alla dottrina di S. Tommaso; l’uomo non può comprendere

l’essenza divina; noi tocchiamo l’apice nella nostra conoscenza di Dio

quando confessiamo che non lo conosciamo affatto. Morselli si dichiara

“ateo”, aggiungendo subito dopo, quasi con rammarico, l’avverbio

“purtroppo”44.

Possiamo notare in queste lettere un tentativo di avvicinamento da

parte dello scrittore, ma senza riuscirci completamente, infatti rimane

l’avverbio purtroppo che getta un dubbio sulla sicurezza di Morselli

del suo essere ateo. È la stessa amica di sempre di Morselli, Maria

Bruna Bassi a farcelo capire in maniera eloquente con una frase: “aveva

incastrata nell’anima l’angoscia del problema religioso, pregava eppure

da ateo divenne quasi credente”45.

Invece alcune testimonianze raccolte da Tiziana Mainoli, e riportate sul

numero della rivista Studium dedicato a Guido Morselli46, intervistando

il medico curante dello scrittore e sua sorella, mettono in luce proprio il

78

suo complesso rapporto con la fede, la sua sensibilità per la sofferenza

umana e la sua attenzione al male dell’uomo sia fisico che morale. Temi

che saranno poi svolti nella trilogia di Fede e critica. Guido Morselli

era alla ricerca continua della fede, che poteva dargli un motivo per

sopravvivere; fede che lui stesso dice, aiuta l’uomo bisognoso stanco e

dubbioso a ritrovare sé stesso, una fede da recuperare dopo lunghe pause

di scetticismo. Da questa intervista al dottore di Morselli, Santino Papa

e sua sorella Franca, emerge chiaramente che lo scrittore frequentava

spesso la loro casa e spesso parlava con la signorina dei suoi problemi

di spiritualità che causavano molto male. Si trattava di fratello e sorella

soli, lui dedicato completamente alla sua attività di medico, lei molto

devota, soprattutto alla Madonna, sostenitrice dell’associazione “Centro

volontari della sofferenza”, dove alcuni ammalati offrivano le loro

sofferenze per l’espiazione di peccati altrui e per la redenzione di anime

bisognose, rinunciando alle medicine che li avrebbero potuti curare. Era

proprio questa intensa devozione alla Madonna della signorina Franca

che colpiva Morselli, questa figura femminile, di madre che ama i suoi

figli, richiamava alla sua memoria l’immagine della madre, nel nostro

scrittore che ha sempre sofferto la mancanza di questo amore materno,

avendola persa da piccolino.

Morselli aveva una particolare sensibilità per i sofferenti e la fede. “In

lui la fede religiosa era solo assopita, ma in tale sospensione palpitava il

desiderio di un risveglio”. In questo pensiero di Franca Papa si può

trovare un collegamento con le varie lettere scritte dal Nostro Morselli, a

quel “purtroppo ateo” che ricorreva nei suoi discorsi, che lasciava

trasparire il suo desiderio di concedersi completamente alla fede e al

credo. Il racconto della signorina Papa alla nostra scrittrice Mainoli,

79

riguarda un episodio in particolare; lei chiede gentilmente a Morselli di

scrivere per lei un articolo sulle sue esperienze di aiuti,

l’accompagnamento dei malati, gli esercizi spirituali; e solo con questo

racconto, lui riuscì a scrivere in pochissimo tempo un articolo pronto da

pubblicare. Peccato che lui non ci credeva più nella pubblicazione di un

suo lavoro, “nessuno dei miei scritti può essere pubblicato”; così

affermava chiedendo alla signorina di non mettere la sua firma. Lei

invece non lo ascoltò, lasciò l’articolo sotto la Madonna, e con un segno

divino, come sempre, l’articolo venne pubblicato. Per questo Franca

Papa interpellò di nuovo Morselli, questa volta per dare una gioia ad un

malato: Pierino Tonta, colpito fin quasi dalla nascita da una forma di

poliomelite che non gli dava possibilità di camminare e gli causava la

paralisi completa della mano destra. Dopo l’ascolto del racconto

ovviamente Morselli si chiede con quale coraggio quest’uomo riesce a

sopravvivere, e ovviamente fa riferimento ad una soluzione al male,

molto semplice, quella che lui stesso ha utilizzato: la pistola. Cambiò

idea immediatamente dopo aver conosciuto Pierino e la sua gioia di

vivere; infatti l’articolo da scrivere era proprio sulla sua gioia, quella che

provava ogni giorno. Lo colpì la forza di volontà di un uomo che per ben

25 anni si recava a Lourdes per chiedere grazie sempre per gli altri, mai

nella vita è riuscito a chiedere quello che c’è di più facile e logico forse

per tutti noi, un aiuto per se stesso; lui no, non intendeva nemmeno farlo.

Però si aggrappava con tutto se stesso alla vita, e nei suoi occhi si

vedeva la sua gioia, e tutto questo riusciva a darglielo una fede cieca; la

stessa fede che Morselli ha cercato continuamente nella sua fede, e

probabilmente grazie a Franca Papa, ai suoi continui riferimenti alla

Madonna, alla sua convinzione che per avere la salvezza bastasse anche

80

solo un Ave Maria; beh probabilmente tutto questo l’ha portato a

scoprire un pizzico della sua fede, visto che il 2 agosto del 65, dopo

ventitrè anni, Guido Morselli insieme alla signorina Franca recita di

nuovo l’Ave Maria.

Il tema della preghiera sarà trattato in Fede e critica, come il rapporto

tra un Dio buono (Gesù dei Vangeli) e il Dio imperscrutabile che

permette il Male, saranno enigmi che segneranno tutta la vita dello

scrittore. Anche se nell’incontro con i malati che ritroviamo in questa

testimonianza appena descritta dal medico curante e sua sorella, Morselli

sembra trovare un’inaspettata, concreta risposta.

Per affrontare questo problema insito nell’animo di Morselli, possiamo

analizzare una commedia, scritta ma mai realizzata, Il redentore47, che

riflette in maniera particolare il pensiero del nostro scrittore riguardo

l’Unde malum che tanto lo fa riflettere e condiziona il suo pensiero.

Gli appunti di questa commedia si trovano in una cartellina dove si può

trovare scritto con la calligrafia di Maria Bruna Bassi, la sua amica fidata

e la principale erede dei suoi scritti, Commedia senza titolo ambienta ad

Oberstadt nel 193848. Effettivamente è significativo Commedia senza

titolo, visto che l’opera non è terminata, dattiloscritta e non è stata messa

in scena. Probabilmente la signora Bassi non aveva trovato gli appunti di

Morselli dove veniva citato il vero titolo della commedia: Il Redentore.

L’ambiente è quello di una clinica psichiatrica a Oberstadt, nel 1938

in pieno periodo nazista. Sarà proprio questo periodo che rappresenta

particolarmente quel Male sul quale si interroga assiduamente Morselli,

come saranno significativi dei gesti riportati nella commedia che

81

esprimono il Male, come ad esempio il continuo lamento, che fa da

sottofondo, dei malati ospiti nella clinica. La commedia permette di

spiegare i fatti e il pensiero di Morselli attraverso la pantomima, infatti in

Nipic troviamo rispecchiato il pensiero dello scrittore, anche se gli attori

non potranno esprimere questo pensiero completamente. Il pensiero

della distanza tra il Dio buono (quello del Gesù dei Vangeli) e quel Dio

imperscrutabile che ammette, se non addirittura introduce il Male tra le

creature considerate da lui come dei figli. Questo tema verrà affrontato

assiduamente da Morselli e si può ritrovare spiegato negli appunti del

suo Diario e nell’opera incompleta di Fede e critica Morselli si sentirà

sempre un bersaglio della sofferenza.

Il personaggio principale della commedia è Ilya Nipic, un uomo da

sempre dedito alla carità, all’aiuto verso i più bisognosi, che si recherà in

questa clinica per aiutare soprattutto gli ebrei che rappresentano il

bersaglio principale del Male in questo contesto, male rappresentato dai

boia nazisti. Accanto a lui troviamo Printz, il direttore della clinica che

appoggerà sempre Nipic, che viene raccontato come la figura del

Redentore, il titolo stesso, diciamo una figura cristica. Qui si può creare

un collegamento con Dissipatio HG, l’opera capitale di Morselli, dove

troviamo un’altra figura cristica di medico, Karpinski. Nipic predicherà,

continuerà ad aiutare sempre i più bisognosi, dedica completamente la

sua vita alla carità, e sarà proprio lui ad aiutare altri due personaggi,

malati nella clinica, che nelle sue parole troveranno sollievo e leggerezza

e riusciranno a superare i loro problemi. Nipic verrà poi raccontato e

sostenuto da due figure femminili, la prima è un’infermiera, Misia, che

non era credente, ma seguirà e sosterrà sempre il Maestro. Sarà colpita e

ammirata dalla sua dedizione completa agli altri, dal suo desiderio di

82

aiutare il prossimo, ma questa ammirazione si trasformerà in attrazione,

in un amore egoistico che porterà alla gelosia. Il personaggio principale,

Nipic, risolve tutte le investigazioni proposte da Morselli in Fede e

critica, soprattutto il problema del peccato originale. Morselli si chiede

sempre da dove arriva tutto questo male; per la religione la spiegazione

sta nel peccato originale, commesso dall’uomo stesso e da quel

momento è proprio l’uomo con la sua azione ad introdurre il male nella

vita. Nipic per non sosterrà ma che i suoi seguaci, che l’uomo stesso è la

causa del male; no, è Dio stesso ad aver introdotto il male (qui vediamo

espresso il pensiero di Morselli), ed è proprio Dio a dover risolvere

questo problema, a doversi legare all’uomo ed eliminare il male

attraverso la carità, anche attraverso dei sacrifici, come quello di Cristo.

Non è l’uomo ad aver creato il male, e Nipic lo spiega col fatto che

l’uomo si comporta in un modo che permetta di creare il suo bene.

Soprattutto una dolorosa constatazione è quella che gli uomini vogliono

il bene gli uni degli altri, ma non ottengono con le loro azioni, se non di

creare e farsi del male. Sarà proprio il Redentore stesso a creare

sofferenza nelle sue seguaci; proprio nella stessa Misia; lui cercherà di

trattarla sempre con amore fraterno, con affetto, ma causerà solo la sua

sofferenza, una ferita insanabile che porterà, a causa dell’amore

egoistico della donna, al finale inatteso. Perché viene qui espresso che

l’amore, quando non è divino, è sempre egoistico. Proprio Nipic in un

passo della scena si interrogherà sul perché anche le buone azioni siano

causa di sofferenza:

“Perché deve essere tormentata così,

quella cara, quella disgraziata creatura? Perché anche chi è puro deve

seminare intorno a sé la sofferenza?”

83

Lo stesso Morselli si chiederà sempre come sia possibile che da una

creatura buona come Dio, possa essere accettato o addirittura introdotto

da lui stesso, il Male per le sue creature. Lo Scrittore stesso non crede

di meritare tutta questa sofferenza. Sarà proprio la commedia ad

arrivare alle conclusioni di questo pensiero, in un altro discorso di Nipic

possiamo notare le stesse domande che si pone lo scrittore:

“Ma certo il vero mistero del mondo è questo,

che l’amore e l’odio, la gioia e la sofferenza abbiano ugualmente la loro

scaturigine in Dio, procedano da lui direttamente. Perché lui che è il

Bene e che ha creato l’amore, ha voluto poi il loro contrario? Non è

strano come l’animo umano [arretri] di fronte a questo contrasto, che

ogni scienza teologica è pietosamente inetta a spiegare, ogni teodicea,

ogni ottimistica filosofia.49”

In questa commedia Nipic afferma che la soluzione a tutto questo la deve

trovare Dio stesso, è proprio Lui a dover riparare a questo contrasto tra

la sua Bontà e il Male introdotto nella vita dell’uomo.

Intanto Misia è sempre più coinvolta ed innamorata di Nipic, addirittura

gli proporrà di andare a vivere con lei, ma questo sarà considerato nella

commedia un amore egoistico e infatti il Maestro non accetterà. Al

momento dell’arrivo di un altro personaggio femminile, Luli, anche

lei seguace del Maestro, anche lei innamorata, scaturirà dall’amore

egoistico, gelosia in Misia e molta sofferenza. Anche la nuova arrivata

offrirà un alloggio in campagna al maestro, per proteggerlo dai nazisti,

visto il suo programma di aiuti verso gli ebrei. Questa volta la risposta

non sarà subito negativa, infatti Nipic decide di pensarci. Questo scatena

tutta la gelosia di Misia, e da qui nascerà il male e la sofferenza. Misia

84

accuserà Luli di aver tradito il Maestro e di aver confessato tutto alla

polizia, ma niente di tutto questo è vero e nel momento più tragico

di tutta la storia, la gelosia e l’egoismo di Misia arriveranno a farle

impugnare una pistola, a puntarla contro Luli, e sarà lo stesso Nipic a

porsi davanti il corpo della giovane seguace e a morire al suo posto.

Come possiamo notare ci troviamo di fronte a un finale tragico, Nipic

continuerà a sacrificarsi fino alla fine, anche se non servirà a molto, sarà

di nuovo il male insito nell’uomo ad avere la meglio e a rovinare un

sentimento puro come l’amore

4. L’opera “profetica” di Guido Morselli: Dissipatio HG.

Dissipatio HG50 è la cronaca di un mistero e di una profonda crisi

individuale. Ultimo romanzo di Morselli scritto tra il 1972 e il 1973, che

può essere considerato il suo romanzo capitale.

Allo stesso tempo profezia del suicidio dell’autore e della fine

dell’umanità, infatti Morselli porrà fine alla sua vita lo stesso anno.

Il protagonista in preda alla disperazione decide di togliersi la vita

“Andarmene, senza lasciare traccia”. Ma all’ultimo momento rinuncia,

non compie il gesto e torna indietro. Quello che trova però non se lo

sarebbe mai aspettato: ogni persona è scomparsa, negozi, botteghe, tutti

sono spariti, come smaterializzati.

Il titolo dell'opera richiama un supposto testo del neoplatonico

Giamblico riguardo una possibile «evaporazione» dell'intero genere

umano che, in questo romanzo fantastico e surreale, scompare nella

notte tra il 1° e il 2 giugno. L'unico superstite è proprio l'aspirante

suicida, ex giornalista nella detestata città di Crisopoli (nome dietro cui

85

si cela Zurigo), dove il protagonista ha abitato a lungo, prima di ritirarsi

a Widmad, in una valle. Tutti gli essermi umani sono scomparsi e in

opposizione rimangono in “vita” le macchine svolgendo le loro inutili

funzioni. Gli animali adesso occupano il posto che era degli uomini, la

natura, adesso silenziosa, fa compagnia all’unico uomo rimasto. Adesso

esiste solo il suo Io, e il bisogno di sentire voci lo spinge ad ascoltare

segreterie telefoniche, a cercare qualsiasi forma di vita all’aeroporto,

dove non c’è nessuno tranne gli aerei immobili e i tabelloni ancora in

funzione segnano gli orari. D’un tratto un uomo che voleva abbandonare

l’umanità, ne sente la nostalgia. Alla fine si è avverato in qualche

modo il suo sogno di vivere una realtà dove è presente solo se stesso.

Comincia allora un monologo, sullo sfondo della solitudine assoluta e

di un silenzio rotto soltanto da qualche voce di animale o dal ronzio di

macchine che continuano a funzionare. Ed è un monologo che presto

si trasforma in un dialogo con tutti i morti, tenuto da un unico vivo che

a momenti pensa di essere anch'egli morto. Riaffiorano spezzoni di

ricordi, particolari sepolti riemergono come decisivi e, mentre i pensieri

si affollano, l'anonimo protagonista cerca dappertutto un qualche altro

sopravvissuto, vaga tra luoghi odiati e amati, tra le sue montagne e

Crisopoli.

L'unico modo per intrattenere ancora un dialogo con il mondo

degli «scomparsi» è la rievocazione del dottor Karpinsky che gli aveva

curato, anni prima, una neurosi ossessiva, era morto durante una lite tra

infermieri nell'asilo psichiatrico distrettuale.

Ma la realizzazione del suo desiderio di solitudine gli fa ora cercare

nella città di Crisopoli - dove è tornato dal rifugio montano - le tracce di

Karpinsky, fino a immaginare un incontro con lui, tenendo in tasca un

86

pacchetto delle sigarette che il dottore preferiva. Ma il dottor Karpinsky

è morto, prima che si dissipasse l’umanità, il giovane protagonista ne

è consapevole ma lo attende ugualmente, lo attende certo della sua

impossibile venuta.

Probabilmente quest’opera è coerente con la linea di vita dell’autore.

Morselli non ebbe alcuna fortuna editoriale; scrisse romanzi, articoli,

saggi, qualche racconto, e accusò molto questa mancanza di attenzione

da parte dell’editoria. Forse questa fu una delle cause del suo suicidio

avvenuto lo stesso anno in cui scrisse il libro, 1973. Sicuramente aveva

molta volontà, visto che continuò sempre a scrivere, nonostante la

mancanza di pubblico. Un percorso stilistico, quello di Morselli, che va

dall’ottimismo e fiducia nella storia, a un pessimismo totale, che porta

anche a nichilismo, tutto questo espresso anche nelle sue opere. Lo

scontro, la lotta, è ciò che caratterizza la vita dello scrittore ma anche i

suoi saggi e romanzi. I suoi conflitti con il mondo antropologico della

modernità, la sua debolezza nei confronti degli uomini che lo porta alla

definizione di “fobantropo”51. L’unico modo per reagire a questi conflitti

con i suoi simili e a questo senso di alienazione è la ricerca intellettuale.

In Dissipatio una certa speranza in lui è viva fino a poco prima del

suicidio. Le sue forze non sono sufficienti per opporsi alla dissipazione

della bellezza del genere umano.

La mancanza di alcuna possibilità di confronto inclina le sue certezze,

mina la sua stabilità mentale, gli ripresenta in continuazione la bruciante

domanda sul senso della vita. Il fastidio che prima provava verso gli altri

si trasforma in compassione, comprensione della miseria umana, quasi

una lieve nostalgia.

87

C’è un profondo senso di nostalgia in quest’opera, un allontanamento dal

mondo, ma repentino e anche indolore.

In Dissipatio H.G. inconsciamente Morselli ci svela tutta la sua cultura,

l’elevazione del suo spirito, la sua anima travagliata, ma le parole del

protagonista sembrano non dare molto peso a quell’evento che ha

cambiato la sua vita.

In Dissipatio si può notare la vicinanza dell’anonimo protagonista con

la figura stessa del Nostro scrittore. Infatti nei venti capitoli che narrano

l’evaporazione del genere umano, più volte viene citato il pronome

“io”52.

Sono molti gli avvenimenti narrati in questo romanzo, che si possono

avvicinare alle vicende di Morselli e soprattutto alla sua fine. Il

protagonista di questo romanzo53, scritto pochi mesi prima del suicidio

di Morselli, narra la storia di un uomo, di cui non viene indicato il nome,

che ha deciso di scappare e sottrarsi dalla cattiveria dell’umanità,

organizzata in mafie che minacciano la sua proprietà privata. Morselli

verrà per questo designato come fobantropo, anche dalla sua amica di

sempre, la signora Bassi; questo perché si sentirà sempre minacciato

dalla cattiveria e dalle azioni dannose dell’uomo. Il villino del

protagonista, immerso nel verde, è minacciato dai potenti di Crisopoli, la

Città d’Oro, in cui è raffigurata Zurigo. Qui possiamo notare la

corrispondenza di questo villino con la casina rosa di Guido Morselli, a

Santa Trinita, dove egli stesso si ritira per trovare pace e per trovare la

sua amata solitudine; ma come nel romanzo sarà continuamente

minacciato, nella vita reale sarà ossessionato dai rumori che

circondavano la sua casa e lo infastidivano: motocrossisti, addirittura dei

ghiri sul tetto. Sarà poi costretto a lasciare definitivamente la sua amata

88

casina e spostarsi, continuamente minacciato dai disturbatori. Inoltre in

Dissipatio il protagonista si sentirà vittima di mafia medica; da una

semplice malattia che recava disturbi, fu costretto a rivolgersi ad una

serie infinita di specialisti; purtroppo nessuno darà mai un verdetto, una

soluzione a questi problemi, e lui si sentirà al centro di una speculazione.

Tutto questo lo porterà a prendere una decisione importante, quella di

sottrarsi definitivamente a tutto questo, suicidandosi, servendosi di una

pistola da lui definita la “ragazza dall’occhio nero”, e con lei dirigendosi

verso un luogo sperduto, dove troviamo una fossa piena d’acqua chiama

il “lago della Solitudine”. Come si può benissimo notare, questo

romanzo sembra attuare una sorta di “profezia” per quella che da lì a

qualche mese succederà realmente nella vita dello scrittore; il

collegamento c’è ed è evidente, la casina sperduta, abbandonata per

cause esterne, la solitudine forzata, il sentirsi continuamente il bersaglio

di una società capitalistica, dove c’è mafia dappertutto, l’ha portato ad

una decisione estrema. Molto probabilmente il nostro scrittore si sentirà

bersagliato da questa sfortuna editoriale, magari si può definire anche in

questo caso una “mafia”54, vista la necessità di entrare nella cerchia dei

gruppi ideologici, e il suo sottrarsi a questo far comunella,

probabilmente ha causato tutti quei rifiuti

Si può considerare questo romanzo forse un suo desiderio forte di

commettere quel gesto estremo? Invece il protagonista del romanzo

non arriverà alla fine, ci ripenserà e preferirà vivere, tornerà a casa

e si metterà a dormire con accanto la “ragazza dall’occhio nero”.

Probabilmente il suo desiderio di rimanere solo era così forte che si

realizzerà lo stesso, infatti dal giorno seguente sarà vittima di una

completa evaporazione dell’umanità. Sarà lui l’unico uomo presente

89

sulla terra, macchinari, aerei, oggetti, è tutto presente, ma non ci sarà più

nessuno. Non è improbabile che il colpo di pistola sia partito veramente.

Quindi nel leggere questo romanzo noi ci poniamo delle domande che

in realtà non hanno delle risposte definitive che solo l’autore potrebbe

darci: è l’umanità che è scomparsa, o il protagonista si è veramente

suicidato? Lui, l’unico rimasto, è il solo Eletto o il solo Dannato?

Da qui comincerà la sua continua ricerca di forme di vita, in un per-

corso accidentato e sinuoso, ricerca inutile ovviamente. L’innominato di

Dissipatio dopo aver vagato, ricordato, descritto, siede su una panchina,

e lì non sarà più solo, ma insieme al suo amico Karpinski, con in mano le

sue sigarette preferite. Karpinski, una figura di medico importante come

in altri suoi romanzi, il simbolo dell’attesa del nostro protagonista. Può

essere accostata a Nipic del Il Redentore55, per il suo essere una sorta di

Cristo Buono. Questa solitudine vissuta dal protagonista durante tutto il

romanzo, e che si attenuerà solo alla fine con il sospeso incontro con il

dottore, può essere ricollegata alla solitudine forzata di Morselli, al suo

non rifiuto ad unirsi alla massa, che l’ha portato all’unico gesto possibile

di liberazione. Lui, solo, così lontano da quegli scrittori che inutilmente

descrivevano solamente la realtà quotidiana, le cronache, le banalità e le

volgarità, ma che puntualmente andavano avanti.

Ad oggi finalmente l’editoria non trascura più i capolavori di Morselli,

ma continuano ad essere studiati; forse a suo tempo l’editoria ci vedeva

benissimo ed era ben consapevole del disturbo che poteva creare

una personalità così importante come Guido Morselli, da lasciarlo

continuamente in disparte. Adesso finalmente i riconoscimenti stanno

arrivando, attraverso le iniziative ed i premi organizzati nella sua Varese,

quella città che tanto deve al “genio segreto”, alle sue iniziative, al suo

90

adoperarsi per aiutare la sua città, che sicuramente glielo deve; alla quale

lui ha lasciato tutto, un patrimonio inestimabile.

5. Guido Morselli e la sua Varese: la figura ambientalista56 del

nostro autore.

Il legame intenso con la natura ha caratterizzato tutta la vita di Guido

Morselli, non solo come semplice interesse o solo per il fascino

esercitato dalla natura sull’uomo, ma un legame profondo che si è

concretizzato in attività e progetti per salvaguardare la natura. Il suo

interesse per il patrimonio ecologico si può notare da subito col suo

ritiro nella famosa casina rosa di Santa Trinita di Gavirate, isolato dalla

comunione con gli uomini, immerso nel verde, anche se il suo rapporto

con la casina fu turbolento, dati i vari rumori che lo infastidivano a

qualsiasi ora; questo ci fa capire la sua necessità di un contatto con

la natura. Soprattutto Morselli vuole renderlo reale questo contatto,

mettendo le sue mani nella natura; coltivando, piantando alberi e

curando le sue coltivazioni di frutta. E poi il suo amore per gli animali,

che spesso fanno parte dei suoi romanzi, come la cavalla Zeffirino,

comprata dal padre alla fiere di Verona. Aveva inoltre ereditato delle

terre nel bolognese e le curava con attenzione, egli stesso si definì

sempre un “agricoltore” e si firmava anche così, nelle lettere, neanche

91

il termine scrittore sostituì questa sua firma. Sempre immerso nella

natura, la filmava; campi e coltivazioni avevano ruoli di primo piano,

laghi, montagne e gli animali, tutti gli animali presenti in natura, basta

citare come esempio il filmato completamente dedicato ad una gara di

lumache. Questo inoltre ci dà conferma della sua sete di conoscenza, di

osservare il mondo intorno a lui57.

“La natura è una musica alla quale gli uomini sono quasi sempre sordi”.

Così scriveva nel suo Diario; si può definire un ecologista, formatosi

attraverso la lettura di libri e riviste di agricoltura. Morselli è stato

uno dei pochi a riuscire a dar voce all’amore dell’uomo per la natura.

Un amore che deve essere curato e coltivato, soprattutto protetto, solo

così può diventare sorgente dell’ispirazione artistica. La natura deve

essere protetta, solo così può sopravvivere alle avide mani dell’uomo.

E Morselli portò avanti una dura lotta per la salvaguardia della città

di Varese, per proteggerla e farla continuare ad esistere come “Città

Giardino”; per lui non più dimora estiva, ma luogo ideale dove vivere.

Morselli ha combattuto con ardore, perché Varese con la sua provincia

non fosse deturpata nel suo splendore immerso nel verde.

“La difesa del verde è una necessità sociale” così si intitola uno degli

articoli pubblicati da Morselli su La Prealpina58; titolo che riassume il

suo pensiero, e uno dei tanti modi per incitare tutto il paese per lottare

contro l’ingiustizia, elencando tutta una serie di effetti negativi recati

dall’avidità dell’uomo che per i suoi futili interessi distrugge l’ambiente,

patrimonio intoccabile dell’umanità.

Il verde della Città Giardino doveva essere difeso e rimanere integro

a Varese e si fa presente che questo porta anche rilevanza turistica.

L’amore di Morselli per la natura probabilmente è anche più forte di

92

quello per la donna amata; diversamente dall’amore per una persona,

nel quale c’è sempre un desiderio di essere ricambiato, l’affetto che ci

lega a un luogo è totalmente disinteressato, viene definito il più forte di

tutti gli amori. La natura entra nei suoi libri, nei romanzi, come sfondo,

a soprattutto come similitudine per parlare dei sentimenti: “l’amore

che come corso di un fiume, s’interra e riappare”. Come il suo amore

immenso per la casina rosa di Santa Trinita insieme al Parco di Santa

Trinita, che nel testamento, in maniera estremamente generosa, viene

donato al Comune di Gavirate; un lascito estremamente prezioso per

la comunità, per l’ambiente; un segno indelebile del suo amore per la

natura e della lotta per la sua salvaguardia.

Questo viaggio attraverso le opere edite ed inedite di Guido Morselli

e soprattutto le testimonianze, sentite da me fortunatamente anche di

persona, mi hanno permesso di capire qualche cosa di più del mondo,

rimasto forse troppo spesso in silenzio, del Genio segreto di Gavirate, un

mondo che ai più è sconosciuto anche ora che finalmente si procede allo

studio e alla stampa dei suoi capolavori; ma che fortunatamente riscuote

anche molto successo, considerato uno dei più importanti e innovativi

autori del ‘900. Viene da chiedermi cosa sarebbe successo se il Nostro

Scrittore non avesse compiuto l’estremo gesto; probabilmente avrebbe

vissuto in prima persona questo suo successo, o forse non ci sarebbe

comunque arrivato a raggiungerlo, questo purtroppo non lo sapremo

mai. Sicuramente l’interesse per le sue opere da parte di studiosi e

case editrici ci ha permesso di conoscere testi lettersri rimasti al buio

erroneamente e, per questa ragione, concluderei con una frase di Linda

Terziroli che riassume l’importanza di questo patrimonio letterario:

93

“Le opere ci permettono di scoprire gli enigmi del pensiero

morselliano, con il punto fermo del mistero di una morte che a troppi è

parsa gesto di viltà e, a troppo pochi, il gesto romantico e tragico di un

naufrago”.

CAPITOLO TERZO. Dino Azzalin viaggiatore

In questo capitolo mi concentrerò sull’attività di Dino Azzalin che più

mi è in sintonia, quella di viaggiatore, e di conseguenza di scrittore

di viaggi, data la sua grande passione per la scrittura, mai nascosta

visto che si definisce un mancato laureato in lettere. Prenderò in

considerazione soprattutto il suo amore per l’Africa, che condivido in

pieno, e la sua attività di aiuti umanitari con l’associazione “Amici per

l’Africa” di cui è il padre fondatore. Tutto questo credo sia spinto dalla

sua instancabile voglia di conoscenza che si può notare fin dal primo

istante. Ho avuto la possibilità di incontrare Dino Azzalin grazie alla

sua disponibilità e a quella del professore Fabio Pierangeli, che mi ha

permesso di confrontarmi con questo grande uomo che ha speso una vita

intera ad aiutare chi più ne ha bisogno. Si tratta di un professionista che

osserva tutto, disponibile e aperto a capire l’altro, il diverso. Ammiro

questa sua voglia di conoscenza, perché il suo bagaglio di esperienze

è veramente ampio. Ho avuto inoltre la fortuna di intervistare il dottor

Azzalin, (vedi appendice), scoprendo di più del mondo di un viaggiatore,

medico e scrittore che ha dedicato una vita intera agli altri, ai progetti

umanitari, ai viaggi che gli hanno permesso anche di ritrovare la fede.

94

Un viaggiatore che “guarda” con la retina e “vede” con altri occhi.

1. Viaggi

Partimmo una mattina di

novembre sulla dauphine color

carta da zucchero. Non si era mai

vista un’auto così davanti a casa:

in silenzio il paese ci guardò

partire. Non portai giocattoli con

me, non ne avevo, misi la stalla, i

rastrelli, e il rumore delle foglie

di platano dentro il mio bagaglio

segreto. Arrivammo nella città

che era sera, riconobbi subito

la casa, il neon bianco del bar

accanto alla farmacia. Attraversai

la strada di corsa come se togliessi

la fune dal collo per correre di

nuovo al canale, ma caddi colpito

da un’auto e rimasi ferito per

sempre.1

95

La vita di Dino Azzalin è stata e continua ad essere profondamente

segnata dal viaggio. Si tratta di viaggi di sola andata come vengono

definiti nel sottotitolo di Mani Padamadan; i viaggi veri servono per

conoscere se stessi, non gli altri, e da questi viaggi si torna cambiati nel

profondo. Viaggiare è innanzitutto capire l’esperienza fondamentale

dell’uomo, le ragioni del suo nomadismo come della sua stanzialità.

Azzalin racconta un modo di vivere vagando2, come fanno i Tuareg,

tra i silenzi del Sahara. Camminare osservando, scrutando cose e paesi

nuovi, entrando negli sguardi delle persone che incontriamo, scegliendo

strade lontane da quelle turistiche. Solo così si torna cambiati e ricolmi

di quella ricchezza che ci viene dal confronto con altre culture. Tutti i

suoi viaggi caratterizzati dalla conoscenza dell’altro verranno raccolti

in una serie di racconti e saranno segnati inoltre da bellissime poesie in

cui Azzalin descrive le tappe fondamentali della sua vita, una prova di

memoria dei momenti più importanti tradotti in versi. Dino Azzalin ha

fatto della sua vita un viaggio tra le parole, quelle degli altri che entrano

nel cuore. E la sua esperienza diviene da un lato prosa e da un lato

poesia.

Come molti nomadi, la cui condizione è in fondo l’origine di tutti gli

uomini, Azzalin viene sradicato fin da piccolo dal luogo di nascita. Si

tratta del suo primo viaggio3, quello che lo porterà dal suo paesino, sulla

dauphine renault, a Varese, in cerca di fortuna, perché si sta meglio, così

affermano la mamma e il papà.

Quel giorno c’era tutto il paese a salutarli, si sentiva allegro ed eccitato,

e in fondo non capiva il motivo di quella partenza. A meno di dieci anni

si trovava da solo senza pensieri, non gli interessava né il luogo, né dove

sarebbe finito, l’importante per lui era stare con la sua famiglia e sarebbe

96

andato ovunque. Stavano per diventare degli immigrati, lasciando per

sempre la terra delle loro origini. Una sensazione era presente, quella

aver dimenticato qualcosa, ma forse non doveva prendere nulla, piuttosto

doveva lasciare qualcosa. Dino Azzalin intraprese il primo viaggio

della sua vita, la prima volta in autogrill di un’autostrada, la prima pipì

da viaggiatore4. Un viaggio interminabile che lo porta a Varese, città

adottiva, ricca e generosa. E il giorno dopo si trovò davanti a un’altra

vita. Azzalin farà dello sradicamento della vita, una ricchezza. Comincia

da qui la sua lunghissima serie di viaggi, dapprima come qualsiasi turista

ricco, che affronta il suo viaggio in modo superficiale, ma poi finalmente

riescendo a diventare un viaggiatore e ad affrontare queste esperienza

con un altro spirito. Perché il viaggio che permette di conoscere a fondo

se stessi, è dapprima un viaggio nel profondo dell’uomo, come Proust ha

ampiamente anticipato.

Non ci sono luoghi nuovi,

ma occhi diversi

Per capire a fondo il senso di un viaggio bisogna guardare con altri

occhi, a fondo ciò che ci circonda e non viaggiare superficialmente come

semplici turisti. Azzalin raggiunge svariati luoghi e prende appunti sul

suo taccuino nero che porta sempre con sé, dove annota sensazioni,

emozioni ed esperienze uniche, che poi trascrive e rielabora creando

racconti di viaggio che, con parole semplici ma mai semplificate,

arrivano direttamente al cuore del lettore. Infatti per il nostro viaggiatore

speciale, la scrittura è un modo di vivere, una grande opportunità che

l’uomo ha è proprio quella di utilizzare la parola come punto di partenza

per concepire la realtà. Le parole vanno sempre usate in maniera

97

precisa, è molto importante come vengono inserite sul foglio bianco.

È altrettanto importante usare le parole nel contesto esatto in cui si

pongono e comprenderne sempre le loro alchimie, indipendentemente

dal tipo di lavoro che si vuole ottenere, romanzo, reportage o poesia.

Un grande scrittore è innanzitutto un bravo lettore. Azzalin è stato

influenzato nel suo modo di scrivere da alcuni maestri, in particolare

Nicolas Bouvier che ha sottolineato l’importanza della distinzione del

“guardare” dal “vedere”5.

Si guarda con la retina, ma si vede solo col cuore, ed è in questo modo

che il viaggio ci cambia. Esiste una differenza tra il turista che guarda

e non vede, e il viaggiatore che vede col cuore e guarda anche con la

retina. Questo significa costruire grandi opere. Bouvier compie un lungo

viaggio su una Topolino con un suo amico ed arriva fino in India. Lo

scrittore svizzero ha avuto il grande merito di scrivere il racconto di

questo viaggio a distanza di molto tempo, permettendo all’impressione

di fermentare e sedimentare nel modo migliore. Bisogna ripulire col

tempo la scrittura, strigliarla, togliere il più possibile l’IO, cercare di

non essere troppo legato a ciò che l’occhio guarda, ma a ciò che il

cuore vede. Il maestro che ha dato il via alla sua attività di scrittore di

viaggio è stato Giuseppe Pontiggia che come un profeta ha suggerito ad

Azzalin di raccogliere i suoi appunti, metterli insieme e creare qualcosa

di straordinario. È stato un maestro in questo. Tra i suoi molti viaggi

ci sono però stati luoghi, come il Brasile, che nonostante vari appunti,

non si è prestato a formare un libro di viaggio, per ragioni che restano

misteriose. I libri rappresentano un importante compagno di viaggio per

Azzalin, a partire dall’Odissea, che lo accompagna nel viaggio nella terra

dei miti6, e permettono di scoprire qualcosa di più di un’affascinante

98

terra circondata dal mistero, culla della civiltà, come per “La Mia

Africa” di Karen Blixen che accompagna le giornata trascorse nella terra

delle piantagioni di caffè7.

I libri, come amici, lo hanno accompagnato dappertutto, poco

ingombranti, pesanti, preziosi. Dalle pagine di Karen Blixen poteva

capire qualcosa di più di una terra stupenda come il Kenya, le sue storie,

qualche bellezza che altrimenti sarebbe sfuggita. Quando la scrittrice

tornò a casa piena di taccuini, appunti, racconti, scritti di viaggio, in

quell’Africa dove aveva vissuto per più di trent’anni, il Kenya era un

paese in profonda trasformazione. Doveva essere stata diversa la vita

nella sua piantagione di caffè, limpida e piena di libertà. Quel libro, uno

dei tanti ad occupare la valigia di Azzalin al posto di vestiti o macchine

fotografiche, privilegiando la parola scritta, lo accompagna nel suo

viaggio attraverso le piantagioni del Kenya. Il tempo della lettura e della

scrittura si trova fuori dallo spazio reale, in una dimensione che richiama

quel senso di appartenenza che lega certe tribù africane alla loro terra. la

parola è come uno specchio , fa esistere un’immagine anche là dove non

è8.

Nello specchio è riflesso sempre qualcosa, che nello specchio non esiste,

come del resto tutta la letteratura fa vivere nella memoria luoghi e

persone là dove non sono. Le parole sono “gocce di silenzio attraversate

dal silenzio”, e molte volte nonostante comunicare sia indispensabile, è

meglio il silenzio. Un silenzio, quello di Azzalin, carico di parole che si

trasformano in prosa e poesia. Per lui infatti la trascrizione del veduto è

il risultato della percezione del viaggio.

In Africa ci sono pochi libri, ma quando

muore un anziano è come se sparisse una intera biblioteca9…

99

Certo è che tutti i suoi viaggi sono caratterizzati dall’apertura verso il

prossimo, il diverso, da un’estrema voglia di conoscere luoghi, persone,

di aprire il proprio cuore agli altri, di ascoltare gli altri. Si definisce

infatti un registratore di cassa, al quale non sfugge niente, attento a

ogni minimo particolare; a testimonianza di questa sua caratteristica

si possono citare alcuni episodi. Bisogna avere chiari gli aspetti della

crescita e del valore che fanno dell’incontro con la persona lungo le

strade del mondo, una ricchezza continua. Un episodio da raccontare è

sicuramente quello che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona

durante il suo viaggio a Roma nella nostra università. Il dottor Azzalin

ci ha dato la possibilità di assistere a una sua interessantissima lezione

durante la quale ci ha raccontato un episodio vissuto proprio qui a

Roma, un incontro avvenuto nella struttura ricettiva che lo ospitava:

una volta alzatosi la mattina si recò in cucina per consumare la prima

colazione, ma il nostro dottore cominciò ad avere qualche problema

con la macchina del caffè e vedendo una luce accesa in una stanza,

decise di chiedere aiuto. In quella stanza alloggiava un professore

dell’Azerbaigian che si prestò ad aiutarlo, cominciò così tra i due una

conoscenza, un dibattito sulle proprie vite, e vista la disponibilità del

dottor Azzalin all’ascolto di chi si trova davanti, una raccolta di notizie

della vita di questo professore. Da un semplice caffè, si apre un mondo,

totalmente diverso dal nostro; Azzalin ha dato prova di disponibilità,

di apertura al diverso, di interesse verso chi si incontra nella vita,

rimanendo sicuramente arricchito umanamente.

Stessa città, Roma, stessa giornata, quella del nostro incontro con

Azzalin; ci troviamo stavolta nel bar della facoltà di Lettere e Filosofia.

100

Finalmente dopo tante comunicazioni digitali riesco ad incontrare lo

scrittore che è riuscito con le sue parole a farmi rivivere le emozioni

intense che ho provato in Africa, emozioni che è troppo difficile per

me descrivere e che solo vivendo quella terra dimenticata dall’uomo si

possono comprendere; ma che Dino Azzalin con le sue parole è riuscito

a descrivere perfettamente, parole che arrivano dritte al cuore anche di

chi non ha avuto la fortuna di vivere quelle sensazioni. Ci troviamo nel

bar e noto una situazione che mi ha profondamente colpito conferndomi

di quale straordinaria capacità di osservazione sia dotato il dottor

Azzalin: lo vedo concentrarsi su una ragazza che purtroppo aveva dei

problemi ad una gamba e portava le stampelle, e noto Azzalin che pur

non conoscendola comincia a parlarle e farle domande sull’incidente

avuto, anche, ovviamente con l’occhio della sua professione medica.

In quel momento ho capito come questa straordinaria personalità sia

veramente attento a tutto, non gli sfugga nulla di ciò che lo circonda,

e il suo interesse si allarghi a ogni tipo di informazione. Ed ho anche

capito che molti di noi, me compresa, invece camminiamo coi paraocchi,

pensiamo solo a ciò che ci riguarda e tendiamo a non considerare l’altro,

a non avere il cuore aperto per la conoscenza, la disponibilità verso gli

altri. Solo una personalità come Azzalin, che dedica un’intera vita agli

altri, può avere questa immensa dote.

Uno dei racconti più letti e che colpiscono di Mani Padamadan,

probabilmente perché esce fuori dagli schemi, è l’incontro di Dino

Azzalin in Kenya, sull’isola di Lamu, con un personaggio all’apparenza

cinico, ma che dentro nasconde un mondo, Tony Ferro10, che si rileva

molto accogliente e che lascia un segno nel cuore di Dino Azzalin.

101

Nonostante Tony fosse morto poco dopo quell’incontro, rimase vivo e

presente nella vita di Azzalin, grazie soprattutto alle sue parole. Tutto

inizia quando il nostro dottore si avventura sull’isola di Lamu con la sua

assistente Monica, per partecipare a una delle missioni di aiuti, e si

imbatte in un castello in stile arabo, che costituisce la residenza di Tony

Ferro. Azzalin si trova di fronte a una situazione di emergenza, che

coinvolge uno dei boys di Ferro, un cameriere che lavorava per lui.

Aveva una grossa ferita al piede e dovettero operarlo in condizioni di

emergenza. E Tony alla fine commentò divertito: “nonostante tutto non

siete riusciti a farlo fuori”. Così usciva fuori il suo cinismo, ma in fondo

era un uomo molto ospitale, che in cambio di una pulizia dentale con

strumenti di fortuna, diede ospitalità al dottore e alla sua assistente e

trascorse ore a parlare, parole che hanno colpito profondamente Azzalin.

Ferro aveva lasciato l’Italia vendendo quasi tutto, creando sull’isola di

Lamu questa immensa fortezza, il suo ritiro. Si tratta di un racconto

diverso perché non parla di povertà, di aiuto per i bisognosi, ma dalla

descrizione della fortezza e dal carattere del proprietario trabocca

ovunque ricchezza, all’opposto della povertà presente in ogni altra parte

dell’isola. Qui c’è il potere, la ricchezza, ma Ferro si presenta come

uomo con grandi capacità intellettuali e un’umanità nascosta dietro

quella scorza da duro e indifferente. Un uomo che colpisce anche per il

tono profetico con cui annuncia la crisi economica e la sua convinzione

che prima o poi l’Europa verrà travolta da ondate di immigrati. A

distanza di anni ci rendiamo conto che quest’uomo così chiuso nel suo

potere, aveva ragione. Ciò che più ha colpito Azzalin ed è rimasto nel

suo cuore, è stata la sua capacità di descrivere in modo particolare ogni

fase della sua vita, la forte capacità di interagire con le persone, e il

102

modo in cui sapeva fare del viaggio, un padre che lo accompagnava

dappertutto e dell’esperienza, una madre che lo amava sempre. Si tratta

di un aspetto molto importante per Dino Azzalin.

“Non si viaggia per addobbarsi d’esotismo e di aneddoti

come un albero di Natale, ma perché la strada di spiumi, ci strigli, ci

prosciughi, ci renda simili a quelle salviette consunte che ci allungano

con una scaglia di sapone..11”

Così scriveva lo scrittore svizzero Nicolas Bouvier, uno dei maestri

di Azzalin. Credo sia stato sempre condizionato da questo pensiero

nei suoi viaggi, e leggendo ogni racconto, non vi è mai qualcosa di

convenzionale, mai un viaggio fatto per semplice relax o per fuggire dal

quotidiano; ma ci troviamo di fronte a una serie di viaggi che lasciano

sempre qualcosa nell’esistenza dello scrittore, che in qualche modo

cambiano la visione della vita, che lo arricchiscono di nuove conoscenze,

esperienze, di nuovi sentimenti. Tutte esperienze nuove, non comuni

a tutti gli uomini, che probabilmente non tutti avranno la possibilità

di vivere. Viaggi di avventura, di conoscenza, viaggi nei miti, viaggi

immersi nella povertà e viaggi alla scoperta di nuovi mondi, di nuovi

modi di vivere e sopravvivere. Alcuni raccontati in ogni particolare, altri

un po’ meno, ma caratterizzati sempre da esperienze forti; come quello

in India, che l’ha portato con il suo compagno di viaggio Claudio, alla

scoperta di una religione e di riti completamente diversi dai nostri, che

porta alla conoscenza di Sai Baba12.

103

Le presunte origini soprannaturali di questa specie di santone, erano

note perché decantate in televisione da personaggi di chiara fama, i

quali ne parlavano ammirati come di un prodigio vivente, un uomo

che conosceva, senza averle mai studiate, tutte le lingue del mondo,

le scienze fisiche e metafisiche della natura. Grazie alla sua curiosità,

Azzalin approdò davanti al tempio del miracolo, a Bangalore, in India.

Anche il Vangelo, aveva avvertito dell’arrivo di falsi profeti. La curiosità

però vince Azzalin, che riesce a convincere il suo amico Claudio ad

accompagnarlo in questa avventura. Qui, come in tutta l’India, l’estrema

povertà convive con una ricchezza spirituale davvero immensa. Ciò

che lo spinge lì è anche la voglia di capire se quello che fa è veramente

frutto del divino, oppure si tratta di una semplice truffa di prestigiatore.

Qualcuno l’ha paragonato all’Anticristo, altri al più grande prestigiatore

del secolo. Dopo un’intera giornata si ritrova da solo a pregare. Alla

soglia dei quarant’anni la vita gli risultava ancora un mistero, e perché

allora cominciò inconsapevolmente a pregare13? Il dubbio e la ricerca di

Dio saranno una costante nella sua vita e soprattutto nei suoi viaggi, in

cui la presenza del Creatore si avvertirà fortemente, proprio nei luoghi in

cui sembra essere così lontano; luoghi che sembrano abbandonati da Dio.

Dopo una lunga serie di viaggi che hanno arricchito profondamente il

bagaglio di esperienze del nostro scrittore, ma ancora caratterizzati da

quel essere inizialmente un turista, come si definiva lui stesso; Azzalin

fa un bel passo in avanti, definendosi da qui in avanti un “viaggiatore”,

che fa dell’esperienza del viaggio qualcosa che lo cambia dentro, che

gli lascia un segno. Ed è probabilmente tra le dune del Sahara e tra mille

difficoltà che Azzalin chiede qualcosa di più ai suoi viaggi; dal contatto

col padre in quel deserto, che vedremo più avanti, che capirà qual è la

104

sua strada di “nomade”, sempre in giro per il modo, ma adesso con una

missione, quella di usare la sua professione per aiutare gli altri, una

professione che gli offre tanto, ogni giorno.

2. Diari d’Africa tra progetti e aiuti umanitari

I deserti non sono quelle

solitudini che animano i

confini del Sahara, ma i

silenzi che nascono dentro,

quando si smette di

sognare.14

Agadez, 198615. Una data da sottolineare a mio parere; Dino Azzalin nei

suoi numerosi viaggi in Africa, riesce a raggiungere lo scopo profondo

del viaggio, ritrovare se stesso, ritrovare soprattutto il legame con suo

padre, scomparso poco prima. “La recente morte di mio padre aveva

segnato la distanza con la memoria. Un periodo difficile, doloroso. […]

c’era qualcosa o qualcuno che mi spingeva sulle dune al di là del mare

di sabbia, oltre la tempesta. Dentro una barca con le ali, nell’oceano di

una terra d’ebano. Non volevo iniettarmi le solite anestesie di viaggi-

rifugio, inutili perdite di tempo che niente aggiungevano alla mia

esperienza, al mio dolore, anzi l’avrebbero svuotata del tutto. Volevo

essere con lui, dentro alla fitta dell’anima con cui il deserto si mescola

105

con gli uomini, perché papà mi rivelasse la sua nuova luce.16” Per questo

Azzalin concepisce questo viaggio, come un viaggio dentro se stesso,

nel profondo delle sue sensazioni, dei suoi dolori, unico modo per

poterli superare. Durante il viaggio un “fuori rotta” segna negativamente

quest’avventura, ricordiamoci che siamo nel deserto, dove il pericolo

può arrivare in qualsiasi momento.

“L’attraversamento del Sahara implica due conoscenze di base, la prima

che il deserto fortifica le anime di corpi deboli, l’altra che nel Sahara

incontri la tua anima guardandola dalla prospettiva della morte17”.

Citiamo questo detto Tuareg, la popolazione nomade per eccellenza del

deserto, di cui Chatwin ci dà una descrizione 18, che sembra adatta in una

situazione d’emergenza come quella di un fuori rotta in pieno deserto,

dove tra alte dune di sabbia, credo sia molto difficile orientarsi e trovare

una via d’uscita, e se non si conosce bene il territorio, presenta diverse

difficoltà nel trovare la via giusta da seguire. Dopo una notte intera

trascorsa nel bel mezzo del deserto, finalmente per Azzalin e compagni,

appare un segno di vita, un camion nelle vicinanze," e se invece si

trattasse di predoni? Di nuovo il panico. Nell’incertezza totale,

finalmente torna quel legame forte con il padre, eccolo arrivare in aiuto

del nostro scrittore; “Sembrava che un angelo dal cielo, con il suo

fremito d’ali, soffiasse via la sabbia.19” Quell’angelo accorre in aiuto dei

nostri viaggiatori, che scampato il pericolo riescono ad arrivare

all’ospedale di Agadez, che si presenta ai loro occhi come un girone

dell’inferno dantesco, una situazione drammatica, dove erano talmente

diffuse le infezione che in qualsiasi momento avrebbero potuto causare

un’epidemia. Il nostro medico decide di mettersi subito a lavoro con gli

strumenti che aveva, fino al momento di ripartire continuò a dare una

106

mano, in quella terra dimenticata da Dio. Questo episodio, unito ad altri

sempre in quella porzione d’Africa, ha confermato la volontà di Dino

Azzalin, unitamente alla promessa fatta al padre, di dedicarsi ai meno

fortunati, di iniziare a viaggiare come volontario, dimenticando i viaggi

da turista. Vale la pena citare questo passo in cui Dino Azzalin prende

questa decisione, “illuminato” da un consiglio del suo amato padre, che

tanto lo aveva educato al viaggio e al volontariato: “E al di là del poco

che avevo potuto fare, quell’esperienza segnò la fine dei miei viaggi

come turista e l’inizio di un’altra vita, quella del volontario medico in

terra d’Africa. Uscendo dall’ospedale, sentii qualcuno che mi batteva

sulla spalla. Mi voltai, non c’era nessuno. Mi sembrava impossibile,

eppure ero certo che qualcuno mi avesse toccato. Almeno così pensavo,

poi alzai gli occhi al cielo, il sole stava tramontando sul deserto del

Sahara, ebbi un pensiero per mio padre. Ecco, finalmente sapevo con

certezza chi mi aveva sfiorato la spalla”20.

Questo fa riflettere profondamente sul legame tra la terra e l’uomo,

sulla possibilità di ritrovare le parti più nascoste dell’ anima, grazie

al viaggio, quello vero, che ti pone di fronte a una realtà totalmente

diversa da quella vissuta giorno dopo giorno nel nostro paese. Trovarsi

di fronte alla povertà, al pericolo, a chi ha veramente bisogno e si trova

in condizioni disperate, ci fa riflettere sul male del mondo, sul valore

della vita e soprattutto sul legame con i nostri affetti. Tutto questo si può

trovare nelle emozioni che si possono leggere tra le righe dei diari di

Dino Azzalin.

Un altro episodio significativo, si svolge sempre in Algeria, tappa

importante dell’itinerario di Dino Azzalin, recatosi più volte in questo

paese. Grazie a queste esperienza e, all’educazione datagli dal padre

107

al viaggio, lo scrittore riesce a capire che la sua professione può essere

fondamentale sia per lui che per gli altri. Il suo mestiere poteva dargli

tanto, non solo dal punto di vista economico, ma come uomo e come

opportunità di scrittura e di viaggio.

“Il deserto rappresentava per me un simbolo di confine tra il vivente e

il non vivente, tra il possibile e l’impossibile, ma più semplicemente

significava sfida, senso d’avventura, incanto. Mio padre era morto da

pochi mesi, sentivo che dovevo partire portando il suo nome nei posti

che andavo a vedere. È stato il primo a educarmi all’avventura.21”

Così si apre uno dei tanti viaggi in Algeria di Dino Azzalin, uno dei tanti

solo per numero, ma come sempre un viaggio con significati profondi

e motivazioni importanti, con la presenza costante di questo legame

indistruttibile con il padre, che ritroverà in ogni luogo, in ogni terra,

che gli sarà accanto e gli farà superare qualsiasi difficoltà. “Ho dato

retta a mio padre che voleva sempre partire e mi rendo conto di essere

stato molto fortunato a poter venir qui per tutti questi anni, perché mi è

sembrato sempre come ritrovarlo.

Ci troviamo di fronte al “viaggio dei viaggi”, nel deserto, così definito

dallo stesso Azzalin. Un viaggio affrontato con un caro amico, insieme a

francesi, inglesi, belgi, definiti peugeottari, proprio per il fatto di

comprare macchine a basso prezzo in Europa per poi rivenderle al di là

del deserto, dove tutto ciò che ha arriva ha un enorme valore, ha più

forza e credibilità. Un viaggio affrontato con alcuni strumenti di lavoro

indispensabile che, come la maggioranza delle avventure di Azzalin, lo

pone davanti a una situazione di difficoltà: superare la Markubà, una

pista molto insidiosa, a causa delle enormi dune di sabbia, che con una

108

trazione anteriore era impossibile superare, a differenza dei moderni

fuoristrada. L’unico modo possibile era quello di viaggiare per 20/30 km

al giorno, soprattutto la mattina con la luce e con una temperatura non

troppo calda, e riposarsi la notte. Fino a quando dopo giorni di

isolamento, senza notare anima viva, si presenta sulla loro strada una

macchina con due personaggi armati di fucile. Le difficoltà del nostro

medico sono sempre enormi, ma la fortuna, o l’aiuto divino, ha voluto

che uno dei due soffrisse un gran mal di denti, infatti la loro destinazione

era proprio Tessalit per curare un mal di denti. Entusiasti di trovarsi di

fronte a dei medici, i due personaggi promettono indicazioni per

attraversare la Markubà in cambio di ricevere cure per questo mal di

denti. Nonostante gli strumenti di fortuna il nostro Azzalin riesce a

realizzare un’estrazione di un dente in pieno deserto, probabilmente non

avrebbe mai pensato di lavorare in quelle condizioni, per questo

l’emozione di portare aiuto si è rivelata più forte. E soprattutto la

possibilità di superare quel muro di sabbia è stata una grande fortuna,

infatti dopo poco si trovarono fuori dalla Markubà. Questo episodio

segnò profondamente l’animo del nostro scrittore che ebbe un’ulteriore

conferma di quanto la sua professione poteva regalargli, e non solo a lui,

soprattutto agli altri, di quanto il suo legame con il padre poteva

rafforzarsi grazie alla condivisione di questa passione per i viaggi.

Tuareg

Non si prende mai questa gente.

Non si perde mai chi vive

Andando nel blu solamente22

109

In questa poesia possiamo sentire quel senso forte di libertà che

deriva dalla viandanza umana, dalla condizione di questo popolo

nomade del deserto, definiti anche “i predoni più temibili del Sahara,

che saccheggiavano e distruggevano le carovane che attraversavano

il deserto, gente intrepida, feroce e fanatica che si faceva vanto

dell’uccisione d’un cristiano.” Tuareg significa “abbandonato da

Dio”, destinato alla viandanza. È questa la vera essenza dell’uomo,

la sua origine. Il viaggio è l’equilibrio tra la natura , rappresentata nel

nomadismo, e la cultura della ragione, la stanzialità. Il nomadismo

costituisce la radice profonda della natura umana. Forse per questo che

l’uomo per trovare le sue radici spirituali affronta un viaggio in India,

invece per ritrovare le sue origini si reca in Africa. Una terra, dove in

fondo sono radicate le origini dell’uomo, con il ritrovamento di Lucy, la

prima traccia umana.

3. A.P.A Associazione Amici per l’Africa.

Dino Azzalin realizza la sua missione con la ONG Medicus Mundi, in

Etiopia nel ’87. L’associazione Amici per l’Africa nasce ufficiosamente

nel ’92, ma solo nel ’99 diviene ONLUS, in un periodo in cui non

esistevano associazioni umanitarie, o comunque di aiuti sanitari nei paesi

a basso reddito come l’Africa, per quanto riguarda l’odontoiatria. Allora

l’odontoiatria veniva affidata a dei “praticoni” che toglievano radici

con delle tenaglie, ma purtroppo non si trattava di esperti nel settore;

per questo riuscivano ad eliminare solo la parte superiore del dente,

lasciano radici e dolore. Ciò ha portato i pazienti a richiedere la “prova”

dell’avvenuta estrazione; visionando la radice, potevano esser certi di

aver eliminato il loro problema. A.P.A., tre lettere che sono l' acronimo

di Amici Per l' Africa, ma anche una parola Swahili, la lingua del

110

corno d' Africa, che significa "giuramento". “Questa felice coincidenza

richiama un patto di amicizia tra noi e l' Africa, che ormai da dieci anni

si traduce in un impegno nel portare la nostra presenza e professionalità

a beneficio di popolazioni che hanno necessità di cure dentali, al pari di

tutto il resto”.

Nasce in Kenya, repubblica dell’Africa orientale, una delle regioni più

belle. Può far pensare solo a natura lussureggiante, splendide spiagge,

animali feroci. Ma chi ha visitato anche un altro lato del Kenya sa che

non è così, lontano dalle spiagge, si trova una povertà estrema. Nasce

quindi dal bisogno di medici in un clima di forte emergenza, creando

così una associazione di cooperazione odontoiatrica nel villaggio

equatoriale di Nkubu, nella regione del Meru, presso il Consolata

Hospital dei Missionari della Consolata di Torino. L’ambulatorio nel

giro di sei anni è stato affidato ai locali supportati dall’aiuto materiale

e da periodiche visite di medici dell' APA. Il clinical officer in Africa è

una figura sanitaria corrispondente a un infermiere professionale italiano

e per l' attuale legislazione kenyota può esercitare l' odontoiatria, salvo

interventi di chirurgia orale. Venne inaugurato poi lo studio di Isiolo

(Kenya), dove il lavoro era veramente intenso e impegnativo. Nacque

poi l' idea della clinica mobile odontoiatrica: un normale fuoristrada

pick up, un' infermiera traduttrice, farmaci e tutto lo strumentario

occorrente per un' estrazione dentale. A turno poi si ruota tra i vari

villaggi dove si presta aiuto agli abitanti. È un’associazione che riunisce

odontotecnici, odontoiatri, igienisti, e si occupa prevalentemente di

creare studi dentistici in strutture già esistenti, come ospedali, dispensari,

gestiti da missionari, con i quali si lavora molto bene, più che con i

governi, con i quali si perde molto tempo. È cambiato molto il modo

111

di fare volontariato, prima esistevano molti studi dentistici e volontari

che partivano, ultimamente è cambiata completamente filosofia e

l’associazione cerca di educare, di motivare degli odontoiatri locali a

lavorare in queste strutture. Per due anni dall’Italia l’A.P.A paga lo

stipendio a questi dentisti locali, e alla fine del secondo, massimo terzo

anno, si lascia la struttura in mano ai missionari e ai dental officer,

che hanno una loro autonomia. L’APA fa un lavoro di controllo, e di

training, verso il personale medico che porta avanti la struttura.

4. Luci d’Africa.

“I poveri li avrete sempre…”

Ma noi perché li affamiamo?23

Riflettendo sugli argomenti trattati per la mia tesi, c’è un particolare

che mi balza agli occhi. Il collegamento naturale che può essere fatto,

è quello tra la domanda che ha caratterizzato tutta la vita e le ricerche

di Guido Morselli, quell’Unde Malum che non ha mai trovato risposta;

e le esperienze di vita del nostro dottore, scrittore, Dino Azzalin, il suo

contatto diretto con l’estrema povertà. Sicuramente vedendo con i suoi

occhi il Male, si sarà chiesto chi ha provocato tutto questo, da dove

può arrivare questo egoismo e tutto questo dolore. Soprattutto si sarà

domandato: Ma Dio dov’è? Perché questa terra così rigogliosa, così

splendente, sembra dimenticata dall’amore di Dio. Una possibile risposta

è che il Male si trova in ognuno di noi, altrimenti non si spiegherebbe la

povertà, la carestia, ma soprattutto le guerre e l’egoismo che dominano

112

l’uomo.

Per dare conferma a questa mia affermazione vorrei sottoporre ad

attenzione, alcuni episodi significativi narrati in Diario d’Africa, credo

tra quelli più caratterizzanti il libro.

Il primo episodio riguarda una missione in Etiopia, alla quale Azzalin

partecipa per l’associazione Medicus Mundi. Si tratta di un’Etiopia

distrutta dalla guerra, che spende più soldi per finanziare quest’ultima,

che per il mare di poveri presenti nel paese. Generazioni di pianto,

affamate, in un mare di indifferenza. “Che ci faccio qui? Dovevo vedere

questo? Forse per scriverne24”.

Un paese dimenticato dal mondo, un’umanità lontana, lasciata sola a se

stessa. Noi invece scartiamo, buttiamo ai gatti e ai cani, spendiamo soldi

per acquisti futili. Questo è il mondo? “Penso alla vanità del mondo che

ho appena lasciato, alla cultura degli sprechi, alla ricchezza, mi sento

solo. Una solitudine che mi paralizza, mi fa sentire ancora più solo.25”

Il dramma di questa gente, della loro miseria, sta anche nella

rassegnazione di fronte agli eventi più tragici e dolorosi. Ma c’è anche

l’allegria, il colore, l’amore dei bambini. Bambini che non hanno un

nome, una data di nascita.

“Tu immagina questo: nascere, esistere (neanche vivere), morire senza

lasciare traccia, neanche un numero sia pure nella più sgangherata

anagrafe del mondo. Eppure questa gente vive la realtà come comparse

di un film che non esiste. Né un nome, né un cognome, né una data

di nascita, solo il sesso è sicuro, ma a volte sarebbe meglio non avere

neppure quello. Qui non si è mai nati.26”

113

Un momento di alto dolore per Azzalin è stato proprio quello legato

a uno di questi bambini che purtroppo non hanno nemmeno un nome,

arrivato d’urgenza, denutrito, ormai in fin di vita. Decide di chiamarlo

Tobia. Un momento che rimane impresso nel cuore, sulla pelle, che

non si può cancellare. Per Tobia c’è poco da fare, colpito dalla malattia

più diffusa in Africa: la fame! Tobia muore qualche ora dopo tra le sue

braccia. “Non avevo mai visto un bambino morire di fame. Sono rimasto

sveglio tutta la notte, ho pianto come non mi capitava da anni.27”

Casaciullo28, sempre in Etiopia, landscape da preistoria, bambini nudi e

sporchi, scheletrici, alla fame.

Corpi piagati da una sporcizia perenne, destinati a una morte precoce.

L’Etiopia è nell’Africa, nel mondo, sulla Terra, ma sembra essere

altrove, lontano da noi. “Mi sembra impossibile anche essere qui,

vedere tutto questo e non poter fare niente, e scriverlo per chi? Quando,

dopo queste parole, tutto resterà esattamente uguale.29” Eventi che

sconvolgono profondamente. Ma le parole scritte serviranno a ricordargli

gli ultimi battiti del cuore di Tobia, i denti curati ai lebbrosi di Gambo,

ai ciechi di Shashamane. Parole che servono a mostrarci come si possa

essere terribilmente poveri e abbandonati senza neanche più speranza

nella profezia biblica.

“Dove sei Gesù? Perché tutto questo? I

poveri li avrete sempre, sta scritto, ma noi, uomini come loro, con che

diritto li affamiamo30?

In questo clima di povertà, di forte dolore, un grande maestro è presente

nella vita di Dino Azzalin; sti tratta di Alex Zanotelli, prefatore del

libro Diario d’Africa. Proprio Zanotelli insegna a tutti noi, attraverso le

114

sue parole, che più ci si avvicina all’uomo che soffre, povero, più ci si

immerge nella sua condizione, più ci si avvicina a Dio. “Quando l’andare

dai poveri ci tocca dentro e ci cambia così radicalmente, quando succede

qualcosa dentro la nostra vita, vuol dire davvero che c’è stata missione,

perché la missione è vera missione quando le persone che si incontrano

cambiano, altrimenti non è missione31”. Ti accorgi quanto i poveri ti

cambino, ti maturino, ti umanizzino. Si cerca di annunciare le meraviglie

di Dio e si scopre, camminando con i poveri, che le meraviglie e i

cambiamento avvengono dentro di noi. Proprio perché Dio è il volto

dei poveri che soccorri. È quanto avvenuto nella vita di Dino Azzalin,

soprattutto durante la tragica avventura vissuta proprio a Korogocho,

dopo aver incontrato Alex Zanotelli. Si tratta di un episodio di rapimento

subito da Dino Azzalin ed i suoi compagni di viaggio, un momento

altamente drammatico e significativo, narrato nel Diario d’Africa32,

come un episodio chiave nella vita dello scrittore.

Proprio da quel momento, avviene quel cambiamento di cui parlava

Zanotelli, in uno straordinario uomo come Dino Azzalin, che prima si

professava ateo, agnostico, e successivamente rimasto talmente colpito

da quello che avvenne quel giorno, comincia a mettere il mistero nel

cuore della sua vita. Un avvenimento che gli ha permesso di capire il

valore dell’esistenza; in un momento di grande paura trovarsi spogliati

di tutto, non avere più nulla, ti fa capire quanto sia preziosa l’esistenza.

“Iniziai a pregare, non lo facevo da anni33”. Soprattutto gli ha permesso

di scoprire una religiosità taciuta fino a quel momento; il perdono

concesso a coloro che avevano attentato alla sua vita, un anno dopo

trovatosi di nuovo di fronte a quelle immagini, a quell’esperienza,

stavolta in un’aula di tribunale e il suo attentatore lì davanti. Un nuovo

115

sentimento, quello della pietà verso chi non aveva nulla. La scoperta

di un Dio, fino ad allora nascosto, che gli concede una seconda vita.

“Eravamo salvi. Per me era la ulteriore conferma dell’esistenza di

Dio.34”

L’Africa non è soltanto questo, è anche un continente straordinario, e

chi lo ha visto, sia pure una sola volta, fatica a scordarne l’immensa

bellezza. Ricco di umanità e di una natura primordiale, regno di

avventura e insidie, è un continente che sa farsi amare anche per

le sue contraddizioni. Il mal d’Africa probabilmente è un luogo

comune(rimando all’intervista), ma quando si torna da un viaggio

simile, si prova nostalgia per lo spazio e la luce dell’Africa. Sia Moravia

che Paul Klee (solo per portare esempi illustri), sostengono che il

grande rimpianto dell’Europa è non avere la luce dell’Africa. Lo stesso

Moravia ci dice che ciò che differenzia l’Europa dall’Africa è proprio

che in quest’ultima vi è il dominio della natura sull’uomo, e vivendo

questo continente, è la prima cosa che si nota e che rimane nel cuore,

quell’immergersi nella natura. Il mal d’Africa è la diversità dal nostro

sistema, un Occidente che non conosce più stagioni, anni a venire e

futuro, in Africa si ha invece ancora la percezione che esistano ancora

le ore, i minuti, i secondi. E se l’Africa è povera di quello di cui siamo

ricchi, in compenso è molto più ricca di quello di cui noi siamo poveri.

CONCLUSIONI

Il viaggio è una forma di comunicazione tra i popoli ed un’esperienza

in grado di arricchire la persona. Osservando l’evoluzione del viaggio

e soprattutto dell’uomo, possiamo notare come lo spostamento ha

116

caratterizzato l’uomo fin dai primordi della civiltà. Lo spostamento è

insito nella natura dell’uomo, se pensiamo che le prime popolazioni

erano caratterizzate dal nomadismo, possiamo capire il bisogno che ha

l’uomo di spostarsi. Molti studiosi del turismo contemporaneo trovano

che questa forma di viaggio abbia avuto origine dal pellegrinaggio. Il

“viaggio sacro” nel Medioevo coinvolse tutte le classi sociali e lo rese

un fenomeno paragonabile, con le dovute cautele, all’odierno turismo di

massa: l’enorme flusso di pellegrini alimentò infatti la necessità di creare

strutture che si adoperassero ad organizzare i viaggi e l’ospitalità.

Viaggiatori mossi dalla necessità di scoprire i luoghi di nascita e di

sviluppo della propria religione, i centri da cui si è irradiata la parola,

arrivata fino a noi.

Con la trasformazione dell’interesse degli uomini, dalla religione al

patrimonio culturale dei nostri paesi, si assiste lentamente, al formarsi

del fenomeno Grand Tour. Allo stesso modo del pellegrinaggio, anche

questa tipologia di spostamento riguarda, per la stragrande maggioranza,

persone con un reddito elevato che permetta di mettersi in viaggio.

Dall’Italia, culla della civiltà, e detentrice di un immenso patrimonio

culturale, il ventaglio di destinazioni si è allargato anche ad altre località

d’Europa. Le diverse disponibilità economiche di chi viaggiava erano

un fattore che diversificava notevolmente i tipi di esperienza.

Il moderno turismo di massa nasce in Inghilterra, il paese del boom

economico, dove cresce la parte della popolazione che può permettersi

momenti di svago; si tratta infatti di un modo di “evadere” dalla

quotidianità, dalla giornata lavorativa, tutto ciò permesso dalla conquista

della diminuzione delle ore di lavoro e del riposo settimanale. Il

117

viaggio diventa così un diversivo, il cui scopo principale rimane quello

di evadere lontano dalla caotica città industriale. Si tratta di una

definizione di turismo di massa giunta fino a noi, con l’aggiunta del

“tutto compreso”, l’organizzazione da parte degli enti e agenzie preposte.

Cambia il reddito, cambiano le motivazioni del viaggio e le modalità di

svolgimento. Tutto ciò permette un incremento economico del turismo

ma tuttavia a livello di ideali, a mio modesto parere, si tratta della

sconfitta del viaggio “autentico” a favore di un turismo standardizzato.

Solo a partire dal ‘900, il viaggio comincia ad assumere nuove

motivazioni che si allontanano dal viaggio organizzato. L’uomo riscopre

il desiderio di trovare le proprie origini; il viaggio è un motivo in più per

indagare sé stessi, motivazione presente soprattutto nei moderni “scrittori

di viaggio” che raggiungono quei luoghi che gli permettono di riscoprire

le proprie origini. Forse è per questo che gli uomini si recano in India per

riscoprire le radici profonde del proprio spirito, e in Africa coloro che

vogliono trovare le proprie radici, lì dove è stata scoperta la prima traccia

di umanità.

Esistono sicuramente nuovi modi di viaggiare in questi paesi, senza

essere ghettizzati nei villaggi del “tutto compreso”, dove a volte si è

ignari provocatori in casa altrui, cultori della bellezza che non sanno

privarsi del superfluo nemmeno di fronte agli affamati.

Qualsiasi sia la motivazione che ci spinge a spostarci concludo con una

frase dello scrittore che ha ispirato la mia tesi, tratta dalle ultime pagine

118

di Mani padamadan: “Tutti i viaggi hanno qualcosa di sorprendente, e

se non si concede al viaggio il diritto di distruggerci un poco, tanto vale

stare a casa.”

Non si vede bene che col cuore.

L'essenziale è invisibile agli occhi

APPENDICE

INTERVISTA A DINO AZZALIN

119

Domanda: Dr. Azzalin volevo innanzitutto chiederle della

sua attività di medico odontoiatra, cosa l’ha spinta ad avvicinarsi

all’Africa e ad iniziare la sua attività di aiuti umanitari.

Risposta: Quando nel 1985, un amico delle elementari di nome

Giacomo, mi propose un viaggio nel Sahara, perché aveva bisogno di un

medico lungo le piste del deserto, accettai con entusiasmo. L'Africa dove

non ero mai stato, era un paese che mi intrigava, così qualche mese

dopo, con gli opportuni preparativi e gli accorgimenti necessari,

partimmo per l'Algeria. In questo gruppo ben assortito si erano aggiunti

via via, francesi, inglesi, tedeschi, belgi, chiamati allora peugeottari,

coloro che compravano (o rubavano) per pochi soldi vecchie Peugeot, le

quali dopo l'attraversamento (quelle sopravvissute) sarebbero state

rivendute aldilà del deserto, perché tutto ciò che arriva oltre il Sahara ha

forza, credibilità, e valore. Durante questo itinerario mi ero portato

attrezzature per curare piccole ferite, anestesie, suture, ma ovviamente

non quelli del dentista che necessitavano di un equipaggiamento ben più

complesso difficile da attivare in pieno deserto, come il trapano, la

poltrona e un riunito. Fu uno dei viaggi più indimenticabile della mia

vita, il viaggio dei viaggi, come ebbi a sentenziare qualche tempo dopo!

Quello che mi ha cambiato completamente e profondamente, sia da un

punto di vista umano che professionale. E fu durante uno di questi

attraversamenti difficili come la Markubà, che si presentava come una

montagna di sabbia che improvvisamente ci si parava di fronte, che mi

illuminò. Oggi con i fuoristrada, coi satellitari, le forze di trazione

integrale, con mezzi più sofisticati, è molto più semplice affrontare

qualsiasi problema, ma noi viaggiavamo con mezzi vecchi e malandati,

quindi con delle problematiche insite già nella meccanica

120

dell’automobile. E con l'incoscienza degli avventurieri e non dei

viaggiatori. Davanti alla Markubà, la pista di orientamento

improvvisamente spariva, e ci disorientava. Infatti ci siamo fermati due

giorni, e piano piano facendo 20/30 km al giorno riuscimmo tra gli

insabbiamenti e con molta fatica addentrarci tra le dune di sabbia. Alla

fine del secondo giorno abbiamo visto arrivare una macchina da lontano,

e abbiamo pensato a un fenomeno strano come un miraggio, visto che

per due giorni non avevamo visto anima viva, si trattava di due uomini

armati di vecchi fucili, che dopo una breve chiacchierata capimmo che

erano due tuareg uno dei quali aveva un gran mal di denti. E questo mal

di denti non solo probabilmente ci ha provvidenzialmente salvato da

una razzia, ma istillò per sempre in me il germe del volontariato medico

nei paesi in via di sviluppo. Quando hanno saputo che si trovavano di

fronte a viaggiatori provvisti di medico e, per di più, di un dentista, si

offrirono di farci da guida in cambio dell'estrazione di due molari

purulenti. Infatti si dirigevano proprio a Tessalit dove c'era un

“praticone” che sapeva togliere i denti. Mi proposi allora di farlo io, in

condizioni davvero di emergenza, con l’anestesia che avevo e

disinfettando un cacciavite che usai come leva, e una pinza da

meccanico per toglierli. Così tra l'ammirazione dei miei sventurati

compagni di viaggio, sono riuscito a rimuovere i due denti con le radici

purulente tra la felicità dei due algerini. Lui fu talmente riconoscente di

questo che il giorno dopo ci gratificò con le indicazioni utili per farci

uscire nel giro di qualche ora dalla terribile Markubà. L’anno dopo

purtroppo morì mio padre, nel deserto mi recai a “cercarlo”, sapevo che

a lui sarebbe piaciuto, così lo portai con me a curare alcune ferite in un

ospedale ad Agadez, ma questa è un altra storia. Assaporavo quel senso

121

di libertà assoluto, i silenzi, e quell'essere sporchi, con la barba incolta,

affaticato ma felice, mi faceva tornar bambino, e alle sue carezze. Qui

ho scoperto una nuova dimensione professionale e umana, che ancora

oggi fa parte della mia quotidianità, scoprendo anche un altro modo di

viaggiare e una bellissima opportunità di scrivere.

D: Inizia così anche l’attività dell’associazione Amici Per l’Africa:

come nasce questa associazione e quali sono i programmi umanitari e le

attività di aiuti già realizzate?

R: Prima di arrivare all’APA la mia attività è stata per l’ONG- olandese,

Medicus Mundi, dove ho realizzato la mia prima missione, in Etiopia nel

1987. È nata molto lentamente, perché nell’87 non esistevano

associazioni umanitarie che si occupavano di denti, e quasi tutte le

azioni in Africa erano perlopiù affidate a iniziative sanitarie di medicina

generale e i denti venivano lasciati ai colleghi di buona volontà. Fino a

non molti anni fa, il mal di denti era (ed è) affidato come accennavo

sopra a dei praticoni che purtroppo staccavano solo la parte superiore

della corona, lasciando le radici, che poi si infettavano, con le tragiche

conseguenze, che ahimè ho spesso trovato. Infatti una delle

caratteristiche di molte parti dell’Africa dove ho lavorato, è che vogliono

sempre vedere la radice, molto probabilmente perché vedendo la radice

loro sanno che non potrà più nuocergli quel dente. Poi con alcuni altri

colleghi e altre traversie associative, abbiamo ideato nel ’1992 l'APA

(Amici Per l'Africa) che poi è diventata ONLUS nel 1999, di cui sono

promotore e uno dei fondatori. È un’associazione che riunisce

odontotecnici, odontoiatri, igienisti che si occupano prevalentemente di

creare studi dentistici in strutture già esistenti, come ospedali, dispensari,

122

gestiti da missionari, con i quali si lavora molto bene, più che con i

governi, con i quali è più difficile e complesso ottenere dei risultati

duraturi. È cambiato molto il modo di fare volontariato, prima avevamo

molti volontari che partivano, oggi abbiamo cambiato completamente

filosofia e cerchiamo di formare, di motivare degli odontoiatri locali a

lavorare in queste strutture che abbiamo creato. Anche se non tutto è

sempre facile. Per due anni noi dall’Italia paghiamo lo stipendio a questi

dentisti locali, dai 200 dollari ai 400 dollari al mese, e notiamo la

sproporzione incredibile rispetto all’Europa ed è questa la ragione di

questa loro povertà atavica: una vita mal pagata da sempre! Alla fine del

secondo, massimo terzo anno, noi lasciamo la struttura in mano ai

missionari e ai dental officer, che hanno una loro autonomia. L’APA fa

un lavoro di controllo, e di training, verso il personale medico che porta

avanti la struttura.

D: Quindi inizialmente turista, viaggiatore, e poi aiuto delle popolazioni

locali. Quando ha deciso di mettere per iscritto, quindi di coinvolgere

noi lettori nei suoi racconti di viaggio, con la sua passione per la

scrittura?

R: Nel 1987 feci un seminario di scrittura creativa al Teatro Verdi di

Milano, con un insegnante che ho stimato molto, Giuseppe Pontiggia.

Quando seppe che io facevo questi viaggi mi suggerì di annotare le

mie avventure su quei quaderni che oggi chiamano moleskine, e un

domani quando ne avrei avuto le possibilità di farne un riassunto, che lui

l'avrebbe letto volentieri. Quando nel 2001 pubblicai “Diario d'Africa”,

lui mi disse che avevo ottenuto un buon risultato, per me invece era stato

come viaggiare un'altra volta. Ho sempre dedicato molto alla lettura di

123

libri di viaggio, e solo successivamente amato molto la scrittura, infatti

mio padre mi ha educato molto a questa cosa, i libri come la musica

erano una forma d'arte. E visto che aveva studiato, questa è stata una

bella opportunità: unire alla mia professionalità anche la parola. La parte

iniziale di quello che è stato un po’ il mio approccio alla descrizione più

profonda, anche se devo dire, come diceva Chatwin, che ci sono luoghi,

strade, che anche dopo decenni non si prestano ad essere descritti con le

parole. Ho fatto dei viaggi così importanti, nella Foresta Amazzonica,

in India, in Sudamerica che non sono mai riuscito a descrivere anche

avendo gli appunti. Nella mia casa comincio a mettere ordine a questi

appunti annotati nel mio taccuino e trascriverli. E cerco quella poesia che

vi è nascosta.

D: Quali sono i modelli per i suoi racconti che arrivano al cuore del

lettore, sia a chi come me ha avuto la fortuna di vivere l’Africa, sia a chi

non c’è mai stato e grazie alle sue parole riesce a vivere l’emozione di

questi viaggi?

R: Diciamo che i miei maestri si possono trovare nel libri e sono

soprattutto quelli che ho amato e che mi hanno insegnato a vivere e a

scrivere. Sono sempre più convinto che un grande scrittore sia prima di

tutto un grande lettore. E non solo di autori di viaggio come il poeta

cinese Li Po, Bruce Chatwin, ma anche Alberto Moravia, o scrittori

assolutamente anonimi, quanti mi portano a far conoscere il proprio

modo di viaggiare. Uno dei miei preferiti attualmente è Nicolas Bouvier,

uno scrittore svizzero, che alla fine degli anni ’50 fa viaggio in

Topolino, con un amico fotografo dalla Svizzera arriva fino in India. La

parte che mi piace molto di Bouvier è che scrive questo libro dopo tanti

124

anni, così come è stato per me Diario d'Africa, perché bisogna prima far

sedimentare tutto quello che si annota e che si vede, perché un conto è

guardare e un conto è vedere, la retina guarda e il cuore vede. Bisogna,

asciugare, rastremare togliere orpelli, lasciare al lettore gli occhi per

fargli fare il viaggio di cui lui ha bisogno. E occorre anche ascoltare i

consigli di chi stimi, farti correggere e far tesoro dei loro suggerimenti.

Credo che bisogna avere chiari gli aspetti della crescita e del valore che

fanno dell’incontro con la persona lungo le strade del mondo, una

ricchezza continua. Bisogna ripulire col tempo la scrittura, strigliarla,

togliere il più possibile, scremare, ripulire dai soggettivismi e

aggettivazioni eccessive, cercare di far vedere al lettore quella parte del

viaggio che lui cerca. E ciò che l’occhio guarda, è questo, perché

ognuno cerca la propria via attraverso quella degli altri, così come la

nostra vita costruita sulle orme di chi ci ha preceduto. Ma ciò che il

cuore vede ha una marcia in più per aggiungere al viaggio il proprio

inedito punto luce. Perché questo ti permette di fare una distinzione tra il

turista che guarda e non vede e il viaggiatore che vede col cuore e

guarda anche con la retina. Questo significa costruire grandi opere.

D: Un’altra sua attività, è quella di editore; cosa l’ha spinta a rilevare

la Vecchia Editrice Magenta e soprattutto a pubblicare Morselli?

R: Diciamo che è stato soprattutto una grande promessa, quasi a

rispettare alcune volontà testamentarie. Ma aldilà di questo, è stata

una promessa a Luciano Anceschi, eminente cattedratico di Estetica

dell'Univeristà di Bologna e mio maestro ma soprattutto l’amicizia di

penna con Bruno Conti, l’ex proprietario della casa editrice (Editrice

Magenta) varesina, col quale avevamo cominciato a lavorare insieme.

125

Alla loro dipartita e quando ho scoperto che chi aveva comprato la

cartolibreria voleva buttar via tutti i libri, dopo la morte di Conti, mi

sono precipitato e con pochi soldi ho portato a casa quella che per me

è stata ed è ancora una vera e propria fortuna: i libri! Ho amato infatti

Morselli come scrittore, non appena furono pubblicati i suoi libri, prima

non sapevo neanche chi fosse. Angelo Maugeri, poeta e mio compagno

d'avventura con la NEM, diceva che ci son tre modi per rovinarsi la vita:

il primo è spendere i guadagni con le signorine, il secondo è buttarli via

al casinò, e il terzo comprarsi una casa editrice. Io ho scelto il terzo.

D: Un’ultima domanda e una mia curiosità: per lei esiste una

definizione di “mal d’Africa”.

R: Diciamo che è un luogo comune questo del “mal d’Africa”, certo è

che quando si torna da un viaggio simile, si ha molta nostalgia dei luoghi

appena lasciati, ma soprattutto dello spazio e della luce. Sia Moravia che

Paul Klee, ma anche tanti altri me compreso, sostengono che il grande

rimpianto dell’Europa è non avere la luce dell’Africa. Se pensiamo che

la vita si è sviluppata intorno all’Etiopia col ritrovamento di Lucy, c'è

da crederci, sul lago Turkana, c'è una tale luce e un calore, che chi ci è

andato anche una sola volta non può più dimenticare il senso del calore

del sole. Quindi capisce che c’è una sorta di antropologica nostalgia di

quello che poi è l’esistenza, di qualcosa di inconscio, la ricerca delle

nostre radici proprio lì in Africa. Il mal d'Africa è l'assoluta diversità dal

nostro sistema, una sorta di fatalismo quotidiano, che in Occidente ha

ormai perso ogni connotazione, infatti per noi esistono le stagioni e gli

anni a venire e il futuro, in Africa si ha invece ancora la percezione che

esistano ancora le ore, i minuti, i secondi.

126

Il presente insomma che noi sprechiamo in cose a volte superflue!

Ilaria Marchetti

(Roma 13 marzo 2013)

BIBLIOGRAFIA

OPERE DI DINO AZZALIN

I disordini del ritmo, Crocetti, Milano, 1985

Deserti, Crocetti, Milano, 1994

Via dei consumati, Ulivo Editore, Chiasso, 1999

Diario d’Africa, Nuova Editrice Magenta, Varese, 2001

Prove di memoria, Crocetti, Milano, 2006

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Varese, 2007

Guardie ai fuochi, Edizioni del laboratorio, supplemento al numero 37 di

STEVE, secondo semestre, 2010

OPERE DI GUIDO MORSELLI

NARRATIVA

Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo, Adelphi,

Milano, 1974

Contro-passato prossimo: un'ipotesi retrospettiva, Adelphi, Milano,

1975

Divertimento 1889, Adelphi, Milano, 1975

Il comunista, Adelphi, Milano,1976

Dissipatio H.G. , Adelphi, Milano, 1977

Un dramma borghese, Adelphi, Milano, 1978

Incontro col comunista, Adelphi, Milano, 1980

Uomini e amori, Adelphi, Milano, 1998

Una missione fortunata e altri racconti, con un saggio di Valentina

Fortichiari, Nuova Editrice Magenta, Varese, 1999

SAGGISTICA

Proust o del sentimento, Garzanti, Milano, 1943; ora riedito da Ananke,

Torino, 2007.

Realismo e fantasia, F.lli Bocca, Milano, 1947; ora riedito dalla Nuova

Editrice Magenta, Varese, 2009

Fede e critica, Adelphi, Milano, 1977;

Diario, a cura di V. Fortichiari, prefazione di Giuseppe Pontiggia,

Adelphi, Milano, 1988.

La felicità non è un lusso, Adelphi, Milano,1994

Lettere ritrovate, a cura di Linda Terziroli, Nuova editrice Magenta,

Varese, 2009

TEATRO

Marx: rottura verso l'uomo, commedia del 1968, pubblicata per la prima

volta in «Sincronie», a. 2003, n. 14, pp. 11-42

Cesare e i pirati, a cura di F. Pierangeli, in «In Limine», a. 2009, n. 5,

pp. 13-63

SCRITTI SU GUIDO MORSELLI

A.Santurbano, F. Pierangeli, A. Di Grado, Guido Morselli: Io, il

Male e l'immensità, Rio de Janeiro, Comunità, 2012

Fabio Pierangeli, Sulla scena (inedita) con Guido Morselli, Universitalia,

Roma, 2011

Rivista Studium, Guido Morselli: Le domande ultime e le prospettive

della carità, a cura di Fabio Pierangeli, luglio-agosto 2012- anno 108

Rivista In Limine, letteratura e viaggio, su Guido Morselli, a cura di

Fabio Pierangeli

BIBLIOGRAFIA GENERALE

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culturale, Il Mulino, Bologna, 2011

Gianni Celati, Passar la vita a Dioll Kadd, I narratori, Feltrinelli,

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Alberto Moravia, A quale tribù appartieni, Bompiani, Milano, 1972

Alberto Moravia, Lettere dal Sahara, Bompiani, Milano 1981

Alberto Moravia, Passeggiate africane, Bompiani, Milano, 1987

Roberto Mosena, Per un meraviglioso attimo, CISU, Roma 2011

Fabio Pierangeli, Il viaggio nei classici italiani, Le Monnier università,

Mondadori, Milano, 2011

Paolo Rumiz, Il bene ostinato, I narratori/ Feltrinelli, Milano, 2011