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Valigette aritmetiche” in prima e seconda elementare: artefatti come strumenti per costruire significati matematici Rita Canalini N.R.D. Università di Modena e Reggio Emilia [email protected] Bozza ad uso interno preparata dallinsegnante per luso in corsi di formazione. Introduzione Questo lavoro si inserisce nel filone degli studi condotti dal Nucleo di Ricerca in Didattica della matematica dell‟Università di Modena e Reggio Emilia su artefatti e mediazione semiotica. Con riferimento alla scuola primaria, verranno prese in considerazione attività sperimentate tra settembre 2006 e maggio 2008 in una classe prima e seconda a tempo pieno, di livello medio e composta da 24 alunni. Si tratta di attività che chiamano in causa strumenti concreti che appartengono alla storia della matematica. Più in particolare si documenta come il ricorso alle mani, alla linea dei numeri, al pallottoliere e all‟abaco (Fig.1) possa contribuire all‟insegnamento-apprendimento del nostro sistema di notazione numerica, di strategie di calcolo mentale e delle tecniche comunemente utilizzate nel calcolo scritto. L‟intenzione è quella di testimoniare come si possa contemporaneamente promuovere sia la conoscenza dei contenuti citati, sia la progressiva conquista di significati matematici coerenti con il sapere adulto e con l‟acquisizione di competenze disciplinari previste dalle Indicazioni nazionali con riferimento ai primi anni della suola primaria Fig.1: Il contenuto della “valigetta aritmetica”: gli artefatti realizzati da ogni allievo nel corso della prima elementare In altri termini, uno dei motivi che l‟insegnante persegue è che gli allievi apprendano a scrivere , ordinare e confrontare correttamente i numeri naturali e ad acquisire tecniche per eseguire operazioni ma che, contemporaneamente, inizino ad appropriarsi del significato di notazione posizionale e di come, tale significato, si correli a tecniche di calcolo.

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“Valigette aritmetiche” in prima e seconda elementare:

artefatti come strumenti per costruire significati matematici

Rita Canalini

N.R.D. Università di Modena e Reggio Emilia

[email protected]

Bozza ad uso interno preparata dall’insegnante per l’uso in corsi di formazione.

Introduzione

Questo lavoro si inserisce nel filone degli studi condotti dal Nucleo di Ricerca in Didattica della

matematica dell‟Università di Modena e Reggio Emilia su artefatti e mediazione semiotica. Con

riferimento alla scuola primaria, verranno prese in considerazione attività sperimentate tra settembre

2006 e maggio 2008 in una classe prima e seconda a tempo pieno, di livello medio e composta da

24 alunni. Si tratta di attività che chiamano in causa strumenti concreti che appartengono alla storia

della matematica.

Più in particolare si documenta come il ricorso alle mani, alla linea dei numeri, al pallottoliere e

all‟abaco (Fig.1) possa contribuire all‟insegnamento-apprendimento del nostro sistema di notazione

numerica, di strategie di calcolo mentale e delle tecniche comunemente utilizzate nel calcolo scritto.

L‟intenzione è quella di testimoniare come si possa contemporaneamente promuovere sia la

conoscenza dei contenuti citati, sia la progressiva conquista di significati matematici coerenti con il

sapere adulto e con l‟acquisizione di competenze disciplinari previste dalle Indicazioni nazionali

con riferimento ai primi anni della suola primaria

Fig.1: Il contenuto della “valigetta aritmetica”: gli artefatti realizzati da

ogni allievo nel corso della prima elementare

In altri termini, uno dei motivi che l‟insegnante persegue è che gli allievi apprendano a scrivere,

ordinare e confrontare correttamente i numeri naturali e ad acquisire tecniche per eseguire

operazioni ma che, contemporaneamente, inizino ad appropriarsi del significato di notazione

posizionale e di come, tale significato, si correli a tecniche di calcolo.

Il testo si suddivide in quattro parti:

- la prima è dedicata ad alcuni essenziali riferimenti teorici;

- la seconda presenta, per ognuno degli strumenti considerati, alcune attività paradigmatiche

svolte nel corso dei primi due anni di scuola;

- la terza propone l‟analisi di protocolli di allievi chiamati, alla fine della seconda classe, a

considerare il contributo che gli strumenti hanno dato rispetto alla costruzione di alcune

conoscenze matematiche;

- la quarta contiene alcune riflessioni conclusive.

1. I riferimenti teorici

L‟utilizzazione nella scuola di strumenti quali, ad esempio, pallottolieri o abaci appartiene alla

tradizione didattica come testimonia eloquentemente l‟immagine in Figura 2: una “lavagna

matematica” in uso nelle scuole belghe fin dall‟inizio del „900. Si può genericamente parlare per il

passato, ma ancora oggi, di strumenti utilizzati come “sussidi”.

Figura 2

Tuttavia, il ricorso a sussidi didattici non garantisce di per sé l‟accesso a significati matematici. Lo strumento

è sempre contemporaneamente in relazione sia con l‟esecuzione di un compito specifico di carattere tecnico,

sia con una specifica conoscenza matematica, ma questa duplice relazione non si instaura in modo

meccanico e/o spontaneo. Meira (1995) sostiene che i saperi che l‟artefatto “incorpora” non sono

necessariamente identificati da chi lo utilizza, ossia l‟artefatto può essere “opaco” per questi saperi. Per

esemplificare, un allievo può correttamente rappresentare numeri con l‟abaco anche senza aver compreso la

nozione di valore posizionale delle cifre, può semplicemente possedere una tecnica, un automatismo secondo

il quale nelle aste dell‟abaco, in successione, vanno infilate tanti gettoni quante ne indicano le singole cifre

che, anch‟esse in sequenza, concorrono alla scrittura del numero. Affinché lo strumento diventi “trasparente”

è necessario che l‟insegnante coinvolga gli allievi in attività finalizzate a stabilire una relazione “virtuosa” tra

schemi d‟uso e sapere matematico. In altri termini, è necessario individuare metodologie didattiche che

consentano di stabilire un legame, che si è detto non essere affatto scontato, tra l‟uso di tecniche legate

all‟interazione fisica con gli artefatti e specifici contenuti disciplinari.

Inoltre tra i “sussidi” in uso nelle scuole occorre operare un‟importante distinzione: alcuni strumenti

appartengono alla storia della matematica; altri, di introduzione relativamente recente, sono realizzati

appositamente a scopo didattico (tra questi, ad esempio, i “numeri in colore”). Gli strumenti che

appartengono alla storia della matematica come l‟abaco o il pallottoliere offrono uno specifico vantaggio: nel

corso della storia della disciplina, hanno contribuito alla costruzione di significati matematici, in questo

senso, hanno già dato buona prova di sè ed è, dunque, giustificato ritenere che possano dare un contributo

analogo anche rispetto allo sviluppo culturale degli allievi. Sulla base di questa riflessione, il gruppo di

ricerca in didattica della matematica di Modena e Reggio Emilia ha scelto di considerare solo gli strumenti

che appartengono alla storia della disciplina. Si tratta di una scelta di campo e, in quanto tale, non esclude

altre possibili opzioni, ma necessita di essere esplicitata.

Alla luce di quanto dichiarato, la sperimentazione che viene documentata considera strumenti

concreti che appartengono alla storia della matematica secondo una prospettiva qualitativamente

differente rispetto al tradizionale ricorso a sussidi didattici: gli artefatti si qualificano come

“strumenti di mediazione semiotica” secondo l‟accezione che questa locuzione acquista nel quadro

teorico elaborato da Bartolini Mariotti (2009). Si tratta di una proposta teorica che, allo scopo di

promuovere l‟acquisizione di conoscenze matematiche e avvalendosi di molteplici contributi (che

provengono da epistemologia, psicologia, sociologia, scienze cognitive…) considera le complesse

relazioni di carattere semiotico che si istaurano fra quattro elementi fondamentali:

- un artefatto (o un insieme di artefatti);

- un compito (o un insieme di compiti);

- un elemento (o una parte) del sapere matematico;

- i processi di insegnamento apprendimento in classe.

Di seguito si propone una sintesi solo di alcuni dei costrutti teorici che definiscono cosa si intenda

per mediazione semiotica legata al ricorso ad artefatti-strumenti. Si considerano solo quelli ritenuti

necessari per esplicitare il senso delle scelte metodologiche che caratterizzano la sperimentazione

che si intende documentare.

Gli elementi considerati sono:

- il contributo fondante di Vygotskij;

- la distinzione fra artefatto e strumento proposta a partire dal 1995 da Rabardel;

- la distinzione fra tre diverse tipologie di segni proposta da Bartolini Mariotti, segni che

compaiono durante “discussioni matematiche” il cui tema è l‟interazione con artefatti-

strumenti in relazione a compiti che l‟insegnante assegna;

- la “discussione matematica”.

1.1 Vygotskij: un contributo fondante

Vygotskij sostiene che dietro a tutte le funzioni psichiche superiori stanno geneticamente delle

relazioni sociali, processi interattivi che si realizzano grazie al ricorso a strumenti (tra questi primi

fra tutti il linguaggio, ma Vygotskij cita anche “forme di numerazione e calcolo, mezzi

mnemotecnici, simbologia algebrica, opere d‟arte, scrittura, schemi… abaci, compassi”) che

appartengono all‟evoluzione storico-culturale della società. Questi strumenti possono essere

“internalizzati” grazie a relazioni di carattere educativo ossia l‟interlocutore meno esperto può

interiorizzare, far propri significati culturali che sono inizialmente attivati dall‟esterno, ma che

successivamente possono operare anche verso se stessi. Si tratta di processi non lineari e di lungo

termine.

Se in accordo con Vygotskij si assumono “le funzioni psichiche superiori”come geneticamente

fondate sull‟interazione sociale allora si postula la possibilità che, almeno in una certa misura, lo

sviluppo possa essere accelerato e/o incrementato. Il contesto interattivo all‟interno del quale questa

implementazione diviene possibile viene definita “area di sviluppo prossimale”. Si tratta di uno

spazio metaforico i cui confini si determinano osservando il problem solving autonomo del

bambino e quello reso possibile dall‟aiuto dell‟adulto o di pari più competenti. In relazione a questo

studio l‟area di sviluppo prossimale si qualifica per il ricorso ad artefatti-strumenti che incorporano

significati matematici, significati che l‟insegnante intende far emergere assegnando compiti

specifici e discutendo insieme agli allievi, in qualità di mediatore culturale, di “voce” del sapere

adulto, le soluzioni che vengono proposte.

1.2. Rabardel: la distinzione fra artefatto e strumento

Rabardel propone una distinzione fra artefatto e strumento: l‟artefatto è l‟oggetto materiale o

simbolico indipendentemente da chi lo utilizza, lo strumento è invece un‟entità duplice costituita

dall‟artefatto e dagli schemi di utilizzazione.

L‟artefatto di per sé non ha alcun valore strumentale, diventa strumento attraverso un processo o

“genesi strumentale” che avviene con la costruzione di schemi di utilizzazione personali e/o, più in

generale, con l‟appropriazione di schemi di utilizzazione socialmente pre-esistenti.

La “genesi strumentale” avviene grazie due processi complementari: strumentazione e

strumentalizzazione:

- I processi di strumentalizzazione relativi all’emergere e allo sviluppo delle

componenti “artefatto” dello strumento. Selezionare, raggruppare, produrre e

istituire le funzioni dell’artefatto, trasformarlo nella struttura, nel funzionamento, ecc

- I processi di strumentazione sono invece relativi all’emergere e allo sviluppo degli

schemi d’uso: la loro costituzione, il loro funzionamento, la loro evoluzione e anche

l’assimilazione di artefatti nuovi a schemi già costituiti,ecc

Ciò che distingue questi due processi è l’orientamento dell’attività: nei processi di

strumentazione essa è orientata verso il soggetto stesso, mentre nei processi di

strumentalizzazione è orientata verso la componente artefatto dello strumento.

(Rabardel, 1997).

Come sottolineano Bartolini e Mariotti (2009), la nozione di strumento proposta da Rabardel

contiene componenti di carattere psicologico che impediscono di considerare neutrale il ricorso ad

uno strumento: si determina sempre una riorganizzazione di strutture cognitive grazie a schemi

d‟uso che hanno nel contempo una dimensione sociale e una dimensione individuale (Rabardel,

1997).

Dal punto di vista metodologico questa distinzione rende possibile analizzare separatamente le

caratteristiche dell‟artefatto culturale; nel caso specifico, di analizzare il suo potenziale semiotico

relativo ai saperi matematici che incarna ed è in base a questa analisi che l‟insegnante decide se e

come introdurre un nuovo artefatto durante la progettazione delle attività di insegnamento-

apprendimento.

1.3. L’interazione con artefatti/strumenti e tre diverse tipologie di segni

Bartolini e Mariotti (2009) distinguono fra tre diverse tipologie di segni che entrano in gioco

durante attività di insegnamento-apprendimento che chiamano in causa artefatti-strumenti: segni

artefatto, segni matematici e segni pivot.

I segni artefatto si riferiscono all‟uso dell‟artefatto, contengono il riferimento a sue parti costitutive

e ad azioni che fisicamente vengono compiute nel corso del suo utilizzo, sono spesso segni ancora

di carattere fortemente soggettivo.

I segni matematici rappresentano significati di carattere disciplinare come condivisi dall‟istituzione

all‟interno della quale gli allievi operano. Si tratta di affermazioni, definizioni, termini che

richiedono di essere spiegati, giustificati. Sono segni che fanno parte dell‟eredità culturale e

costituiscono l‟obiettivo del processo di mediazione semiotica orchestrato dall‟insegnante.

I segni pivot sono rappresentazioni di carattere intermedio, sono un prodotto dell‟integrazione fra

segni dell‟artefatto e segni matematici, sono segni polisemici. Per esemplificare, una espressione

come “fila decina” con riferimento alla quantità delle palline posizionate su un‟unica asta del

pallottoliere è un segno pivot che collega un elemento dell‟artefatto (dieci palline infilate su

un‟asta) con un termine di carattere disciplinare stabilendo una comunicazione, un “ponte” fra

l‟attività degli allievi con l‟artefatto fisico e il sapere matematico che lo strumento incorpora.

Si può affermare che un artefatto diviene “strumento di mediazione semiotica” solo se l‟insegnante

vi ricorre intenzionalmente per mediare significati matematici, solo se progetta attività finalizzate a

questo scopo, se assegna compiti specifici che inducono gli allievi ad una intensa, profonda e

condivisa attività di carattere semiotico. Si tratta di attività in cui interagiscono gesti, disegni,

scritture, parole, inoltre un ruolo cruciale viene assegnato alla “discussione matematica”.

1.4 La “discussione matematica”

La discussione matematica orchestrata dall’insegnante (Bartolini Bussi e al., 1995) viene definita

come:

Una polifonia di voci articolate su un oggetto matematico (significato, problema,

processo, ecc.) che costituisce un motivo dell’attività di insegnamento apprendimento.

(ibd.p.7).

Con il termine motivo si intende l‟insieme degli obiettivi di lungo termine rispetto ai quali gli

obiettivi specifici che caratterizzano le singole attività debbono essere coerenti. Voce è invece

utilizzato nel senso che Bachtin (1968, cit.in Bartolini e al., 1995) attribuisce al termine: il punto di

vista di un soggetto coerente con tutte le sue caratteristiche cognitive, affettive, culturali. Inoltre una

voce è un‟entità duplice: è “interna” se intesa come pensiero, è “esterna” se assume la forma di

discorso e se viene comunicata attraverso sistemi semiotici (linguaggio gestuale, verbale, grafico e

simbolico). La “discussione matematica” è un elemento che caratterizza in modo molto

significativo il “contratto didattico” della classe in cui si è svolta la sperimentazione; l‟insegnante

coinvolge costantemente gli allievi nella negoziazione co-costruzione di significati culturali

proponendo all‟interno di questo contesto interattivo, contesto in cui si tiene conto dell‟area di

sviluppo prossimale degli allievi , la voce del sapere adulto.

2. Gli artefatti –strumenti e il percorso sperimentale

La sperimentazione oggetto di questo studio si caratterizza per il ricorso a quattro “strumenti di

mediazione semiotica”: le mani, la linea dei numeri, il pallottoliere e l‟abaco utilizzati nei processi

di insegnamento-apprendimento e introdotti in questo ordine e nel corso della prima elementare.

Alcuni criteri metodologici di carattere generale contraddistinguono il loro utilizzo:

- consentire agli allievi di esprimere le loro ipotesi rispetto a come ciascuno di questi

strumenti possa correlarsi al conteggio, alla rappresentazione del numero e al calcolo,

- attraverso il confronto delle ipotesi operato durante “discussioni matematiche”, far emergere

schemi d‟uso condivisi;

- proporre la costruzione e/o l‟assemblaggio individuale di ogni strumento (questa scelta ha

permesso un loro uso molto frequente e ha anche assegnato agli artefatti un valore affettivo:

ciascun bambino ha personalizzato i propri strumenti con colori o decorazioni)

- assegnare consegne che sollecitano una ampia e condivisa produzione di segni sia a livello

grafico sia a livello simbolico.

2.1. Le mani

La storia della matematica testimonia come qualora il linguaggio sia ancora molto limitato sono

tecniche digitali e corporee a fornire insiemi modello semplici e sempre disponibili per

rappresentare le operazioni di conteggio (Ifrah, 1983). Tra le testimonianze storiche considerate da

Ifrah e la nostra civiltà alfabetizzata c‟è peraltro una enorme differenza che già di per sé impedisce

di proporre un ingenuo parallelismo tra filogenesi e ontogenesi. Tuttavia il contare con le mani

(indipendentemente dal fatto che il conteggio sia più o meno corretto) è senz‟altro un‟esperienza

significativa e generalizzata per i bambini che accedono alla scuola primaria.1 E‟ valorizzando

questo “sapere” che, fin dai primi giorni di scuola, l‟insegnante in molteplici occasioni invita gli

allievi a contare con le mani, inoltre con l‟intenzione di far emergere la loro “voce” assegna la

seguente consegna: “Disegna le tue mani mentre contano”.

Tutti i bambini scelgono di disegnare le mani tracciandone sul foglio il contorno. Le loro

produzioni, all‟inizio del mese di novembre, mostrano la capacità di correlare in modo

sequenzialmente corretto dita e simboli numerici (Fig.3); il tentativo di descrivere schemi d‟uso: il

movimento è rappresentato da frecce (Fig.4); probabilmente l‟intuizione che il numero cardinale 10

stabilisce i “limiti” dello strumento, interpretando il pensiero dell‟allieva: “con le mani si conta fino

a 10” (Fig.5), la possibilità che diverse distinte quantità numeriche siano prese in considerazione, in

questo caso una mano conta 5 e l‟altra 3 (Fig.6).

Figura 3 Figura 4

Figura 5 Figura 6

In seguito si commentano collettivamente le diverse produzioni e l‟insegnante propone di costruire

uno strumento che serve per contare e calcolare: il “contamani-accarezzatore” (Fig.7)

1 Ricerche attualmente in corso presso l‟Università di Modena e Reggio Emilia, con il coinvolgimento delle studentesse

in Scienze della Formazione primaria, testimoniano, un‟ampia gamma di possibilità per valorizzare, nella scuola

materna, il conteggio con le mani. Ad esempio, a bambini di tre anni è stato chiesto di rappresentare la loro età o il

numero di limitate collezioni di oggetti manipolando un modello di mano in legno comunemente utilizzato nelle scuole

d‟arte. In altri casi, sono state realizzate impronte di mani a rappresentare quantità numeriche.

Figura 7

Il nome viene proposto dai bambini che, affettivamente coinvolti nella realizzazione di un oggetto

che rappresenta le proprie mani, lo personalizzano e ne valorizzano le qualità tattili.

In seguito lo strumento viene utilizzato per contare, eseguire addizioni e sottrazioni e per

individuare e memorizzare i complementari di numeri tra 0 e 10.

Contare utilizzando lo strumento implica di acquisire il seguente schema d‟uso:

1. il contamini va “azzerato” ossia tutte le dita di carta devono essere abbassate,

2. successivamente, va coordinata la filastrocca numerica da 1 fino a 10 con il sollevamento

delle dita

Si tratta di una attività solo apparentemente banale: ci sono sempre, in prima, alcuni bambini,

generalmente i più “deboli”, che non hanno ancora memorizzato la sequenza numerica e/o che

necessitano di esercizio rispetto all‟ operazione di coordinamento descritta al punto 2. Inoltre,

conseguito questo primo livello di padronanza, l‟insegnante può coinvolgere gli allievi nella

memorizzazione della numerazione regressiva: in questo caso le 10 dita vanno prima sollevate e, in

seguito, progressivamente abbassate fino a rappresentare il numero 0. Per gli allievi “scoprire” che

0 conclude tale conteggio, complice il fascino che esercita sui bambini il “conteggio alla rovescia”,

è di notevole rilevanza perché permette di far emergere uno dei significati che lo strumento

incorpora: lo “zero” è un numero, il numero che rappresenta la quantità nulla. L‟idea che “0” sia un

numero che “conta” è di notevole complessità. E‟ evidente che, con riferimento all‟attività descritta,

si tratta solo di un primo possibile “incontro” col numero “0”. Per i bambini, zero è “quel numero

che conta tutte le dita abbassate” o “le mani a pugno”, si tratta di una conoscenza fortemente legata

al gesto e al corpo, ad uno specifico contesto di esperienza. Tuttavia, tale conoscenza segna l‟inizio

di un percorso di lungo termine verso la conquista dei complessi significati matematici dello zero

(Ci si limita a citare oltre a quello già esplicitato di zero come numero naturale, anche il ruolo che il

simbolo 0 svolge nella scrittura del numero ossia come simbolo che segnala le posizioni “vuote”).

Un‟altra interessante scoperta, scoperta dal punto di vista dei bambini, che l‟insegnante può indurre

è quella che non è necessario seguire una sequenza fissa durante il sollevamento o l‟abbassamento

delle dita, affinché il conteggio sia corretto. In questa classe l‟insegnante ha messo a confronto

diverse modalità di conteggio che i bambini hanno prodotto e, attraverso la discussione, si è

convenuto sul fatto che non esiste il dito numero “1” o quello numero “2” , ma che ciò che deve

essere considerato è solo la “giusta” quantità di dita che si vogliono contare. L‟intenzione

dell‟insegnante è quella di far evolvere il senso del numero degli allievi: per molti bambini, in

prima, il numero è ancora un attributo di uno specifico oggetto al pari del colore o della forma e

l‟insegnante attraverso la discussione ha messo a confronto diversi schemi d‟uso per generare un

conflitto che inizia a mettere in discussione questa”ingenua” convinzione. In seguito gli allievi

hanno esplorato diverse modalità di rappresentazione di un certo numero conteggiato con lo

strumento anche disegnandole (Figura 8)

Figura 8

Il calcolo di addizioni e sottrazioni richiede schemi d‟uso più complessi. Per esemplificare,

l‟esecuzione della seguente addizione: 3+4=, implica:

- un azzeramento dello strumento

- il sollevamento di 3 dita contando da 1 a 3

- il sollevamento di 4 dita contando da 1 a 4

- il conteggio di tutte le dita precedentemente sollevate

Nel caso della sottrazione, ad esempio 10-4=:

- un azzeramento dello strumento

- il sollevamento di 10 dita contando da 1 a 10

- l‟abbassamento di 4 dita contando da 1 a 4

- il conteggio delle 6 dita rimaste sollevate.

Questi almeno sono gli schemi più semplici. Ricorrendo all‟uso frequente dello strumento

l‟insegnante negozia con i bambini schemi d‟uso progressivamente più “economici”. Ad esempio,

si possono conteggiare per subitizing (ossia correlando un numero cardinale ad una limitata

collezione di oggetti senza contarli uno ad uno) un numero limitato di dita. Oppure , sempre a

titolo esemplificativo, per eseguire 10-7= si possono direttamente sollevare tutte le dita del

contamini, sapendo che 10 è il numero maggiore che lo strumento può rappresentare, in seguito si

possono abbassare contemporaneamente le 5 dita di una mano, poi un sesto e un settimo dito

dell‟altra.

L‟insegnante ha cura di proporre frequentemente calcoli che chiamano in causa il numero zero per

far sperimentare che gli operatori +0 e -0 implicano, interagendo con l‟artefatto fisico, l‟assenza

rispettivamente di “sollevamento” o “ abbassamento” delle dita; ciò permette agli allievi un primo

accesso al significato di “0” come elemento neutro nell‟addizione e nella sottrazione.

Un ulteriore significato matematico che può cominciare ad emergere è quello dell‟addizione e della

sottrazione come operazioni inverse: sollevare ed abbassare le dita sono azioni “contrarie”,

“opposte” che fisicamente i bambini compiono interagendo con l‟artefatto e ciò può indurre prime

riflessioni relative alla relazione di complementarietà fra due numeri. Ad esempio, se sollevando 3

dita e in seguito 4 si può conoscere il risultato di 3+4 cioè 7, allora se si hanno 7 dita alzate e se ne

tolgono 3 abbassandole si ottiene 4; viceversa se ne vengono abbassate 4 ne restano 3 sollevate. Si

tratta, in questa fase, di considerazioni ancora fortemente legate all‟interazione fisica con lo

strumento, tuttavia la cura che l‟insegnante dedica alla verbalizzazione di quanto viene osservato

crea un collegamento, seppure ad un livello iniziale, tra schemi d‟uso e sapere matematico.

Figura 9 Figura 10

Nel corso della classe prima le mani vengono anche spesso rappresentate sul quaderno mentre

svolgono la funzione di calcolare addizioni e, come documentato in Figura 9, alle mani si

affiancano anche altre rappresentazioni sia di tipo grafico-analogico sia di tipo simbolico. Nel caso

della sottrazione (Fig.10) occorre introdurre una nuova convenzione: una crocetta a segnalare le dita

che, applicando schemi d‟uso al “contamani” vengono abbassate, ma che graficamente vengono

“tolte” tante volte quante ne indica il sottraendo. E‟ utile sottolineare che tutti i segni che

compaiono nelle immagini non vengono proposti dall‟insegnante, ma negoziati con gli allievi

mettendo a confronto diverse proposte.

Verso la fine della prima elementare,come mostra la Figura 11, due mani disegnate vengono

circondate da una linea chiusa per evidenziare tanto il raggruppamento in base dieci quanto la parte

della parola-numero che lo rappresenta.

Figura 11

Si tratta di una “istituzionalizzazione”2 di quanto emerso durante una discussione matematica volta

ad evidenziare le differenze tra parola-numero e scrittura in cifre del numero.

L‟insegnante è consapevole che il suffisso “dici” (nelle parole numero da undici a sedici) e

l‟assenza di indicazione verbale quando le unità corrispondono a zero sono ostacoli che si devono

affrontare nella costruzione del significato di decina. Più precisamente ciò che nella scrittura in

cifre deve essere collocato a sinistra e, dunque, viene scritto “prima” viene pronunciato e scritto

“dopo” in alcune parole-numero. Gli studi sulla discalculia mettono bene in evidenza questo

problema in termini di transcodifica, cioè di passaggio dal linguaggio orale a quello scritto (per

approfondimento, Biancardi ed al., 2009). Si vuole rendere consapevoli gli allievi di questa

differenza e del fatto che non viene “detto” che le unità sono “0”. E‟ una riflessione complessa per

bambini di prima elementare, tuttavia è solo il “germe” di ciò che a lungo termine può diventare la

consapevole distinzione tra numero, parola-numero e numerali scritti in cifre eventualmente con

riferimento a diversi possibili sistemi di notazione.

In classe seconda, il “contamani” acquista nuove funzioni, diventa più “potente” in quanto si

negozia insieme agli allievi la possibilità che ogni dito possa rappresentare una decina (Figg 12 e

13) in modo da poter operare all‟interno del campo numerico dei naturali da 0 a 100.

Figura 12 Figura 13

Questa nuova possibilità non esclude le funzioni precedentemente assegnate allo strumento, ma le

integra.

2.2 La linea dei numeri

La linea dei numeri naturali è un strumento grafico-simbolico di carattere analogico. Si tratta di una

semiretta orientata con origine “0” , nella quale ogni segmento delimitato da due tacche rappresenta

l‟unità. Lo strumento promuove eminentemente un approccio di tipo ordinale-ricorsivo al numero e

può far emergere l‟idea che l‟insieme dei naturali è infinito attraverso la considerazione della

continua possibile reiterazione dell‟operatore +1.

Anche in questo caso l‟insegnante decide di introdurre l‟artefatto dando voce alle ipotesi degli

allievi e assegna la seguente consegna : “Disegna la linea dei numeri”. Dai protocolli emergono 6

2 “Le situazioni di istituzionalizzazione hanno lo scopo di stabilire e dare uno status ufficiale a conoscenze apparse

durante l’attività in aula . Normalmente hanno relazione con conoscenze, simboli, eccetera, che si devono ritenere in

vista della loro utilizzazione in un lavoro successivo” (G. Brousseau cit. in B. D‟Amore, 1999)

tipologie (Fig.14), ma molte altre sono possibili comprese sequenze di simboli numerici e lettere

come riscontrato in altre classi.

Figura 14

Le scheda viene consegnata ad ogni allievo, i personaggi che compaiono sono i protagonisti di

narrazioni del testo di lettura che gli allievi utilizzano. L‟insegnante dichiara che anche questi amici

hanno disegnato linee dei numeri e chiede ai bambini di osservare se compare una linea simile alla

loro e di confrontarla con le altre.

Si consideri il seguente stralcio che riporta alcuni interventi che caratterizzano i momenti conclusivi

della discussione:

76. Basma: Uffa ha sbagliato…c’è cinque cinque e poi uno non va lì

77. Alessia V.: Forse Uffa non lo sa perché è un cane

78.INS: Cosa non sa Uffa?

78. Marco M: Uffa non sa che i numeri ci sono solo una volta e poi non vanno così

79. Soufian: I numeri sono 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,15 e tanti altri

80. Ergi: No c’è anche zero, bisogna mettere prima 0

81. Giulia M.: Sì bisogna cominciare con 0 e poi mettere 1,2,3,4,5, 6 …come nella

riga in alto

82. INS: Se ho capito bene state dicendo che i numeri sulla linea devono seguire un

ordine e in questo ordine uno stesso numero non si ripete mai. Avete anche detto che

il primo numero che leggiamo sulla linea è 0 seguito da tanti gli altri numeri. Omar

(il secondo personaggio sulla scheda) ha scritto la parola “continuano” cosa avrà

pensato?

Si evidenziano alcune possibili strategie comunicative che caratterizzano la discussione matematica.

Nell‟intervento “78” l‟insegnante chiede di esplicitare perché una delle ipotesi viene considerata

errata: è importante che i bambini si abituino a giustificare le proprie affermazioni. Nell‟intervento

“82” l‟insegnante parafrasa le precedenti affermazioni di alcuni allievi proponendo gli stessi

contenuti con terminologie più congruenti rispetto al sapere adulto: introduce il termine “ordine”,

esplicita che “0” è un numero; inoltre “rilancia” la discussione orientando l‟attenzione degli allievi

sulla parola “continuano” che compare su uno dei protocolli: l‟intenzione è quella di sollecitare una

riflessione sulla possibile reiterazione infinita dell‟operatore +1. Al termine della discussione viene

“istituzionalizzato” quanto emerso scrivendo sui quaderni quanto segue:

Abbiamo capito che sulla linea dei numeri i numeri sono in fila. I numeri sono

ordinati, si inizia da 0 e si va avanti sempre di 1. La linea dei numeri è infinita.

Sulla linea dei numeri uno stesso numero non si ripete mai.

In seguito la classe viene coinvolta nella realizzazione, a terra di una linea dei numeri da “0” a

“15” e nella costruzione di una linea dei numeri come la seguente (Fig.15).

Figura 15

Durante la realizzazione delle due linee si considera la necessità di lasciare sempre la stessa

distanza tra una tacca e l‟altra perché ciò che si conta “andando avanti” è sempre un passo, è

sempre uno che si aggiunge. La linea in Figura 12 contiene una “finestra” che può essere spostata

verso destra o verso sinistra e che copre il precedente e il successivo di ogni numero: si vuole

sollecitare nei bambini la memorizzazione della sequenza numerica sia in senso progressivo, sia

regressivo. La metafora “andare avanti” fa riferimento all‟azione corporea del camminare

contando un numero sempre maggiore di passi ed al significato di numerazione progressiva,

viceversa “andare indietro” al significato di numerazione regressiva. Con lo strumento cartaceo la

riflessione condivisa è che si conta in avanti spostandosi verso destra e all‟indietro spostandosi

verso sinistra. In questo secondo caso le metafore spaziali fanno riferimento al gesto dell‟indicare

traiettorie tra una tacca e l‟altra. La teoria dell “embodied cognition”di Lakoff e Núñez3, nelle

metafore che fanno riferimento ad esperienze di carattere senso-motorio, individua la genesi dei

processi che consentono la concettualizzazione dei significati matematici. Per esemplificare le

metafore del “camminare avanti” e del “camminare indietro” sulla linea dei numeri possono,grazie

a processi inferenziali, consentire l‟accesso alla nozione di operazioni inverse. Si tratta di una

prospettiva teorica che enfatizza l‟importanza della interazione fisica con gli artefatti e la sua

rappresentazione attraverso metafore legate all‟azione corporea.

Così come le mani anche la linea dei numeri subisce “trasformazioni” in correlazione

all‟ampliamento del campo numerico: dopo poche settimane di scuola la “valigetta aritmetica”

(una busta trasparente che contiene gli strumenti di ciascun bambino), oltre alle mani e alla linea

mostrata in Figura 12 si arricchisce anche di una linea fino a 20 ( Figura 15). Verso la fine

dell‟anno anche una linea fino a 50 viene inserita tra gli artefatti della “valigetta”

Figura 15

Si sceglie di conservare, all‟interno della valigetta, tutti gli artefatti come testimonianza delle

riflessioni e delle attività che hanno caratterizzato il ricorso a ciascuno di essi: frequentemente

anche i “vecchi” artefatti vengono chiamati in causa dall‟insegnante per ricordare quanto si è

compreso in passato. L‟intenzione è quella di rendere consapevoli i bambini delle fasi che hanno

caratterizzato i loro processi di apprendimento e, nel contempo, della storia culturale che la classe

condivide.

3 NOTA DA INSERIRE

La rappresentazione grafica della linea sui quaderni comporta la necessità di negoziare segni e

simboli; più in particolare frecce per rappresentare gli spostamenti da una tacca all‟altra e segni

matematici per rappresentare gli operatori. (Fig.16).

Figura 16

In classe seconda la linea dei numeri è stata ampiamente utilizzata per introdurre la moltiplicazione

secondo un approccio di tipo ricorsivo, come iterazione dell‟addizione. Utilizzando la linea dei

numeri è emerso che 0 è l‟elemento annullante della moltiplicazione: iterare 0 volte un qualsiasi

numero significa non eseguire alcuno spostamento, si resta fermi sulla tacca 0, non si compie

nessun “salto”; 1, invece, è elemento neutro della moltiplicazione poiché un unico salto “porta” al

numero che si intende iterare.

Calcolare moltiplicazioni con la linea dei numeri (ma anche divisioni intese come sottrazioni

ripetute) richiede procedure più complesse rispetto a quanto non avviene eseguendo addizioni e

sottrazioni.

Per esemplificare, se si esegue il calcolo 2x7 camminando sulla linea dei numeri il bambino esegue

singoli passi contando fino a 2 e con la mano deve tener conto di aver eseguito un primo salto, in

seguito deve reiterare questa procedura altre 6 volte: in sostanza le dita della mano tengono il conto

dei “salti” che devono essere compiuti. Se lo stesso calcolo viene rappresentato a livello grafico si

può negoziare con gli allievi una rappresentazione di questo tipo (Fig.17):

Figura 17

In questo caso ogni volta che si contano due frecce che rappresentano ciascuna l‟operatore +1, un

“passo-unità” (segno pivot che in seconda appartiene alla cultura della classe), occorre fermarsi e

segnare il “salto” (in questo caso +2), la procedura va iterata tante volte quante ne indica

l‟operatore.

La rappresentazione grafica delle tabelline sulla linea dei numeri ha consentito molteplici

riflessioni, ad esempio (Figg.18 e 19):

- che i multipli dei numeri pari sono sempre pari

- che i multipli dei numeri dispari si alternano, sulla linea, tra pari e dispari

- che ci sono multipli comuni a 2 o più numeri

Figura 18

Abbiamo notato che i multipli di 2 e di 3 sono anche multipli di 6. Figura 19

Inoltre sono state identificate alcune strategie di calcolo che possono sostenere la memorizzazione

di alcuni prodotti ad esempio (Fig.20) è possibile moltiplicare per 9 moltiplicando per 10 e

sottraendo dal prodotto ottenuto il moltiplicando: nx9 = nx10-n.

Figura20

Si è condivisa con gli allievi la seguente riflessione: se moltiplicare per 10 significa eseguire 10

salti sulla linea dei numeri del valore del moltiplicando, ad esempio, eseguire 5x10 significa

eseguire 10 “salti” da 5 allora moltiplicare per 9 significa eseguire un salto in meno rispetto a

quanto avviene moltiplicando per 10. Se questo è vero per moltiplicare per 9 si può prima

moltiplicare per 10 e, in seguito, dal prodotto ottenuto sottrarre il moltiplicando per “eliminare” il

salto “in più”

Ad esempio, 4x9 si può calcolare nel seguente modo:

- 4x10 = 40

- 40-4= 36

Inoltre, sempre pensando all‟esempio, per calcolare velocemente la sottrazione si può:

- decomporre una decina per togliere 4 unità, in questo modo restano 3 decine

- conoscendo i complementari del 10, si sa che 6 sono le unità che rimangono togliendo 4

dalla decina decomposta

- infine bisogna comporre le 3 decine e le 6 unità rimaste.

In sintesi la procedura condivisa con gli allievi è la seguente: nx9 = (nx10 -10) + (10- 4)

Questa strategia è un esempio del valore epistemologico che possono acquisire le tecniche: la sua

applicazione chiama in causa la comprensione della moltiplicazione come iterazione

dell‟addizione, il significato di decomposizione della decina necessario qualora si esegua una

sottrazione che prevede un cambio e, nel contempo, il ricorso all‟automatismo relativo alla

memorizzazione dei complementari del 10.

2.3 Il pallottoliere

Il pallottoliere o “abaco slavo” prevede l‟inserimento di gettoni a gruppi di dieci in asticelle

parallele osservate orizzontalmente, ogni gettone rappresenta una unità mentre dieci gettoni lungo

un‟asta incarnano l‟idea di raggruppamento in base dieci.

Il pallottoliere viene introdotto dall‟insegnante, oltre che per l‟idea di raggruppamento in base

dieci:

- per consolidare capacità di conteggio relative a principi individuati da Gelmann e

Gallistel4;

- per sollecitare processi di subitizing (correlare un numero cardinale ad una limitata

collezione di oggetti senza contarli uno ad uno);

- per promuovere la conquista di strategie di calcolo.

Un pallottoliere viene presentato a febbraio della prima, coinvolgendo gli allievi nel suo

assemblaggio. Ad ogni bambino, dichiarando che si vuole costruire uno strumento che aiuti a

contare e calcolare, vengono consegnate due aste (bastoncini per spiedini), due basi in legno

ciascuna con due fori e venti gettoni (pasta forata). Si confrontano varie ipotesi e si concorda

sull‟opportunità di posizionare dieci gettoni su ciascuna asta e di conservare la loro lunghezza,

giudicata “eccessiva” rispetto allo spazio occupato dai gettoni infilati, per permettere di separare

gli elementi contati dagli altri. L‟intenzione è quella di promuovere già in questa fase “processi di

strumentazione” (cfr. paragrafo1.2)

L‟artefatto viene personalizzato: ciascun bambino colora a suo piacimento le aste e le basi e vi

scrive il proprio nome. Il pallottoliere viene utilizzato per eseguire addizioni e sottrazioni e

attraverso la “discussione matematica” emerge l‟economicità di schemi d‟uso che considerano la

possibilità di spostare direttamente la “fila-decina” qualora si voglia posizionare sullo strumento i

numeri da 10 a 19 oppure direttamente due “file-decina” se si deve considerare il numero 20.

Il “numero” a sinistra come affermano i bambini ossia la “cifra” a sinistra, come rispecchia

parafrasando l‟insegnante, “conta” le “file decina” e viene negoziato di rappresentare questa

importante scoperta sui quaderni come mostrato nella seguente figura (Fig..21)

La cifra 1 che sta a sinistra conta la fila-decina

che abbiamo circondato con una linea chiusa.

La cifra 4 che sta destra conta le unità. Figura 21

4 Gelman e Gallistel propongono un modello del processo del contare basato si cinque principi, sinteticamente:

- Il principio di iniettività: stabilire una corrispondenza biunivoca tra una serie di oggetti e segni distinti (etichette) in

modo tale che la stessa etichetta non venga mai ripetuta e che si tenga costantemente conto della ripartizione tra gli

oggetti etichettati e quelli da etichettare. Di fatto questo principio viene rispettato se si è in grado di coordinare due

processi: etichettamento e ripartizione.

- Il principio dell’ordine stabile: ricorrere ad etichette ordinate e scelte sempre nello stesso ordine, in altri termini

utilizzare una sequenza ripetibile.

- Il principio di cardinalità: assegnare all‟etichetta che conclude il conteggio un significato speciale in quanto

rappresenta una proprietà dell‟intero insieme; proprietà ufficialmente definita numero cardinale.

- Il principio di astrazione: saper applicare i precedenti principi a tutti gli schieramenti o collezioni di entità.

- Il principio di irrilevanza dell’ordine: essere consapevoli che l‟ordine seguito durante il conteggio di oggetti non

incide sull‟esito finale del conteggio

L‟uso frequente di questo strumento consente di sperimentare strategie di calcolo ad esempio,

dopo un significativo numero di attività, gli allievi sperimentano che si può calcolare 20-17

seguendo il seguente “economico”(in quanto prevede due soli spostamenti di gettoni) schema

d‟uso:

- considerare le due “file decina” sul pallottoliere,

Figura 21

- spostare una “fila decina” per toglierla,

Figura 22

- lasciare sull‟asta l‟ “amico” del 7 cioè 3 (“amico” sta per complementare rispetto a 10) e

“scoprire” che il risultato è 3, ossia 7 viene “tolto” spostando ma non contando ad uno ad

uno 7 gettoni, sono contati per subitizing i 3 gettoni che restano, il complementare del 10

che coincide con il risultato della sottrazione considerata.

Figura 23

Solo due spostamenti sono compiuti sull‟artefatto, ma l‟applicazione di questo schema implica che

numeri di due cifre siano considerati distinguendo fra decina e unità e che sia acquisita la

memorizzazione di coppie di numeri complementari rispetto a 10. Occorre inoltre saper contare

per subitizing, si tratta di una capacità che coinvolge aspetti percettivi, ma anche concettuali

poiché se il numero continua ad essere per il bambino un attributo degli oggetti allora permane la

necessità di contare ad uno ad uno i gettoni.

Schemi d‟uso economici, ma complessi come quelli descritti sono in effetti conquiste alle quali i

bambini accedono in tempi diversi. In prima, un significativo numero di allievi ha necessità di

contare per lungo tempo i gettoni ad uno ad uno, lo strumento consente in ogni caso di eseguire

correttamente il calcolo e, nel contempo, di esercitarsi nel conteggio. I bambini che hanno un

“senso” del numero meno evoluto sono però coinvolti, grazie alla iterazione delle attività e nel

corso di tempi lunghi, nelle riflessioni dei compagni più esperti. L‟insegnante non trascura mai di

associare il ricorso allo strumento con il confronto di schemi d‟uso, permettendo che nel tempo tali

schemi diventino patrimonio condiviso insieme ai significati matematici ai quali fanno riferimento.

In generale si può affermare che, in una prima fase, tutte le strategie di calcolo sono fortemente

legate alla manipolazione fisica dello strumento, ma progressivamente sono i bambini stessi a

distaccarsene e non è raro osservare come, durante il calcolo, mimino gesti con riferimento ad uno

artefatto solo immaginato: si ipotizza che tali gesti siano indicatori di processi di

“internalizzazione” in atto.

L‟abbinamento di più pallottolieri, durante attività in coppia o a piccolo gruppo permette di

operare ampliando il campo numerico e, come per la linea dei numeri, anche il pallottoliere e il suo

utilizzo viene rappresentato graficamente e associato a rappresentazioni di tipo analogico che i

quadretti sul quaderno consentono: la “stanghetta-decina”, anziché la meno economica

rappresentazione delle “file-decine” del pallottoliere e il quadretto-unità (Figura 24)

Figura 24

La cultura della classe si arricchisce in questo modo di una nuova rappresentazione di tipo

analogico che viene utilizza per esercizi come il seguente (Figura 25).

Figura 25

2.4 L’abaco

A marzo, in prima elementare, è stato introdotto l‟abaco verticale chiamato a svolgere un ruolo

cruciale nella costruzione del significato di notazione posizionale. L‟insegnante segue criteri

analoghi a quelli scelti per presentare il pallottoliere. L‟unico assemblaggio possibile cioè infilare

le due aste in posizione verticale (Fig. 26) ha generato un conflitto: i bambini si sono chiesti come

mai questo nuovo strumento si può osservare solo con le aste in posizione verticale e come mai le

palline possono essere infilate e sfilate. E‟ stata valorizzata l‟idea che lo strumento possa servire a

calcolare addizioni: su ogni asta viene rappresentato uno di due addendi e, in seguito, si conteggia

il risultato. L‟insegnante parafrasa questa ipotesi prodotta da alcuni allievi affermando che in

questo caso uno dei numeri che si vuole addizionare sarebbe rappresentato a sinistra e l‟altro a

destra. L‟intenzione è quella di orientare l‟attenzione degli allievi sulla “particolare” posizione

delle aste dell‟abaco verticale, i bambini conoscono numeri di due cifre e già appartiene alla

cultura della classe l‟idea che la cifra a sinistra “conta” le decine e quella a destra le unità. Tuttavia

l‟ “opacità” dello strumento, alla quale Meira fa riferimento, trova conferma nel fatto che non

venga ipotizzato spontaneamente che possa esserci una relazione tra posizione delle aste e il

valore delle cifre che compaiono nella scrittura del numero. Per i bambini è più immediato

ipotizzare che in ogni asta possano essere rappresentate quantità numeriche assegnando ad ogni

gettone valore 1 come peraltro avviene nel pallottoliere. Citare la destra e la sinistra può evocare la

scrittura del numero ponendola in relazione con il nuovo artefatto senza tuttavia che sia

l‟insegnante a proporre l‟ipotesi corretta. Alcuni allievi, tra i più competenti, hanno, in questo caso,

accolto la provocazione dell‟insegnante e, conseguentemente, hanno proposto alla classe l‟ipotesi

corretta ossia “l‟asta a sinistra “conta” le decine e l‟asta a destra “conta” le unità5.

La discussione si conclude concordando sull‟utilità di scrivere sulla base dell‟abaco “da” in

corrispondenza dell‟asta sinistra e “u” di quella a destra (Fig. 26 )

Figura 26

Intenzionalmente in questo abaco:

- le stanghette possono contenere un numero maggiore di 10 elementi. L‟insegnante vuole

che i bambini conteggino ogni volta dieci unità prima di cambiarle con un elemento di

valore dieci volte superiore da posizionare convenzionalmente a sinistra rispetto alle unità,

applicando la regola del cambio. L‟insegnante vuole che sia dedicata attenzione alla

“regola” anziché affidarsi ai vincoli fisici di un abaco che impedisce di inserire la decima

pallina e che tale “regola” sia associata al gesto di impugnare dieci palline e sfilarle per poi

“cambiarle” con una “pallina decina”6

- gli elementi che vengono infilati non sono colorati come avviene per sussidi didattici

comunemente utilizzati nelle scuole: si vuole evitare l‟equivoco che sia il colore e non la

posizione ad indicare il valore delle cifre.

Inoltre, disporre di un “abaco personale” consente di utilizzarlo frequentemente in esercitazioni di

carattere individuale per consolidare schemi d‟uso ed eventualmente identificarne altri più

“economici”. Ad esempio, si può scomporre un numero e rappresentarlo infilando direttamente

“palline-decina” e “palline-unità”.

5 Nel caso ciò non fosse avvenuto l‟insegnante avrebbe potuto assegnare una nuova consegna, ad esempio come

“mostrare” un numero di due cifre utilizzando l‟abaco. In questo caso sarebbe opportuno scegliere un numero non

compatibile con l‟inserimento di gettoni conteggiati uno ad uno inseriti nelle aste (ad esempio 56) poiché qualora i

bambini tentassero di inserire il numero di gettoni voluto assegnando ad ogni gettone valore uno l‟artefatto invierebbe

un feedback negativo. L‟impossibilità di inserire, ad esempio 56 gettoni, potrebbe orientare alcuni allievi verso la

possibilità di scomporre il numero di due cifre in decine e unità e a rappresentare sull‟asta a sinistra le decine

(inserendo gettoni che acquistano valore dieci) e a destra “gettoni-unità” che è quanto si vuole far emergere. 6 La scelta operata non è l‟unica possibile. In molte altre sperimentazioni si è scelto di utilizzare abaci che possono

contenere in ogni asta un numero massimo di 9 gettoni. In questo caso l‟artefatto propone un vincolo che rimanda alla

necessità di operare composizioni qualora si arrivi a conteggiare dieci gettoni lungo un‟asta. In altri termini

l‟interazione con l‟artefatto fisico propone un feedback (su ogni asta non possono essere contenute più di 9 gettoni) che

l‟insegnante può valorizzare. Attraverso la “discussione matematica” può essere inizialmente negoziata la nozione di

decina correlata alla sua rappresentazione simbolica nei numeri scritti e, nel lungo termine, il significato di valore

posizionale delle cifre nella scrittura decimale.

Inizialmente lo strumento è stato utilizzato per rappresentare numeri maggiori di 10 seguendo la

seguente procedura: si inseriscono le palline sull‟asta a destra rispettando una corrispondenza uno a

uno, successivamente si applica la regola del cambio cioè 10 palline vengono tolte e viene inserita

una “pallina decina” sull‟asta a sinistra. La procedura è stata in seguito rappresentata sui quaderni

nel modo seguente (Figura 27).

Figura 27

Con riferimento a quanto osservato da Rotman (1993), ciò che nell‟interazione con l‟abaco fisico

viene realizzato nel tempo, nello spazio grafico diventa rappresentazione simultanea7 Ciò avviene

grazie al ricorso ad una serie di elementi di carattere convenzionale che la classe individua nel corso

di una discussione matematica:

- la “crocetta” che cancella le palline sfilate,

- la freccia e la parola “cambio” ad evocare sia spostamenti nello spazio realizzati durante

l‟interazione con l‟abaco fisico, sia la “trasformazione” di valore della pallina qualora venga

inserita nell‟asta delle decine

- i segni matematici “da” (decina) e “u” (unità) che compaiono alla base dell‟abaco grafico e

- i numeri rappresentati in cifre e in parola.

Inoltre sul foglio la“pallina-decina” convive con una rappresentazione del suo valore: le dieci

palline circondate da una linea chiusa che restano visibili sull‟asta dell‟unità nonostante siano

“tolte” dalla crocetta. In sintesi, nel rendere simultaneo ciò che nell‟interazione con l‟abaco fisico è

temporale, la rappresentazione grafica sollecita il ricorso a segni di tipo convenzionale e

contemporaneamente contiene elementi di carattere visivo che evocano in modo forte l‟interazione

con l‟abaco fisico, in particolare l‟azione di raggruppare dieci elementi.

Ad ottobre, in seconda elementare, si riprende e si consolida l‟uso dello strumento introdotto in

prima elementare. Nell‟immagine che segue (Fig.28) è interessante notare il refuso contenuto nel

titolo: “rappresentiamo” al posto di “rappresentare” poiché testimonia il carattere fortemente

condiviso della conoscenza oggetto di formalizzazione grafica.

7 Afferma Rotman (1993, cit in Betti e Canalini, 2001):“ passare dall’abaco (ma anche da qualsiasi altro artefatto) al

foglio significa spostarsi da un medium gestuale ( nel quale i movimenti sono dati in modo ostensivo e temporaneo in

relazione ad un apparato esterno) a un medium grafico (nel quale i segni permanenti, che hanno la loro origine in

questi movimenti, sono soggetti ad una sintassi data indipendentemente da ogni interpretazione fisica”

Figura 28 Sempre all‟inizio della seconda i bambini formalizzano sul quaderno una esercitazione con l‟abaco

fisico proposta all‟intera classe (Fig.29): le parole nel fumetto sono le consegne assegnate

dall‟insegnante e abaci grafici e tabelle convivono nel rappresentare i numeri che man mano si

ottengono interagendo con lo strumento fisico. Nell‟immagine compaiono anche linee chiuse a

contenere elementi raggruppati in base dieci. Sempre interagendo con lo strumento fisico, i bambini

eseguono esercizi di composizione del numero (Figura 30) che, all‟inizio di una classe seconda,

sarebbero senza dubbio troppo complessi se non si usasse l‟abaco. Si può affermare che l‟abaco

consente un‟attività che si colloca in un‟ area di sviluppo prossimale, cioè rende possibile eseguire

un compito prima che si posseggano tutte le competenze necessarie per farlo in maniera

completamente autonoma .

Figura 29 Figura 30

Successivamente, lo strumento viene utilizzato per introdurre l‟esecuzione di addizioni e sottrazioni

anche con il cambio.

Nelle seguenti immagini in sequenza (Figure 31, 32 e 33) convivono una descrizione grafica della

procedura adottata per eseguire con l‟abaco un‟addizione che richiede il cambio e i segni

matematici di una operazione in colonna.

Figura 31

Figura 32

Figura 33

Con uno stesso colore (ogni bambino lo sceglie a suo piacimento) vengono contrassegnati: la linea

chiusa (Fig. 33) che contiene sull‟abaco grafico il raggruppamento in base dieci,il termine “decina”,

la marca “da” e la cifra della decina che deve essere “portata” a sinistra. In modo simile vengono

rappresentate le sottrazioni con il prestito.

L‟abaco verticale “suggerisce” l‟incolonnamento dei numeri e consente di comprendere il

significato di composizione e decomposizione della decina. Per molto tempo gli allievi eseguono

addizioni e sottrazioni sia con lo strumento sia disegnando sul quaderno l‟abaco grafico abbinato al

calcolo in colonna (Figure 34 e 35). Sono i bambini stessi, in tempi diversi, a chiedere di distaccarsi

da questo tipo di rappresentazione e, generalmente, ciò avviene quando la comprensione della

tecnica porta a percepire come inutile sforzo aggiuntivo la rappresentazione del calcolo sull‟abaco

grafico.

Figura 34 Figura 35

3. La parola ai bambini

A fine maggio, in seconda classe l‟insegnante assegna agli allievi la seguente consegna:

L’anno prossimo saremo in terza, alcuni strumenti matematici che abbiamo

realizzato, soprattutto quelli costruiti in prima, li useremo sempre più

raramente. Cerca di ricordare quale strumento ti ha aiutato di più a

conoscere il mondo dei numeri e le sue regole, soprattutto quelle più difficili.

Spiega bene i motivi della tua scelta. Se vuoi puoi anche parlare di più

strumenti mettendoli a confronto. Certo è bello pensare che questi oggetti

possano aiutare anche i futuri bambini di prima elementare!

Scegli lo strumento che preferisci e immagina di regalarlo ad un bambino di

prima: vuoi fargli capire di cosa si tratta e a cosa serve quello “strano”

oggetto che sta osservando. Scrivi cosa gli diresti e per aiutarlo a capire,

utilizza disegni, schizzi, segni ed esempi che mostrino come si può usare lo

strumento.

L‟intenzione è quella di far riflettere gli allievi sul ruolo che la “valigetta aritmetica” ha svolto

nella costruzione delle loro conoscenze aritmetiche. E‟ una attività di carattere metacognitivo che

si è cercato di proporre in una forma comprensibile per allievi ancora molto giovani:

- l‟insegnante invita a ricordare;

- inserisce un ipotetico interlocutore: un bambino di prima che non sa nulla dei “nostri”

strumenti allo scopo di sollecitare la produzione di spiegazioni esaurienti e, nel contempo,

di motivare l‟attività da un punto di vista psicologico;

- comunica che in futuro si avrà sempre meno necessità di ricorrere agli strumenti, ma,

contemporaneamente, sottolinea quanto siano importanti rispetto alla comprensione del

“mondo dei numeri” tanto importanti da meritare una riflessione.

I bambini accolgono la richiesta senza particolari difficoltà perché il “contratto didattico”

contempla fin dai primi giorni di scuola il coinvolgimento della classe nella costante esplicitazione

delle motivazioni relative ai compiti assegnati. La maggior parte dei bambini sceglie di parlare

dell‟abaco, lo strumento che, in effetti, più di altri, li ha sostenuti nella comprensione delle “regole

più difficili” quelle relative alla notazione posizionale e alle tecniche di calcolo ad essa connesse.

Nei protocolli, in qualche caso, sono presenti anche domande che l‟insegnante propone agli allievi

nel corso dell‟attività. Il “dialogo scritto” è una metodologia che appartiene al contratto didattico.

L‟insegnante qualora chieda alla classe, come in questo caso, la stesura di un testo, se chiamata in

causa o se vede bambini che non procedono nell‟esecuzione della consegna, interviene leggendo

quanto è stato prodotto e propone domande che possono sostenere gli allievi nella prosecuzione

della loro riflessione. In qualche caso, soprattutto con allievi più in difficoltà, l‟insegnante trascrive

le risposte orali degli allievi e li invita, in seguito, alla rilettura. Lo scopo è quello di “sollevare”,

momentaneamente, il bambino in difficoltà dallo sforzo della scrittura consentendogli di

concentrarsi maggiormente sulla riflessione richiesta.

L‟analisi di alcuni stralci di protocolli propone almeno un esempio per ciascuno degli strumenti

considerati in questo studio

3.1 Le mani

3.1.1. Maria8 e il “contadecine”

Si consideri la prima parte del protocollo di Marianna:

Lo strumento che mi ha aiutato di più è il conta decine perché mi fa capire gli amici del

cento e tante operazioni per esempio 62+ … = 100 e il numero misterioso è il 32 e per

fare gli amici del cento si può anche fare con gli amici del dieci perché si può far finta

che per esempio 60 lo trasformiamo in 6 e l’amico è 4 quindi l’amico del 60 è 40.

INS: Se lo strumento è a scuola e tu devi eseguire calcoli come quelli che hai scritto,

come fai?

Io lo disegno con la penna e con la matita faccio delle frecce che indicano giù se devo

tirare giù le dita e delle frecce che indicano su se devo tirare su le dita per esempio

54+46=100

Figura 36

Maria dimostra di aver compreso la possibilità di assegnare ad ognuna delle dita valore 10 e di

come ciò possa contribuire al completamento di enunciati aperti relativi ai complementari del 100

metaforicamente definiti “amici”. Si è affermato in precedenza che la trasformazione di uno

strumento non esclude le sue precedenti funzioni, ma le integra. Maria propone un esempio di

queste possibili integrazioni: i complementari del 10 memorizzati anche grazie al “contamani-

accarezzatore” dove ognuna delle dita vale uno, è nuovamente chiamato in causa per individuare i

complementari del 100 qualora si pensi a numeri di due cifre con 0 in corrispondenza delle unità:

parafrasando la spiegazione dell‟allieva, è sufficiente pensare a 6 e 4 come decine e,

conseguentemente, “scoprire” che il complementare di 60 rispetto a 100 è 40.

Un secondo aspetto che si vuole evidenziare è come Maria risponde alla “provocatoria” domanda

dell‟insegnante: sceglie di produrre uno strumento grafico (Fig.36) anziché pensare all‟uso delle

mani. Si avanza l‟ipotesi che ciò dipenda da due ordini di ragioni:

8 I nomi dei bambini, per rispetto della privacy, sono stati tutti modificati

- uno strumento grafico ha il vantaggio di rendere simultaneo ciò che nell‟interazione con

l‟artefatto o nel ricorso alle mani è temporale, tale simultaneità “conserva” le fasi della

procedura di calcolo permettendo di verificarla (in effetti Maria inizialmente sbaglia come

le cancellature dimostrano, ma poi si corregge)

- lo strumento grafico, tuttavia, è efficiente solo se si hanno a disposizione segni di carattere

convenzionale che alludono a schemi d‟uso, in questo caso: le frecce orientate verso il

basso per “togliere” 54 e verso l‟alto per aggiungere 46, la “stanghetta decina”

rappresentata per poterla decomporre e la crocetta che “toglie” le 4 unità che non vanno

considerate nel completamento dell‟enunciato aperto.

E‟ evidente che Maria mette in gioco un patrimonio di segni condiviso, inoltre rappresenta le mani

con la penna e il calcolo a matita in modo da poter cancellare e utilizzare più volte le sagome delle

mani. Spesso, eseguendo composizioni con l‟ausilio dell‟abaco grafico, si è ricorso a questa

economica procedura che Maria “trasferisce” anche alle sagome delle mani disegnate.

3.2 La linea dei numeri

3.2.1. Alessandra e i numeri naturali insieme totalmente ordinato

Il seguente protocollo testimonia il contributo che la linea dei numeri può dare alla comprensione

della regola ricorsiva che consente di costruire l‟insieme dei numeri naturali.

La linea dei numeri mi ha imparato il precedente sinistro e il successivo per

andare a destra. Ho capito che i numeri non sono messi a caso ma sono messi

in ordine.

INS: Quale regola determina questo ordine?

Questo ordine segue la regola del +1 cioè ogni volta che metto 1 aggiungo

quando 1 lo tolgo seguo la regola del -1.

Alla domanda dell‟insegnante Alessandra non si limita ad enunciare la regola relativa alla

numerazione progressiva, ma sente l‟esigenza di aggiungere anche quella che si riferisce alla

numerazione regressiva. In altri termini, l‟operatore +1 viene posto in relazione con il suo

“inverso” e ciò è significativo dal punto di vista della costruzione di corretti significati matematici.

Si ritiene plausibile che le metafore dell‟andare avanti o indietro camminando sulla linea e del

procedere verso destra o verso sinistra con lo strumento cartaceo o nello spazio grafico possano

indurre ad una costruzione, seppure iniziale, del significato di addizione e sottrazione come

operazioni appartenenti alla medesima struttura additiva.

3.2.2. Ediz, la linea dei numeri e l’addizione

Scrive Ediz, nel seguente stralcio, riferendosi al calcolo dell‟addizione con la linea dei numeri:

Questo strumento si può usare così: te hai una operazione 23+25=48

E non sai come fare fai così guarda

Figura 37

E conti tutti i numeri fino al tuo risultato ma non fino proprio a cinquanta ma

devi addizionare senza il più e l’uguale non ce li devi mettere perché non ti

servono devi mettere soltanto il numero ma non scriverlo: Il numero lo metti nel

movimento delle dita.

Ediz intende spiegare ad un ipotetico interlocutore come calcolare con la linea dei numeri

un‟addizione che propone a titolo esemplificativo; è una operazione della quale lui già conosce il

risultato e che rappresenta con segni matematici. Ricorre ad uno schizzo (Fig.37) che evoca lo

strumento: una striscia rettangolare come la sua forma e il numero 10 e 20 quali “indicatori” della

sequenza dei numeri precedenti a 23 cioè il numero da considerare, quello sul quale agisce

l‟operatore 25 rappresentato da altrettante lineette verticali. Dichiara anche i limiti dello strumento

concreto utilizzato: arriva a 50, ma non è detto che questo sia il risultato. L‟allievo sembra essere

consapevole che quanto ha prodotto a livello grafico non è esauriente rispetto alla descrizione di

schemi d‟uso: “il numero lo metti nel movimento delle dita”; inoltre può anche confondere chi deve

immaginare l‟artefatto “il più e il meno non ce li devi mettere perché non ti servono devi mettere

soltanto il numero ma non scriverlo”.

Nella sua riflessione l‟allievo considera tre diversi piani:

- quello dell‟interazione con lo strumento fisico;

- quello della sua rappresentazione grafica che può anche solo evocare lo strumento ed essere

fornita di segni e simboli;

- quella della rappresentazione simbolica scritta dell‟operazione.

Si tratta di una operazione molto complessa dal punto di vista semiotico ed in effetti Ediz, a 7 anni,

la domina parzialmente dal punto di vista argomentativo. Tuttavia si vuole sottolineare l‟importanza

che riveste il dialogo fra questi tre aspetti rispetto alla costruzione di significati matematici. Più in

particolare, uno schema d‟uso di per sé anche se ben acquisito non costruisce sapere matematico

occorre essere consapevoli, parafrasando l‟allievo, che +25 è nel movimento delle dita che si ripete

partendo da 23 tante volte quante sono le linee verticali del suo schizzo. In altri termini siamo di

fronte a processi di mediazione semiotica legati all‟uso di artefatti-strumenti solo se l‟interazione

fisica con lo strumento e la sue rappresentazioni grafiche e simboliche sono correttamente poste in

relazione fra loro.

3.2.3. Elisa e la linea dei numeri come strumento compensativo

Elisa è una allieva alla quale è stato diagnostico un disturbo specifico di apprendimento: dislessia e

discalculia. Il suo protocollo contiene alcuni errori tipici: troncamenti, inserimento e/o omissione di

lettere, mancato dominio delle difficoltà ortografiche (Fig. 38).

Figura 38

Anche se brevemente, in quanto non oggetto specifico di questo studio, si vuole sottolineare un‟altra

importante funzione che gli strumenti possono acquisire: qualificarsi come strumenti di carattere

compensativo. Elisa ricorda come, nel suo caso, la linea dei numeri ha costituito un supporto

importante per la memorizzazione della numerazione regressiva. Inoltre, poiché la “valigetta

aritmetica” è costantemente a disposizione di ogni allievo, all‟interno della classe il ricorrervi non è

una eccezione che inevitabilmente viene ad essere associata a difficoltà, ma la norma.

3.2.4. Il pallottoliere. Francesca, il raggruppamento in base dieci e schemi d’uso

Scrive Francesca:

A me mi è stato molto utile il pallottoliere perché in prima mi ha fatto capire

molte cose:

- ho capito che è formato da 10

- ho capito anche che posso contare con le unità e le decine solo fino a 10.

Caro bambino di prima ti regalo il pallottoliere che sarebbe questo strumento

Figura 39

Per esempio mi aiuta a calcolare più velocemente tipo 15 + 5 = 20

- prima sposto una fila decina poi 5 unità e poi subito cinque unità.

Francesca ha compreso che su ogni asta del pallottoliere viene rappresentato 10: su un‟asta ci sono

“solo fino a 10” gettoni e che le cifra a sinistra del numerale rappresenta le decine.

Si tratta di conoscenze coerenti con lo schema d‟uso “economico” che descrive: per

decomposizione considera sul pallottoliere il numero 15 ossia prima viene spostata una decina poi

5 unità, infine si aggiunge cinque a formare 20. Il suo esempio non è casuale: considera l‟intero

campo numerico che il pallottoliere a due aste può rappresentare e un numero di unità suddiviso tra

due addendi che sono complementari rispetto a 10. Sceglie 5 unità per il primo addendo e

altrettante per il secondo poiché così si può pensare di spostare le unità senza conteggiarle una ad

una. Lo spostamento della decina e delle unità conteggiate per subitizing (è percettivamente,

sapendo che la metà di 10 è cinque, che vengono considerati 5 gettoni di una fila) esemplificano

come il pallottoliere possa aiutare a “calcolare più velocemente”.

Marco, autore del seguente stralcio, sembra chiosare quanto srcitto da Francesca. Inoltre Marco, a

differenza della compagna, integra il disegno del pallottoliere (Fig.40) con segni convenzionali e

simboli che comunicano l‟idea di raggruppamento in base dieci.

… Poi non ci vuole tanto a costruirlo e si calcola molto veloce per esempio

10+10

Figura 40

1da vuol dire una decina…

3.2.5. L’abaco. Omar e l’internalizzazione dello strumento

Omar propone la seguente riflessione:

L’abaco è stato l’oggetto che mi ha fatto capire soprattutto le operazioni più

difficili. L’abaco ogni volta mi aiuta quando ho bisogno di lui perché quando si

formano 10 unità scatta l’allarme e faccio il riporto di uno.

Ma se lo regalo a un bambino di prima elementare, gli faccio un esempio

Figura 41

lo può usare ad esempio con l’addizione (+)la sottrazione(-) e con la divisione (:)

Figura 42

questo “ strano” oggetto serve ad aiutare quando ci sono 2 cifre perché da 10 in poi ti

aiuta tantissimo. Ma la cifra 10 l’1 del 10 non è una unità ma un gruppo di 10 unità.

Figura 43

Omar è un allievo di livello alto che risponde in modo puntuale alla consegna di carattere

metacognitivo dell‟insegnante: sceglie l‟abaco e giustifica tale scelta chiamando in causa la sua

utilità nell‟esecuzione delle “operazioni più difficili” e successivamente immagina di rivolgersi ad

un interlocutore più giovane tenendo conto di ciò che quest‟ultimo non conosce. Omar opera un

duplice decentramento cognitivo, assume due punti di vista diversi dai propri: quello dell‟insegnante

e quello di un ipotetico bambino di sei anni. Inoltre utilizza termini di carattere generale come

“oggetto” e comprende il ruolo dell‟esemplificazione qualora si voglia fornire una spiegazione.

Considerando invece la relazione tra abaco e sapere matematico Omar ha pienamente compreso che

l‟abaco:

- incarna il valore posizionale;

- è utile nel calcolo qualora si debbano considerare numeri di due cifre (peraltro il termine

“cifra” è usato in modo corretto) specialmente in presenza di cambi;

- entra in gioco quando si considera il numerale dieci.

Inoltre si ritiene che la relazione tra abaco e saperi che incorpora con riferimento alla cultura della

classe sia, nel suo caso, talmente ben dominata da consentire una internalizzazione dello strumento:

l‟abaco per Omar diviene strumento di pensiero. Si considerano indicatori si questo processo di

internalizzazione (Fig.42):

- la comparsa di un abaco con quattro aste per rappresentare attraverso una iterazione di cambi,

come le cancellature testimoniano, il numero mille;

- l‟ipotesi che lo strumento possa essere utilizzato anche per eseguire divisioni. Questa

operazione non è stata oggetto di insegnamento-apprendimento, ma Omar ipotizza schemi

d‟uso per calcolare la metà di un numero dispari grazie alla conoscenza personale del segno

matematico “½”.

Quanto l‟allievo conosce è il prodotto di un dialogo riuscito tra il sapere matematico condiviso

all‟interno della classe, sapere che include l‟interazione con l‟artefatto-strumento (e anche la

metafora “scatta l‟allarme” proposta in prima da un compagno per enfatizzare la regola della

necessità di operare un cambio ogni volta che si conteggiano dieci elementi su un‟asta. La metafora

per il suo carattere suggestivo ha riscosso molto successo tra i bambini) e conoscenze personali.

L‟esemplificazione che Omar propone (Fig.43) immaginando di mostrare lo strumento ad un

bambino più giovane non è casuale, “10” è il primo numerale che comporta di considerare il valore

posizionale delle cifre ed è pertanto il caso più paradigmatico che si possa scegliere.

4. Conclusioni

Questo lavoro documenta una sperimentazione condotta, nella scuola primaria, in una prima e

seconda a tempo pieno e si inserisce nel filone degli studi condotti dal Nucleo di Ricerca in Didattica

della matematica dell‟Università di Modena e Reggio Emilia su artefatti e mediazione semiotica.

Il quadro teorico, al quale si fa riferimento, è quello elaborato da Bartolini-Mariotti che,

interrogandosi sul ruolo produttivo che strumenti concreti hanno svolto nell‟evoluzione storica della

matematica, hanno individuato come compito di ricerca l‟identificazione e la sperimentazione di

metodologie didattiche capaci di valorizzare il contributo che questi stessi strumenti possono dare

anche rispetto alla progressiva acquisizione di conoscenze disciplinari da aprte degli allievi. Più in

particolare, si ritiene che gli artefatti-strumenti “incorporano” sapere matematico, ma tale sapere

può emergere e diventare patrimonio culturale degli allievi solo se i processi di insegnamento-

apprendimento sono coerenti con la progettazione di attività che tengono adeguatamente conto di

vari fattori, tra i principali:

- un‟attenta analisi del sapere incorporato in un artefatto (o un insieme di artefatti);

- compiti capaci di sollecitare negli allievi l‟emergere di questi significati. Si tratta di

consegne che coinvolgono la classe in una intensa attività di carattere semiotico che chiama

in causa gesti, parole scritture;

- la possibilità di confrontare costantemente le ipotesi proposte dagli allievi attraverso la

“discussione matematica”, un contesto interattivo di carattere dialogico all‟interno del quale

l‟insegnante propone la voce del sapere adulto.

Le teorie psicologiche elaborate da Vygotskij costituiscono un contributo fondante: lo sviluppo

viene concepito come processo storico-culturale e si assume che ogni funzione psichica superiore

(compresi le capacità di astrazione e generalizzazione legate all‟acquisizione di significati

matematici) trova la sua genesi nell‟interazione sociale e solo successivamente diviene patrimonio

individuale. Si tratta di processi di lungo termine e non lineari resi possibili dal ricorso a strumenti,

primo fra tutti il linguaggio, ma anche citati dallo stesso Vygotskij, da strumenti concreti come

abaci o compassi.

Tuttavia va evidenziato che il ricorso ad artefatti-strumenti di per sé non implica l‟acquisizione di

conoscenze matematiche, si possono apprendere corretti schemi d‟uso, tecniche, automatismi, senza

che vi sia accesso al sapere matematico. Per esemplificare, si può utilizzare correttamente la linea

dei numeri naturali per eseguire calcoli anche senza comprendere che “0” è un numero naturale o

che la successione dei naturali è un insieme infinito totalmente ordinato oppure che l‟addizione e la

sottrazione sono operazioni “inverse”; queste conoscenze sono il prodotto del tipo di consegne e di

riflessioni che l‟insegnante è chiamato a promuovere all‟interno della classe.

In sintesi, si può parlare di “strumenti di mediazione semiotica” solo se i processi di insegnamento-

apprendimento si qualificano come contesti interattivi capaci di far emergere il sapere incorporato

negli strumenti. E‟ evidente che il ruolo dell‟insegnante è cruciale: i compiti che assegna, il modo in

cui coordina il confronto delle soluzioni proposte dagli allievi, la capacità di proporre il sapere

adulto in modo compatibile con quella che Vygotskij definisce “l‟area di sviluppo prossimale” sono

aspetti fondamentali, costitutivi del processo di mediazione semiotica legato al ricorso ad artefatti-

strumenti.

La sperimentazione oggetto di questo studio è stata progettata, condotta e documentata con costante

riferimento al quadro teorico, che si è molto brevemente richiamato (il paragrafo1 contiene

riferimenti più estesi).

Il ruolo positivo che gli artefatti-strumenti possono assumere nel sostenere l‟acquisizione di

conoscenze matematiche qualora siano introdotti come “strumenti di mediazione semiotica” sembra

essere confermato.

La classe è stata coinvolta in modo sistematico in attività caratterizzate dall‟interazione fisica con

gli artefatti che gli allievi hanno costruito nel corso della prima elementare e durante i primi mesi

della seconda: sagome di mani con dita che si possono alzare ed abbassare (le dita possono

rappresentano inizialmente unità, ma in seguito anche decine), pallottolieri, abaci e linee dei numeri

(Fig.44)

Figura 44

Inoltre l‟interazione fisica con gli artefatti è stata costantemente accompagnata dalla negoziazione di schemi

d‟uso e da riflessioni capaci di correlare questi schemi d‟uso ai significati matematici incorporati negli

strumenti.

Alla fine della seconda quasi tutti i 24 allievi coinvolti nella sperimentazione (per tre di loro

permangono incertezze) operano correttamente all‟interno del campo numerico da 0 a 100: leggono,

scrivono e ordinano numeri, eseguono correttamente addizioni e sottrazioni con eventuali cambi,

ricorrono a strategie di calcolo mentale (più o meno complesse) caratterizzate da composizioni e

decomposizioni delle decine.

Si tratta di conoscenze alle quali gli allievi sono pervenuti in tempi diversi e il rispetto di questi

tempi ha incluso la possibilità di interagire fisicamente, in modo iterato e nel lungo periodo con gli

strumenti della “valigetta aritmetica” (Fig.45).

Figura 45

L‟insegnante non ha fissato alcun limite all‟interazione fisica con gli artefatti, ma ciascun allievo,

spontaneamente, ha scelto se e quando operare senza ricorrervi. Generalmente i bambini prescindono

dall‟interazione fisica con gli strumenti se il solo utilizzo di rappresentazioni grafico-simboliche

prima e solo simboliche in seguito vengono percepite di per sé sufficientemente significative, o

meglio se segni e simboli sono pienamente “dominati” anche grazie alla possibilità di evocare

schemi d‟uso degli strumenti, di utilizzare, ad esempio, linee dei numeri o abaci visti “con gli occhi

della mente” (metafora che appartiene alla cultura della classe).

Un altro aspetto che caratterizza la sperimentazione è il valore che viene assegnato alla “valigetta

aritmetica” come insieme di artefatti chiamati a concorrere alla costruzione di significati aritmetici.

Ogni artefatto-strumento ha un peculiare potenziale semiotico, comporta il possesso di specifici

schemi d‟uso e si correla ad una produzione di segni di carattere sia grafico sia simbolico. Tuttavia

segni del tutto analoghi, ad esempio una linea chiusa che raggruppa dieci elementi, può riferirsi a più

strumenti è ciò contribuisce ad evidenziare il sapere matematico che incorporano, sapere che

costituisce l‟obiettivo dei processi di insegnamento-apprendimento.

La seguente immagine mostra l‟esito di un‟attività proposta in classe seconda (Fig.46). La classe

discute su come sia possibile rappresentare un numero pensando alla valigetta e a quanto è stato

prodotto in forma scritta e man mano che la discussione procede si formalizza sul quaderno. In

seguito ciascun bambino ripropone le diverse forme di rappresentazione con riferimento ad un

numero a scelta.

Figura 46

Uno stesso numero viene rappresentato con riferimento a diversi strumenti: quelli contenuti nella

valigetta, quelli di carattere grafico (come la “stanghetta- decina” o gruppi di 10 elementi racchiusi

da una linea chiusa), sia simbolici (numeri scritti in cifre con riferimento ai segni matematici “da” e

“u” o sulla linea dei numeri).

L‟intenzione è quella di favorire una riflessione di carattere metacognitivo sull‟ampio patrimonio di

segni e simboli relativo ai numerali, legati all‟interazione con gli artefatti e che appartengono alla

cultura della classe.

Ad esempio, si vuole far emergere che la decina può essere rappresentata con una stanghetta lunga

come dieci quadretti unità, con una fila di gettoni su un‟asta del pallottoliere, con un‟unica pallina

sull‟asta a sinistra dell‟abaco o con la cifra 1 scritta a sinistra. E‟ plausibile che in questo modo e,

sempre esemplificando, che la nozione stessa di decina acquisti maggiore autonomia rispetto agli

strumenti stessi.

Generalizzando si avanza la seguente ipotesi: una “rete di artefatti” può favorire l‟emergere e

l‟evolversi di un sapere più astratto e generale. Può sembrare paradossale affermare che il ricorso a

più strumenti concreti può enfatizzare la conquista di un sapere astratto, tuttavia se diversi artefatti

acquistano lo statuto di strumento di mediazione semiotica significa che gli allievi fanno proprio un

patrimonio molto ampio e articolato di segni (dell‟artefatto, pivot e matematici; in proposito cfr.

paragrafo 1.3), finalizzati alla costruzione di significati matematici. In sintesi, una “rete di artefatti”

consente una attività di carattere semiotico molto ricca che implementa le possibilità di accesso al

sapere matematico.

L‟attività sperimentale si caratterizza anche per la grande importanza assegnata alla rappresentazione

grafico-simbolica della interazione con gli strumenti concreti. Un ulteriore approfondimento delle

funzioni specifiche che il medium grafico, con le sue potenzialità e i suoi vincoli, può assumere

rispetto ad attività semiotiche legati all‟uso di artefatti (sia considerati singolarmente, sia in dialogo

fra loro) costituisce una prospettiva di ricerca.

Potrà anche essere interessante, in futuro, indagare come metafore quali “gli amici del 10” o “scatta

l‟allarme” possano, attraverso la discussione matematica, essere “tradotte” in forma più coerente con

il sapere adulto, ad esempio, introducendo termini quali complementare o composizione della

decina. In seconda, l‟insegnante inizia a proporre, durante le discussioni, la “voce” del matematico:

dichiara ai bambini che quanto da loro affermato un matematico lo direbbe in un certo modo e

parafrasa i loro interventi proponendo un linguaggio disciplinare. Si tratta di un gioco culturale che

caratterizza il contratto didattico. Gli allievi accolgono con interesse questa sorta di sfida nei

confronti del mondo adulto e, verso la fine dell‟anno, accettano di ipotizzare loro stessi come il

matematico esprimerebbe determinati significati matematici. Analizzare, nel lungo termine, questo

dialogo aperto tra linguaggio “comune” e metaforico e linguaggio disciplinare (comprese

rappresentazioni di carattere altamente simbolico e formalizzato) può costituire un‟ulteriore

prospettiva di ricerca.

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