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QUESTIONE NAZIONALE E RIVOLUZIONE PROLETARIA SOTTO L’IMPERIALISMO MODERNO Robert Bibeau Dello stesso autore Come informatizzare la scuola Les Publications du Québec, CNDP, L’Ingénierie éducative, 1996 Il «progetto» di Fatima. Studio psicologico di caso. Éditions L’Harmattan, Psychanalyse et Civilisations, 2012 Manifesto del partito operaio Éditions Publibook, Essai, 2014 Il narcisismo, nevrosi di un’epoca. Studio psicologico di caso Éditions Publibook, Psychologie, 2015 Casa Editrice: L’Harmattan

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QUESTIONE NAZIONALE E RIVOLUZIONE PROLETARIA

SOTTO L’IMPERIALISMO MODERNO

Robert Bibeau

Dello stesso autore

Come informatizzare la scuolaLes Publications du Québec, CNDP, L’Ingénierie éducative, 1996

Il «progetto» di Fatima. Studio psicologico di caso.Éditions L’Harmattan, Psychanalyse et Civilisations, 2012

Manifesto del partito operaioÉditions Publibook, Essai, 2014

Il narcisismo, nevrosi di un’epoca.Studio psicologico di casoÉditions Publibook, Psychologie, 2015

Casa Editrice: L’Harmattan

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SOMMARIO

PREFAZIONE

CAPITOLO 1 Questione nazionale e rivoluzione proletaria

CAPITOLO 2 Ferguson, Minneapolis, Dallas, stesso proletariato, stessa lotta

CAPITOLO 3 I marxisti e la questione nazionale

CAPITOLO 4 Nazionalismo e socialismo

CAPITOLO 5 Marxismo, nazionalismo e lotte nazionali oggi

CAPITOLO 6 Leninismo o marxismo? L’imperialismo e la questione nazionale

NOTE

INDICE

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PREFAZIONE

Robert Bibeau

Contrariamente alle pretese degli “indipendentisti" e nonostante il battage mediatico intorno ad alcuni avvenimenti nazionalisti (Brexit, referendum catalano e scozzese, separatismi fiammingo e del Québec), la questione nazionale è sempre meno presente nello spirito del proletariato internazionale. A dire il vero, ci sono solo la destra e la sinistra borghese per infiammarsi a proposito delle sciocchezze scioviniste nazionaliste. L'approfondimento della crisi economica sistemica dell’imperialismo provoca grandi disordini politici, militari e sociali, il ritorno di velleità nazionaliste gregarie nei piccoli borghesi è una di quelle, questo passerà.Bisogna risalire a Lenin, ai bolscevichi e alla Rivoluzione russa per rintracciare l'origine della confusione suscitata tra le lotte borghesi di liberazione nazionale borghesi, (dette d’indipendenza nazionale) e le lotte anticapitaliste internazionaliste della classe proletaria. In seguito, Stalin ha portato lo stendardo del nazional-bolscevismo russo più alto che quello del nazional-socialismo tedesco e l'URSS hanno schiacciato la potenza tedesca dei Krupp e dei Messerschmitt, prima di crollare a sua volta. Dopo il nazional-bolscevismo, il nazional-maoismo è salito sul cavallo di Troia del nazionalismo borghese e ha fatto la lotta tra i "Tre mondi"; il mondo "nazional-imperialista" delle due superpotenze; il mondo "nazional-capitalista" delle potenze secondarie e il mondo "nazional-terzomondista" dei paesi non allineati - prede dei primi due mondi e che la Cina maoista avrebbe voluto imporre -. Deng Xiaoping, lo Stalin cinese, iniziò il "take off", il decollo economico-capitalista in Cina e assicurò a questa potenza emergente i mezzi industriali e finanziari delle proprie ambizioni globalizzate. La sfortuna del capitale cinese è che la propria ascesa avviene nel momento in cui il metodo di produzione capitalista globalizzato, nel suo stadio imperialistico declinante - completa la sua conquista del pianeta.L'imperialismo globalizzato avendo raggiunto il suo culmine può solo declinare. Vale a dire che il capitale in Cina, India e in Africa completa la proletarizzazione degli ultimi contadini semi-feudali, la conquista degli ultimi mercati, e l’esplorazione delle ultime regioni di risorse periferiche. Un secolo dopo la predizione di Lenin, l'insurrezione popolare mondiale è all'ordine del giorno e il proletariato cinese (e non la classe contadina cinese come pensava Mao), potrebbe dare il punto di partenza insurrezionale internazionale. Questa evoluzione determina che la questione nazionale avrà meno importanza nella politica mondiale poiché le due classi che lottano per l'egemonia sono le due classi sociali nate dallo sviluppo capitalista industriale, urbano e globale - la classe capitalista multinazionale decadente e la classe proletaria internazionale emergente. Da questa guerra titanica nascerà sicuramente il metodo di produzione proletario comunista che noi non conosciamo e che il

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proletariato dovrà imparare a domare, sempre che "l'avanguardia" della sinistra borghese possa tacere e lasciar fare alla classe operaia rivoluzionaria.

In questo opuscolo abbiamo riunito alcuni testi che trattano della questione nazionale. Alcuni di questi autori adottano una posizione "marxista" e condannano ogni posizione che, a loro avviso, non corrisponde al canone "marxista". Questo comportamento settario e dogmatico è l'eredità della Seconda, Terza e Quarta Internazionale e dell'integrazione di queste organizzazioni nell'apparato di stato borghese. La "bolscevizzazione" delle organizzazioni di sinistra fu segnata dalla pratica dell'esclusione dei "dissidenti" e dalla glorificazione dei guru dai loro corrieri, reclutati sotto il "centralismo democratico" militarizzato, per "proteggere" la "purezza ideologica" e la lealtà settaria verso queste galere effimere. Chi non ha mai sentito parlare del "Piccolo padre dei popoli" e del "Grande Timoniere"?Questa esclusione, che ha dapprima colpito l'opposizione di sinistra tedesca, olandese, polacca, italiana e francese si sono in seguito infiltrate le sette provenienti da questa opposizione. Oggi, ogni setta di sinistra pratica l'esclusione, la divisione e il rifiuto di dibattere, isolando accanitamente i suoi militanti da ogni influenza proletaria. Valutare il livello di concordanza di una linea politica di classe con un riferimento statutario, che siano Marx o Engels, Bukharin o Lenin, Trotsky o Stalin, Mao o Gramsci, è una pratica ideologica dogmatica, anti-materialista dialettica, che non permette di convalidare un'analisi di classe, e che riesce appena a misurare la conformità di un pensiero con quello di un dogma sacralizzato e fossilizzato. Da parte nostra, non aderiamo a nessuna setta, a nessun dogma, totalmente asservito che noi siamo dalla parte della classe proletaria, dei suoi interessi rivoluzionari e del metodo materialista storico e dialettico. 

Robert Bibeau. Direttore del web magazine http://www.les7duquebec.com

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CAPITOLO 1

QUESTIONE NAZIONALE E RIVOLUZIONE PROLETARIA (1)

Robert Bibeau

Nazione e stato-nazione due stendardi della sinistra borghese

Nazione e stato-nazione sono le forme singolari dei rapporti di produzione generate dal metodo di produzione capitalista (MPC). Quando questo metodo di produzione aveva raggiunto il suo culmine e che la contraddizione fondamentale, reggendo questo sistema, aveva cominciato ad ostacolare seriamente la valorizzazione del capitale; quando i rapporti nazionali di produzione apparvero troppo stretti per permettere la riproduzione allargata del capitale e lo sviluppo delle forze produttive sociali, nazione e stato-nazione diventarono degli ostacoli da cui il MPC cercò di togliersi il peso, sperando così di generare una nuova era di prosperità globalizzata. Nel 1971, l'abrogazione degli accordi di Bretton Woods mise fine alle barriere monetarie davanti all'imperiosa urgenza di liberalizzare e globalizzare gli scambi internazionali (2). Gli sforzi per trasformare il dollaro nazionale americano in divisa del commercio internazionale, come le malversazioni per far emergere l'euro come divisa alternativa del commercio mondiale, o ancora, gli armeggi per sostituire il yuan nazionale cinese o i Diritti speciali di prelievo (DTS), dimostrano le difficoltà del sistema finanziario globalizzato (3).

Né la preservazione o la conversione dei rapporti di produzione nazionali potranno assicurare la continuità di questo moribondo metodo di produzione. La contraddizione fondamentale che regola questo sistema non si trova tra le forze produttive internazionali e i rapporti nazionali di produzione, ma in seno stesso alle forze produttive sociali, tra il capitale morto – costante – robotizzato e digitalizzato - già valorizzato, assorbendo il capitale vivente – variabile – la forza lavoro sociale, generatrice di plusvalore non ancora valorizzato dalla messa in moto dei prodotti, è là tutto il dramma di questo metodo di produzione e il limite della sua espansione.La classe proletaria internazionale non deve mettersi al rimorchio delle borghesie nazionali per tentare di preservare i rapporti “nazionali” di produzione sottomessi alle vicissitudini delle crisi sistemiche del capitalismo globalizzato. Le desuete strutture nazionali borghesi sono inoperose davanti alla crisi sistemica del metodo di produzione

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capitalista. Tutte le strutture nazionali e/o multinazionali del capitalismo, ONU, CPI, FMI, BM, OCSE, NATO, Unione europea, TIPP, Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, Comunità degli Stati indipendenti, sono obsolete e dovranno essere distrutte dall’insurrezione popolare. In nessun caso lo Stato nazionale borghese può diventare un agente di emancipazione della classe proletaria. Al contrario, lo Stato nazionale borghese e l'ideologia nazionalista borghese che vorrebbe legittimarlo, sono gli organizzatori dell'oppressione della classe operaia, unica classe rivoluzionaria sotto il capitalismo decadente. Dall'emergere dell'imperialismo moderno, ultima fase del metodo di produzione capitalista, le lotte della cosiddetta "liberazione nazionale anti-imperialista" sono delle guerre reazionarie condotte dalle borghesie nazionaliste scioviniste per assicurare il loro statuto di aguzzino degli interessi di un'alleanza imperialista contro un’altra.

Apogeo e declino dell'imperialismo americano.

Gli Stati Uniti d'America, prima potenza imperialista del 20° secolo, furono spinti inesorabilmente contro la Francia (da cui acquistarono la Louisiana nel 1803), contro il Canada (guerra del 1812), contro i resti dell'Impero spagnolo (1819), contro il Messico (1845-1853), poi due fazioni del capitale americano si orientarono l’una contro l'altra, la Confederazione schiavistica del Sud, contro l'Unione capitalista del Nord (1861-1865). Più di 620.000 lavoratori-soldati lasciarono la vita in questa guerra nazionale, poi, rifatta l'unità, riprese la marcia sanguinaria verso l'Occidente. Più tardi, mirarono all'impero commerciale e industriale britannico e al Secondo Impero francese che essi disintegrarono per imporre l'imperialismo moderno- finanziario–al posto del vecchio imperialismo coloniale-commerciale, che non poteva sopravvivere perché provocava le ire e le costanti rivolte delle borghesie nazionali coloniali che desideravano liberarsi politicamente dalle metropoli opprimenti, per atteggiarsi a intermediari nazionali dello sfruttamento della forza lavoro locale, consegnando loro stessi il plusvalore all'imperialismo globalizzato. Tutte le guerre della cosiddetta "liberazione nazionale" poggiarono su questo punto cruciale: quale parte dello sfruttamento del lavoro salariato locale sarà accaparrata dalla borghesia nazionale e quale parte sarà versata ai capitalisti stranieri? È ciò che il presidente americano Theodore Roosevelt comprese prima di Lenin e dei bolscevichi, sentimento nazionalista sciovinista che gli Stati Uniti sfruttarono per sloggiare le ex-potenze coloniali commerciali concorrenti e sostituirvi l'imperialismo finanziario su cui Lenin ha scritto brillantemente specificando che anche oppositore al capitalismo coloniale-commerciale l'imperialismo finanziario non ne sfrutta meno la classe proletaria, unica produttrice di plusvalore e nemica giurata del capitalismo globalizzato.Quando apparve evidente che i bolscevichi non intendevano dividere i frutti dello sfruttamento del proletariato nazionale sovietico con l'imperialismo occidentale, il conflitto degenerò in guerra totale tra l’impero dei soviet e l'impero occidentale, diretto prima dall'Europa e poi

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dall'America. La guerra entrò allora in una fase che, dopo molte disavventure, si conclude nel 1991 col tristo figuro Boris Eltsin, indegno sicofante mortuario dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche.Durante un secolo gli Stati Uniti furono gli alleati di queste borghesie nazionaliste terzo-mondiste, (pseudo non-allineate), desiderando condividere con i mercanti di guerra occidentali una parte del plusvalore prodotto localmente. E voi avete visto Mandela pavoneggiarsi sulle pedane dell'antiapartheid dell’Onu (che i sud-africani subiscono ancora oggi), Ho chi Minh, Chou en Lai, Pol Pot, Ceausescu, Tito, Nasser, Gandhi, e gli altri, tutti felici di collaborare con il capitale americano, per ottenere il loro pasto nazionale, più abbondante di quello che proponeva loro Stalin, Krusciov e Breznev, dirigente di un impero industriale desueto, pre-finanziario. Oggi, noi vediamo Castro - il fratello dell'altro - che percorre il suo sentiero di Canossa per ottenere un salvacondotto degli Stati Uniti per la sua integrazione al metodo di produzione capitalista.Non si può condurre una guerra anti-imperialista che non sia anche una guerra anticapitalista, antinazionalista e antiborghese. Tutte e ciascuna di queste lotte della cosiddetta liberazione politica nazionale hanno condotto al consolidamento di fazioni capitaliste nazionaliste e all'alienazione della classe proletaria nazionale. Che sia l'URSS, la Cina, la Corea del Nord, il Vietnam, la Cambogia, l'Algeria, Cuba, l'Angola, il Nicaragua, l'Etiopia, i paesi dell'Est, l'Albania, il Sud Africa, il Nepal o la Palestina, ecc. tante esperienze nazionaliste che senza l'eliminazione del metodo di produzione capitalista, fonte di tutte le alienazioni, si sono trasformate in un disastro per la classe proletaria super sfruttata di questi paesi incancreniti e che deve liberarsi oggi dai suoi nuovi carcerieri.

Riforme o rivoluzione?

E’ vero tuttavia che in vani tentativi per salvare il loro capitale e il loro metodo di produzione moribondo la classe capitalista internazionalista tenta di smantellare gli antichi rapporti di produzione e le antiche strutture di governance nazionale per trasformarle in qualche cosa di multinazionale, ma avendo le stesse funzioni economiche, politiche e giuridiche, diplomatiche e militari sfruttatrici e repressive. Queste trasformazioni dell'apparato di governance imperialista non mirano a trasformare l’essenza del metodo di produzione capitalista, ma ad adattarlo alle esigenze nuove dell'economia politica imperialista moderna. Gli sforzi dei populisti e dei sinistroidi per orientare queste riforme non costituiscono un contributo al rovesciamento del capitalismo, non maggiormente che gli artigiani del luddismo che distruggevano i telai nell'Inghilterra del XIX secolo contribuendo ad emancipare il proletariato britannico. Così, la Brexit non è una resistenza all'imperialismo statunitense, ma un'adesione all'imperialismo cinese, e una domanda di rinegoziazione degli accordi con l'imperialismo europeo che, l’uno come l’altro, non porteranno niente al proletariato britannico. Questi futili sforzi da parte dell'oligarchia riformista fanno solamente prolungare l'agonia di questo moribondo metodo di produzione, come i

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cantici della sinistra nazionalista e le cantilene della destra reazionaria per preservare i vecchi refusi nazionali. E’ il metodo di produzione che deve essere rimpiazzato. L'unica soluzione consiste nel creare un nuovo metodo di produzione, non socialista, ma proletario comunista. Da questo nuovo metodo di produzione nasceranno nuovi rapporti di produzione adattati a questo nuovo modo di produrre, di comunicare, di distribuire, di scambiare e di suddividere non delle merci, piene di plusvalore spogliato, ma beni sociali che servono alla riproduzione collettiva della vita in società, perché non bisogna mai dimenticare che la finalità di ogni metodo di produzione è di assicurare le condizioni di riproduzione della vita umana. Sappiamo molto poco a proposito di questo nuovo metodo di produzione proletario comunista - dal nome della classe che lo farà nascere dalle sue mani, dalla sua esperienza e dalle sue conoscenze -. Le sole cose che sappiamo con certezza sono che questo metodo di produzione sarà internazionale, globale, al servizio dell'Uomo - senza classe sociale - non mercantile (addio merce, plusvalore, profitto, moneta, capitale, proprietà privata, lavoro dipendente e Stato). Questo nuovo metodo di produzione non somiglierà soprattutto a ciò che abbiamo conosciuto sotto il capitalismo nelle sue declinazioni occidentali, sovietiche, cinesi, cubane, coreane, vietnamite, albanesi, o terzo-mondiste. Sappiamo anche che questo nuovo metodo di produzione proletario, che non risponderà alle finalità di riproduzione allargata del capitale come metodo di lotta contro la carenza, riuscirà a colmare tutti i bisogni sociali umani, finalità ultima di un metodo di produzione socializzato.

Marx ha scritto

Marx ha messo in guardia il proletariato internazionale contro il nazionalismo borghese reazionario e ha inserito nel Manifesto queste due massime “Il proletariato non ha patria” e "Proletari del mondo intero, unitevi!". Per introdurre l’insurrezione popolare, poi la rivoluzione proletaria, Marx non ha fatto appello ai "popoli oppressi", alle "nazioni sfruttate", ai "contadini impoveriti", né ai "piccoli borghesi arrabbiati". Quando Marx ha costatato che le condizioni oggettive della rivoluzione proletaria non erano in nessun modo riunite in questo inizio di capitalismo trionfante, si è appellato a sciogliere la Prima Internazionale evitando che diventasse un laboratorio di cacicchi riformisti - e di piccoli borghesi parassiti, stipendiati dal potere borghese nutrito dai contributi della classe operaia spogliata. Ecco un estratto della corrispondenza di Marx che porta precisamente su queste divisioni nazionaliste scioviniste architettate dal capitale vittoriano per dividere le forze del proletariato internazionale in seno all'Impero britannico: "L'Inghilterra ha adesso una classe operaia divisa in due campi nemici: proletari inglesi e proletari irlandesi. L'operaio inglese ordinario detesta l'operaio irlandese come un concorrente che abbassa il suo livello di vita. Si sente nei suoi confronti membro di una nazione dominatrice, diventa, di fatto, uno strumento dei suoi aristocratici e capitalisti contro l'Irlanda e consolida così il loro potere su di sé. Dei

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pregiudizi religiosi, sociali e nazionali lo indirizzano contro l'operaio irlandese. Si comporta verso di lui pressappoco come i "bianchi poveri" verso i neri negli antichi Stati schiavistici dell'Unione Americana. L'irlandese gli rende largamente la pariglia. Vede al tempo stesso in lui il complice e lo strumento cieco del dominio inglese in Irlanda. Questo antagonismo è intrattenuto artificialmente ed è alimentato dalla stampa, i sermoni, le riviste umoristiche, in sintesi da tutti i mezzi di cui dispongono le classi al potere. Questo antagonismo costituisce il segreto dell'impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua buona organizzazione. È anche il segreto della potenza persistente della classe capitalista che se ne rende perfettamente conto" (4).Lenin e i bolscevichi hanno fatto tutto il contrario di quello che Marx raccomandava. Nella Russia zarista feudale – pre-capitalista – essi si sono costituiti in partito politico nazionalista russo - in setta militare segreta russa - sotto un direttorio piccolo-borghese russo -; essi si sono impossessati della direzione della rivoluzione democratica borghese sostenuta dalle masse contadine analfabete, premurose di espropriare e di dividersi la terra e i mezzi agricoli di produzione per erigere il metodo di produzione capitalista mercantile, poi industriale, sotto il nome della Nuova Economia Politica (NEP). In effetti, non esiste una nuova economia politica socialista, intermediaria tra il capitalismo e il comunismo, e la Russia zarista feudale poteva partorire solamente il metodo di produzione capitalista, pre-requisito per la futura rivoluzione proletaria. Il metodo di produzione “socialista” fu la denominazione delle modalità di edificazione del capitalismo di Stato in Unione Sovietica. Attraverso la Rivoluzione d’Ottobre i bolscevichi hanno messo il piccolo proletariato russo, debole e inesperto, a rimorchio delle masse contadine avide e della piccola borghesia cupida, e non poteva essere altrimenti dato lo stato penoso dell’economia zarista.Ricordiamo che la rivoluzione proletaria non è una rivolta della miseria e della povertà contro le disuguaglianze, le ingiustizie o contro l'opulenza e la ricchezza dei miliardari come lo crede ogni piccolo borghese frustrato di non ricevere ciò che considera come la sua giusta quota sociale. L’insurrezione popolare sarà il rovesciamento, da parte della classe proletaria asfissiata, del metodo di produzione capitalista paralizzato, e non la presa in consegna "socialista" dell'apparato di stato capitalista come l'hanno praticato le sinistre borghesi in questi differenti paesi "socialisti" diventati capitalisti. La rivoluzione proletaria, che seguirà, assicurerà l’edificazione del metodo di produzione proletario comunista. La Rivoluzione nazionalista bolscevica e le altre rivoluzioni anticoloniali hanno fatto la dimostrazione che un metodo di produzione non può essere sottratto né aggirato. Per condurre una rivoluzione anticapitalista bisogna vivere sotto il metodo di produzione capitalista. Per condurre una rivoluzione proletaria, occorre una classe proletaria pienamente evoluta, educata, sperimentata nella lotta di classe anticapitalista, dapprima sul fronte economico, poi sul fronte politico e infine sul fronte ideologico della lotta di classe. In Russia, la rivoluzione democratica nazionale borghese ha rovesciato l'ordine feudale e ha assicurato l'edificazione di una società capitalista che Stalin ha realizzato con maestria, al di là di ogni attesa, come il capitale tedesco andava ad insegnarlo, provando così

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come il nazional-bolscevismo russo era più efficiente del nazional-socialismo tedesco.Settanta anni più tardi, l'opera nazionalista bolscevica-stalinista-russa andava a conoscere il suo karma nella "Perestroika-Glasnost"; nel crollo dell'alleanza imperialista sovietica e del suo centro nazionale russo paralizzato nei rapporti di produzione del capitalismo di Stato industriale, ma soprattutto incapace di assicurare la riproduzione allargata del capitale di stato sovietizzato e di passare al capitalismo finanziario. E’ nell'emergere del capitale finanziario privato, liberalizzato, in concorrenza sul mercato mondiale col capitale occidentale, che il capitalismo russo ha trovato il suo respiro. La Cina maoista, sotto il governo di Deng Xiaoping e dei suoi esegeti, ha seguito la stessa strada nazionalista borghese senza che lo Stato cinese crollasse, ma semplicemente facendo spazio al capitale finanziario nazionale e internazionale. Oggi, si osserva l’emergere dell'Associazione di Cooperazione di Shanghai intorno alla Cina nazionalista e alla Russia nazionalista, ciascuna di queste potenze capitaliste avendo convenuto del suo ruolo in seno a questa alleanza reazionaria alla quale l'India nazionalista e il Pakistan nazionalista si sono unite recentemente (5). Questa nuova alleanza imperialista fa fronte all'alleanza imperialista Atlantica di cui la NATO è il braccio armato. Ci ritorneremo.

Liberazione nazionale o liberazione proletaria?

Nel 1955 per il proletariato rivoluzionario, non c'era niente di rassicurante in questi armeggi internazionali e in questi preparativi di guerra derivati dallo sciovinismo nazionale dei paesi "non allineati"(6). Questo “spirito sciovinista di Bandung” fu la prova che la classe proletaria doveva rigettare ogni associazione con le borghesie terzo-mondiste, che da settanta anni hanno fatto dei proletari carne da macello per le loro malversazioni e il trampolino delle loro ambizioni con la complicità della sinistra imborghesita. Dalla fine della Seconda Guerra mondiale, si sono osservati 215 conflitti armati nel Terzo Mondo, tutti suscitati o scatenati dalle potenze capitaliste con la complicità delle borghesie locali nazionaliste e si è constatato che nessuna di queste "lotte di liberazione nazionale" ha portato la libertà agli alienati proletarizzati. Proprio come la piccola borghesia, la classe contadina rurale, ricca o povera, non è neppure una classe rivoluzionaria. La classe contadina era al centro del metodo di produzione feudale terzo-mondista e una delle forze motrici per il passaggio dai rapporti di produzione feudali ai rapporti di produzione capitalista commerciale, poi industriale, attraverso la creazione di un campo fondiario privato, dapprima dispersivo, e che poi lo sviluppo del metodo di produzione capitalista ha costretto a raggrupparsi in immensi sfruttamenti agricoli meccanizzati e irrigati dove la classe contadina è stata trasformata progressivamente in proletariato rurale. È questo proletariato agricolo depauperato, privato di ogni proprietà, avendo solamente la sua forza di lavoro da vendere per sopravvivere che il proletariato rivoluzionario urbano mobiliterà per condurre la rivoluzione proletaria internazionale, non per impossessarsi della governance dello

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stato borghese, non per farne "lo stato socialista di tutto il popolo", ma per sradicarlo.Oggi, un secolo dopo la previsione di Lenin, le condizioni oggettive della rivoluzione sociale proletaria sono infine riunite. La prima di queste condizioni era il pieno sviluppo dei mezzi di produzione, l'esistenza di un'immensa classe proletaria mondializzata educata, formata, “alla moda”, sperimentata nella guerra di classe, depauperata e minacciata nella propria sopravvivenza, ma cosciente dei propri interessi di classe e obbligata a rovesciare le proprie condizioni di alienazione per evitare la propria distruzione. Ecco l'alternativa che si presenta al proletariato internazionale al quale si sono uniti 350 milioni di proletari cinesi e quasi altrettanto di proletari indiani nella grande marcia dei forzati della fame. L'emancipazione della classe proletaria sarà l'opera della classe stessa.(7)

CAPITOLO 2FERGUSON, MINNEAPOLIS, DALLAS,

STESSA LOTTA (8)

Robert Bibeau

Andiamo brevemente ad osservare, a partire da un esempio concreto, il modo in cui la borghesia, attraverso i suoi media al suo soldo e con la complicità della piccola borghesia sinistroide, trasformi una lotta di resistenza classe-contro-classe in un conflitto inter-razziale reazionario. È falso pretendere che l'assassinio di cittadini neri da parte dei piedipiatti americani costituisca una "pecca", l'"errore" di un poliziotto troppo zelante, inesperto o terrorizzato, o ancora un’aggressione razzista. Non è

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la popolazione americana che terrorizza la polizia, è la polizia che terrorizza i proletari americani di ogni razza, di ogni colore e di ogni origine etnica. Più di 500 cittadini americani sono caduti sotto le pallottole poliziesche nel 2016 e l'ecatombe prosegue ogni anno con l’avallo implicito, se non la raccomandazione esplicita, delle autorità degli Stati Uniti. Negli USA oltre alla pena di morte giudiziaria, lo Stato pratica anche la pena di morte extragiudiziaria, preventiva, repressiva, esattamente come l'esercito americano all'estero l'applica sui differenti fronti dei suoi "impegni" assassini. Gheddafi e Ben Laden ne furono due vittime celebri, come altre, meno conosciute. Dai tempi del Presidente Obama, ogni martedì, nell'Ufficio ovale, degli individui erano condannati a morte, senza processo dal il capo della Casa Bianca, vincitore del premio Nobel della pace!Questa politica sistematica di repressione poliziesca, contro il proletariato nero in particolare, ma anche contro i latinos, contro i senza tetto, contro gli amerindi, contro gli schiavi asiatici dei "sweats shops" della miseria e contro gli immigranti clandestini, si fa senza discriminazione razziale, contrariamente alle menzogne che propagano i media del capitale. Questa repressione mira non a questa o quella razza, etnia o minoranza, ma bersaglia piuttosto la classe sociale proletaria, il sottoproletariato, i senza tetto sacrificati, per offrire degli esempi ai volgo locali e terrorizzarli. Il messaggio nascosto in queste migliaia di omicidi polizieschi è il seguente: "Popolo di miseria, proletario in collera sempre più povero, non resistete alle vostre condizioni di esistenza e di alienazione, se no vi uccideremo senza remissione per terrorizzarvi, come voi potete osservarlo su questi video diffusi sulle reti sociali".In sintesi, l'omicidio poliziesco di Minneapolis fa parte di un piano terroristico di stato che mira a spaventare la popolazione americana in resistenza... qualunque sia la razza o il colore delle persone assassinate sulla strada. Come lo abbiamo sempre scritto, il proletariato americano è il più evoluto, il più avanzato, quello che vive sotto la più degenerata, più depravata, più disperata e più terrorista dittatura capitalista perché la più spaventata e più cosciente della sua appartenenza di classe. La situazione economica dell'imperialismo americano è catastrofica e ciò obbliga il capitale yankee ad aumentare le sue pressioni sul proletariato statunitense, al di là di ogni immaginazione, e ciò semplicemente per mantenersi in vita, la testa fuori dalla crisi sistemica, perchè il capitale Usa ha già perso dalle mani dei loro concorrenti imperialistici stranieri (la Cina particolarmente, ma anche la Germania e l’Europa). 

Ciò che i capitalisti americani hanno appena appreso, due anni fa a Fergusson e ieri a Dallas (5 poliziotti morti e sette feriti) è che il proletariato americano è armato e pericoloso e che se non si lasciano influenzare da sciocchezze razziste del tipo: neri - contro latinos - contro bianchi - contro Amerindi - contro Black Panther e altre malversazioni razziali che i media al soldo propagano, allora la borghesia americana potrebbe essere in pericolo di fronte all’ascesa della resistenza di classe del proletariato statunitense, senza distinzione di razza né di etnia. Non sono i neri che sono puntati dagli assassini polizieschi, ma sono i resistenti proletari in collera. Ma attenzione, il proletariato non è

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terrorista, né anarchico, né individualista, ed egli risponderà in quanto classe cosciente e organizzato, collettivamente solidale, alle provocazioni del capitale americano sfasciato (9).

CAPITOLO 3 I MARXISTI E LA QUESTIONE NAZIONALE (10)

PIERRE SOUYRI

In questo capitolo presentiamo le Note di lettura di Pierre Souyri, pubblicate negli Annali di Luglio 1979, riguardante il volume di Georges Haupt, Michel Lowy, Claudie Weill, intitolato I marxisti e la questione

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nazionale, 1848-1914. Inseriamo nelle sue Note nostri commenti identificati dalle lettere N.d.R.

Pierre Souyri scriveva questo a proposito del marxismo e della questione nazionale: “Stabilendo questo dossier che riunisce alcuni dei testi la cui pubblicazione ha costellato le prese di posizione, a turno complementari e opposte, teorici della Seconda Internazionale sulla questione nazionale, G. Haupt, M. Lowy e C. Weill hanno preso cura di non privilegiare le idee dei bolscevichi. Questa scelta non ha solamente il vantaggio di far conoscere ai lettori dei punti di vista che l'egemonia del marxismo russo aveva rigettato nell'oblio; permette anche di rompere con una rappresentazione banale e pertanto insostenibile che comanda la storia delle teorie marxiste, come se esistesse un marxismo che costituisce un sistema coerente e compiuto, da cui i bolscevichi si sarebbero riappropriati della metodologia e dei concetti per sfociare, infine, dopo che tutti gli altri teorici dell'epoca della Seconda Internazionale hanno interminabilmente vagato, sulla soluzione giusta e necessaria della questione nazionale, come del resto di tutte le altre.Quando i teorici, che si fanno forza dell’appoggio di Marx, sono costretti dalle circostanze – l’ascesa del nazionalismo nell’Europa orientale, poi in Asia - a riconsiderare la questione delle nazionalità di cui Marx e soprattutto Engels si erano occupati principalmente all'epoca delle rivoluzioni del 1848, non si trovano negli scritti dei "padri fondatori" tranne indicazioni frammentarie, talvolta contraddittorie e in ogni caso molto datate. Marx ed Engels, che pensavano che l'antagonismo del capitale e del lavoro costituisse la molla essenziale del processo storico della società moderna, avevano concesso alla questione nazionale solo uno statuto marginale e subordinato.Questo li interessava solamente per quanto il fatto nazionale interferisse con la lotta delle classi e che la formazione di grandi nazioni potesse favorire la crescita del capitalismo e già che ci siamo quella della negazione proletaria della società borghese. Non considerando le aspirazioni nazionali che sotto l'angolo di loro conseguenze eventuali per la lotta delle classi, Marx ed Engels concedevano legittimità solo alle lotte nazionali che potessero indebolire la controrivoluzione europea. Da qui il loro sostegno al nazionalismo polacco che si erge contro il potere dello zarismo e, più tardi, al nazionalismo irlandese, la cui vittoria, pensano, favorirebbe al tempo stesso l'intensificazione delle lotte sociali in Inghilterra ed in Irlanda. Da qui anche la loro ostilità furiosa verso gli slavi del Sud che sono stati utilizzati dalla controrivoluzione nel 1848 e il loro odio del panslavismo che si fa strumento dell'espansione russa. Engels, soprattutto, ha moltiplicato contro gli slavi del sud gli epiteti ingiuriosi. M. Lowy, che ha rilevato alcune delle previsioni più inopportune di Engels sul futuro delle nazioni slave e di alcune altre, mostra, tuttavia, che i furori di Engels sono i furori di un rivoluzionario e non quelli di uno sciovinista tedesco e di un slavofobo cieco. Procedendo a un'analisi superficiale ed erronea delle cause della controrivoluzione, Engels ne rigetta ingiustamente tutta la responsabilità sugli slavi, senza vedere che l'insuccesso delle rivoluzioni del 1848-1849 ha delle radici di classe nel cuore stesso delle nazioni rivoluzionarie.

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Quanto a noi, contrariamente a Souyri, non osserviamo "nazioni rivoluzionarie proletarie". E, se esistono delle nazioni rivoluzionarie, queste sono necessariamente delle nazioni rivoluzionarie borghesi che aspirano al capitalismo come metodo di produzione che assicuri il loro pieno sviluppo nazionale fino alla sua negazione e il suo superamento. Durante due secoli la sinistra è stata incapace di comprendere che i "fallimenti" delle rivoluzioni proletarie del 19° e 20° secolo non sono dovuti a degli errori tattici, ma al sottosviluppo del metodo di produzione capitalista che non aveva raggiunto il suo stadio estremo – imperialista - e perciò al sottosviluppo demografico, economico, politico e ideologico del suo becchino, la classe proletaria. È impossibile condurre una rivoluzione proletaria anticapitalista in una società contadina feudale o in una società capitalista in pieno sviluppo. Quello che la società tedesca post spartachista provò, inciampando e rialzandosi fino all'epoca moderna, dove ha raggiunto la maturità rivoluzionaria proletaria. N.d.R.

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Pierre Souyri prosegue: “Del resto, lo stesso Engels che attribuisce, eventualmente, ai popoli slavi un’essenza reazionaria, non aveva meno fatto appello, nel 1848, al rovesciamento dell'impero degli Habsbourg che faceva ostacolo alla liberazione degli slavi e degli italiani. Resta che Engels aveva analizzato i problemi nazionali utilizzando a più riprese il concetto hegeliano e straniero al materialismo storico di "popolo senza storia", senza che Marx formulasse la pur minima critica contro l’hegelismo premarxista del suo compagno. Quando le generazioni posteriori si trovano costrette a riattualizzare la questione delle nazionalità nella teoria marxista, esse partono da un retaggio che è molto incerto e G. Haupt sottolinea tutte le difficoltà alle quali vanno ad urtare la loro impresa.

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Il lettore avrà notato la posizione intellettuale piccolo-borghese che adotta Pierre Souyri, che pone il problema in termini di "riattualizzare la questione delle nazionalità nella teoria marxista" come se un rivoluzionario proletario avesse da preoccuparsi di una posizione marxista di fronte ad un problema che pone la rivoluzione. Un rivoluzionario proletario ha il dovere di trovare una risposta rivoluzionaria proletaria a un problema pratico che pone l'organizzazione della rivoluzione proletaria. Vedremo più avanti quello che un proletario deve fare a proposito della questione nazionale borghese. Non è l'arricchimento teorico del marxismo che ci preoccupa, ma l'avanzamento della rivoluzione proletaria. N.d.R.

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Pierre Souyri aggiunge: “Dapprima difficoltà legate alla terminologia e ai concetti che non permettono sempre di differenziare chiaramente Stati, nazioni e nazionalità e che fanno spuntare delle incertezze e delle controversie tanto più vive che i marxisti sono prigionieri dei modelli occidentali dalla formazione delle nazioni che non permettono loro di comprendere ciò che sta avverandosi in Europa centrale e sud-orientale alla fine del 19°secolo. Là, a differenza di ciò che era accaduto nei paesi dell'Occidente dove gli Stati erano stati gli strumenti dell'assembramento e dell'unificazione delle nazioni, gli Stati appaiono solamente all'ultima tappa, molto tempo dopo che le nazioni abbiano cominciato ad affermarsi prendendo lentamente coscienza di loro stesse come comunità di lingua e di cultura. I marxisti dovevano, inoltre, fare spesso violenza alle proprie abitudini di pensiero per riuscire ad ammettere che non c'erano solamente, come diceva J. Guesde, "due nazioni: la nazione dei capitalisti, della borghesia, della classe possidente da un lato, e dall'altro lato la nazione dei proletari, della massa dei diseredati, della classe lavoratrice", e che il proletariato poteva sentirsi interessato da rivendicazioni nazionali e non solamente nei suoi strati arretrati e mal liberati dall'ideologia borghese. G. Haupt mostra come, verso la fine del 19° secolo, i progressi dell'industrializzazione nell'Impero degli Habsbourg sconvolgono la composizione sociale e nazionale del proletariato e fanno nascere sotto lo strato degli operai qualificati tedeschi, una massa di manovre provenienti da diverse nazionalità dell'Impero e che si sentono al tempo stesso socialmente e nazionalmente oppresse. "Essere Ceco a Vienna, significa essere proletario". Da allora, rifiutare di prendere in considerazione le aspirazioni nazionali o accordar loro solamente un'attenzione reticente in nome di un rigoroso internazionalismo di principio, equivale a chiudere il socialismo su posizioni pietrificate che rischiano di renderlo straniero al proletariato reale. Come il socialismo si diffonde verso l'Europa orientale, poi verso i paesi extraeuropei, i marxisti si trovano costretti a rivedere la loro problematica della questione nazionale e a riconsiderare la loro visione del movimento storico. Essi hanno bisogno di "de-occidentalizzare” il marxismo, ammettere che non è vero che l'internazionalizzazione crescente della vita economica basti a produrre un'omogeneizzazione della civiltà e delle culture che aprano la prospettiva di un superamento delle particolarità nazionali e che esistono, almeno, delle contro-tendenze che fanno si che la penetrazione del capitalismo "nei popoli senza storia" finisce non nella loro assimilazione, ma nel loro risveglio nazionale.

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A forza di cercare di giustificare il nazionalismo sciovinista, Souyri finisce per trovare qualche scheletro nell’armadio. Lui non fa qui opera di originalità. Tutti i nazionalisti sciovinisti vi diranno che bisogna essere nazionalisti poiché il proletariato è plasmato – contaminato – d’idee nazionaliste – proprio come è contaminato di idee religiose - di aspirazioni borghesi - di cultura borghese – anche il proletariato crede molto spesso che non esista come classe sociale - poiché tutta la propaganda dei media borghesi nega la sua esistenza. In una società di classe, le idee dominanti sono quelle della classe dominante. In una società

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capitalista nazionalista borghese, le idee dominanti sono quelle della classe borghese, fino al giorno in cui la borghesia stessa è costretta a ripudiare la propria ideologia nazionalista per farla evolvere verso l'internazionalismo imperialista, per conformarsi alle necessità dei mercati internazionali; alle migrazioni dei proletari in marcia verso nuovi focolari di sfruttamento; ai bisogni di espropriazione delle ricchezze naturali e alle necessità dell'importazione delle merci e dei capitali venuti da orizzonti internazionali. Souyri non avrebbe scritto questo se avesse semplicemente compreso che i frutti internazionalisti maturassero nelle borghesie ex-nazionaliste diventate mondialiste. Così, qual è la cosa importante che "nei paesi dell'Occidente gli Stati sono stati gli strumenti dell'assembramento e dell'unificazione delle nazioni, mentre all'Est gli Stati non apparirono, solamente all'ultima tappa, molto tempo dopo che le nazioni abbiano cominciato ad affermarsi prendendo lentamente coscienza di loro stesse come comunità di lingua e di cultura"? Oggi l'ex-impero sovietico è stato balcanizzato - frammentato in Stati-nazione "liberati" , dominati - spogliati da un pugno di monopoli imperialistici giganti rappresentati da marionette politiche nazionaliste. Talvolta basta aspettare che la ruota della storia abbia completato il suo ciclo per vedere il mondo sotto un cielo differente. Fu un tempo in cui il capitale era nazionale, oggi è diventato internazionale come il proletariato, la classe che lo rovescerà. Per i proletari rivoluzionari è reazionario fare comunella con la piccola borghesia riformista e con il piccolo capitale nazionale per tentare di rallentare la marcia della storia mondiale verso l'emergere, poi il crollo dell’imperialismo declinante. N.d.R.

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Pierre Souyri, continuando la sua critica, scrive: “In questa evoluzione storica del marxismo, il contributo degli austriaci, di Otto Bauer soprattutto, costituisce una tappa capitale. Senza dubbio gli austro-marxisti sono soprattutto preoccupati di impedire l’esplosione dell'impero multinazionale raccolto dagli Habsbourg e di contenere le forze centrifughe che minacciano di disgregare il proprio partito. Questa preoccupazione ha condotto Otto Bauer a elaborare una concezione della nazionalità che taglia il problema della sua dimensione politica e ha fatto astrazione del carattere di classe delle produzioni culturali. O. Bauer sarà anche attaccato dall'estrema sinistra del movimento socialista - A. Pannekoek e Strasser che insistono nel considerare che non può avere, per il proletariato, interessi nazionali specifici -. che da Kautsky, che non ammette che l'avvento del socialismo possa essere accompagnato da un approfondimento delle differenze nazionali e dai bolscevichi che rimetteranno in discussione le concezioni "psico-culturali" della nazione che hanno elaborato gli austro-marxisti e le soluzioni che propone la socialdemocrazia austriaca per risolvere la questione nazionale. Tuttavia, i teorici viennesi hanno contribuito a scuotere l'inerzia della Seconda Internazionale. Le loro ricerche hanno aperto la via all'idea che la nascita delle nazioni non appartenesse necessariamente al passato dell'Europa e del mondo e che l'internazionalismo proletario non potesse voltare le spalle alle aspirazioni delle nazionalità oppresse.

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Ci perdonerà questa ripetizione, ma l'argomento è ricorrente. Che cosa sono le "aspirazioni delle nazioni oppresse"? Quali nazioni opprimono le nazioni oppresse? Una certa sinistra borghese quebecchese è andata fino ad inventare "la classe-nazione canadese, quebecchese, francofona oppressa" dalla “classe-nazione canadese, inglese opprimente” (sic), l’appartenenza di classe è fissata dalla lingua dominante in ciascuna di queste comunità. Questa mistica fascista proviene dai sociali fascisti tedeschi, austriaci, francesi e altri. Una nazione è composta da una comunità umana che prima di avere delle somiglianze linguistiche, morali e culturali è innanzitutto muta dagli antagonismi di classe, una piccola porzione (borghese) della nazione sfrutta una grande porzione (proletaria) della nazione e questa è la madre di tutte le contraddizioni sociali. Una parte della nazione è disposta a condurre la guerra nazionale, fino all'ultimo proletario se necessario, mentre un'altra parte della nazione aspira alla pace fino all'ultimo borghese se richiesto. Così, una piccola porzione della nazione francofona del Québec è diventata ricca, prospera, sfruttando il lavoro subordinato dei proletari del Québec ed esigendo sempre più aiuti dallo stato borghese. Oggi questa porzione della nazione è proprietaria di grandi conglomerati internazionali, mentre una grande parte della nazione francofona e anglofona del Québec è coperta di debiti, vende quotidianamente la sua forza lavoro a prezzo bassissimo - riceve sempre meno servizio dallo stato nazionale del Québec e migra fuori dalla "patria" per trovare a "darsi da fare" in inglese o in francese. I proletari hanno abbandonato ogni religione e si sono disinteressati della politica borghese demagogica. La situazione è identica tra le due classi antagoniste che compongono il resto dell'insieme canadese in maggioranza di lingua inglese. La situazione è identica nelle nazioni amerindie. Quali nazioni sono oppresse - quali nazioni sono oppressive nel Québec e in Canada? Nessuna. Possiamo identificare una classe sociale oppressa - indipendentemente dalla lingua d’uso dei suoi membri e noi possiamo identificare una classe sociale oppressiva - indipendentemente dalla lingua d’uso dei suoi "aderenti". Un capitalista anglofono canadese sfrutta i proletari canadesi, non sfrutta i capitalisti della nazione del Québec con i quali abbraccia degli affari, e inversamente per i capitalisti del Québec in "business" con i capitalisti del resto del Canada e del mondo intero. Gli interessi dei capitalisti del Québec non hanno niente in comune con quelli dei proletari del Québec. Ci ritorneremo su queste questioni. N.d.R.

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Torniamo alle Note di lettura di Pierre Souyri: “Quando, alla vigilia della guerra, Lenin affronta a sua volta la questione nazionale, la sua riflessione può appoggiarsi sull'insieme delle ricerche fatte da Marx e che hanno largamente esteso e trasformato il campo teorico del socialismo. Ma egli riesce a rinnovare quasi completamente il problema dei rapporti tra le aspirazioni nazionali e il socialismo perché lui lo pensa in funzione del

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tema delle disuguaglianze di sviluppo che il capitalismo imprime al processo storico e allo scontro che si produce nei paesi arretrati tra i compiti borghesi democratici e i compiti proletari della rivoluzione. La cancellazione delle particolarità nazionali attraverso lo sviluppo del capitalismo, che aveva sottolineato a lungo Kautsky, prosegue, ma diventa, al 20° secolo, contemporaneo di un risveglio nazionale che suscita l'espansione del capitale imperialista verso i paesi arretrati. Questi due movimenti non sono necessariamente contraddittori nella misura in cui appartiene al movimento proletario spingere fino al suo termine la rivoluzione democratica, le cui aspirazioni nazionali costituiscono solamente un elemento. Nel sistema teorico di Lenin, il nazionalismo dei popoli oppressi si trova così integrato in una strategia coerente della rivoluzione. Questo si inserisce in un processo più generale attraverso il quale la realizzazione delle aspirazioni nazionali prepara il deperimento dei particolarismi nazionali e ne costituisce anche la condizione. Come per Marx o Rosa Luxemburg, le aspirazioni nazionali non hanno per Lenin interesse intrinseco. Queste sono riconosciute solamente per essere utilizzate ai fini di un movimento che implica il loro superamento. Tuttavia, è impossibile non constatare oggi che la concezione leninista non ha resistito alla prova degli avvenimenti. M. Lowy mostra che la storia non ha cessato di smentire le concezioni e le previsioni di Engels. Ora, sebbene per ragioni differenti, va di pari passo con quelli di Lenin. La maggior parte delle nazioni che si sono costituite dopo il 1918, poi dopo la disintegrazione degli imperi coloniali, non si sono fatte sulla base di una subordinazione delle aspirazioni nazionali al movimento proletario. È anche l'inverso che si è spesso prodotto: anche nei paesi dove esisteva un movimento operaio, questo si è lasciato integrare alla lotta nazionale e ha costituito una semplice forza di appoggio per il nazionalismo che ha portato alla formazione di Stati borghesi o di Stati burocratici che hanno trovato il loro punto di appoggio principale nella guerriglia contadina. La grande strategia concepita dai bolscevichi è coerente solamente nell'astratto o nell'immaginario dei teorici: essa non ha trovato riscontro nella pratica.

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La grande strategia concepita dai bolscevichi, come scrive qui Pierre Souyri, non soffriva di incoerenza né di una mancanza di correlazione pratica. I bolscevichi si sono ritrovati alla testa di una rivoluzione democratico-borghese anti-feudale condotta dalla borghesia russa, diretta da Kerenski e appoggiandosi su un'immensa classe contadina asservita e affamata alla quale i bolscevichi hanno portato il sostegno del nascente piccolo proletariato russo - altrettanto nascente come era il metodo di produzione capitalista industriale nella Russia zarista -. I bolscevichi, hanno strappato la direzione di questa rivoluzione a Kerenski, riunendo la classe contadina grazie allo slogan riformista "Pane, Pace, Terra". Come eccellente stratega Lenin ha forgiato una teoria adattata a questa pratica di lotta di classe in un contesto di guerra di liberazione nazionale borghese che ha affibbiato epiteti di "anti-imperialista e socialista", immaginando anche un nuovo modo di produzione a cavallo tra il capitalismo e il

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comunismo che lui ha chiamato il socialismo della Nuova Economia Politica (NEP). La rivoluzione russa era, in effetti, una rivoluzione anti-imperialista, ma non contro l'imperialismo moderno, fase ultima del metodo di produzione capitalista, ma contro il decadente imperialismo feudale, finendo la sua esistenza e dovendo lasciare il posto (come l'aveva fatto molti anni prima nei paesi della vecchia Europa) all’emergente metodo di produzione capitalista - un compito rivoluzionario tagliato su misura per la borghesia rivoluzionaria, ma certamente non per il proletariato nascente, che dovrà aspettare ancora un secolo. Siamo ad oggi. L'imperialismo moderno (capitalista) ha completato la sua espansione fino nelle pianure del Gange e dello Yang Tsé. Ecco la rosa proletaria del mondo intero, si aprano le danze. N.d.R.

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CAPITOLO 4 NAZIONALISMO E SOCIALISMO (11)

PAUL MATTICK

In questo capitolo analizziamo un importante testo di Paul Mattick intitolato "Nazionalismo e socialismo", pubblicato in inglese nel The American Socialist nel settembre 1959, in francese nel Front Noir (febbraio 1965), e nel ICO n° 99 nel novembre 1970. Ancora una volta i nostri commenti sono identificati dalle lettere N.d.R.

Mattick scrive: “i socialisti non-utopisti favorirono il capitalismo come opposto ai vecchi rapporti sociali di produzione, e salutarono il nazionalismo nella misura in cui poteva accelerare lo sviluppo capitalista. Senza ammetterlo apertamente, essi non erano tuttavia lontani dall'accettare l'imperialismo capitalista (…). Essi erano anche favorevoli alla scomparsa delle piccole nazioni non in grado di sviluppare l'economia su larga scala (…). Sostenevano tuttavia le piccole "nazioni progressiste" contro i grandi paesi reazionari (…). Tuttavia, in nessun momento e in nessun caso, il nazionalismo era considerato un obiettivo socialista”.

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Dovunque il metodo di produzione capitalista si è costruito al riparo delle frontiere nazionali, compreso in Unione sovietica, nella Cina maoista, in Vietnam, in Corea e a Cuba. Queste frontiere hanno il ruolo di preservare per un periodo le particolarità tribali, feudali, contadine, etniche e di commercio locale, che il capitalismo stritola e distrugge con il tempo per consolidarsi, difficilmente talvolta, come fa fede la nascita dei nazionalismi nel Medio Oriente e in Africa. Ognuno è anche in grado di apprezzare la limpidezza del riassunto presentato da Mattick che concentra la quintessenza del pensiero socialista piccolo-borghese sulla questione delle lotte di liberazione nazionale e contro "l’imperialismo politico" da Bukharin, Lenin, Trotskij, Stalin e Mao. I guru dell'ortodossia marxista-leninista presentano l'imperialismo come una politica di grandi potenze e si oppongono al "ritorno di queste contrade al pre-capitalismo", processo storico del ritorno al passato impossibile in ogni maniera, che anche i criminali di guerra americani non sono riusciti a imporre ai vietnamiti, e che i macellai "Khmer rossi" non sono riusciti a imporre ai cambogiani. Inoltre, è sfortunatamente falso pretendere, come fa Mattick, che "il nazionalismo non è stato mai considerato come un obiettivo socialista". N.d.R.

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Seguiamo il pensiero di Mattick. Egli scrive: ”Questo nuovo nazionalismo, che scuote la dominazione occidentale e stabilisce i rapporti di produzione capitalista e l'industria moderna in regioni ancora sottosviluppate, è sempre una forza "progressista" come lo era il nazionalismo del passato? Queste aspirazioni nazionali coincidono in qualche cosa con le aspirazioni socialiste? Accelerano la fine del capitalismo indebolendo l'imperialismo occidentale oppure iniettano una vita nuova al capitalismo estendendo al mondo intero il suo metodo di produzione?

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Il grande capitale e i suoi teorici hanno insinuato che ci sarebbe un rapporto di dominio occidentale nei confronti della civiltà orientale. Qui, Mattick insinua che "il nuovo nazionalismo istituisce i rapporti di produzione capitalista e l'industria moderna nelle regioni sottosviluppate". Secondo la teoria materialista dialettica proletaria è lo sviluppo delle forze produttive e dei mezzi di produzione che istituiscono lo sviluppo di un certo tipo di rapporti di produzione (lo stato-nazione) e un'ideologia (nazionalista borghese), che gli intellettuali borghesi chiamano "civiltà occidentale" se essa è impregnata di artefatti feudali occidentali e "civiltà orientale" se è impregnata di artefatti feudali orientali. Questi rapporti di produzione capitalisti - dovunque gli stessi poiché il metodo di produzione capitalista industriale è dovunque lo stesso – a loro volta, rinforzano lo sviluppo dei mezzi di produzione. Così, è lo sviluppo industriale dell'Asia che ha permesso l'emergere di rapporti di produzione capitalisti nazionali, (durante la fase di uscita), nella Cina maoista particolarmente, paese che ha sviluppato un'industria vigorosa al riparo dalle sue frontiere nazionali e che adesso come Stato-nazione capitalista ha raggiunto lo stadio ultimo, imperialista, di sviluppo, integrando il capitale finanziario globalizzato. La Cina, dunque, cerca di abbattere le barriere tariffarie dei suoi concorrenti per conquistare i loro mercati orientali o occidentali. Il capitalismo è la condizione del nazionalismo che lo rinforza finché il capitalismo, arrivando alla fine delle sue contraddizioni, entri nella fase imperialista e faccia cadere le frontiere nazionali e ripudi l’ideologia nazionalista. N.d.R.

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Mattick aggiunge: “Tuttavia, alla fine del secolo, è l'imperialismo, non il nazionalismo, ad essere all'ordine del giorno. Gli interessi tedeschi "nazionali" erano diventati interessi imperialistici rivaleggiando con gli imperialismi di altri paesi. Gli interessi "nazionali" francesi erano quelli dell'impero francese, come quelli della Gran Bretagna erano quelli dell'Impero britannico. Il controllo del mondo e la divisione di questo controllo tra le grandi potenze imperialiste

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determinavano delle politiche "nazionali". Le guerre "nazionali" erano delle guerre imperialiste che culminavano in guerre mondiali”.

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Nuova dimostrazione, (qui sopra), del pensiero socialista-idealista-borghese a proposito dell'imperialismo che Bukharin, Lenin e i bolscevichi hanno tramandato alla Terza Internazionale e ai partiti comunisti nazionalisti (eurocomunisti in particolare) e che i trotskisti e altre opposizioni di sinistra e di destra hanno adottato. "È l'imperialismo e non il nazionalismo che è all'ordine del giorno della battaglia", scrive l'autore stabilendo un'opposizione tra imperialismo e nazionalismo. L'imperialismo non è una politica di grande potenza che opprime i piccoli paesi nazionalisti come Bukharin ha sostenuto. Non c'è metodo di produzione imperialista francese, britannico, tedesco o americano. L'imperialismo è il metodo di produzione capitalista nazionale giunto a maturità, è dovunque lo stesso. L'imperialismo moderno (capitalista) è il capitale finanziarizzato, globalizzato che tenta futilmente di compensare il deprezzamento dei mezzi di produzione dall'aumento della produttività del lavoro e così facendo dal rialzo della sua composizione organica, il che l'immerge più profondamente nella sua contraddizione.La caratteristica di ogni paese capitalista, piccolo o grande che sia, è di raggiungere lo stadio finale dell’evoluzione capitalista - lo stadio imperialista dove i rapporti di produzione capitalisti non possono più assicurare lo sviluppo delle forze produttive sociali, impedendo, di fatto, il metodo di produzione di riprodursi per assicurare la valorizzazione del capitale; lasciando il proletariato inutile, orfano del suo padrone alienante; costringendolo ad emanciparsi o a sparire. Ma poi, non su scala nazionale - quello che i marxisti avevano compreso istintivamente denunciandone la velleità di costruire il metodo di produzione comunista in un solo paese –, ma su scala internazionale che la rivoluzione proletaria dovrà essere condotta. La politica rivoluzionaria del proletariato non fa sue le lotte democratiche e borghesi di liberazione nazionale che sono solamente delle guerre tra clan capitalisti per il controllo dell'apparato di stato borghese e delle fonti di plusvalore. N.d.R.

********** Sulle tracce di Paul Mattick noi scopriamo: “Un coerente socialismo internazionale, per esempio come quello di Rosa Luxemburg, si opponeva alla "autodeterminazione nazionale" dei bolscevichi. Per lei, l'esistenza di governi nazionali indipendenti non cambierebbe il fatto che sarebbero controllati dalle potenze imperialiste poiché queste ultime dominavano l'economia mondiale. Non si potrà mai lottare contro il capitalismo imperialista, né indebolirlo, creando nuove nazioni,: ma solamente opponendo al sovra-nazionalismo capitalista l'internazionalismo proletario. Questi movimenti appartengono alla società capitalista, esattamente come il suo imperialismo. Ma "usare" questi movimenti nazionali per scopi socialisti non poteva significare altro che sbarazzarli del loro carattere nazionalista.

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Come una classe proletaria lillipuziana, inesperta nella lotta di classe sul fronte economico, politico e ideologico, proveniente da mezzi arcaici di produzione, ai margini dell’ascendente capitalismo industriale, sempre in espansione in numerose regioni, e non avendo conquistato ancora certi paesi di Asia, Africa e America Latina; come poteva questa classe emergente imporre l'internazionalismo proletario che lei non sospettava neanche e che verrà solamente con la fase imperialistica di evoluzione del metodo di produzione? N.d.R.

********** E Mattick aggiunge: “La Prima Guerra mondiale produsse la Rivoluzione russa, e, qualunque siano state le sue intenzioni originarie, essa fu una rivoluzione nazionale. Sebbene aspettasse aiuto dall'estero, non ne portò mai alle forze rivoluzionarie dell'estero, eccetto quando questo aiuto fu dettato dagli interessi nazionali russi. La seconda guerra mondiale e le sue conseguenze condussero all'indipendenza per l'India e il Pakistan, per la Rivoluzione cinese (…). Apparentemente, l'era dell'emancipazione nazionale non è finita, ed è evidente che la corrente sempre più forte contro l'imperialismo non serve ai fini socialisti rivoluzionari su scala mondiale.

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Quale "liberazione" e quale "autodeterminazione" per i proletari del Sud-est asiatico, per quelli d’Africa e del Medio Oriente? In un'analisi di classe proletaria dell'economia politica, ogni concetto ha un significato di classe. Così, per noi proletari rivoluzionari, il termine "liberazione" può significare solamente la liberazione dallo sfruttamento, dall'alienazione di classe, dal giogo del metodo di produzione capitalista. In che cosa alcuni proletari del Sud-Est Asiatico, della Cina, dell’Africa, del Medio Oriente, tra il 1945 e 1975, sono stati emancipati? Si viene così a comprendere che i socialisti, comunisti, fronti uniti patriottici, fronti popolari e altre sinistre borghesi nazionaliste considerano come una "liberazione” il fatto che si siano impossessati della direzione dell'edificazione del capitalismo borghese nei loro rispettivi Stati nazionali. La classe proletaria, in corso d’internalizzazione sotto l'imperialismo moderno, conosce i suoi nuovi carcerieri, ma non è sempre emancipata. N.d.R.

********** Paul Mattick si fa ardito e sentenzia: “Ciò che rivela realmente questo nuovo nazionalismo, sono i cambiamenti strutturali dell'economia

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capitalista mondiale e la fine del colonialismo del XIX secolo. Il "fardello dell'uomo bianco" è diventato un fardello reale invece di una occasione. I profitti della dominazione coloniale diminuiscono mentre il costo dell'impero aumenta.

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I proletari rivoluzionari rigettano fermamente ogni accusa razzista a proposito del "fardello dell'uomo bianco". C'è l'uomo bianco capitalista che opprime l'uomo bianco proletario così come l'uomo nero proletario. L'uomo bianco proletario non opprime l'uomo nero proletario. Sono tutti e due oppressi e sfruttati dai loro simili razziali, etnici o linguistici. Così, contrariamente a ciò che scrive Mattick, i profitti dello sfruttamento capitalista nei paesi capitalisti emergenti – nuovamente arrivati al metodo industriale di produzione e di riproduzione - non diminuiscono, questi sono i profitti realizzati nei paesi dominanti, i primi capitalizzati, i paesi dell'occidente che diminuiscono, risultante di due fattori: A) il rincaro del costo di riproduzione della forza lavoro sociale nei paesi industrialmente avanzati; e B) l'aumento della composizione organica del capitale - i capitalisti che meccanizzano la produzione per aumentare la produttività e il tasso di sfruttamento della forza lavoro per ridurre la quantità globale della forza lavoro sociale, il cui costo è in aumento. Il nazionalismo sciovinista e reazionario mira solamente a far accettare questi sacrifici alla classe operaia nazionale. I capitalisti bianchi del Nord non hanno esitato a delocalizzare le loro fabbriche del Nord (bianco) verso il Sud (nero) o verso l’Est (giallo) quando ciò diventava proficuo. Il capitalista, come il proletario, è internazionalista ed egli sa che il capitale non ha patria, colore e odore. Noi l’abbiamo scritto e lo ripetiamo, una nazione o un popolo oppresso e una nazione o un popolo oppressore questo non esiste. Sotto il metodo di produzione capitalista, differenti classi sociali si affrontano e da questi conflitti nascono le condizioni di sfruttamento e oppressione della classe proletaria metropolitana e le condizioni di sfruttamento e oppressione della classe proletaria dei paesi-ex-colonie, chiamati anche paesi capitalisti "emergenti" ora che è vantaggioso sfruttarli industrialmente. Questo sviluppo diseguale e combinato è destinato a essere modificato come lo dimostrano i costanti fenomeni di delocalizzazione e rilocalizzazione industriali. È in questo che il capitale nazionale diventa mondiale costruendo il suo becchino, il proletariato rivoluzionario internazionale. Nel passaggio che segue Paul Mattick espone precisamente l'incomprensione profonda dell'insieme della sinistra sinistroide, opportunista e riformista per quanto riguarda l'imperialismo che considera come un'evoluzione della politica di dominio delle grande potenze economiche dal colonialismo al neocolonialismo. N.d.R.

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Mattick scrive: ”In generale, il colonialismo non paga più, così che, è in parte il principio del profitto stesso che invita a riconsiderare il problema del dominio imperialistico. Due guerre mondiali hanno più o meno distrutto le vecchie potenze

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imperialiste. Ma esse non hanno portato la fine dell'imperialismo che, pure prendendo nuove forme ed espressioni, mantiene il controllo economico e politico delle nazioni forti su quelle deboli (…), l'America non è stata una potenza imperialista nel senso tradizionale. Si è assicurata il beneficio del controllo imperiale, più con la "diplomazia del dollaro" che con l'intervento militare diretto”.

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Le nazioni e gli Stati-nazione sono dei residui del metodo di produzione capitalista ascendente e sono destinati a sparire in seno al "Melting pot" internazionale. Le guerre non possono "portare la fine dell'imperialismo" come sostiene Mattick. Le guerre sono il risultato dell’evoluzione dell'economia politica imperialista nel suo sviluppo contraddittorio – dialettico - e costituiscono l’ultima tattica del sistema capitalista per tentare di sormontare le sue contraddizioni. Per quanto riguarda la "diplomazia del dollaro" che avrebbe rimpiazzato la "diplomazia del cannoneggiamento", costatiamo semplicemente che gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente in 200 riprese dalla fine della Seconda Guerra mondiale; che i capitalisti che dominano questo paese hanno condotto il loro paese alla guerra 220 anni sui suoi 240 anni di esistenza. Ne risulta che la potenza militare dell'Alleanza imperialistica occidentale è molto attiva nella difesa dei suoi interessi - non nazionali - ma degli interessi dei capitalisti monopolisti internazionali, finanziari in particolare, attraverso la diplomazia del cannoneggiamento, della porta-aerei, del missile e del drone. La diplomazia del dollaro e la diplomazia del cannoneggiamento sono due tattiche complementari. N.d.R.

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Paul Mattick afferma in seguito: “Nessuna delle potenze europee è abbastanza forte oggi per opporsi alla completa dissoluzione del suo impero, se non con l'aiuto americano. Ma questo aiuto sottomette queste nazioni cosi come i loro beni all'estero, alla penetrazione e al controllo americano. Ereditando da ciò che abbandona l'imperialismo al suo declino, gli Stati Uniti non provano il bisogno di volare in soccorso all'imperialismo dell’Europa occidentale. "L'anticolonialismo" non è una politica americana deliberatamente voluta per indebolire gli alleati occidentali (…) ma è stata scelta nella prospettiva di rinforzare il mondo libero".

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Il metodo di produzione capitalista americano non è in guerra contro il metodo di produzione capitalista europeo, russo o cinese. Esiste un'alleanza di imprese concorrenti che hanno raggiunto la fase imperialista di evoluzione capitalista e tutte sono in competizione le une contro le altre, ma anche in concorrenza contro le imprese capitaliste

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"emergenti" e globalizzate. Questi non sono i paesi che sono "emergenti", questi sono le grandi imprese dei paesi del sud che si raggruppano in conglomerati per fare fronte ai monopoli occidentali.È là dove germoglia naturalmente il loro sviluppo imperialistico. Un'inchiesta recente dell'ONG OXFAM rivela che insieme le dieci più grosse corporazioni del mondo hanno dei redditi più importanti dei redditi governativi di 180 paesi combinati, questo è l'imperialismo. Questi immensi conglomerati si scambiano dei beni di consumo, ma anche dei mezzi di produzione - dei capitali - è a questo momento che intervengono le banche e i mercati finanziari, ed essi si dividono i mercati dopo aspri negoziati se non la guerra.L'evoluzione molto veloce dei rapporti di produzione capitalisti tra questi conglomerati "emergenti" e in questi paesi "emergenti” li pone già in posizione di conquistatori nei confronti dei loro vecchi mentori. Il proletariato deve prendere parte in favore di questi capitalisti nazionali "emergenti” o in favore degli antichi capitalisti internazionali? Né l’uno, né l’altro, evidentemente. Così, la Cina, che non ha completato ancora l'integrazione di 350 milioni di suoi contadini con le sue forze produttive industriali "nazionali", è già in corsa per la robotizzazione della sua produzione industriale per raggiungere una più grande produttività che lo porti a sostenere la concorrenza imperialista mondiale e a sacrificare milioni di proletari che domani non avranno altra scelta se non ribellarsi e distruggere - non la "nazione cinese", o l'imperialismo cinese “emergente” -, ma il metodo di produzione capitalista in China, come contributo alla rivoluzione proletaria mondiale. N.d.R.

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Mattick riallaccia: «Privi di possibilità imperialiste, la Germania, l'Italia e il Giappone, non hanno più alcuna politica indipendente. Il declino progressivo degli Imperi francese e britannico ha fatto di queste nazioni delle potenze di secondo ordine. Allo stesso tempo, le aspirazioni nazionali delle regioni meno sviluppate e più deboli possono realizzarsi solo se entrano nei piani di conquista degli imperialismi dominanti.

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In che cosa la Germania e il Giappone furono privati di capacità imperialistiche? La forza di una potenza capitalista - in fase imperialistica - è in misura delle sue capacità economiche industriali, commerciali, finanziarie e ultimamente militari. La Russia sovietica ha insegnato queste cose alla Germania hitleriana. Gli Stati Uniti di Roosevelt hanno insegnato queste cose al Giappone di Hiro-Hito. La Cina produce e consuma la metà dei prodotti industriali del mondo, cemento, energia, gomma, prodotti chimici, acciaio, rame, alluminio, ecc. Così, la Cina nel 2016 ha acquistato per lei sola la metà dei robot industriali messi nel mercato dalla Germania, Giappone e dalla Corea. La produzione industriale cinese rappresenta il 55% del PIL di questo paese e occupa il 45% della sua manodopera salariale totale, ossia 350 milioni di proletari ai quali 350 milioni di altri che

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aspettano la loro integrazione, è due volte la popolazione totale degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti il 70% del PIL riguarda il consumo di merci, che questo paese non produce e meno del 12% del PIL nazionale proviene dall'industria, in particolare dall'industria dell'armamento sovvenzionato e parassitario. Meno del 12% del proletariato americano opera nell'industria produttiva, fortunatamente il suo tasso di produttività è molto elevato. Questa potenza capitalista, nel suo stadio imperialistico declinante, non ne ha più per molto tempo di fronte all’ascesa del suo sostituto, non nazionale, ma internazionale, che anche se non volesse mettersi avanti militarmente, sarà costretto a farlo. N.d.R.

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Paul Mattick è recidivo e riafferma con ostinazione la sua incomprensione del concetto di imperialismo, ultima fase di ogni metodo di produzione. Egli scrive: ”L'erosione dell'imperialismo occidentale, si dice, crea un vuoto di potere nelle regioni precedentemente sottomesse. (…). Le rivoluzioni nazionali nelle regioni arretrate dal punto di vista capitalista, sono dei tentativi di modernizzazione attraverso l'industrializzazione, sia che esprimano semplicemente un'opposizione al capitale straniero, sia che tendano a cambiare i rapporti sociali esistenti. Ma mentre il nazionalismo del XIX secolo era uno strumento di sviluppo del capitale privato, il nazionalismo del XX secolo è essenzialmente uno strumento di sviluppo del capitalismo di stato. (…). Il nazionalismo attuale porta nuovi colpi ad un mercato mondiale (…).

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(Le "rivoluzioni" nazionaliste, nelle regioni arretrate economicamente, non hanno mai espresso un’opposizione al capitale e non hanno cambiato i rapporti sociali capitalisti, ma li hanno piuttosto rinforzati. Il nazionalismo non è più il modo specifico e universale dei rapporti di produzione capitalista, ma una modalità di sviluppo ideologicamente orientato, in un senso nell’ultimo secolo e in un altro senso nell’attuale secolo, secondo l'immaginazione fertile dei socialisti e dei sinistroidi. Il nazionalismo è stato e sarà sempre l'ideologia della classe borghese ascendente - qualunque sia il paese o il continente dove si sviluppi. All’inizio il nazionalismo si oppone al libero mercato mondiale, poi dopo una fase di capitalizzazione nazionale, esso desidera la sua integrazione multinazionale nel grande mercato mondiale imperialista. Questo è tanto vero nell'Europa, culla del capitalismo, in America e in Oceania dove è stato trapiantato, come in Asia dove è stato sfornato, e in Africa dove è stato imposto. N.d.R.

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Paul Mattick scrive poi: «Dietro i movimenti nazionalisti, c'è, ovviamente, la pressione della povertà che diventa sempre più esplosiva man mano che aumenta la differenza tra nazioni povere e ricche. La divisione internazionale del lavoro, come è determinata dalla formazione del

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capitale privato, implica lo sfruttamento delle zone più povere da parte delle più ricche e la concentrazione del capitale nei paesi capitalisti avanzati. Il nuovo nazionalismo si oppone alla concentrazione del capitale determinata dal mercato, in modo da assicurare l'industrializzazione dei paesi sottosviluppati. (…). Oggi, compagnia privata e controllo governativo operano simultaneamente in ogni paese capitalista, e nel mondo intero. In modo che la subordinazione della concorrenza privata alla concorrenza nazionale sia spietata (…).

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Con il pretesto di teorizzare il principio dell'imperialismo e di opporlo alle aspirazioni nazionali delle "regioni povere" nei confronti delle "regioni ricche", Mattick oppone il capitalismo nazionale privato al capitalismo nazionale pubblico. Lo Stato capitalista sarebbe un'entità indipendente dalla classe capitalista dominante. Per dirlo diversamente, ci sarebbe da un lato la classe capitalista e dall'altro lo Stato capitalista diretto da burocrati e da cacicchi statali indipendenti che hanno la loro agenda di sviluppo. Come ha scritto Mattick, lo Stato capitalista è un organismo derivato dallo sviluppo del metodo di produzione – è un componente dei rapporti sociali capitalisti di produzione - e in ciò lo Stato borghese può rispondere solamente ai bisogni di sviluppo di questo metodo di produzione. Non si può avere subordinazione della concorrenza privata alla concorrenza nazionale, le due si completano. Questo Stato non si blocca nel suo funzionamento se non quando il metodo di produzione si invischia nelle sue contraddizioni, si blocca lui stesso. Si dice allora che le condizioni oggettive e soggettive della rivoluzione sono riunite. N.d.R.

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Mattick aggiunge: “Alla base delle aspirazioni nazionali e delle rivalità imperialiste, si trova il bisogno reale di un’organizzazione mondiale della produzione e della distribuzione, come il geologo K. F. Mather lo ha fatto notare, perché la "terra è fatta molto più per essere occupata da uomini organizzati a livello mondiale, potendo praticare al massimo, attraverso il mondo intero, il libero scambio delle materie prime e dei prodotti finiti, piuttosto che da uomini che si ostinano ad alzare delle barriere tra regioni, anche se queste regioni sono dei grandi paesi o dei continenti interi". In secondo luogo, perché la produzione sociale può svilupparsi pienamente, e liberare gli uomini dal bisogno e dalla miseria, solo grazie alla cooperazione internazionale.

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Secondo Mattick: “se non è utilizzata per fini umani una lotta tra nazioni produrrà (…) l’eliminazione della competizione capitalista”. Tremate capitalisti e proletari del mondo intero, voi dovete accettare la cooperazione industriale o la competizione capitalista sparirà. Ma, si potrebbe dire, che è esattamente ciò che si augurano i grandi monopoli internazionali che hanno rinnegato la loro “nazionalità” e che fanno di

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tutto per assorbire i loro avversari ed eliminare i loro concorrenti, ovunque si trovino, salvo che le leggi dell'economia politica capitalista rendono la cosa impossibile e che anche se questo obiettivo fosse raggiunto non risolverebbe la contraddizione fondamentale del capitale. Sotto il metodo di produzione capitalista, non esiste contraddizione come "le aspirazioni nazionali opposte alle rivalità imperialistiche". Perché? Perché l'imperialismo è il culmine dello sviluppo capitalista nazionale. L'imperialismo è il bambino del capitalismo nazionale e come suo padre - che egli uccide giunto a maturità - l'imperialismo ha vocazione di distendersi e di regnare sull'umanità capitalista dopo il parricidio del nazionalismo troppo ristretto per permettere di riprodursi. Riprendiamo il discorso, il capitale mondializzato si trova stretto nella struttura di governance nazionale e cerca di rompere questa gogna, per darsi le condizioni per la sua riproduzione. Ora, questa governance nazionale serve gli interessi della piccola borghesia così numerosa nella società imperialistica avanzata (nel settore terziario in particolare). Questa governance nazionale fa anche al caso del piccolo capitale non ancora monopolista, ma che aspira a diventarlo al riparo delle frontiere nazionali diventate antiquate per il grande capitale. Una guerra di classe esplode in seno alla borghesia (piccola – media – grande) per il controllo dell’apparato di Stato nazionale: il grande capitale per farlo scoppiare, il piccolo capitale e la piccola borghesia per preservarlo e rinforzarlo. Inevitabilmente è il grande capitale che prevale, ma questa guerra di classe reazionaria, tra fazioni borghesi, non riguarda la classe operaia rivoluzionaria che ne prende atto, niente di più. N.d.R.

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Continuamo con Mattick: «Mentre un atteggiamento positivo nei confronti del nazionalismo tradisce una mancanza di interesse per il socialismo, la posizione socialista sul nazionalismo è manifestamente inefficace, cosi come i paesi che ne opprimono altri. Una posizione anti-nazionalista intransigente sembra, almeno indirettamente, appoggiare l'imperialismo (…), i socialisti non hanno il ruolo di fomentare le lotte per l'autonomia nazionale; come lo hanno dimostrato i movimenti di "liberazione" spuntati sulla scia della Seconda Guerra mondiale. (…) il nazionalismo non può essere utilizzato per scopi socialisti e non fu un buon mezzo strategico per accelerare la fine del capitalismo».

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Paul Mattick sostiene che una lotta di classe contro il capitalismo nazionale sarebbe un appoggio all'imperialismo, tuttavia, non sarebbe opportuno condurre la guerra anticapitalista per condurre la guerra anti-imperialista? L'imperialismo non è una potenza economica e politica estera. L'imperialismo è l'ultima tappa di sviluppo del metodo di produzione capitalista, come l’abbiamo scritto in precedenza. In altri termini, ogni Stato capitalista borghese e ogni classe capitalista nazionale che controllano questo Stato sono destinate ad evolversi fino ad integrarsi in un'alleanza imperialista e a continuare la loro lotta

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concorrenziale contro gli altri Stati e contro le altre classi borghesi - ma soprattutto, contro la classe proletaria mondiale da cui tutti stanno traendo il loro plusvalore. Questa integrazione internazionalista avviene in primo luogo sul piano economico tramite la scappatoia del commercio, gli investimenti di capitali (IDF), i maneggi borsistici, gli scambi di monete, le prese di controllo di imprese, i prestiti, il credito, il debito, ecc. Il proletariato rivoluzionario non ha nessun controllo su questa guerra concorrenziale tra alleanze capitaliste che si affrontano attraverso la concorrenza, e può subirne solamente le conseguenze. N.d.R.

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Paul Mattick scrive dopo: «Al contrario, il nazionalismo distrusse il socialismo, utilizzandolo a fini nazionalistici. Il ruolo del socialismo non è quello di sostenere il nazionalismo, anche quando questo combatte l'imperialismo. Combattere l'imperialismo senza indebolire simultaneamente il nazionalismo, non è altro che combattere certi imperialisti e appoggiarne altri, perché il nazionalismo è necessariamente imperialista o illusorio.L'autodeterminazione nazionale non ha emancipato le classi laboriose dei paesi avanzati. Non lo farà neanche adesso in Asia e in Africa. Le rivoluzioni nazionali, l'esempio algerino, per esempio, porteranno poco alle classi povere, a parte il diritto di condividere più equamente i pregiudizi nazionali. Senza dubbio, questo rappresenta qualche cosa per gli algerini, che hanno sofferto un sistema coloniale particolarmente arrogante. Ma possiamo prevedere i possibili risultati dell'indipendenza algerina esaminando il caso della Tunisia e del Marocco, dove i rapporti sociali esistenti non sono cambiati, e dove le condizioni di esistenza delle classi sfruttate non sono state notevolmente migliorate.

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Questa volta noi siamo totalmente d’accordo con Paul Mattick. N.d.R.

CAPITOLO 5

MARXISMO, NAZIONALISMO E LOTTE NAZIONALI OGGI (12)

DAVID McNALLY

In questa sezione del volume, riproduciamo il testo di Davide McNally, un militante canadese di sinistra che presenta nel "Marxismo, nazionalismo e lotte nazionali oggi" un'eccellente sintesi dell'ideologia nazionalista di sinistra. Riproduciamo il testo, pubblicato nel 1996, come documento di discussione dal The New Socialist Group, tradotto in francese dal gruppo La Gauche. Per tutto il testo presentiamo le nostre riflessioni in caratteri italici seguii dalle lettere N.d.R.

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Prima parte: la sfida del nazionalismo al marxismo

1. Il nazionalismo domina la politica mondiale-e lo fa con una sorprendente facilità. Aprite qualsiasi quotidiano, ascoltate le discussioni al lavoro o alla scuola, guardate o ascoltate qualsiasi emissione di notizie, esaminate i corsi che si danno nelle università e troverete che la divisione della popolazione globale in entità chiamate "nazioni" è presa in considerazione in modo schiacciante. Nel momento in cui scrivo queste righe, le Olimpiadi estive si svolgono ad Atlanta. Tutti gli atleti di questi giochi sono organizzati dagli Stati-nazione, essi rappresentano il "loro" Stato, portano il loro colore e la loro bandiera. Le medaglie vinte da questi atleti appartengono al loro paese, loro sono i garanti dell'onore del loro paese e della propria fierezza. Ogni giorno, un quadro delle medaglie è innalzato per nazione ed è diffuso ai milioni di persone che seguono questo avvenimento.

Per la vasta maggioranza delle persone, non c'è niente là di bizzarro, insidioso o pericoloso in questo. Prendono per acquisito che sono membri di uno stato-nazione; essi sono fieri di questa realizzazione; soffrono quando la nazione è nell'imbarazzo o umiliata (ci ricordiamo del caso Ben Johnson?) Si dice loro raramente, semmai ciò accada, che il sistema degli stati-nazione sia una creazione recente nella storia umana, che la maggior parte delle società umane non hanno avuto mai un concetto di nazione, qualunque sia e che l’ascesa del sistema degli stati-nazione corrisponde allo sviluppo internazionale del capitalismo.Inoltre, raramente, si ritrova nel dibattito politico il fatto che il sistema dello stato-nazione è la forma politica che regola, controlla e disciplina le persone in modo da facilitare il loro sfruttamento dal capitale. Spesso, viviamo in un universo mentale dove le discussioni si conducono in termine nazionale - automobili giapponesi, acciaio canadese, film americani, atleti russi, musica giamaicana e così via - e fanno parte del senso comune che organizza la nostra comprensione politica e culturale del mondo. Anche l’ascesa di nazionalismi etnici virulenti - come quelli dell'ex-Iugoslavia, o quelli che attualmente uccidono centinaia di migliaia di persone nel Burundi o in Ruanda, raramente ci porta ad affrontare l'idea di nazione o del nostro proprio nazionalismo. In modo evidente, si esamina il nazionalismo degli altri che è visto come un problema e quasi mai il nostro.

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Che c’è di stupefacente nel fatto che sotto il metodo di produzione capitalista, l'ideologia borghese sia dominante e copra col suo rivestimento di piombo l'insieme della società e delle classi sociali, di cui

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essa controlla la quasi-totalità delle istituzioni e dei media? Tuttavia contestiamo l'affermazione del professore McNally secondo cui il nazionalismo domina la politica mondiale. Il nazionalismo si indebolisce dolcemente sotto gli assalti delle attività economiche internazionali del capitale mondiale. N.d.R.

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2. Per tutte queste ragioni, il nazionalismo rappresenta senza dubbio la più grande sfida posta al marxismo. "I lavoratori non hanno patria", dicevano Marx ed Engels nel Manifesto comunista. Con questo spirito, il marxismo ha lanciato il primo movimento politico che insegnasse in termini internazionali, che cercasse l'emancipazione dell'umanità su scala mondiale e affermasse che l'eliminazione dello stato nazionale fosse il suo obiettivo più elevato. L'Associazione Internazionale dei Lavoratori (conosciuta meglio come la Prima Internazionale), lanciata nel 1864, rappresentava la forma di organizzazione che inquadrava con questa concezione un movimento politico internazionale della classe operaia. Ma, durante quasi tutto il periodo dei 150 anni dalla pubblicazione del Manifesto comunista, c’è stato uno durante il quale i movimenti della classe operaia hanno avuto la tendenza (all'infuori dell’intermezzo del 1917-23 o pressappoco) a diventare, in modo sempre più schiacciante, dominato dal nazionalismo. I movimenti operai sono quasi tutti delle organizzazioni interamente nazionali. Essi pensano a organizzare i lavoratori di un dato paese avendo del resto poche preoccupazioni per le loro sorelle e i loro fratelli. Inoltre, sono dominati dal nazionalismo: tendono a sostenere i controlli delle importazioni (e le altre forme di protezionismo nazionale) a proteggere "i nostri jobs" e "il nostro stile di vita". Non è esagerato dire che il nazionalismo di sinistra è l'ideologia dominante dei movimenti operai in tutto il mondo.

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Di queste constatazioni, essendo veritiere, che dobbiamo pensare? Bisogna concludere che poiché la classe proletaria smarrita - senza ideologia proletaria rivoluzionaria dominante nelle sue fila - senza organizzazione proletaria influente, dovrebbe abbassare le braccia e schierarsi con il nazionalismo borghese, con le lotte di liberazione nazionale borghese per fare uscire la società dal feudalismo e farla entrare nel capitalismo e compiere le due rivoluzioni successive come Lenin proponeva? Certamente no, perché le due rivoluzioni a cascata non sono realizzabili come l'hanno provato le rivoluzioni russe, cinesi, cubane e le altre. Bisogna sapere che queste analisi pseudo-scientifiche dell'economia politica capitalista sono false anche se sindacati, organizzazioni della sinistra borghese e degli intellettuali sinistroidi li propagano. Ogni rivoluzionario proletario deve mettersi al lavoro e invece di cercare di

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trovare tra questo ammasso sinistroide la spiegazione più "marxista" - troppo spesso la più dogmatica - deve fare un lavoro di ricerca, di analisi della realtà concreta, diffonderne i risultati e dibattere di queste idee con chiunque. In sintesi, noi raccomandiamo che i proletari rivoluzionari si scostino da ogni partito politico, da ogni organizzazione della sinistra dogmatica e settaria, ereditaria della Seconda, della Terza o della Quarta Internazionale. Bisogna rompere il cordone sanitario anti-proletario che la piccola borghesia settaria, sindacale, delle sovvenzionate ONG, della società civile anti global, eco-socialista, sinistroide, opportunista e riformista ha innalzato intorno ai proletari. N.d.R.

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Sebbene l’influenza del nazionalismo può essere spezzata, le prospettive sono veramente deboli per le politiche dell'internazionalismo socialista. Questo perché, la discussione "sulla questione nazionale" torna in modo ricorrente nel movimento socialista. In seguito, io tento di passare in rassegna gli elementi principali dei dibattiti marxisti sul nazionalismo, per esaminare le loro forze e le loro debolezze e per applicare alcune lezioni che si possono trarre da questo studio sulle questioni nazionali in Canada oggi.

Seconda parte: La questione nazionale da Marx a Trotsky

3. La persistenza del nazionalismo e della realtà delle lotte nazionali ha costretto i socialisti a ritornare regolarmente su questo argomento. Ma è noto che le generalità non funzionano in questo campo. La vasta maggioranza dei socialisti si è adattata o si è adeguata al nazionalismo; essi hanno visto il loro progetto come un modo più umano e più illuminato di dirigere uno Stato nazionale (e non la sua eliminazione nel corso di una lotta internazionale contro la "miseria del mondo"). Una piccola minoranza di socialisti ha provato semplicemente a ignorare le realtà delle lotte nazionali, lanciando senza tregua degli appelli all'unità internazionale dei lavoratori del mondo che non hanno mobilitato nessuno e che ignoravano le questioni nazionali reali e concrete. Ci sono alcune situazioni importanti in cui i socialisti hanno lottato per trovare una via internazionalista legata alle realtà dell'oppressione nazionale. L'atteggiamento di Marx verso l'Irlanda negli anni ’60 del 1800 e l'approccio di Lenin nei confronti dei popoli oppressi dalla Russia zarista, si inseriscono in questa ottica. Prima di esaminare questi esempi, tuttavia, voglio soffermarmi un momento sulle due tendenze alle quali ho fatto cenno.

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La lotta del proletariato rivoluzionario contro il metodo di produzione capitalista non è una crociata, un "modo più umano e illuminato di dirigere lo Stato nazionale" borghese. È una guerra in sospeso dove il proletariato o sparirà sotto le bombe termonucleari del capitale decadente, che avrà a che fare solamente con questo capitale vivente non valorizzabile; o il proletariato rovescerà il capitale nazionale e internazionale per darsi le capacità di creare un nuovo metodo di produzione rivoluzionario. Contrariamente a ciò che hanno preteso i bolscevichi, non c'è nessuna alternativa riformista statalista socialista né di coesistenza pacifica tra il metodo di produzione capitalista e il metodo di produzione proletario-comunista. N.d.R.

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4. Il movimento socialista mondiale ha acquisito un carattere di massa dapprima in Germania alla fine degli anni ’80 del 1800. La Germania era in quel momento una monarchia con un parlamento che era eletto da una piccola minoranza della popolazione adulta. Con gli anni, sempre più lavoratori hanno ottenuto il diritto di voto e il partito della classe operaia è stato organizzato, il Partito socialdemocratico (meglio conosciuto dalle sue iniziali tedesche, la SPD) che divenne una forza politica di primaria importanza. La SPD si è identificata rapidamente con la "presa di controllo" dello stato tedesco e non al suo rovesciamento. Ciò portò i dirigenti della SPD ad essere influenzati sempre più dall'idea dell'interesse nazionale. Poco a poco, i dirigenti hanno cominciato a difendere l'idea di un colonialismo tedesco "progressista". Hanno affermato che un governo della SPD non darebbe loro libertà alle colonie tedesche, li tratterebbe semplicemente meglio. L'identificazione con lo stato nazionale era così potente, così radicato che la maggioranza della direzione della SPD è venuta a sostenere il governo tedesco all'epoca della sua entrata nella Prima Guerra mondiale. La maggior parte dei partiti della suddetta Seconda Internazionale (fondata nel 1889) l'hanno rapidamente seguita su questa via.

5. La marxista germano-polacca, Rosa Luxemburg e il marxista russo V.I. Lenin sono stati all'avanguardia dell'opposizione socialista alla guerra. I due hanno denunciato la Guerra come il prodotto dell'imperialismo e come la conseguenza della concorrenza delle principali potenze capitaliste per dividersi il mondo. Luxemburg e Lenin hanno sviluppato le politiche dell'opposizione socialista internazionale alla guerra e hanno sostenuto che i lavoratori dovrebbero rifiutare di sostenere le "loro" classi dirigenti nazionali e che dovrebbero lavorare per trasformare le crisi sociali legate alla guerra in guerra di classe dei lavoratori contro il sistema capitalista.

6. Luxemburg e Lenin hanno così portato un contributo essenziale alla corrente internazionalista e anti-imperialista dentro il movimento socialista. Malgrado le loro convergenze significative in questo campo, essi

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divergevano molto sulla questione dell'atteggiamento socialista verso le lotte nazionali. Luxemburg difendeva che all'età dell'imperialismo e di un capitalismo pienamente internazionalizzato, le lotte nazionali fossero superate. L'economia mondiale si era sviluppata talmente che l'idea di uno stato-nazione economicamente indipendente era diventata ridicola. "Alla metà del 19° secolo, diceva lei, le guerre nazionali hanno fatto esplodere i vecchi imperi e hanno creato nuovi Stati democratici borghesi e ciò è stato progressista. Ma questa epoca è passata. All'epoca del capitalismo internazionale, è reazionario sostenere la creazione di nuovi stati-nazione. Il compito era allora di mobilitare la classe operaia internazionale contro il capitalismo mondiale". All'epoca del capitalismo sfrenato, non si possono più avere guerre nazionali, diceva lei. Le lotte nazionali "possono servire solamente come mezzi di demoralizzazione", d’imbroglio delle masse. La posizione di Rosa Luxemburg aveva un punto forte: quello di un internazionalismo di principio, la sua vigorosa opposizione al nazionalismo. Ma secondo Lenin essa aveva due debolezze importanti. In primo luogo, lei trascura il carattere gerarchico dei rapporti tra le nazioni - in realtà alcune sono dominanti e altre sono oppresse - e la sua posizione può condurre i socialisti ad una posizione di indifferenza o di neutralità nelle lotte tra le nazioni oppressive e le nazioni oppresse.

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Soffermiamoci di nuovo su questi concetti di "nazioni dominanti, oppressive e sfruttatrici" e "nazioni dominate, oppresse e sfruttate", gerarchicamente differenziate, afferma il professore McNally. Conveniamo innanzitutto che una nazione non è una classe sociale, è piuttosto un raggruppamento di classi sociali. In una nazione, le persone hanno una occupazione - un mestiere - delle condizioni di esistenza - uno vende la sua forza lavoro - la sua sola proprietà o quasi - l'altro acquista dei mezzi di produzione e della forza lavoro per trarne plusvalenza, fonte in definitiva della sua ricchezza, del suo capitale. Merce che altri infine vendono e rivendono ai proletari che dilapidano il loro stipendio defraudato dall’inflazione. Tra queste differenti classi sociali niente in comune, niente mentalità comune, il proletario ha bisogno della pace per riprodursi, il capitalista va alla guerra per assicurare la riproduzione del suo capitale. Talvolta anche la lingua è differente da una classe sociale ad un'altra, il che in proporzione non crea un'oppressione linguistica di classe. Se la classe dominante capitalista francese e il proprio Stato opprimono le classi contadine e proletarie della Costa d'Avorio non è la classe operaia francese che “beneficia” di questo sfruttamento di classe e non è la classe capitalista della Costa d'Avorio che è sfruttata e oppressa dai suoi mentori francesi che al contrario attribuisce loro guadagni, contratti di subappalto e partecipazioni all'azionariato delle multinazionali del capitale, che si ha torto di qualificare come multinazionali francesi, belgi o americane. In sintesi, la nazione francese non sfrutta la nazione della Costa d'Avorio. Per inciso, dopo qualche tempo i miliardari francesi e ivoriani si cooptano in

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seno ai consigli di amministrazione in Costa d'Avorio, in Francia e altrove nel mondo. Ultimamente, si annunciava che un premier miliardario vietnamita acquistava delle azioni in un'impresa chimica multinazionale, quella stessa che aveva prodotto "l'agente arancione" i cui effetti fanno morire ancora i bambini vietnamiti, i cui genitori si spaccano nelle "sweats shops" della morte, proprietà di questo miliardario vietnamita. Non ci sono nazioni oppresse-sfruttate, come non ci sono nazioni oppressive-sfruttatrici, ci sono solo classi sociali oppresse e classi sociali oppressive, che vivono per le prime sotto lo stivale oppressivo degli aguzzini nazionali e del loro Stato che ogni clan "nazionalista" borghese vorrebbe controllare per il proprio beneficio. Da un secolo, dalle vittorie bolsceviche e maoiste, i comunisti e i sinistroidi del mondo intero hanno proposto di sostituirsi alle borghesie nazionaliste corrotte e vacillanti per realizzare le rivoluzioni democratiche borghesi, sperando di continuare fino alla rivoluzione "socialista" in marcia verso il metodo di produzione comunista. Sono fallite tutte, non per colpa dei traditori riformisti revisionisti e opportunisti, ma perché le condizioni economiche oggettive, lo sviluppo delle forze produttive in questi paesi arretrati, da un punto di vista industriale, richiedevano lo sviluppo preliminare del capitalismo. I leader "comunisti" si sono dunque ritrovati nella posizione di quadri del cosiddetto capitalismo di Stato in marcia verso il metodo di produzione proletario-comunista attraverso l’economia di mercato e il metodo di produzione socializzato, che non è stato mai altro che la via statale totalitaria verso il capitalismo, poi l'imperialismo, come ha dimostrato la storia dell'URSS e della Cina "comunista". Nella storia non c'è stata mai "lotta di liberazione nazionale proletaria", ci sono state solo lotte di una borghesia nazionale, o di una fazione di queste, servendosi delle classi sociali contadine e proletarie nazionali come carne da macello per la difesa delle loro azioni e delle loro ambizioni come hanno dimostrato tutte le guerre di liberazione nazionali borghesi dove il proletariato si ritrova oggi, dopo molte difficoltà, a guerreggiare per liberarsi dei suoi nuovi carcerieri nazionali. Senza liberazione economica globale, non c'è liberazione politica e ideologica nazionale. Peggio, all'epoca dell'imperialismo moderno globalizzato è impossibile per una sezione nazionale del proletariato internazionale di condurre una rivoluzione emancipatrice in un solo, in due o in tre paesi. La futura rivoluzione proletaria sarà mondiale o non lo sarà. N.d.R.

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In secondo luogo, la posizione di Rosa Luxemburg sottovaluta l'importanza per i socialisti di difendere i diritti dei popoli oppressi fino alla loro autodeterminazione come mezzo per sfidare lo sciovinismo nazionale che colpisce i lavoratori e le nazioni dominanti. Secondo Lenin, l'errore di Luxemburg, in altri termini, viene dal fatto che lei considera le lotte nazionali, dal punto di vista generale, astratte dall'economia mondiale. Facendo ciò, lei perde di vista le dinamiche politiche concrete, il modo in cui i conflitti nazionali strutturano il terreno della lotta politica e la coscienza di classe della classe operaia. Se i marxisti devono essere realmente parte integrante dei dibattiti politici nella società, afferma

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Lenin, una posizione astratta e senza tempo di questo tipo: "tutte le lotte nazionali sono superate", non serve a niente. Al contrario, i socialisti rivoluzionari devono provare a comprendere come date lotte nazionali colpiscano il terreno generale della lotta politica nella società e costruiscono il loro percorso a partire da là. Lenin ha presentato la tesi che ha sviluppato in questo campo come un'elaborazione della posizione che Marx aveva preso nella lotta per l'indipendenza irlandese. In effetti, la posizione di Lenin era più originale di questa. Ha sviluppato un approccio completamente nuovo su tutta la problematica delle lotte nazionali. Ma cominciamo con l’esaminare la posizione di Marx sull'Irlanda e vedremo ciò che Lenin ne ha fatto.

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Il professore McNally penetra qui nel cuore della teoria leninista. McNally spiega che Lenin effettua alcune piroette e ci invita a seguirlo nella traccia: 1) egli constata che il proletariato è influenzato dall'ideologia borghese egemonica, in particolare dall'ideologia nazionalista sciovinista. In effetti, in una società di classi l'ideologia della classe dominante è egemonica, noi l’avevamo già scritto. 2) Lenin, come stratega pragmatico, afferma che i "socialisti devono provare a comprendere come date lotte nazionali colpiscano il campo generale della lotta politica (…) è necessario costruire un percorso a partire da là”, sostiene Lenin. Avrete notato che Lenin non propone ancora che i comunisti si impossessino della direzione delle lotte nazionaliste borghesi, ma semplicemente "che costruiscano un passo?!.." Si sa oggi che questo passo consisterà, in particolare per i partiti comunisti della Terza Internazionale, nel sostituirsi alle borghesie nazionaliste vacillanti, o allora a mettersi al rimorchio delle borghesie nazionali per assicurare la vittoria delle rivoluzioni democratiche capitaliste. 3) Lenin tenta in seguito di sigillare la bara di Rosa Luxemburg e degli internazionalisti rivoluzionari chiamando Marx alla riscossa. Ci ritorneremo. N.d.R.

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7. Marx ed Engels avevano dapprima dato poca importanza alla lotta di indipendenza irlandese nei confronti della Gran Bretagna. Nel 1848, per esempio, essi avevano affermato che il movimento operaio di massa britannico di questo periodo (conosciuto come il Cartismo) dovrebbe preoccuparsi di questo problrma. Vedevano la questione irlandese come un aspetto veramente minore della lotta della classe operaia d'Inghilterra e hanno accusato spesso i nazionalisti irlandesi di non allearsi col Cartismo. Dopo il declino del Cartismo, come il sentimento anti-irlandese cominciava a giocare un ruolo più importante nella politica britannica e che il movimento Fenian per l'indipendenza dell'Irlanda si sviluppava di nuovo negli anni 60, la posizione di Marx è cambiata

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nuovamente. La tesi di Marx si esprimeva come segue. In primo luogo, egli affermò che dato che il sentimento anti-irlandese portava i lavoratori inglesi ad identificarsi con le classi dirigenti, questa realtà era il più importante ostacolo per una politica di indipendenza di classe della classe operaia.

"Il lavoratore inglese ordinario odia il lavoratore irlandese come un concorrente che abbassa il suo livello di vita. In questi rapporti con i lavoratori irlandesi, egli stesso si sente come un membro della nazione dominante e si posiziona lui stesso come uno strumento degli aristocratici e dei capitalisti del suo paese contro l'Irlanda, rinforzando così il loro dominio su di lui. Questo antagonismo è il segreto dell'impotenza della classe operaia inglese" (Marx ed Engels, L'Irlanda e la questione irlandese).

In secondo luogo, Marx sostiene adesso che la lotta nazionale in Irlanda era la chiave che accenderà la rivoluzione operaia in Inghilterra. In ciò, egli riconosceva che è un capovolgimento della sua precedente posizione. "Per molto tempo, ho creduto che fosse possibile rovesciare il regime irlandese grazie all’ascesa della classe operaia inglese. Uno studio più approfondito mi ha convinto del contrario: la classe operaia inglese non farà niente di decisivo, qui in Inghilterra, finché non romperà in modo più netto, nella sua politica irlandese, con la politica delle classi dominanti; finché non farà, non solo causa comune con gli irlandesi, ma anche non prenderà l'iniziativa dello scioglimento forzato dell'Unione del 1801 e della sua sostituzione con una confederazione uguale e libera”. (Marx ed Engels, L'Irlanda e la questione irlandese. Pagina 294).

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Nel brano precedente Marx commette un errore perfettamente comprensibile in questo inizio del movimento politico operaio. Marx crede che il proletariato debba organizzarsi in un vasto partito di massa e presentare una piattaforma elettorale alle elezioni borghesi. Un programma di classe che comprenda delle proposte come "la sostituzione forzata dell'Unione con una confederazione uguale e libera". Più di un secolo di storia elettorale dei partiti operai nel mondo c'insegna che da un punto di vista rivoluzionario non c'è niente da aspettarsi da questi partiti politici elettorali di massa né dalla partecipazione proletaria alle elezioni borghesi. Sappiamo adesso che il movimento insurrezionale e rivoluzionario spontaneo si sviluppa diversamente, particolarmente rinforzando il disprezzo e il rigetto completo, che in ogni modo il proletariato sviluppa istintivamente, non dispiace ai candidati di "sinistra", nei confronti dello stato borghese e della sua governance, nei confronti delle mascherate elettorali e del nazionalismo sciovinista. Con questo possiamo affermare che la classe operaia è all'avanguardia dell’'avanguardia". N.d.R.

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L'esperienza di riconsiderare la questione irlandese è stata di un'importanza generale per Marx ed Engels. Ciò ha condotto Marx, per esempio, a fare questa magnifica riflessione "ogni nazione che ne opprime un'altra forgia le proprie catene". In un certo senso, quello che ha fatto Lenin è riprendere questa intuizione e di applicarla sistematicamente.

L'impero degli Zar della Russia conteneva decine e decine di comunità nazionali oppresse. Provando ad organizzare un movimento della classe operaia nell'impero zarista, i marxisti russi si erano confrontati inevitabilmente con le aspirazioni nazionali. Molti marxisti russi hanno rifiutato questo e hanno sostenuto che le questioni nazionali non avevano il loro posto in un movimento marxista. I primi scritti di Lenin non prestavano attenzione a queste questioni. Ma con il tempo la questione nazionale venne a giocare un ruolo sempre più importante nel suo pensiero. Con la Prima guerra mondiale, egli ha sviluppato un atteggiamento molto specifico verso questa questione. Le concezioni di Lenin riprendono i seguenti elementi...

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Perché Lenin è stato costretto a sviluppare una politica nazionalista durante la Rivoluzione russa? Perché i bolscevichi non hanno diretto una rivoluzione proletaria anticapitalista, il capitalismo era balbettante e il proletariato poco sviluppato nella società russa semi-feudale, con le masse contadine formate maggiormente da mugic, quasi schiavi, sottomessi ai rapporti di produzione feudali, dove gli elementi che costituiscono una nazione erano in sviluppo. Mancava solamente lo stato-nazione capitalista che Stalin eresse prontamente. Per condurre una rivoluzione proletaria occorre un vasto proletariato educato, sperimentato, impoverito, cosciente internazionalmente e connesso con le altre frazioni del proletariato mondiale. Per affermare la loro rivoluzione democratica capitalista e abbattere il metodo di produzione feudale Lenin e i bolscevichi hanno dovuto mobilitare e inquadrare le masse contadine arretrate, analfabete, in una vasta rivolta contadina per "dare la terra a colui che la lavora" (il che non durerà molto tempo), nel quadro di comunità di appartenenza locali o regionali e così i leninisti consolideranno le nazioni borghesi di tutte le Russie nello stesso momento in cui costruiranno un capitalismo di stato vigoroso, abbastanza potente per affrontare il capitalismo tedesco. Niente di rivoluzionario proletario in tutto questo. Ed è la ragione per cui, alla morte di Stalin, Krusciov non farà nessuna fatica a consolidare l'influenza nazionalista russa sull'insieme multinazionale sovietico sul quale oggi “naviga" Vladimir Putin. N.d.R.

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In primo luogo, l'ordine del mondo imperialista stabilisce una gerarchia tra le nazioni, il che produce inevitabilmente delle rivolte nazionaliste. In secondo luogo, il problema principale per i marxisti è come trovare una base internazionalista in un mondo dominato dai conflitti nazionali. In terzo luogo, il problema strategico centrale è di provare a portare i lavoratori da sentimenti nazionalisti a sentimenti internazionalisti. In quarto luogo, il più grande ostacolo per fare questo è il nazionalismo dei lavoratori delle nazioni dominanti, (come affermava Marx a proposito dei lavoratori inglesi nel caso dell'Irlanda), il che li conduce a identificarsi con la loro classe dirigente, il che rinforza il nazionalismo dei lavoratori delle nazioni oppresse (perché questi ultimi non vedono che i lavoratori della nazione dominante sono minimamente piacevoli per le loro aspirazioni di liberarsi dall'oppressione nazionale). Di conseguenza, secondo Lenin, i marxisti devono sostenere il diritto delle nazioni oppresse all'autodeterminazione, compreso il diritto di formare uno Stato indipendente.

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Perché il fatto che il capitalismo si sviluppa a differenti velocità in differenti paesi produrrebbe "rivolte" nazionali se questo non è perché le borghesie di questi diversi paesi sono costrette ad affrontarsi per i mercati? Che cosa si deve pensare di queste osservazioni di Lenin e della sua conclusione sul diritto delle nazioni all'autodeterminazione, sul "diritto delle nazioni a disporre di loro stesse"? Nel 1917, e noi aggiungiamo nel 1949, al momento della "Liberazione nazionalista borghese della Cina attraverso la Rivoluzione di nuova democrazia", le condizioni oggettive e soggettive della rivoluzione proletaria internazionalista non erano riunite in nessun modo e da questo fatto la rivoluzione proletaria era impossibile. Un metodo di produzione non può essere rovesciato finché non ha sfruttato tutte le forze produttive che è abbastanza largo per contenere (riprodurre), il che era lontano dall’essere il caso per l'industria nascente della Russia zarista, lo stesso per la Cina maoista del 1949. È questa triste realtà che ha dato impulso alle contorsioni opportuniste di Lenin, poi di Mao, per giustificare che dei comunisti dirigano queste rivoluzioni democratiche nazionaliste borghesi. N.d.R.

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Il punto centrale della tesi di Lenin è la sua insistenza sulla politica, contrariamente a Luxemburg che si appoggiava su una tesi fondamentalmente economica. Lenin insiste che il nazionalismo rappresenta una divisione politica importante all’interno della classe operaia. L'approccio marxista prende questa divisione politica come il punto di partenza dello sforzo per superarlo. A tale scopo, la principale questione non è quella della viabilità economica di un dato stato-nazione, ma quelle tattiche saranno le più importanti per costruire la solidarietà di classe e l'internazionalismo. E la risposta di Lenin è chiara: minare lo

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sciovinismo nazionale dei lavoratori della nazione dominante facendo apertamente propaganda per il diritto delle nazioni oppresse a determinare il loro futuro. Per vincere i lavoratori nella nazione oppressa una tale posizione dovrebbe rappresentare il principale colpo portato alle identificazioni nazionaliste. 

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Questo ragionamento del Signor McNally è il contrario di un approccio materialista dialettico. I rapporti di produzione derivano dallo sviluppo delle forze produttive e degli altri mezzi di produzione e non l'inverso. Ciò che renderà i proletari internazionalisti non è il chiacchiericcio dei "comunisti" e di altre sinistre opportuniste, ma lo sviluppo stesso del capitalismo mondializzato - globalizzato che costringerà l'internazionalizzazione della classe operaia nella pratica, nella politica e nell’ideologia, il che oggi è in procinto di essere realizzato. N.d.R.

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Lenin ha reso molto chiaro che ciò non significa che i marxisti vorrebbero vedere sempre più stati-nazione indipendenti. Al contrario, come internazionalisti marxisti, egli favoriva le federazioni che porterebbero i lavoratori a una vita politica comune. Ma tali federazioni dovrebbero essere volontarie. Si dovrebbe opporre ad associazioni politiche forzate, coercitive o oppressive.

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"Se chiediamo la libertà di secessione per i Mongoli, i Persiani, gli Egiziani e tutte le altre nazioni oppresse senza eccezione, questo non è perché favoriamo la secessione, ma solamente perché difendiamo l'associazione volontaria e differente da un'associazione forzata" (13).

Sostenere il diritto delle nazioni all'autodeterminazione è diventato così un elemento chiave dell'approccio strategico per la costruzione della solidarietà internazionale dei lavoratori. Non per sostenere che questo diritto significhi l'allineamento col nazionalismo dominante. Ciò significa che accontentarsi di un internazionalismo astratto viene portato a riconoscere l'importanza dell'esperienza della dominazione, o ciò che Lenin ha chiamato "la psicologia che è così importante per ciò che riguarda la questione nazionale” (Collected Works, volume. 19. Pagina 499). La solidarietà internazionale necessita, in altre parole, che i lavoratori delle nazioni dominanti si facciano i più coerenti difensori del diritto dei popoli oppressi nel "loro" Stato ad autodeterminarsi (compreso a separarsi).

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Ma da dove viene questa idea secondo la quale un popolo "oppresso" può autodeterminarsi ed emanciparsi nel "proprio" Stato nazionale borghese? Lo Stato nazionale borghese (capitalista classico o sovietico) non è mai lo Stato di “tutto un popolo”, e soprattutto non del proletariato, ma è sempre lo Stato della classe dominante che opprime questo proletariato. Lo Stato è il primo strumento di alienazione della classe oppressa. Se questa classe desidera emanciparsi, deve cominciare col distruggere questo Stato democratico borghese, nazionale e sciovinista. Così, in Unione sovietica, dopo decine di anni di capitalismo di stato, il nazionalismo, lo sciovinismo, la religione arcaica, e tutta un’accozzaglia di idee borghesi decadenti sono fiorenti ed esse esplosero alla luce del giorno nel momento della "Perestroika – Glasnost”. I pii desideri dei bolscevichi a proposito di concedere l'autodeterminazione nazionale non hanno mai permesso ad un solo popolo o a una minoranza etnica di lasciare il grembo dello Stato sovietico. N.d.R.

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Allo stesso tempo, Lenin difende una tale opposizione di principio al nazionalismo dominante e permette ai lavoratori delle nazioni oppresse di avanzare dal nazionalismo al socialismo. Mentre i socialisti delle nazioni oppressive difendono il diritto degli oppressi all'autodeterminazione, i socialisti delle nazioni oppresse "devono attribuire un'importanza centrale all'unità e all'alleanza dei lavoratori delle nazioni oppresse con quelli delle nazioni oppressive; diversamente questi social-democratici diventeranno involontariamente gli alleati della propria borghesia nazionale" (14). Nello stesso ordine di idee, le Tesi sulle questioni nazionali e coloniali dell'internazionale comunista affermano che anche portando il loro sostegno alle lotte nazionali borghesi contro il colonialismo, i socialisti insistono su "l'indipendenza di classe del movimento proletario".

********** In quale paese si sono visti i lavoratori della cosiddetta "nazione oppressa" avanzare dal nazionalismo all'internazionalismo comunista attraverso la magia spontanea della fittizia "liberazione nazionale"? Si osserva piuttosto il contrario. Dei proletari indifferenti alle idee nazionaliste scioviniste borghesi soggiogate da queste idee reazionarie, imprigionate che sono nelle guerre nazionali fratricide dove i loro focolari sono distrutti nel nome della patria. Pensiamo da parte nostra che al momento in cui le condizioni oggettive della rivoluzione proletaria mondiale saranno mature la questione nazionalista borghese non sarà più una questione di importanza, soprattutto non per il proletariato internazionalista e questo non sarà per colpa dei “comunisti”. N.d.R.

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Questa analisi ha rinforzato considerevolmente la capacità dei socialisti a imbarcarsi seriamente nelle lotte nazionali in corso senza abbandonare i loro obiettivi socialisti. Per queste ragioni, possiamo apprendere moltissimo dagli scritti di Marx sull'Irlanda e dalle discussioni di Lenin sulla questione nazionale. Allo stesso tempo, questi scritti non offrono molto più che etichette. Dopo tutto, difendere il diritto di separazione non dice niente sulle condizioni dove lo si difende. Piuttosto che fornire una formula che possa essere applicata semplicemente in tutti i contesti, essi sono un punto di partenza per guidare la nostra analisi. Provare ad utilizzarli non sostituisce una analisi seria. Prima di discutere come dobbiamo utilizzare queste analisi nel nostro approccio alle lotte nazionali nello stato canadese, è importante esaminare le questioni del nazionalismo e dell'internazionalismo come si sono espresse dopo la morte di Lenin nel 1924. Il movimento comunista internazionale ha sorvolato dall'internazionalismo al nazionalismo sotto l'impatto della degenerazione della rivoluzione del 1917 in Russia e l’ascesa dello stalinismo.

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La Rivoluzione del 1917 è stata, dall'inizio alla fine, una lotta di liberazione nazionale delle borghesie nazionali di tutte le Russie che si sono precipitate per aderire al partito bolscevico mentre l'aristocrazia corrotta migrava in massa verso l'Europa oppure alzava armi da taglio per difendere il suo decadente metodo di produzione feudale. Lo stalinismo non è stato il becchino della rivoluzione proletaria russa poiché questa rivoluzione proletaria non ha mai avuto luogo - il piccolo proletariato russo, debole e inesperto, era incapace di condurre una tale rivoluzione sul vasto continente russo arretrato e poco industrializzato e ancor meno di esportarlo nel mondo intero. Peraltro, Stalin ha fatto la dimostrazione che aveva compreso correttamente l'urgenza nazionale sovietica che consisteva nel costruire rapidamente un capitalismo nazionale e uno stato-nazione industrializzato. Circondarsi di nemici, come lo era la Russia bolscevica, l'avventurismo pseudo-rivoluzionario di Trotsky faceva paura, ecco perché questo intellettuale borghese fu isolato dal potere. Stalin non ha modificato la politica nazionalista bolscevica, l'ha semplicemente applicata e accelerata. Appoggiandosi su questo nazionalismo il "Piccolo padre dei popoli" ha potuto esigere i più grandi sacrifici stakanovisti ai contadini russi trasformati in proletari e assicurare così l'industrializzazione rapida del paese, preparandolo ad affrontare l’imperialismo tedesco. N.d.R.

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Subito nel 1923 l'idea del "bolscevismo nazionale" è stata sviluppata dal Partito comunista tedesco. Una volta che Stalin ha dichiarato che era possibile costruire "il socialismo in un solo paese", la porta era aperta all'adozione dell'idea di lotte nazionali distinte per il socialismo, termini di riferimento dei nazionalismi dominanti. Così, per esempio, il Partito comunista del Canada ha scoperto rapidamente che il nazionalismo canadese era "progressista" mentre i membri del PC nel Québec, che provavano a promuovere una comprensione più differenziata della lotta nazionale del Québec, erano regolarmente espulsi per "nazionalismo borghese".Uno dei grandi contributi storici di Léon Trotsky è stato quello di resistere alla nozione di lotta per il socialismo, per essere una lotta nazionale e di tenersi fermamente all'internazionalismo marxista. Con tutti i loro terribili problemi, i gruppi trotskisti hanno giocato un ruolo importante salvaguardando queste idee viventi all'epoca dove il nazionalismo dominava la sinistra. Il contributo specifico di Trotsky in questa epoca è stato la sua teoria della "rivoluzione permanente". Originariamente formulata come la prospettiva strategica per la futura rivoluzione russa, alla fine degli anni 20, Trotsky l'ha riformulata come la teoria delle relazioni tra le lotte di classe e le lotte nazionali all'epoca dell'imperialismo.

8. La teoria della rivoluzione permanente è stato un contributo brillante e originale al pensiero marxista. Rigettando l'idea schematica, lineare e meccanica che ogni società doveva passare attraverso dati stadi storici prima di lottare per il socialismo, Trotsky ha sostenuto che l'analisi concreta delle dinamiche delle classi in una data società doveva realizzarsi nel contesto dei suoi rapporti con l'economia mondiale. Così, mentre la maggior parte dei marxisti russi sostenevano che la Russia doveva prima fare una "rivoluzione democratica borghese" contro lo zarismo e poi completare uno stadio dello sviluppo capitalista prima che la lotta per il potere operaio fosse all'ordine del giorno, Trotsky ha sostenuto che la borghesia russa era troppo spaventata per il potere crescente del giovane proletariato russo per condurre la lotta contro la monarchia zarista. Spaventato dal fatto che il movimento rivoluzionario per la democrazia liberale possa sfociare in scioperi di massa e possa far scendere un proletariato insorto nelle strade battendosi per le proprie particolari rivendicazioni di classe, (il che era accaduto in effetti nel 1905), la borghesia russa ha abbandonato rapidamente una tale lotta, egli pensava. Ne è risultato che la direzione della lotta anti-zarista passerebbe al proletariato che darebbe la sua impronta al movimento, portandolo verso la lotta per la democrazia operaia. Prendendo in prestito una frase di Marx, Trotsky ha descritto ciò come la "rivoluzione permanente" - che comincia come un movimento rivoluzionario per la democrazia liberale e che si traduce in una lotta per la democrazia socialista e il potere operaio. La teoria di Trotsky (sviluppatasi nel 1905-1906), ha dimostrato un profondo anticipo della dinamica di classe del processo rivoluzionario del 1917. Sotto l'impatto del movimento rivoluzionario in Cina negli anni 20,

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Trotsky ha rapidamente esteso la teoria della Russia al mondo coloniale in generale. Nelle colonie, egli suggerisce, che lo stesso modello sia applicato: una borghesia timorosa si ritira dalla lotta anti-coloniale, quest’ultima trionferà solamente sotto la direzione del partito rivoluzionario della classe operaia. Sebbene ci siano degli insegnamenti importanti da trarre da questa analisi, esiste il rischio di una eccessiva generalizzazione (sic). Dopo tutto, in assenza di una classe operaia auto-organizzata e combattiva come quella del movimento operaio russo del 1905 e 1917, perché dei gruppi borghesi e piccoli borghesi si ritiravano dalla direzione delle lotte nazionali? Difatti, essi non si sono ritirati. Nei paesi come l'India, l'Algeria, il Pakistan, il Bangladesh e decine d’altri, i movimenti nazionalisti non sono stati diretti dalla classe operaia e hanno messo in opera stati-nazione indipendenti. In Cina, il citato Partito comunista, ha condotto una lotta senza nessuna attività auto-organizzata della classe operaia, e senza nessuna apparizione di organi di democrazia operaia.Il mondo del dopo 1945 è stato il testimone di una successione di indipendenze nazionali nelle quali i movimenti della classe operaia non hanno giocato un ruolo significativo. Chiaramente, queste realtà chiedono che sia rivista la teoria di Trotsky. Qualunque sia la sua forza, essa non può essere utilizzata come una predizione universalmente valida concernente le lotte nazionali all'epoca dell'imperialismo. Alcuni trotskisti tentano di discutere di questi avvenimenti che si sono trovati chiaramente in una situazione precaria con la teoria di Trotsky. Altri, tuttavia, continuano a difendere dogmaticamente alla lettera gli scritti di Trotsky. La più grande organizzazione trotskista americana (Socialist Workers Party) ha prodotto un documento nel 1974 per esempio che afferma: "all'epoca imperialista, la borghesia nazionale, nei paesi attardati industrialmente, tradisce la propria rivoluzione e i compiti democratici borghesi, compreso la realizzazione dell'indipendenza nazionale, non possono essere realizzate se non attraverso la rivoluzione socialista" (15).

9. Ora, il fatto che questa pretesa sia evidentemente falsa (ossia che l'indipendenza nazionale può essere realizzata senza rivoluzione socialista) non sembra contare. Trotsky l'ha detto, di conseguenza questo deve essere vero. E molti trotskisti che difendono una tale linea hanno cominciato a vedere un po' dovunque rivoluzioni socialiste e Stati operai. In Algeria, in Egitto dove un regime nazionalista progressista prendeva il potere. Dopo tutto, se l'indipendenza nazionale non può essere realizzata se non attraverso una rivoluzione socialista, allora la realizzazione dell’indipendenza nazionale dovrebbe voler dire che una tale rivoluzione ha avuto luogo. Il fatto che niente di simile ad una rivoluzione socialista può essere riconosciuta - come milioni di persone oppresse che scendono nelle strade e attirano le basi dell'esercito ai loro bordi, come gli scioperi di massa e l'occupazione dei posti di lavoro, come nuove istituzioni popolari di autogoverno che appaiono sui posti di lavoro e nelle comunità - non sembrano importanti. Andando più lontano di quanto Trotsky era stato, alcuni gruppi hanno cominciato a sostenere che c'era una logica nascosta che portava le lotte nazionali alla rivoluzione socialista. Anche

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se non lo sapevano, nazionalisti borghesi e piccolo-borghesi conducevano attualmente rivoluzioni operaie.Il primato dell'auto-emancipazione operaia è sparito rapidamente (come se la maggior parte dei gruppi sociali potessero costruire il socialismo). E inevitabilmente, la linea tra il nazionalismo e il socialismo è sfumata. Dopo tutto, se il nazionalismo anti-imperialista si traduce automaticamente in socialismo, allora la linea tra i due è veramente molto mutevole. Alcuni trotskisti che hanno difeso tali concetti sono diventati eventualmente più o meno acritici e hanno aderito al nazionalismo di aspetto progressista (Cuba, Nicaragua, Granada) e hanno abbandonato l'idea della rivoluzione permanente e la sua insistenza sull'indipendenza della classe operaia e della sua organizzazione socialista nella lotta nazionale. E’ così che si è evoluto il SWP americanoHo ricordato questi elementi perché essi sottolineano come sia importante resistere alle formule semplici quando parliamo delle lotte nazionali. Non ci sono oggi leggi generali o dinamiche delle lotte nazionali (e non c'è ne sono mai state). Uno degli errori di molti marxisti è stato quello di cercarne una piuttosto che tenere in considerazione il compito di gran lunga più importante di sviluppare un'analisi concreta delle particolarità delle lotte nazionali in una congiuntura storica determinata. Con questa preoccupazione in testa, voglio fare rapidamente alcune considerazioni preliminari sulle lotte nazionali nello Stato canadese. Ma prima, voglio sottolineare settori in cui l'approccio marxista al nazionalismo resta debole e dobbiamo essere consapevoli che questi settori devono essere dei settori di lavoro per sviluppare una comprensione più larga del nazionalismo nel mondo moderno.

Terza Parte. I problemi della teoria marxista del nazionalismo

10. Uno degli elementi forti dei concetti di Marx sull'Irlanda e degli scritti di Lenin sulla questione nazionale, è che essi forniscono un modo per sostenere le lotte nazionali dei popoli oppressi senza farsi campione di una forma qualsiasi di nazionalismo. È ciò fa che la loro eredità sia una delle eredità più importanti. Ma una volta detto questo, dobbiamo essere consapevoli che né Marx e né Lenin ci hanno fornito realmente una teoria che ci permetta di comprendere uno dei problemi più importanti che noi riscontriamo in questo campo: l'incredibile potere e la persistenza del nazionalismo e delle identificazioni nazionali. Piuttosto che un diversivo temporaneo o episodico di una coscienza di classe più sviluppata, il nazionalismo ha dominato e continua a dominare i pensieri della vasta maggioranza della classe operaia e dei popoli oppressi. Non pretendo di avere tutte le risposte per le quali questo è così. Ma lasciatemi fornire quattro spiegazioni parziali di ciò che dovrà essere esplorato e sviluppato.

11. Il primo argomento è quello che possiamo chiamare l'attrazione per la cittadinanza. Ricordiamoci che nei primi movimenti della classe operaia sono stati creati dei contesti dove la vasta maggioranza della classe operaia non votava. Per questa ragione, la lotta per i diritti

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democratici, specialmente il diritto di voto, occupava un posto maggiore nell'agitazione socialista. Difatti, il socialismo - indicato abitualmente sotto il nome di socialdemocrazia - è apparso spesso per l'inclusione della classe operaia all’interno della democrazia capitalista. Questo ha prodotto tutta una tradizione storica, dove la democrazia capitalista era criticata semplicemente per non essere sufficientemente inclusiva. Risultato, la questione della forma del potere politico capitalista – lo stato-nazione borghese - e i suoi problemi inerenti (burocrazia, definizione nazionale della cittadinanza, separazione del potere economico dal potere politico), sono stati raramente sollevati. Ciò ha voluto dire che i movimenti operai hanno cercato generalmente la piena cittadinanza all’interno della democrazia capitalista. Non si può negare l'importanza di questa lotta. Dopo tutto, la lotta per i diritti democratici borghesi, la battaglia per essere considerato a pieno titolo come un membro della società ha un significato fondamentale. Ma nel processo, la classe operaia diventa spesso legata a questa specie di idea, essi hanno pochi legami con le tradizioni politiche che mettono avanti una critica radicale dei limiti inerenti e delle scappatoie della stessa democrazia liberale. Così una definizione liberal-capitalista dei diritti e della cittadinanza si radica storicamente e profondamente nei movimenti operai - nei quali le persone sono definite come entità separate, chiamate "individui" che sono in competizione economica sui mercati che sono regolati da leggi che riconoscono solamente i diritti degli individui (e delle loro famiglie) che sono largamente degli acquirenti e dei venditori di beni e servizi (tutto questo è, in un senso, spesso definito come il "riformismo"). Si è detto che i marxisti non prestavano sufficientemente attenzione al potere ideologico delle nozioni di cittadinanza, preferendo semplicemente sottolineare la corruzione e il carattere di venduto dei dirigenti che hanno tradito il movimento socialista. Se noi dobbiamo sviluppare un'alternativa seria al riformismo, sarà tuttavia necessario non solo denunciare i "dirigenti corrotti", ma, ed è più importante, trovare i modi per avanzare una critica della democrazia capitalista e della cittadinanza riconoscendo l'importanza dei diritti quando facciamo una critica dei loro limiti, critica che potrebbe così avere un'eco nelle esperienze della classe operaia, invece di suonare come degli slogan riduttivi.

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Avrete notato che l'intellettuale intitola il suo capitolo "I problemi della teoria marxista del nazionalismo", indicando con questo che l'oggetto del suo studio non è il nazionalismo, ostacolo alla rivoluzione proletaria nella pratica concreta della lotta di classe, ma la teoria marxista per lei stessa, la sua purezza e la sua difesa contro l'impurità deviazionista (sic), attività che costituisce in lei stessa un deviazionismo proletario. L'intellettuale non ha pensato che "l'incredibile persistenza del nazionalismo" sciovinista e reazionario fosse collegata all'incredibile persistenza del metodo di produzione capitalista che non finisce più di barcollare e di rialzarsi, una crisi dopo l'altra. La sinistra riformista, che ad una data epoca veniva chiamata "opportunista di sinistra" poi "revisionista

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di destra", ha sempre saccheggiato nella periferia della classe proletaria, cercando una posizione non troppo vincolante dalla quale lei potrebbe vendere le sue aspirazioni che mirano a conservare il regime "nazionalista democratico borghese", o a riformarlo fino a renderlo accettabile alla classe operaia. La piccola borghesia è sempre stata la base sociale dell’estremismo di sinistra, dell'anarchismo e del terrorismo che sono solamente delle varianti radicali del riformismo. La piccola borghesia, compresa la sua sezione intellettuale - classe sociale destinata alla scomparsa sotto l'evoluzione imperialista del metodo di produzione capitalista – si aggrappa disperatamente alle particolarità del capitalismo nazionale che hanno assicurato la sua sussistenza come il diritto borghese, la rappresentazione parlamentare, la governance "democratica" dell'immenso Stato borghese tentacolare. Tutto ciò porta la sottoclasse piccolo-borghese ad aderire a tutte le lotte per la difesa dei diritti "democratici" borghesi (imborghesimento, femminismo, LGBTW, diritti degli animali, comunitarismo, laicità, giustizia sociale, difesa degli assistiti sociali e dei senza tetto, diritti alla scuola, alla salute, all’ambiente, all’agricoltura urbana, all’ecologia, al consumo e sovra-consumo, alla povertà volontaria, alla carità per il Terzo Mondo, decolonizzazione, nazionalismo, pacifismo, anti-razzismo, diritto dei detenuti, ciclismo urbano, naturismo, nutrizione, ecc.), tutto e qualsiasi cosa eccetto le lotte della classe proletaria che giudica troppo radicale e che non sono pubblicizzate dai media “people” e da quelli di formattazione al soldo. La piccola borghesia è molto sensibile a questo aspetto di visibilità mediatica e di effetto di metodo. Questo è legato alla sua pratica sociale e culturale. La piccola borghesia ha come funzione principale quella di assicurare i servizi di riproduzione della popolazione, sotto ogni rapporto. Il piccolo borghese concepisce la lotta di classe come una missione e un volontariato dove deve sensibilizzare e far progredire la volontà degli oppressi, che il piccolo borghese crede incapace di comprendere la loro oppressione e la loro miseria. Per il piccolo-borghese se riesce a convincere sufficientemente persone a una causa, essi vinceranno attraverso la petizione, perché il piccolo borghese crede sinceramente alla democrazia rappresentativa borghese, alla democrazia cittadina del numero - necessariamente sono il suo mezzo di sostentamento. Il piccolo borghese non comprende che per condurre una rivoluzione sociale deve esistere una congiuntura rivoluzionaria che mobiliterà spontaneamente gli effettivi richiesti - non ci sarà niente da fare per questo - la crisi economica provvederà. La vera domanda sarà allora - non quanti proletari sono mobilitati -, ma verso quale obiettivo sono diretti? Attraverso la sua lotta quotidiana, sul fronte economico in particolare, la classe proletaria conosce la pusillanimità dei "diritti-privilegi" e dei "vantaggi sociali effimeri" strappati temporaneamente malgrado la dittatura del grande capitale. La classe proletaria sa che la dittatura borghese è "chiudi la bocca" mentre la democrazia borghese è "provoca sempre". Più che la mobilitazione della classe operaia come carne da macello nelle guerre di liberazione nazionale borghese non ha riportato qualcosa al proletariato – la mobilitazione della classe operaia nelle guerre borghesi per la difesa della "libertà, la democrazia, il diritto di negoziare" e i pseudo "diritti e vantaggi sociali" non riporteranno niente se non l'esperienza della lotta e le delusioni. Sotto la crisi economica sistemica del capitalismo, non c'è

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nessun programma di riforma che tenga. È il capovolgimento dello stato borghese e l'abolizione del metodo di produzione capitalista e la sua sostituzione non con "l'economia socialista", ma con il metodo di produzione proletaria-comunista che sono gli obiettivi della rivoluzione sociale proletaria. N.d.R.

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12. In relazione con questo elemento, c'è un secondo problema: le versioni del socialismo incentrato sullo stato hanno dominato il 20° secolo. Durante tutto questo periodo storico, il più importante partito della sinistra ha presentato la proprietà statale come l’essenza sociale ed economica del socialismo. Marx ha messo al centro della sua critica del capitalismo ciò che ha chiamato i rapporti sociali di produzione, il che significa i rapporti di dominio, di controllo, di alienazione e di sfruttamento indotti dal modo in cui la ricchezza è prodotta nella società capitalista. Quello che ne ha conseguito da questo approccio è stata l'idea che il socialismo porta allo sviluppo di nuovi rapporti di produzione basati su delle forme non alienate di controllo e di autogestione della produzione dalla classe operaia. Il controllo operaio sulla produzione e nuove istituzioni governative di autogestione è al centro di una tale prospettiva.Durante l'epoca in cui i partiti comunisti stalinizzati hanno dominato la sinistra (1925-1980 o pressappoco), queste esperienze sono state perse. La proprietà statale dei mezzi di produzione e "l'economia pianificata" erano presentate come l’essenza della nuova società. A dispetto delle migliori intenzioni, molti trotskisti hanno anche messo un punto essenziale a questo livello. Ne risultò che l'idea della proprietà di stato è in sé progressista, che essa sia in sé socialista è diventato largamente condiviso nella sinistra. Ciò ha contribuito a politiche incentrate sullo Stato dove le idee di regolazione statale e di pianificazione di Stato sono state elevate a una posizione di primo piano nella propaganda socialista. Una delle conseguenze di ciò è stata che la natura oppressiva inerente allo stato-nazione è stata raramente attaccata. In effetti, finora, molti, nella sinistra, continuano ad avanzare tali concetti e sembrano smemorati dall'ostilità di massa alle burocrazie statali centralizzate che si sono sviluppate– per delle buone ragioni - nelle fila della classe operaia nella maggioranza dei partiti nel mondo. Quello che dimenticano queste politiche socialiste stataliste (che possiamo chiamare il socialismo dall’alto), è che lo stato-nazione si è sviluppato con lo sviluppo del capitalismo dalle classi borghesi che cercavano di integrare il mercato nazionale attraverso un sistema uniforme di leggi e di tasse, una lingua comune, un governo unificato e un esercito nazionale per difendere e avanzare le loro pretese contro i capitalisti "stranieri" (e schiacciare le rivolte locali quando è necessario). Così è stato perso il senso proprio della forma democratica inerente alla democrazia borghese (come aveva sottolineato Marx ne La guerra civile

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in Francia). Infine, le versioni stataliste del socialismo tendono a perdere di vista il fatto che le strutture nazionali e le istituzioni dello stato-nazione perpetuano la divisione del mondo tra un "noi" (che appartiene a una data nazione), e un "loro" (gli stranieri, quelli al di fuori). Le conseguenze del socialismo statalista sono di rinforzare il nazionalismo a spese dell'internazionalismo.

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Contrariamente a ciò che sostiene McNally questo non è il socialismo, che "conduce allo sviluppo di nuovi rapporti di produzione basati su delle forme non alienate di controllo e di autogestione della produzione dalla classe operaia", ma il metodo di produzione comunista, che può imporsi solamente dopo un lungo e considerevole sviluppo delle forze produttive sotto il capitalismo liberale, totalitario, o socialista. Per inciso, la classe operaia ha allora vocazione a sparire (sotto il comunismo),La contraddizione fondamentale di un metodo di produzione (qualunque sia) risiede sempre nel processo di produzione e non nei rapporti sociali di produzione. Così, ciò che squalifica il metodo di produzione capitalista è che il capitale non riesce più a valorizzarsi in maniera abbastanza grande per assicurare la sua riproduzione allargata, il che determina l'implosione dei rapporti sociali di produzione, provoca delle agitazioni sociali, inasprisce le lotte di classe antagoniste fino all'insurrezione e potenzialmente la rivoluzione. Non è compito dei rivoluzionari proletari creare le condizioni oggettive della crisi economica, politica, poi sociale, tutto ciò sarà spontaneo, meccanico e fuori controllo. Il compito dei rivoluzionari proletari sarà di stimolare e di influenzare questo movimento insurrezionale spontaneo fino a fargli compiere la sua missione storica, distruggere il vecchio metodo di produzione capitalista, per trasformare poi questa insurrezione popolare in rivoluzione proletaria, il che significa costruire il nuovo metodo di produzione proletario-comunista. Ciò detto, il professor McNally ha ragione di sottolineare che "ne risultò nei socialisti che l'idea della proprietà di stato è in sé progressista (...). Una delle conseguenze di questo è stata che la natura oppressiva inerente allo stato-nazione è stata raramente attaccata…" dalla sinistra riformista nazionalista. N.d.R.

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13. Questo ci porta al terzo punto: la politica dello spazio. I marxisti sono stati, curiosamente, indifferenti alle questioni dello spazio, specialmente per quanto riguarda le identità dei popoli che hanno dei punti di riferimento spaziali e geografici. Anche le memorie personali hanno invariabilmente delle dimensioni spaziali: ci pensiamo noi stessi come essendo nati in un certo luogo, avendo vissuto, cresciuto, lavorato, essendo andati a scuola in differenti luoghi, e così via. Fino ad adesso, per la stragrande parte della storia dell'umanità, i rapporti con lo spazio non avevano niente a che vedere con l'appartenenza ad una nazione. Di

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fatto, le persone appartenevano a gruppi aventi degli spazi più piccoli e più grandi. Ma il capitalismo ha costruito ciò che Benedict Anderson ha descritto come delle "comunità immaginarie". Le nazioni sono così, in parte, delle costruzioni immaginarie - organizzate intorno a simboli come le bandiere, gli inni, i colori nazionali, i miti e delle storie in grande parte artificiali legate a delle unità amministrative chiamate stato-nazione. Basta osservare un fenomeno come le Olimpiadi per realizzare il potere di attrazione delle comunità immaginarie. Milioni di persone che non hanno mai incontrato Silken Laumann o Donovan Bailey agiscono tuttavia come se fossero "la loro carne e il loro sangue", glorificandosi delle loro vittorie, autocommiserandosi delle loro sconfitte. Dico questo non perché penso che tutto è inevitabile per quanto concerne le identificazioni nazionali, al contrario. Ma senza la comprensione socialista rivoluzionaria che tali identificazioni rispondono a un bisogno reale - il desiderio di appartenere a una comunità con altri, di avere degli obiettivi comuni - sottovaluteremmo la necessità per i movimenti socialisti di massa in futuro di aiutare a sviluppare dei sentimenti internazionalisti di una comunità che sia legata alle esperienze locali e globali. Non basterà avere un’"avanguardia" che potrà dire che il nazionalismo è il loro nemico; sarà necessario favorire delle nuove esperienze dello spazio basate su delle forme di organizzazione che creino delle nuove solidarietà e nuove identificazioni, forgiate nella lotta comune, e che vada al di là dello stato-nazione.

14. E questo mi porta al mio quarto punto: l’ascesa del nazionalismo nell'era della globalizzazione. La globalizzazione economica si scatena; nessuna parte del pianeta o quasi è risparmiata dall'ascesa considerevole delle imprese transnazionali e dai mercati finanziari globali. La maggior parte degli stati-nazione sono economicamente più piccoli delle grandi imprese transnazionali e i mercati monetari mondiali spostano delle somme tutti i giorni che eccedono di molto tutto ciò che possiede una qualsiasi banca centrale (si veda il mio articolo "La fine degli stati-nazione”, New Socialist, n. 3, maggio-giugno,1996). Queste entità economiche globali causano devastazioni nella vita dei popoli: le imprese chiudono, le comunità sono distrutte, i servizi sociali sono saccheggiati: ospedali comunitari, scuole, uffici di stazione spariscono, nel nome della globalizzazione. In tali circostanze, il nazionalismo diventa il primo e più semplice mezzo per comprendere e resistere a queste forze. Ricordiamoci che un governo nazionale può apparire come molto più vicino e comprensibile dei governi transnazionali dove il mercato monetario elettronico e globale è incentrato sul cyber-spazio. Ma chiedere allo stato nazionale di proteggere “noi” contro il capitale globale porta inevitabilmente a vedere il problema in termini nazionali. Gli stranieri (e ciò che è straniero) diventano il nemico della nostra sicurezza e del nostro benessere. Dei politici pericolosi e senza scrupoli diventano rapidamente gli adepti che nutrono e manipolano tali sentimenti. Così, i Lavoratori Uniti dell’automobile si sono impegnati nella messa a bando delle auto giapponesi, giovani disoccupati in Germania hanno lanciato delle bombe molotov contro hotels affollati da lavoratori immigrati di origine turca, persone della California hanno sostenuto le proposte contro

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gli illegali del Messico, canadesi-inglesi hanno denunciato gli avidi abitanti del Québec. Serbi, Croati, musulmani si sono affrontati tra di loro nell'ex-Iugoslavia; i Hutu e i Tutsi si sono affrontati nei conflitti insanguinati in Ruanda e Burundi - e l'elenco potrebbe allungarsi.

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Partendo da una cattiva diagnosi il professore propone un cattivo rimedio. La "globalizzazione economica" non è uno spettro che si scatena improvvisamente né il frutto di una cattiva politica "liberticida e neoliberale", da cui lo stato borghese “complice” potrebbe proteggere il proletariato. Lo stato borghese non è complice, è l'artigiano della globalizzazione e non può essere in nessun caso la soluzione ai mali dell'economia capitalista e ancora meno della sua vittima proletaria. La classe dominante e il suo Stato nazionale non controllano niente nell'approfondimento della crisi del capitalismo.Che cos’è questo "noi" che utilizzano i riformisti? Il "noi" cittadino – elettore – consumatore - collaboratore dello stato, trascende gli interessi di classe. È contro questo tipo di riformismo rampante piccolo-borghese che il proletariato deve premunirsi. Lo stato nazionale borghese rimaneggiato, esasperato, ultima prigione sotterranea soppressa della fortezza capitalista svampita, non è l'ultimo rifugio della classe proletaria rivoluzionaria che deve al contrario investirlo per distruggerlo e per non farne il suo Stato "socialista". Sappiamo che lo spirito di capitolazione piccolo-borghese ha contaminato già lo spirito dei proletari smarriti, sappiamo che le burocrazie d’affari sindacali, che i mercenari dell'industria delle ONG e altre associazioni della società civile stipendiata hanno già pesantemente imperversato nelle fila proletarie e che l'elenco delle loro malefatte va ad allungarsi ancora, tuttavia, il dovere dei rivoluzionari proletari è di indicare instancabilmente il nostro nemico implacabile, la classe capitalista e il suo Stato borghese nazionalista - classe contro classe – perché il proletariato non ha patria, questo è il nostro motto. N.d.R.

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Non è un caso se in questo periodo di ristrutturazione feroce del capitale, antichi e nuovi nazionalismi rialzano la testa - e per molto tra loro in modo virulente e violento. Raramente, noi abbiamo sentito il grido della tromba dei nazionalismi anticolonialisti dagli anni 50 e 60, perché la maggior parte di di loro sono stati screditati dal loro insuccesso per rispondere alle speranze di sviluppo. E in un contesto di rabbia e di disperazione, mentre la sinistra e il movimento operaio appaiono indeboliti, i nazionalismi etnici di destra riprendono l'iniziativa politica. Ma, ancora una volta, là non c'è niente di inevitabile.

Ma sarebbe imprudente sottovalutare l’ascesa del nazionalismo di cui siamo i testimoni in questo periodo di globalizzazione. E noi dovremo

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ricordarci che il bisogno per i socialisti di mettere in risalto le loro posizioni internazionaliste è forse più urgente che mai mentre la maggioranza della sinistra ha adottato il nazionalismo nel 1914. Per fare ciò, avremo bisogno delle analisi della tradizione del socialismo internazionale e di svilupparle di più in rapporto alle questioni delle politiche dello spazio, degli stati-nazione, della globalizzazione economica e la critica della forma dello stato-nazione borghese a partire da una prospettiva del socialismo dal basso.

Quarta parte: le questioni nazionali in Canada oggi.

15. Il Canada è un prodotto dell'espansione imperialista delle potenze europee. Costituito come colonia d’insediamento, il Canada ha basato il suo dominio sull'oppressione e il dominio dei popoli autoctoni e degli abitanti francesi che avevano popolato la Nuova Francia e altre parti del Canada conquistate dai Britannici nel 1759. Il Canada è stato formato sull'oppressione di questi gruppi: per questa ragione, le politiche canadesi sono state plasmate da due principali lotte nazionali: quelle dei popoli autoctoni (o le Prime nazioni) e quelle degli abitanti del Québec.

16. Poiché i popoli autoctoni erano economicamente marginali, politicamente non affrancati, e terribilmente oppressi dalle politiche di apartheid della Legge degli Indiani, hanno preso molto tempo a trovare le leve per esercitare delle pressioni politiche. È principalmente nel mezzo dell'esplosione di proteste sociali degli anni 60 e 70 che i movimenti autoctoni politicamente organizzati hanno fatto la loro traccia. Ispirati da gruppi come il Black Panther Party e l'American Indian Movement degli Stati Uniti, i militanti autoctoni hanno cominciato a condurre lotte più militanti e più coordinate (16). Dalle insurrezioni della fine degli anni 60 e dell'inizio degli anni 70, ci sono stati dei tentativi di professionalizzare il movimento autoctono, per farne un movimento di pressione più ordinario. All'avanguardia di questo tentativo, c'è stata la direzione dell'Assemblea delle Prime Nazioni. L'AFN ha incentrato il suo lavoro sui cambiamenti costituzionali, in particolare il tentativo di ottenere la riconoscenza del "diritto inerente all'autonomia" per i popoli autoctoni inseriti nell'Atto costituzionale (AANB). È essenziale che i socialisti sostengano questa rivendicazione. Dato che i popoli autoctoni non hanno mai accettato di essere governati dallo Stato canadese, il diritto inerente a scegliere quale sarà la forma dell'autonomia che essi desiderano, deve essere riconosciuto e difeso.Allo stesso modo, dobbiamo riconoscere che tutto uno strato di militanti autoctoni (molti tra loro sono la giovane generazione dei dirigenti dell'AFN) rigetta l'insistenza sui cambiamenti costituzionali e le rivendicazioni territoriali tramite i tribunali, quello che domina la corrente principale delle politiche autoctone. Questi militanti sono stati all'avanguardia delle forme di azioni dirette di disobbedienza civile come i blocchi delle strade e delle autostrade e le occupazioni delle terre ancestrali, come abbiamo visto in Oka, Gustafen Lake e Ipperwash. È essenziale che i socialisti, pur difendendo le rivendicazioni di un gruppo

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come l'AFN, provino anche ad organizzare la solidarietà con queste forme più militanti delle lotte autoctone. Dobbiamo rendere chiaro che sosteniamo l'auto-attività e l'auto-organizzazione militante degli autoctoni e che denunciamo le pratiche colonialiste dello Stato canadese per tutte le violenze che si produrranno.

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È forse essenziale che i "socialisti" sostengano le inspirazioni all'autonomia dei capi di tribù delle Prime nazioni che vogliono amministrare i salvadanai e i doni di carità, concessi dai governi alle bande autoctone, con lo scopo di ottenere la loro adesione alla spoliazione delle risorse delle riserve, ma questo non è un combattimento per i proletari autoctoni che vogliono piuttosto concentrare i loro sforzi sul rovesciamento del metodo di produzione capitalista di concerto coi loro compagni proletari canadesi. N.d.R.

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17. La questione nazionale che domina la politica ufficiale in Canada è quella degli abitanti del Québec. Ciò ha a che vedere col fatto che, volendo approfittare dello sviluppo dell'agricoltura e del commercio della Nuova Francia e desiderando che gli agricoltori francesi continuino a lavorare la loro terra, i colonizzatori britannici non erano interessati ad espellere la gente dalla colonia. Mentre gli autoctoni sono stati sempre più spinti al margine della vita economica, le cose erano più complicate per gli abitanti francesi. Dapprima i Britannici hanno provato a sopprimere la Chiesa cattolica e la lingua francese. Si sono rapidamente resi conto, tuttavia, che avevano bisogno di un'alleanza con l'élite francese - i signori, il clero e alcuni capitalisti - se volevano governare realmente la regione. Ne risultò la chiusura della Nuova Francia nei rapporti di dominio coloniale da parte delle autorità britanniche in essere che hanno fatto anche delle concessioni: tolleranza per la lingua francese, la Chiesa cattolica e il Codice civile francese. Quando il movimento per l'integrazione delle colonie britanniche del Nord America ebbe luogo nel 1860, il Québec ha ottenuto un'altra concessione: il ripristino della propria assemblea legislativa. Ne consegue che un'entità politica è stata creata (la provincia di Québec) dove si ritrovava la seconda più importante popolazione del paese, la cui vasta maggioranza era francofona - e dove si trovavano alcuni dei più importanti centri agricoli, manifatturieri e commerciali. Ciò significava che le lagnanze del Québec erano negoziate abitualmente da una classe dominante che parlava prima di tutto l'inglese. Finché le pressioni nazionaliste che vengono regolarmente dal Québec (e ciò è molto frustrante per loro in periodo di guerra) finché la chiesa cattolica dominava la vita culturale e politica, il nazionalismo del Québec non sembrava particolarmente minaccioso per la classe dirigente del Canada. Tutto è cambiato negli anni 60 con l’ascesa di una classe media laica e un nuovo movimento operaio in rottura col dominio della chiesa e l'apparizione di un nuovo movimento nazionalista (che si è cristallizzato

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finalmente nella creazione del Partito del Québec). La tranquilla Rivoluzione degli anni 60, la Crisi d’ottobre 1970 (nella quale il governo Trudeau ha utilizzato l'esercito e la polizia per schiacciare il Fronte di Liberazione del Québec), lo sciopero generale militante del 1972 e l'elezione di un governo del PQ sotto la direzione di René Lévesque nel 1976, tutto ciò ha portato a porre "la questione del Québec" al proscenio del dibattito politico. E ciò è rimasto così per un periodo di una trentina di anni. Tuttavia, l'ossessione dei politici federali a risolvere la questione del Québec è stata sfruttata dai politici di destra sostenendo che, in sostanza, gli abitanti del Québec cercavano di ottenere un trattamento speciale.

18. Innanzitutto l'atteggiamento dei socialisti deve essere chiaro, il Québec è una nazione oppressa nello Stato canadese. Dapprima conquistato dall'imperialismo britannico, lo Stato canadese continua a negare i diritti democratici del Québec a determinare il proprio futuro. I socialisti difendono il diritto del Québec all'autodeterminazione, compreso il diritto di secessione dalla Confederazione canadese (il che non significa accettare il diritto del governo del Québec a negare lo stesso diritto alle nazioni autoctone). Ma a partire da là, le cose si complicano. Come ho sottolineato prima, non ci sono regole generali o legge universale che dicano ai socialisti se devono difendere od opporsi alla separazione o alla secessione. Per scegliere, abbiamo bisogno di un'analisi concreta.Fondamentalmente, l'atteggiamento socialista deve assomigliare a quello di Marx concernente l'Irlanda. Se un movimento operaio potente, unito dimostra la capacità di affrontare i problemi dell'oppressione nazionale, allora la separazione nazionale non è necessaria. Marx pensava che questo fosse il caso dell’Inghilterra durante il periodo del Cartismo che è culminato nel 1848. Ma se lo sciovinismo verso la nazione oppressa diventa un mezzo continuo di bloccare lo sviluppo dell'indipendenza politica di classe della classe operaia, allora diventa sensato difendere l'indipendenza come un modo di finire con l'antagonismo nazionale e che possano difendere politiche di sinistra.Qualunque cosa si dica a proposito del passato, credo che un buon esempio può essere tratto dalle conseguenze dei dibattimenti sulla legge 101 e la legge 172 (le recenti leggi linguistiche del Québec), sugli accordi del Lago Meech e di Charlottetown, e dell'enorme ostilità che è stata generata in tutto il paese all'idea di garantire la riconoscenza del Québec come una "società distinta"; lo sciovinismo anti-Québec funziona allo stesso modo dello sciovinismo anti-irlandese negli anni 1860: un modo di legare i lavoratori anglofoni con i propri dirigenti e le tradizioni dello Stato canadese. Tutti i tentativi di andare incontro alle rivendicazioni nazionali del Québec incontrano subito una potente opposizione di una parte considerevole di gente ordinaria di lingua inglese. Nel mezzo di questo moto di protesta anti-Québec, l'identità nazionale della classe operaia, unita dietro le tradizioni dello Stato canadese, si è affermata. Possiamo porre la questione come quella di difendere una "nuova confederazione libera ed egualitaria" ciò che Marx proponeva nel caso dell'Inghilterra e dell'Irlanda, in modo da definire la nostra posizione su questa questione.

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Questo fu un errore da parte di Marx quello di proporre agli operai di invitare in una problematica nazionalista borghese. Questo dimostra la sua inesperienza politica, riflesso dell'immaturità della coscienza della classe operaia britannica all'inizio del capitalismo industriale. Non è per niente competenza del proletariato risolvere i problemi costituzionali, legislativi e parlamentari tra due borghesie nazionaliste e tra due Stati capitalistici in guerra. Il proletariato vorrebbe quello che non potrebbe, lui che possiede come unico potere e unica ricchezza solo la sua forza di lavoro da vendere senza anche l'opportunità di rifiutare. Il proletariato britannico di questi tempi come il proletariato canadese di oggi non devono intrattenere nessuna illusione di questa natura, ci sarà nuova "confederazione" dei soviet realmente liberi ed egualitari tra i proletari della terra nel giorno in cui la dittatura del proletariato si imporrà sotto un metodo di produzione comunista proletario. La sovrastruttura legale riposa sull'infrastruttura fondamentale, mai l'inverso. Lontano da allontanare il proletariato da una nazione, o da altre sciocchezze nazionaliste, l'atteggiamento opportunista della sinistra social-nazionalista fa seminare solamente confusione e accreditare il mito dell'oppressione nazionale e di una possibile "liberazione politica nazionale" all'infuori di una fondamentale emancipazione economica della classe proletaria. N.d.R.

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Vorrei rendere chiaro in questa fase che il mio suggerimento che i socialisti dovrebbero probabilmente difendere l'indipendenza del Québec non ha niente a che vedere col pensiero che un nuovo Stato del Québec sarebbe in se progressista, o che la lotta per questo dovrebbe scatenare inevitabilmente un movimento sociale radicale. Al contrario, contrariamente ai compagni di Gauche socialiste, io penso che un Québec borghese indipendente, realizzato senza sollevazione di massa, è una possibilità molto reale. Ne risulterebbe uno Stato del Québec indipendente con controlli dell'immigrazione, delle pratiche razziste e un'ostilità verso i popoli autoctoni, il che mi sembra molto probabile. In effetti, penso che i compagni di Gauche socialiste si sbaglino quando insinuano che i nazionalisti borghesi del Québec (come Lucien Bouchard), non vogliano realmente uno Stato indipendente e che i socialisti dovrebbero provare ad oltrepassarli, essendo essi più sostenitori della sovranità nazionale che i "sostenitori della sovranità nazionale". Penso, in effetti, che una tale posizione corra il rischio di non essere sufficientemente critica sul nazionalismo del Québec e dello Stato nazionale come forma politica.

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Il professor McNally riassume perfettamente il punto di vista dell'intellighenzia borghese, di sinistra come di destra, a proposito della questione nazionale del Québec. Tuttavia, il punto di vista materialista dialettico del proletariato rivoluzionario è molto differente. L'abbiamo spiegato già a lungo, una nazione non è mai oppressa, una nazione non è mai opprimente. Sotto il metodo di produzione capitalista, la classe sociale dominante sfrutta e opprime prima la classe alienata della propria nazione, e se questa classe capitalista è alla testa di un'infrastruttura industriale, commerciale e di affari multinazionali, essa sfrutta e opprime anche la classe proletaria dei paesi stranieri. La classe operaia canadese non trae nessun beneficio dallo sfruttamento dei proletari della provincia del Québec, o dei proletari autoctoni che vivono nelle riserve o fuori dalle riserve, e in questo senso si può dire che questa classe operaia alienata non sfrutta le frazioni autoctone e del Québec della classe proletaria internazionale. Inoltre, la sezione del Québec della classe capitalista canadese ha ottenuto tutti i poteri politici e giuridici che le erano richiesti per assicurare la sua realizzazione come sezione di classe dominante in seno al complesso federale canadese. Possiamo dunque affermare che la classe capitalista del Québec non è oppressa dalla classe capitalista canadese di cui fa parte e alla quale ha fornito tanti fantocci politici nazionali. L'emergere di miliardari di affari del Québec sulla scena internazionale ne è una manifestazione probante.Tutto si è giocato all'epoca dei negoziati dell'Atto del Nordamerica Britannico (AANB). In quell’occasione (1867), la borghesia nazionale del Québec, ottenendo il controllo del proprio apparato di stato borghese così come l'opportunità di partecipare alla governance dell'apparato di stato borghese canadese, assicurava così il proprio sviluppo. Di più, contrariamente alle pretese della sinistra e della destra borghese, il governo del Québec ha allora ottenuto il diritto di secessione (separazione-autodeterminazione-diritto di disporre del proletariato del Québec). A riprova, il governo nazionalista sciovinista del Québec ha tenuto due referendum sulla questione nazionale (1980 e 1995) e se avesse riportato uno o l’altro di questi referendum il Québec sarebbe oggi uno Stato capitalista sovrano assicurando lo sfruttamento della classe proletaria del Québec multietnico e la spoliazione del proletariato di altri paesi. La capitale del Québec, come segmento del capitale canadese, ha raggiunto la soglia di sviluppo imperialistico dell'economia capitalista. Come dovunque altrove, la sedicente lotta di "liberazione politica nazionale del popolo del Québec", senza liberazione economica dal giogo capitalista internazionale, si sarebbe chiusa per i lavoratori con il consolidamento della posizione dei suoi carcerieri del Québec. La crisi sistemica dell'imperialismo internazionale colpirebbe duramente tanto il proletariato multietnico del Québec come il proletariato multietnico canadese che avrebbe entrambi la missione storica internazionalista di rovesciare la loro classe capitalista e distruggere il loro rispettivo Stato per erigere il metodo di produzione proletario-comunista. Le classi proletarie canadesi e del Québec hanno rifiutato di giocare questo gioco nazionalista sciovinista e in ogni referendum canadese o del Québec la classe operaia internazionalista ha rifiutato di lasciarsi trascinare nelle pieghe grossolane dei capitalisti e dei loro affiliati della sinistra imborghesita. La classe proletaria canadese

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non ha bisogno davvero di una "avanguardia nazional-socialista" di retroguardia. N.d.R.

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19. Un altro punto deve essere affrontato per quanto riguarda le questioni nazionali in Canada. La maggior parte delle persone della sinistra che si rivolge a questi argomenti viene da un periodo dove gli immigranti e i popoli di colore non erano politicamente ancora organizzati. Spesso i socialisti hanno parlato come se esistesse un'entità omogenea chiamata "English Canada" in modo che sembrasse non vedere il carattere multietnico e multirazziale del paese. Ne è risultato che il carattere sistematicamente razzista dello Stato canadese fosse sottovalutato o ignorato. Ciò deve essere corretto. I socialisti non devono "privilegiare" la questione autoctona o del Québec in un modo che ignori l'oppressione razziale delle persone di colore in Canada. Per questa ragione, un sostegno conseguente all'antirazzismo deve andare di pari passo con un sostegno di principio ai diritti dei popoli autoctoni e del Québec all'autodeterminazione.

20. Le questioni nazionali diventeranno più importanti nella politica mondiale negli anni futuri. I socialisti rivoluzionari hanno l'obbligo di provare a trovare i modi per fare fronte ai dibattiti e alle crisi che ne conseguiranno. Non sarà sempre facile. Se si possono utilizzare i contributi storici dei marxisti del passato per guidare le nostre analisi, noi dobbiamo restare in guardia contro risposte dogmatiche e semplicistiche che falliscono nel rendere giustizia alla complessità delle poste in gioco implicate. E sostenendo il diritto delle nazioni oppresse a determinare il loro futuro, non dobbiamo mai perdere di vista che uno dei tratti essenziali del socialismo dal basso, è l'impegno per una comunità mondiale senza stato-nazione.

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CAPITOLO 6LENINISMO O MARXISMO?

L’IMPERIALISMO E LA QUESTIONE NAZIONALE (17)

L’OUVRIER COMMUNISTE

Commento di Robert Bibeau, gennaio 2017

Il giornale L'Ouvrier Communiste ha pubblicato nell'ottobre 1929, un articolo che confronta la posizione leninista e la posizione che il giornale attribuisce a Rosa Luxembourg (Junius). Noi crediamo importante pubblicare questo importante articolo e commentarlo.

Alla metà del XIX secolo. Karl Marx aveva definito il nazionalismo, di cui si affibbiava la borghesia, come la solidarietà di classe degli sfruttatori che si mescolava "all'interno delle frontiere contro il proletariato" e "al di fuori delle frontiere contro la borghesia degli altri paesi". Marx aggiungeva che "la fraternità", generata dai rapporti capitalistici di produzione tra le differenti nazioni borghesi, non sarebbe molto più fraterna di quella generata tra le differenti classi di una stessa nazione. Per Marx, i fenomeni distruttivi indotti dal capitalismo in un paese si riproducono in proporzioni gigantesche a livello internazionale (18). Attenendosi a questa analisi presentata da Marx nella primissima visione del capitalismo industriale, le sinistre europee conclusero che queste contraddizioni tra le differenti borghesie nazionali spingevano i signorotti nel campo proletario, particolarmente quelli dei paesi coloniali. Lenin, nei suoi testi, presenta una sintesi di questa posizione adottata dai bolscevichi. Purtroppo, la sinistra non ha completato i suoi doveri. Innanzitutto, la classe contadina è un grande nemico del metodo di produzione comunista e una fanatica convenuta del piccolo capitalismo agricolo. Il capitale conosce queste cose e prima di espropriare il signorotto per raggruppare le briciole, meccanizzare e industrializzare l'agricoltura, comincia con l’affamarlo prima di proletarizzarlo. I bolscevichi dell’Unione Sovietica non hanno saputo fare diversamente. Lo sviluppo dei mezzi di produzione e di conseguenza dei bisogni in materie prime e in forze produttive nuove e la necessaria espansione dei mercati hanno spinto il capitale a liberarsi dalle

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barriere doganali - dalle frontiere nazionali - in sintesi, ad estirparsi dal bozzolo nazionale che divenne una prigione contro l'espansione capitalista in fase imperialista. Lo sviluppo del metodo di produzione capitalista ha avuto per conseguenza che tutte le borghesie nazionali sono state forzate a fondersi in vaste alleanze capitaliste dividendosi il frutto dell'espropriazione del plusvalore in funzione dell'investimento e dell’assunzione di rischio. Ciò che determina l'appartenenza di un'economia nazionale ad un'alleanza imperialista o ad un'altra è sempre il livello di interdipendenza economica tra le economie che costituiscono questa alleanza. La classe proletaria non ha nessun ascendente su queste alleanze e non deve sostenere mai un'alleanza contro un'altra.Così, gli Stati Uniti sono stati i più grandi contraenti di rischi economici e militari ed essi sono stati i primi beneficiari dell'espansione imperialistica del metodo di produzione capitalista. È ciò che non ha compreso Stalin quando afferma "Il capitalismo ha da offrire ai popoli dei paesi dipendenti coloniali e semi-coloniali solo dipendenza ed arretratezza economica, sfruttamento forsennato, massacri inter-etnici, guerre e miseria. Va da sè che nessun paese imperialistico ha interesse ad aiutare altri paesi borghesi a dotarsi di un'industria e di un'agricoltura autonome per paura di contribuire a forgiare un concorrente. Ogni aiuto allo sviluppo contiene così in germe la sua antitesi e mira ad ostacolare uno sviluppo economico nazionale veramente indipendente" (19). Oggi, in seguito alle onde di delocalizzazione industriale è facile contraddire Stalin e dimostrare che il capitale non ha patria e che migra da un paese ad un altro a seconda del tasso di profitto previsto. La contabilità capitalistica non si stabilisce più in funzione dei paesi, ma in funzione delle grandi imprese internazionali. Esse si espandono ovunque possano investire per estirpare il prezioso profitto che dà loro vita.Se i bolscevichi e i partiti comunisti della Terza Internationale hanno sostenuto le lotte politiche della cosiddetta "liberazione nazionale e per il diritto all'autodeterminazione dei popoli" era perché questi partiti erano sotto l'influsso della piccola borghesia nazionalista che voleva impossessarsi della direzione delle lotte delle masse contadine disposte a sacrificare la loro vita per appropriarsi dei loro mezzi di produzione (la terra), ciò che sono riusciti a farlo in molti paesi con le conseguenze che si conoscono. Senza emancipazione economica, emancipazione politica ed emancipazione ideologica. Oggi, tutto è da riprendere dall'inizio con, da un lato, una ricca esperienza accumulata in occasione di queste rivoluzioni «proletarie» mancate (che non erano in realtà) e dall'altro lato una confusione moltiplicata nelle fila della classe proletaria.L'articolo dei compagni de L’Ouvrier Communiste, apparso nel 1929, bisogna ricordarlo, dimostra che l'ideologia proletaria rivoluzionaria non era morta anche a quest’epoca di dominio assoluto del nazional bolscevismo. L'acutezza, la profondità e la precisione della loro analisi di classe a proposito della questione nazionale borghese ci confortano sulle capacità della nostra classe che ha sempre mantenuto la rotta sulla rivoluzione malgrado la grande tormenta.

Robert Bibeau. Gennaio 2017. Direttore.

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http://www.les7duquebec.com

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Ecco l’articolo di l’Ouvrier Communiste

L’attuale conflitto della Cina con la Russia e le minacce di guerra che conseguono da questo incidente inter-imperialista, come del resto di tutti quelli che ci porta giorno per giorno l'attualità, segnalano la possibilità imminente di una nuova guerra mondiale e ci impongono un'attenzione rinnovata per il problema che lo scoppio e lo sviluppo della guerra del 1914 avevano allora così brutalmente messo di fronte la sinistra marxista della Seconda Internazionale.Su questo terreno, differenze molto importanti si erano manifestate tra gli elementi Leninisti (ridotti nella fattispecie a Lenin e Zinoviev che redigevano a loro soli la Socialdemocrazia) e la maggioranza di questa sinistra (soprattutto composta da elementi di Germania, Polonia e Olanda). Non è senza importanza constatare l'isolamento del bolscevismo russo nella sua posizione particolare sulla questione nazionale di fronte alle altre correnti. Non è probabilmente per un semplice caso che il bolscevismo o leninismo si trovasse già su questo terreno in contraddizione con l'ideologia proletaria occidentale.Da troppo tempo queste divergenze, di un'importanza fondamentale per lo sviluppo della rivoluzione internazionale, sono state tenute nascoste dai diversi elementi della Terza Internazionale. Proprio come le maggioranze, le cosiddette opposizioni catalogate Leniniste, Trotskiste o Bordighiste, hanno sempre finto di ignorare l'antagonismo delle tendenze Luxemborghiste e Bolsceviche. Prometeo, che pubblicava ultimamente un articolo di Amedeo Bordiga sulla "questione nazionale" non fa rimarcare in cosa il contenuto di questo articolo pareva scostarsi dal Leninismo per avvicinarsi alla Luxembourg. Conviene aggiungere che Bordiga stesso ha contribuito a mantenere nell'ombra queste differenze che esistevano da una quindicina di anni nella sinistra marxista, velandoli del mantello della disciplina bolscevica. È solamente nella sua conferenza su Lenin del 1924 che egli fa una vaga allusione a questa divergenza e manifesta in una frase diplomatica la sua simpatia per la tendenza anti-leninista della sinistra marxista nella Seconda Internazionale.In effetti, la morte di Luxembourg e l'esclusione degli elementi di sinistra come i Tribunistes olandesi e il Partito Comunista-Operaio tedesco (K.A.P.D.), fuori dalla Terza Internazionale, permisero al Leninismo di dominare incontrastato la tattica del Comintern nella questione nazionale così come in tutte le altre questioni.Occorre dunque mettere prima in evidenza la posizione marxista su questo problema particolare, come risulta insindacabilmente dalle citazioni allegate di Zinoviev e Lenin stessi. In Controcorrente si ricorre all'opinione di Marx nel Manifesto Comunista: "i lavoratori non hanno patria".

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Riproduciamo nella sua interezza il passaggio del manifesto dove Marx ed Engels espongono il loro pensiero sulla questione della patria in rapporto con la classe lavoratrice: "I lavoratori non hanno patria. Non si può strappare a loro qualcosa che non hanno. Come il proletariato di ogni paese deve in primo luogo conquistare il potere politico, erigersi come classe dirigente della nazione, diventare lui stesso la nazione, è ancora da questa parte nazionale, sebbene per niente nel senso borghese della parola. Già le demarcazioni nazionali e gli antagonismi tra i popoli spariscono sempre più con lo sviluppo della borghesia, la libertà di commercio, il mercato mondiale, l'uniformità della produzione industriale e le condizioni di esistenza corrispondondenti. Il proletariato al potere li farà sparire ancora di più. La sua azione comune, perlomeno nei paesi civilizzati, è una delle prime condizioni della sua emancipazione". Lenin dà qui un'interpretazione esatta del testo di Marx riconoscendo che la rivoluzione socialista non può vincere nei limiti della vecchia patria, che non può conservarsi nelle frontiere nazionali, che la sua azione comune, come dice giustamente Marx, perlomeno nei paesi civilizzati, sono una delle prime condizioni dell'emancipazione. È chiaro che qui Karl Marx comporta nei proletari avanzati un senso elevato dell'internazionalismo già prima della vittoria rivoluzionaria, e che vede una base per lo sviluppo della rivoluzione. L'espressione di nazione applicata all'insieme sociale che domina il proletariato e che lui identifica progressivamente a se stesso è formale come il residuo vuoto di senso lasciato dalla borghesia nella sua caduta. Essa non permette per niente di affermare che Karl Marx abbia pensato all'esistenza distinta di una "patria socialista" qualsiasi.Questo risulta chiaramente del resto che i limiti nazionali perdono il loro significato economico e politico già sotto il regime borghese e che sono destinati ad un'abolizione completa attraverso lo sviluppo del potere proletario. Lo sviluppo ulteriore dell'economia capitalista ha mostrato a fondo la precisione di questa tesi realizzando l'unità universale del mercato delle materie prime, degli sbocchi e dei capitali. L'ultima guerra ha finito con lo smascherare il nazionalismo come una sopravvivenza ultra-reazionaria non esprimendo più gli interessi di una formazione sociale autonoma, ma utilizzandolo come mascheramento ideologico per le realtà imperialistiche.I piccoli borghesi di ogni sorta e l'aristocrazia operaia dei monopoli non sono i veicoli del patriottismo che, nella misura del loro assoggettamento al grande capitale che, di fatto, i suoi fantocci, alternano la commedia della difesa nazionale con quella del Wilsonismo, del Locarnismo, ecc. I lavoratori non hanno nessuna ragione di attaccamento alle demarcazioni nazionali, quello che è manifestato dall'internazionalismo operaio; è evidente che la base storica delle sue lotte e delle sue esperienze rivoluzionarie condurrà il proletariato ad abolire le frontiere non appena avrà realizzato la presa del potere in più di un paese. Il carattere etnico delle nazionalità finisce col perdere ogni valore, la fusione degli elementi etnici più disparati è da tempo una banalità, e le frontiere "naturali", più che le frontiere etniche, non vanno di pari passo con la civiltà.Così la tesi internazionalista del Marxismo non si presta a nessun equivoco; l'espressione che la riassume: "i lavoratori non hanno patria" è di una chiarezza inequivocabile, marcando la divisione reale tra il

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nazionalismo borghese e l’internazionalismo proletario, l’ulteriore sviluppo storico ha smascherato il carattere nettamente borghese dell'ideologia patriottica e nazionale. E tuttavia Lenin non ha cancellato completamente dalla sua concezione "marxista" l'influenza di questa ideologia patriottica, che gli elementi marxisti d’Occidente respingevano interamente.È interessante rimarcare che, quando Lenin polemizza con i riformisti, egli assume gli atteggiamenti di ultrasinistra, mentre quando polemizza con gli ultrasinistra prende degli atteggiamenti riformistici. Questa posizione eclettica è generalizzata in lui in ogni questione. Le oscillazioni del suo centrismo sono caratterizzate molto bene dai lavori come La Rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky da una parte e la Malattia infantile del Comunismo, dall’altra. Nel passaggio citato da Controcorrente (pagina 18 del primo volume) Lenin polemizza contro i riformisti e social-traditori. Egli, diventando puramente internazionalista, ricorda l'espressione marxista: "i lavoratori non hanno patria" (20). Polemizzando con l'olandese Nieuwenhuis e paragonandolo a Gustave Hervé, afferma che quest’ultimo diceva una stupidità: "Quando c’è questo assioma: "ogni patria è solamente una mucca da latte per i capitalisti" traeva questa conclusione: "la monarchia tedesca o la Repubblica francese, è un tutt’uno per i socialisti".Lenin scrive "Quando nella sua risoluzione che propone al congresso, Hervé dichiara che per il proletariato è "assolutamente indifferente" che il paese si trovi sotto il dominio di questa o quella borghesia nazionale, egli formula e difende un'assurdità, peggio di quella di Nieuwenhuis. Non è del tutto indifferente al proletariato di poter, per esempio, parlare liberamente la sua lingua materna o subire un'oppressione nazionale che viene ad aggiungersi allo sfruttamento di classe. Al posto di trarre delle premesse che annunciano il socialismo, questa deduzione, che il proletariato è la sola classe che lotterà fino alla fine, certamente contro ogni oppressione nazionale, per la completa uguaglianza dei diritti delle nazioni, per il diritto delle nazioni a disporre di loro stesse, al posto di ciò, Hervé dichiara che il proletariato non deve occuparsi dell'oppressione nazionale, che ignora in generale la questione nazionale».Naturalmente Lenin adotta in questa circostanza il suo metodo preferito delle analogie per poter rifiutare una teoria attraverso il tradimento di un uomo. Ma questo non ha molta importanza per noi. Ciò che è più importante è il contenuto di questo passaggio che riassume la teoria leninista sulla questione nazionale. Ed egli pretende di trarre questa concezione particolare a lui e ai bolscevichi, dalle premesse che annunciano il socialismo!Ora, si è già ammesso con Marx che "i lavoratori non hanno patria", che la questione nazionale non può avere nessun interesse per la classe operaia. Marx dice chiaramente che non si può togliere loro (ai proletari) quello che non hanno. E tuttavia da questo passaggio di Lenin risalta chiaramente che si può togliere la patria ai lavoratori, che questa non è solamente un privilegio delle classi dominanti, che è anche un vantaggio delle classi sfruttate. Difatti "non è indifferente subire un'oppressione nazionale che viene ad aggiungersi allo sfruttamento di classe". Qui risalta chiaramente la contraddizione tra il pensiero marxista e il pensiero leninista. Per Lenin il proletariato deve interessarsi alla questione nazionale, deve essere contro ogni oppressione nazionale, ossia contro ogni oppressione della patria che,

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secondo Marx non si deve e non si può togliere. Per Lenin il proletariato è anche il paladino della difesa nazionale, perché rappresenta la sola classe che lotterà fino alla fine, particolarmente contro ogni oppressione nazionale.Queste sono probabilmente le origini del nazional-bolscevismo. E quando si sarà riflettuto molto sul significato del pensiero leninista, non si stupirà che Bukharin abbia detto nel 1923: "Il conflitto tra Francia e Germania del 1923 non è una semplice ripetizione del conflitto del 1914. Ha piuttosto un carattere nazionale. Di conseguenza il P.C.A dovrà dire chiaramente alla classe operaia della Germania che solo lei può difendere la nazione tedesca contro la borghesia, che vende gli interessi nazionali del proprio paese".E difatti, la Germania non era, nello spirito del pensiero leninista, un paese oppresso? Non c’è dubbio. Regioni tedesche che erano oppresse dall'occupazione francese, era "dovere" dei lavoratori tedeschi, lottare fino alla fine per la liberazione di queste regioni! Per la liberazione della Germania dall'oppressione dell'Accordo. Tutti conoscono bene i risultati dell'applicazione della tattica leninista nel 1923 in Germania.Da questa esperienza disastrosa risulta che quando il proletariato si mette a difendere "la propria patria", "la nazione oppressa", ottiene un solo risultato, vale a dire quello di rinforzare la propria borghesia. Ma sarà necessario evidenziare ancora una contraddizione molto chiara, che è presente negli articoli di Controcorrente per rendersi conto della natura equivoca del Nazional-Bolscevismo. Nell'articolo I Saccheggiatori di Zinoviev (pagina 70 del primo volume) è detto questo: "Finché gli stati capitalisti esistono, vale a dire finché la politica imperialista mondiale domina la vita interna ed esterna degli stati, il diritto delle nazioni a disporre di loro stesse non ha né in pace né in guerra la minima importanza. Di più: non c'è spazio nell'attuale ambiente imperialista per una guerra di difesa nazionale e ogni politica socialista che faccia astrazione da questo ambiente storico e che voglia orientarsi dalla base isolata di un solo paese, è fin dall’inizio costruita sulla sabbia".Come abbiamo appena constatato, l'imperialismo ha soppresso ogni possibilità di una guerra nazionale, nel senso marxista del termine, e l'opinione di Karl Marx del 1871 ha trovato una base solida nell'ulteriore sviluppo dell'imperialismo capitalista. Ora, nel passaggio precitato sembrerebbe che il Leninismo si avvicini nella sua linea generale a questa opinione. Ma non è così. Nella sua polemica con i socialdemocratici polacchi Lenin sviluppa così il suo pensiero in contrasto con questi ultimi: "Evidentemente gli autori polacchi pongono la questione della "difesa della patria" in modo del tutto diverso da come viene posta dal nostro partito. Noi respingiamo la difesa della patria nella guerra imperialista (…). Evidentemente gli autori delle tesi polacche respingono in genere la difesa della patria, vale a dire anche per una guerra nazionale, pensando forse che le guerre nazionali, nell'era imperialistica, siano impossibili".È evidente che in questo passaggio Lenin afferma che per lui le guerre nazionali non sono ancora finite e che ammette la difesa della patria in una guerra nazionale. Si vede chiaramente che anche qui l'ideologia leninista è in contraddizione col marxismo e con lei stessa. Per Lenin la realtà oscilla tra due poli che si negano reciprocamente. Da una parte egli riconosce la realtà terribile della guerra imperialista, che trae la sua

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origine apparente da un conflitto nazionale, dall'altro egli si attacca disperatamente ad un nazionalismo tagliato fuori, antiquato, che vuole per forza far rivivere. E anche per questo che egli cerca degli esempi nelle insurrezioni nazionali che hanno smascherato successivamente il loro carattere reazionario e che non hanno portato nessun vantaggio al movimento rivoluzionario del proletariato. Lenin afferma questo: "I socialisti vogliono utilizzare, per la loro rivoluzione, tutti i movimenti nazionali che scattano contro l'imperialismo. Più la lotta del proletariato contro il fronte comune degli imperialismi è ora netta, più il principio internazionalista diventa essenziale che dice: un popolo che opprime altri popoli non può essere lui stesso libero" (21)Nella sua polemica con l'opuscolo di Junius (pagina 154 del secondo volume) il pensiero di Lenin in questa questione si delinea sempre di più. Per Lenin esiste una linea di demarcazione netta tra le guerre nazionali e le guerre imperialiste: "Solo un sofista (pagina 158) potrebbe provare a cancellare la differenza tra una guerra imperialista e una guerra nazionale…".E più in basso egli afferma anche la possibilità di una grande guerra nazionale:"Se l'imperialismo al fuori dell'Europa si mantenesse anche per una ventina di anni, senza lasciare ii posto al socialismo, per esempio a causa di una guerra americana-giapponese, allora sarebbe possibile una grande guerra nazionale in Europa".Junius (Luxembourg) sostiene coerente, come marxista, che non si possono fare più guerre nazionali e Lenin esclama che sarebbe falso "estendere la valutazione della guerra attuale a tutte le guerre possibili sotto l'imperialismo, dimenticare i movimenti nazionali che possono prodursi contro l'imperialismo". Ed egli aggiunge che è possibile anche una grande guerra nazionale! Qui la contraddizione tra il suo pensiero e il pensiero marxista si fa sempre più acuta, perché per Zinoviev stesso la guerra del 1870-71 ha chiuso l'era delle grandi guerre nazionali in Europa.In vano, pagina 122-23 della stessa opera, Lenin prova a trarsi d’impaccio nella sua polemica contro i socialdemocratici polacchi, facendo ricorso al pensiero di Engels contenuto nell’opera Il Po e il Reno. La sua contraddizione col Marxismo non è meno evidente. Engels crede che le frontiere delle grandi nazioni europee furono determinate nel corso della storia che realizzò l'assorbimento di parecchie nazioni piccole e non sostenibili, integrate sempre più in una grande dalla lingua e le simpatie delle popolazioni. Questa tesi di Engels è già molto debole dal punto di vista storico. Ma soprattutto Lenin è obbligato a constatare che il capitalismo reazionario, imperialista, rompe sempre più spesso queste frontiere democraticamente definite. Ora, bisogna notare che il modo di vedere l'influenza del capitalismo nello sconvolgimento delle vecchie frontiere che Engels considerava come "naturali" non risponde affatto all'idea maestra del Marxismo contenuta nel Manifesto dei Comunisti al passaggio precitato: "Le demarcazioni nazionali e gli antagonismi tra i popoli già spariscono sempre di più con lo sviluppo della borghesia, la libertà del commercio, il mercato mondiale, l'uniformità della produzione industriale e le condizioni di esistenza corrispondondenti".Questo processo di scomparsa delle demarcazioni nazionali non è considerato da Marx come un fenomeno reazionario, come sostiene Lenin.

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Lenin considera tutto questo processo e il modo di considerarlo messo in pratica dai socialdemocratici polacchi, come "l’economismo imperialista". Ecco ciò che dice: "I vecchi "economisti", lasciando solamente una caricatura del Marxismo, insegnavano agli operai che "ciò che è economia" importa solo ai Marxisti. I nuovi "economisti" pensano che lo stato democratico del socialismo vincitore esisterà senza frontiera, (nel genere di un complesso di sensazione senza materia)? Pensano loro che le frontiere saranno determinate solamente dai bisogni di produzione? In realtà queste frontiere saranno determinate democraticamente, vale a dire conformemente alla volontà e alle simpatie della popolazione. Il capitalismo influisce attraverso la violenza su queste "simpatie" e con questo aggiunge nuove difficoltà all'opera di avvicinamento delle nazioni" (22).Là c'è un contrasto evidente tra il pensiero leninista e il pensiero marxista. Per Marx la borghesia, l'organizzazione economica del capitalismo fanno sparire le frontiere, eliminano le difficoltà nazionali, per Lenin il capitalismo aumenta queste difficoltà. Si potrà rimarcare che la borghesia era progressista nel 1848 e reazionaria nella fase imperialista. Sarebbe là una distinzione che non servirebbe molto, perché lo sviluppo dell'economia mondiale non ha cessato da allora, anche attraverso crisi formidabili da determinare un avvicinamento sempre più intimo tra le popolazioni nazionali, e talvolta la fusione degli elementi nazionali.Il pensiero Leninista non si rende conto anche del lato artificiale dei cosiddetti sentimenti nazionali alimentati espressamente dalla borghesia. Esso non si rende conto che in alcuni strati della popolazione i sentimenti sciovinisti sono un semplice risultato delle loro condizioni economiche. Che oggi l'amore per la patria è relegato in questi strati, come abbiamo già indicato sopra.Il pensiero leninista ci appare qui come un anacronismo storico, un ritorno al passato. Egli vuole realizzare l’unità dei popoli ritornando su una base storica, che il marxismo considerava nel 1848 già in via di sparizione. Il pensiero Leninista su questo terreno, ben ignorato dai militanti comunisti occidentali, può essere definito decisamente come reazionario.Invece di combattere sentimenti nazionali, che la borghesia ha tutto l'interesse di mantenere in vita, lei li incoraggia, li legittima, di fatto una base morale di sviluppo del socialismo. Nessuno dubiterà un momento, leggendo la polemica di Lenin contro Junius che il sofismo è dalla sua parte. Difatti qual’è il solo argomento che può aggiungere contro la Luxembourg? Il pretesto sottile che la dialettica può scivolare nel sofismo. Ed egli fa perciò appello alla dialettica dei greci che non ha niente a che fare con la dialettica materialista, che non è un metodo fuori dalla realtà, ma un metodo nella realtà stessa. Perché questa guerra nazionale (la piccola Serbia che si rivolta contro la grande Austria) si era trasformata nella guerra imperialista non nell'astratto, ma nella realtà. Essa ha provato chiaramente che il sofismo era sul terreno delle guerre e delle questioni nazionali dalla parte di Lenin.Ma prima di passare in rassegna gli avvenimenti storici che sono venuti a confermare questo giudizio, non sarà male fissare in un modo più chiaro il pensiero di Lenin attraverso una citazione che non può dare adito a nessuna contestazione nel suo contenuto. Nell'articolo contro l'opuscolo di Junius (pagina 158, secondo volume) Lenin afferma nettamente la sua

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fede nelle guerre nazionali ed estende la sua teoria alla questione coloniale: "Guerre nazionali, egli dice, non sono solamente probabili, sono inevitabili, in un'epoca di imperialismo, dal lato delle colonie e semi-colonie. Nelle colonie e semi-colonie (Cina, Turchia, Persia) esistono delle popolazioni che raggiungono in totale fino ad un miliardo di persone, vale a dire più della metà della popolazione del globo. I movimenti nazionali emancipatori, da questo lato, sono o già molto forti, o in crescita e, in maturazione. La continuazione della politica nazionale emancipatrice delle colonie sarà necessariamente in guerre nazionali che esse impegneranno contro l'imperialismo. Guerre di questo genere possono portare ad una guerra delle grandi potenze imperialiste di oggi, ma possono anche non portare a niente, ciò dipenderà da numerose circostanze". Noi abbiamo rimarcato finora le contraddizioni tra il Marxismo e il Leninismo sul terreno della questione nazionale. Abbiamo fatto notare il contrasto netto tra la tesi nazional-bolscevica del Leninismo e l'internazionalismo marxista dei tedeschi di sinistra, dei polacchi e degli Olandesi. Coloro che avranno letto o leggeranno l’articolo Il comunismo e la questione nazionale di Bordiga su Prometeo del 15 settembre 1929 noteranno che questo contrasto (pur essendo nascosto) esisteva anche tra il pensiero della sinistra italiana e il pensiero leninista. Non si tratta là di un puro caso. Il Leninismo anti-marxista nascondeva sul terrreno della questione nazionale una profonda differenza di condizioni oggettive tra la Russia e gli altri paesi europei. Le basi oggettive della prossima rivoluzione russa non erano puramente socialiste e nel pensiero leninista si produceva questa strana contaminazione di elementi proletari e borghesi che si urtavano contro il pensiero nettamente operaio dell'occidente. Le condizioni oggettive russe si riflettevano già nel loro contrasto nel pensiero del futuro capo della Rivoluzione d’Ottobre.Queste considerazioni, che hanno tuttavia la loro base teorica, nella concezione del materialismo storico e che contengono il giudizio della concezione nazionale del Leninismo, non sarebbero sufficienti, se non si appoggiassero sulla bancarotta storica del nazional-bolscevismo. Molti militanti comunisti hanno creduto finora che la tattica applicata dal Leninismo, il Bukharismo e lo Stalinismo non avessero niente a che fare col Leninismo, hanno pensato che queste linee tattiche dell'Internazionale Comunista fossero una degenerazione della linea pura del Bolschevismo. Ciò è dovuto anche all'atteggiamento diplomatico di alcuni oppositori di sinistra che, come abbiamo già fatto notare all'inizio di questo articolo, hanno nascosto delle differenze serie col Leninismo, facendo appello alla degenerazione del bolscevismo. Le sfumature zinovieviste, bukhariniste, staliniste e anche trotskiste non si distaccano per niente dal nazional-bolscevismo autenticamente leninista. È per questo che siamo stati obbligati a fare ricorso a numerose citazioni di Lenin affinché i lavoratori comunisti non fanatici, che leggono e riflettono, possano comprendere che il nazional-bolscevismo ha una unica fonte che è nel Leninismo.Ma passiamo quindi all'analisi del processo storico successivo alla fondazione teorica del nazional-leninismo per constatare la natura anti-proletaria e la sua bancarotta definitiva.

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Abbiamo già visto che Lenin, in contrasto con la tesi Marxista del 1871, contemplava la possibilità di una grande guerra nazionale in Europa, abbiamo visto che Lenin riteneva dovere del proletariato difendere la nazione oppressa. Per i Leninisti nel 1923, nel periodo dell'occupazione e della guerra economica della Ruhr, la Germania faceva una guerra nazionale. Essi affermavano che in seguito al trattato di Versailles la Germania era diventata una nazione oppressa. È per questo che Bukharin nella citazione già allegata riteneva che il proletariato tedesco dovesse difendere la nazione. Zinoviev nella Rote Fahne del 17 giugno 1923 affermava che i comunisti sono i veri difensori del paese, del popolo e della nazione. Bukharin e Zinoviev erano allora dei leninisti, dei bolscevichi puri. Lenin in Controcorrente non aveva previsto la "grande guerra nazionale"? Certo. Zinoviev dimenticava il suo articolo dei Saccheggiatori, ma Lenin non aveva dimenticato nel 1916 le sue considerazioni del 1914 contro i riformisti? Radek, esaltando Schlageter e polemizzando amichevolmente sulla Rote Fahne col fascista Réventlow era anch’egli un coerente Leninista, perché pensava a difendere la Germania oppressa contro l'imperialismo dell'Intesa e la borghesia tedesca traditrice. Certo la Ruth Fischer superava un poco i limiti del Leninismo, quando procedeva, di fronte agli studenti razzisti, alla sua giustificazione dell'antisemitismo fascista per salvare la patria oppressa, ma questa non era che una sregolatezza dovuta ad un temperamento eccessivo. Solo un atteggiamento leninista in Paul Froelich quando scriveva nella Rote Fahne del 3 Agosto del 1923: "Non è vero che noi altri comunisti siamo stati durante la guerra degli antinazionali. Eravamo contro la guerra, non perché eravamo degli antitedeschi, ma perché la guerra serviva solamente agli interessi del capitalismo… per questo noi non neghiamo la difesa nazionale là dove è posta all'ordine del giorno!"Lenin ha detto che respingeva la difesa della patria in una guerra imperialista, ma non in maniera generale? Vediamo chiaramente che né Zinoviev, né Bukharin, né Radek, né Froelich tradivano il Leninismo nella loro strategia del 1923. Era solo il Leninismo che uccideva la rivoluzione tedesca, era il nazional-bolscevismo che, pretendendo di salvare la nazione contro la borghesia tedesca, salvava la borghesia contro il proletariato tedesco. Si allontanava l'attenzione del proletariato dal suo obiettivo principale: la lotta contro il capitalismo internazionale, di conseguenza si allontanavano così i senza-patria tedeschi dai senza-patria delle altre nazioni, chiacchierando di oppressione nazionale, di tradimento nazionale della borghesia tedesca e altre cantilene piccolo borghesi. Quali sono stati i risultati della conseguente applicazione della tattica nazionale leninista nel 23 tedesco? Che il proletariato è stato battuto, che la borghesia tedesca si è rinforzata talmente che Bukharin al VI° Congresso dell'Internazionale Comunista si è visto costretto a rivelarci la risurrezione dell'imperialismo tedesco! E’ così che l'ideologia nazionale Leninista almeno per ciò che riguarda la "grande guerra nazionale europea" ha trovato la sua fine nel 23 tedesco. E dietro questa fine appare l'immagine insanguinata dell'autore dell'opuscolo di Junius che grida: "Non c’e più guerra nazionale sotto l'imperialismo capitalista".

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Ma se la grande guerra nazionale europea ha trovato la sua tomba nel 23 tedesco, le piccole guerre nazionali delle colonie e semi-colonie (Turchia, Persia e Cina) sono anch’esse morte nella palude della reazione imperialista. Anch’esse non si sono potute sottrarre all'influenza dell’ambiente storico dominato dal capitalismo. La storia delle guerre nazionali cinese e turca è la storia molto conosciuta di Kémal Pacha e di Chang-Kai-Chek. Queste sono le due insanguinate tragedie dove il proletariato e i comunisti turchi e cinesi hanno sostenuto il ruolo della vittima. La Russia di Lenin, del bolscevismo, dell'edificazione socialista ha dato le armi per queste guerre nazionali a Chang-Kai-Chek e a Kémal Pacha; questi ultimi, immediatamente trascinati nel cerchio della politica imperialista, hanno fatto con gli imperialisti fronte unico contro il proletariato, hanno usato le armi che la Russia ha fornito loro contro il proletariato e i comunisti. E tuttavia si è applicato in queste circostanze la pura tattica leninista, checchè ne dicano Trotsky e i suoi seguaci. Si è detto al proletariato cinese, al proletariato turco di difendere la propria patria oppressa dagli imperialisti e gli agenti degli imperialisti; si è proclamata la crociata delle nazioni oppresse contro l'imperialismo. Lenin stesso non aveva anche raccomandato l'utilizzazione del fronte unico delle nazioni oppresse contro l'imperialismo? Non si può pretendere certamente che la lotta per la difesa della nazione oppressa possa conciliarsi con l'interesse rivoluzionario dei lavoratori, perché la lotta del proletariato contro il capitalismo e l'imperialismo internazionale è la lotta contro la propria borghesia, non nel nome della propria nazione, ma nel nome del proletariato internazionale. Ciò che importava di più in Cina per il proletariato cinese e internazionale era l'entrata della classe operaia cinese nella lotta rivoluzionaria proletaria e non nella lotta nazionale, che era reazionaria nella sua essenza, che non poteva condurre in nessun caso all'emancipazione nazionale della Cina, ma in tutti i casi al legame della borghesia cinese con l'imperialismo. Si possono chiamare oggi guerre nazionali, dei conflitti che non possono sottrarsi all’ambiente storico dell'imperialismo? No, ovviamente. Inoltre, l'ideologia delle guerre nazionali, della patria non capitalista, non imperialista è fallita completamente nelle disfatte terribili e in un mare di sangue proletario. E la santa crociata delle nazioni oppresse contro l'imperialismo oppressore si trasforma in un legame delle borghesie locali e contro il proletariato mondiale. Se in Cina e in Turchia la leggenda della guerra nazionale si è risolta in una tragedia, in Afghanistan e in Persia è morta sotto gli zimbelli della storia nella farsa di Amanoullah. Le colonie stesse, l'Egitto, l'India, questi paesi che inglobano milioni di uomini e che Lenin sperava di scatenare nel loro fuoco nazionale contro l'imperialismo del colosso capitalista, non ci permettono una guerra nazionale. Perché negli Swaraj, nel Wafd, eccetera, la borghesia locale ha perso già la sua aggressività nazionale, e cerca il compromesso, l'alleanza sottomessa col colosso imperialista. E pertanto gli spietati Leninisti preparano ancora nuove crociate nazionaliste, vale a dire nuovi massacri di proletari coloniali invece di preparare la rivoluzione socialista attraverso lo sviluppo della coscienza del proletariato degli stessi paesi.

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Quali conclusioni si possono trarre da questa analisi di pensieri e fatti sulla questione nazionale?

Che non esiste questione nazionale per il proletariato, che i lavoratori non possono trarre alcun vantaggio dall'esistenza per loro di una patria e che non devono occuparsi di oppressioni nazionali, di diritto delle nazioni a disporre di loro stesse. Il proletariato sviluppa il suo movimento, fa la sua rivoluzione come classe e non come nazione. Subito dopo la vittoria del proletariato in parecchie nazioni, le frontiere possono solamente sparire. La tesi leninista dell'autonomia nazionale degli stati socialisti è un nonsenso. Lenin afferma che finché lo stato esiste, la nazione rimane una necessità. Ora, la nazione è solamente un prodotto dello stato borghese e non dello stato proletario. Gli stati proletari possono solamente tendere ad unificarsi e a sopprimere le frontiere. Molto di più: il socialismo in quanto ordine economico e sociale può realizzarsi solo sulla base della scomparsa totale delle frontiere. La soppressione delle differenze economiche nazionali non può realizzarsi senza la soppressione dei limiti nazionali che sono del resto artificiali e convenzionali. La dittatura proletaria, lo stato operaio, che non è lo stato borghese, può avere solamente un carattere universale e non nazionale, democraticamente unitario e non federativo. I comunisti marxisti non devono edificare gli Stati Uniti d’Europa o del mondo, il loro scopo è la Repubblica universale dei consigli operai.I comunisti marxisti devono propagare di conseguenza tra le larghe masse operaie l'odio per la patria che è un mezzo per il capitalismo di seminare la divisione tra i proletari dei differenti paesi. Essi devono raccomandare tra le larghe masse operaie la necessità della fraternizzazione, dell'unione internazionale di tutti i proletari in tutti i paesi. Devono combattere con accanimento non solamente tutte le tendenze scioviniste, fasciste, o socialdemocratiche che avvelenano gli stessi ambienti operai, ma anche tutte le tendenze mascherate, che proverebbero a dare una base qualsiasi all'ideale nazionale. Devono combattere contro la leggenda delle guerre nazionali, la leggenda delle crociate popolari anti-imperialiste. Devono radicare, utilizzando l'esperienza storica, nel profondo delle masse proletarie, la fede nella vittoria del socialismo, solo su basi puramente classiste, puramente internazionaliste.Bisognerà concentrare di conseguenza tutti i nostri sforzi sulla rinascita del vero internazionalismo marxista nel quale i social-riformisti e i nazional-bolscevichi hanno seminato la confusione.Sappiamo bene che la nostra propaganda non può da sola realizzare questo sforzo di riportare tra le masse l'internazionalismo e di svilupparlo fino ad un grado sconosciuto finora. Sappiamo che la nostra propaganda, pur essendo necessaria, non avrà la minima influenza, se gli sviluppi ulteriori del processo storico non si incaricassero di confermarla. Ma sappiamo anche che questi sviluppi possono solamente spingere il proletariato verso le posizioni che i veri internazionalisti non hanno mai tradito, che Rosa Lussembourg ha conservato fino alla morte.

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Note

(1) Robert Bibeau (2016) Questione nazionale e rivoluzione proletaria. Url:http://les7duquebec.com/7-au-front/question-nationale-et-revolution-proletarienne

(2) Robert Bibeau (2016) I misteri d’oro finalmente svelati. Url: http://www.les7duquebec.com/7-au-front/les-mysteres-aurifaires-enfin-reveles/ Accordi di Bretton Woods. Url: http://www.les7duquebec.com/actualites-des-7/le-troisieme-stade-de-la-crise-systemique-mondiale/ (3) Diritti Speciali di Prelievo. Url: http://www.les7duquebec.com/7-dailleurs-invites/mort-et-resurrection-du-veau-dor-americain/

(4) Marx a S. Meyer e A. Vogt, in Marx-Engels, Corrispondenze. Url:https://www.marxists.org/francais/marx/correspondance.htm

(5) Robert Bibeau (13.10.2014) Stati Uniti – Cina, il grande confronto. Url: http://www.les7duquebec.com/actualites-des-7/etats-unis-chine-la-grande-confrontation/Robert Bibeau (10.07.2016) Alleanza di Shanghai contro l’Unione Europea. Url: http://www.les7duquebec.com/actualites-des-7/alliance-de-shanghai-contre-union-europeenne/

(6) Conferenza di Bandung. Url: https://fr.wikipedia.org/wiki/Conf%C3%A9rence_de_Bandung

(7) Luniterre (21.07.2016) Polemica con Robert Bibeau. Url: https://tribunemlreypa.wordpress.com/2016/07/22/un-nouvel-echange-polemique-avec-robert-bibeau/

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(8) Robert Bibeau (8.07.2016) Fergusson, Minneapolis, Dallas, stesso proletariato stessa lotta. Url: http://www.les7duquebec.com/7-dailleurs-invites/ferguson-minneapolis-dallas-proletariat-meme-combat/

(9) Robert Bibeau (8.07.2016) Fergusson, Minneapolis, Dallas, stesso proletariato stessa lotta. Url: http://www.les7duquebec.com/7-dailleurs-invites/ferguson-minneapolis-dallas-proletariat-meme-combat/

(10) Pierre Souyri (1979). Note di lettura. Noi abbiamo utilizzato la versione del testo pubblicato sul blog Spartacus il 20.07.2016. Url: http://spartacus1918.canalblog.com/archives/2016/07/20/34091094.html Le note di lettura di Pierre Soury riguardano il volume di Georges Haupt, Michel Lowy, Claudie Weill. I marxisti e la questione nazionale, 1848-1914. Paris, Maspero. 1974. p.391 Note di lettura di Pierre Souyri pubblicate negli Annales a luglio-agosto 1979. Il libro è stato ristampato da L’Harmattan, Parigi, nel 1997.

(11) Paul Mattick (1959) Nazionalismo e socialismo. Pubblicato in inglese nel The American Socialist nel settembre 1959, in francese nel Front Noir (febbraio 1965) e nel ICO n° 99 (novembre 1970).

(12) David McNally (1996) Marxismo, nazionalismo e lotte nazionali oggi. Documento di discussione del New Socialist Group (1996). Traduzione dall’inglese di La Gauche. Note non pubblicate.

(13) Citato in James M. Blount, The National Question: Decolonising the Theory of Nationalism. Pag. 67.

(14) Lenin. Opere selezionate. Vol. 1. Éditions de Moscou. Pag. 409.

(15) Socialist Workers Party (1974) La dinamica della rivolutione mondiale oggi. SWP. Pag. 137.

(16) New Socialist (1996) Potere Rosso, una intervista con Howard Adams. New Socialist. N.2. Marzo-Aprile 1996.

(17) L’Ouvrier Communiste, n°2/3. Ottobre 1929. Leninismo o marxismo ? L’imperialismo e la questione nazionale. URL: https://bataillesocialiste.wordpress.com/documents-historiques/1929-10-leninisme-ou-marxisme-limperialisme-et-la-question-nationale-goc/

(18) Karl Marx (1848) Sul sistema nazionale dell’economia politica di Friedrich List. Discorso sul libero scambio.

(19) Stalin (1913). Il marxismo e la questione nazionale e coloniale. Url: http://spartacus1918.canalblog.com/archives/2016/07/20/34091094.html

(20) Lenin. Zinoviev (1914-1915) Controcorrente. Tradotto da V.Serge e Parijanne. Pag.213. Url: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k96333462

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(21) Lenin. Zinoviev (1914-1915) Controcorrente. Tradotto da V.Serge e Parijanne. Pag.139. Url: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k96333462

(22) Gli "economisti" formavano una tendenza della socialdemocrazia russa attribuendo un'importanza assoluta alla lotta per le rivendicazioni economiche parziali.

INDICE

SOMMARIO

PREFAZIONE

CAPITOLO 1 Questione nazionale e rivoluzione proletaria

CAPITOLO 2 Ferguson, Minneapolis, Dallas, stesso proletariato, stessa lotta

CAPITOLO 3 I marxisti e la questione nazionale

CAPITOLO 4 Nazionalismo e socialismo

CAPITOLO 5 Marxismo, nazionalismo e lotte nazionali oggi

CAPITOLO 6 Leninismo o marxismo? L’imperialismo e la questione nazionale

NOTE

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Sociologia e questioni di società nelle edizioni L’Harmattan

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Questo lavoro pretende così portare delle piste di risposte e fa seguito ai lavori dell'autore sui legami negativi, le dinamiche relative all’organizzazione e su ciò che fa società.(Coll. Logiche sociali, 15.00 euro, 132 p.)ISBN: 978-2-343-07379-8, ISBN EBOOK,: 978-2-336-39642-2

Sociologia e psicoanalisi n°21Quale prassi, quale clinica?Sotto la direzione di Gilles Arnaud e Pascal FugierIl presente volume mette in dialogo le differenti correnti che sono al tempo stesso il prodotto e la riscrittura della storia collettiva che lega sociologia e psicoanalisi: dal dialogo interdisciplinare socio-analitico alla psicologia sociale e sociologia clinica, passando dall'antropologia di ispirazione psicanalitica o ancora la socio-psicoanalisi. L'obiettivo è qui di mostrare questa diversità di approcci in uno stesso lavoro, considerandoli come altrettante modalità originali di messa in atto di ciò che fa "accoppiare" tra le due discipline.(Coll. Clinica e cambiamento sociale,20.50 euro, 184 p.)ISBN: 978-2-343-07854-0, ISBN EBOOK,: 978-2-336-39695

I combattenti europei in SiriaSotto la direzione di Ann Jacobs e Daniel FloreIl presente lavoro riunisce gli atti della quarta giornata franco-belga di diritto penale, dedicato ai combattenti europei in Siria. Dopo un'introduzione che descrive il contesto del terrorismo islamico, la problematica è prima affrontata sotto l'angolo delle analisi e azioni dell'Unione Europea e poi sotto l'angolo del diritto dei conflitti armati. Infine si passa al vaglio il diritto francese e le sue ultime modifiche così come il diritto belga, tanto penale che procedurale.(Coll. Comitato internazionale dei penalisti francofoni,25.00 euro, 250 p.)ISBN: 978-2-343-07389-7, ISBN EBOOK,: 978-2-336-39356-8

Sguardi plurali sull'incertezza politicaTra derive identitarie, urbanizzazione, globalizzazione economica, reti digitali e femminilizzazione del socialeSotto la direzione di Hervé Marchal e Christophe BaticleQuesto lavoro identifica le forme attuali della politica, dal Mali al Québec passando per la Turchia, la Spagna, Madagascar, la Francia o ancora l'Italia. Che cosa accade concretamente in materia di riassetto della politica? Quali forme prendono nel mondo i movimenti protestatari? Le nozioni di spazio pubblico, di autoctonia, di identità, di nazione, di cittadinanza sono, tra gli altri, analizzati. L'incertezza politica è pensata attraverso pratiche, movimenti e lotte che sono da identificare per comprendere il nostro mondo contemporaneo.(Coll. Ricerca e trasformazione sociale, 24.50 euro, 234 p.) ISBN: 978-2-343-07373-6, ISBN EBOOK,: 978-2-336-39226-4

Energia, chimere e frodi

Page 79:  · Web viewIn una società di classe, le idee dominanti sono que lle della classe dominante. In una società capitalista nazionalista borghese, le idee dominanti sono quelle della

Sibresse Marie-Abele Questo lavoro ha come scopo quello di mostrare qual è la problematica dell'energia sotto gli angoli, storici, scientifici, tecnici, tecnologici ed economici.Ogni scelta politica concernente l'energia dovrebbe essere operata solo dopo un approccio globale della questione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, questo non è fatto. Un esempio: il diesel è accusato di inquinare più degli altri motori termici, il che è globalmente falso e termodinamicamente il diesel è molto migliore dei suoi concorrenti.(28.00 euro, 270 p.) ISBN: 978-2-343-07183-1, ISBN EBOOK,: 978-2-336-39269-1

L’HARMATTAN ITALIAVia Degli Artisti 15; 10124 [email protected]

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699198028/[email protected]

L’HARMATTAN COSTA D’AVORIORésidence Karl / cité des artsAbidjan-Cocody 03 BP 1588 Abidjan 03(00225) 05 77 87 [email protected]

L’HARMATTAN BURKINAPenou Achille SomeOuagadougou(+226) 70 26 88 27

L’HARMATTAN SÉNÉGAL10 VDN en face Mermoz, après le pont de FannBP 45034 Dakar Fann33 825 98 58 / 33 860 [email protected] / [email protected]

L’HARMATTAN GUINEAAlmamya Rue KA 028, en facedu restaurant Le CèdreOKB agency BP 3470 Conakry(00224) 657 20 85 08 / 664 28 91 [email protected]

L’HARMATTAN MALIRue 73, Porte 536, Niamakoro,Cité Unicef, BamakoTél. 00 (223) 20205724 / +(223) [email protected]@gmail.comwww.harmattansenegal.com