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da L’arte del Medioevo di Julius von Schlosser Storia dell’arte Einaudi 1

Von Schlosser - l'Arte Del Medioevo

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da L’arte delMedioevo

di Julius von Schlosser

Storia dell’arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:Julius von Schlosser, L’arte del medioevo, trad. it. diCarlo Sgorlon, Einaudi, Torino 1961 e 1989Titolo originale:Die Kunst des Mittelalters

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Indice

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Introduzione 4

I. Presupposti filosofici e culturali 15

II. Fonti della storia medievale 25

III. Contributi dei singoli popoli 34

IV. Origini e formazione del linguaggio artistico medievale 39

V. Carattere e sviluppo del linguaggio artistico medievale 68

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Introduzione

Queste pagine non pretendono di offrire un vero eproprio compendio della storia dell’arte medievale, nem-meno un compendio a volo d’uccello. Piuttosto essesono state pensate come una introduzione al linguaggioartistico del Medioevo, un linguaggio che, per necessitàstorica, ci è divenuto estraneo e lontano.

Se l’arte, secondo un detto di Hermann Hettner, èlinguaggio, nient’altro che linguaggio (e che altrodovrebbe essere?) e uno spirito fine come AlexanderConze occasionalmente la chiamò un «parlare in formavisibile», noi dobbiamo rigorosamente aderire alla siste-mazione che Benedetto Croce ha sviluppato nella primaparte della sua «filosofia dello spirito», alla concezionedell’estetica come scienza generale del linguaggio, allateoria dell’espressione artistica come forma prima eaurorale dello spirito teoretico, completamente autono-ma rispetto all’attività logica, come rispetto a quellapratica ed etico-economica.

Ogni arte, come ogni linguaggio, è però qualcosa diindividualmente determinato e di irripetibile e la distin-zione dell’espressione originale dall’opera dell’imitato-re o del non-artista, costituisce lo spinoso problema diogni storia dell’arte (come pure della storia della lette-ratura). La storia dell’arte è, nella sua essenza, «storiadegli artisti», e non già nel senso sorpassato di storia bio-grafico-aneddotica, alla maniera degli antichi, e ancor

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meno nel senso di «storia della cultura», proprio deitempi moderni. L’arte, come la lingua, si può conside-rare, per determinati scopi scientifico-pratici, da unpunto di vista diverso da quello della creatività: peresempio, come è stato detto con un’espressione che èfacile interpretare male, dal punto di vista dello «svi-luppo». Astraendo cioè da quello che v’è in essa, pro-priamente, di determinato, di creazione individuale, sipuò considerare l’arte come somma di tutto ciò cheresta, e che in determinati periodi sembra essere comu-ne a tutte le opere di espressione, a quelle buone omediocri come a quelle cattive, a quelle originali comea quelle di imitazione. È il cosiddetto «stile del tempo»:non dobbiamo però dimenticare che si tratta di un’a-strazione, anche se non di un’astrazione scientifica, deltipo di quelle in uso nelle scienze naturali.

Per capire il linguaggio di un’opera d’arte, di qualsiasiarte, bisogna averlo imparato, e questo si fa attraversola grammatica, con o senza trama storica, la quale nonsi volge all’individuale concreto ma al generale astratto,ricavato con procedimento convenzionale da quell’indi-viduale concreto.

A questa maniera di considerare l’arte, il Medioevosembra prestarsi in maniera del tutto particolare, giac-ché, in conformità all’atteggiamento spirituale che gli fuproprio, in esso l’individuale occupa un posto moltosecondario, è messo al bando, e per lunghi tratti alme-no il Medioevo ci appare anonimo e abiografico.

Già il suo nome suggerisce l’impressione di un’etàintermedia, di passaggio, senza autonomia, inserita tral’antichità e l’era nuova della «rinascita», un’età checomincia con la decadenza e lo sfacelo della prima epassa, attraverso decadenza e sfacelo, a preparare tempinuovi e migliori. Alla fine di essa, si intravedono gli inizidel nostro linguaggio moderno, di quelle forme di cul-tura e di espressione, nelle quali noi stessi pensiamo, o

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meglio nelle quali siamo ancora abituati a pensare, ben-ché segni del loro decomporsi si facciano sempre piúevidenti, anzi fossero in atto già prima della guerra mon-diale, che di questo processo fu essa stessa un sintomo.

Come noi non siamo in grado di capire un testo inantico o medio tedesco, o un testo in antico francese oinglese, senza una speciale preparazione e introduzionegrammaticale, benché si tratti del nostro passato nazio-nale, cosí non possiamo capire (o dobbiamo già dire: nonlo potevamo fino a poco tempo fa?) il linguaggio arti-stico del Medioevo, la sua particolare essenza artistica,senza una tale propedeutica.

A questa propedeutica appartiene anche l’esame deirapporti delle epoche successive con il Medioevo e la suaarte: cioè la storia della critica del Medioevo, come essasi è sviluppata fino ai nostri giorni, ed è salita di gradoin grado a una comprensione sempre piú profonda. L’e-poca immediatamente successiva al Medioevo tiene neiriguardi di esso, specie in Italia, un atteggiamento chedel resto non è infrequente nella vita: il rifiuto totaledell’antico ideale. La Rinascenza, incantata dall’imma-gine di una lontana, avita gloria nazionale, ha dimenti-cato la sua origine; da essa viene quel nome spregiativodi «gotico», che noi ancor oggi usiamo per il momentopiú alto ed evoluto dell’arte medievale.

Per gli Italiani, i primogeniti (secondo l’espressionedi Jacob Burckhardt) della moderna e oggi apparente-mente superata civiltà, l’epoca anteriore al 1300, allaloro «rinascenza», rappresentava il compendio di tuttociò che si opponeva alla loro teoria dell’arte (ed essierano i primi in Europa che ne avessero elaborata unasu basi teoretiche e storiche), la somma di ogni cattivogusto, una barbarie quale solo un popolo straniero, rozzoconquistatore, poteva portare in un paese di anticaciviltà.

La caricatura che il Vasari ha abbozzato del Medioe-

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vo nella sua grande opera storica, presto divenuta esem-plare per tutta l’Europa, è disegnata con gli occhi del-l’odio che sovente vedono piú acutamente di quelli del-l’amore: quello che egli ha messo in rilievo, le forme mal-sicure, vacillanti, le figure che si muovono sulle puntedei piedi, prive di una modellazione razionale, fantoccipiú che figure umane, dai movimenti bruschi e disarti-colati, dagli occhi spiritati come quelli dei pazzi: tuttociò è visto bene dal punto di vista dell’antichità classi-ca, o da quello del Rinascimento, ma solo da quel puntodi vista. Tale incomprensione durò per molto tempo, edoveva durare finché questa mentalità non fosse com-pletamente esaurita.

Lo sviluppo spirituale del Goethe offre, a questo pro-posito, un grande esempio del passaggio dialettico, inuna singola vita, dalla esaltazione del sentimento propriadel preromanticismo del secolo xviii, attraverso il clas-sicismo dello scorcio del secolo, al positivismo del seco-lo xix. L’erudito secolo xviii e l’illuminismo compironoun reale progresso nel correggere l’errore storico, ma larettifica rimase limitata entro una ristretta cerchia didotti, come accadde anche dei risultati dell’indagineantiquaria, che tentò, specialmente in Francia, la patriadel gotico, di investigare il passato nazionale.

Isolato e incompreso, come era rimasto in vita Giam-battista Vico, cosí rimase anche il suo principio di rico-noscere al Medioevo una sua barbarica grandezza, e diparagonarlo alle antiche età omeriche. L’incomprensio-ne per l’arte medievale continuò: dominò ancora perlungo tempo il canone del classicismo, affermato dagliItaliani, sviluppato dai Francesi, e portato al suo ultimocompimento dai Tedeschi. Ma il preromanticismo delsecolo xviii ritrovò la strada che conduceva al Medioe-vo, sia pure dall’esterno e per via indiretta; si trattavaperò di una strada viva, non di morta erudizione: l’e-saltazione dell’antichità nazionale. Il neogotico del seco-

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lo xviii, apparso dapprima in Inghilterra, ne è una mani-festazione appariscente. Un intimo avvicinamento fudeterminato anche dal poderoso processo di assi-milazione tra nord e sud operato dal linguaggio, comu-ne a tutta l’Europa, del barocco: su questo avvicina-mento negli ultimi tempi si è fin troppo spesso insistito(e magari con scarsa cautela) perché sia qui il caso dientrare a fondo nell’argomento.

Pure ha un profondo significato il fatto che anchequesto periodo, il barocco, entri nella storia con unnome spregiativo, proprio come il gotico, e che solo dapoco tempo il bando che pesava su di esso abbia comin-ciato a scomparire. L’analoga (e spesso poco chiara) posi-zione sentimentale del romanticismo tedesco non offrein fondo nessun tratto nuovo. Quanto poco esso abbiapenetrato l’essenza dell’arte medievale, nonostante isuoi trasporti d’entusiasmo, lo mostra la sua puerilemania di restaurazione e di purismo. L’elemento inso-stituibile di quell’arte (e non solo dal tempo del depre-cato barocco) fu sacrificato. Ancora alla fine del roman-ticismo le brillanti policromie della scultura gotica furo-no – per cosiddette ragioni di gusto – rovinate con gri-gie verniciature ad olio, che dovevano restaurare lamonocromia «classica»!

Il secolo xix, storico e positivo, spregiudicato spessofino alla insensibilità, ha posto (e per questo noi gli dob-biamo eterna gratitudine) le fondamenta per la com-prensione vera e propria dell’arte medievale; ma inverità solo le fondamenta. È impossibile ripercorrere quiin modo particolareggiato l’opera compiuta specialmen-te dagli archeologi e antiquari francesi (le due denomi-nazioni sono usuali ancor oggi in Francia, e indicative),da Caumont e Didron fino a Courajod e a Emile Mâle;e dagli storici dell’arte tedeschi, da O. F. von Rumohr(questi soprattutto per il Medioevo italiano), dai Kugler,gli Schnaase, i Lübke, e poi lo Springer, il Kraus e molti

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altri piú recenti. Si trattò del ritrovamento, del vaglio edella provvisoria sistemazione di un materiale immenso(culminato in Germania nel lavoro collegiale della Deut-scher Verein für Kunstwissenschaft), della decifrazione delcontenuto spesso oscuro, o interpretato in maniera mol-teplice, arbitraria e romantica, delle opere d’arte medie-vali, della piú precisa individuazione formale per mezzodella divisione in scuole e in officine. Queste indagini emolte altre certamente favorirono una maggior appros-simazione all’intima essenza di quest’arte divenuta anoi estranea: ma nella sostanza tutto ciò rimase ancoraerudizione, filologia, lavoro preparatorio, sia pure indi-spensabile. Soltanto a datare dall’ultimo decennio delsecolo xix uno spirito nuovo comincia a farsi stradanella considerazione delle opere d’arte: esso si imperso-na nei due principali rappresentanti della cosiddettaScuola viennese, Franz Wickhoff e Alois Riegl.

Ma come già nella loro stessa espressione letteraria idue uomini si rivelano spiriti antitetici, tradendo la lorodiversa origine e il loro diverso orientamento spiritua-le, cosí anche nel loro rapporto con l’opera d’arte essimostrano atteggiamenti assai distanti. Il Wickhoff, cheera stato lungamente incerto se dedicarsi alle scienzenaturali, restò sempre legato alla tradizione positivisti-ca ed empirica della metà del secolo, contraria ad ognispeculazione filosofica, ma mantenne sempre un com-mercio diretto con le opere d’arte, sia l’arte del passatoche quella del suo tempo, l’impressionismo, connessoesso pure con le estreme conseguenze della filosofianaturalistica. Appunto in virtú di questo rapporto imme-diato con l’arte a lui contemporanea, egli poté com-prendere con tanta penetrazione l’«illusionismo» del-l’arte romana: è quello che è avvenuto nel suo libromaggiore, il quale, prendendo le mosse da un mano-scritto miniato della tarda antichità, la Genesi di Vien-na1, tratta appunto dell’arte romana, lungamente dimen-

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ticata cosí dagli archeologi, come dai nuovi storici del-l’arte. Un libro che resterà il suo capolavoro, anche sedella sua costruzione critico-storica non si è salvato unsolo frammento, in quanto ci apre l’accesso alla cono-scenza reale del linguaggio artistico medievale, che ha lesue radici profonde, come tutte le lingue romanze, nellatino volgare della tarda antichità.

Di tutt’altra indole e posizione era il Riegl. Avevaesordito come storico puro e il suo rapporto con l’arte,particolarmente vivo nei lunghi anni di attività pressoil Museo austriaco di Arti decorative, fu fin dal princi-pio intellettualmente definito e consapevole, non intui-tivo come quello del Wickhoff. Il Riegl, specialmentenei suoi anni piú tardi, diventato sordo e sempre piú iso-lato, si perdette nella boscaglia speculativa di una suaoriginale costruzione: e ciò rende particolarmente diffi-cile il suo lavoro principale, Die spätrömische Kunstin-dustrie [L’arte artigiana tardoromana]2. Tuttavia, o forseappunto per questo, l’influsso del Riegl, che si è diffu-so lentamente, è stato piú forte di quello esercitato dalWickhoff: astrarre e ridurre in formule riesce in gene-rale, alle nature intellettualmente dotate, piú facile cherivivere l’opera d’arte. «Questo è peccato antico: pen-sare che ragionare sia scoprire», dice un vecchio adagio.(Su questa linea i lavori di studiosi piú giovani, speciequelli del Worringer, uomo senza dubbio ricco d’inge-gno, rischiano di diventare una caricatura di quelli delRiegl). Il Riegl fu una profonda ed autentica natura diindagatore, e specialmente nell’opera citata ha gettatole basi di ciò che si può chiamare la «grammatica stori-ca dell’arte medievale». Questo però è avvenuto perun’epoca e un settore d’arte nel quale tali generalizza-zioni sono piú facilmente possibili. Ricordiamo che èstata proprio la parte piú debole del pensiero del mag-gior filosofo del romanticismo, lo Hegel, e cioè la filo-sofia della storia – e non il suo pensiero storico, uni-

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versalmente valido – che ha esercitato l’influenza piúnotevole.

Se con la sistemazione riegliana veniva dunque aper-ta la strada all’arte medievale, l’accesso alla sua essenzapiú intima poteva essere conquistato soltanto attraver-so il cammino che il Wickhoff aveva percorso dall’anti-chità fino a noi: l’arte medievale doveva diventare unevento interiore, non esteriore, del nostro sviluppo spi-rituale. Ciò avvenne circa sullo scorcio del secolo scor-so, quando naturalismo e positivismo ebbero esaurito laloro funzione storica, riducendosi ormai a fenomeni disopravvivenza, e si verificò nell’arte un deciso cambia-mento, il quale, dopo rozzi tentativi di ogni genere,prese consistenza e fu denominato «espressionismo»:nome di battaglia mal scelto, ma che accentuava consa-pevolmente l’opposizione al passato. Per radicale nega-zione dell’individualismo, spinto all’estremo nel secoloxix, del quale pure era il successore – nel senso proprioad ogni ben inteso progresso storico – e dal quale avevaereditato l’eclettismo storico, l’espressionismo si appro-priò di tutto ciò che fosse primitivo, barbarico, esotico,dovunque e comunque servisse ai suoi scopi.

Lo si giudichi come si vuole, si trovi pure ripugnan-te la sua tendenza al livellamento dell’individuo nellamassa; esso rimane tuttavia un fenomeno storico, carnee sangue delle nuove generazioni, davanti ai cui occhisprofonda un mondo antico, illuminato sinistramentedalle fiamme della guerra mondiale, dopo che le cam-pane tempestose della Rivoluzione e del Romanticismogià da tempo ne avevano dato l’annuncio. Rifiutiamopure ogni dilettantesca «filosofia della storia» a coloriapocalittici, come per esempio quella dello Spengler:tuttavia un confronto del nostro tempo con quello del-l’antichità avviata allo sfacelo, e mentre un nuovomondo, misticamente e religiosamente fantastico va sor-gendo, si affaccia con prepotenza alla nostra mente.

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Un’acuta interprete del romanticismo, RicardaHuch, ha scritto un libro sulla «spersonalizzazione»3

che è, allo stesso tempo, una visione retrospettiva euna previsione. Ancor prima della guerra mondiale, eraapparso lo scritto di un russo, il Kandinsky, sullo «spi-rituale nell’arte»4: un acuto documento del tempo, piùchiaro del confuso balbettio con pretese artistiche dellesue pitture. Qualche tenue e debole preludio di questospirito già risuona in uno scritterello anteriore del tede-sco Klinger, sulla pittura e sul disegno5. Sarebbe uncadere nella cieca superstizione del positivismo, volernegare che ogni rovesciamento di questo genere nonmaturi prima nel profondo dello spirito, nella conce-zione del mondo. Non è un caso che all’inizio del seco-lo xx cominci a prender forma l’opera principale di unuomo, che le future generazioni designeranno senzadubbio come il filosofo del secolo, cioè la Filosofiadello spirito di Benedetto Croce. Voler vedere, come èstato tentato, un nesso tra essa e l’effimero episodiodel futurismo italiano, è naturalmente una sciocchez-za, che contiene però il solito granello di verità: checioè l’arte contemporanea tende nebulosamente inquella stessa direzione, che nella filosofia del Croce èindicata con meraviglioso acume e chiarezza. Qualco-sa di analogo si ritrova nella fluida filosofia del Berg-son, una speculazione piú povera, che, di piú, portafatalmente con sé un sapore di filosofia alla moda: ilsuo paragone tra l’immagine del mondo e lo svolgersidi una pellicola, cioè la forma d’arte piú recente eancora non ben definita, è piú che un semplice giocodi parole. È un fatto assai significativo che il piú gran-de storico dell’arte dei nostri tempi, Heinrich Wölf-flin, che si è formato alla scuola di Jacob Burckhardt(il quale ha pure studiato il tempo di Costantino inun’opera giovanile)6 e nello studio appassionato dellaRinascenza, abbia trattato di recente, da questa nuova

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posizione, uno dei piú grandi monumenti del primoMedioevo, il manoscritto miniato dell’Apocalisse diBamberga7. Per quanto si possa criticare nei particola-ri questo lavoro (senza dubbio esso è un po’ contortoe pecca di eccessivo schematismo), pure rimane laprima trattazione di storia dell’arte che penetrieffettivamente l’essenza dell’arte medievale; e si trat-ta di un’opera d’arte, si badi, di fronte alla quale tutticoloro che prima del Wöfflin ne avevano parlato, nono-stante – o forse a causa – della loro dottrina, si eranomostrati ottusi o imbarazzati. Dietro questo lavoro stala grande esperienza (esperienza della filosofia e del-l’arte insieme) dell’epoca in cui viviamo.

Anche la Rinascenza, nonostante tutte le sue pedan-terie, non è stata una pura e semplice riesumazione dicadaveri, ma una vera «rinascita»: e in essa la parolaassume un senso di esperienza mistica, in cui si rivelaancora la discendenza dal Medioevo, nonostante tutti glisforzi per rinnegarla.

Oggi, soprattutto i piú giovani tra noi, benché sianogli ultimi credi della Rinascenza, vedono l’arte medie-vale con occhi del tutto diversi da come la potevanoguardare quelli della generazione passata. Anche la musi-ca medievale noi l’ascoltiamo in modo diverso, e le fami-gerate serie di quarte e di quinte dell’organum del primoMedioevo, grazie alla nostra moderna esperienza musi-cale, risuonano alle nostre orecchie in maniera assaidiversa da come risuonavano nel nostro recente passa-to; giacché allora si credeva di poter spiegare quelle«mostruosità musicali» con una interpretazione assaicontorta e per noi ora assai significativa: si giustifica-vano infatti come «forme di ascesi musicale», come unaspecie di penitenza dell’orecchio.

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1 franz wickhoff, Die Wiener Genesis, Wien 1895; trad. it. Pado-va 1947 [N. d. R.].

2 Pubblicato a Vienna nel 1901. La piú recente traduzione italianaè apparsa nelle edizioni Einaudi con il titolo Arte tardoromana, Torino1959 [N. d. R.]

3 ricarda huch, Entpersönlichung, Leipzig 1921 [N. d. R.].4 wassili kandinsky, Über das Geistige in der Kunst, München 1912

[N. d. R.].5 max klinger, Malerei und Zeichnung, München 1891 [N. d. R.].6 jacob burckhardt, Die Zeit Constantins des Grossen, Basel 1853;

trad. it. Firenze 1957 [N. d. R.].7 heinrich wölfflin, Die Bamberger Apokalypse, München 1918

[N. d. R].

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Capitolo primo

Presupposti filosofici e culturali

Nella prima valutazione critica del Medioevo, quellaelaborata dall’umanesimo proprio a proposito delle artifigurative, il Medioevo, confrontato con l’antichità,risultava come un tempo di assoluta decadenza. A Giam-battista Vico invece, che per primo, grazie al suo profon-do spirito speculativo, lo ha inteso nella sua essenza, ilMedioevo appare come un ritorno, un «ricorso» dellabarbarie eroica delle età omeriche. V’è tuttavia in lui an-cora qualcosa dell’antichissimo pensiero orientale (cheritorna ogni tanto di moda, come accade ai nostri gior-ni, magari con un poco di fatuità): ed è il motivodell’«eterno circolo», pieno di desolata passività, che èsostanzialmente eterno stato di quiete; motivo che anco-ra ritorna – sia pure in forma attenuata – nella famosaespressione goethiana, dello «sviluppo come una lineaspirale ascendente, in cui il passato ritorna, ma sempreun grado piú in alto».

Per la prima volta la concezione del mondo e dellastoria del piú grande filosofo del romanticismo, loHegel, ha riconosciuto il vero significato di ogni pro-gresso storico, il quale consiste nel fatto che il periodosuccessivo supera il precedente in quanto assimila in séquello che di esso era proprio, lo assimila e lo annullanello stesso tempo. Come la vita ha in seno la morte,cosí la morte la vita, e questa sintesi degli opposti, la dia-lettica del divenire, intuita vagamente dalla filosofia del

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Rinascimento, ci deve far apparire il Medioevo, secon-do la logica storica, come un necessario (in quanto real-mente avvenuto) progresso rispetto all’antichità, perchécostituisce, rispetto a questa, qualcosa di nuovo appar-so sulla scena del mondo.

Nel Medioevo il mondo sembra diventare più gran-de, sovrastato da un cielo profondo. Ogni pensiero con-duce ad esso, è rivolto in alto, non alla piccola terra. Inluogo della soggettività atomistica dell’antichità, laquale, per usare un’espressione hegeliana, «porta bensíin sé la coscienza dello spirito, ma di uno spirito limita-to, il quale aveva in sé l’elemento naturale come ingre-diente indispensabile», subentra ora una illimitata signo-ria dello spirito, una nuova trascendenza affermata finoalle sue estreme conseguenze.

Il platonismo non si era rinnovato invano alla finedell’antichità; il neoplatonismo concludeva la filosofiapagana e iniziava quella cristiana. Ogni fatto terreno,ogni oggetto individuato, è quivi, secondo i casi, appa-renza, favola, menzogna: ogni senso della vita e degliaccadimenti è posto al di là del mondo dell’apparenzasensibile. Se la tarda grecità aveva annullato in modoanalogo l’individuo, ciò era avvenuto entro l’ethos dellacittà-stato: un’altra prova che le analogie che corrono inpiú di un punto tra lo sviluppo dell’arte antica e quellodella nuova non sono da considerarsi senz’altro come unritorno dell’«uguale», ma possono invece avere avutoorigini molto diverse. Nel Medioevo non esiste unapolis, o un popolo eletto, si tratti di quello dell’anticopatto, l’ebreo, o di quello greco, eletto fra i barbari. Esi-ste solo l’umanità intera: lo dice il nome stesso dellachiesa «cattolica». Non esiste un ethos cittadino; esistesolo l’uomo, essere spirituale. Un profondo dualismodivide gli uomini in affermatori e negatori dello Spiri-to, in credenti e miscredenti. La storia si allarga rispet-to a quella dell’antichità, chiusa entro il cerchio del-

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l’ethos nazionale, fino a diventare vera e propria storiadel mondo, con orizzonti infiniti e l’infinita prospetti-va dell’al di là.

Già all’inizio del Medioevo noi troviamo il concettodi «historia spiritualis», la concezione cioè che rinnegal’antica legge della natura, alla quale anche il sommo tragli dèi era sottoposto, e afferma che la storia segue unasua legge propria, puramente spirituale, il volere del-l’Unico, onnipotente e onniveggente, della Divina Prov-videnza: un concetto profondamente diverso dalla ciecaanánke degli antichi. Gesta Dei per Francos è il dichiaratoprogramma di una cronaca merovingia: i fatti individualisono solo lo strumento e la forma di un’alta potenza spi-rituale che in essi opera.

Paolo Orosio, paragonato a un Polibio, è senza dub-bio un autore barbarico: ma la sua storia universale,diretta espressamente contro i pagani (Adversus paganos)è veramente tale, cioè universale, e sta un gradino piúsu, nel senso del progresso storico, rispetto a quella diPolibio, come del resto il Medioevo e la sua arte rispet-to all’antichità.

La nuova concezione della vita e del mondo si incar-na in una potente personalità che chiude la filosofiaantica ed apre l’èra nuova: sant’Agostino. La sua Civi-tas Dei sta come meta ultima alla fine dei tempi. Non sitratta della palingenesi senza speranza del pensieroorientale, né della concezione pessimistica dell’antichità,col suo presupposto di un’età dell’oro di fronte allaquale ogni avvenimento posteriore è solo un decadi-mento sempre piú profondo; ma di una visione fondatasu un ottimismo pieno di lieta speranza, di un progre-dire rettilineo all’infinito, con un epilogo che annientaalla fine ogni male (ma anche ogni accadimento), conl’acquisto finale di un paradiso celeste, in luogo di quel-lo perduto sulla terra (pensiero fondamentale di ognivisione apocalittica e di ogni utopia, giú giú fino al

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socialismo). Ciò conferisce a questo nuovo mondo cheemerge un senso di freschezza primaverile, qualcosa digiovanile rispetto al decrepito intellettualismo dell’anti-chità. Un forte calore di sentimento, che si manifesta inuna esaltazione dell’elemento passionale, e un poteresenza limiti dell’attività fantastica, sono aspetti carat-teristici del Medioevo: ambedue scaturiscono dalla spe-ranza e dalla fede nell’al di là.

Dato che tutto ciò che è terreno e individuale è sti-mato apparenza fugace, e l’essenza e la pienezza delmondo son poste in qualcosa che trascende ciò che è ter-reno, il vicino e il lontano, il reale e l’irreale perdono iloro contorni definiti e si confondono insieme. Il«fatto», che solo apparentemente è reale, diventa fa-talmente indifferente: donde la storia «inventata», ifalsi documenti ad maiorem Dei gloriam, la fede nel mira-colo, la straordinaria mancanza di critica e l’illimitatacredulità del Medioevo. Tutto ciò ha le sue radiciprofonde nella visione medievale del mondo: per questoil Medioevo sembrò incomprensibile e grottesco all’e-poca seguente, che era in posizione antitetica rispetto adesso. La nuova critica rinascimentale dei testi è comin-ciata non sui documenti dell’antichità, ma su quelli del-l’aborrita «età di mezzo». È noto come la sfrenata fan-tasia del Medioevo sia stata reviviscenza dell’ereditàantica e orientale: la storia naturale, la geografia, le cro-nache universali, l’astronomia, diventano una specie dimeraviglioso giardino di fiaba cresciuto sulle rovine del-l’antichità involte in una selva di elementi fantastici:proprio come le opere architettoniche e pittoriche delledue grandi capitali, Roma e Bisanzio, vengono circon-fuse da una spessa vegetazione di favole e leggende.

L’opposizione di vero e falso riguarda soltanto ilmondo «reale» in senso medievale, cioè il mondo tra-scendente, quello degli universali, non il mondo sensi-bile, percepito con gli occhi e con l’udito. Si tratta del

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«realismo», come si diceva nel linguaggio filosoficodelle scuole dell’epoca: il contrario per l’appunto diquello che noi, posteri della Rinascenza, siamo solitidesignare con questa parola. Tutti i limiti di spazio edi tempo sono senza significato; cosí lo stesso mondodei fenomeni, come noi lo concepiamo, si muta in unafavola fantastica: si capisce che il Medioevo sia poiapparso come un colossale travisamento o addirittura,come fu giudicato dalla generazione che lo seguì, unaincomprensibile parodia.

Ora, tutte queste cose non si possono capire senzaconoscere i precedenti storici che le hanno determina-te, tanto esse sono lontane anche dallo spirito dell’anti-chità. Sotto il crescente influsso dell’Oriente, alla finedell’antichità, si verificò una profonda spiritualizzazionedel mondo, e il cristianesimo diventò la concezione e lareligione dominante perché esso corrispose perfetta-mente a questo sviluppo. Il misticismo, l’ascetismo e l’e-lemento sentimentale ricevettero una forte accentua-zione nell’ultima fase del pensiero antico. Ma il Medioe-vo non fu soltanto mistico e ascetico, fantastico e sen-timentale; esso ereditò gran parte dell’intellettualismodel pensiero antico. Dal popolo ebraico esso aveva ri-cevuto un testo sacro rivelato immediatamente da Dio(fenomeno completamente sconosciuto all’antichità):questo testo costituiva un punto fermo che avrebbe con-dotto al rigido dogmatismo e all’autoritarismo medie-vali, e nello stesso tempo alla separazione (altrettantosconosciuta nell’antichità) tra sacro e profano, per cuitutto quanto è fuori del tempio è insufficiente a se stes-so e deve perciò essere guidato da una ragione piú alta.

Con la negazione dell’individuale vennero a prevale-re risolutamente il tipico, il formalistico e il tradiziona-le, in misura quasi altrettanto forte che il misticismo el’irrazionalismo, rendendo cosí ancor piú profonda l’in-terna scissione di questo pensiero già cosí intimamente

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dualistico. Di questo dualismo si ebbe coscienza, e ilgotico tentò di superare l’abisso tra spirito e mondomediante la spiegazione simbolica del mondo sensibile.Anche in questo la filosofia cristiana mostra di acco-gliere un’eredità antica: già nello Stoà, con cui essa è insenso generale strettamente legata, il mondo variopintoe solidamente reale di Omero aveva subito un processodi spiritualizzazione simile a quello operato dal Medioe-vo. Ma ciò che là era stato solo un episodio diventa oraun fenomeno di portata universale.

C’era avanti a tutto il testo base della nuova umanità,la Sacra Scrittura (nella quale tuttavia nulla manca quan-to a pienezza di umanità, cosí come nei poemi omerici).Scoprirne i significati nascosti sotto quello letterale erad’esclusiva competenza della scienza ecclesiastica, l’u-nica capace di ciò, perché basata sull’autorità divina.Questa scienza veniva a sottrarre deliberatamente illibro dei libri alla vaga e incostante fantasia e alsentimentalismo dei laici non colti.

Su queste fondamenta posa l’imponente costruzione«gotica» della filosofia scolastica, la cui struttura è for-mata da frammenti di opere antiche. Si tratta di unastraordinaria enciclopedia del mondo la quale, nono-stante l’antico nome, rappresenta qualcosa di nuovo,un reale progresso storico, e, illuminata dalla luce dellarivelazione, è uno specchio di tutta la realtà, e solleva erisolve la realtà terrestre nella trascendenza.

La filosofia dell’antichità è cosí diventata teologia, ela fede nella forza dello spirito è tanto forte che ci si arri-schia a provare la reale esistenza di Dio con l’argomen-to ontologico, cioè basandosi sulla semplice esistenza delconcetto di essa. Ogni storia è, sostanzialmente, storiadello spirito nella sua unica forma possibile, cioè storiadella Chiesa, di fronte alla quale ogni storia politica siannulla, appunto perché la Chiesa raccoglie in sé e spi-ritualizza col suo solo contatto tutto, anche le minime

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cose. Analogamente ogni cosa terrena è qualcosa didiverso da quello che appare, o, come dice uno scritto-re di sentenze del tempo di Federico II, il Freidank: «Laterra non porta radice né genere | al quale un senso piúprofondo non sia proprio. | E nessuna creatura è liberada ciò, | dal mostrare altro da quel che essa è».

Nella realtà storica, almeno in Occidente, a questifenomeni spirituali corrispose l’inarrestabile ascesa delpotere spirituale che finí per trionfare su quello tempo-rale allorché (e fu momento memorabile) Enrico IV stet-te come un penitente a Canossa nella corte del castellodella marchesa di Toscana. Ma a questa ascesa dovevaseguire il declino, come nell’allegoria della Ruota dellaFortuna tanto amata nel Medioevo. La tensione polaretra spirito e mondo era troppo forte, e l’aspirazione asuperare il dualismo era troppo potente perché lo spiri-to medievale potesse continuare a lungo. Non era lapassività che aspira alla quiete e disprezza l’attività,propria del pensiero orientale: la volontà di vita di que-sta rinnovata eroica barbarie era troppo forte; il Medioe-vo doveva alla fine camminare nella direzione di ogniprogresso storico, dissolvere se stesso per dar luogo, conla propria fine, a una nuova epoca. Ogni dissolvimentoviene dall’interno, ogni morte esteriore è soltanto unsimbolo: e questo vale anche per il Medioevo. È veroche molte cause di decomposizione gli vennero dall’e-sterno: ma è altresí vero che esse divennero efficaci soloquando trovarono nello stesso mondo medievale il ter-reno propizio. Cosí la Rinascenza italiana non ha presovita, come si è supposto con ingenuo prammatismo, soloper merito di un paio di dotti greci fuggiti di fronte all’a-vanzata turca.

Tutta la fascia orientale e meridionale, e per lungotempo anche quella occidentale, del bacino mediterra-neo, nel quale si era svolta la civiltà antica, era cadutasotto il dominio di una potenza, l’Islam arabo-persiano,

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nella quale si univano il vecchio e il nuovo in modo simi-le e pure diverso che nell’Occidente, il cui centro di gra-vità si era frattanto spostato verso il Nord-ovest. Erauna potenza di alta civiltà, vicina (o forse superiore) spi-ritualmente, per la sua posizione religiosa e la sua «bar-barie», all’Occidente cristiano con cui lottò per secoli,ma al quale diede anche, per larghi tratti, elementi dicultura, secondo quello che era sempre stata la funzio-ne dell’Oriente. Certo l’Occidente ha conservata pres-soché intatta la sua fisionomia – accogliendo con-tinuamente col suo attivo individualismo gli influssiesterni, ma trasformandoli energicamente ed adattandolia sé – fino ad oggi, in cui la tensione tra civiltà orien-tale e civiltà occidentale è di nuovo salita al massimogrado.

Non è qui il luogo di dilungarci a mostrare come leleggende orientali abbiano fertilizzato la vivace fantasiadel Medioevo; diremo soltanto che l’intellettualismodella scienza greca e la concezione greca del mondo sonopassati all’Occidente attraverso la scienza araba, e hannoliberato e dato impulso a forze spirituali che hanno lavo-rato sotto la superficie. In sostanza, da esse è venuto unnuovo avvio verso la scienza empirica, è venuta la riva-lutazione del fatto particolare e della natura rispettoallo spirito: e sono fenomeni che, a lungo andare, con-durranno a una nuova visione del mondo, per quantoanch’essa, al pari della precedente, unilaterale.

Nella storia del pensiero medievale questo fatto segnal’inizio della dissoluzione di quella concezione che avevaraggiunto il suo piú alto grado col «realismo»: la disso-luzione fu operata dal «nominalismo», movimento dipensiero favorito, se non prodotto, dal pensiero e dallascienza araba, di fronte al quale il realismo dovette cede-re, sia pure dopo molti tentativi di compromesso.

Si ha dunque una crescente rivalutazione del datosensibile, sperimentale, individuale, rispetto al quale i

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concetti generali, gli «universali», appaiono niente altroche nomi, etichette create dall’economia del pensiero,che ordina il mondo sulla base dell’esperienza sensibile.

Vengono cosí poste le basi di quel positivismo rina-scimentale, al quale tanto hanno contribuito gli artistiitaliani, pionieri della nuova scienza nella sua gloriosaascesa. Ultimo tra essi è il veggente Leonardo, con la sualotta ingenuamente appassionata contro la Scolastica,lotta che culmina col grido di guerra del Campanella:«Scientia est de singularibus, non de universalibus».Questo indirizzo filosofico ha la sua ultima manifesta-zione nel positivismo del secolo xix, ma è soprattuttoevidente nel neonominalismo della filosofia inglese delsecolo xviii. Da esso è uscita la concezione kantiana, chelo ha definitivamente superato: un avvenimento, la cuiimportanza è assai maggiore di quella della Rivoluzionefrancese, e i cui effetti sono durati fino alla guerra mon-diale: giacché ogni avvenimento pratico ha la sua con-dizione e il suo presupposto nel pensiero teoretico.

Questa dura battaglia tra immanentismo e trascen-denza, in un dualismo insoluto e finora insolubile, riem-pie di sé il tardo Medioevo e getta le basi del periodosuccessivo. I segni della dissoluzione aumentano: il mira-colo perde visibilmente terreno, Dio agisce piú attra-verso le cause «seconde», che non intervenendo diret-tamente nel corso degli avvenimenti, i fenomeni natu-rali perdono il loro carattere leggendario e fantastico,fede e scienza vengono, in modi piú o meno artificiosi,divise. La secolarizzazione del mondo s’impone irresi-stibilmente, l’abisso tra vita spirituale e vita mondana,tra laico e sacerdotale, diminuisce rapidamente, soprat-tutto in Italia. L’indagine storica si rivolge sempre piú,dall’idea universale sub specie aeterni, al particolare: lecronache cittadine e regionali, come pure le biografie diindividualità poderose (ad esempio, quella di FedericoII), guadagnano sempre piú terreno; la storia universa-

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le di tipo medievale, collocata contro un fondo d’orosenza tempo né spazio, cede il posto alla storia munici-pale con caratteri spiccatamente realistici, che si rivolgeal particolare – e ciò avviene ancora una volta nell’Ita-lia dei comuni prima che altrove – alle memorie, alle cro-nache di famiglia, alle biografie-ritratto, in senso nuovoe personale.

Abbiamo deliberatamente trascurato di parlare dellasituazione economico-politica del Medioevo, come purein seguito si accennerà appena alla tecnica artistica (cuiil materialismo del secolo xix assegnava tanta impor-tanza), giacché qui si tratta dello spirito immanentenella sua originaria attività, e non già dei suoi effettisecondari.

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Capitolo secondo

Fonti della storia medievale

In ogni periodo le fonti immediate, cioè i monumentistessi, sono naturalmente piú importanti delle fontisecondarie, ossia le testimonianze scritte su di essi. Que-sto vale in modo particolare per il Medioevo, proprio perla sua particolare concezione della storia, che non è lanostra: nel «realismo» medievale il dato storico-indivi-duale ha altrettanto poco valore del dato sensibile; veroe falso hanno un senso del tutto diverso da quello cheavranno nell’epoca successiva, che cominciò proprio conla critica del Medioevo; il loro rapporto anzi sembraquasi invertito.

Tra le fonti dirette stanno in primo piano le operearchitettoniche, soprattutto, specialmente per il primoMedioevo, quelle ecclesiastiche, le quali, conforme-mente al carattere dell’epoca che abbiamo illustrato, siimpongono quasi sole alla nostra considerazione, e perlarghi tratti rappresentano la vera e propria storia del-l’architettura del Medioevo. Di piú, esse contengono insé, soprattutto quando si tratta di quei grandiosi com-plessi che sono le antiche basiliche e le cattedrali roma-niche e gotiche, buona parte delle opere delle arti sorel-le (pittura, scultura ecc.), le quali solo lentamente equasi contro volere si distaccano dall’architettura. Letracce di questo legame resteranno visibili ancora permolto tempo, ed episodi figurativi molto posteriori alnostro periodo (come i grandi polittici del tardogotico)

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mostrano un’unità quasi inscindibile delle varie arti,che solo per ragioni pratico-didattiche possono esseredistinte.

Una forma d’architettura altamente significativa peril Medioevo è rappresentata dalla piú antica casa di abi-tazione a carattere religioso: i monasteri. Chiaramentedefiniti nella loro struttura appaiono quelli occidentali,assai piú inorganici e incerti quelli orientali. Pur essen-dosi differenziati dalle costruzioni sacre dell’epoca paleo-cristiana, i monasteri conservarono invariato fino allafine del secondo grande periodo della storia mondiale,la Rivoluzione francese, il loro caratteristico interno, ilchiostro, antichissimo motivo ellenistico-orientale.

Il palazzo e la casa di abitazione privata, pur conti-nuando ad esistere nel Medioevo, non hanno quasi alcu-na importanza per la storia dello stile; inoltre il loro statodi conservazione assai precario ce li rende assai menochiari e leggibili delle costruzioni religiose, nelle quali legrandi comunità ecclesiastiche e gli ordini religiosi hannoavuto un ruolo attivo e di alto significato storico.

Gli architetti ecclesiastici, unitamente alle loro mae-stranze saldamente organizzate (i conversi) hanno potu-to diffondere entro un largo raggio i loro particolarimodi e tecniche architettoniche; cosí per esempio i clu-niacensi e i cistercensi furono i pionieri del nuovo stilenato in Francia. Ancora alla fine del Medioevo gli ordi-ni italiani dei frati mendicanti esercitarono un’influen-za straordinariamente forte.

La casa di abitazione del primo Medioevo si svi-luppò, come si può facilmente supporre, da quella del-l’antichità; le ville romane furono per molto tempo presea modello. Persino il castello, un tipo di costruzionemunita, che sembra cosí originale del Medioevo e cheriflette in modo cosí spiccato il carattere eroico di que-sta seconda «barbarie», pare derivi da modelli e schemipreesistenti.

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Solo nel tardo Medioevo, quando con l’incipienteprocesso di secolarizzazione, vivo specialmente in Italia,cominciò a risvegliarsi l’elemento laico e borghese, fecela sua comparsa il Palazzo del Comune. In Italia infattii Comuni – che ricordano per molti lati i municipi roma-ni – si consolidarono nelle lotte sostenute contro i pote-ri centrali del Papato o dell’Impero.

Anche le organizzazioni nomadi di maestri costrut-tori laici, soprattutto lombardi (episodi di questo gene-re pare si siano verificati anche nell’Oriente greco), ciriconducono senz’altro alla tradizione antica.

Quanto piú andiamo indietro nel tempo, tanto più imonumenti superstiti dell’arte medievale appaiono con-fusi e alterati. I posteri hanno trattato con noncuranzale opere architettoniche medievali, e spesso, guidatidalla loro diversa concezione formale, ne hanno modi-ficato le forme, imprimendo loro un nuovo carattere,quando addirittura non le hanno distrutte. Riconoscerequeste alterazioni, e possibilmente ridonare ai monu-menti il loro aspetto originale costituisce una sezionetanto difficile quanto vasta della «critica dei testi» archi-tettonica. Guasti e distruzioni irreparabili furono ope-rati anche dallo «storico» secolo xix, con i suoi sedicentirestauri «conformi allo stile», tanto più gravi in quantonon sostituirono alla vecchia forma una nuova che fossevalida per sé, come era avvenuto in epoche precedenti.

Per ciò che riguarda la scultura, la cosiddetta «arteplastica» (una classificazione puramente empirica fissa-ta e conclamata dal classicismo, secondo pretese leggi distile, e per altro assolutamente inapplicabile all’artemedievale), dobbiamo osservare che essa occupa unposto assai meno importante di quello che occupavanella civiltà pagana: le ragioni di questo fatto vanno cer-cate nell’ethos della nuova religione. Il monumento pub-blico, penetrato dalla tarda antichità nel Medioevo edestinato esclusivamente a certi usi ufficiali, venne, in

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conseguenza dell’ethos cristiano, scomparendo quasiaffatto, per ricomparire soltanto molto tempo dopo.Statue e rilievi (due forme della scultura anch’esse scin-dibili solo empiricamente) furono usati per le ricchedecorazioni degli esterni delle cattedrali romaniche esoprattutto di quelle gotiche. Soltanto nell’epoca suc-cessiva la statua monumentale si sciolse dal suo legamecon l’architettura. Una categoria particolare di statue,quelle dei monumenti sepolcrali, accompagnò nel nordcome nel sud il progressivo ritorno rinascimentaleall’«individuo», procedendo verso un tutto tondo pla-stico sempre piú sciolto, e ponendosi, nel settore deimonumenti privati e solo in questi, come un surrogatodel monumento pubblico dell’antichità. Del resto ilcarattere dei nostri monumenti pubblici (un «genere»non indigeno per il nostro gotico Settentrione, maimportato dal sud) risentirà per molto tempo di talescultura privata.

Nella scultura medievale italiana emergono perimportanza i pulpiti e le porte di metallo; queste ulti-me, derivate dall’antichità, sono quasi le sole opere chetengano in vita la tradizione delle antiche fusioni inbronzo, e agli inizi del Rinascimento italiano condur-ranno a un rinnovamento in senso moderno di questaantica tecnica.

La scultura medievale (almeno quello che di essa si èsalvato dal purismo di molti secoli dopo), come ogniautentica arte di fondo popolare, tende essenzialmentead effetti coloristici ed è molto vicina alla pittura, dallaquale, come si è già detto, può distinguersi solo con cri-teri artificiosi; anche i rilievi in bronzo, che spesso veni-vano dorati a fuoco, denotano questa tendenza all’ef-fetto pittorico.

Le fonti piú antiche e imponenti per la storia dello«stile» medievale, giacché le pitture catacombali hannoun valore soltanto antiquario (e come tali sono state

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trattate), sono costituite dai mosaici parietali delle chie-se del Sud. Il mosaico che è tecnica anch’essa derivatadall’antichità, giunse anche nel Nord, ma ivi prestoscomparve. Nel Nord il ruolo dei mosaici fu tenuto dallepitture murali chiesastiche, eseguite con la primitivatecnica del colore a calce; nel tardo Medioevo pitture diquesto genere si avranno anche nell’arte profana.

In Italia in questo tempo si diffonde la tecnica del-l’affresco, resistente al tempo e veramente monumen-tale. Un posto molto importante invece nell’arte medie-vale nordica è tenuto dalle vetrate dipinte, che hannouno sviluppo parallelo e connesso a quello dell’archi-tettura gotica e che nella loro tecnica originale, affinein certo senso a quella del mosaico, raggiungono effet-ti diversi ma altrettanto monumentali. Possiamo consi-derare la vetrata come una specie di corrispondentenordico delle tappezzerie ricamate o tessute, e un sur-rogato meno costoso dei «panni dipinti» in uso in Ita-lia; anch’essa fu usata fin dall’inizio anche per l’arteprofana, e nel basso Medioevo costituirà un’ingentesezione di quest’arte la cui importanza verrà sempreaumentando.

Un altro settore importantissimo dell’arte medievaleè costituito dalla miniatura, forma tipicamente nordicae privata, nonostante la sua origine classica, che gli ita-liani non sentirono mai profondamente benché vantinoun grande miniatore come il Clovio (che era uno «schia-vone»). Si può dire che la miniatura sia la fonte piúimportante per la conoscenza della pittura medievale,specialmente alle sue origini. Nel primo Medioevo essafu quasi esclusivamente ecclesiastica, prodotta nelle offi-cine dei conventi, e solo molto piú tardi essa passò nellemani di artisti laici. Il ritrovamento e la suddivisione,secondo le epoche e i luoghi di provenienza, dell’im-menso materiale miniaturistico costituisce uno dei com-piti piú importanti della filologia della storia dell’arte,

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lavoro che solo da poco tempo si è cominciato a con-durre in maniera sistematica.

La pittura di cavalletto e su tavola cominciò nell’al-to Medioevo italiano, derivando dalla minuta pittura didevozione dell’Oriente, e raggiunse nella Rinascenzabizantina singolari effetti monumentali. Il Nord invecesi mantenne generalmente fedele a un genere di pitturadi piccole proporzioni, intima e domestica, legata anchenella tecnica alla miniatura. Una pittura di grandi pro-porzioni, ma di una monumentalità diversa da quella ita-liana, verrà coltivata in Germania solo nel periodo deltardogotico, con quei caratteristici monumenti che sonoi grandi polittici, nei quali si realizza uno stretto lega-me tra pittura e scultura. I giganteschi «retablos» spa-gnoli, come generalmente tutta l’arte della penisola ibe-rica, sono connessi con l’arte nordica.

Come non è possibile distinguere pittura e sculturanelle officine medievali, cosí non si può operare unadistinzione tra «arte» ed «artigianato». Tutte le operedi espressione stanno su uno stesso piano, e noi rifiu-tiamo la denominazione di «arti minori» che fu appli-cata alla miniatura o alla tappezzeria in tempi acca-demici e letterati.

Fonti importanti per la storia dell’arte medievale sonoanche i lavori in oro e in avorio, gli smalti, i nielli e anchei prodotti dell’arte dell’incisione allora agli inizi; piú tardiinvece essi passeranno in seconda o in terza linea.

Si è già detto prima quale conto si debba fare dellaletteratura che il Medioevo ci ha lasciato sulla propriaarte. Una considerazione storica dell’arte, quale ebbel’antichità, e quale fu ripresa dalla Rinascenza italiana(che fu maestra in questo a tutta l’Europa), doveva perforza rimanere estranea al Medioevo: la sua concezioneprofondamente astorica faceva consistere l’intima es-senza dell’opera d’arte, il quid individuale e irripetibi-le, in un simbolo di qualcosa di trascendente.

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La tradizione in questo settore è estremamente rara;i primi documenti di qualche importanza risalgono alsecolo xiv; e i primi tentativi di comprensione storica sihanno con i racconti aneddotico-biografici. Fu il Ghi-berti, che era cresciuto in una bottega ancora trecente-sca, il primo a scrivere non solo una vera e propria «sto-ria dell’arte», ma anche la propria biografia, non di sécome uomo pratico, ma come artista.

Nel Nord, le notizie sull’arte contemporanea che sitrovano in cronache o annali sono numerose, ma vannoconsiderate soltanto come materiale antiquario che rara-mente può venire utilizzato per fini storici; giacché ingenerale questi repertori, in certi casi straordinaria-mente ricchi di notizie (ad esempio le cronache pontifi-cali), sono materiale morto. Le notizie che vi si trovanonon riguardano le opere d’arte in se stesse, ma gli ele-menti accessori di esse; vi si parla dell’arte in quantoasservita a questo o a quell’uso religioso o profano; talinotizie possono semmai avere qualche valore dal puntodi vista della storia della cultura.

Maggiore importanza hanno invece le notizie tra-mandateci dal Medioevo sulla tecnica artistica, perchéc’introducono immediatamente nel «clima» delle sueofficine. Ogni opera d’arte, benché nella concezionemedievale ne sia sempre incerta la posizione tra opera«liberale» e opera «meccanica», è collocata in questitrattati sul fruttuoso terreno dell’opera artigiana. Anchela Schedula di Teofilo, che pur col suo caratteristicosfondo di cultura claustrale e le sue digressioni di carat-tere religioso è uno degli scritti piú importanti del gene-re, è poco più di una raccolta di ricette, e questo stileda ricettario gastronomico è piú o meno comune a tuttii trattati – abbastanza numerosi – di tecnica della minia-tura e della pittura su vetro fino alla fine del Medioevo.Il Libro dei pittori del Monte Athos, benché apparten-ga al mondo orientale e sia molto posteriore, è invece un

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documento molto importante per capire il carattere «for-mulistico» del Medioevo.

Uno dei documenti piú significativi del gotico è ilLivre de portraiture di Villard de Honnecourt, perché inesso il testo è in funzione delle illustrazioni. Questolibro non va interpretato come un album di schizzi (chesarebbe un’interpretazione in senso moderno), ma comeun manuale di «proporzioni», naturalmente in sensomedievale. È un libro prezioso per lo storico dell’arte,perché introduce nello spirito della pittura e dell’ar-chitettura gotica meglio di quanto non facciano tutti gliscarsi libri tedeschi posteriori sull’argomento. C’è poiil trattato del Cennini, il grande monumento letterariodella scuola giottesca, già pervaso di spirito rinasci-mentale, che apre la lunga serie della letteratura arti-stica italiana.

Piú importante che per qualsiasi altro periodo stori-co, data la concezione medievale, è la letteratura eccle-siastica, principale fonte per le notizie riguardanti l’i-conografia. Inni, prediche, trattati morali e raccolte dileggende, scritti liturgici e brevi papali, l’imponenteenciclopedia della Scolastica, con i suoi «specchi delmondo», dei quali i portali delle cattedrali gotiche paio-no la traduzione scultorea; i fantasiosi scritti di storianaturale e di geografia, i bestiari, i lapidari, ecc., e infi-ne la grande letteratura narrativa, di cui il roman medie-vale è la piú significativa espressione, sono tutte fontiche non vanno trascurate.

Un altro elemento straordinariamente importante perla comprensione dell’arte medievale e soprattutto dellapittura è il titulus, ossia l’iscrizione che ha lo scopo diilluminare lo spettatore sul contenuto spirituale delleimmagini, e di condurlo, al di là delle apparenze sensi-bili e particolari, allo spirito trascendente; il titulus èqualcosa di strettamente unito all’opera d’arte, e se nestaccherà soltanto per la forza dei tempi, malgrado l’e-

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sistenza di un «genere letterario» particolare, che duròdalle origini del cristianesimo fino al Rinascimento.Anche il titulus è un ricorso della prima «eroica barba-rie» giacché qualcosa di simile esisteva nella civiltà grecapiú antica, da cui si sviluppò la forma dell’epigramma(specie di scherzo, artisticamente autonomo, il cui nomericorda la sua origine).

Dopo quanto si è detto, si può facilmente capirecome la letteratura teologico-filosofica, vera protagoni-sta e testimone della nuova Weltanschauung, fornisca lagiusta chiave per la comprensione del Medioevo. Biso-gna però guardarsi dal dare interpretazioni troppomoderne a un pensiero cosí radicalmente diverso daquello contemporaneo o da quello dell’antichità, ed èanche da evitare il tentativo (che pure è stato fatto) diutilizzare in senso moderno le dottrine sull’arte deiPadri della Chiesa, di san Tommaso o di Dante. Ilmoderno concetto di plagio non esisteva o quasi, nelnostro senso, per il Medioevo (e anche per molto tempoin seguito), e la cultura classica, benché abbia avuto nelmondo medievale un posto considerevole, fu assimilatasoltanto apparentemente. Anche la sistemazione che ilMedioevo diede alla filosofia aristotelica sembra nondiscostarsi molto dalle moderne interpretazioni: purequesta filosofia non fu intesa nel suo vero significato.

In realtà quello che può dirsi è che l’Evo modernovenne liberandosi con molta fatica dalle pastoie della tra-dizione medievale; le prime tracce si trovano soltantonel primo umanesimo fiorentino, e in pensatori isolaticome Nicolò da Cusa.

Ancora in una personalità come quella del Petrarca,pur cosí ricca di elementi nuovi, sono ancora visibili, nelsuo intimo contrasto, ineliminabili tracce di spiritualitàmedievale. La Rinascenza si rivela ancora una voltafiglia del Medioevo.

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Capitolo terzo

Contributi dei singoli popoli

Noi limitiamo di proposito la nostra trattazioneall’Occidente cristiano, dove fiorí il «nostro» Medioe-vo. L’Italia costituí sempre un’unità per sé stante difronte alla Francia e alla Germania, e il Medioevo viebbe un carattere cosí particolare, che spesso si è dubi-tato se essa abbia avuto un Medioevo, nel senso che sidà generalmente al termine. Non senza motivo essa,conscia dell’antitesi, coniò il termine «gotico» per desi-gnare il Medioevo nordico.

Anche l’Oriente cristiano, con la sua raffinata civiltàbizantina e il mondo dei vassalli slavi, occupa una posi-zione del tutto autonoma, nonostante i notevoli influs-si esercitati sull’Occidente, soprattutto sull’Italia. InOriente il primato spirituale appartiene ai Rhomaei,come in Occidente appartiene ai Franchi (ancor oggil’uomo del Levante chiama gli Europei con questonome) e Costantinopoli è, per molti aspetti, l’equiva-lente orientale di Parigi, la capitale dell’Europa gotica.Dietro il Medioevo greco c’è il Medioevo islamico,arabo-persiano (già il Vasari aveva avvicinato, con genia-le intuizione, la barbarie «gotica» a quella «greca»).

Noi dunque prenderemo in considerazione soltantol’Europa «gotica». Quando diciamo Europa intendiamosoprattutto i tre grandi paesi centro-europei, Francia,Germania e Italia (tra i quali i primi due formano, rispet-to al terzo, un’unità autonoma conservata malgrado tutti

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gli scambi culturali), giacché tutta l’Europa occidenta-le, dalla Spagna all’Inghilterra, segue la corrente dellacultura francese, mentre i Paesi Bassi, i paesi scandina-vi, i regni slavi di Polonia e Boemia e la cattolica Unghe-ria appartengono all’area linguistica tedesca. Praga eCracovia hanno l’antico diritto municipale germanico eBuda vecchia è ancora oggi una città tedesca.

Ma il vero centro intellettuale del basso Medioevo èl’Ile de France, con la sua capitale Parigi, sede di unamonarchia fortemente accentrata. L’Ile de France fu lapatria del gotico e della langue d’oïl, e il vero centro dellaFrancia; fu il paese dove si realizzò una singolare unio-ne etnica tra la stirpe dei Franchi, il popolo d’originegermanica piú intellettualmente dotato, e quella deiCelti con la loro civiltà romanizzata. Paragonata all’Ilede France, anche la civilissima Provenza, che influenzògrandemente Italia e Spagna, appare nient’altro che unadelle tante regioni «romanze». L’Ile de France fu il cen-tro di sviluppo di quel grandioso complesso di opered’arte che è la cattedrale gotica, fu il centro della gran-de letteratura epica, della contrappuntistica medievale,della filosofia scolastica (nella cui roccaforte, l’Univer-sità di Parigi, ebbe vasta risonanza il pensiero del gran-de filosofo italiano Tommaso d’Aquino), e infine dellaletteratura e del costume cortese-cavalleresco. Benché ilMeridione della Francia con la sua antica civiltà latinafosse cosí distante dal Settentrione «barbaro» e nor-manno, e Guascogna e Bretagna conservassero la loroautonomia anche nel campo della lingua, tuttavia inFrancia, come in tutto l’Occidente europeo, fu assaipresto raggiunta l’unità culturale.

La Germania invece non solo non conobbe questarigida unità culturale, ma fu caratterizzata da un estre-mo atomismo sia politico che culturale; solo per pocotempo, come è noto, essa ha avuto una capitale, all’e-poca delle dinastie straniere venute dall’Occidente,

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quando i Lussemburgo elessero Praga a capitale del-l’impero.

Il motivo tragico che accompagna tutto lo sviluppostorico-politico della nazione tedesca, e che la guerramondiale ci ha posto ancora una volta davanti agli occhinella sua paurosa realtà, è già visibile agli inizi delMedioevo. La Germania, come l’Italia, la nazione chele è sorella nel destino, ha dovuto subire nel suo inter-no le dolorose lacerazioni prodotte dalla grande lotta trapotere temporale e spirituale, quella lotta che in Orien-te si era chiusa con l’assoggettamento del secondo alprimo. Un tragico destino impedí a questo grande paesedel centro-Europa di diventare una nazione unita comela Francia o la Spagna.

Il periodo piú significativo dell’arte tedesca (se si faeccezione per il tardogotico, che del resto non rientranei limiti cronologici del periodo che trattiamo), coin-cide con l’inizio dell’alto Medioevo e del romanico; equasi tutti i monumenti piú significativi sono propriodi quest’epoca. Ma questa fioritura di singolarissimeopere d’arte fu interrotta dalla penetrazione del goti-co francese, che trasformò tutta la cultura tedesca,improntando di sé anche le manifestazioni piú isolatee particolari. Questa penetrazione produsse però lameravigliosa pittura tardogotica dei Paesi Bassi e lamusica che preludeva a quello sviluppo che avrebbe poicondotto la Germania, per la prima e unica volta nellastoria, a una posizione di primato in questa forma d’ar-te. Anche in Germania, come in Francia, esisteva note-vole differenza tra Nord e Sud, con la differenza chein Germania era il Meridione ad avere un’indiscussasupremazia spirituale. Le varie regioni tedesche ave-vano una fisionomia molto diversa; tra esse le princi-pali erano: la bassa Sassonia, che i Romani non eranomai riusciti a conquistare, e fu civilizzata per la primavolta da Carlo Magno; la regione renana; la regione ale-

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manno-bavarese, che faceva parte dell’antico imperoromano.

L’Italia, al centro del bacino mediterraneo, fece sem-pre parte a sé. È sorprendente il fatto che la teoria dei«tipi di espressione», formulata dal Rutz e dal Sievers,assegni alla sola Italia un «tipo» per sé stante (gli altri«tipi» sarebbero quello germanico, e quello – molto piúesteso – celtico-romanzo-slavo). Anche l’Italia, come laGermania, con cui ebbe in comune il singolare destinodi una lotta secolare per il raggiungimento dell’unitànazionale, presentava una fisionomia molteplice e fram-mentaria; ma essa almeno, a differenza della Germania,aveva in Roma un centro spirituale, che era anche sim-bolo vivente di quell’antica civiltà cui gli altri paesi del-l’Occidente avevano dato un contributo molto secon-dario. D’altra parte, le differenze tra le regioni italiane,dovute alla particolare forma provinciale della civiltà ita-liana, e ancora avvertibili nella varietà dei dialetti, sonoforse piú notevoli che in Germania. Queste differenzetra le civiltà regionali, svoltesi entro confini corrispon-denti ancora all’antica divisione augustea in province,sono visibili ancor oggi.

La parte continentale dell’Italia è divisa da quellapeninsulare dalla catena degli Appennini; e ancor oggiil Rubicone conserva quel valore ideale di confine tradue civiltà che aveva ai tempi di Cesare. A nord di essostanno la vecchia Gallia Cisalpina (che deve il suo nomeattuale ai Longobardi, come la Gallia Transalpina lodeve ai Franchi); il Veneto, assai diverso da essa, ancheetnicamente; dal lato opposto: la Liguria che, benché ab-bia avuto una situazione politica analoga a quella delVeneto, ne è sempre stata profondamente diversa; il Pie-monte e il Friuli, regioni di confine e quindi di scambiculturali con la Francia e l’Austria (anche i dialetti pie-montesi e friulano hanno molta somiglianza con le lin-gue dei due paesi confinanti). Al di là degli Appennini,

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nella penisola vera e propria, la Toscana, l’antica Etru-ria, che da tempi remotissimi conserva gelosamente lasua civiltà provinciale, e l’Umbria costituiscono in ognisenso il cuore dell’Italia. Le antiche regioni dello Statodella Chiesa fungono ancora da mediatrici fra il Meri-dione e il Settentrione «lombardo». Il Lazio, il patri-monio di san Pietro, con Roma caput mundi, l’anticaMagna Grecia e la Sicilia, nella quale si sovrapposero leciviltà greca, araba e normanna, occupano tutte posi-zioni culturali indipendenti. Ma l’importanza dell’Italiameridionale, fatta eccezione per Napoli che è rimastasempre un centro importante, dalla Rinascenza in qua èin progressiva diminuzione.

La funzione dell’Italia come ponte tra la civiltà orien-tale e quella occidentale è palese negli scambi culturaliche questo paese ha avuto con la Provenza da una partee l’Oriente greco dall’altra. L’influenza politico-culturaledell’Oriente ha avuto una funzione importantissima nelducato bizantino di Venezia, e spesso è stata trasmessada questo alle regioni meridionali attraverso l’esarcatodi Ravenna.

Come si dirà meglio in seguito, l’Italia, l’unico paesedell’Occidente che avesse dietro a sé un grande passatodi cultura, che non poteva essere completamente dimen-ticato, accolse l’espressione piú alta della spiritualitàmedievale, il gotico, solo dopo averla profondamentetrasformata per adattarla alle proprie esigenze spiritua-li. In fondo essa non ha avuto un vero Medioevo nelsenso che questo termine ha per il resto dell’Occidente;infatti, il secolo «eroico» del suo Medioevo, il Trecen-to, è anche il primo secolo della sua Rinascenza.

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Capitolo quarto

Origini e formazione del linguaggio artisticomedievale

Il cristianesimo, la religione che si impose tra le moltefedi trascendenti della tarda antichità, rimase stretta-mente legato a quell’epoca storica, conservandone molticaratteri. Come ogni culto, esso contiene in sé elemen-ti antichissimi: anche oggi sugli altari delle chiese cat-toliche, dove i sacerdoti vestiti dei sontuosi costumidella fine dell’antichità celebrano il sacro ufficio, risuo-na ogni giorno l’antica lingua di quei tempi nelle caden-ze musicali proprie dell’epoca.

I monumenti piú antichi del cristianesimo, le pittu-re catacombali e i sarcofaghi, non presentano sostanzialidifferenze di stile rispetto ai prodotti delle botteghepagane; persino la nuova significazione figurale erompelentamente da forme e schemi tradizionali. Anche lecatacombe giudaiche presentano differenze appena per-cettibili.

Le prime rappresentazioni allegoriche cristiane (e quiè evidente il legame tra cristianesimo e giudaismo, reli-gione priva di immagini) si mostrano timide e diffiden-ti nei riguardi della figura umana, e non soltanto perchéessa era un uso pagano. Il cristianesimo primitivo pre-ferisce servirsi di simboli: v’è in esso – come nella tardaantichità – un ascetismo intransigente, al punto da nonammettere la riproduzione della figura umana. La cosid-detta «iconoclastia» non è un episodio unico nella sto-

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ria; il furore contro le immagini si risveglia nelle epochedi fanatismo religioso; innumerevoli furono, ad esempio,i capolavori distrutti durante la Riforma.

Nei grandi mosaici parietali (forma d’arte ereditataanch’essa dall’antichità), il cristianesimo (che era giun-to assai presto al trionfo, e già all’inizio del secolo ivaveva ottenuto pubblico riconoscimento) esprime i suoiinni gloriosi di chiesa trionfante, ancora pervasa, natu-ralmente, da spiriti allegorici e simbolici. La figura checampeggia sui sarcofaghi è quella del Cristo, il Messia,il taumaturgo (figura singolarissima della tarda anti-chità, alla quale non sapremmo avvicinare altri che Apol-lonio di Tiana e il suo evangelista Filostrato), con i suoiprecursori dell’Antico Testamento.

La rappresentazione di un eroe martirizzato non siconfaceva di certo all’ethos dell’antichità; perciò l’epi-sodio della crocifissione viene riprodotto assai raramentein questo periodo. Lo stato d’animo fondamentale diquest’arte paleocristiana è un sentimento festoso ditrionfo e di liberazione, un sentimento di ferma fede edi lieta speranza in un futuro ritorno dell’età dell’oro allafine dei giorni. Un tema assolutamente nuovo nell’artecristiana è l’illustrazione di quella che è la fonte dellarivelazione divina, del testo sacro che non può esserelasciato al capriccio dell’interpretazione individuale, e acui gli illiterati accedono solo attraverso l’autorità e laspiegazione dei sacerdoti (anche se poi, intorno a que-sto «Libro per eccellenza» [biblia], poté crescere unavegetazione quasi selvaggia di opere di ogni genere, ditesti apocrifi, soprattutto Vangeli, alcuni residui deiquali sono rimasti nell’arte, e solo a poco a poco sonoscomparsi).

Il libro illustrato, che sostituisce l’antico volumen, dicui il famoso manoscritto illustrato conservato in Vati-cano con la storia di Giosuè conserva ancora la forma,fa la sua comparsa già nella tarda antichità; ma nel

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Medioevo esso assumerà un’importanza straordinaria,offrendo un ricco campo di attività a una speciale cate-goria di pittori, i miniaturisti. Durante tutto il Medioe-vo e per buona parte del Rinascimento i documenti perla storia della pittura sono costituiti in prevalenza da que-sti libri miniati. Ma non è soltanto per la scomparsadella cosiddetta «arte maggiore» che la miniatura occu-pa un posto cosí notevole (lo stesso motivo del resto percui ha tanta importanza, per la storia dell’arte antica, lapittura fittile): essa ha un valore particolare, soprattuttonel Nord, appunto per la straordinaria importanza del«Libro per eccellenza». È notevole inoltre il fatto che laminiatura, almeno nel primo Medioevo, sia opera quasiesclusiva di artisti ecclesiastici, prodotto delle officineconventuali, e solo lentamente passi nelle mani di cor-porazioni di artisti laici; fu soltanto allora che il materialeprofano (la grande letteratura narrativa medievale)cominciò a fornire, in misura sempre maggiore, soggettialla miniatura (testimonianza di un processo di secola-rizzazione che condurrà lentamente alla dissoluzione del-l’antico linguaggio figurativo, i cui residui rimarrannotuttavia visibili ancora per molto tempo).

L’«immagine», nonostante l’avversione dell’asceti-smo e il tentativo di subordinarla scolasticamente alla«scrittura», acquista in questo periodo un significatonuovo e profondo. A cominciare dalla fine dell’anti-chità la parola delle guide spirituali del cristianesimo(specie in Oriente) cominciò ad essere diffusa tra gliindotti e i «poveri di spirito» per mezzo delle immagi-ni, usate come una scrittura. Nel basso Medioevo lebibliae pauperum diventeranno libri popolarissimi, verie propri compendi della spiritualità del Medioevo occi-dentale, resistendo in gran numero anche dopo l’inven-zione della stampa, anzi, specie nell’estremo Nord euro-peo, si manterranno per molto tempo anche nell’eramoderna, vetusti residui di una civiltà tramontata.

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Le grandi composizioni a mosaico delle basilichepaleocristiane esigevano da parte degli artisti una padro-nanza della forma assai superiore a quella richiesta dairilievi dei sarcofaghi (forma d’arte assai presto scom-parsa); si capisce perciò come si siano formate determi-nate formule figurative, le quali non potevano esseredesunte se non dal patrimonio dei canoni figurativi del-l’antichità, o dalla vita stessa dell’antichità, nei suoiaspetti e nelle sue espressioni piú alte e solenni. Comeil tipo «classico» dell’eroe e del filosofo era stato appli-cato al fondatore della nuova religione, cosí è evidenteora un’assimilazione delle figure piú alte dell’autoritàreligiosa a quelle dell’autorità mondana, tra le quali lafantasia figurativa degli artisti doveva necessariamentecollocarle. Il fatto che la fantasia popolare vedesse inDio Padre una specie di papa-re, è caratteristico dellamentalità di tutto il Medioevo. Tutto a quel tempoaveva un carattere di fasto e di pomposa solennità; lacuria romana governava i fedeli con metodi ereditati dal-l’impero, e la scala della sua gerarchia corrispondeva aigradi della macchina burocratica imperiale, con tutto ilsuo fasto orientale e la retorica caratteristica della tardaantichità. L’antichissimo nome del sommo sacerdoteromano (pontifex maximus) venne adattato al piú altorappresentante della gerarchia ecclesiastica. I medaglio-ni cesarei del tempo dei Costantiniani rappresentano ilcesare o l’imperatrice in trono come una pietas augusta,con un bambino in grembo e l’aureola, antichissimosimbolo di potere; nessuna meraviglia quindi se essivenivano interpretati cristianamente dal popolo comerappresentazioni di Cristo o della Madonna.

I costumi delle figure sacre, o i mantelli listati di por-pora degli apostoli, ricordano la pompa e il fasto dellecorti profane; la dalmatica dei diaconi, per esempio, eraun costume burocratico tardoromano, proveniente dallapatria di Diocleziano, l’ultimo grande imperatore paga-

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no, che aveva raccolto nel suo forte pugno di soldatoillirico l’impero avviato allo sfacelo, dando ad esso quel-l’artificiosa struttura burocratica ed orientalizzante,complicata da titoli e cariche nuove e da una comples-sa etichetta di corte, che fu poi ereditata dai Costanti-niani.

L’antica immagine della Nike alata si trasformò inquella dell’angelo dell’Annunciazione che impugna un’a-sta a forma di croce. La Nike era una delle poche figu-re semidivine del paganesimo che il cristianesimo pote-va accettare, essendo da molto tempo divenuta qualco-sa di puramente decorativo. Le figure dei Magi persia-ni che adorano il Cristo ripetono la scena dei barbariinginocchiati che offrono il tributo: dovunque è già inatto quel processo di formazione di analogie che ilMedioevo nel suo carattere dogmatico formalistico etradizionale porterà innanzi, e che si può osservare intutti i campi della vita pratica o spirituale. Per citareancora un esempio: la salita al cielo del profeta Elia suun carro di fuoco segue lo schema del mito del dio delsole sorgente; c’è qui una trasformazione tipicamentemedievale, evidente anche nella somiglianza dei nomi(Helias-Helios).

Potremmo seguire molto piú da vicino questo pro-cesso, se potessimo avere ancora davanti agli occhi igrandi cicli di figurazioni ufficiali della civiltà di palaz-zo antico-bizantina, di cui ci rimane invece soltanto unascarsa tradizione letteraria. Non è certo un caso chenelle basiliche cristiane l’arco che introduce nell’abside(la quale è di solito decorata con la Maiestas Domini introno) porti l’antico nome di «arco di trionfo»; del restoanche la «maestà», come pure il trono vuoto (l’«etima-sia»), che ricorre spesso nelle rappresentazioni anti-co-cristiane o bizantine, deriva dal cerimoniale buro-cratico della tarda antichità.

Non dobbiamo pensare che tutte queste cose siano

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soltanto documenti iconografici esteriori, importantipiù per la storia della cultura che per la storia dell’artevera e propria; esse ci introducono effettivamente nel-l’essenza dell’arte medievale. Questo innesto dellanuova civiltà cristiana sopra le forme della tarda anti-chità è un processo che riguarda naturalmente tutti gliaspetti della vita, e non soltanto l’arte, e non potrebbeessere descritto meglio che con le belle parole di Her-mann Usener, che ha fatto molta luce su tutti questi pro-blemi: «Tra la montagna dell’insegnamento di Cristo ela pianura del paganesimo c’è una zona intermedia didominio comune alle due religioni. Questa zona è costi-tuita anzitutto dalle concezioni infantilmente naturali-stiche del divino, che possono essere considerate ingenerale patrimonio comune dello spirito umano. Poi, dauno spazio piú esteso, paragonabile al bassofondo lascia-to asciutto dalla marea, sul quale si riversa il flutto dellaciviltà pagana, arginato lentamente dal cristianesimo.Ma il terreno è rimasto quello che era, e su di esso è fio-rita la ricca poesia cristiana, la poesia dei santi, degliangeli, dei diavoli, del paradiso e dell’inferno; su di essoha prosperato una quantità di usi e pratiche religioseadatti al livello culturale del popolo, nell’antichità comenel Medioevo, e che potrebbero rientrare nel concettodi superstizione, se non avessero avuto e non conser-vassero tuttora un significato religioso».

Nulla meglio della strana rappresentazione della Tri-nità (con tre volti fusi in una sola testa) può mostrarecome elementi antichissimi possono avere vita straordi-nariamente lunga se accolti da una tradizione religiosa.La strana figura comparve per la prima volta sul suolopagano delle Gallie e in Oriente (sulle monete degliArsacidi persiani); accolta poi dalla tradizione cristiana,sembra sia passata dalla Francia in Toscana; qui Dantel’ebbe presente per la descrizione della sua divinitàinfernale dai tre volti, e qui sopravvisse fino al Cinque-

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cento, altrove, specie in Austria, anche piú tardi. Fu ilconcilio di Trento che l’abolí nel quadro di una piúampia purificazione della religione cattolica da molteingenue sopravvivenze di epoche anteriori, e di unasempre piú rigida razionalizzazione della fede.

Non di rado l’arte e il pensiero cristiano presentanoun doppio aspetto di modernità e di vecchiezza nellostesso tempo, come certi figli di genitori maturi. Nel-l’arte cristiana, la poetica la retorica la logica e soprat-tutto le teorie musicali del mondo antico pesarono suigiovani elementi barbarici che essa accolse in sé comeuna corazza arrugginita; particolarmente istruttiva aquesto proposito la lotta, piena di compromessi e con-tinuata fino al secolo xvi, tra gli antichi modi ecclesia-stici e la nuova armonia.

L’episodio di quella strana figura a tre facce, di cuiabbiamo testè parlato, è singolarmente significativo per-ché ci permette di penetrare il sottosuolo barbarico (nelsenso degli antichi), che sussisteva in Oriente e in Occi-dente. Elementi cristiani si ritrovano già nel periodo ditrasformazione dell’antichità classica, in quella cosid-detta «tarda antichità» che fu a lungo disprezzata comedecadenza. Jacob Burckhardt, ingegno universale che su-però di gran lunga i limiti di un solo campo di indaginee che la storia dell’arte può considerare il suo più gran-de rappresentante in senso assoluto, fin dalla sua primaopera di grandi proporzioni si occupò dell’età di Costan-tino; questo fatto è assai significativo, e si potrebbeaffermare che la chiave per la comprensione del Medioe-vo in formazione va cercata proprio qui.

Sfioriamo cosí la famosa questione dei «barbari» sullaquale si è disputato fino a ieri con unilateralità appas-sionata, spesso intorbidata da nazionalismi. In fondo èancora la concezione elaborata, in forma ingenua e mito-logica, dal Rinascimento italiano in omaggio a un certosentimento nazionale e continuata poi nei secoli. Appli-

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cata con alquanta unilateralità (come spesso avverrà inseguito) ai barbari germani dell’Occidente, essa soprav-vive poi nel nome di «gotico», e il Trissino ha potutointitolare il suo poema, il primo poema epico italianoscritto secondo le regole, L’Italia liberata dai Goti. Magià il Vasari (che aveva fatto sua quella teoria) aveva tro-vato un riscontro alla cattiva maniera artistica dei«nuovi Greci» in quella nuova e altrettanto cattiva chepretendeva importata in Italia dai barbari del Nord, dalloro nebbioso Settentrione.

L’orientalizzazione della vita nella tarda antichità èun fatto che si pone allo storico con indiscutibile evi-denza; e fu questa orientalizzazione e spiritualizzazionedella vita che aiutò lo sviluppo del cristianesimo. Neitesti sacri della nuova religione (soprattutto nell’Apoca-lisse, libro cosí importante per l’arte e la concezione cri-stiana del mondo, e cosí pieno di infinite lontananze),risuona senza dubbio un’eco dello spiritualismo orien-tale. Non si tratta di un processo puramente esteriore,che si possa spiegare semplicemente con l’infiltrazionedell’elemento popolare straniero, con la semitizzazioneo l’episodio delle dinastie militari barbariche. Si trattainvece di una trasformazione interiore, come in ognivero processo storico: qualcosa moriva e qualcos’altronasceva. Il neoplatonismo, o il culto di Sabazio o ana-loghi culti spiritualistici sono manifestazioni che hannoun carattere fondamentale in comune; sono, per cosídire, una delle facce di un fenomeno di cui il cristiane-simo è l’altra. I nemici dell’impero romano erano sí i bar-bari che premevano ai confini, i Germani a nord, i Sasa-nidi a oriente; ma non furono essi a sconvolgere e amutare radicalmente la civiltà del mondo antico. Essanon morí di morte violenta, ma subì una trasformazio-ne e un rinnovamento interiori: «Ripeness is all». Que-sto processo in realtà fu ben aperto a tutto ciò che c’eradi vivo in questi popoli antichi e nuovi nello stesso

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tempo, se ne avesse coscienza o no. Entro i confini del-l’impero, il sottosuolo originario del variopinto mosaicoetnico emerse sempre di piú attraverso il sottile stratodella cultura romana.

Uno degli elementi piú importanti di questo sotto-suolo è senza dubbio l’elemento celtico, soprattutto inGallia e in Britannia. I Celti infatti avevano una loroparticolare forma di civiltà municipale, che accolse assaipresto la cultura grecoromana, ma non ne fu completa-mente sopraffatta; avevano un’arte figurativa e unascrittura autonome, assai raffinate e sviluppate, e unaclasse di letterati e gente colta, quale non ci si aspette-rebbe. L’importanza che questo elemento ha avuto nelprimo Medioevo (accanto a quello germanico), non èfacilmente determinabile attraverso le varie tradizioni,in genere poco chiare e divise: nemmeno oggi essa è statamessa a fuoco e studiata esaurientemente in tutti i suoiaspetti.

Con questo non abbiamo intenzione di entrare nellaquestione dell’origine e della diffusione dei famosi orna-menti con motivi di animali e di intrecci, che è già statadibattuta con molte dotte ragioni pro e contro, ma anchecon argomenti approssimativi e secondari, e che è con-nessa con la questione degli «influssi»; è innegabile peròche in essi si muove uno spirito nuovo, primitivo e raf-finato nello stesso tempo, e che introducono una verarivoluzione nel campo dei fregi ornamentali, spezzandocome una vegetazione selvaggia i riquadri e le regolaricampiture dei fregi classici.

Prima di tentare di comprendere e definire questospirito non sarà inutile soffermarsi un momento suimutamenti avvenuti in un altro campo artistico, quel-lo della musica. Qui il nuovo spirito medievale simostra, per origini ed essenza, singolarmente autonomorispetto all’antichità. Si è soliti considerare la musicacome l’arte in cui l’espressione estetica si realizza in

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forma assolutamente pura al di là di ogni astratta teo-ria di dualità tra contenuto e forma, tra invenzione etecnica esecutiva (che oscura il problema fondamenta-le delle arti figurative e sembra da queste scaturita);tanto che essa poté sembrare all’ultimo filosofo del ro-manticismo come l’espressione immediata dell’essenzadel mondo. Già abbiamo accennato alla rima, elemen-to che ha le sue radici antiche e profonde nei modi pri-mitivi della poesia popolare, e che veniva evitato dagliantichi come scorretto perché non rispondente al carat-tere solenne della «poesia d’arte». La rima fece la suaprima apparizione ufficiale negli inni del primo cristia-nesimo, conferendo ad essi un particolare carattere di«musica parlata».

È sintomatico che l’elemento popolare in poesia e inscultura sia stato violentemente combattuto, in teoria edi fatto, dal neoclassicismo. Difatti fu proprio all’epocadel neoclassicismo che si tennero dotte dispute per sta-bilire se la rima, questa «grossolana, violenta, ripu-gnante maniera di differenziare la prosa dalla poesia» (èuno scrittore italiano del secolo xviii, il Gravina, cheparla), che si è sostituita all’elegante e graziosa metricaquantitativa, provenga o no dall’Oriente. La questione,posta in questi termini, è assolutamente priva di senso,perché bada al fatto esteriore e dimentica il significatospirituale del fenomeno.

La musica «d’arte» dell’antichità aveva asservito ilsuono alla parola, proprio come nelle arti figurative l’uo-mo e il corpo umano erano sempre stati in primo piano.Ma nel Medioevo l’uomo e tutto ciò che ad esso è con-nesso perde valore e significato; è naturale perciò che siabbia la riscoperta e la rivalutazione delle forze sotter-ranee, infinite e misteriose del cosmo, nascoste sotto ilvelo di Maia. Analogamente, con la nuova concezionemusicale vengono messi in evidenza gli elementi origi-nari del suono, nei loro rapporti super o subindividua-

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li; l’elemento armonico, concepito in maniera nuova eparticolare, acquista sempre piú importanza. Si verificainsomma un grandioso passaggio dal canto parlato, pla-stico, individuale, sottolineato soltanto dal suono, allamusica «assoluta», la musica strumentale. È veramentestrano che l’Italia, che fu la patria dell’opera napoleta-na (nata dal grande fraintendimento umanistico deldramma musicale antico) sia stata e sia tuttora cosí deci-samente restia a questo sviluppo, cui pure ha cosí poten-temente contribuito. Con un geniale presentimentoJean-Jacques Rousseau ha definito l’armonia (e non èimprobabile che si facesse eco di opinioni ancora cor-renti al suo tempo) un’invenzione «gotica e barbarica».Oggi sembra indubbio che il sistema armonico occiden-tale (ormai già in fase di dissoluzione, come del resto èin dissoluzione la forma «rinascimentale», rigidamentearchitettonica, dei maestri classici, dal tempo del roman-ticismo e dell’ultimo Beethoven) debba cercare le sueorigini in suolo barbarico. È certo che l’elemento, cel-tico, specialmente quello delle isole britanniche, haavuto gran parte nella formazione del sistema armoni-co, e che esso è stato ad ogni modo perfezionato nellazona nord-occidentale dell’Europa; era come un’isolache ora sta scomparendo sopraffatta dal vasto mare delmondo, e soprattutto dagli influssi orientali, dove l’ar-monia è sempre stata considerata qualcosa di stranieroe incomprensibile.

L’Occidente, benché impedito dalla ferrea corazzadella scienza scolastica e costretto a strani compromes-si, ha lavorato fino alla fine del Rinascimento per get-tare le basi teoretiche del sistema. È significativo inol-tre il fatto che Zarlino (1558), il fondatore dei sistemadualistico basato sulla distinzione di maggiore e mino-re, nativo della città-ponte tra Oriente ed Occidente,Venezia, sembra aver avuto contatti con la teoria musi-cale arabo-persiana medievale. Questa teoria aveva

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conosciuto da molto tempo la polarità e l’importanzadeterminante dell’intervallo di terza come consonanza,sia pure per vie puramente intellettualistiche. Poiché inOriente, invece dell’armonia «verticale» (riconducibileall’«accordo», quale fondamento della tonalità), si trat-ta di un’armonia «orizzontale», come bene è stato detto,ossia si tratta del rapporto reciproco degli intervalli. Èancora l’elemento originario e antico della «linea melo-dica», mentre il nuovo sistema occidentale, in lotta congli antichi modi, da una parte rappresenta un impoveri-mento, ma dall’altra costituisce un nuovo legame rigi-damente strutturale e un approfondimento della pro-spettiva musicale: il rapporto con la parola viene esat-tamente invertito. Ormai il suono con la dualità antite-tica, insita nella sua natura acustica, di armonici supe-riori e inferiori manifestantisi in consonanza e disso-nanza, comincia a imporsi e prende il sopravvento sullaparola individuale, finché alla fine si scioglie completa-mente da essa. Questa nuova polifonia raggiunge il suogrado piú alto nel fraseggio medievale, che inizia con lascuola di Parigi e culmina nell’arte dei Paesi Bassi deisecoli xv e xvi.

Uno sviluppo analogo, anzi, fondamentalmente iden-tico (ogni divisione tra le arti è esterna ed empirica), èavvenuto nelle arti figurative. Il carattere «romanzo» siformò anche qui sulla base dell’antico latino, con note-voli contributi di elementi popolari e influssi orientali;(l’Oriente è una specie di tesoreria cui l’Occidente attin-ge a ogni rinverdire di spiritualità misticheggiante). Ilprocesso attraverso il quale i modi dell’antichità, nati inun clima spirituale tutto diverso, e diventati ormai, attra-verso l’interpretazione bizantina, modi ecclesiastici, ven-nero modellati dal nuovo sistema armonico dell’Occi-dente in uno spirito completamente nuovo, che condu-ce alla loro distinzione in toni maggiori e minori, è lostesso che portò alla trasformazione della basilica paleo-

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cristiana nella cattedrale gotica. Si sviluppò lentamenteuna musica strumentale profana basata su elementi popo-lari, che accompagnò la nuova lirica dei trovatori, soprat-tutto nella Francia meridionale; ma venne anch’essaattratta nell’ambito della predominante musica sacra.

Gli strumenti stessi di cui essa si serví, furono, nono-stante la conservazione, talvolta ostinata, della termi-nologia antica, del tutto moderni. Involucri privi di con-tenuto si trascinarono ancora a lungo; i nomi di citharae lyra vivono ancora nelle nostre lingue moderne; masono soltanto nomi che coprono forme del tutto nuove(delle quali l’antichità non sapeva o non voleva saperenulla) derivate dal folklore dei popoli barbarici del Norde di quelli orientali. Il piú importante tra gli strumentiad arco, adattato in Occidente alla polifonia, deve la suaesistenza a un complicato incrocio di quei due elemen-ti. Quasi tutti gli strumenti della nostra moderna orche-stra (in parte anche quelli di origine recente) sono di pro-venienza orientale; ma mentre essi sono rimasti inOriente del tutto primitivi, o hanno avuto uno svilup-po autonomo, in Occidente sono stati trasformati eadattati alle diverse esigenze spirituali; tanto che qual-cuno di essi, per esempio l’antichissimo liuto, che tuttiancor oggi chiamano «arabo», ha ripreso la strada del-l’Oriente, a scapito naturalmente delle sue possibilitàpolifoniche. Solo l’Occidente conosce uno sviluppo vera-mente progressivo, che oggi è di nuovo a una svolta.

Tutto ciò dimostra una volta di piú come ogni teoriache tenga conto degli «influssi» è valida senza dubbioper la storia della cultura ma ha un’importanza solo diterz’ordine per la storia dell’arte stilistico-individuale.La vecchia denominazione romantica di «bizantino»,applicata allo stile romanico, era un fraintendimentonon meno di quell’altra di «gotico».

Anche nel campo musicale, la posizione dell’Italia èassolutamente autonoma. Avremo ancora occasione di

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dire come l’ars nova (monodia accompagnata da stru-menti) uscita dalla Toscana sia entrata trionfalmentenel nord e si sia sostituita all’ars antiqua francese nelsecolo xiv: si tratta ancora di un’arte «gotica» svilup-patasi su basi provenzali, ma con caratteri suoi autono-mi e nazionali: anch’essa unisce l’antichissimo motivodel canto a solo, all’accompagnamento polifonico, unio-ne che può ricordare quella della cupola sovrappostaalla basilica. L’ars nova è cresciuta in intimo legame conlo «stil novo» della poesia toscana: ancora sulla spiaggiadel Purgatorio Dante si ferma, perduto in dolci ricordi,per sentir cantare Casella, musico e amico suo. Il con-fronto di quest’ars nova con lo «stil novo» e con lanuova maniera pittorica di Giotto non è, si badi, unasemplice analogia; si tratta di un’affinità sostanziale.

Dietro a tutti questi fenomeni spirituali c’è la nuovaconcezione trascendente che abbiamo tentato di defini-re nell’introduzione, e che è carattere predominantenon solo nel cristianesimo ma in tutta la tarda antichità:si tratta cioè dell’assoluta antinomia tra spirituale e cor-poreo, dualità insolubile (perché trascendente) dallaquale né l’antichità né il Medioevo uscirono né poteva-no uscire; è l’aspirazione a infinite profondità spaziali etemporali, aspirazione che conduce a un annullamentofinale dello spazio e del tempo, appunto per quel suocarattere di infinitezza. Gli antichi popoli dell’Orienteda tempo immemorabile hanno nel sangue questa con-cezione trascendente, e i popoli piú recenti ne hannoseguito volentieri le orme, giacché i giovani si sentonosempre piú fortemente attratti da ciò che è spirituale esenza confini che non da ciò che è terreno e limitato.

La dissoluzione di quel linguaggio formale che abbia-mo chiamato «classico», non lo si ripete mai abbastan-za, è avvenuta dunque attraverso una dialettica interna,non per influssi esterni, barbarici od orientali. Questolinguaggio, sviluppatosi nelle antichissime sedi dell’Asia

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Minore, fu, come il suo corrispondente, la musica armo-nica e polifonica dell’Occidente, un momento unicodella nostra civiltà mediterranea, e perciò in seguitosempre ardentemente vagheggiato come un Eden per-duto (dobbiamo sempre tenere presente che all’originegesti e suoni, linguaggio figurativo e linguaggio musica-le sono strettamente connessi). Solo su tale terreno pote-va nascere la teoria aristotelica della «mimèsi», che piútardi fu grossolanamente fraintesa come «imitazionedella natura», come fu fraintesa la concezione imma-nentistica dello stesso grande filosofo.

Ma questo linguaggio «classico» non poteva restarea lungo isolato. La storia, in quanto realtà concreta, èun progredire attraverso eterni contrasti. Ogni stato diquiete in una astratta esistenza, come ogni trascenden-za, non è altro che l’immagine di un’aspirazione dellospirito, il quale invece agisce senza sosta, e solo in que-sto agire è vivo e produttivo; è sostanzialmente un mitoche culmina in un altrettanto astratto «non essere» (è ilpunto di arrivo del pensiero orientale, per il quale ilmondo non si esperisce ma si subisce), come l’operaprincipale dello Schopenhauer termina con la parolaNichts (niente). Può darsi che dal punto di vista della«storia eterna ed ideale dello spirito» si tratti di un«ricorso» in senso vichiano; ma dal punto di vista dellasemplice storia, questo grandioso mutamento è un pro-gresso. Seguendo la logica del suo sviluppo interno laspiritualità del mondo antico si era venuta avvicinandoa quella dell’antichissimo Oriente e a quella dei giovanipopoli barbarici, cosicché essa era spiritualmente dispo-sta a riceverne e ad elaborarne gli influssi.

Qualcosa di analogo sta avvenendo anche oggi sottoi nostri occhi: la nostra epoca, pur con piena consape-volezza (grazie all’avvenuta diffusione dello storicismo),ha accolto e sviluppato tutti i possibili influssi esotici eprimitivi.

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Dallo stile greco del secolo v a. C., solenne e idea-lizzato, che è stato paragonato spesso al maturo stilegotico, si era passati attraverso il barocco dell’ellenismo,al realismo dell’arte romana, il quale, movendosi su anti-che basi etrusche, ricorda da vicino i prodotti del primoRinascimento toscano fiorito sullo stesso terreno. Que-sto realismo, che rispondeva esattamente all’ethos nazio-nale romano (ricordiamo a questo proposito l’uso roma-no di eseguire e conservare nelle case le maschere degliantenati, uso che fu ripreso nel Quattrocento), si svi-luppò fino alle sue estreme conseguenze, fino alla ripro-duzione dell’apparenza fisica degli oggetti, la quale, inultima analisi, dissolve le forme individuate e pone ilfluttuante al posto del solido e del resistente. Fu questala grandiosa fase dell’«impressionismo» antico, che potéessere capito a pieno solo dalla nostra epoca, passataattraverso un’esperienza analoga. È significativo cheLeonardo, il grande artista che ha studiato fin nei par-ticolari, in veste di scienziato (come farà piú tardi ilGoethe), gli effetti della luce nello spazio, abbia rifiu-tato di fare dell’arte seguendo i principî scientifici da luiscoperti, perché cosí avrebbe dovuto eliminare il rilievoe il modellato plastico dei corpi. Questo impressionismonon aveva alcuna possibile via d’uscita (come non l’eb-be l’impressionismo ottocentesco); gli doveva quindiseguire una crisi simile a quella che noi oggi, in circo-stanze assolutamente diverse, stiamo sperimentando conl’espressionismo e in generale con tutte le forme di spi-ritualismo che dominano l’arte e la cultura contempo-ranee. Il nome di questo odierno movimento spirituale,che è un nome di battaglia e che perciò esprime solo par-zialmente il suo programma, può ricordare la modernaconcezione dell’arte intesa come «espressione», ma nonha nulla a che fare con essa, e non intende far altro cheaccentuare nel modo piú radicale possibile l’opposizio-ne all’impressionismo testè concluso.

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Come avviene oggi, cosí anche allora l’intera conce-zione del mondo fu penetrata da elementi mistici e asce-tici che la minarono dall’interno: non si trattò solo delneoplatonismo, con la sua teoria delle emanazioni, la suademonologia e la sua intonazione contemplativa ed esta-tica; accanto ad esso sulla fine del pensiero antico siaffermò il neoscetticismo, dottrina forse meno vistosama non meno significativa della prima. Essa, insegnan-do che non solo l’esperienza sensibile ma anche le essen-ze concettuali non sono altro che inganno, ha contri-buito potentemente alla dissoluzione della concezioneclassica. I due piú notevoli rappresentanti di queste duedottrine filosofiche, Plotino e Sesto Empirico, sono vis-suti nel secolo iii d. C., proprio all’inizio di questo perio-do di transizione. Quando la «forma illusoria» o «appa-renza» si fu sostituita alla presunta realtà oggettiva delleforme, non ci volle molto per rompere anche quest’ul-timo legame con la realtà fenomenica, costituito delresto da pura luce incorporea, e sostituire a una «imita-zione» che si rivelava impossibile, l’espressione auto-noma dello spirito, che nella natura non faceva altro cheordinare secondo sue libere leggi un mondo di fenome-ni da se stesso liberamente creato. Tale espressione per-tanto risultava libera dal dato oggettivo, che si rivelavasempre illusorio, e trovava le sue ragioni di bellezza innuove leggi non piú tratte oggettivamente dalla natura,ma nate soggettivamente in seno allo spirito.

In questa nuova concezione, intorno ad ogni ogget-to viene addensato uno spazio infinito, il quale, appun-to per questo suo carattere, non è piú lo spazio mate-matico: ogni pensiero va all’infinito, si perde in misticiabissi, come accade di simili concezioni. L’individuo el’oggetto singolarmente individuato, che nell’età classi-ca hanno raggiunto una propria evidenza e autonomia,un proprio rilievo plastico in un tempo e in uno spaziodeterminati e ad essi proporzionati, in modo da staccarsi

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quasi dal cosmo, ora scompaiono immergendosi in unafluida indeterminatezza cosmica. Solo dopo molti seco-li torneranno a riemergere agli occhi delle generazionidella Rinascenza come un lontano paese di sogno: «Anti-chissime acque salgono rinnovate attorno le tue gi-nocchia, o fanciullo!»1.

Ai nostri giorni l’individuo è di nuovo rimesso indiscussione; tempo fa un certo Ernst Mach annunziò chel’individuo non si sarebbe potuto salvare e che l’umanitàsarebbe divenuta un groviglio di polipi; piú tardi Ricar-da Huch, la sottile rievocatrice del romanticismo, pub-blicava un meditato libro sulla «spersonalizzazione» del-l’Occidente. Aveva dunque ragione il Vico, il genialeformulatore della concezione romantica della storia, didefinire il Medioevo come un momento della «storiaeterna e ideale dello spirito», come un «ricorso» di unanuova barbarie eroica. Forse ci aspettano fenomeni spi-rituali che sorprenderanno molto la nostra mentalità dieredi della civiltà rinascimentale: o dobbiamo invecedire che fenomeni di questo genere si sono già verifica-ti? Per ricordarne uno, la latente simmetria delle formefigurative, non individuale ma cosmica, che un grandestorico dell’arte, Julius Lange, credette di poter ridurrealla sola «legge della frontalità», fenomeno caratteristi-co di tutte le arti primitive e dei disegni dei bambini.(Indubbiamente, queste «leggi» vanno trattate conestrema cautela, dopo che certo psicologismo le ha irri-gidite attribuendo loro un significato che ne esagera laportata, essenzialmente provvisoria e approssimativa).Un altro esempio potrebbe essere la posizione frontaledegli occhi anche nelle figure rappresentate di profilo,caratteristica ostinatamente mantenuta anche in un’ar-te consapevolmente raffinata come quella egizia.

Tutti questi «primitivismi» si trovano già nell’artedella tarda antichità; sono essi che, assieme a forme e aelementi conservati della civiltà antica, conferiscono a

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questo periodo storico quell’aspetto di novità e di vec-chiezza allo stesso tempo di cui abbiamo già parlato. Perun osservatore che abbia qualche familiarità con l’arteantica, verrà fatto senza dubbio, di fronte ai manoscrittiminiati e ai mosaici dei secoli iv e v di ricordarsi del lati-no, e non tanto di quello dello stile barocco e cerimo-nioso degli ultimi retori pagani, quanto piuttosto diquello del grande filosofo cristiano, sant’Agostino, chepure era stato in gioventú uomo di mondo e granderetore. Sono in esso risonanze profonde e nuove dovu-te principalmente a reminiscenze del linguaggio biblico.Come suonano strane al nostro orecchio le cadenzedell’antichissimo libro dell’Oriente nella lingua di Cice-rone! Un sentimento simile deve provare anche unostudioso dei templi antichi che si trovi davanti alle opered’arte paleocristiane.

I filologi classici trovano alquanto buffonesco lo stiledel Satyricon di Marciano Capella, che divenne nelMedioevo uno dei libri piú popolari, con quella stranaallegoria che funge da cornice (le nozze di Mercurio conla Filologia). Un giudizio non meno severo su quest’o-pera fu spesso formulato soprattutto in tempi anteriorial nostro.

Quelle uniformi e solenni teorie di santi che avanza-no verso Cristo, che nelle absidi delle basiliche siedemaestoso in trono in rigida frontalità, sembrano vera-mente inerti e prive di vita. Quelle figure con grandiocchi spalancati fissano lo spettatore e l’infinito dietrodi lui. L’armonia delle membra, che era stata la preoc-cupazione piú alta degli artisti dell’antichità classica, èsparita sotto i panneggi pesanti rigidi e verticali deglisfarzosi costumi. Tuttavia ancora un ricordo dell’«illu-sionismo» antico si ritrova in queste figure come nelleillustrazioni del manoscritto della Genesi di Vienna cheil Wickhoff ha indicato quale fonte di quest’arte paleo-cristiana.

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La tecnica musiva, fatta per essere osservata di lon-tano, in quanto gli effetti cromatici si realizzano a pienosolo nell’occhio dello spettatore, ha un posto moltoimportante in quest’arte.

Il rilievo (di cui la Rinascenza farà gran conto) e ilmodellato plastico dei corpi lentamente si riducono auna formula fissa e convenzionale: nelle linee dure e rigi-de del contorno e in quelle interne alle figure, mirantianch’esse a un effetto illusionistico, entra qualcosa dinuovo, che finisce coll’annullarle. Un elemento chetende al tipico si insinua nelle linee, nelle superfici, neivolumi, e riduce a formula la forma individuale deglioggetti. Si può parlare di un nuovo «canone» che natu-ralmente non ha piú nulla a che fare con quello di Poli-cleto, e che non si cura né della bellezza (come è con-cepita comunemente), né dell’esattezza oggettiva.

Recentemente si è tentato di elevare questa diffe-renza tra la concezione figurativa, classica e quellamedievale a paradigma e simbolo del contrasto tra duemomenti dello sviluppo «eterno e ideale» (per parafra-sare ancora una volta la famosa espressione vichiana) dellinguaggio figurativo: cioè tra il momento della sen-sazione oggettiva e quello dell’astrazione. È un tentati-vo non del tutto errato ma che risente troppo degli sche-mi dello psicologismo e della filosofia della storia.

Lo spostamento dell’interesse figurativo dall’indivi-duale al tipico e la riduzione dell’immagine a ornamen-to ci riconducono ancora a componenti barbariche eorientali. Prenderemo in esame una doppia serie didocumenti molto importanti perché databili con sicu-rezza e precisione, e che non hanno subito alterazioni;entrambe le serie appartengono alla numismatica (uncampo tenuto generalmente in scarsa considerazionedagli storici dell’arte). Si tratta delle monete dell’ultimosecolo dell’impero, e di monete barbariche risalenti agliinizi del periodo ellenistico.

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Il realismo dell’arte romana vive ancora nei ritrattiimpressi nelle monete del secolo iii; nelle serie di ritrat-ti degli imperatori-soldati, esso è accentuato quasi finoalla caricatura. Come la maggior parte degli aspetti dellaciviltà antica, esso culmina e finisce con Diocleziano; ilsuo mezzo di espressione piú adatto, lo trova in unalinea energica, spesso brutalmente dura e rigida (e noncerto perché l’arte di coniare monete si fosse imbarba-rita). Anche i busti di pietra (che diventano sempre piúrari) presentano le stesse caratteristiche.

Ma con l’ascesa al trono della dinastia dei Costanti-niani, originari della Siria, si verifica un grande muta-mento nell’arte del ritratto. Costantino, cui venne datoil soprannome di Grande, appare nei ritratti eseguiti alsuo tempo un personaggio raffinato, dal portamento ari-stocratico, senza barba, stranamente elegante; anchequi l’effetto figurativo è affidato quasi unicamente a unalinea che si snoda con sobria eleganza. I tratti caratte-ristici della fisionomia sono ancora presenti, ma comeguardati attraverso un velo sottile. In seguito i ritrattidiventeranno espressione di un tipo ideale, attraversouno sviluppo che ne ricorda stranamente un altro veri-ficatosi in un’epoca storica precedente. Nel periodo sto-rico dei Costantiniani, che ricorda assai da vicino lafase dell’ellenismo e della orientalizzazione della civiltàgreca, pur rappresentando un progresso storico rispettoa quella, in quanto cronologicamente posteriore, si ebbeun vero culto per Alessandro il Grande; e le meravigliosemonete raffiguranti Costantino che rivolge lo sguardo alcielo (riflesso della nuova trascendenza) hanno il loroprecedente «esterno» nelle monete del tempo di Ales-sandro. V’è di piú; i ritratti su monete dei Diadochi, isuccessori di Alessandro, raffigurano ormai soltanto iltipo ideale del sovrano, nel quale i tratti fisionomicicaratteristici sono spariti; un fenomeno analogo si veri-fica nei ritratti dei successori di Costantino. Il dispera-

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to tentativo di ritorno all’antico compiuto da Giulianol’Apostata sembra interrompere questa linea di sviluppo;ma se osserviamo i ritratti conservatici di questo impera-tore, si deve dire che la sua fluente barba da filosofoantico non ha piú nulla di fisionomico, ed è diventatauna specie di maschera. Le monete della tarda antichitàe, poi, quelle bizantine mostrano sempre lo stesso sche-ma di pupazzo in trono, ripetuto con infinita monoto-nia. Si potrebbe dire, se l’espressione non potesse esse-re fraintesa, che non c’è piú il ritratto di un individuo,ma di un concetto.

Ogni ritratto porta in sé, per vizio d’origine, qualcosadi ambiguo: è nello stesso tempo ritratto di una perso-na ed espressione di un sentimento; ma qui abbiamo giàritratti «realistici» in senso medievale, non ritratti nelsenso che diamo noi alla parola, o abbiamo dato fino aieri, cioè non ritratti dell’individuale ma dell’idea, del-l’universale; e con ciò siamo già entrati nel Medioevo.È vero che nell’impero d’Oriente, dove si ebbe unacospicua civiltà di palazzo profana, durerà ancora perqualche tempo l’uso di ritrarre il sovrano a piedi e acavallo, con quella accentuazione dei tratti fisionomici,che è caratteristica dei ritratti del basso impero (sap-piamo che esistettero simili ritratti di Teodorico e diGiustiniano). Ma quest’uso finì – vedi caso – proprioquando il vecchio latino cessò di essere la lingua ufficialedell’impero d’Oriente e i Romani diventarono Rhomaei.

Il ritratto pubblico, fosse pure quello del Cesare cri-stiano, era affatto incompatibile con la mentalità medie-vale, che scorgeva in esso qualcosa di idolatrico. Sap-piamo che Carlo Magno portò con sé ad Aquisgrana unritratto di Teodorico a cavallo, e lo fece collocare davan-ti al suo palazzo, invece di metterci il proprio. Ma fufatto subito togliere dai suoi successori.

Questa profonda avversione per l’individuale vistocome cosa priva di valore, e peggio peccaminosa, è

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profondamente radicata già nell’ethos della tarda anti-chità; ed è comprensibile che essa fosse tanto piú fortecontro quella forma artistica in cui l’individuale trova lasua massima accentuazione, cioè il contrefait (l’e-spressione francese è qui molto piú significativa deltedesco Bildniss o dell’italiano ritratto). Anche per Pla-tone l’individuale era nient’altro che ombra rispettoall’Idea eterna; col neoplatonismo questa concezioneritorna rafforzata da un sostrato di pensiero mistico-reli-gioso in quanto con esso viene ristabilita l’unione di reli-gione e filosofia, di quella filosofia cioè che molti seco-li prima s’era staccata dalla religione affermandosi comescienza autonoma.

Il fatto invece che nella matura arte ellenica non esi-sta ciò che noi chiamiamo «ritratto» si spiega con ragio-ni d’altro genere, da ricercare nell’ethos politico deiGreci. Del resto l’idealismo platonico culmina in unaconcezione dello stato di tipo classico, non già nellaCivitas Dei agostiniana.

Invece nella tarda antichità si tratta ormai dellarinuncia cosciente a qualcosa che già esisteva, a un ele-mento che era diventato parte strutturale della civiltà.Che si trattasse di una rinuncia e di un annichilimentocosciente, lo dimostra il fatto che, secondo quanto rac-conta un biografo, si dovette ricorrere all’astuzia peravere un ritratto di Plotino. Bisogna per forza pensareche dietro a questa rinuncia all’io ci sia un nuovo profon-do sentimento mistico. Le belle parole dedicate dalWilamowitz al grande filosofo del secolo iii, che si leg-gono come una commovente trenodia cantata sulle rovi-ne dell’antichità, mettono in rilievo come l’autore scom-paia interamente dietro alla sua opera, e come in lui, peril quale «il mondo e la vita sono in fondo del tutto irri-levanti, casuali, e perfino molesti», paragonabili alcorpo, in cui l’anima e prigioniera, sia scomparsa ogniconcretezza e corposità di linguaggio. «Come sembra

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poco greca quest’opera, nella quale v’è come l’estremaluce della casta Charis che s’allontana, e appena un ri-cordo dell’abbandono puro e semplice all’oggetto, cheinsegnò la prosa scientifica agli Joni». Queste parole delWilamowitz si possono applicare altrettanto bene ancheall’arte della tarda antichità.

Nella civiltà islamica questo rifiuto del ritratto èancora piú totale e incondizionato: la fede maomettanainsegna che nell’ultimo giorno il ritratto esigerà l’animadell’artista che lo eseguì.

La seconda serie dei documenti che vogliamo esami-nare appartiene, come già si è detto, all’arte primitiva.I popoli che abitavano la regione balcanica a nord dellaGrecia si resero conto assai presto del valore e dell’im-portanza del denaro coniato, e imitarono le monete deiloro piú civili vicini. Si tratta di un’imitazione di parti-colare natura. Per anticipare diremo che in queste mone-te barbariche si può rintracciare parte di quello spiritoe di quell’atteggiamento che il Medioevo gotico assu-merà nei confronti della «natura» e del «mondo classi-co». Si tratta per lo più di monete d’uso commerciale,che avevano corso in un’area vastissima (press’a pococome il tallero di Maria Teresa nel Levante), di mone-te di Filippo II di Macedonia o anche di monete conso-lari romane.

Le figure impresse su queste monete (quadrighe,cavalieri, teste di dèi), non riproducono gli oggetti nellaloro forma organica individuale, ma solo attraverso sem-plificazioni estreme, ornamentali, che a noi sembrano diuna sommarietà puerile. Non a torto è stata richiamatain proposito la miniatura irlandese dell’alto Medioevo;il paragone sarebbe tanto piú adatto qualora si trattasseeffettivamente di documenti celtici, come è stato sup-posto. Ma non si può avvicinare le figure di questemonete ai disegni infantili, giacché la sommarietà diqueste figure non è dovuta a inesperienza tecnica; è

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anzi risaputo che tutti questi barbari, Celti compresi,erano abilissimi in fatto di tecnica e particolarmenteesperti nel lavorare l’oro. Uno sguardo ai documentimigliori dell’arte irlandese della miniatura può farci per-suasi della sua perfezione: nel suo sicuro equilibrio trasentimento ed espressione, essa è molto superiore a que-st’arte barbarica con la quale ha pure innegabili affinità.In quest’arte, naturalmente, il concetto di natura èmolto diverso da quello dell’arte classica o rina-scimentale. Ci viene in mente un curioso passo di unostorico ellenistico in cui si dice che ai Galati devonoessere sembrate assai ridicole le immagini greche deglidèi. Questo scrittore non deve aver pensato soltanto al«contenuto», e noi possiamo supporre che ai Greci suc-cedesse esattamente il contrario.

Uno scienziato, il Verworn, che ha scritto un picco-lo lavoro su questi aspetti dell’arte primitiva, anchevista in rapporto con l’arte contemporanea, parla di unaforma «fisioplastica» d’arte, contrapposta a una forma«ideoplastica». Secondo il Verworn, nella forma «ideo-plastica» non vi sarebbero immagini di oggetti real-mente osservati, ma idee di rappresentazioni che nasco-no dall’attività associativa della mente. Ne risulta quin-di una forma d’arte ornamentale, perché opera una scel-ta di elementi formali puri, cosicché anche la «figura»può essere ridotta a «ornamento», mediante una copiadi essa ripetuta secondo schemi fissi; o una forma d’ar-te schematizzante, perché accentua gli elementi essen-ziali e sopprime quelli che sembrano secondari (ciò cheè fondamento della caricatura); infine fantastica perchéunisce tra loro elementi dell’osservazione sensibile chenon hanno tra loro nessuna connessione naturale, comesuccede nel sogno. Queste osservazioni sono giuste(anche se risentono un po’ troppo di psicologismo) e aiu-tano molto a capire l’elemento barbarico nell’arte delprimo Medioevo. Si tratta qui degli elementi primi di

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ogni «linguaggio che si esprime con forme visibili»(Conze).

Ma non dobbiamo pensare di fronte a queste forme«astratte» dell’arte barbarica, che esse siano forme geo-metriche, espressioni di concetti come per noi: l’«astrat-to» è tanto poco presente alla coscienza del primitivo,quanto a quella del bourgeois gentilhomme di Molière laconsapevolezza della prosa che egli parla. Si tratta inve-ce di immagini sommarie di oggetti reali; un triangolodisegnato da un selvaggio, per esempio, può rappresen-tare un perizoma, o qualcosa di simile; ma, data l’estre-ma semplificazione della figura, il suo significato puòcambiare rapidamente, come cambiano le immagini nelsogno e nella veglia che precede il sonno. Per questo ècosí interessante per noi il confronto tra lo sviluppodelle arti figurative e quello della musica, in cui con-tenuto e forma non si possono dividere nemmeno attra-verso artifici voluti. Come nella musica la parola (chenell’antichità veniva ancor meglio sollevata nella suadefinita plasticità dal canto) gioca in antitesi con gli ele-menti originari del suono, cosí nelle arti figurative lafigura gioca in antitesi con ciò che noi chiamiamo«forma ornamentale» e che siamo abituati a considera-re come un’aggiunta estranea, in omaggio a una teoria,per fortuna ora tramontata, che considerava la bellezzacome inerente a determinate forme. Queste forme orna-mentali sono appunto gli elementi primi di ogni rap-presentazione figurativa, che poi la geometria ha razio-nalmente fissato in formule. Nella «figura» l’osserva-zione sensibile ha il ruolo di correttivo e di sostegno allafantasia, mentre nella forma «ornamentale» la fantasiadell’artista è sostenuta da un elemento piú spirituale, piúalto, e non è vincolata da alcun oggetto naturale.

Ma tutte queste categorie psicologiche vanno tratta-te con estrema precauzione. Si può attribuire una certasuperiorità in arte (confermata del resto anche dalla sto-

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ria) all’elemento razionale, che culmina nella scienzaempirica, rispetto all’elemento fantastico, che corre sem-pre il pericolo di smarrirsi nell’infinito, nell’indetermi-nato e nel mistico. D’altra parte un eccesso di razionalitàpuò condurre a un irrigidimento nel finito, a una copiadella natura, priva di ogni vita d’arte. Il fatto che giàLattanzio, uno dei primi Padri della Chiesa, si dichiariirriducibile avversario di ogni scienza della natura, pre-suppone uno sfondo di cultura piú profondo che non sisospetti.

Ma c’è un altro fatto che va considerato: mentre laparola dai contorni saldi, o la figura individuale hannoun significato in esse immanente, il suono «assoluto» ela forma «ornamentale» hanno un significato che li tra-scende. L’antico dualismo tra forma e contenuto pote-va tornare in due modi a proposito di queste formed’arte; esse potevano venire considerate: come espres-sioni di pura tecnica, oziosi giochi di forme, rapporti disuoni e toni cromatici; oppure come mezzi per risve-gliare negli spettatori sentimenti o pensieri.

La polarità tra «figura» e «scrittura», meglio chequella tra «figura» e «ornamento», può essere elevata asimbolo dell’opposizione tra civiltà classica e civiltàmedievale. Si è già detto qualcosa a proposito del muta-mento della «figura» in «scrittura», cioè del processoper cui si passa dalla rappresentazione individuale di unoggetto alla rappresentazione di forme simboliche, chehanno cioè un significato che le trascende. Tutto il Me-dioevo è allegorico e trascendente; ma l’allegoria medie-vale è assolutamente diversa da quella dell’antichità odella Rinascenza, che è qualcosa di esteriore e di cere-brale che si sovrappone all’immagine ma non si fondecon essa. Ogni forma individuale è se stessa solo al di làdelle apparenze sensibili, è in sé e nei suoi effetti profon-damente simbolica: è questo il punto in cui, confor-memente al «realismo» medievale, la «calligrafia», la

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forma in sé, nella sua vita originaria e singolare, si uni-sce alla «pittografia», la quale anch’essa supera e sor-passa ogni forma singolare.

L’ornamento classico, cosí sobrio e organico, si mutanelle confuse forme ornamentali dei barbari delNord-ovest europeo, oppure negli enigmatici, indefini-ti geroglifici orientali, che ammaliano e fanno smarrirelo spettatore nella loro labirintica vicenda (si pensi peresempio ai tappeti orientali). Anche la scrittura diventaornamentale. La meravigliosa scrittura araba (che laRinascenza, come è noto, usò come mero ornamento) emolte tra le scritture «nazionali» del primo Medioevosono esempi di questo mutamento.

Senza dubbio, chi studia l’arte medievale ha l’esattaimpressione che in essa la parola, il contenuto, tenda asoverchiare la forma (ricordiamo a questo proposito lagrande importanza che aveva il titulus, cioè la scrittaesplicativa che veniva posta accanto alle immagini). Diciò esistono anche documenti teorici: san Girolamoaveva ammonito che non fosse la voce del cantore ma leparole del canto a commuovere gli ascoltatori; e le Con-fessioni di sant’Agostino sono documento della commo-vente lotta che si svolse in una grande anima e delle ter-ribili crisi attraverso le quali il nuovo spirito medievalesi liberò faticosamente dal grembo della civiltà che l’a-veva generato. Può sembrare effettivamente che il con-tenuto soverchi la forma: ma non bisogna lasciarsiinfluenzare dalle teorie medievali sull’arte, nettamentemoralistiche e intellettualistiche. È stato detto cheDante avrebbe condannato alla piú profonda delle bolgedel suo Inferno quei commentatori moderni che si sfor-zano di caratterizzare solo il tono della sua poesia. Nonsi tratta di un’affermazione semplicemente scherzosa:Dante fu veramente un grande poeta suo malgrado. Permolto tempo si è pensato al Medioevo e alla tarda anti-chità come epoche ricche di fermenti spirituali, ma di

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assoluta aberrazione in fatto d’arte. Ma come potreb-bero mancare nel Medioevo espressioni dell’attivitàaurorale dello spirito, quella che presuppone e condi-ziona tutte le altre? Anche il Medioevo ebbe un’artesua, la quale raggiunse il suo apice in quel linguaggioartistico che ancor oggi noi chiamiamo con quel nomedi «gotico», che un tempo suonava a dispregio.

1 «Uralte Wasser steigen verjüngt um deine Hüften, Kind!»(eduard mörike) [N. d. R.].

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Capitolo quinto

Carattere e sviluppo del linguaggio artisticomedievale

Quanto s’è detto fin qui voleva soltanto individuaree definire il terreno su cui sorse l’imponente «basilica»dell’arte medievale e fornire un orientamento prelimi-nare in essa. Ora entreremo nel «portico» di questabasilica, i cui dipinti ci daranno un’idea di come creb-be e si sviluppò.

Già si è detto nella prefazione che nostro propositoera semplicemente di dare un avvio per imparare a leg-gere l’opera d’arte, di fornire un’introduzione alla gram-matica del linguaggio artistico medievale. E per questoabbiamo usato a ragion veduta l’immagine della basili-ca, giacché lo sviluppo dell’architettura medievale cipuò fornire l’insegnamento preliminare piú adatto percapire il linguaggio artistico del Medioevo; essa puòvenire senz’altro elevata a paradigma dello sviluppo del-l’arte medievale. Si presenta infatti come il «tipo d’ar-te» (per usare qui un concetto scolastico altrove rifiu-tato) piú facilmente accessibile ai meno preparati, e puòessere considerata come una vera e propria grammatica,poiché in essa le individualità creatrici sembrano (masembrano soltanto) non esistere o almeno essersi ritira-te in secondo piano, sicché risulta piú facile metterne anudo in forma logico-tecnica la struttura interna.

Anche qui noi siamo subito ricondotti al confrontocon la lingua (e si tratta di qualcosa di piú che una sem-

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plice immagine, come già abbiamo mostrato), poiché iltermine roman (romanico), il piú fortunato della moder-na storia dell’arte, fu creato per designare le nuove lin-gue nazionali derivate dal latino volgare. La designa-zione del primo grande periodo architettonico delMedioevo come stile «romanico» sostituí quell’altraerronea di stile «bizantino».

Noi dobbiamo tenere però sempre presente che quan-do si parla di stili si compie una delle solite astrazionimotivate da ragioni didattiche e grammaticali: il tede-sco Stil – come l’italiano maniera – significa originaria-mente «stile individuale». Se abbiamo idee chiare suquesto punto, possiamo conservare senz’altro questadesignazione «stile romanico», che del resto è ormaiusuale da lungo tempo.

Essa deriva, pare, dall’osservazione (fatta per laprima volta da archeologi francesi) che nell’architetturadel primo Medioevo si notavano gli stessi fenomeni chenello sviluppo delle lingue romanze dal latino volgaredelle province romane: tali lingue si diversificavano perflessioni, sfumature e colorito dovuti alle antiche basietniche locali, che erano state coperte solo in parte daun sottile strato di cultura latina. Questi studiosi fran-cesi notarono nella nuova architettura medievale l’in-tervento di elementi barbarici, i quali tuttavia non eranoin grado di rompere l’antica struttura latina: proprio lostesso fenomeno che si era verificato nella formazionedei dialetti, soprattutto di quelli italiani.

Dobbiamo guardarci dal formulare teorie razziali,che restano sempre unilaterali e non si possono maidimostrare con sicurezza: accanto agli elementi etnici,vanno comunque considerati nel nostro caso gli elementipolitico-sociali (soprattutto la struttura amministrativa),i quali, pur senza voler concedere ad anguste in-terpretazioni materialistiche, produssero innegabilmen-te notevoli effetti. Il fenomeno qui riguarda non sol-

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tanto l’area linguistica romanza ma comprende anchequella germanica.

L’opinione che la «lingua letteraria» che alla fine delMedioevo riuscí a diventare il linguaggio artistico comu-ne a tutta l’Europa, cioè lo stile «gotico» od «ogivale»,sia di origine francese, e non derivi invece da un ipote-tico «stile germanico», la si deve all’archeologia tedesca,e depone a favore dell’imparzialità e della mancanza dipregiudizi della cultura tedesca, poiché già i piú vecchistorici dell’arte tedeschi avevano riconosciuto questofatto e avevano rinunciato a quella denominazione, chederivava dal romanticismo tedesco.

Quando il cristianesimo, all’inizio del secolo iv,trionfò sulle forme di religione ad esso simili (quali i cultimitriaci), non poté non servirsi, nei limiti del possibile,di forme tradizionali, in quanto esso venne a innestarsisul tronco dell’antica cultura latina. Esso ha conservatosino ad oggi nelle forme del suo culto la lingua, la musi-ca, e persino i sontuosi costumi della tarda antichità.

Tra queste forme tradizionali, che il cristianesimoaccolse e conservò, c’è naturalmente anche il linguaggiofigurativo dell’arte romana. Ma mentre l’architetturaprofana del primo Medioevo, poté, come già si è detto,crescere immediatamente sul ceppo di quella della tardaantichità, non ci poté essere una sutura altrettantoimmediata tra l’architettura della nuova religione e quel-la dell’antico paganesimo, sia per ragioni religiose, siaper ragioni tecniche collegate a queste. Per esempio,nella nuova comunità religiosa c’era una classe di sacer-doti che si perfezionava sempre piú e prendeva il postodegli antichi maestri di retorica e di filosofia. Ma anchenel settore dell’architettura religiosa non poteva nonesserci qualche legame con la tradizione.

L’architettura antica si offriva alla nuova comunitàcristiana in due forme sostanzialmente diverse: c’eranole case dei vivi, con le loro lunghe fughe di stanze, e i

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monumenti dei morti (per solito a volta), a scopo cele-brativo o per la conservazione delle ceneri. Il cristiane-simo adattò ai propri usi e alle proprie esigenze sia loschema della casa per lungo, rettangolare, implicita-mente basilicale, si potrebbe dire, che le costruzionimortuarie, all’ingrosso a rotonda, comunque a piantacentrale: l’una e l’altra ebbero largo impiego nelle diver-se situazioni della vita pubblica e privata.

Per la storia del linguaggio artistico medievale sonoparticolarmente interessanti le costruzioni religiose:fatto assai significativo perché rivela il carattere decisa-mente trascendente della nuova civiltà.

Anche qui Oriente e Occidente, mondo latino emondo greco, mostrano notevoli differenze. L’Occi-dente smise assai presto l’uso delle costruzioni a piantacentrale, e sviluppò invece la costruzione a pianta ret-tangolare. L’Oriente per contro si servì della costruzio-ne a sistema centrale, con l’antichissimo motivo della cu-pola, mostrando un conservatorismo singolarmente rigi-do, specialmente dopo che lo sviluppo architettonicodell’Asia Minore, ricco di promesse, fu interrotto erepresso dall’irrompere degli Arabi.

L’Italia, nel suo tradizionale isolamento, costituí unaspecie di ponte tra le due civiltà; fuse insieme i due tipidi costruzione, tenendosi sempre in posizione autonoma,finché essi non ridiventarono abituali a tutto l’Occi-dente, con la diffusione del nuovo «linguaggio comune»del barocco.

Dopo lo scisma e la guerra dell’iconoclastia, il carat-tere piú spiccato della civiltà orientale fu una grandiosafusione di potere spirituale e temporale. In Occidenteinvece i diversi campi della vita conservarono una lorovariopinta autonomia: al rinnovamento dell’antico impe-ro dei Cesari per opera del papato, seguí la grande lottatra potere spirituale e temporale, mentre agiva inces-santemente un’attività sotterranea che condusse poi alla

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fondazione dei nuovi stati nazionali. Mentre in Orien-te la koiné si affermò definitivamente, e venne anzi ten-tato un ritorno artificiale al greco antico (tentativo rima-sto in Italia a mezza strada), in Occidente il latino vol-gare cadde assai presto in disuso, e si trasformò, perl’impulso di elementi attivi sotto la superficie, nelle lin-gue romanze nazionali, di fronte alle quali passarono insecondo piano le lingue germaniche (e soprattutto quel-le celtiche, di antica civiltà). Queste lingue romanzenon hanno assolutamente nulla in comune con le lingue«barbariche» (e non solo nel senso degli antichi) del-l’Oriente cristiano. La Provenza occupava un posto lin-guistico a sé già ai tempi dell’impero. Anche il latinodelle Gallie, della Spagna e dell’Africa aveva particola-ri sfumature cromatiche, e i Romani del primo secolosentivano la patavinitas di Tito Livio. Numerose epigra-fi di quest’epoca permettono di riconoscere elementidialettali nel latino. Nel campo dell’arte figurativa, que-sti elementi dialettali sono stati studiati con esitazionee del tutto inadeguatamente. Anche gli influssi dovutia elementi propriamente stranieri, germanici o arabi,furono manifestamente molto piú attivi ed efficaci diquanto non siano stati gli influssi slavo-turanici (popolidotati di civiltà assai inferiore) in Oriente.

Il fondo che potremmo chiamare di «latino volgare»nell’architettura medievale dell’Occidente europeo(esclusa l’Italia) è costituito dalla basilica paleocristiana,con la sua caratteristica struttura: costruzione rettango-lare e allungata, con una navata centrale piú alta di quel-le laterali, talvolta tagliata da un transetto, con un’ab-side che sbocca in esso, e una torre campanaria indi-pendente dal resto dell’edificio. Si tratta di un tipo dicostruzione che andò soggetto a diverse «coniugazioni»,ma che mantenne caratteristiche costanti e marcate. Lasplendida costruzione, con le sue ritmiche file di colon-ne, i suoi mosaici, le cortine che dividevano in cadenza

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gli spazi, risolta quasi interamente nell’interno, fragilenella sua struttura statica (e quindi assai diversa dallecostruzioni romane alle quali il sistema di volte e dimuri conferiva una bronzea saldezza) può essere para-gonata per la sua raffinatezza e il suo fasto al latino reto-rico e fiorito dell’ultimo periodo; e non tanto al latinodegli ultimi scrittori pagani quanto a quello dei primi cri-stiani, soprattutto a quello di sant’Agostino, cosí pienodi cadenze bibliche.

Vennero poi i secoli bui del Medioevo, pieni didecadenza e di decomposizione, nei quali tuttaviamaturarono, sia pure attraverso una torbida fermenta-zione, le nuove forme del basso Medioevo: in questoperiodo troviamo il latino veramente «barbaro» (oauroralmente romanzo) di un Gregorio Magno o di unGregorio di Tours; o il latino che veniva ancora lettoe scritto faticosamente nei chiostri e nelle cancelleriedel Nord.

Nel campo della lingua si ebbe la formazione dei dia-letti, con l’erompere alla superficie, attraverso il sottilestrato del latino volgare, degli elementi indigeni; lingueprovinciali, cui l’introduzione di nuovi vocaboli, spessovenuti da lontano, conferiva un colorito particolare.Analogamente, per gli inizi del romanico si può parlaredi un’«architettura dialettale», la quale di fronte allagrandiosa uniformità dell’architettura orientale cristiana(in cui l’elemento popolare, come già si è detto, non po-teva forzare l’imponente strato culturale o lo potevasolo momentaneamente) ha un aspetto variopinto equasi caotico.

Il grande compito cui lavorò il primo Medioevo fu losviluppo delle basiliche paleocristiane, il perfeziona-mento delle loro piante, della loro saldezza statica (conl’introduzione della volta), il problema dei supporti, ladivisione ritmica dello spazio interno, e l’abbellimentoe la differenziazione del loro aspetto esterno (che comin-

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ciò ad essere curato prima che altrove nell’Asia anteriorecristiana).

La fonetica, il lessico e la sintassi seguirono nuovevie; i cambiamenti di suono e di significato condusserola nuova lingua sempre piú lontano dall’antica base lati-na. Va ripetuto ancora una volta che non si tratta di uningegnoso raffronto fra lingua e arti figurative: la nuovavisione del mondo prese corpo anche nel fenomeno lin-guistico. Il Vossler, in un suo studio sopra «le nuoveforme di pensiero nel latino volgare» (studio condottosu basi filosofiche rigorose), ha mostrato come questesiano sufficienti a spiegare la sparizione di determinateforme linguistiche in uso nel latino classico e che servi-vano all’espressione di determinati atteggiamenti psico-logici (quali il passivo, il futuro, il neutro e molte altre),senza ricorrere ai cosiddetti fattori della storia della cul-tura. Nella nuova lingua viene meno l’interesse per coluiche parla: si verifica invece un generale convergere del-l’interesse verso il trascendente, il simbolico, il sovrain-dividuale, l’impersonale, il tipico, insomma verso quel-l’ideale, astratto, al quale Platone per primo aveva edu-cato gli uomini. È questa la tendenza che caratterizza ilpassaggio dal latino classico alle lingue romanze, attra-verso la mediazione del latino volgare.

Il tentativo di introdurre, in modo piú o meno este-riore, nella Rinascenza carolingia forme architettonichemeridionali, e le ripercussioni che esso ebbe al tempodegli Ottoni, hanno qualcosa di un romantico sogno direstaurazione, simile a quello della renovatio imperii, erestano un episodio isolato, come lo studio che si fecein questo periodo di Vitruvio.

Ma le prime manifestazioni del romanico in forma-zione appaiono proprio nelle grandi fabbriche conven-tuali, le sedi dei praeceptores Germaniae. Ciò che ci puòessere di individuale nelle costruzioni in questo periodova cercato in caratteri d’ordine generale, come ad esem-

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pio, nelle differenze esistenti tra provincia e provincia,poiché determinati problemi, architettonici diventano ilLeitmotiv di determinate zone.

Il sistema «quantitativo» delle antiche basiliche, conle loro rigide fughe di colonne, dà inizio a un sistema«accentuativo». Abbiamo già paragonato l’alternanzadi colonne e di pilastri (che entra in uso in questo perio-do) alla rima, che in tempi piú antichi si incontrava sol-tanto negli strati bassi della poesia popolare, ma chevenne già usata dall’innografia del cristianesimo primi-tivo, al quale conferí un carattere spiccatamente musi-cale. Il nuovo motivo dell’alternanza dei supporti, inconnessione con la nuova tecnica delle coperture a volta,conduce a un nuovo ritmo strettamente legato, a serra-te formazioni «a gruppi», a uno sviluppo organico, cheda una parte è un arricchimento e dall’altra è un impo-verimento.

Cade in quest’epoca il periodo d’oro del romanicotedesco: ad onta di ogni cautela scientifica non si puònon ritrovare, nelle basiliche dal tetto piatto, poggiantisu pesanti supporti, della bassa Sassonia (regione allorada poco guadagnata alla cultura cristiana meridionale)tracce del poderoso e robusto elemento popolare; men-tre nella Franconia renana, in cui la tradizione, assaimeno statica e basata sul fondo culturale dell’anticaciviltà romana, era sempre aperta agli influssi dell’Oc-cidente, l’architettura, impadronitasi della tecnica dellacostruzione «a volta» del Sud europeo, produsse, con lesue imponenti costruzioni religiose, quanto di più note-vole e originale abbia dato la Germania in questo set-tore delle arti figurative. I meravigliosi edifici di questapittoresca architettura tedesca, a grandi corpi architet-tonici pausati e conclusi, con i loro doppi cori e i lorosistemi di torri legate organicamente tra di loro, e nonultima la grande torre, eretta sul punto di intersezionedelle navate con il transetto (simile alle cupole meridio-

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nali, e tuttavia profondamente diversa da esse), sonostati non a torto paragonati alla forma musicale della«sonata» (nella musica il carattere tedesco si è espressoappieno ed ha avuto riconoscimento universale).

Anche l’architettura della Francia occidentale ebbeun carattere spiccatamente dialettale e provinciale. LaLinguadoca, l’antica Aquitania, e la «Provincia» roma-na ebbero uno sviluppo assai diverso da quello dellapatria della langue d’oïl. In esse fu notevole l’uso dellavolta «a botte», motivo caratteristico dell’antica archi-tettura romana e che costituí una specie di ponte archi-tettonico tra il Sud della Francia e l’Italia, la patriadella lingua latina, ad esso anche geograficamente vici-na; del resto uno stretto legame spirituale tra i due paesinon è mai mancato.

Le province del Nord della Francia, Alvernia, Cham-pagne, Normandia, Borgogna ebbero anch’esse uno svi-luppo autonomo.

Quest’ultima, in cui sorsero i grandi monasteri diCluny e Citeaux, assai notevoli per l’influsso che eser-citarono a distanza su tutto l’Occidente, seguí uno svi-luppo analogo a quello per cui l’Ile de France giunse allaformazione del linguaggio «letterario», e a preparare inpari tempo le basi per l’accettazione di esso da parte ditutto l’Occidente. L’Ile de France fu infatti la patria diquel dialetto architettonico, la culla di quell’opus franci-genum, che fu l’espressione ultima e piú alta dell’animamedievale, destinato ad avere larghissima diffusione intutta l’Europa, e che fu piú tardi denominato «gotico».Quivi erano i possedimenti ereditari della monarchiafrancese; e dalla capitale di questa regione, Parigi, sidiramò quella rigida politica di accentramento che hafatto della Francia, a differenza della Germania e del-l’Italia, e malgrado le tremende lotte sostenute control’Inghilterra, una nazione unitaria, in cui non c’è che lacittà capitale e la provincia. Di fronte alla cultura pari-

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gina, anche l’antica ed evoluta civiltà delle provincemeridionali è divenuta quasi un patois. La salda orga-nizzazione politica della Francia ha senza dubbio con-tribuito a far sí che lo stile gotico, prodotto della su-periorità spirituale dell’Ile de France su tutte le altreregioni della Francia, diventasse uno stile universale, eche il dialetto parigino diventasse la lingua letteraria delpaese piú grande dell’Occidente europeo, come, in con-dizioni analoghe e tuttavia diverse, avvenne per il tosca-no in Italia, per il castigliano in Spagna, e per l’alto tede-sco, la lingua della cancelleria imperiale del Lussembur-go, in Germania.

L’archeologia francese si è periodicamente sforzata,con zelo e fede commoventi, di mostrare le radici celti-che e galliche del linguaggio architettonico gotico. Trac-ce di queste radici esistono senza dubbio, come esisto-no anche nella lingua parlata, ma assai poco chiare; men-tre è chiaramente visibile l’arricchimento del patrimo-nio lessicale dovuto all’elemento germano-franco. Ben-ché la Francia sia in fondo assai poco una nazione lati-na, il suo linguaggio (in senso lato) è, nonostante la suapatina, senza dubbio romanzo. La sua struttura interna,che deriva dal latino volgare, è rimasta intatta. E perquanto la cattedrale gotica e la basilica paleocristianasembrino essere molto diverse una dall’altra, esse stan-no tuttavia tra loro nello stesso rapporto che intercorretra la parola francese eau e quella latina (e italiana!)aqua, che somiglia pochissimo alla prima anche nel suoaspetto grafico. Nonostante l’origine, linguaggio archi-tettonico e lingua parlata recano l’impronta della spiri-tualità del popolo dal quale si sono sviluppati come qual-cosa di assolutamente nuovo.

Il positivismo del secolo scorso ha tentato di carat-terizzare lo stile gotico basandosi esclusivamente sullesoluzioni tecniche da esso adottate, definendolo il ten-tativo piú rigoroso e riuscito, tra gli altri del genere, di

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adattare la volta allo schema essenzialmente longitudi-nale delle basiliche; di ovviare alla poderosa spinta la-terale della navata centrale facendola scaricare sui con-trafforti; di risolvere con matematica certezza, attra-verso l’arco a sesto acuto, tutti i nessi e i raccordi alti;di portare a formule estreme il sistema «a gruppi» delromanico; infine, di rivelare all’esterno l’ossatura dellacostruzione, che nel gotico è eseguita con esasperatorigore logico-tecnico, ed è il solo elemento che abbia unafunzione strutturale, in quanto la parete è divenutaormai un puro riempitivo, che viene forato con grandifinestre ornamentali. Tutte queste novità costruttivesono applicate dal gotico con audacia sorprendente espregiudicata.

Se questa maniera puramente morfologica di consi-derare l’architettura dimentica l’elemento spirituale cheè in essa, quell’altra, derivante dalla «filosofia della sto-ria» del romanticismo, ha senza dubbio sopravvalutato,in maniera altrettanto unilaterale, questo elemento;difatti, nel verticalismo delle torri, dei mille pinnacoli,dei sottili archi a sesto acuto delle cattedrali gotiche,essa vedeva soltanto la piú alta espressione della tra-scendenza, del Sursum corda medievali. Ma non senzaragione i romantici hanno paragonato l’estremo rigorematematico di queste costruzioni al sistema teologicodella filosofia scolastica e alla contrappuntistica delmaturo Medioevo.

In entrambe queste manifestazioni, che ebbero inParigi il loro centro di maggior fioritura, trovò tuttaviala sua piú alta espressione la spiritualità gallo-franca. Èstato giustamente osservato che la filosofia rigidamentematematica di Cartesio o la rigida poetica intellettuali-stica di Boileau hanno il loro antecedente in questo spi-rito. In realtà, lo spirito francese presenta una singolareunione di razionalità matematica e di gelida fantasia«celtica», in nessun luogo visibile meglio che nell’ester-

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no delle absidi del puro stile gotico: unione che ha tro-vato in Victor Hugo il suo descrittore piú congeniale.

Questo tipo intellettualistico di indagine storiografi-ca di cui si parlava (tornato di moda anche in tempirecentissimi, ma filosoficamente assai poco scaltrito oaddirittura dilettantistico rispetto all’antica visioneromantica), contribuí senza dubbio a chiarire il climaspirituale in cui nacquero queste opere. Questo non ècerto un risultato trascurabile; ma non soddisfa il criti-co intelligente piú del metodo positivistico, il qualealmeno resta aderente all’opera d’arte, sia pure nella suapiú grossolana esteriorità tecnica. Il «contenuto» puòvenire considerato soltanto come «documento» per unageneralizzante «storia della cultura»; ma opere di mino-re valore artistico possono servire a questo scopo altret-tanto e meglio degli autentici capolavori, perché in essegeneralmente si trovano assai piú marcate le caratte-ristiche comuni allo stile di un’opera.

L’antico dualismo tra forma e contenuto non è statoancora definitivamente annullato. In teoria si predica,è vero, la loro inscindibile unità, ma solo raramente sifa della storia dell’arte tenendo conto dell’autonomia edell’immanenza dell’espressione artistica. Questo puntoandava ribadito dal momento che qui si vuole fare diproposito storia del linguaggio artistico, non storia dellacultura.

Se si fa della storia dell’arte mettendosi nella posi-zione dei romantici, si rischia di scambiare l’opera d’ar-te con la spiritualità in cui essa è nata, e di approvarlao condannarla solo per ragioni sentimentali. Il goticofrancese dal romanticismo in poi ha trovato ora la piúentusiastica ammirazione ora la piú violenta negazione,dovute sempre a motivi sentimentali. Tutti sanno, adesempio, come il Goethe, dopo un’esaltazione giovani-le per il gotico (ingenua certamente e inficiata da patriot-tismo romantico, ma abbastanza vicina alla giusta valu-

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tazione) e dopo il rifiuto di esso negli anni della suarazionale maturità, sia giunto a una posizione storica nelsenso piú alto. È nota anche l’oscillazione dei giudizi delBurckhardt a questo riguardo. Nel Burckhardt c’era unintimo contrasto tra le convinzioni teoriche e laindividualissima sensibilità per lo stile, cosicché gli suc-cedeva spesso di formulare giudizi in opposizione a quel-lo che sentiva. Per questa ragione alcune delle sue asser-zioni, soprattutto quelle riguardanti il gotico italiano,hanno qualcosa di ambiguo ed esitante. Persino uno spi-rito squisitamente educato al gusto artistico e filo-soficamente preparato come Konrad Fiedler poté arri-vare al punto di dolersi, di fronte al fenomeno dellapenetrazione dell’architettura gotica, del fatto che ilromanico tedesco, cui egli era profondamente sensibile,fosse stato soppiantato da quel rigido stile straniero.L’osservazione era in se stessa storicamente esatta,anche se viziata di eccessivo tecnicismo da un lato e disentimentalismo dall’altro.

Questo fenomeno non fu limitato all’architettura.Per esempio l’originalissima scultura sassone fu anch’es-sa interrotta dalla penetrazione del gotico, e il cosiddetto«stile di passaggio» presenta gli stessi fenomeni dell’e-pica tedesca di questo periodo, col suo materiale venu-to dalla Francia, e con i suoi prestiti lessicali, che ladeformano in maniera cosí caratteristica.

Ma tutte queste interruzioni non potevano non avve-nire, giacché non furono un fenomeno dovuto a motiviesterni (come la moda per tutto ciò che fosse egizianonel secolo xviii). Successe che anche qui un dialetto fusoppiantato da una lingua letteraria, e può darsi che inquesto modo qualcosa sia andato effettivamente perdu-to; ma l’essenza della creazione artistica, ciò che chia-miamo propriamente «stile», viene appena sfiorata daicambiamenti di gusto. Come una teoria o un gusto arti-stico non hanno mai prodotto un’opera d’arte (come

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potrebbe difatti un’astrazione creare la cosa piú concretache esista?), cosí non hanno mai potuto impedirne lanascita.

L’Italia si mantenne sempre in una posizione auto-noma, anche perché essa era l’unica nazione effettiva-mente latina. Ci sono però molte differenze tra la zonacontinentale e quella propriamente peninsulare. Nell’I-talia settentrionale (almeno nella sua parte piú notevo-le, la Lombardia, l’antica Gallia Cisalpina, al di qua e aldi là del Po) si parla un dialetto che appartiene al ceppogallo-romanzo, non a quello italiano, al quale appartie-ne invece il vicino dialetto veneziano. Analogamente,anche i dialetti architettonici romanici di questa regio-ne hanno molti legami con quelli nordici, e presentano,soprattutto per quanto riguarda il problema fondamen-tale delle volte, le stesse particolarità «grammaticali».

Caratteristiche del tutto diverse presenta la regioneveneziana, che è legata alla penisola balcanica anche perragioni etniche, e nella quale l’elemento illirico e slavovive ancora oggi in alcuni remoti paesi di montagna. Inessa elementi orientali di cultura, soprattutto bizantini,hanno avuto, per ragioni politiche, una vita e una sto-ria straordinariamente lunghe. Dopo che Venezia superòper importanza l’ultima città che fu sede di imperatoried esarchi, Ravenna, la costruzione bizantina della basi-lica di San Marco, a croce greca e con cinque cupole,diventò e rimase per molto tempo il modello per costru-zioni di questo genere, come era avvenuto, in misura piúlarga, per la chiesa a pianta centrale di San Vitale diRavenna.

A Venezia l’influsso orientale improntò di sé tutti icampi delle arti figurative.

Per quel che riguarda Roma, si può affermare che lacapitale spirituale dell’Italia non ha avuto un vero eproprio Medioevo. Essa ha conservato molti caratteridella tarda antichità, e per quello che riguarda l’archi-

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tettura è rimasta fedele alla basilica a tetto piano del cri-stianesimo delle origini, e la sua unica costruzione goti-ca, Santa Maria sopra Minerva, è una costruzione mo-nastica che è ispirata a un gusto straniero.

Nell’Italia meridionale, l’antica Magna Grecia, esoprattutto nella Sicilia, in cui un variopinto tessuto cul-turale era il risultato della sovrapposizione di molteciviltà, predomina il carattere architettonico bizantinoincrociato con quello arabo (quest’ultimo forte di unadominazione secolare), che probabilmente si adattò assaibene al carattere del popolo semitico che si era antica-mente stabilito nell’isola.

Ma già al tempo della conquista normanna comin-ciarono a giungere nell’Italia meridionale, e soprattuttonel Napoletano, le propaggini estreme della cultura fran-cese e spagnola, che esercitarono influssi sempre piúnotevoli, non solo sull’architettura religiosa ma anche suquella profana. È noto che per influsso della poesia pro-venzale, già prossima al tramonto, sorse in Sicilia laprima scuola poetica italiana, la quale per forza di cosesi dovette servire, come l’architettura, di un linguaggioibrido e convenzionale di imitazione.

Ma il vero cuore dell’Italia era la Toscana, l’anticaEtruria, dalla quale partirono la lingua letteraria italianae gl’influssi piú notevoli che l’Italia abbia esercitato sututto il resto dell’Europa. In Toscana, come pure inUmbria, a Roma e nel Mezzogiorno, si verificò, duranteil periodo romanico, un movimento di ritorno verso laciviltà latina, che fu allo stesso tempo qualcosa di nuovoe di molto notevole: fu la meravigliosa «protorinascenza»del secolo xii, che produsse il capolavoro del Battisterodi Firenze, e che, con una rapidità sorprendente, possi-bile solo in Italia, si rivolse all’antichità classica per trar-ne ispirazione. In realtà la protorinascenza fu animata dauno spirito cosí appassionato e sensibile all’antichità, chenon si può parlare di imitazione esteriore.

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Il piú grandioso monumento del romanico toscano èil duomo di Pisa, una basilica la cui struttura si avvici-na allo schema centrale, e la cui cupola presenta unapianta che stranamente si deforma in ovale, come perassecondare lo sviluppo del braccio longitudinale. È pro-prio qui che ricompare in forma prestigiosa quel moti-vo sud-orientale della cupola, che tanto sviluppo avrà inavvenire e che l’Italia ha conservato con ostinazionepari a quella con cui il gotico l’ha respinto.

Naturalmente, il gotico fa la sua apparizione anche inItalia, diffuso dagli ordini monastici borgognoni. Ma laforza espansiva del nuovo stile viene qui ad urtare con-tro le dighe costituite dalla tradizione nazionale. Ilprimo memorabile monumento del gotico italiano, lachiesa di San Francesco, eretta in Assisi solo pochi annidopo la morte del santo, ha già un carattere spiccata-mente italiano, nella sua misurata contenutezza che cor-risponde esattamente al buon senso del popolo italiano.In questa chiesa la funzione delle pareti, destinate findall’inizio ad essere ornate di affreschi, è assai piúimportante di quella che le pareti hanno nel gotico delNord.

Come lo stil novo dantesco si contrappone, anchesotto l’aspetto musicale, alla lirica provenzale, dallaquale pure deriva, come qualcosa di assolutamentenuovo e autonomo, ed è fondamentalmente diversoanche dal Minnesang tedesco, cosí anche le cattedralitoscane di Siena, Orvieto e Firenze, si contrappongonoalle cattedrali gotiche tedesche e francesi. Sono chiesegotiche, ma di un gotico sui generis, lontanissimo dallospirito francese.

Lo stesso discorso si può ripetere anche a propositodelle grandi chiese gotiche della «Gallia Cisalpina» (perquanto esse siano assai piú vicine al gotico nordico),come il duomo di Milano, la cui costruzione cominciòalla fine del 1300 e continuò durante il Rinascimento;

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oppure San Petronio di Bologna. In tutti i monumentidel gotico italiano, con gran disperazione degli architettifatti venire d’oltralpe, venne spezzata la rigida strutturalogico-tecnica che caratterizza il gotico nordico, con lesue incredibili tensioni spaziali. Questo allentamento èottenuto sia con l’uso della cupola, elemento assoluta-mente estraneo al gotico (a Bologna ne era stata previ-sta la costruzione, che poi non venne eseguita; a Orvie-to, dove essa manca, si può vedere persino la travaturadel tetto della piú antica basilica aperta a questo scopo),sia attenuando o contrastando il verticalismo e la ten-denza nordica a risolvere l’edificio in superfici con deci-si sviluppi in orizzontale e in profondità, sia mantenen-do la torre campanaria indipendente dal resto dell’edi-ficio, come avveniva nelle chiese paleocristiane. I cam-panili, che nel Nord rappresentano gli elementi in cui ilverticalismo gotico trova la sua massima espressione, inItalia non sono mai organicamente uniti al corpo, e avolte sono addirittura lontani da esso, come a Milano,dove per altro la torre del tiburio si è fusa in manieraassai caratteristica con la cupola. Anche il duomo diMilano, che pure ricorda da vicino il gotico francese (e,data la vicinanza di Milano alla Francia, non potrebbeessere altrimenti), ha molti caratteri latini, antichizzanti,meridionali: le proporzioni fondamentali, per esempio,e perfino il materiale marmoreo con cui è costruito.

Il gotico italiano, come ogni stile individuale e auto-nomo, non può essere giudicato secondo criteri ad essoestranei, ma solo per se stesso. Non si tratta quindi dirivalutarlo, di salvarlo, ma semplicemente di valutarloper quello che è, e comunque esso non va assolutamen-te considerato come un sottoprodotto degenere del goti-co nordico. La parte che hanno avuto in esso singoleindividualità artistiche (a differenza della grandiosa ano-nimità collettiva dell’architettura nordica) è visibilequanto quella avuta da Dante o Petrarca nella forma-

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zione del volgare toscano. Per il gotico italiano non sipuò quindi parlare di gruppi, ma solo di singole operearchitettoniche. Costruzioni come quelle del duomo diFirenze o quello di Siena sono creazioni che hanno carat-teri cosí spiccatamente individuali che non è possibilenon farne cenno separatamente.

La misurata grandiosità degli spazi interni di questechiese, che può ricordare l’interno delle terme romane,forse le farà apparire troppo nude e severe all’uomo delNord; le potenti tensioni scaricate sui giganteschi pila-stri uniti non piú da archi a sesto acuto, che si slancia-no arditi e si spezzano in alto, ma da armoniosi archi atutto sesto, l’ostinata accentuazione delle linee oriz-zontali, le pareti massicce, e il preciso orientamentodella luce, fatta piovere non piú sullo scintillio coloratodelle vetrate dipinte, ma sui vasti dipinti parietali, in cuile figure si individuano potenti nello spazio con la loroideale corporeità: tutto ciò fa sí che gli interni di que-ste costruzioni siano diversi da quelli nordici quanto gliesterni. È piú facile invece ritrovare in esse tracce del-l’antico linguaggio «latino» delle basiliche, al quale poila Rinascenza si richiamerà coscientemente. Nel duomodi Siena, come in alcune chiese romaniche, la facciatasovrasta le navate della chiesa senza essere organica-mente unita con esse; è diventata una parete ornamen-tale, una specie di iconostasi posta all’esterno. Nellastessa conclusione della facciata mirabilmente risolta inun sistema di tre timpani, si nota un caratteristico sensodella misura, tutto italiano, un gusto, estraneo al Nord,per i rapporti semplici, facilmente comprensibili.

Tra le campiture triangolari e quadrangolari, i pin-nacoli nordici, ridotti a una forma quanto più possibilerazionale, sono una specie di prestito lessicale, adattatoa un diverso linguaggio.

La Rinascenza svilupperà poi queste «proporzioni»nella teoria e nella pratica, tenendosi però sempre lon-

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tana dai fantastici giochi di quadrati e triangoli dellecostruzioni nordiche.

Anche il gotico veneziano, pur nella sua coloristicavivacità, proprio come il dialetto veneziano, tradisce lasua appartenenza al ceppo linguistico italiano. In segui-to, il cammino dell’architettura condurrà dalla lineagotica della cupola di Santa Maria del Fiore (la grandeconquista tecnica del primo architetto del Rinascimentoitaliano), alla cupola di San Pietro, che corona il tempiopiú grandioso della cristianità, anch’essa opera di untoscano, e verrà adottata quella soluzione di compro-messo tra pianta centrale e pianta longitudinale, che fuper secoli nei sogni degli architetti e che era stata rea-lizzata nella chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli,l’ultimo grande monumento dell’antichità.

Il successivo arresto di questo sviluppo condurrà alnuovo linguaggio artistico comune a tutto l’Occidente,cioè il barocco. In tempi recenti è stata sopravvalutatal’intima somiglianza tra barocco e gotico nordico e si èanche esagerata la portata di quella assimilazione cultu-rale avvenuta tra Nord e Sud che rese possibile la dif-fusione del barocco; ma senza dubbio una certa somi-glianza esiste, anche per il fatto che la Rinascenza è lafiglia primogenita del Medioevo, proprio, in quel suorichiamarsi alla tradizione latina; anche se essa poi rin-negò appassionatamente la propria paternità, e chiamòla civiltà che l’aveva preceduta con quel nome spregia-tivo che è corrente ancor oggi (proprio come succederàpoi al barocco).

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