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1 Votazione del 25 novembre 2018 Argomentario lungo contro l’iniziativa popolare federale «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (Iniziativa per l’autodeterminazione) »

Votazione del 25 novembre 2018 Argomentario lungo · Allo scopo di respingere chiaramente l’iniziativa per l’autodeterminazione, è assolutamente necessaria una grande mobilitazione

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Votazione del 25 novembre 2018

Argomentario lungo contro l’iniziativa popolare federale «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (Iniziativa per l’autodeterminazione)»

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7 ragioni per votare NO all’iniziativa per l’autodeterminazione il 25 novembre 2018

L’iniziativa … - mette in gioco i vantaggi di cui gode l’industria

esportatrice

- crea incertezza e instabilità nella politica estera

- danneggia la reputazione della Svizzera quale partner contrattuale affidabile e la isola sul piano internazionale

- crea più dubbi che certezze

- compromette la protezione garantita finora dalla Convenzione dei diritti dell’uomo

- non rispetta la tradizione umanitaria della Svizzera

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Allo scopo di respingere chiaramente l’iniziativa per l’autodeterminazione, è assolutamente necessaria una grande mobilitazione. Aiutateci a riunire gli oppositori di questa iniziativa sostenendoci sulle nostre piattaforme online.

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Indice Gli argomenti del NO in breve ......................................................................................................... 5

L’iniziativa crea più dubbi che incertezze ....................................................................... 5

L’iniziativa mette a rischio oltre 600 accordi economici ............................................... 6

L’iniziativa mette in gioco i vantaggi di cui gode l’industria esportatrice svizzera .... 6

L’iniziativa danneggia la reputazione della Svizzera quale partner contrattuale affidabile e la isola sul piano internazionale ..................................................................... 6

L’iniziativa indebolisce la nostra sovranità e la nostra indipendenza ......................... 6

L’iniziativa attacca uno dei nostri valori fondamentali, il pragmatismo ..................... 7

L’iniziativa non rispetta la tradizione umanitaria della Svizzera ................................ 7

Le richieste dell’iniziativa ................................................................................................................. 8

1. Il testo dell’iniziativa ............................................................................................................. 8

2. Origine dell’iniziativa ............................................................................................................ 9

Una vasta alleanza dice NO all’iniziativa per l’autodeterminazione......................................... 11

Perché il diritto internazionale è così importante per la Svizzera e per la nostra economia? 13

1. I trattati economici sono essenziali per la difesa degli interessi del Paese e delle sue imprese ................................................................................................................................ 14

L’iniziativa contiene diverse contraddizioni interne molto problematiche .............................. 16

1. Le ambiguità del testo dell’iniziativa ................................................................................ 16

2. L’iniziativa apre un periodo di incertezze… senza fine! .................................................. 17

3. Certi accordi non possono essere disdetti ........................................................................ 18

4. La Svizzera si espone a misure di ritorsione o perfino rappresaglie ............................. 18

5. Nessun paese ha adottato un tale sistema giuridico, e a giusta ragione! ..................... 19

Gli argomenti del NO...................................................................................................................... 21

L’iniziativa crea più dubbi che incertezze ..................................................................... 21

L’iniziativa minaccia 600 trattati commerciali conclusi con il mondo intero ............ 22

L’iniziativa mette in gioco i vantaggi di cui gode l’industria esportatrice svizzera .. 23

L’iniziativa danneggia la reputazione della Svizzera quale partner contrattuale affidabile e la isola sul piano internazionale ................................................................ 24

La reputazione vale oro ......................................................................................................... 24

L’iniziativa indebolisce la nostra sovranità e la nostra indipendenza ....................... 25

L’iniziativa attacca uno dei nostri valori fondamentali, il pragmatismo ................... 29

L’iniziativa non rispetta la tradizione umanitaria della Svizzera .............................. 30

Allegato 1 Le istanze presso le quali possiamo difendere i nostri diritti ................................... 31

Allegato 2 Il diritto internazionale e la democrazia diretta svizzera ........................................ 33

Allegato 3 Il popolo svizzero ha sempre mostrato la via da seguire con l’Unione europea .... 35

Allegato 4 Gli accordi sottoposti a referendum e quelli che non lo sono .................................. 36

Allegato 5 La Corte europea dei diritti dell’uomo ....................................................................... 36

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Allegato 6 Il confronto con la Germania non tiene!..................................................................... 38

Allegato 7 Gli argomenti degli alleati del “NO” ............................................................................ 40

Allegato 8 La famosa prassi Schubert .......................................................................................... 42

Allegato 9 FAQ ................................................................................................................................ 45

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Gli argomenti del NO in breve L’iniziativa «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (iniziativa per l’autodeterminazione)» vuole introdurre la supremazia del diritto costituzionale svizzero sul diritto internazionale, ad eccezione del corpus delle «regole imperative»1. In caso di contraddizione – anche minima – di un trattato con la nostra Costituzione, quest’ultimo dev’essere rinegoziato e «se necessario» disdetto dalla Svizzera. Sono interessati i trattati che non sono stati soggetti o sottoposti a referendum, attuali e futuri. Questa iniziativa costituisce un attacco frontale contro il diritto internazionale dal momento che gli impegni assunti dalla Svizzera potrebbero di fatto essere in ogni momento rimessi in discussione, come pure i circa 5'000 accordi2 che il nostro Paese ha concluso con altri Stati – in tutta sovranità e indipendenza – da diverse centinaia di anni. L’iniziativa creerebbe così un’incertezza permanente nelle relazioni con gli altri Stati. Con, di conseguenza, anche un significativo e durevole indebolimento della nostra credibilità a livello internazionale e della competitività della nostra piazza economica.

L’iniziativa crea più dubbi che incertezze Esigendo che «la Confederazione e i Cantoni non contrattino alcun obbligo di diritto internazionale contrario alla Costituzione federale» l’iniziativa sfonda una porta aperta. Già oggi, grazie al processo democratico, non è possibile concludere un trattato contrario alla nostra Costituzione. Ciò è garantito a vari livelli, nell’ambito del processo decisionale.

• Consultazione obbligatoria degli ambienti interessati e dei cantoni

• Approvazione da parte delle Camere federali, ossia i rappresentanti del popolo

• Referendum obbligatorio per ogni domanda d’adesione ad un’organizzazione

internazionale (ad es. ONU)

• Referendum facoltativo per i trattati importanti (ad es. accordi bilaterali con l’UE)

Certo, può avvenire che a seguito dell’adozione di un’iniziativa popolare, sorga una contraddizione tra un accordo internazionale già in vigore e la Costituzione. I casi sono rari, secondo il Consiglio federale. Finora essi venivano regolati con pragmatismo, considerando gli interessi della Svizzera. È inoltre già oggi possibile lanciare un’iniziativa popolare per denunciare il trattato in questione. È questo ad esempio l’obiettivo dell’iniziativa che vuole denunciare l’Accordo sulla libera circolazione delle persone con l’UE.

1 Nelle definizioni giuridiche abituali, esso include il divieto del genocidio, della tratta di esseri umani, della discriminazione razziale, della tortura, della persecuzione arbitraria e della violazione della vita e dell’integrità fisica. 2 Al 1° settembre 2018, la cifra esatta è di 5'150 trattati internazionali (fonte: https://www.eda.admin.ch/eda/it/dfae/politica-estera/diritto-internazionale-pubblico/trattati-internazionali/banca-dati-trattati-internazionali.filterResults.term.country-1.organization-1.topic-1.topic0_23.html).

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L’iniziativa mette a rischio oltre 600 accordi economici Come stipulato nero su bianco nell’iniziativa stessa, quest’ultima si applica non solo ai futuri trattati internazionali, ma anche a quelli già in vigore. A seguito di questa retroattività, una spada di Damocle peserebbe in permanenza sui circa 600 trattati commerciali d’importanza capitale per l’economia svizzera conclusi con gli Stati del mondo intero, nonché sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Questo sarebbe un formidabile autogoal: la certezza del diritto e la prevedibilità sono essenziali per gli affari e dunque per il mantenimento degli impieghi nel nostro Paese. Fra i trattati attualmente in vigore vi sono gli accordi OMC, 30 accordi di libero scambio, gli accordi di protezione degli investimenti all’estero, gli accordi bilaterali con l’UE e molti altri ancora!

L’iniziativa mette in gioco i vantaggi di cui gode l’industria esportatrice svizzera

La Svizzera deve gran parte del suo successo e del suo benessere agli scambi commerciali con altri Stati. Due franchi su cinque sono guadagnati grazie alle esportazioni dei nostri prodotti e servizi. È dunque vitale mantenere i circa 600 accordi economici, nell’interesse delle circa 97'000 imprese esportatrici. Da una parte, questi trattati garantiscono un accesso stabile e prevedibile ai mercati del mondo intero, alle migliori condizioni. Dall’altra, essi permettono alla Svizzera di difendersi efficacemente, invocando i suoi diritti e le condizioni negoziate davanti alle giurisdizioni internazionali riconosciute, quando un partner non rispetta i suoi impegni. Grazie al diritto internazionale, la giustizia primeggia sui rapporti di forza. Ciò è essenziale per affrontare «i grandi» di questo mondo. Il diritto internazionale non è un lusso, ma una necessità per un Paese esportatore. Senza contare che violando i trattati in vigore, la Svizzera si espone a delle misure di ritorsione, tra l’altro finanziarie, da parte degli Stati con i quali essa ha firmato degli accordi. Nel momento in cui è in atto una «guerra» commerciale, si sa molto bene fino a quale punto sia pericoloso scherzare con il fuoco.

L’iniziativa danneggia la reputazione della Svizzera quale partner contrattuale affidabile e la isola sul piano internazionale

Instaurando la supremazia del diritto costituzionale sul diritto internazionale, l’iniziativa destabilizza profondamente l’ordine giuridico svizzero e suscita una grande incertezza in Svizzera e all’estero. Essa indebolisce così considerevolmente la nostra reputazione di partner affidabile. Quale Stato vorrebbe ancora concludere un accordo con noi, se ci riserviamo sempre il diritto di non rispettare i nostri impegni? In simili condizioni, sarebbe molto difficile per non dire impossibile ampliare la nostra rete di accordi economici, ciò che è tuttavia necessario.

L’iniziativa indebolisce la nostra sovranità e la nostra indipendenza

Gli iniziativisti pretendono di voler rafforzare la sovranità della Svizzera. Questo è falso, e per due ragioni. In primo luogo, tutti gli accordi importanti, come l’adesione ad un’organizzazione internazionale, sono già sottoposti al popolo (referendum obbligatorio).

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Quest’ultimo ha così, per esempio, respinto l’adesione allo Spazio economico europeo (1992), ma ha accettato l’adesione all’ONU (2002) e gli Accordi bilaterali con l’UE. I nostri cittadini sono soddisfatti dei loro diritti in materia di politica estera, come lo mostra il netto rifiuto dal 75,3% dei voti, nel 2012, dell’iniziativa dell’ASNI «Per il rafforzamento dei diritti popolari in politica estera (accordi internazionali: decida il popolo!)». Secondariamente, relegando il diritto internazionale al secondo posto, l’iniziativa impedisce al nostro Paese di difendere efficacemente i suoi interessi sul piano mondiale. In altre parole: con questa iniziativa, dovremmo sottostare alla legge del più forte e perderemmo la nostra indipendenza e la nostra sovranità.

L’iniziativa attacca uno dei nostri valori fondamentali, il pragmatismo

Possono esistere delle contraddizioni tra gli accordi firmati con altri Stati e la nostra Costituzione, ma sono molto rari. Ciò può accadere quando delle iniziative accettate dal popolo svizzero non rispettano gli impegni internazionali presi precedentemente dalla Svizzera. È stato per esempio il caso con le iniziative «contro l’edificazione di minareti» (2009 – contraria alla CEDU) e «contro l’immigrazione di massa» (2014 – contraria all’Accordo sulla libera circolazione delle persone con l’UE). In questi casi, le nostre autorità adottano un approccio pragmatico, soppesando gli interessi. Ciò permette di verificare caso per caso, come hanno fatto finora il Parlamento per l’iniziativa «contro l’immigrazione di massa» o il Tribunale federale, appoggiandosi sulla prassi Schubert. L’iniziativa impone al contrario un meccanismo rigido e poco realista. Convincere altri Stati a sedersi nuovamente al tavolo delle trattative e sperare di ottenere delle condizioni migliori è tutto tranne che facile.

L’iniziativa non rispetta la tradizione umanitaria della Svizzera

La Svizzera è conosciuta in tutto il mondo per la sua lunga tradizione umanitaria. Ora, se l’iniziativa fosse accettata, la Svizzera non sarebbe più tenuta a rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), dal momento che quest’ultima non è stata sottoposta a referendum. Ciò avrebbe due conseguenze. In primo luogo, gli Svizzeri e le imprese elvetiche sarebbero privati della protezione garantita dalla CEDU. Secondo, l’immagine della Svizzera, sede di numerose organizzazioni internazionali e ONG, ne soffrirebbe.

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Le richieste dell’iniziativa

1. Il testo dell’iniziativa La Costituzione federale1 è modificata come segue:

Art. 5 cpv. 1 e 4 1 Il diritto è fondamento e limite dell’attività dello Stato. La Costituzione federale è la fonte suprema del diritto della Confederazione Svizzera.

4 La Confederazione e i Cantoni rispettano il diritto internazionale. La Costituzione federale ha rango superiore al diritto internazionale e prevale su di esso, fatte salve le disposizioni cogenti del diritto internazionale.

Art. 56a Obblighi di diritto internazionale 1 La Confederazione e i Cantoni non assumono obblighi di diritto internazionale che contraddicano alla Costituzione federale.

2 In caso di contraddizione, adeguano gli obblighi di diritto internazionale alla Costituzione federale, se necessario denunciando i trattati internazionali in questione.

3 Sono fatte salve le disposizioni cogenti del diritto internazionale.

Art. 190 Diritto determinante Le leggi federali e i trattati internazionali il cui decreto d’approvazione sia stato assoggettato a referendum sono determinanti per il Tribunale federale e per le altre autorità incaricate dell’applicazione del diritto.

Art. 197 n. 122 12. Disposizione transitoria degli art. 5 cpv. 1 e 4 (Stato di diritto), 56a (Obblighi di diritto internazionale) e 190 (Diritto determinante) Con l’accettazione da parte del Popolo e dei Cantoni, gli articoli 5 capoversi 1 e 4, 56a e 190 si applicano alle disposizioni vigenti e future della Costituzione federale e agli obblighi di diritto internazionale vigenti e futuri della Confederazione e dei Cantoni.

1 RS 101 2 Il numero definitivo della presente disposizione transitoria sarà stabilito dalla Cancelleria federale dopo la votazione popolare.

In breve, l’iniziativa esige di introdurre nella Costituzione federale i seguenti elementi: • Stabilire la supremazia del diritto costituzionale sul diritto internazionale, ad

eccezione del diritto internazionale obbligatorio (jus cogens3). • Costringere le autorità a rinegoziare o denunciare, «se necessario», i trattati

internazionali che sarebbero in contrasto – anche minimo – con la Costituzione.

3 Nelle definizioni giuridiche abituali, è incluso anche il divieto di genocidio, della tratta di esseri umani, della discriminazione razziale, della tortura, della persecuzione arbitraria e della violazione della vita e dell’integrità fisica.

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2. Origine dell’iniziativa

L’iniziativa ha avuto origine da una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo (Corte EDU), che annullava una decisione di rinvio del Tribunale federale4 a proposito del rimpatrio di un criminale straniero. Secondo l’autore dell’iniziativa, il professore di diritto dell’Università di Zurigo Hans-Ueli Vogt – diventato consigliere nazionale UDC -, la Corte EDU starebbe estendendo sempre più il suo potere sugli Stati membri e si immischierebbe eccessivamente negli affari nazionali del nostro Paese in maniera discutibile5. Nella pratica, l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) non è applicata in maniera rigida, ma è fortemente influenzata dalle molteplici correnti di interpretazione che prevalgono tra l’insieme di giudici di diversi Stati, tra i quali la Svizzera. È quello che viene chiamato «dialogo dei giudici». Del resto, come mostra l’esempio nel riquadro seguente, gli Stati restano sovrani.

4 Per essere precisi si tratta in particolare della decisione del Tribunale federale (TF) del 12 ottobre 2012 relativa all’espulsione di un trafficante di droga macedone. Il TF ha prima di tutto considerato che l’iniziativa per il rinvio dei criminali stranieri, accettata in votazione popolare nel novembre 2010, non fosse direttamente applicabile a questo caso particolare (colpa del Parlamento per aver ancora emanato una legge d’applicazione). Su questo punto, secondo il libro di Denis Masmejan «Démocratie directe contre droit international», la decisione dei giudici non poteva affatto sorprendere. Nessuno durante la campagna precedente allo scrutinio – l’UDC come anche gli altri partiti – aveva seriamente contestato il fatto che una traduzione dell’iniziativa a livello legislativo sarebbe stata necessaria per essere applicata dai tribunali. I giudici avrebbero potuto limitarsi a questo, ma la Corte ha scelto di inviare un segnale – spinti senza ombra di dubbio dai profondi antagonismi tra alcuni dei suoi membri sulla questione del primato del diritto internazionale. Alla fine di un lungo procedimento, la decisione affronta la domanda di sapere se il diritto internazionale (qui la Convenzione europea dei diritti dell’uomo) deve prevalere anche sulle disposizioni costituzionali che le sono contrarie e non soltanto su delle leggi. I giudici si riferivano espressamente ai diritti popolari e la risposta che hanno fornito sembra riconoscere alla CEDU un'autorità superiore alla Costituzione. Infatti, anche se l’iniziativa dell’UDC fosse direttamente applicabile, il TF ritiene che sarebbe obbligato a svolgere un esame caso per caso della proporzionalità del rinvio per soddisfare la Convenzione, mentre l’iniziativa approvata in votazione impone chiaramente il contrario. Tuttavia, la Corte è giunta a questa conclusione solo al termine di quello che i giuristi chiamano un obiter dictum – ovvero delle considerazioni formulate che non hanno alcun influsso sulla soluzione del litigio. 5 Funzionamento della Corte EDU, cf. allegato 5.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo non lede la sovranità nazionale – un esempio recente in Svizzera

Le sentenze della Corte EDU possono talvolta avere un impatto sulla legislazione nazionale, quando la Corte attira l’attenzione di uno Stato sulle lacune legislative. Ciò è stato il caso in occasione della revisione del diritto svizzero di prescrizione, proposta dalle autorità svizzere nel 2007. A seguito di una decisione della Corte EDU sul caso di una vittima dell’amianto, le nostre autorità avevano deciso di integrare delle disposizioni specifiche nella suddetta legge. Tuttavia, nel corso della procedura legislativa, è apparso che questa soluzione non era praticabile. Una soluzione per le vittime dell’amianto è stata trovata con la creazione di una tavola rotonda e di un fondo specifico, parallelamente alla revisione del diritto della prescrizione. Questo esempio mostra come la Corte EDU possa sollevare un problema, ma che gli Stati restano sovrani e padroni delle loro procedure legislative.

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Inizialmente, l’iniziativa è stata concepita come un mezzo per opporsi, da una parte, a ciò che è considerato dall’autore del testo come un’«ingerenza» della Corte EDU nel diritto svizzero, e dall’altra a un’applicazione ritenuta troppo rigorosa dal Tribunale federale della giurisprudenza sviluppata dalla Corte EDU.

In seguito, i sostenitori dell’iniziativa hanno deciso di presentare il loro testo come un mezzo per opporsi a una presunta «strisciante adesione all’UE», di cui l’accordo quadro sarebbe l'anticamera. Ora, non soltanto il suddetto accordo è sempre in negoziazione, ma la Svizzera ha ottenuto da Bruxelles la creazione di un Tribunale arbitrale composto da un giudice svizzero, un giudice europeo e un giudice neutro. L’argomento dei «giudici stranieri» cade dunque nel vuoto.

Da un’iniziativa contro la Corte europea dei diritti dell’uomo a un’iniziativa contro una cosiddetta “adesione strisciante” all’UE.

Lo sapevate? Sui 5'611 ricorsi presentati contro la Svizzera presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, quest’ultima ha dato ragione al Tribunale federale nel 98,5% dei casi! Per maggiori informazioni: www.fattorediprotezione-d.ch/pubblicazioni

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Una vasta alleanza dice NO all’iniziativa per l’autodeterminazione Il Consiglio federale respinge l’iniziativa e scrive nel suo messaggio del 5 luglio 2017: «L’iniziativa per l’autodeterminazione promette di chiarire la relazione tra diritto nazionale e diritto internazionale; accettandola potrebbe invece accadere l’opposto perché essa contiene diverse imprecisioni e contraddizioni6»: un’ipotesi che condurrebbe a un’incertezza del diritto, pregiudicherebbe la piazza economica svizzera e avrebbe di conseguenza anche un considerevole impatto negativo sulla politica estera. Nel suo messaggio, il Consiglio federale sottolinea in particolare i seguenti elementi: La problematica che gli iniziativisti pretendono di regolare è esagerata. I conflitti di

norme tra i trattati internazionali conclusi dalla Svizzera e la Costituzione federale sono in realtà piuttosto rari. Inoltre, il sistema giuridico attuale ha sempre permesso di risolverli in maniera pragmatica caso per caso.

L’iniziativa indebolirebbe la sovranità della Svizzera. Secondo il Consiglio federale, «la conclusione di trattati internazionali non costituisce una restrizione ma un aspetto della sovranità nazionale»7.

Proponendo di infrangere il principio fondamentale del diritto internazionale «pacta sunt servanda»8, l’iniziativa va contro gli interessi della Svizzera e non sarebbe conforme alla cultura giuridica svizzera. Il principio internazionale «pacta sunt servanda» è tutto tranne che aneddotico: esso stipula che gli Stati sono legati dai trattati internazionali che sottoscrivono liberamente e devono rispettarli nella buona fede. Secondo il Consiglio federale, «per tale ragione le modifiche proposte potrebbero essere addirittura interpretate come un permesso o un invito costituzionale a violare i trattati internazionali non assoggettati al referendum»9.

Compromettendo la certezza del diritto, l’iniziativa minaccia l’accesso ai mercati internazionali. Ciò penalizzerebbe le attività di pianificazione e d’investimento delle imprese e PMI attive a livello internazionale.

Violando un trattato, la Svizzera assumerebbe la propria responsabilità internazionale e dovrebbe attendersi misure di ritorsione da parte degli altri Stati.

L’iniziativa rimette in discussione la credibilità dell’impegno della Svizzera in materia di protezione dei diritti umani. Dato per scontato che la CEDU non è stata sottoposta a referendum – all’epoca non era obbligatorio, come per i due Protocolli addizionali n° 6 e 11 – se l’iniziativa dovesse essere accettata, il Consiglio federale dovrebbe rivedere la loro validità giuridica. In ogni caso, il governo correrebbe il rischio che «le relazioni con il Consiglio d’Europa (…) [vengano] compromesse»10.

6 Messaggio del Consiglio federale del 5 luglio 2017, p. 3 7 Ibid, p. 40 8 «I trattati devono essere rispettati», art. 26 del Trattato di Vienna ratificato dalla Svizzera 9 Ibid., p. 43 10 Ibid., p. 46

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Le Camere federali si sono inoltre pronunciate chiaramente contro l’iniziativa:

Il Consiglio degli Stati ha detto NO con 38 voti contro 6. Il Consiglio nazionale ha detto NO con 129 voti contro 68.

Condividono questa presa di posizione: i principali partiti: PLR, PPD, PS, I Verdi, Verdi liberali, PBD, PEV (tranne l’UDC); tutte le principali organizzazioni economiche e i principali sindacati; più di 100 ONG svizzere che hanno unito le loro forze per creare l’«Alleanza della

società civile»; movimenti come Operation Libero e Uniti dal diritto; una lunga lista di professori di diritto.

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Perché il diritto internazionale è così importante per la Svizzera e per la nostra economia? Sotto l’impulso della globalizzazione, il diritto internazionale pubblico diventa sempre più denso, sia a livello bilaterale, sia regionale o mondiale. La Svizzera, nazione esportatrice per eccellenza, ne è il perfetto esempio: disponiamo di oltre 5'000 trattati internazionali, di cui oltre 600 sono accordi commerciali.

L’iniziativa mette in pericolo questi accordi, di conseguenza avrebbe un impatto negativo sull’occupazione, sulle entrate fiscali delle persone giuridiche e fisiche, nonché sulle prestazioni statali e sulle assicurazioni sociali.

Heinz Karrer, Presidente di economiesuisse

Se le grandi potenze possono spesso far prevalere i loro interessi tramite, soprattutto, delle pressioni economiche o militari, questo non è certamente il caso dei «piccoli» Stati come la Svizzera. Per questi ultimi, il primato del diritto sulla forza è cruciale nelle relazioni internazionali. A questo proposito, la Svizzera può difendere meglio i suoi interessi attraverso il diritto sulla base delle relazioni stabili con gli altri Stati, poiché regolamentati dal diritto. La Svizzera ne è cosciente da molto tempo. Di fatto, il concetto di neutralità, che è profondamente ancorato nella percezione collettiva di questo Paese, costituisce un tratto essenziale della sua politica di sicurezza e poggia, in ultima istanza, sia su dei trattati sia sulla consuetudine internazionale. Questa constatazione vale anche per il diritto della guerra, la cui tradizione umanitaria svizzera è nota e che garantisce ancora oggi il Comitato internazionale della Croce Rossa a Ginevra, contribuendo significativamente all’immagine internazionale della Svizzera. La Svizzera non approfitta del diritto internazionale solo in quanto «piccola». Infatti, in mancanza di abbondanti materie prime, essa dipende in gran parte dall’approvvigionamento estero. Ciò rende la sua economia, strettamente legata a quella dei suoi partner, specialmente dipendente dalla stabilità di questi ultimi e pertanto particolarmente vulnerabile. Questa constatazione mostra ancora una volta l’interesse della Svizzera per una diplomazia internazionale fondata sul diritto. Gli accordi di libero scambio, i trattati di protezione degli investimenti conclusi con gli Stati nei quali le imprese svizzere sono attive, ma anche le convenzioni di doppia imposizione sono regole internazionali che, nel diritto, costituiscono la «colonna vertebrale» di un’economia svizzera ampiamente globalizzata. Infine, nell’era della globalizzazione, il diritto internazionale beneficia di una grande influenza, anche se quest’ultima resta spesso discreta. Questa vale sicuramente per i diritti umani, ma anche per un numero importante di regole meno evidenti, come quelle che

Per una nazione esportatrice per eccellenza come la nostra, la conclusione di accordi equilibrati con altri Stati non è un’opzione ma

una necessità.

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garantiscono che una conversazione telefonica possa essere passata all’estero, o che un viaggio in aereo verso una destinazione di vacanze sia possibile.»11

1. I trattati economici sono essenziali per la difesa degli interessi del Paese e delle sue imprese

Visto che la Svizzera ha potuto concordare delle regole del gioco comuni con i suoi partner – il diritto economico internazionale – le imprese svizzere possono beneficiare di un accesso agevolato ai mercati esteri e ai loro clienti. I campi coperti dai trattati internazionali sono altrettanto variati ed essenziali:

• riconoscimento reciproco degli standard di produzione

• livello dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione

• accesso alle procedure di regolamento delle controversie

• protezione degli investimenti o della proprietà intellettuale

Questi aspetti sono fissati, nel diritto internazionale, sotto forma di trattati internazionali vincolanti conclusi tra due o vari Stati. L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) garantisce, a livello multinazionale, che tutti gli Stati rispettino in maniera immediata e senza condizioni i loro impegni.

11 «La Suisse et le droit international», Société suisse de droit international, 2017

Il diritto internazionale è l’espressione della sovranità degli Stati «Il diritto internazionale è l’insieme di regole giuridiche che gestiscono le relazioni tra gli Stati o tra persone private in ambito internazionale. Le norme del diritto internazionale sono composte da testi ratificati da diversi Stati: accordi, convenzioni, protocolli e trattati internazionali. Questi possono essere bilaterali (tra due Stati) o multilaterali (tra diversi Stati). Il diritto internazionale pubblico è «internazionale», dato che si applica a livello internazionale, ovvero al di sopra degli Stati individuali, e “pubblico” nel senso che difende gli interessi collettivi. All’origine, esso regolamentava le relazioni tra gli Stati. Oggi regola anche le organizzazioni internazionali e le relazioni tra gli Stati e queste organizzazioni.

In generale, le norme del diritto internazionale sono codificate in alcuni trattati la cui negoziazione e applicazione si basano sull’espressione del consenso volontario di tutti gli Stati membri («La Suisse et le droit international », Société suisse de droit international, 2017). In altre parole, il diritto internazionale è più di ogni altro settore giuridico un diritto derivato dal consenso dei membri che vi sono assoggettati. Visto che il diritto internazionale regola una società paritaria di entità sovrane, la sua struttura normativa è «piatta»: non ci sono legislatori che impongono delle regole pilotate; c’è lo Stato, ogni Stato, che sceglie di ratificare un trattato o che pratica con un’opinione del diritto un determinato comportamento. Significa che questo ordine giuridico intacca meno di ogni altro l’«autodeterminazione» locale. Esso è ampiamente basato sulla libera adesione dei membri.» (Robert KOLB, «L’initiative de l’UDC sur « l’autodétermination» «Juges étrangers», Swiss Review of International and European Law, 2016, vol. 4, p. 567-579)

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L’aumento del numero di trattati è stato accompagnato, nel corso degli anni, da una forte spinta delle esportazioni svizzere (cf. figura seguente). Queste sono progredite più rapidamente nei Paesi con i quali la Svizzera ha concluso un accordo di libero scambio (+10,5% all’anno nei primi quattro anni dopo la messa in vigore, contro il 5,7% per l’insieme delle esportazioni). È questa l’analisi della Segreteria di Stato dell’economia (SECO). L’iniziativa contiene delle contraddizioni importanti molto problematiche. Grafico 1: Evoluzione del numero di accordi e di scambi con l’estero

Il benessere del nostro Paese dipende in gran parte dalle nostre esportazioni Con appena poco più di otto milioni di abitanti e altrettanti consumatori, il nostro mercato interno è ristretto. Per questo, migliaia di imprese svizzere – essenzialmente PMI – decidono di vendere i loro prodotti e servizi anche all’estero. Talvolta, hanno delle succursali e dei siti di produzione. Esse approfittano inoltre delle filiali largamente internazionalizzate nelle quali sono integrate. Il loro successo è, nel confronto internazionale, straordinario. Esse garantiscono impieghi, partecipano ampiamente al finanziamento delle assicurazioni sociali e delle prestazioni dello Stato. E forniscono lavoro anche alle società attive a livello locale. In breve, le imprese esportatrici contribuiscono in maniera significativa al benessere del Paese.

Cifre chiave ― Nel 2015, le imprese svizzere hanno esportato beni e servizi per 312 miliardi di franchi svizzeri.

Questo corrisponde a circa il 50% del prodotto interno lordo svizzero (PIL). ― Le imprese svizzere hanno investito un totale di 1,12 miliardi di franchi svizzeri all’estero. Esse sono

all’origine del 4,13% del totale degli investimenti diretti esteri. La Svizzera rappresenta così il nono investitore più importante al mondo.

― Parallelamente, le imprese straniere hanno investito 833 milioni di franchi in Svizzera e impiegano circa mezzo milione di lavoratori nel nostro Paese.

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L’iniziativa contiene diverse contraddizioni interne molto problematiche

L’iniziativa non chiarisce i rari casi di contraddizioni tra il diritto internazionale e la nostra Costituzione, nati da iniziative popolari federali contrarie agli impegni internazionali presi in precedenza. Peggio, l’iniziativa comporta diverse contraddizioni nel suo proprio testo (vedi sotto). Ciò è ancor più problematico dal momento che il testo dell’iniziativa è considerato dai suoi autori come direttamente applicabile. In realtà, l’iniziativa pone dunque più problemi che soluzioni.

1. Le ambiguità del testo dell’iniziativa L’iniziativa presenta un testo che contiene diverse contraddizioni:

1. Art. 56a Cst. proposto dall’iniziativa (obblighi del diritto internazionale) 1 La Confederazione e i Cantoni non assumono obblighi di diritto internazionale che contraddicano alla Costituzione federale. 2 In caso di contraddizione, adeguano gli obblighi di diritto internazionale alla Costituzione federale, se necessario denunciando i trattati internazionali in questione.

In primo luogo, non è definito da chi deve essere stabilito un «conflitto di obblighi» tra il diritto internazionale e il diritto nazionale. È una questione che risolve il Consiglio federale, l’Assemblea federale, il Tribunale federale o un Tribunale internazionale? Secondo, cosa si intende con «conflitto di obblighi»? Delle parti importanti del trattato devono essere in contraddizione con il diritto nazionale, o le decisioni di giustizia individuali – prese dal Tribunale federale o dalla Corte EDU – sono già sufficienti per dichiarare che esiste un conflitto tra il diritto costituzionale e un trattato internazionale? Terzo, il termine «se necessario» non è chiaro. Si tratta di un automatismo che fa in modo che i trattati in conflitto con il diritto nazionale debbano obbligatoriamente essere annullati se i negoziati falliscono? O si possono evitare dei danni sproporzionati? Entro quale termine devono giungere ad una conclusione i negoziati, sapendo per esperienza che normalmente sono necessari diversi anni?

2. Art. 190 Cst. proposto dall’iniziativa (diritto applicabile)

Le leggi federali e i trattati internazionali il cui decreto d’approvazione sia stato assoggettato a referendum sono determinanti per il Tribunale federale e per le altre autorità incaricate dell’applicazione del diritto.

L’art. 190 Cst. stipula che i trattati internazionali «assoggettati a referendum» sono determinanti per i tribunali svizzeri. Ciò è in contraddizione con l’art. 5 cp. 4 Cst. proposto dall’iniziativa, che dice chiaramente che la Costituzione federale deve primeggiare – più ampiamente – sul diritto internazionale: «La Confederazione e i Cantoni rispettano il diritto internazionale. La Costituzione federale ha rango superiore al diritto internazionale e prevale su di esso, fatte salve le disposizioni cogenti del diritto internazionale.» Quale articolo proposto prevale su quale? L’argomentario degli iniziativisti non risponde a questa

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domanda. Questa contraddizione formale del campo di applicazione dell’iniziativa non è dunque ammissibile senza porre dei problemi non trascurabili.

3. Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALCP), accettato dal popolo nel 2000.

Questo trattato è in contraddizione con l’art. 121a Cst. introdotto nella nostra Costituzione a seguito dell’accettazione dell’iniziativa «contro l’immigrazione di massa» (2014). L’iniziativa pretende di risolvere questo tipo di contraddizione, iscrivendo un nuovo articolo costituzionale (art. 5 cp. 4) il quale prevede la supremazia del diritto svizzero. Ora, secondo l’art. 190 Cst. proposto dall’iniziativa, l’ALCP resta un trattato che si deve applicare, poiché è stato sottoposto a referendum.

4. La CEDU

Anche se non è stata sottoposta a referendum nel 1974 (la Costituzione non prevedeva ancora questa possibilità), un certo numero di protocolli addizionali sono stati adottati in seguito (Protocolli n° 13 e 14 soprattutto)12; questi ultimi sono stati sottoposti a referendum, senza essere approvati. In altre parole, i protocolli addizionali sarebbero un diritto applicabile secondo l’art. 190 Cst. proposto dall’iniziativa, ma non la CEDU? Come risolvere una tale contraddizione? Gli iniziativisti non danno risposta a queste domande.

Si può notare dalle ambiguità presenti nel testo dell’iniziativa: essa non risolve per niente le rare contraddizioni che esistono tra la Costituzione e il diritto internazionale. In realtà, l’iniziativa inserirebbe un meccanismo rigido nella Costituzione e creerebbe un’infinità di problemi in materia di applicazione e interpretazione… per niente!

2. L’iniziativa apre un periodo di incertezze… senza fine! Negoziare un accordo con un altro Stato è un processo lungo e complesso. Anche se le parti contraenti sono d’accordo sul principio, numerose questioni devono essere chiarite. Sono necessari diversi anni per ottenere un accordo che sia equilibrato, e dunque accettabile, dalle due parti. Sono stati necessari, per esempio, circa 10 anni per negoziare il pacchetto I degli accordi bilaterali con l’UE e circa 5 anni per l’accordo di libero scambio con la Cina.

Significa che è estremamente avventuroso esigere di rinegoziare un accordo esistente. Senza contare che apriremmo nuovamente il vaso di Pandora a tutti i tipi di nuove pretese della nostra controparte. La situazione concernente gli accordi multilaterali o plurilaterali esistenti è ancora più difficile. Gli accordi dell’OMC sono stati firmati da 164 Stati: essi dovrebbero approvare all’unanimità l’apertura di un nuovo ciclo di negoziati! Questo è quello che esige l’iniziativa in caso di contraddizione – anche minima – tra la Costituzione e i trattati che non sono stati sottoposti a referendum.

Se non si riuscisse ad ottenere un adattamento del trattato, la Svizzera sarebbe costretta – come esige esplicitamente l’iniziativa – a porre fine a questi accordi, con gravi conseguenze soprattutto per l’economia, e dunque per i posti di lavoro e le entrate fiscali.

Inoltre, la Svizzera farebbe fatica a convincere gli altri Stati a concludere dei nuovi accordi visto il nuovo articolo costituzionale. Oppure si vedrebbe imporre delle condizioni 12 https://www.humanrights.ch/fr/droits-humains-suisse/conventions-europeennes/cedh-protocoles-additionnels/

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irreversibili. I potenziali partner dovrebbero infatti aspettarsi che la Svizzera non rispetti più, ad un certo punto, gli accordi conclusi a causa di un cambiamento nella nostra Costituzione. Essi potrebbero così esigere delle altre concessioni da parte della Svizzera, dei risarcimenti finanziari per il mancato rispetto degli impegni presi, o, nel peggiore dei casi, rifiutare di negoziare un qualsiasi accordo. Una simile situazione potrebbe condurre alla marginalizzazione pura e semplice del nostro Paese sulla scena internazionale. Per una nazione esportatrice ma anche importatrice, i danni sarebbero catastrofici. Le imprese, i cittadini ma anche lo Stato ne pagherebbero il prezzo.

3. Certi accordi non possono essere disdetti Infine, sottolineiamo che la Svizzera ha concluso alcuni accordi internazionali (sottoposti a referendum facoltativo) che non contengono nessuna clausola di denuncia e non possono dunque essere disdetti. Si tratta soprattutto degli accordi in materia di frontalieri della Svizzera con i suoi vicini, o i patti 1 e 2 dell’ONU (diritti economici, sociali, culturali, civili e politici). Se la Svizzera disdicesse unilateralmente questi accordi, ciò significherebbe una rottura del contratto, associata al rischio di misure di ritorsione e di rappresaglie da parte degli altri partner.

4. La Svizzera si espone a misure di ritorsione o perfino rappresaglie

Secondo la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (art. 27), ratificata dalla Svizzera, un Paese non può sottrarsi agli impegni che ha preso – in tutta libertà – invocando il diritto nazionale. Questo articolo è conforme al principio giuridico internazionale secondo il quale i trattati devono essere rispettati (pacta sunt servanda). Così, se la Svizzera violasse degli accordi internazionali esistenti mediante una nuova disposizione costituzionale (ad esempio l’adozione di un’iniziativa popolare), essa potrebbe essere perseguita dalle parti contraenti – sia in fase di rinegoziazione sia quando il trattato venisse disdetto in seguito.

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13 Decisione del Tribunale federale (DTF) 139 | 16 ss: «Il Tribunale federale ha soprattutto verificato se l’art. 121 cp. 3-6 fosse immediatamente applicabile. Ha sottolineato a proposito che l’art. 121a non è formulato abbastanza precisamente per giustificare un’applicabilità diretta, tanto più che è in contraddizione con altre esigenze costituzionali e il diritto internazionale. Il Tribunale federale evoca poi dei problemi delicati a livello del diritto costituzionale e del diritto internazionale, dato che un automatismo in materia di espulsione, come quello che può essere dedotto da una valutazione isolata dell’art. 121 cp. 3-6 e della sua applicazione, esclude l’esame della proporzionalità imposto dal diritto internazionale. Secondo il Tribunale federale, se

Riassunto

L’iniziativa pretende di chiarire la relazione tra il diritto svizzero e il diritto internazionale – in reazione soprattutto ad alcune decisioni della Corte EDU e alla giurisprudenza del Tribunale federale, di cui alcune sentenze sono state oggetto di una valutazione critica da parte degli iniziativisti (nota 13). In realtà, a causa delle numerose nuove incertezze giuridiche che causerebbe, i tribunali svizzeri sarebbero chiamati a rispondere non a meno, ma a più domande aperte, e ad interpretare le contraddizioni del testo dell’iniziativa nel caso di applicazione specifica. Secondo gli esperti di diritto costituzionale, questa iniziativa non è soltanto estremamente complessa, ma implica anche un sovraccarico amministrativo e burocratico senza precedenti. Senza contare che questa incertezza permanente del diritto peserebbe parecchio sullo sviluppo economico del nostro Paese.

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Christine Kaddous, professore all’Università di Ginevra e presidente della Società svizzera di diritto internazionale (SSDI)

5. Nessun paese ha adottato un tale sistema giuridico, e a giusta ragione!

Nell’ambito di un parere legale14 comparativo realizzato dall’Ufficio federale della giustizia, la relazione tra il diritto nazionale e il diritto internazionale è stata esaminata in un certo numero di Stati (Germania, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, ecc.). Il rango del diritto internazionale in confronto al diritto nazionale dipende da più fattori a dipendenza del funzionamento istituzionale di ogni Stato. Non esiste alcuna supremazia rigida riconosciuta universalmente. Al contrario, i processi di equilibrio degli interessi coinvolti giocano sempre un ruolo centrale sotto una forma o un’altra – dei processi analoghi dunque al sistema svizzero attuale, e in contraddizione con le richieste rigide dell’iniziativa. D’altronde, non ci sono mai stati dei capovolgimenti dell’ordine giuridico – vale a dire: il diritto nazionale prevarrà sul diritto internazionale: è quanto risulterebbe da un’eventuale accettazione di questa iniziativa in Svizzera.

Gli iniziativisti affermano che la loro proposta è già in vigore in Germania. Questo confronto è giuridicamente sbagliato sotto diversi punti di vista (vedi riquadro seguente e allegato 6).

quanto contenuto nella disposizione costituzionale si situa in un campo di tensione rispetto ai valori fondamentali riconosciuti dalla Svizzera e sottolineati dal diritto costituzionale e dal diritto internazionale. Sempre secondo i giudici di Losanna, questa disposizione esclude un equilibrio di interessi e una valutazione individuale dei casi che la CEDU impone agli Stati di diritto democratici e che stipula anche l’accordo di libera circolazione delle persone (ALCP). Il Tribunale federale è legato, secondo questi giudici, alle leggi federali e al diritto internazionale nel caso l’interpretazione delle disposizioni legali non permettesse di regolare il conflitto normativo (art. 190 Cst.)», p.11 e seguenti dell’argomentario dell’UDC. 14 Fonte: rapporto del Consiglio federale del 5 marzo 2010, www.admin.ch/opc/fr/federal-gazette/2010/2067.pdf.

Il diritto internazionale si basa sul consenso degli Stati. Concludendo degli accordi internazionali, la Svizzera si impegna a rispettare gli

obblighi. (…) essendo la nostra economia fortemente dipendente dagli scambi internazionali (sotto forma di accordi di libero scambio, per

esempio), il rispetto del diritto internazionale è un elemento centrale della nostra politica estera, soprattutto per garantire la sua stabilità

economica.

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Il confronto con la Germania non regge (rapporto Helen Keller e Laura Zimmermann) I sostenitori dell’iniziativa affermano che la Corte costituzionale federale tedesca ha deciso di non applicare le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) se queste contraddicono la Costituzione tedesca. In altre parole, la Germania applicherebbe già il sistema proposto dall’iniziativa, ossia che il diritto nazionale deve prevalere sul diritto internazionale. Questo argomento è inesatto e il confronto con la pratica tedesca è ingannevole sotto molti aspetti.

La Germania e la Svizzera regolano i rapporti tra il diritto internazionale e il diritto nazionale in maniera fondamentalmente differente, i loro sistemi sono difficilmente comparabili: l’uno è monista (Svizzera), l’altro dualista (Germania).

Il diritto internazionale e il diritto nazionale rappresentano un ordine giuridico globale uniforme. In Svizzera, il diritto internazionale ratificato diventa automaticamente parte integrante del diritto nazionale. In Germania, il diritto internazionale deve essere trasformato in diritto nazionale tramite un atto giuridico. Poiché il diritto internazionale deve essere trasformato in diritto nazionale, nessun trattato di diritto internazionale ha uno statuto costituzionale in Germania. Questo ordine di precedenza è inerente al sistema. Non per questo significa che in Germania il diritto nazionale prevalga sistematicamente sul diritto internazionale. Chiunque sostenga che la Germania non sia tenuta ad applicare le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo in caso di violazione della Legge fondamentale applica una scorciatoia inammissibile (vedi allegato 6).

Come sostiene il professor Robert Kolb, «La Costituzione svizzera è […] caratterizzata da una mobilità che altre costituzioni statali non hanno. L’iniziativa popolare rischierebbe di inserirvi in qualsiasi momento gli argomenti più disparati, essendo potenzialmente in conflitto con il diritto internazionale. C’è una differenza notevole con la pratica giuridica di altri Stati, quando questi accordano la priorità alle norme costituzionali invece delle norme internazionali. Da loro, la Costituzione è «bloccata». Essa può essere modificata solo da processi lenti e controllati dalle istituzioni. L’iniziativa popolare non esiste. Il conflitto con il diritto internazionale può di conseguenza essere dosato più saggiamente e, molto spesso, completamente evitato.» (Robert Kolb, «L’initiative de l’UDC sur «l’autodétermination» «Juges étrangers», Swiss Review of International and European Law, 2016, vol. 4, p. 567-579.)

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Gli argomenti del NO

L’iniziativa crea più dubbi che incertezze Non c’è nessun bisogno di agire: già oggi, la Svizzera non conclude nessun trattato che non rispetti la nostra Costituzione federale. Se ci sono delle contraddizioni, esse sono dovute alle iniziative contrarie ai nostri impegni internazionali, presi dal nostro Paese in maniera indipendente e sovrana, e che sono state accettate nell’ambito di votazioni popolari. Oggi, queste contraddizioni sono molto rare e vengono regolate in maniera pragmatica, conformi alle tradizioni svizzere e nel rispetto dei nostri impegni internazionali nei confronti dei nostri partner. E questo contrariamente all’iniziativa per l’autodeterminazione, che propone delle soluzioni estremamente rigide senza alcuna concessione. L’iniziativa esige infatti che «la Confederazione e i Cantoni non contrattino alcun obbligo di diritto internazionale contrario alla Costituzione federale». In realtà, con questa iniziativa, la Svizzera forza una porta aperta: il Consiglio federale non può firmare dei trattati contrari agli interessi della Svizzera, dato che il processo democratico svizzero prevede molte barriere per impedirlo. In altre parole, le regole del diritto internazionale si applicano in Svizzera solo se il Parlamento – e nei casi particolarmente importanti, se il Sovrano (maggioranza di popolo e Cantoni) le accettano. In modo analogo, se un trattato non corrisponde più alla Costituzione dopo l’adozione di un’iniziativa, il popolo svizzero può decidere di disdirlo ricorrendo all’iniziativa popolare – è tra l’altro ciò che fa l’UDC denunciando l’Accordo sulla libera circolazione delle persone con l’UE.

Il popolo non vuole essere sommerso di votazioni su ogni tipo di accordo

Nel giugno 2012, gli Svizzeri sono stati chiamati alle urne per l’iniziativa «Accordi internazionali: decida il popolo!» dell’ASNI. Questo testo esige che ogni trattato internazionale sia imperativamente sottoposto al popolo e dunque che si introduca un referendum obbligatorio. Il risultato è stato molto chiaro: 75,3% di NO. Gli Svizzeri non vogliono dunque una tale macchina burocratica; essi ripongono la loro fiducia nelle istanze responsabili. Ora, l’iniziativa per l’autodeterminazione avrebbe bisogno di un meccanismo simile a quello immaginato dagli autori dell’iniziativa del 2012. Infatti, prevedendo che unicamente i trattati sottoposti a referendum continuino a far parte del diritto applicabile, questo potrebbe incitare le autorità a sottoporre sistematicamente ogni tipo di trattato, con lo scopo di evitare che diventi obsoleto in caso di ulteriori modifiche della Costituzione federale. L’iniziativa sottoposta in votazione il 25 novembre 2018 va ancora più lontano di quella del 2012, dato che essa implica una trasformazione fondamentale di tutto il nostro sistema giuridico, dove la supremazia del diritto svizzero regnerebbe in modo indiscusso.

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L’iniziativa minaccia 600 trattati commerciali conclusi con il mondo intero

La Svizzera ha tessuto una rete molto densa di accordi per assicurarsi l’accesso ai mercati stranieri e per proteggere le imprese svizzere. Questi accordi sono essenziali anche dal punto di vista della prevedibilità e della certezza del diritto per le circa 97'000 imprese esportatrici svizzere – delle quali 90% sono PMI. Questi accordi sono anche nell’interesse delle imprese non esportatrici: essi permettono loro di importare beni e servizi con il minor numero di ostacoli tariffari e regolamentazioni possibili.

Chi ha la competenza di concludere solo dei trattati internazionali standard?

Alla fine di giugno del 2016, il Consiglio federale ha proposto di precisare la pratica in vigore e di ancorare nella legge che sia il Consiglio federale, sia l’Assemblea federale ricevano la competenza di concludere solo dei trattati internazionali standard. Gli ambiti non coperti da una simile delegazione di conclusione saranno, secondo la volontà del Consiglio federale, sottoposti al referendum facoltativo. Il Consiglio federale reagisce così alla critica, espressa per esempio in relazione all’accordo di libero scambio tra la Svizzera e la Cina, secondo la quale la pratica attuale dell’Assemblea federale di non sottoporre gli accordi standard al referendum facoltativo sarebbe anticostituzionale. Questi trattati, detti accordi standard, sono conclusi in particolare nei settori del diritto economico internazionale, che ne conta un gran numero dal contenuto analogo, tra cui le convenzioni di doppia imposizione, gli accordi di libero scambio o ancora gli accordi di protezione degli investimenti (parere legale prof. Christine Kaufmann, marzo 2017, p. 8).

400 trattati economici che la Svizzera non dovrebbe più rispettare

Oltre 600 accordi economici garantiscono alle nostre imprese la prevedibilità e la certezza del diritto necessarie. I due terzi, ovvero circa 400, non sono stati sottoposti a referendum. Nel caso dovesse sorgere anche una minima contraddizione con la nostra Costituzione, l’iniziativa prevede che le autorità svizzere, in particolare il Tribunale federale, non li applichi fino a quando non vengano rinegoziati o – se ciò non è possibile – denunciati.

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Fonte: DFAE Direzione del diritto internazionale pubblico

L’iniziativa mette in gioco i vantaggi di cui gode l’industria esportatrice svizzera

La Svizzera deve una grande parte del suo successo e del suo benessere agli scambi commerciali con altri Stati. Due franchi su cinque sono guadagnati grazie alle esportazioni dei nostri prodotti e servizi. Per circa 97'000 imprese esportatrici è dunque essenziale conservare un accesso stabile e nelle migliori condizioni possibili ai mercati del mondo intero. Inevitabili conseguenze sugli investimenti in Svizzera e dunque sull’occupazione nel nostro Paese L’incertezza del diritto è diametralmente opposta non solo ai principi di base del diritto economico internazionale, che si basa sull’affidabilità contrattuale, la trasparenza e la prevedibilità, ma anche al principio della buona fede, che costituisce uno dei punti centrali delle relazioni interstatali. Quali sono le conseguenze prevedibili di un’incertezza permanente?

• Le imprese con sede in Svizzera (e dunque sottoposte al diritto svizzero) non avranno più garanzie, sia in termini di accesso ai mercati esteri o di protezione dei loro investimenti, al di fuori del Paese. Concretamente, ciò frenerà molto probabilmente i loro investimenti.

• Le imprese estere presenti in Svizzera potrebbero riflettere se investire qui o optare per altre piazze economiche più stabili.

Accordi di riassicurazione Accordi OMC Accordi di libero

scambio (30)

Accordi di protezione degli

investimenti (123)

Convenzioni di doppia

imposizione (170)

Accordi di protezione della

proprietà intellettuale (85)

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Chi ne pagherebbe le conseguenze? Certamente le imprese, ma probabilmente anche gli impieghi nel nostro Paese. E le prestazioni sociali e fiscali, se gli affari in Svizzera dovessero rallentare. Nessuno ne uscirebbe vincente.

L’iniziativa danneggia la reputazione della Svizzera quale partner contrattuale affidabile e la isola sul piano internazionale

Quale Stato vorrà ancora concludere un accordo con la Svizzera, se noi annunciamo fin dall’inizio che in qualsiasi momento ci riserviamo il diritto di non rispettare i nostri impegni? Questo è quello che succederebbe se questa iniziativa venisse accettata. Non soltanto sarà molto difficile, se non impossibile, allargare la nostra rete di accordi economici, ma la reputazione di partner affidabile della quale gode la Svizzera sarà fortemente danneggiata.

La reputazione vale oro Il nostro Paese è un attore rispettato sulla scena internazionale. La nostra eccellente reputazione si basa non soltanto sulla qualità dei nostri prodotti e servizi, ma anche sulla fiducia che abbiamo costruito nel corso dei decenni mantenendo gli impegni che abbiamo preso nell’ambito degli accordi bilaterali e multilaterali.

La reputazione e la fiducia di cui godiamo valgono oro per una nazione esportatrice per eccellenza come la nostra, che guadagna due franchi su cinque all’estero. Senza di esse, sarebbe molto difficile, se non impossibile, concludere dei trattati internazionali che garantiscano l’accesso ai mercati mondiali e che assicurino tra l’altro la protezione degli investimenti svizzeri all’estero. Quale Stato o gruppo di Stati vorrebbero ancora concludere degli accordi con un Paese che si riserva, in qualsiasi momento, il diritto di non rispettare i suoi impegni come esige l’iniziativa?

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Coloro che rispettano gli accordi e si comportano correttamente nei confronti dei partner contrattuali si possono anche aspettare che gli altri partner si comportino di conseguenza. Ciò nonostante, se l’iniziativa venisse accettata, la Svizzera avrebbe il diritto di non tener conto degli accordi internazionali – per esempio la CEDU, gli accordi bilaterali con l’UE o l’accordo di libero scambio con la Cina. Ma anche gli altri Stati avrebbero il diritto di non rispettare gli impegni presi con la Svizzera. In altre parole, il nostro Paese si ritroverebbe in una situazione molto delicata: la sua parola non avrebbe più alcuna credibilità e valore nelle trattative internazionali e la Svizzera non potrebbe più neanche invocare il diritto internazionale per difendere i suoi interessi. Nei casi estremi, la Svizzera sarebbe considerata come un Paese nel quale non si può avere fiducia, fatto che avrebbe un impatto negativo sulla nostra immagine e sugli eventuali negoziati futuri di trattati benefici per il nostro Paese.

L’iniziativa renderebbe molto difficile, se non impossibile, la conclusione di nuovi accordi Se l’iniziativa venisse accettata, la Svizzera non potrebbe più garantire il rispetto degli impegni presi se il suo diritto interno dovesse cambiare un giorno; con una Costituzione federale che può essere modificata regolarmente grazie agli strumenti della democrazia diretta, una tale possibilità è potenzialmente elevata. Questo avrebbe delle conseguenze: gli altri Stati rifletterebbero due volte prima di intavolare dei negoziati con noi.

Aude Pugin, imprenditrice e presidente della Camera del commercio e dell’industria vodese

L’iniziativa indebolisce la nostra sovranità e la nostra indipendenza

Privandoci della protezione del diritto internazionale e degli accordi che definiscono i nostri diritti nei confronti di altri Stati, l’iniziativa indebolisce la nostra indipendenza, la nostra neutralità e la nostra sovranità.

L’iniziativa rimette in discussione un principio fondamentale delle relazioni tra gli Stati: il rispetto della parola data!

La Svizzera figura tra i paesi che detengono la quota più elevata del proprio PIL dipendente dal commercio estero. Essa deve dunque impegnarsi particolarmente per difendere la sua credibilità e la sua affidabilità. Come? Rispettando un principio fondamentale del diritto internazionale pubblico: «pacta sunt servanda» (“gli accordi devono essere rispettati”). In pratica, le parti sono legate al trattato concluso e non potrebbero derogare agli obblighi presi. Questo principio deve essere rispettato per essere considerato un partner affidabile. L’iniziativa intacca proprio questo principio!

Non rispettare la parola data è contrario ai nostri valori e avrebbe delle conseguenze concrete sulla nostra capacità di

concludere dei nuovi accordi, anche se necessari!

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Concludere degli accordi è la manifestazione per eccellenza della nostra sovranità

Accettare un quadro normativo che si applichi a livello internazionale, ratificare un trattato internazionale o delegare una parte delle nostre competenze decisionali in maniera democratica e volontaria non rappresenta una perdita di sovranità. Al contrario, questi atti sono una manifestazione della sovranità di uno Stato. Ciò vale tanto per gli accordi bilaterali conclusi con l’UE che per il rispetto dei diritti dell’uomo, o per gli obblighi contrattati dalla Svizzera, come per esempio nell’ambito dell’OMC o degli accordi di libero scambio.

L’iniziativa è contraria alla nostra tradizione secolare Secondo i sostenitori dell’iniziativa, le dense relazioni della Svizzera con l’estero significano la perdita della nostra indipendenza secolare, della nostra leggendaria neutralità e della nostra democrazia semi-diretta. Un’ideologia che si ispira al famoso «da solo, l’uomo forte è più potente!» che Friedrich von Schiller attribuì a Guglielmo Tell. Ecco che però questa formula non ha mai creato il successo della Svizzera. I fondatori della Confederazione non hanno infatti mai voluto che le loro valli non facessero più parte del Sacro Romano Impero. Dopo la sconfitta di Marignano, la Svizzera si è contrattualmente e strettamente legata alla Francia, rinunciando di fatto a qualsiasi politica di forza.

La chiave del successo del nostro Paese non è stata quella di farsi rispettare con la forza, ma di mantenere degli scambi intensi e di concludere così degli abili accordi con i nostri vicini, mostrando sempre d’altronde il nostro impegno verso il diritto internazionale. Senza quest’ultimo, un Paese neutro così «piccolo» come il nostro non avrebbe potuto sopravvivere, come sostiene Christoph Mörgeli (UDC) nell’edizione del 28 agosto 2014 sulla Weltwoche: «Il 20 novembre 1815, la Svizzera ha ottenuto il riconoscimento internazionale della sua neutralità. Nel 1907, la Conferenza dell’Aia ha codificato nel diritto internazionale lo statuto di neutralità, che è ancora valevole ai nostri giorni.» In altre parole, la neutralità della Svizzera non avrebbe avuto nessun valore senza iscrizione nel diritto internazionale e senza il riconoscimento di quest’ultimo. È precisamente questo che l’UDC vuole abolire attraverso la sua iniziativa per l’autodeterminazione.

La Svizzera si è affermata sulla scena internazionale grazie a un commercio intenso e ad abili accordi conclusi con i suoi vicini. Questa strategia vincente è sempre attuale, anche secoli più tardi. Grazie a relazioni solide sviluppate nel corso del tempo, la Svizzera trae profitto da importanti ricadute economiche che beneficiano alla sua popolazione, facendo del nostro paese quello che è oggi: uno Stato sovrano, attore sulla scena internazionale e la cui popolazione può esprimere democraticamente il suo punto di vista sulle relazioni con l’estero e questo senza temere di essere invasi da una forza straniera. Mai nella sua storia la Svizzera è stata tanto indipendente e sovrana quanto lo è

Il diritto internazionale è un diritto straniero?

Il diritto internazionale si basa sull’impegno volontario degli Stati, quali attori del diritto internazionale, a conformarsi ad una regola giuridica. Non si tratta dunque in alcun caso di un diritto imposto dall’estero. Al contrario del diritto estero (per esempio il diritto europeo, francese o russo), il diritto internazionale fa integralmente parte dell’ordine giuridico svizzero. Inoltre, i testi di diritto internazionale, dal momento che sono ratificati dalla Svizzera, diventano diritto svizzero a tutti gli effetti, allo stesso modo che le nostre leggi o la nostra Costituzione.

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oggi. Non c’è dunque nessun motivo valido e ragionevole per cambiare una via che porta i suoi frutti.

La Svizzera moderna si è costruita grazie al diritto internazionale La Svizzera moderna ha costruito e preservato la sua sovranità e le sue frontiere non sul campo di battaglia, bensì grazie ai successi ottenuti al tavolo delle trattative. È al Congresso di Vienna (1815), dove le fondamenta del nuovo ordine politico in Europa sono state poste, che la Svizzera ha rafforzato la propria indipendenza. Il sostegno delle grandi potenze europee in questa riorganizzazione nel 19° secolo è stata una protezione della sua sovranità ben migliore di qualsiasi esercito al mondo. I negoziatori svizzeri hanno così utilizzato abilmente gli interessi di Berlino, Vienna, Parigi, Londra e San Pietroburgo per rafforzare e assicurare il ruolo del nostro Paese nel continente europeo. Il sostegno delle grandi potenze europee ha protetto la nostra sovranità meglio di qualunque esercito al mondo. Questo si è rivelato molto più efficace di ogni velleità di volersi imporre con la forza.

Da allora la Svizzera ha continuato a sviluppare strette relazioni economiche in Europa e in tutto il mondo. Dopo l’installazione della Società delle Nazioni nel 1921 a Ginevra, il nostro Paese ospita la sede di diverse organizzazioni internazionali (ONU, OMC, OMS, HCR, ecc.), ponendoci di fatto al centro delle relazioni internazionali.

La Svizzera ha pienamente tratto profitto dal progetto di pacificazione europea nato dopo la Seconda Guerra mondiale. Un progetto che ha attribuito all’Europa una stabilità politica ed economica mai conosciuta in precedenza, di cui beneficiamo direttamente a livello commerciale ma non solo.

Non abbiamo nessun interesse a un ritorno in forza del nazionalismo e a una diminuzione della cooperazione tra Stati, tema comunque d’attualità in parecchi paesi. Considerata

Cos’è la sovranità?

Il termine «sovranità» risale al 16° secolo ed è stato definito dal filosofo e giurista francese Jean Bodin. Egli l’ha utilizzato per giustificare la forza unica e assoluta di un re, comparando questa forza al potere assoluto di un sovrano sui suoi servi. Fortunatamente molte cose sono cambiate dall’epoca di Jean Bodin. La separazione dei poteri di Montesquieu è seguita all’assolutismo reale. Non è più una sola e unica persona che emana le leggi, le applica e punisce le infrazioni.

In Svizzera, è generalmente ammesso che il popolo è sovrano. Tuttavia, ciò non significa che gli individui emanino delle leggi e giudichino gli accusati. Con lo scopo di garantire la protezione delle minoranze e l’uguaglianza di trattamento degli individui di fronte alla legge, gli Svizzeri hanno ceduto una parte della loro sovranità al Parlamento, al Governo e alle autorità giudiziarie.

Il principio è lo stesso a livello internazionale. Con lo scopo di poter difendere in maniera identica i diritti dei piccoli e grandi Stati, le nazioni delegano certi poteri a tribunali internazionali o ad altre organizzazioni. Anche la Svizzera lo fa. È a questa condizione che può entrare in relazione con altri Paesi da pari a pari. Così facendo, essa non rinuncia alla sua sovranità, ma sceglie il mezzo più efficace di esercitarla. In un mondo globalizzato, gli accordi intergovernativi – che formano il diritto internazionale – sono indispensabili per non sprofondare nella legge della giungla, dove il più forte detterebbe la «sua legge» agli altri.

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l’esiguità del nostro territorio e del nostro mercato interno, la nostra prosperità si baserà anche in futuro su intensi scambi con tutto il mondo. Degli scambi «ad armi pari» che soltanto la cooperazione e il diritto internazionale possono garantirci. La chiusura e l’isolamento dal resto del mondo non sono delle opzioni. Per proteggere gli interessi della Svizzera, delle imprese e della sua popolazione, è al centro delle nazioni che bisogna stare e non ai margini, dove i più forti dettano legge.

Le referenze storiche degli iniziativisti sono quantomeno azzardate Da diversi anni, lo spettro dei «giudici stranieri» è fomentato dagli ambienti conservatori, che prendono il Patto federale del 1291 in ostaggio per sostenere le loro tesi. È utile ricordare in che contesto esso è stato firmato e a beneficio di chi! Il Patto federale è intervenuto nell’ambito di un accordo di pace tra alcune valli della Svizzera centrale. Fu deciso di non accettare più dei giudici che avrebbero ottenuto il loro posto grazie ai soldi o che non sarebbero stati degli abitanti della regione. In altre parole, questo trattato garantiva alle élite locali di conservare l’accesso alle funzioni chiave. Perché? Il re Rudolph 1° di Asburgo era morto qualche settimana prima. Prima del suo regno, il potere era stato alquanto contestato, facendo così nascere un periodo molto agitato. Nel 1291, si temeva dunque un nuovo periodo di incertezze: si trattava di preservare le condizioni esistenti fino a quel momento. I giudici restavano dunque delle persone provenienti dai ranghi della nobiltà e, in ultima istanza, si faceva appello al re tedesco! La situazione che conosciamo oggi non è paragonabile a quella del 1291. Noi siamo da tempo implicati nel diritto internazionale come Stato sovrano. Noi accettiamo – di nostra propria iniziativa –

Quali giudici stranieri?

«Il diritto internazionale pubblico è veramente applicato dai giudici stranieri come ripetuto in maniera quasi incosciente? Questa immagine è sbagliata sotto diversi punti di vista. In primo luogo, non esiste nessun tribunale a livello internazionale che abbia la competenza di decretare una sentenza obbligatoria per la Svizzera contro la sua volontà. Secondo, come per la formazione del diritto internazionale pubblico, il principio di consenso prevale. La Svizzera può decidere liberamente se desidera sottomettersi alla giurisdizione di una corte internazionale, evento che capita molto raramente. Analogamente a tutti gli Stati europei, a parte il regime dittatoriale della Bielorussia, la Confederazione svizzera ha dato il suo consenso alla Corte europea dei diritti dell’uomo aderendo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Così, non si tratta solamente di garantire e proteggere i diritti di ogni persona vivente in Svizzera, ma anche di evitare i pericoli provenienti da altri Stati adottando una politica repressiva e contraria ai diritti umani e che, a causa della loro attitudine ostile, rappresentano una potenziale minaccia per i loro vicini.

Ad ogni modo, è esatto affermare che i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo sono dei giudici «stranieri»? In tal caso, ogni Stato membro, tra i quali la Svizzera, può delegare un giudice che siederà a Strasburgo. Così, i giudizi della Corte, anche quando sono contro la stessa Svizzera, non provengono da nessun giudice «straniero». Se avessimo seguito questo ragionamento, allora il Tribunale federale potrebbe ricorrere alle stesse argomentazioni quando decide, per esempio, sui ricorsi deposti contro il Tribunale svittese concernente un affare svittese, in assenza di un giudice del cantone preso in causa.»

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delle regole internazionali che si applicano a tutti gli Stati. È il segno che la Svizzera è un paese sovrano come gli altri. Noi siamo altrettanto soddisfatti quando una Corte internazionale punisce gli atti illeciti contrari al diritto o uno Stato che viola i diritti più elementari. Sono i cittadini svizzeri e le imprese svizzere che beneficiano delle regole comuni e dei diritti applicabili in tutto il mondo. Un giudizio che può anche non piacere a qualcuno, ma ciò non significa sottomettersi a un’autorità straniera.

L’iniziativa attacca uno dei nostri valori fondamentali, il pragmatismo

L’iniziativa destabilizza profondamente il nostro ordine giuridico Introducendo un meccanismo rigido di risoluzione per le eventuali differenze tra diritto svizzero e diritto internazionale, l’iniziativa per l’autodeterminazione attacca il pragmatismo che prevale in Svizzera in questo tipo di situazioni. Come indicato in precedenza, le contraddizioni sono estremamente rare (cf. tabella seguente). Oggi, esse sono regolate in maniera pragmatica dalle autorità del Paese (Parlamento, Tribunale federale) che procedono a una valutazione degli interessi tra la volontà popolare espressa e il rispetto degli impegni internazionali presi in precedenza, in maniera totalmente sovrana e democratica. Non vi è dunque nessun problema reale e per i rari casi in cui la questione si pone oggi e in futuro, l’iniziativa prevede un meccanismo rigido – rinegoziazione, in seguito disdetta del trattato – che saboteranno in realtà le conquiste e i diritti del nostro Paese.

Un rompicapo per le autorità e i tribunali svizzeri L’effetto negativo diretto sui trattati esistenti, alcuni dei quali sono in vigore da decenni o addirittura da più di un secolo (è il caso per esempio del trattato d’amicizia tra la Svizzera e la Cina del 1918 che serve sempre come base alle relazioni diplomatiche tra i due Stati), è ancora più problematico. Senza dimenticare che introdurremmo una pratica giurisdizionale in seno ai tribunali svizzeri totalmente inedita: questi ultimi non dovrebbero

Esempi di iniziative contrarie agli impegni internazionali:

Protezione delle Alpi (1994): contravviene all’Accordo terrestre concluso dapprima con la CEE, poi l’UE, che esclude ogni regime di contingenti o di permessi.

Internamento a vita dei criminali pericolosi (2004): contravviene alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che stipula che ogni sentenza debba poter essere sottoposta a riesame ad intervalli regolari.

Divieto dei minareti (2009): contravviene alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e al Patto dell’ONU sui diritti civili e politici.

Rinvio dei criminali stranieri (2010): contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la cui giurisprudenza chiede l’esame di proporzionalità dei rinvii, caso per caso.

Iniziativa contro l’immigrazione di massa (2014): contravviene all’accordo sulla libera circolazione delle persone, chiedendo la reintroduzione di contingenti.

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così più rispettare gli accordi internazionali che, per una qualsiasi ragione, non sono (più) pienamente conformi alla Costituzione, anche se sono stati accettati dal popolo o confermati a più riprese, come gli Accordi bilaterali. Finora, la pratica ha dato i suoi frutti: le nostre Istituzioni funzionano e i tribunali soppesano gli interessi efficacemente con lo scopo di trovare una soluzione praticabile ed applicabile, nell’interesse della Svizzera.

L’iniziativa non rispetta la tradizione umanitaria della Svizzera

Una delle forze della Svizzera è la sua lunga tradizione umanitaria. Il nostro Paese è la patria della Croce Rossa, l’unica organizzazione non governativa al mondo che rispetta il diritto internazionale umanitario. La Svizzera gode così di una funzione di modello unico nell’ambito dei diritti dell’uomo, che deve essere preservata.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) protegge i cittadini e le imprese contro le decisioni arbitrarie. Anche se i diritti fondamentali sono iscritti nella Costituzione federale del 1999, diversi casi hanno mostrato la necessità di poter ricorrere a Strasburgo per cittadini svizzeri così che i loro diritti fossero rispettati.

L’accettazione dell’iniziativa «libererebbe» la Svizzera dall’obbligo di conformarsi alla CEDU, dato che quest’ultima non è stata soggetta a referendum, visto che la Costituzione federale non prevedeva nel 1974 di sottoporre un tale trattato al popolo sovrano. Questo equivarrebbe dunque a una denuncia pura e semplice di questo testo fondamentale. Ciò metterebbe comunque in discussione l’adesione della Svizzera al Consiglio d’Europa15. Inutile dire che sarebbe un vero e proprio schiaffo per la Svizzera e la sua tradizione umanitaria, paese natale della Croce Rossa e sede di numerose istituzioni dell’ONU e di ONG.

Inoltre, la protezione giuridica dei cittadini svizzeri e delle imprese in altri Paesi sarebbe compromessa, dato che la CEDU include, per esempio, il diritto ad un processo equo, la libertà d’espressione o la protezione della vita privata. Per un Paese come il nostro, sarebbe semplicemente inammissibile.

15 La Svizzera è diventata il 17° membro dell’organizzazione il 6 maggio 1963. Creato nel 1949 e con sede a Strasburgo, il Consiglio d’Europa è l’organizzazione politica europea più grande, in termine di paesi membri, e più anziana. Il Consiglio concentra le sue attività sulla promozione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. IL Consiglio d’Europa conta oggi 47 membri che rappresentano una popolazione totale di oltre 800 milioni di persone. Finora, la Svizzera ha ratificato più della metà di circa 200 convenzioni del Consiglio d’Europa. Queste costituiscono la base delle modifiche e delle armonizzazioni legislative nei diversi Stati membri. Una delle più grandi realizzazioni del Consiglio d’Europa è la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Essa conferisce il diritto di deporre delle lamentele individuali presso la Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. Ogni vittima di una violazione dei diritti o delle garanzie contenute nella Convenzione o nei suoi protocolli può far riferimento alla Corte. La violazione deve concernere uno degli Stati che aderiscono alla Convenzione.

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Allegato 1 Le istanze presso le quali possiamo difendere i nostri diritti Grazie a più di 5'000 accordi internazionali conclusi dalla Svizzera, possiamo difendere i nostri interessi sulla scena internazionale e ricorrere a differenti giurisdizioni internazionali in caso di conflitto. Eccovi qualche esempio. Dispute Settlement Body dell’OMC

L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), fondata nel 1995, ha la propria autorità di regolamentazione delle dispute per gestire i conflitti commerciali tra gli Stati. All’inizio, la regolamentazione richiede dei negoziati tra le parti in conflitto, ma dopo 60 giorni lo Stato denunciante può esigere la convocazione di un gruppo di esperti. La decisione del gruppo speciale può essere rinviata all’autorità d’appello permanente dell’OMC. La loro decisione viene poi applicata e può, se necessario, essere applicata con delle pene pecuniarie. La Svizzera è membro dell’OMC dal 1° luglio 1995.

Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti (ICSID) di Washington

L’ICSID è un’autorità della Banca mondiale e sostiene il regolamento delle controversie tra investitori e Stati sulla base di accordi di protezione degli investimenti. La Svizzera fa parte dei 150 Stati membri. Se un accordo lo prevede, l’ICSID fornisce delle regole e l’infrastruttura per una procedura o una mediazione in caso di conflitto. Una sentenza arbitrale è considerata come un giudizio definitivo e deve essere applicata immediatamente. Corte internazionale di giustizia (CIG) dell’Aia

La Svizzera ha riconosciuto la CIG nel 1948: si tratta del tribunale più importante delle Nazioni Unite. La Corte può essere chiamata ad intervenire nei conflitti tra gli Stati se tutte le parti toccate riconoscono la sua competenza. Finora la Svizzera è stata coinvolta in due procedure. L’ultimo caso (2006) concerneva un’azione ritirata dalla Repubblica domenicana perché un cittadino si era visto rifiutare lo statuto diplomatico a Ginevra. La CIG è composta da 15 giudici eletti dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Corte penale internazionale (CPI) dell’Aia

La CPI è stata fondata in seguito ai genocidi in ex-Iugoslavia e in Ruanda ed è attiva dal 2002. È basata sullo Statuto di Roma – un trattato internazionale al quale 123 Stati, tra i quali anche la Svizzera, hanno aderito. La Corte penale tratta dei crimini di diritto internazionale commessi da individui quando uno Stato non può o non vuole punirli. Si tratta soprattutto di genocidio, di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. Tutti gli Stati contraenti possono nominare dei giudici alla CPI e dispongono di una voce alla loro elezione.

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Tribunale internazionale del diritto del mare (ITLOS) di Amburgo Il Tribunale delle Nazioni Uniti per il diritto del mare esiste dal 1996 e può essere invocato dagli Stati, dai singoli e dalle organizzazioni. Esso è responsabile del rispetto del diritto marittimo internazionale, per esempio dei diritti sovrani sugli oceani e sull’utilizzazione dei fondi marini. La Svizzera ha aderito al trattato nel 2009. Quale paese senza sbocco sul mare, la Svizzera ha interesse che i conflitti relativi alle rivendicazioni di potere e allo sfruttamento delle materie prime sui fondi marini siano risolti pacificamente e tramite mezzi legali.

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Allegato 2 Il diritto internazionale e la democrazia diretta svizzera Il diritto internazionale è un diritto straniero?

Il diritto internazionale si basa su un impegno volontario degli Stati, in quanto soggetti del diritto internazionale, a conformarsi a una regola giuridica. Non si tratta dunque assolutamente di un diritto imposto dall’estero. Contrariamente al diritto straniero (ad esempio il diritto europeo, francese o russo), il diritto internazionale fa integralmente parte dell’ordine giuridico svizzero16. Così, i testi di diritto internazionale, dopo che sono stati ratificati dalla Svizzera, entrano a far parte del diritto svizzero, alla pari delle nostre leggi o della nostra Costituzione.

Quando il diritto internazionale vincola la Svizzera? Come è il caso in materia di contratti privati (tra persone), il diritto internazionale vincola la Svizzera solo quando il nostro paese sceglie di prendere parte ad un accordo preciso. È il Consiglio federale che ne ha la competenza. Quando il trattato entra in vigore, diventa parte del diritto svizzero (monismo); gli impegni presi devono dunque essere rispettati. Nel diritto internazionale, questo si chiama pacta sunt servanda – una regola codificata nella Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 che la Svizzera ha ratificato.

Chi decide di impegnare la Svizzera a livello internazionale? In Svizzera, è il Consiglio federale che determina se è nell’interesse della Svizzera – e se ciò è conforme alla Costituzione – impegnarsi a livello internazionale. Per i trattati importanti che creano nuovi obblighi, la Costituzione prevede un’autorizzazione espressa del Parlamento – ciò che può tradursi in una votazione popolare, se il referendum facoltativo viene lanciato. Il Consiglio federale può decidere di sottoporre a referendum obbligatorio alcuni accordi: questo è stato il caso per gli Accordi bilaterali stipulati con l’UE o per l’adesione all’ONU17.

Firma, ratifica … e il popolo svizzero? L’articolo 184 capoverso 2 Cost. indica che è il Consiglio federale che sottoscrive i trattati, li sottopone all’approvazione dell’Assemblea federale e li ratifica. Secondo l’articolo 166 capoverso 2 Cost., spetta all’Assemblea federale approvare i trattati, ad eccezione di quelli la cui conclusione dipende dalla sola competenza del Consiglio federale in virtù di una legge o di un trattato. L’articolo 140 capoverso 1 lettera b Cost. prevede che l’adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sovranazionali è sottoposta al voto del popolo e dei cantoni. Trattandosi del referendum facoltativo in materia di trattati, l’articolo 141 capoverso 1 lettera d Cost. prevede che, se 50’000 cittadini e cittadine aventi diritto di voto o otto cantoni lo chiedono entro 100 giorni a decorrere dalla pubblicazione ufficiale dell’atto, sono sottoposti al voto del popolo i trattati che (1) sono di una durata indeterminata e non sono denunciabili, (2) prevedono l’adesione a un’organizzazione internazionale o (3) contengono disposizioni importanti che fissano regole di diritto o la cui applicazione richiede

16 Sistema detto del monismo, cf. allegato 6 del presente documento 17 Per maggiori dettagli sulla procedura interna d’approvazione di un trattato, cf : https://www.eda.admin.ch/dam/eda/fr/documents/publications/Voelkerrecht/Praxisleitfaden-Voelkerrechtliche-Vertraege_fr.pdf (dalla pagina 25)

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l’adozione di leggi federali. Una votazione popolare ha luogo solo se il referendum obbligatorio o la domanda di referendum facoltativo hanno successo. Il Consiglio federale deve attendere l’esito positivo del voto prima di ratificare l’accordo (soltanto la ratifica genera l’entrata in vigore nel nostro ordine giuridico). Un trattato respinto in votazione popolare non può così essere ratificato e non entra nemmeno in vigore per la Svizzera.18

18https://www.eda.admin.ch/dam/eda/fr/documents/publications/Voelkerrecht/Praxisleitfaden-Voelkerrechtliche-Vertraege_fr.pdf

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Allegato 3 Il popolo svizzero ha sempre mostrato la via da seguire con l’Unione europea Gli iniziativisti affermano che il Consiglio federale preferisca prendere ordini da Bruxelles piuttosto che dal popolo svizzero. Dopo gli anni ‘70, le relazioni della Svizzera con l’UE non sono mai state portate avanti senza l’accordo del popolo e dei cantoni. I cittadini svizzeri hanno così – giustamente – sempre avuto la possibilità di dire la loro parola, come mostra la tabella seguente. Ogni tappa importante delle nostre relazioni con l’Unione europea è stata del resto approvata dal popolo. Nessuno ha nascosto nulla sotto il tappeto, o fatto progressi, come sostengono gli ambienti conservatori. E come dimostra l’ultima votazione sull’iniziativa Ecopop, il popolo non vuole né soluzioni estreme per limitare l’immigrazione, né tagliare definitivamente i ponti con l’Europa.

Anno Tema della votazione SÌ NO

1972 Accordo di libero scambio con la Comunità economica europea (CEE) e gli Stati membri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA)

72,5% 27,5%

1992 Adesione allo Spazio economico europeo (SEE) 49,7% 50,3%

1997 Iniziativa popolare „Negoziati d’adesione all‘UE: decida il popolo! » 25,9% 74.1%

2000 Accordi bilaterali I 67,2% 32,8%

2001 Iniziativa popolare «Sì all’Europa!» 23,2% 76,8%

2005 Schengen / Dublino (Accordi bilaterali II) 54,6% 45,4%

2005 Estensione della libera circolazione delle persone ai 10 nuovi Stati membri 56,0% 44,0%

2006 Cooperazione con gli Stati dell’Europa dell’Est 53,4% 46,6%

2009 Riconduzione della libera circolazione delle persone ed estensione alla Bulgaria e alla Romania

59,6% 40,4%

2009 Introduzione del passaporto biometrico (prolungamento dell’Accordo Schengen)

50,1% 49,9%

2014 Iniziativa popolare «Contro l’immigrazione di massa» 50,3% 47,7%

2014 Iniziativa popolare «Stop alla sovrappopolazione» (Ecopop) 25,9% 74,1%

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Allegato 4 Gli accordi sottoposti a referendum e quelli che non lo sono

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Allegato 5 La Corte europea dei diritti dell’uomo La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) non è un’istituzione dell’Unione europea. Si tratta di una giurisdizione presso il Consiglio d’Europa incaricata di vegliare al rispetto della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 da parte dei 47 Stati (dall’Islanda alla Turchia, dal Portogallo alla Russia) che l’hanno sottoscritta. Elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa, questa Convenzione ratificata il 4 novembre 1950, è in linea con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Dopo la sua entrata in vigore (1953), sono stati adottati sedici protocolli aggiuntivi, che hanno aggiunto dei diritti e delle libertà a quelli riconosciuti nel testo iniziale, come ad esempio il divieto generale di ogni tipo di discriminazione (Protocollo no 12). La CEDU, creata dalla Convenzione, è stata attuata nel 1959. Essa ha sede a Strasburgo e si compone di un numero di giudici pari a quello degli Stati contraenti, ossia 47 giudici, eletti per un mandato di 9 anni non rinnovabile. Questi magistrati sono totalmente indipendenti, essi siedono a titolo individuale e non rappresentano lo Stato a nome del quale sono stati eletti. La Svizzera è rappresentata dalla giudice Helen Keller. Ogni Stato firmatario della Convenzione e, dal 1998, ogni persona residente (privato, associazione…) che si ritenga vittima di una violazione della Convenzione e che ha esaurito le vie di ricorso davanti alle giurisdizioni del suo paese, può rivolgersi alla Corte. Gli atti sono istruiti secondo una procedura contraddittoria e pubblica. In mancanza di una soluzione amichevole, la Corte stabilisce un decreto che l’autorità nazionale messa in causa è tenuta ad applicare – ma non costretta. Oggi, gli Svizzeri beneficiano anch’essi della protezione della CEDU e possono riferirvisi se necessario. Tuttavia, il nostro paese ha potuto aderire alla Convenzione solo nel 1974, quando il diritto di voto delle donne è stato introdotto a livello nazionale. Infine, notiamo che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha esaminato 5’611 denunce contro la Svizzera. E il 98,5% di queste sono state respinte.

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Allegato 6 Il confronto con la Germania non tiene! I sostenitori dell’iniziativa affermano che la Corte costituzionale federale tedesca ha deciso di non applicare i decreti della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) se questi contraddicono la Costituzione tedesca. In altre parole, ciò che l’UDC esige è già applicato in Germania: il diritto nazionale deve prevalere sul diritto internazionale. Questa argomentazione è inesatta e il confronto con la pratica tedesca è ingannevole sotto diversi punti di vista. La Germania e la Svizzera regolano i rapporti tra il diritto internazionale e il diritto nazionale in maniera fondamentalmente diversa: i loro sistemi sono difficilmente confrontabili. Come constata il professor Robert Kolb, «La Costituzione svizzera è […] caratterizzata da una mobilità che altre costituzioni statali non hanno. L’iniziativa popolare è suscettibile di farvi entrare in ogni momento degli elementi anomali essendo potenzialmente in conflitto con il diritto internazionale. Vi è qui una notevole differenza con la prassi giuridica di altri Stati, quando questi ultimi accordano la priorità alle norme costituzionali rispetto alle norme internazionali. Da loro, la costituzione è «chiusa a chiave». Essa può essere modificata solo mediante processi lenti e controllati dalle istituzioni. L’iniziativa popolare non esiste. Il conflitto con il diritto internazionale può di conseguenza essere molto più sapientemente dosato e molto spesso interamente evitato. »19

La Germania ha un sistema giuridico dualista, la Svizzera monista La Germania e la Svizzera regolano i rapporti tra il diritto internazionale e il diritto nazionale in maniera fondamentalmente diversa. La Germania segue un approccio dualista, ossia: il diritto nazionale tedesco e il diritto internazionale rappresentano due sistemi giuridici diversi. In Germania, il diritto internazionale dev’essere trasformato in diritto nazionale tramite un atto giuridico. Dal momento che il diritto internazionale dev’essere trasformato in diritto nazionale, nessun trattato di diritto internazionale ha uno statuto costituzionale in Germania. Questo ordine di precedenza è inerente al sistema. Questo non significa tuttavia che in Germania il diritto nazionale prevalga sistematicamente sul diritto internazionale. Il sistema giuridico svizzero ha una struttura monista. Il diritto internazionale e il diritto nazionale rappresentano un ordine giuridico globale uniforme. In Svizzera, il diritto internazionale ratificato diventa automaticamente parte integrante del diritto nazionale. A seguito del contrasto tra dualismo e monismo, la relazione tra il diritto internazionale e quello nazionale in Germania non è facilmente comparabile a quello della Svizzera. Chiunque faccia valere che la Germania non è tenuta ad applicare i decreti della Corte europea dei diritti dell’uomo in caso di violazione della legge fondamentale fa un confronto sbagliato e, dunque, inammissibile. Per quanto concerne i trattati internazionali, la Germania riconosce generalmente il principio della lex posterior, secondo il quale il diritto più giovane prevale sul diritto più vecchio. Tuttavia, la CEDU è esente da questo principio e beneficia della precedenza anche rispetto ad una legge promulgata in seguito. Dal 1987, la Corte costituzionale federale ha precisato che la CEDU e la sua giurisprudenza costituiscono delle norme minime per la Legge fondamentale tedesca. I diritti garantiti dalla Legge fondamentale tedesca possono andare al di là del livello di protezione della CEDU. Così, ad esempio, nell’affare Görgülü (2004), la Corte costituzionale federale ha sottolineato che i tribunali tedeschi sono tenuti ad applicare la CEDU e a conformarsi ai

19 Ibidem

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decreti della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dopo il decreto Görgülü, la Corte costituzionale federale ha inoltre considerato l’applicazione dei decreti della CEDU come facenti parte dello Stato di diritto e li ha infine elevati al livello costituzionale. Nel contempo, il livello di protezione dei diritti fondamentali garantiti dalla Legge fondamentale non dev’essere limitato dall’adozione dei decreti della Corte europea dei diritti dell’uomo. L'affermazione nel decreto secondo la quale, eccezionalmente, il diritto internazionale non dev’essere rispettato se è in conflitto con dei principi importanti della Costituzione è stato abusato in altri paesi per giustificare la resistenza alla CEDU. Benché il decreto Görgülü della Corte costituzionale federale dia nominalmente l’"ultima parola" alla Corte costituzionale federale, esso non ha modificato in maniera significativa i limiti costituzionali della conformità con la CEDU in Germania. Non si può dedurre dal menzionato decreto Görgülü della Corte costituzionale federale che l’ordine costituzionale tedesco possa servire da giustificazione alla mancata esecuzione dei decreti della CEDU. Il decreto Görgülü autorizza di fatto i tribunali tedeschi a un movimento di distanziamento della Corte europea dei diritti dell’uomo unicamente in casi assolutamente eccezionali – ad esempio, se il caso eternamente valido della Legge fondamentale è in conflitto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Attuazione esemplare dei decreti della Corte europea dei diritti dell’uomo È lodevole che la Corte costituzionale federale non si sia allontanata dalla giurisprudenza di Strasburgo, perfino in situazioni difficili. Questo viene comprovato in particolare dal famoso caso di detenzione preventiva retrospettiva e di protezione della vita privata delle persone nella vita pubblica (sentenza Hannover). La Corte costituzionale federale è perfino pronta a riconsiderare la propria pratica alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di conseguenza, la Corte costituzionale federale ha messo in prospettiva le sue controverse dichiarazioni nell’affare Görgülü. Le sentenze Hannover mostrano che le relazioni tra la Germania e la Corte europea dei diritti dell’uomo sono caratterizzate dal reciproco rispetto e da un’intensa cooperazione. La Corte costituzionale federale sottolinea che i conflitti con la CEDU devono essere evitati. Quale contropartita, la CEDU accetta regolarmente gli approcci tedeschi nell’applicazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. La Germania è inoltre confrontata a una contestazione costituzionale analoga nelle sue relazioni con il diritto dell’UE. Anche qui, la Corte costituzionale federale ha trovato il mezzo di accettare la precedenza fondamentale del diritto dell’UE riservandosi la competenza di esaminare l’eventuale protezione più elevata dei diritti fondamentali in virtù della Legge fondamentale. La Germania non è dunque considerata come un avversario importante quando si tratta di rispettare il diritto internazionale e lo ha dimostrato, compresi i cosiddetti «giudici stranieri». È dunque giuridicamente insostenibile paragonare le esigenze dell’iniziativa dell’UDC contro il diritto internazionale alle pratiche della Germania. Le pretese similitudini evidenziate dai sostenitori dell’iniziativa non tengono il confronto con la realtà, come è stato dimostrato in precedenza. Questa iniziativa richiede di fatto la precedenza della Costituzione federale su tutti i trattati internazionali attuali e futuri, anche retroattivamente.

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Allegato 7 Gli argomenti degli alleati del “NO” Un attacco contro la protezione giuridica degli individui La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) è composta da giudici nominati democraticamente e originari dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa. Ogni persona che ritenga che i suoi diritti umani siano stati violati da una sentenza pronunciata in Svizzera può, dopo essere passato dalla più alta istanza svizzera, rivolgersi alla Corte EDU di Strasburgo. Se quest’ultima dovesse stabilire che la sentenza violi i diritti umani garantiti dalla CEDU, la sentenza dovrebbe allora essere adattata dalla giurisdizione competente in Svizzera. In passato, la CEDU ha avuto effetti positivi importanti in Svizzera sulla protezione dei diritti umani nei confronti dello Stato. Così, prima dell’applicazione della CEDU, era possibile in Svizzera condannare delle persone a un internamento «amministrativo» senza che queste ultime potessero difendersi davanti a un tribunale. È anche grazie alla CEDU che è stato introdotto il diritto di voto delle donne. Alcune sentenze hanno inoltre permesso un rafforzamento dei diritti dei lavoratori, dei bambini o delle donne. Ancora oggi, appaiono regolarmente dei casi in cui la CEDU agisce come ultima istanza contro una violazione dei diritti umani. L’obiettivo dell’iniziativa UDC è di fare in modo che la Svizzera non sia più costretta ad adattare le sue decisioni alle sentenze della Corte EDU, rimettendo in discussione l’insieme del sistema di Strasburgo. Recentemente, nell’ambito della votazione sull’iniziativa di attuazione, il popolo svizzero ha potuto esprimersi per la prima volta sulla questione della validità della CEDU e degli altri accordi internazionali come gli accordi bilaterali. L’iniziativa, che è stata respinta dal popolo, non rispondeva dunque a un bisogno dei votanti, contrariamente a quanto continuano a far credere i sostenitori, in particolare nel settore dei «criminali» stranieri. Il popolo svizzero ha mostrato chiaramente, il 28 febbraio 2016, il proprio attaccamento allo Stato di diritto, ai diritti fondamentali e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Un attacco contro i diritti umani sapientemente camuffato È allarmante che l’UDC non attacchi apertamente i diritti umani, che rappresentano regolarmente un ostacolo al suo programma politico. Di fatto, cosciente che un rifiuto manifesto dei diritti umani sarebbe mal percepito dalla popolazione, il partito preferisce optare per un’altra strada sostenendo la precedenza della Costituzione al solo scopo di indebolire i diritti umani. Esso spera così di poter ottenere una decisione popolare contro i diritti umani senza suscitare un dibattito pubblico sulla loro importanza.

Un’iniziativa pericolosa per la sicurezza e la pace in Europa Accettando questa iniziativa, la Svizzera si avvicinerebbe ad uno Stato assai problematico: la Bielorussia e il suo regime dittatoriale, il solo paese nel continente europeo i cui cittadini non possono fare appello alla CEDU. La CEDU è stata fondata dopo la Seconda Guerra mondiale allo scopo di definire degli standard minimi in materia di diritti umani e nel contempo di sostenere la democrazia e garantire la pace. Se la Svizzera dovesse accettare l’iniziativa – e dunque essere il primo paese dell’Europa occidentale a decidere di ritirarsi dal sistema della CEDU –, la protezione dei diritti umani in Europa nel suo insieme ne risulterebbe indebolita e rimessa in discussione.

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Un’iniziativa che indebolisce la democrazia diretta Se l’iniziativa dovesse essere accettata, chi sarebbe allora abilitato a decidere la revoca dei trattati internazionali? Non il popolo, come ci si potrebbe aspettare, bensì il Consiglio federale. Spetterebbe a esso determinare, in caso di contraddizione tra la Costituzione e un trattato internazionale, se quest’ultima è tale da richiedere la denuncia del trattato. Il Consiglio federale potrebbe dunque disdire dei trattati, tuttavia accettati dal popolo, senza che quest’ultimo possa pronunciarsi. Il potere del Consiglio federale sarebbe rafforzato, mentre quello del popolo e del Parlamento sarebbe indebolito, comportando di conseguenza anche un indebolimento della democrazia diretta. Maggiori informazioni sulla campagna dell’Alleanza per i diritti umani: http://unitidaldiritto.ch/ https://www.amnesty.ch/it/i-diritti-umani-sono-la-nostra-forza/i-diritti-umani-sono-la-nostra-forza

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Allegato 8 La famosa prassi Schubert La Costituzione federale del 18 aprile 1999 stipula, al suo articolo 5 capoverso 4, che la Confederazione e i cantoni devono rispettare il diritto internazionale. Questa disposizione codifica il principio della supremazia del diritto internazionale, che deriva dall’obbligo per gli Stati di applicare le norme del diritto internazionale alle quali sono legati. La Costituzione federale prevede inoltre, all’articolo 190, che il Tribunale federale e le altre autorità siano tenuti ad applicare il diritto internazionale e le leggi federali. Per contro, essa non indica il modo con cui risolvere un conflitto tra una norma di diritto internazionale e una norma di diritto interno, ad eccezione tuttavia del caso delle iniziative popolari, di cui la Costituzione prevede l’invalidazione quando esse sono contrarie alle regole imperative del diritto internazionale (ad esempio, il divieto del genocidio, della tratta di esseri umani, della discriminazione razziale, della tortura, della persecuzione arbitraria e degli attacchi alla vita e all’integrità fisica). Questo silenzio del costituente risulta da una volontà deliberata di lasciare alle autorità d’applicazione il compito di procedere, nel caso concreto, a una valutazione degli interessi in gioco e di trovare una risposta al conflitto. Per il costituente del 1999, si trattava in particolare di lasciare la possibilità al Tribunale federale di mantenere la sua pratica Schubert20, in virtù della quale una legge federale contraria al diritto internazionale potrebbe essere applicata a titolo eccezionale, se il legislatore ha consapevolmente intravisto la violazione del diritto internazionale. Il costituente del 1999 ha dunque optato per una soluzione pragmatica, pronunciandosi a favore della prevalenza del diritto internazionale mantenendo la possibilità, nella pratica, di riconoscere alcune eccezioni a questa prevalenza, come per la pratica Schubert21. Se la giurisprudenza e la dottrina hanno sempre considerato il diritto internazionale come prevalente nei casi di conflitto fra trattati internazionali e la Costituzione federale, da una parte, e fra trattati internazionali e disposizioni nazionali, che sono di livello inferiore alle leggi federali, dall’altra parte, la questione delle relazioni tra il diritto internazionale e le leggi federali è invece sempre stata molto controversa22. Di fatto, se all’inizio del secolo, il Tribunale federale aveva ritenuto che i trattati internazionali avessero la precedenza sulle leggi interne, anche quelle adottate in seguito, esso ha modificato questa pratica una prima volta negli anni 1920-1930, non solo mettendo su un piano di parità i trattati e le leggi federali, ma anche dando la precedenza alle leggi adottate in seguito ai trattati internazionali. Nel 1968, il Tribunale federale ha nuovamente modificato la sua pratica in materia stipulando che il diritto interno dev’essere interpretato in conformità con il diritto internazionale al fine di evitare qualsiasi contraddizione. Esso ha così stabilito il principio che il diritto internazionale prevale su una legge federale contraria, anche se la legge è stata adottata a posteriori. Di conseguenza, il diritto interno che contraddice una norma di diritto internazionale non dev’essere applicato23. Da quanto precede si vede come le disposizioni internazionali la spunteranno in ogni caso poiché, visto il sistema monista svizzero, un accordo concluso dal nostro paese lo lega e le sue disposizioni hanno la precedenza sulle disposizioni interne. La giurisprudenza Schubert, a seguito della quale una legge federale può, in circostanze eccezionali, avere la

20 ATF 99 Ib 39 del 2 marzo 1973 21 https://www.parlament.ch/fr/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20083249 22 Dietrich Schindler, La Suisse et le droit international public dans le Nouveau manuel de la politique extérieure suisse, 1992, Berna, Stuttgart, Vienna, pp. 114-115 23 Parere legale della Direzione del diritto internazionale pubblico, 18 marzo 1999

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precedenza sul diritto internazionale quando l’Assemblea federale lo richiede espressamente, deve dunque essere considerata come un’eccezione24. Secondo la dottrina, la prevalenza del diritto internazionale sul diritto interno non dipende dall’autorità che ha approvato il trattato internazionale. Di fatto, il principio della supremazia del diritto internazionale è applicabile sia per i trattati che sono stati approvati dal Parlamento, sia per quelli approvati dal Consiglio federale25. Inoltre, un trattato internazionale approvato dal Consiglio federale lega la Svizzera e questo anche se il nostro governo l’ha concluso ultra vires. Di fatto, conformemente all’art. 27 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati, uno Stato non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato. D’altronde, in un decreto pubblicato all’ATF 120 lb 360, consid. 2, il Tribunale federale aveva ritenuto che un trattato concluso dal Consiglio federale vincola la Svizzera, indipendentemente dal fatto che questo trattato avrebbe dovuto essere approvato dall’Assemblea federale26. Infine, il fatto che un accordo internazionale deroghi a una legge federale non implica che l’accordo internazionale in questione debba imperativamente essere approvato dall’Assemblea federale. In effetti, il Consiglio federale può approvare un simile accordo se quest’ultimo è qualificato come accordo «bagatella»27. Dal punto di vista del diritto internazionale, l’applicazione della giurisprudenza Schubert, senza misura d’accompagnamento destinata a rinegoziare o denunciare il trattato in questione, sfocia nella violazione dell’obbligo incombente agli Stati di mettere in atto in buona fede i trattati che li legano (pacta sunt servanda) e nel divieto di prevalersi delle loro disposizioni di diritto interno per giustificare il mancato rispetto dei loro obblighi internazionali. Da qualche anno, il Tribunale federale, in un’altra serie di sentenze, ha tuttavia apportato un’eccezione alla giurisprudenza Schubert, ritenendo che in caso di conflitto tra una norma di diritto interno e una norma internazionale avente per oggetto la protezione dei diritti umani, quest’ultima prevale in principio che la disposizione di diritto interno sia antecedente o posteriore al trattato (giurisprudenza «PKK»). Questa giurisprudenza è tuttavia solo raramente sfociata nell’applicazione del trattato a scapito della legge federale contraria. Il Tribunale federale non ha escluso che la giurisprudenza Schubert continui ad essere applicata in caso di conflitto con le norme internazionali che non hanno per oggetto la protezione dei diritti umani. Così, quando una legge federale entra in conflitto con la CEDU, ad esempio, il Tribunale federale applicherà la CEDU in ogni caso, anche se, per ipotesi, il legislatore ha corso il rischio di derogarvi al momento dell’adozione della legge. L’idea dietro questa eccezione a favore dei diritti umani è la seguente. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha la competenza di esaminare se una legge sia conforme o meno alla CEDU e di costatare, se del caso, la sua non conformità. La Svizzera è in seguito tenuta ad applicare questo decreto. La legge federale ritenuta contraria non sarà dunque per principio applicata al ricorrente e non sarà applicata alle persone che si trovano in situazioni analoghe. Pertanto, la Corte europea dei diritti dell’uomo svolge il ruolo di corte costituzionale per la Svizzera e può esercitare la giurisdizione costituzionale sulle leggi federali, ruolo che la Costituzione rifiuta al Tribunale federale attraverso l’art. 190 Cost. Non si tratta evidentemente di un controllo astratto delle leggi federali, bensì di un controllo concreto, il cui risultato può essere la non applicazione della legge in questione in casi particolari. Il sistema di controllo introdotto dalla CEDU è sottinteso dal principio di sussidiarietà, in virtù del quale la Corte europea dei diritti dell’uomo deve giudicare solo in 24 Schindler, p. 115 25 Ibidem 26 Ibidem 27 Ibidem

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ultima analisi, quando tutte le vie di ricorso esistenti a livello nazionale sono state utilizzate invano. Per poter attuare in maniera effettiva questo principio di sussidiarietà, il Tribunale federale effettua esso stesso un controllo di «convenzionalità» delle leggi federali. Questo controllo risponde anche a limitare la procedura e contribuisce ad evitare, per quanto possibile, l’intervento dei giudici internazionali. Il Tribunale federale può così decidere, se necessario, di non applicare la legge federale contraria alla Convenzione, senza necessariamente attendere per questo una decisione di Strasburgo. Si osserva tuttavia che il Tribunale federale è generalmente molto prudente in questo genere di casi28.

28 Rapporto del CF sulle relazioni tra diritto interno e diritto internazionale / http://www.humanrights.ch/upload/pdf/100309_CF_rapport_droitintl.pdf

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Allegato 9 FAQ Vantaggi del diritto internazionale

La Svizzera non ha nulla da dire nell’elaborazione del diritto internazionale… perché dovremmo avallare e accettare tutto ciò che proviene dall’estero?

In quanto Stato sovrano, la Svizzera è un attore delle relazioni internazionali. A tal proposito, il nostro paese partecipa a parità di condizioni degli altri Stati, all’elaborazione di regole comunemente accettate; senza di queste, vi sarebbe la legge della giungla e il nostro paese avrebbe solo da perdere! Grazie al diritto internazionale, la Svizzera ha dunque la possibilità di proteggere i suoi interessi, in maniera intelligente ed efficace, sulla scena internazionale. Nelle organizzazioni internazionali, abbiamo la stessa voce degli Stati che ci superano militarmente e/o economicamente. Se iniziamo noi stessi a rimettere in discussione i principi del diritto internazionale, perderemmo in realtà la nostra sovranità e saremmo in balia degli Stati più potenti.

L’iniziativa dell’UDC per l’autodeterminazione non attacca il diritto internazionale in sé, ma impedisce semplicemente ai burocrati di organizzazioni internazionali quali l’UE, di dettare legge in Svizzera.

Questo non è scritto nel testo dell’iniziativa: non si tratta specificamente dei «burocrati europei». L’iniziativa chiede di far prevalere il diritto svizzero sul diritto internazionale. Viene inoltre chiaramente indicato che i trattati internazionali contrari alla Costituzione federale devono essere rinegoziati e “se necessario denunciati”. Il diritto internazionale protegge in realtà la nostra democrazia diretta, in questo senso garantisce e protegge la nostra indipendenza, la nostra sovranità e la nostra neutralità.

Vi sono Stati monisti e Stati dualisti. Ciò che la Svizzera introdurrebbe con questa iniziativa è da tempo la regola in Germania. Perché non mettersi allo stesso livello del nostro potente vicino?

Il carattere monista o dualista di uno Stato dipende dalla sua tradizione giuridica. In ogni caso – è incontestato – che in Germania prevale il diritto internazionale generale e che i trattati internazionali sono applicati. Contrariamente a noi, gli obblighi internazionali devono ancora essere incorporati nel diritto nazionale.

La Svizzera dispone di fatto del sistema più efficiente, ciò che aiuta anche l’economia poiché questo valuta ogni situazione caso per caso, operando una valutazione di tutti gli

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interessi in gioco (compresi i suoi interessi economici).

L’iniziativa per l’autodeterminazione dell’UDC ristabilisce la sovranità del popolo svizzero, poiché Berna ha ignorato per anni dei referendum ed ha abusato del diritto internazionale a questo scopo. Perché il popolo non dovrebbe avere l’ultima parola?

In Svizzera, il popolo è sovrano e nessuno lo contesta. La nostra democrazia è piena di vita e ne siamo molto fieri. Il popolo ha ancora l’ultima parola: al di fuori del nocciolo duro dei diritti dell’uomo, che dev’essere universale. Il popolo svizzero può così pronunciarsi su dei trattati internazionali importanti (esso ha respinto nel 1992 l’adesione allo SEE e accettato l’adesione all’ONU nel 2002) e porre fine ad ogni trattato internazionale se lo desidera l’UDC ha del resto lanciato la raccolta delle firme per disdire l’Accordo sulla libera circolazione delle persone. Affermare che il popolo svizzero non sia sovrano in Svizzera, significa mentire spudoratamente al popolo stesso. Per quanto concerne l’affermazione secondo la quale la volontà popolare del 9 febbraio 2014 non sia stata rispettata, allora perché l’UDC non ha lanciato il referendum contro la legge d’applicazione votata dal Parlamento il 16 dicembre 2016?

Con il futuro accordo quadro, Berna tenta ancora una volta di legare la Svizzera all’UE, aggirando la popolazione. Come può la Svizzera mantenere la propria indipendenza senza l’iniziativa per l’autodeterminazione dell’UDC?

Se dovesse essere trovato un accordo quadro, il popolo svizzero dovrebbe esprimersi, come ha sempre fatto nelle nostre relazioni con l’UE. Questo è stato il caso con lo Spazio economico europeo nel 1992, con gli accordi bilaterali all’inizio degli anni 2000, con l’estensione della libera circolazione delle persone ai nuovi Stati membri dell’UE e lo stesso sarà con l’accordo quadro, dove gli Svizzeri avranno la possibilità di dire se lo desiderano o meno.

La legge sulle armi è un eccellente esempio che spiega la ragione per la quale abbiamo realmente bisogno dell’iniziativa UDC per l’autodeterminazione: per quale motivo dovremmo adottare un’inutile direttiva di Bruxelles e abolire le tradizioni svizzere?

La revisione della legge federale sulle armi è un buon esempio della capacità della Svizzera ad inserirsi nei dossier discussi nell’UE senza farne formalmente parte. Grazie alla sua appartenenza allo spazio Schengen, la Svizzera ha così potuto negoziare numerose eccezioni in questa direttiva per far rispettare le tradizioni e le particolarità elvetiche. La Svizzera non ha dunque del tutto «semplicemente» adottato e integrato delle regole dell’UE senza dire nemmeno una parola o senza difendere i propri interessi.

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Inoltre, rammentiamo che contro questa legge si può lanciare un referendum, quale prova che la democrazia svizzera funziona.

Conseguenze economiche dell’iniziativa

I trattati economici non sono interessati dall’iniziativa per l’autodeterminazione dell’UDC, poiché non vi sono contraddizioni con la Costituzione federale.

È totalmente falso ed è ciò che tentano di far credere i sostenitori di questa iniziativa. L’accordo di libero scambio con la Cina, concluso prima dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, contiene dei diritti temporanei di libera circolazione per gli operatori di servizi, che non sono più compatibili con l’articolo 121. Bisognerebbe dunque rinegoziare. I Cinesi non lo accetterebbero e la Svizzera dovrebbe dunque denunciare uno degli accordi più importanti e più unici che il nostro paese possiede.

Dall’altra parte, la Costituzione non è statica. Grazie al nostro diritto d’iniziativa, non possiamo prevedere a cosa assomiglierà in futuro la Costituzione. L'iniziativa «per alimenti equi», ad esempio, che è stata posta in votazione il prossimo 23 settembre, è pure contraria agli obblighi della Svizzera adottati sovranamente in materia di accordi OMC.

Si parla di 600 accordi economici in virtù del diritto internazionale che sarebbero compromessi dall’iniziativa per l’autodeterminazione dell’UDC. Non è forse esagerato?

Non è eccessivo. Per principio, tutti questi accordi sono toccati da questa iniziativa, poiché essa stipula che gli accordi devono essere rinegoziati o denunciati in caso di contraddizioni. Il testo dell’iniziativa non dice nulla sulla natura, la portata o la gravità di queste contraddizioni. Si sarebbe dunque nel vago.

Inoltre, sarebbe ovviamente controproducente per l’economia se gli accordi dovessero essere disdetti a seguito di contraddizioni – anche minime – che esistono oggi, o che si manifesteranno solo in futuro. Di fatto, chi vorrebbe ancora stipulare qualcosa con noi? Chi vorrebbe ancora investire in Svizzera?

Parlate di 600 accordi economici messi in pericolo. Potete citarne qualcuno?

Con piacere:

• Accordi di libero scambio: 30 • Accordi di protezione degli investimenti: 123 • Convenzioni sulla doppia imposizione: 170

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• Accordi bilaterali con l’UE: oltre 120 • Accordi OMC: 14 • Accordi di protezione della proprietà

intellettuale (85) • Ecc.

In che cosa questi 600 accordi economici sono minacciati dall’iniziativa per l’autodeterminazione?

Prendiamo un esempio concreto:

Accordo di libero scambio con la Cina:

L’accettazione dell’iniziativa «Per alimenti equi» (in votazione il 23 settembre 2018) avrebbe potuto comportare delle restrizioni all’importazione o un aumento dei dazi doganali per gli alimenti non equi. Conseguenze: conflitto con l’accordo di libero scambio con la Cina e dunque necessità di nuovi negoziati e «se necessario» disdetta dell’accordo.

Imprenditori famosi come Rolf Dörig e Magdalena Martullo-Blocher sostengono questa iniziativa. Perché dei «funzionari associativi» come voi dovrebbero sapere meglio ciò che è giusto per le imprese?

Non commentiamo le opinioni personali dei membri delle nostre istanze. Il comitato di economiesuisse respinge questa iniziativa all’unanimità. Il nostro impegno contro questo testo è incontestato.

Se l’iniziativa è così dannosa per l’economia, perché nessun imprenditore vi si oppone?

Contrariamente a ciò che i promotori dell’iniziativa pretendono, questo testo avrà conseguenze sulle imprese, in particolare per le 97’000 che esportano (di cui il 90% sono PMI). Gli imprenditori non si lasciano ingannare. Essi si mobilitano assieme a noi già dall’inizio di questa campagna. Numerosi di essi hanno ad esempio aderito al nostro appello apparso il 29 luglio contro questa iniziativa.

In concreto, quale accordo economico importante sarebbe abolito il 25 novembre se gli Svizzeri dovessero accettare l’iniziativa?

Esiste una contraddizione tra la nostra Costituzione e l’accordo sui trasporti terrestri tra la Svizzera e l’UE. Quest’ultimo fa parte degli Accordi bilaterali I, legati tra l’altro da una clausola ghigliottina. Con l’iniziativa, bisognerebbe imperativamente rinegoziarlo e, senza accordo con l’UE, la Svizzera dovrebbe forzatamente porvi fine. Anche gli altri sei accordi sarebbero disdetti: i produttori svizzeri di formaggio non potrebbero più esportare così liberamente come oggi, i turisti svizzeri non avrebbero più le stesse possibilità di viaggiare in Europa. Nel contempo la Svizzera sarebbe meno attrattiva per i turisti europei.

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Alcuni accordi di protezione degli investimenti compromettono le norme ecologiche e sociali che gli Svizzeri sostengono. Perché queste ultime non avrebbero la precedenza?

Nessun accordo di protezione degli investimenti (API) impedisce alla Svizzera di mantenere i suoi standard. La Svizzera può adattare la propria legislazione in ogni momento. Gli API proteggono le imprese svizzere contro le discriminazioni o le espropriazioni all’estero. Essi proteggono anche gli investitori stranieri in Svizzera. Se la Svizzera decidesse unilateralmente di non più essere legata da questi accordi, essa dovrebbe versare degli indennizzi agli investitori diretti stranieri, che forniscono oltre 457'000 impieghi nel paese.

A proposito di sovranità della Svizzera

L’iniziativa contro il diritto internazionale ha lo scopo di proteggere la sovranità della Svizzera e il diritto del suo popolo di autodeterminarsi. Perché economiesuisse è contraria?

Il popolo svizzero è sovrano. Esso si esprime regolarmente sulle relazioni della Svizzera a livello internazionale. Dal 1972, esso si è espresso 15 volte sulle relazioni tra la Svizzera e l’UE. È inoltre chiamato alle urne 4 volte all’anno su circa 3 temi (in media) ad ogni votazione federale. Se un accordo non va bene, o se gli Svizzeri vogliono aderire o ritirarsi da un’organizzazione internazionale (come la CEDU o come l’ONU o l’OMC), essi dispongono di tutti gli strumenti necessari per poterlo fare (referendum). Il popolo svizzero è dunque pienamente sovrano e dispone totalmente del diritto di autodeterminarsi.

Inoltre, la sovranità della Svizzera in quanto Stato è protetta dal diritto internazionale che permette al nostro paese di esistere sulla scena internazionale ad armi pari con altre grandi potenze mondiali. Se il diritto internazionale non esistesse o la Svizzera gli voltasse le spalle, come chiede questa iniziativa, il nostro paese sarebbe sottoposto a forti pressioni, alla legge del più forte e non esisterebbe senza dubbio sotto la sua forma attuale – ma sarebbe piuttosto il satellite di uno Stato potente.

L’iniziativa per l’autodeterminazione ha lo scopo di ridare il potere al popolo, poiché le élites di questo paese si inginocchiano di fronte alle istanze straniere, come l’UE.

La Svizzera non si inginocchia davanti a nessuno Stato e davanti a nessuna istanza internazionale. Affermare il contrario, significa misconoscere

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Siete pronti a sacrificare la Svizzera per degli interessi stranieri?

l’apprezzabile operato della nostra democrazia svizzera e dei nostri negoziatori che, nel corso degli anni, sono riusciti a stipulare oltre 120 accordi di protezione degli investimenti svizzeri all’estero (piazzando il nostro paese nei top 3 mondiali di questo tipo di accordi) Quasi 30 accordi di libero scambio con il mondo intero, e oltre 120 accordi settoriali con il nostro principale partner economico, l’UE. Senza contare sul fatto che il nostro paese è sede di centinaia di organizzazioni internazionali, di federazioni sportive e di ONG.

Del resto, quando la Svizzera si impegna a livello internazionale, lo fa sempre in maniera indipendente e sovrana. Il Consiglio federale sottopone sistematicamente i suoi impegni al Parlamento, che può accettarli o rifiutarli, o sottoporli al popolo svizzero, quando sono in gioco gli interessi imperativi della nazione.

L’iniziativa per l’autodeterminazione permetterà di applicare le decisioni popolari, che non lo sono, come il rinvio effettivo degli stranieri criminali e l’iniziativa «contro l’immigrazione di massa».

La legge d’applicazione sull’iniziativa «per il rinvio degli stranieri criminali» è stata adottata dal Parlamento. Il popolo svizzero ha respinto un’iniziativa detta di attuazione in maniera molto netta il 16 febbraio 2016 (58,9% di no), confermando così che l’applicazione decisa dal Parlamento gli andava bene.

Per quanto concerne l’iniziativa «contro l’immigrazione di massa» del 9 febbraio 2014, il Parlamento ha adottato il 16 dicembre 2016 delle modifiche legali d’applicazione. Un comitato guidato dal socialista ticinese Nenad Stojanovic ha lanciato il referendum; egli chiedeva in particolare il sostegno dell’UDC, ma questa ha rifiutato di raccogliere delle firme per vedere se il popolo era d’accordo o meno con l’applicazione dell’iniziativa del 9 febbraio 2014, così come decisa dal Parlamento.

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A proposito della campagna

In occasione della campagna contro l’iniziativa dell’UDC «contro l’immigrazione di massa», economiesuisse ha gestito la campagna evidenziando i rischi che avrebbero corso gli accordi economici se il sì l’avesse spuntata. Ora, questa è stato un fallimento. Nella campagna attuale, questo argomento viene nuovamente tirato in ballo: non pensate che il popolo vi dia la stessa risposta del 9 febbraio 2014?

Introducendo una riserva permanente e una clausola di retroattività nella Costituzione federale, l’iniziativa fa pesare una spada di Damocle su 600 accordi economici, tra cui degli accordi commerciali (ad esempio accordo di libero scambio con il Giappone, la Cina, il Canada), degli accordi di protezione degli investimenti (ad esempio con il Venezuela o gli Emirati Arabi Uniti) o di protezione della proprietà intellettuale. Le conseguenze negative per l’economia sono molto concrete e la configurazione della campagna è molto diversa da quella del 2014 – gli insegnamenti sono stati tratti.